Relazione di don Tino Tonello

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Relazione di don Tino Tonello
Anagni, 29 agosto 2012 Dopo il Convegno ecclesiale di Verona: dove va la pastorale delle Chiese in Italia
Premesse
1. Il titolo parla di pastorale, di azione della comunità credente: non primariamente dei documenti
magisteriali né della riflessione sulla pastorale in quanto azione della chiesa (teologia pastorale).
Ma non vanno disgiunti i due versanti (azione/pastorale e magistero/teologia) perché sono frutto
uno dell’altro e si compenetrano a vicenda.
2. Si parla delle chiese (al plurale), cioè delle diocesi: questo indica una varietà che non è
possibile cogliere nella sua interezza.
3. Si parla del dopo Verona (ottobre 2006): non c’è stato, tuttavia, un cambiamento repentino dopo
il Convegno ecclesiale, per cui dobbiamo rifarci alle vicende precedenti per cogliere le prospettive
oggi più rilevanti.
4. Le osservazioni seguenti sono limitate perché bisognerebbe mettere insieme le testimonianze e
le esperienze di tutte le chiese particolari per avere un quadro completo e non solo teoretico.
5. La prima parte della riflessione mette in luce le prospettive presentate nei documenti
magisteriali con le ricadute nel vissuto; la seconda parte presenta alcuni percorsi che le chiese
locali stanno intraprendendo a partire dalle indicazioni magisteriali ma non solo. La suddivisione
tematica è solo pratica perché in realtà c’è continuità e implicanza tra i due momenti.
1. Dove vanno i pastori
1.1 La “svolta antropologica” al Convegno di Verona
Il cambio di paradigma sottolineato nel Convegno ecclesiale di Verona la possiamo chiamare
svolta o questione o dimensione e fa da sfondo al percorso della chiesa italiana con implicazioni
dirette e indirette sulla riflessione teologica e sulle azioni pastorali.
L’intuizione germinale era già presente negli Orientamenti pastorali CEI del decennio 2000-2010, in
Appendice, dove si prospettava l’agenda pastorale per il decennio. Al n. 3 si diceva:
«La condizione storica nella quale ci troviamo raccomanda, anzi esige, una vigorosa scelta formativa dei
cristiani. Si tratta di dare spazio a momenti propriamente culturali, portando a livello di base (diocesi,
vicariati, parrocchie, gruppi, ecc.) l’intento di cui è espressione, a livello di Chiesa italiana, il «progetto
culturale orientato in senso cristiano», con una forte attenzione alle domande antropologiche che ogni
giorno il dibattito pubblico e la cronaca introducono nelle nostre case».
In queste poche righe vengono messi in relazione tre elementi che troveremo successivamente
sviluppati: 1) la formazione, 2) la pastorale a livello di base, 3) le domande antropologiche.
Il Convegno ecclesiale di Verona mette l’accento su due aspetti (pastorale e domande),
sviluppandoli secondo la famosa prospettiva degli ambiti di vita e unisce l’attenzione da dare alla
persona con l’azione che la chiesa sta svolgendo (il terzo aspetto - formazione - lo troviamo
sviluppato negli OP del decennio in corso).
1 Anagni, 29 agosto 2012 Al n. 22 della Nota pastorale dell’Episcopato italiano dopo il 4° Convegno Ecclesiale Nazionale,
troviamo esplicitata l’unione tra l’agire pastorale e la prospettiva antropologica (e a partire dal
titolo: La persona, cuore della pastorale):
«L’attuale impostazione pastorale, centrata prevalentemente sui tre compiti fondamentali della Chiesa
(l’annuncio del Vangelo, la liturgia e la testimonianza della carità), pur essendo teologicamente fondata, non
di rado può apparire troppo settoriale e non è sempre in grado di cogliere in maniera efficace le domande
profonde delle persone: soprattutto quella di unità, accentuata dalla frammentazione del contesto culturale.
[…] Mettere la persona al centro costituisce una chiave preziosa per rinnovare in senso missionario la
pastorale e superare il rischio del ripiegamento, che può colpire le nostre comunità. Ciò significa anche
chiedere alle strutture ecclesiali di ripensarsi in vista di un maggiore coordinamento, in modo da far
emergere le radici profonde della vita ecclesiale, lo stile evangelico, le ragioni dell’impegno nel territorio, cioè
gli atteggiamenti e le scelte che pongono la Chiesa a servizio della speranza di ogni uomo».
Dove sta la novità/svolta?
Tre sono gli elementi legati assieme: 1) attenzione antropologica, 2) impostazione pastorale, 3)
prospettiva missionaria.
