1 Quando la c.d. cessione “spezzatino” non è soggetta ad imposta di

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1 Quando la c.d. cessione “spezzatino” non è soggetta ad imposta di
Quando la c.d. cessione “spezzatino” non è soggetta ad imposta di registro
di Barbara Denora, 27 maggio 2016
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(Corte di Cassazione, Sezione V civile, sentenza n. 9575 dell’11 maggio 2016)
Con l’interessante pronuncia in commento, la Suprema Corte si è espressa in merito alla possibilità di
“riqualificare” la cessione di singoli beni aziendali a favore dello stesso acquirente come “vendita frazionata di
azienda” (c.d. cessione “spezzatino”).
Com’è noto, la cessione di beni strumentali sconta l’IVA, mentre, ai sensi dell’art. 2, comma 3, lett. b), del D.P.R.
26 ottobre 1972 n. 633, non sono considerate cessioni di beni (e, quindi, risultano escluse dall’ambito di
applicazione dell’IVA) le cessioni “che hanno per oggetto aziende o rami d’azienda”. La cessione d’azienda, di
conseguenza, costituisce operazione rilevante ai fini dell’imposta di registro ai sensi degli artt. 2 e 3, primo
comma , lett. b) del D.P.R. n. 131 del 1986.
Da tempo, gli uffici dell’Agenzia delle Entrate, nell’esercizio della propria attività accertativa, procedono alla
“riqualificazione” (come unitaria cessione di azienda) dei contratti aventi a oggetto una pluralità di asset
aziendali, conclusi in un unico contesto temporale ovvero in un arco temporale più o meno ampio (sul tema si
vedano, in particolare, A. BUSANI, Imposta di registro e «spezzatino d’azienda», in Riv. Giur. Trib., 2010, 591; G.
CORASANITI, Tassazione della cessione d’azienda e della cessione dei contratti di locazione immobiliare, in Corr.
Trib., 2009, 2197; M. CERRATO, Elusione fiscale ed imposizione indiretta nelle operazioni societarie, in (a cura di)
G. Maisto, Elusione ed abuso del diritto tributario, Milano, 2009, 379).
Tale prassi ha ricevuto in passato l’avallo della Corte di Cassazione, la quale ha più volte affermato che è
configurabile in termini di cessione di compendio aziendale soggetta ad imposta di registro proporzionale (e
non ad IVA) l’operazione in cui “le parti non hanno inteso trasferire una semplice somma di beni, ma un
complesso organico unitariamente considerato, dotato di una potenzialità produttiva, tale da farne emergere ex
ante la complessiva attitudine anche solo potenziale all’esercizio di impresa” e ciò a prescindere “che tale
esercizio sia attuale, essendo sufficiente l’attitudine potenziale all’utilizzo per un’attività d’impresa” ed al di là
della circostanza che “la cessione comprenda anche le relazioni finanziarie, commerciali e personali” (cfr. tra le
tante, Cass. nn. 9162 e 9163 del 16 aprile 2010; Cass., 14 maggio 2008 n. 12049; Cass. 10 ottobre 2008 n.
24913; 11 giugno 2007 n. 13580).
Con la sentenza in commento, invece i giudici di legittimità sembrano giungere a conclusioni in parte difformi
rispetto al precedente e consolidato orientamento testé citato.
Il caso, in effetti, era sui generis: la cessione era avvenuta tra società appartenenti al medesimo gruppo
imprenditoriale ma svolgenti attività diverse (la società cedente si occupava della produzione mentre la
cessionaria della commercializzazione) ed inoltre aveva riguardato dei beni strumentali peculiari (una pressa
non utilizzata dal cedente da svariati anni e ristrutturata per l’occasione, nonché una serie di altri beni
acquistati dal cedente al solo fine della successiva rivendita al cessionario ad un prezzo più vantaggioso).
Ebbene, la Suprema Corte ha escluso che nel caso di specie fosse configurabile una cessione di azienda perché
mancava una “continuità” aziendale. Più in generale, i giudici hanno precisato che in simili ipotesi occorre
verificare se si sia in presenza “di un insieme organicamente finalizzato ex ante all’esercizio dell’attività di
impresa, di per sé idoneo a consentire l’inizio o la continuazione di quella determinata attività”. Si ha, infatti,
cessione di azienda solo allorché si sia in presenza di un “trasferimento di un’entità economica organizzata in
2 maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità e consenta l’esercizio di
un’attività economica finalizzata al perseguimento di uno specifico obbiettivo”.
La possibilità di “riqualificare” l’assetto negoziale realizzato dalle parti, quindi, deve essere esclusa allorché non
sia possibile cogliere un coordinamento ed un’organizzazione dei beni ceduti tale da poter confermare che
l’insieme dei beni abbia conservato, nel trasferimento, una propria identità. In altri termini, pur non essendo
necessaria “la cessione di tutti gli elementi che normalmente costituiscono l’azienda”, occorre verificare che
“nel complesso di quelli ceduti permanga un residuo di organizzazione che ne dimostri l’attitudine all’esercizio
dell’impresa, sia pure mediante la successiva integrazione da parte del cessionario”.
In conclusione, i giudici di legittimità hanno riconosciuto che la possibilità di “riqualificazione” dell’assetto
negoziale posto in essere dalle parti discende da una “valutazione complessiva di una pluralità di elementi, tra
loro in rapporto di interdipendenza in relazione al tipo di impresa, consistenti nell’eventuale trasferimento di
elementi materiali o immateriali e del loro valore, nell’avvenuta riassunzione in fatto della maggior parte del
personale da parte della nuova impresa, dell’eventuale trasferimento della clientela, nonché del grado di
analogia tra le attività esercitate prima o dopo la cessione”.