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Uberizzazione unica via. Il caso Yellow Cab e quello serve ai taxi per non sparire | 1
ilfoglio.it La più grande compagnia di taxi di San Francisco ha chiesto la protezione del chapter 11, ossia ha deciso di
entrare in amministrazione controllata per poter ristrutturare l’azienda ed evitare il fallimento. Ecco perché il sistema
taxistico è in crisi e quali sono le possibili vie di fuga. L’eccezione della De Soto Cab.
Quelle macchine gialle, in America, nere, in Inghilterra,
bianche, in Italia potrebbero essere solo un ricordo. Ci vorrà
del tempo, ma quanto sta accadendo in questi ultimi anni
sembra portare a questa conclusione: quote di mercato perse,
calo dei passeggeri anno dopo anno e un monopolio che
scricchiola sembrano attestare che la fine dell’èra dei taxi sia
già iniziata. Che uno dei fattori della loro crisi sia stato
l’ingresso nel mercato di aziende che effettuano trasporto
automobilistico privato – come Uber e Lyft – è fatto abbastanza
risaputo, sebbene non sia il solo. La novità è che ora c’è anche,
forse, la prima vittima. La Yellow Cab Co-op, la più grande
compagnia di taxi di San Francisco, ha infatti chiesto la
protezione del chapter 11 – riporta il San Francisco Examiner –, ossia ha deciso di entrare in amministrazione controllata
per poter ristrutturare l’azienda ed evitare il fallimento.
La società in una nota ha detto che il ricorso al chapter 11 si è reso necessario a causa dell’aumento di spese non
preventivabili, dovute principalmente a multe, incidenti e cause perse – la più eclatante quella che ha imposto alla società
il pagamento di una penale di 8 milioni di dollari a Ida Fuà, una passeggera rimasta paralizzata nel lato sinistro del corpo
in seguito a un incidente in taxi –, ha rassicurato della bontà della situazione finanziaria complessiva dell’azienda e della
solidità delle 530 licenze di tassinaggio. Ma al di là delle rassicurazioni esiste un non esplicitamente detto che porta altre
considerazioni sulla salute della Yellow Cab Co-op, in particolare, e del servizio taxi in generale.
Perché se l’ex presidente della società Jim Gillespie ha detto all’Examiner che la Yellow Cab continua ad avere “la migliore
combinazione di colori che c’è nel mondo, un sacco di clienti fedeli e continua ad avere un elevato volume di chiamate al
centralino ogni giorno”, e se è altrettanto vero che il numero di viaggi è diminuito solo dell’1,1 per cento nell’ultimo anno,
va sottolineato che il giro d’affari complessivo del settore in America è calato negli ultimi cinque anni di oltre il sette per
cento e il segno più a livello di numero di passeggeri, di corse e chilometri percorsi non si vede dal 2012.
E il vero problema per i taxi è che non è tutta colpa di Uber. A cambiare è tutto il resto. Il contesto innanzitutto.
Da una ricerca dell’Università di Chicago sul sistema di trasporto pubblico/privato e sulla contrapposizione Uber/taxi a
livello economico e di percezione degli utenti sono emersi, tra gli altri, due aspetti interessanti: il primo riguarda la
maggiore sicurezza – sia fisica che economica – che il servizio offre, il secondo è la maggiore praticità del servizio. “Andare
in strada e aspettare un taxi? Non siamo mica più nel Novecento. Perché dovrei aspettare o chiamare quando posso con un
click prenotare una macchina che mi viene a prendere nel giro di una decina di minuti?”, ha risposto uno degli intervistati.
Un’osservazione difficile da smentire, soprattutto in uno stato dotato di banda larga e servizio wi-fi in gran parte della
città.
Accanto a questo disamore crescente verso il tradizionale servizio taxistico si deve aggiungere un’altro fattore: Yellow Cab
– e non solo, il discorso vale per la quasi totalità di aziende di taxi americane – ha perso gran parte dei migliori conducenti.
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Tutti migrati verso Uber e Lyft. “Pagano meglio, di più e ti danno una maggiore libertà di organizzarti il lavoro”, ha detto al
New York Times Tim Mullangher, cinquantenne tassista di Brooklyn, per due volte miglior pilota dell’anno di New York per
il rapporto chilometri/passeggeri caricati. Una migrazione che molte volte ha anche una ragione economica. Perché se le
vetture dei servizi via app aumentano e con loro la scelta e la preferenza dei clienti, si apre un problema tra i tassisti
tradizionali che faticano a pagare le rate dell’auto e della licenza e sono costretti o ad abbandonare entrambe oppure a
continuare a pagare la macchina e lasciare la licenza affiliandosi a Uber o Lyft.
Questi avvenimenti hanno abbassato la qualità del servizio, allungato i tempi di percorrenza della città e fatto aumentare
l’insoddisfazione della clientela: un girotondo di problematiche che ovviamente va a beneficio dei servizi di trasporto
automobilistico privato.
Un circolo vizioso al quale non c’è soluzione se non quella di uberizzarsi. Come ha fatto un’altra storica compagnia di
taxi di San Francisco, la De Soto Cab che ha deciso dopo 80 anni di servizio di abbandonare la classica colorazione gialla,
di abbandonare il classico marchio e rinominarsi Flywheel Taxi e aprire una collaborazione con una start-up della Silicon
Valley che offre un servizio via app di chiamata e gestione delle corse e dei pagamenti, chiamato Volano. “Siamo a metà tra
Uber e una società tradizionale di taxi. Un taxi tradizionale ma contattabile e pagabile via app. Per ora la scelta ha pagato”,
ha detto al San Francisco Chronicle.
di
Giovanni
Battistuzzi
|
11
Gennaio
2016 http://www.ilfoglio.it/cronache/2016/01/11/uber-taxi-uberizzazione-unica-via-il-caso-yellow-cab___1-v-136885-rubriche_c317.htm
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