Al centro non c’è primariamente l’azione pastorale (secondo i tre ambiti: annuncio, celebrazione,
carità) in quanto tale ma la persona a cui essa si rivolge. Una persona concreta, inserita nelle
problematiche odierne… La verifica e la modifica dell’azione della chiesa va fatta a partire dalla
realtà concreta delle persone (e non solo dei credenti). Questo significa:
a) Affermazione di una prospettiva antropologica cristiana
Nella chiesa c’è sempre stata una attenzione per l’antropologico, per l’uomo, credente e non, a
partire dal Concilio (Dignitatis humanae, Gravissimum educationis, Nostra aetate, Inter mirifica),
tuttavia la trattazione e lo sviluppo avvengono nel dopo Concilio, come indicazioni presenti nei
piani pastorali, ma che vede solo recentemente lo sviluppo di una impostazione globale e di una
declinazione particolare. Negli OP del decennio in corso Educare alla vita buona del Vangelo,
leggiamo al n. 5 che ha per titolo “Quale uomo?”:
«Tra i compiti affidati dal Maestro alla Chiesa c’è la cura del bene delle persone, nella prospettiva di un
umanesimo integrale e trascendente. Ciò si traduce nella pastorale d’ambito, nei percorsi specifici per le
varie categorie… una pastorale generica e genericistica non ha futuro. La persona da incontrare è quella
concreta nel proprio ambito di vita e quella nel punto del percorso di vita in cui si trova in quel momento».
E ancora al n. 33 si dice: «Si mostra così la rilevanza antropologica dell’educazione cristiana e si favorisce
una considerazione unitaria della persona nell’azione pastorale. Attraverso questa multiforme attenzione
educativa, potrà «emergere soprattutto quel grande ‘sì’ che in Gesù Cristo Dio ha detto all’uomo e alla sua
vita, all’amore umano, alla nostra libertà e alla nostra intelligenza; come, pertanto, la fede nel Dio dal volto
umano porti la gioia nel mondo. In questo modo, la comunità dei credenti testimonia l’amore profondo della
Chiesa per l’uomo e per il suo futuro e l’atteggiamento di servizio che la anima».
Questi testi mettono in luce due aspetti dell’antropologia cristiana: il primo che esiste un
umanesimo di ispirazione cristiana che ha i caratteri della integralità (tutte le dimensioni della
persona) e della apertura all’oltre (trascendenza). Di conseguenza una pastorale che privilegia
solo alcuni aspetti della persona e della sua vita è parziale e parziali saranno i risultati o a senso
unico: ad esempio quando si privilegia solo la dimensione spirituale o solo quella emotiva o ancora
quella intellettuale/conoscitiva.
2 Anagni, 29 agosto 2012 Il secondo aspetto riguarda l’educazione. Il compito dell’educazione è finalizzato alla persona (a
partire dall’uomo per ritornare all’uomo) e riguarda tutto l’uomo (quello voluto da Dio fin dall’inizio
che ha in Cristo il volto compiuto e restaurato). Ciò si traduce in una pastorale non a compartimenti
stagni dove ogni ambito fa la sua parte (catechesi, associazioni, liturgia, IRC, tempo libero …) ma
in un progetto il più unitario e coordinato possibile.
b) La prospettiva antropologica in rapporto alla pastorale
L’azione pastorale non va solo considerata a partire dalle azioni classiche, da una classificazione
riduttiva e generatrice di proliferazioni nelle strutture, ma in rapporto alla persona secondo la
prospettiva di un umanesimo cristiano. Cifra identificativa diventano gli ambiti di vita: affetti,
lavoro/festa, fragilità, tradizione, cittadinanza. Questi sono degli esempi, non i soli luoghi che d’ora
in poi devono interessare l’azione della chiesa. Ciò che è rilevante è la prospettiva nuova: partire
dalla vita, dai luoghi antropologici, dalle fragilità e potenzialità, per rinvenire l’azione di salvezza di
Dio e l’opera della chiesa.
È opportuno ascoltare come da una voce autorevole veniva esposto - ancora a caldo - il senso del
Convegno ecclesiale del 2006. La relazione conclusiva del cardinale Ruini suggeriva una singolare
lettura del guadagno ottenuto:
«Per parte mia vorrei solo confermare che il nostro Convegno, con la sua articolazione in cinque ambiti di
esercizio della testimonianza, ognuno dei quali assai rilevante nell’esperienza umana e tutti insieme
confluenti nell’unità della persona e della sua coscienza, ci ha offerto un’impostazione della vita e della
pastorale della Chiesa particolarmente favorevole al lavoro educativo e formativo. Si tratta di un notevole passo
in avanti rispetto all’impostazione prevalente ancora al Convegno di Palermo, che a sua volta puntava sull’unità
della pastorale ma era meno in grado di ricondurla all’unità della persona perché si concentrava solo sul legame,
pur giusto e prezioso, tra i tre compiti o uffici della Chiesa: l’annunzio e l’insegnamento della parola di Dio, la
preghiera e la liturgia, la testimonianza della carità».
Che si tratti di una prospettiva nuova ma da ben interpretare, lo sottolineava successivamente
anche mons. F.G. Brambilla, fautore della proposta:
«Da più parti emerge la domanda sulla funzione dei cinque ambiti, insistentemente richiamata e praticata
durante questi anni in diverse occasioni dalle singole Chiese e dagli interventi di molti Vescovi. La domanda
si precisa nel modo seguente: nel pensare e nel programmare la missione della Chiesa bisogna operare un
passaggio dai tria munera [funzione profetica, sacerdotale, regale] ai 'cinque ambiti'? Occorre dire sin
dall’inizio che questi schemi sono un modo per pensare l’azione della Chiesa e la sua figura storica, in
riferimento alla assoluta singolarità della missione di Cristo e alla sua necessità di darsi storicamente nel
1
tempo mediante l’azione dello Spirito» .
E così una declinazione dei cinque ambiti, in rapporto all’educazione e alla pastorale, la troviamo
nei nuovi Orientamenti pastorali per questo decennio, al n. 54 del capitolo V, dedicato alle
Indicazioni per la progettazione pastorale.
1
F.G. BRAMBILLA, «La pastorale della Chiesa in Italia. Dai tria munera ai 'cinque ambiti'?», in La Rivista del Clero Italiano,
6/ 2011, pp. 389-407.
2
CEI, Nota pastorale Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia (30.05.2004). La Nota pastorale è
frutto di un confronto che ha impegnato i vescovi italiani per più di due anni, in diverse sessioni del Consiglio Episcopale
Permanente e, soprattutto, in tre Assemblee Generali dell’episcopato: quella di maggio 2003 a Roma, dedicata
all’“Iniziazione cristiana”; quella di novembre 2003 ad Assisi, su “La parrocchia: Chiesa che vive tra le case degli uomini”;
infine quella di maggio 2004, ancora a Roma, la cui riflessione è confluita in questo documento, che intende delineare il
3 Anagni, 29 agosto 2012 Per questo la prospettiva del passaggio dai tria munera ai 'cinque ambiti' va precisata, per non
cadere nella moda di cambiare gli schemi senza modificare veramente il nostro approccio alla
cosa. È in gioco nientemeno che l’efficacia dell’agire pastorale della Chiesa.
In conclusione queste sottolineature ci dicono che occorre ripensare l’unità della pastorale,
articolata nelle funzioni e/o uffici della Chiesa (Parola, Sacramento, Carità), incentrandola
maggiormente sull’unità della persona, sulla rilevanza educativa e formativa che queste funzioni
possono avere. Non si tratta di sostituire al criterio ecclesiologico la rilevanza antropologica nel
disegnare l’unità e l’articolazione della missione della Chiesa, quanto invece mostrare che la
pastorale in prospettiva missionaria deve sapere in ogni caso condurre l’uomo all’incontro con la
speranza viva del Risorto. Lo schema dei tria munera dice l’unità della missione della Chiesa negli
elementi che la costituiscono come dono dall’alto, ne dice l’eccedenza irriducibile a ogni cosiddetto
umanesimo; il rilievo antropologico dell’azione pastorale della Chiesa, destinato all’unità della
persona dice il compito missionario della Chiesa dentro le forme universali dell’esperienza. Saper
mostrare la qualità antropologica dei gesti della Chiesa è oggi un’urgenza non solo dettata dal
momento culturale moderno, ma è un’istanza imprescindibile per dire che il Vangelo è per l’uomo e
per la pienezza della vita personale.
c) La prospettiva missionaria della pastorale (a partire da quella antropologica)
L’obiettivo che deve animare la pastorale è quello missionario. Abbiamo letto: «[…] Mettere la
persona al centro costituisce una chiave preziosa per rinnovare in senso missionario la pastorale e
superare il rischio del ripiegamento, che può colpire le nostre comunità. Ma non si tratta di una prospettiva
facile benché quasi scontata nella sua dicitura».
Questa prospettiva è ripresa dal bel documento del 2004, Il volto missionario delle parrocchie in un
mondo che cambia2 nel quale era stata riaffermata la centralità e la missione della parrocchia
anche di fronte ai cambiamenti epocali. Al n. 1 era detto:
«Una pastorale tesa unicamente alla conservazione della fede e alla cura della comunità cristiana non basta
più. È necessaria una pastorale missionaria, che annunci nuovamente il Vangelo, ne sostenga la
trasmissione di generazione in generazione, vada incontro agli uomini e alle donne del nostro tempo
testimoniando che anche oggi è possibile, bello, buono e giusto vivere l’esistenza umana conformemente al
Vangelo e, nel nome del Vangelo, contribuire a rendere nuova l’intera società».
Ma la prospettiva missionaria non è per nulla facile anche se alquanto suggestiva e necessaria.
Già c’erano allora delle perplessità dietro alla impegnativa intuizione: su come possa la parrocchia
tradizionale reggere il peso di un compito così impegnativo. Va tenuto presente che diminuiscono i
frequentanti, ma diminuiscono proporzionalmente anche i volontari e gli operatori e aumentano
invece gli ambiti e le tipologie dei credenti.
2
CEI, Nota pastorale Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia (30.05.2004). La Nota pastorale è
frutto di un confronto che ha impegnato i vescovi italiani per più di due anni, in diverse sessioni del Consiglio Episcopale
Permanente e, soprattutto, in tre Assemblee Generali dell’episcopato: quella di maggio 2003 a Roma, dedicata
all’“Iniziazione cristiana”; quella di novembre 2003 ad Assisi, su “La parrocchia: Chiesa che vive tra le case degli uomini”;
infine quella di maggio 2004, ancora a Roma, la cui riflessione è confluita in questo documento, che intende delineare il
volto missionario che devono assumere le parrocchie.
4 Anagni, 29 agosto 2012 Questa prospettiva missionaria ora si declina nei termini di una nuova evangelizzazione (per la
trasmissione della fede cristiana). Essa è diventata la cifra identificativa di ciò che nei documenti
precedenti si intendeva con evangelizzazione, promozione umana, annuncio, formazione,
trasmissione… Recentemente è stato costituito appositamente il nuovo Pontificio consiglio per la
promozione della NE (2010) e sarà ulteriormente messa in risalto dal Sinodo ordinario dei vescovi.
La dicitura, tuttavia, rischia di diventare l’etichetta di un contenitore vuoto. I primi accenni risalgono
a Giovanni Paolo II (Nowa Huta - 1979). La nuova evangelizzazione di per sé è quella da
sviluppare nei paesi di antica cristianità dove una prima evangelizzazione si è già realizzata nei
secoli, ed è il caso dell’Europa e quindi dell’Italia. A livello sia teologico che pastorale vanno
diversificati i soggetti a cui ci si rivolge: un conto sono le persone che non hanno ricevuto il
battesimo e che un tempo erano i destinatari di una azione missionaria ad gentes, un conto sono i
battezzati e coloro che hanno compiuto il percorso del diventare cristiani e che sono i destinatari
oggi di un secondo annuncio (indifferenti, ricomincianti, arrabbiati, credenti non praticanti,
praticanti non credenti…). La pastorale ha a che fare con questo variegato ventaglio di situazioni
(con un compito più arduo) e non le è più sufficiente percorrere le strade consuete,
prevalentemente liturgico-sacramentali. Perciò:
a) c’è bisogno di una pastorale con una concezione integrale della persona
b) bisogna rivedere i percorsi formativi che hanno un forte carattere autoreferenziale
c) bisogna modificare le attuali strutture pastorali.
1.2 La sfida educativa negli OP 2010-2020
Gli OP si rifanno alla impostazione di Verona e una trattazione preliminare attinente agli ambiti di
vita la troviamo nel testo del Comitato per il Progetto culturale della CEI, La sfida educativa, Editori
Laterza, Bari 2009.
Sul tema dell’educazione possiamo parlare anzitutto di una questione più che di una sfida o di
una prospettiva. È soprattutto con il magistero di Benedetto XVI che il tema diventa di pubblico
dominio. Lo ha sollevato nel 2008, aprendo di fatto la cosiddetta “questione educativa”, cioè la
questione sulla incidenza personale, pubblica e culturale dei percorsi di formazione alla vita
cristiana. Si continua a formare, a educare, ma i risultati sono solo settoriali e parziali.
Prima di rivolgerci alle problematiche pastorali e alle cause della inconcludenza educativa vanno
fatte alcune considerazioni sul sistema educativo cristiano.
Innanzitutto una domanda: esiste una paideia cristiana? Cioè, esiste e qual’é l'idea di educazione
nell’orizzonte cristiano? Ecco la questione vera e propria. Non è possibile sviluppare la tematica
con ampiezza. Basti dire che il processo educativo non riguarda solo tecniche o strategie
pedagogiche, e non può essere condotto secondo il paradigma moderno della neutralità educativa,
ma implica innanzitutto una determinata visione dell’uomo e della realtà. Ciò si esplicita in tre visuali:
a) Andare oltre la separazione tra educazione umana ed educazione cristiana
5 Anagni, 29 agosto 2012 Ciò significa entrare nella prospettiva di una educazione nella fede, possibile in una visione
unitaria della vita e di una formazione integrale dell’uomo. Non è pensabile una eccessiva
separazione tra educazione umana ed educazione cristiana, come tra due ambiti separati. Recita
un passaggio del n. 15 degli OP 2010-2020:
«In questo quadro si inserisce a pieno titolo la proposta educativa della comunità cristiana, il cui obiettivo
fondamentale è promuovere lo sviluppo della persona nella sua totalità, in quanto soggetto in relazione,...
“La vera formazione consiste nello sviluppo armonioso di tutte le capacità dell’uomo e della sua vocazione
personale, in accordo ai principi fondamentali del Vangelo e in considerazione del suo fine ultimo, nonché
del bene della collettività umana di cui l’uomo è membro e nella quale è chiamato a dare il suo apporto con
cristiana responsabilità”. […]
Le virtù umane e quelle cristiane, infatti, non appartengono ad ambiti separati. Gli atteggiamenti
virtuosi della vita crescono insieme, contribuiscono a far maturare la persona e a svilupparne la libertà,
determinano la sua capacità di abitare la terra, di lavorare, gioire e amare,… ».
b) Andare oltre il paradigma pedagogico della autonomia e della neutralità
Benedetto XVI ha messo in guardia da due concezioni riduttive di educazione: una concezione e
una pratica dell’educazione come “autosviluppo”, fondata su un concetto di autonomia dell’uomo
che non sarebbe in debito con nessuno per il suo essere e divenire persona. La seconda è il
“naturalismo antropologico” (il Papa usa i termini scetticismo e relativismo) a cui corrisponde una
concezione dell’educazione carente di ogni dimensione etica: educare significherebbe e-ducere,
tirar-fuori le virtualità iscritte nell’uomo concepito come natura meccanicamente intesa. La natura
umana non è vista come una grammatica che contiene una promessa e un appello a decidere e a
costruire la propria identità, ma è una “cosa di natura” che si può trasformare a proprio piacimento.
c) Andare verso una relazione educativa nei termini di alleanza
L’educazione non può che avvenire nella attivazione di una serie di alleanze educative a partire
dalla persona stessa. Abbiamo tante “agenzie educative” ma autocentrate e spesso incapaci di
stabilire con il soggetto una vera relazione: forniscono servizi ma non attivano un dialogo
costruttivo. Gli OP di questo decennio ritengono indispensabile costruire una rete di relazioni, di
“alleanze” a servizio della crescita della persona:
«La complessità dell’azione educativa sollecita i cristiani ad adoperarsi in ogni modo affinché si realizzi
«un’alleanza educativa tra tutti coloro che hanno responsabilità in questo delicato ambito della vita sociale
ed ecclesiale». Fede, cultura ed educazione interagiscono, ponendo in rapporto dinamico e costruttivo le
varie dimensioni della vita. La separazione e la reciproca estraneità dei cammini formativi, sia all’interno
della comunità cristiana sia in rapporto alle istituzioni civili, indebolisce l’efficacia dell’azione educativa fino a
renderla sterile. […] Per questo occorre elaborare e condividere un progetto educativo che definisca obiettivi,
contenuti e metodi su cui lavorare» (n. 35).
Sullo sfondo rimane il cantiere del progetto culturale che ha avuto il suo inizio a Palermo nel
1995 e va proprio in ordine alla prospettiva della nuova evangelizzazione. Rimane tuttavia una
realtà di nicchia, di élite (ogni diocesi dovrebbe avere un referente, ci sono degli investimenti, c’è
un sito, la newsletter, tante attività culturali ad alto livello … ma chi lo conosce?).
6 Anagni, 29 agosto 2012 Resta valida ancora oggi la constatazione di Paolo VI nell’enciclica Evangelli nuntiandi, secondo
cui «la rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca» (n. 20),
problematica evidente nel rifiuto di un riconoscimento delle radici ebraico-cristiane dell’Europa.
Il cantiere del Progetto culturale si definisce come progetto attinente alla cultura, per orientare la
cultura in senso cristiano. Si tratta di risanare e di ricostruire il difficile rapporto tra cristianesimo modernità - postmodernità. L'obiettivo è quello di creare una mediazione tra fede e cultura, per far
sì che la fede, accogliendo la sfida che la cultura pone, risponda alle domande di senso della vita
dell'uomo, attraverso un progetto ben delineato. La novità di tale impresa sta nel tentativo di
recuperare con forza la radice vitale del messaggio cristiano per riprendere con nuovo slancio
l'annuncio del vangelo.
2) Dove va la pastorale
Abbiamo detto che la parrocchia è stata riaffermata nella sua identità e nella sua missione, ma il
suo volto sta cambiando. Ed è sulla pastorale parrocchiale che vorrei soffermare l’attenzione, non
avendo lo spazio per altre forme e ambiti pur significativi.
Ciò che la parrocchia in passato aveva ideato per la trasmissione della fede avveniva in un
contesto sostanzialmente già credente e disposto alla vita religiosa: la comunità parrocchiale non
aveva il compito principale di suscitare la fede, poiché questa veniva in genere trasmessa nelle
famiglie (i bambini che andavano a catechismo non iniziavano il cammino di fede in quel
momento); la parrocchia non si è mai pensata in forma ordinariamente missionaria (solo
straordinariamente, nelle forme ad esempio delle missioni al popolo) in quanto doveva garantire la
catechesi e l’amministrazione dei sacramenti a quanti erano già stati introdotti nell’esperienza
religiosa; c’era un accordo di fondo tra trasmissione intergenerazionale in famiglia e
comunicazione della fede in parrocchia.
La parrocchia rimane ancora, nel contesto italiano, il primo luogo di accesso alla fede, della prima
comunicazione del vangelo, rappresenta dentro un territorio il riferimento immediato per la fede,
ma non selettivo, settario, elitario. Tuttavia il nuovo contesto sociale provoca la comunità
parrocchiale a rivedere le proprie strutture comunicative, i processi di iniziazione alla fede, il
linguaggio dell’annuncio. Non è più possibile ragionare con la logica della coincidenza tra
parrocchia e paese, tra parrocchia e quartiere. Per essere fedele al suo compito (una chiesa che
annuncia, celebra e vive la comunione con Dio e tra gli uomini) deve avere il coraggio di riformarsi
in alcuni aspetti, a seconda delle esigenze storiche.
La comunità cristiana è oggi posta sotto la tensione tra una forma tradizionale, che rispetta e
valorizza il «cattolicesimo popolare», il livello primo della fede, e che costituisce ancora un potente
volano di trasmissione (le famiglie anche non praticanti difficilmente non chiedono il battesimo per i
bambini; e raramente viene negato un sacramento anche se non ci sono le condizioni), e una
forma «missionaria» nuova, più adatta al mutato contesto, preoccupata di educare una fede più
personale, motivata, adulta, capace di confrontarsi con credenti diversificati, con credenti non più
7 Anagni, 29 agosto 2012 praticanti, con persone che si riavvicinano alla fede solo in determinate occasioni, con credenti di
altre religioni, con i non credenti. Si tratta di calibrare i percorsi formativi, i linguaggi, i significati,
tenendo conto di questo contesto. La chiesa deve imparare a comunicare la fede in un ambiente
diverso, non naturalmente cristiano, riscoprendo la sua dimensione originaria: quella del primo
annuncio, ricordando che le comunità odierne stanno evolvendo non verso una forma non
cristiana, ma originariamente cristiana.
Attualmente sono in atto due grandi cantieri:
a) Iniziazione cristiana (IC)
b) Unità Pastorali (UP)
È interessante l’immagine del cantiere perché dice di un progetto che si sta realizzando ma dice
anche una fatica, almeno per tre motivi:
- Il progetto non è ben delineato. Ci sono le linee portanti, ci sono le fondamenta, c’è il materiale
ma non si tratta di applicare un modello già pronto ma di trovarlo nel cammino quotidiano assieme
al popolo di Dio.
- Si tratta di una ristrutturazione e non di una costruzione ex novo; ristrutturare è più delicato e
complicato di costruire da zero. Questo però dice anche che non stiamo buttando via il passato ma
valorizzandolo secondo le esigenze attuali perché anche le nuove generazioni possano usufruire
della bellezza dell’opera d’arte.
- In questa ristrutturazione continuiamo però ad abitare la casa, continuiamo a restarvi dentro. Chi
ha avuto operai in casa sa cosa voglia dire e quale sia il disagio. La chiesa sta rimodellando se
stessa dal di dentro nella continuità con il passato, anzi spesso recuperandolo, e nel rinnovamento
a servizio di un presente nel quale Dio continua ad operare.
a) Per quanto riguarda il primo cantiere diciamo solo che si stanno avviando diversi progetti che
sostanzialmente sono una ripresa del modello del catecumenato antico ma revisionato e adattato.
Fa da filo conduttore a questi progetti il RICA (1972) e le tre note pastorali della CEI sul
rinnovamento della iniziazione cristiana: 1. Orientamenti per il catecumenato degli adulti (1997); 2.
Orientamenti per l’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi dai 7 ai 14 anni (1999); 3.
Orientamenti per il completamento dell’iniziazione cristiana e il risveglio della fede in età adulta
(2003); va aggiunta la Guida per l’itinerario catecumenale dei ragazzi (2001).
Ci sono proposte nuove nel Triveneto (Verona, Trento, Padova) a Brescia, a Milano…
L’impostazione di fondo è essenzialmente catecumenale. Lo sfondo teologico-liturgico per il
cammino di iniziazione cristiana è costituito dal modello catecumenale dei padri riadattato alla
situazione presente. Finora il percorso del diventare cristiani era affidato a un modello catechistico
di cui l’iniziazione cristiana era il filo conduttore ma con la prospettiva di una preparazione a
ricevere i sacramenti. Il modello catecumenale scandito in tappe e momenti privilegia la
preparazione per diventare cristiani e a vivere la vita cristiana a partire dai sacramenti. Questi non
sono il punto di arrivo ma di partenza. Detto altrimenti si tratta di essere iniziati dai sacramenti e
8 Anagni, 29 agosto 2012 non ai sacramenti. È una svolta significativa che porta a una conversione dei percorsi di iniziazione
cristiana in pastorale.
Dal punto di vista pedagogico pastorale vanno diversificati i cammini per rispetto alla dimensione
antropologica, evidenziata da forme differenti di credenza e di appartenenza. Di conseguenza va
approntata una attenzione al vissuto personale di vita con cammini ad hoc per coloro che intendono
diventare cristiani. Ci sono i ricomincianti, coloro che portano a compimento l’IC, i convertiti da altre
religioni,... Gli elementi centrali sono: cammino, scelta, inizio vita nuova, mistagogia…
b)
Sul secondo cantiere va menzionato il famoso modello delle unità pastorali che ha forme di
attuazione diverse. Avviato nel 1992, il progetto si sta estendendo a macchia di leopardo in molte
diocesi d’Italia, almeno un centinaio secondo l’indagine del 2010. Questo cantiere è supportato nei
fondamenti teologico pastorali sempre dalla Nota pastorale del 2004 che avendo riconfermato la
validità della parrocchia invita a proseguire sulla strada del rinnovamento puntando sulla cifra della
“pastorale integrata”. Qui bisognerebbe riprendere per intero il n. 11 del documento del 2004:
«L’attuale organizzazione parrocchiale, che vede spesso piccole e numerose parrocchie disseminate sul
territorio, esige un profondo ripensamento. Occorre però evitare un’operazione di pura “ingegneria
ecclesiastica”, che rischierebbe di far passare sopra la vita della gente decisioni che non risolverebbero il
problema né favorirebbero lo spirito di comunione. È necessario peraltro che gli interventi di revisione non
riguardino solo le piccole parrocchie, ma coinvolgano anche quelle più grandi, tutt’altro che esenti dal rischio
del ripiegamento su se stesse. Tutte devono acquisire la consapevolezza che è finito il tempo della
parrocchia autosufficiente. Per rispondere a queste esigenze la riforma dell’organizzazione parrocchiale in
molte diocesi segue una logica prevalentemente “integrativa” e non “aggregativa”: se non ci sono ragioni per
agire altrimenti, più che sopprimere parrocchie limitrofe accorpandole in una più ampia, si cerca di mettere le
parrocchie “in rete” in uno slancio di pastorale d’insieme.
La logica “integrativa” non deve reggere solo il rapporto tra le parrocchie, ma ancor prima quello delle
parrocchie con la Chiesa particolare. [...]
Un ulteriore livello di integrazione riguarda i movimenti e le nuove realtà ecclesiali, che hanno un ruolo
particolare nella sfida ai fenomeni di scristianizzazione e nella risposta alle domande di religiosità,
incontrando quindi, nell’ottica della missione, la parrocchia. [...]
Va ribadito che l’Azione Cattolica non è un’aggregazione tra le altre ma, per la sua dedizione stabile alla
Chiesa diocesana e per la sua collocazione all’interno della parrocchia, deve essere attivamente promossa in
ogni parrocchia. […]
A questo disegno complessivo diamo il nome di “pastorale integrata”, intesa come stile della
parrocchia missionaria. Non c’è missione efficace, se non dentro uno stile di comunione. […] ».
Gli elementi teologico-pastorali che emergono in entrambi i cantieri sono:
a)
la sinodalità
Ogni realtà ecclesiale di base non può fare da sola ma deve camminare insieme: insieme alla
propria diocesi, alle realtà pastorali locali (vicariati, decanati, foranie…), in sintonia con gli
organismi di consiglio. Non si può più attuare una pastorale autoreferenziale e autocentrata sia per
motivi teologici che congetturali che mettono in luce il volto stesso di chiesa nella sua essenza:
ecclesiologia di comunione.
b)
la corresponsabilità
Camminare insieme esige che ci sia una messa in atto di tutti gli apporti. Fondamento del servizio
nella chiesa è la comune dignità battesimale che si esplicita come corresponsabilità differenziata.
9 Anagni, 29 agosto 2012 Ogni battezzato nella propria realtà è corresponsabile, in forza dei sacramenti ricevuti, della missione
della chiesa. Va riconosciuto l’apporto che presbiteri, laici, consacrati sono chiamati a dare ciascuno
secondo lo statuto cristiano di appartenenza. Va riconosciuto l’apporto della figura femminile. Le
donne sono numericamente ancora molto presenti e disponibili nel servizio ma si stanno
allontanando dalla vita della chiesa, specialmente coloro che hanno un titolo di studio accademico.
c)
la ministerialità
La corresponsabilità si evidenzia in una collaborazione vera e propria anche all’interno della
pastorale. Si parla tanto di ministerialità... Non si tratta di inventare nuove diciture ma di valorizzare
ciò che è indispensabile per essere chiesa in un determinato contesto. Quando parliamo di
ministeri non ci riferiamo a un servizio indistinto e generico ma a forme di collaborazione stabili e
riconosciute dall’autorità perché la comunità cristiana possa continuare la propria missione. Non si
inventano a tavolino ma nascono sotto l’azione dello Spirito che parla attraverso le esigenze del
qui e ora. Nonostante i tanti proclami (2004, 2006, 2011) non c’è ancora una presa di posizione in
questo senso se non per le forme straordinarie o di supplenza (ministri straordinari della
comunione, assemblee domenicali senza presbitero...).
A fronte di questi cambiamenti va detto che un cambiamento avviene anche nella figura del
pastore: cioè, le funzioni e le dimensioni che lo caratterizzano si stanno modificando.
Sinteticamente:
- da una prospettiva liturgico-sacramentale a una comunionale e itinerante;
- le funzioni di guida e di presidenza assumono un contenuto organico e globale;
- il passaggio dal modello tridentino di parrocchia a quello di UP e le esigenze della pastorale
integrata, richiedono una collaborazione pastorale sia tra i preti che con i laici. Ciò spinge anche
a forme di “convivenza” parrocchiale che potrebbero prevedere la vita assieme ad altri confratelli;
- necessità di una progettazione pastorale globale.
Conclusione
Questi cambiamenti nella pastorale sono consequenziali alle prospettive dei documenti?
Emerge una certa discontinuità che non significa estraneità, distanza ma attualizzazione. Si tratta
di una discontinuità temporale perché le intuizioni vengono sempre comprese nel tempo; e di una
discontinuità progettuale, nel senso che nei progetti diocesani sono legate alle problematiche
contestuali. I documenti puntano maggiormente su prospettive di fondo, globali e di alto profilo, la
pastorale intesa come azione nel “qui e ora” si confronta con problematiche più contingenti che
sono la determinazione concreta delle problematiche magisteriali. Le preoccupazioni delle chiese
particolari nascono da due problemi: a) il calo numerico delle ordinazioni sacerdotali e
l’invecchiamento del clero; b) la erosione continua della partecipazione alla vita della comunità
cristiana - Eucaristia domenicale - e la sostanziale inefficacia dei percorsi di iniziazione.
10 Anagni, 29 agosto 2012 Queste preoccupazioni sono evidenti nella modifica della parrocchia in unità pastorali. Ma
l’operazione non si presenta come semplice riorganizzazione territoriale e ridistribuzione del clero:
cambia il volto della comunità cristiana e quindi della chiesa.
Gli accorpamenti parrocchiali non sono da intendere come una nuova forma di parrocchia bensì di
comunità cristiana. Se fossero nuove forme di parrocchia è come dire un ritorno alla forma storica
delle pievi medievali: una parrocchia principale forniva assistenza liturgica e sacramentale ad altre
cappelle o chiese minori sparse sul territorio. Fare una UP, invece, significa mettere in atto una
nuova modalità di essere chiesa e comunità cristiana. Ne è prova l’indagine compiuta nel 2010 dal
Centro documentazione pastorale di Torino ad opera del pastoralista mons. Giovanni Villata. Nelle
UP vengono evidenziate le dimensioni essenziali dell’essere chiesa: comunione, sinodalità,
corresponsabilità, ministerialità... Non è una pura e semplice opera di ingegneria ecclesiastica.
Anche la pastorale, di conseguenza, cambia a motivo della ristrutturazione. È un altro modo di fare
pastorale, nella quale gli elementi più evidenti sono lo sviluppo della ministerialità laicale in forme
non solo volontarie ma formate e con mandato ecclesiale; la collaborazione di più soggetti e
risorse diversificate (logica integrativa) anche senza la presenza del parroco/presbitero (al nord se
non c’è il parroco l’attività dei laici sembra avere meno importanza); sia perché non ce la farebbe
sia perché c’è una corresponsabilità battesimale che si traduce in collaborazione fattiva anche
nella pastorale e non solo in forme eccezionali e suppletive [cf. il significativo articolo di A. Borras
«Il parroco non deve fare tutto», in La Scuola Cattolica 136 (2008), pp. 539-563].
Altre
problematiche
nei
documenti
citati
sono
solo
accennate
in
ordine
alla
nuova
evangelizzazione o comunque non ci sono indicazioni operative: ad es. il rapporto con le altre
religioni ormai molto diffuse; il rapporto con i cristiani di altre confessioni religiose. È il problema
del dialogo interculturale e interreligioso, particolarmente presente dove ci sono comunità
numericamente consistenti di immigrati. Problema pastorale concreto è la celebrazione della
eucaristia domenicale: va fatta in lingua favorendo le etnie o si cerca di puntare sulla
celebrazione della comunità?
In definitiva, la pastorale si trova in una situazione di:
-­‐
grande fermento
-­‐
molte sperimentazioni
-­‐
senza facili illusioni
-­‐
guado, di passaggio: l’approdo non è ancora individuato.
Tonello don Livio
«E’ una bella seccatura che ai nostri tempi non si possa più imparare niente che duri per tutta la vita. I nostri
vecchi si tenevano fermi alle nozioni che avevano ricevuto in gioventù; ma noi ora dobbiamo ricominciare da
capo e imparare, ogni cinque anni, se non si vuole restare completamente fuori moda»
J.W. Goethe (1749 – 1832), Le affinità elettive
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