potete leggere il numero di giugno 2016 del

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potete leggere il numero di giugno 2016 del
ANNO VI / N°5 - Giugno 2016
a cura dell’ufficio PD Italiani nel mondo
[email protected]
Chiuso in redazione il 13 giugno 2016
SOMMARIO........................
EDITORIALE
Gli “italici”: potenziali pilastri
della nostra politica estera
di Eugenio Marino
QUI ITALIA
EUGENIO MARINO
PAG. 3
Le insolite promesse dei candidati romani
alle amministrative
di Alfredo Orlando
DAL PARLAMENTO
PAG. 5
Uruguay: il Parlamento commemora la festa del 2 giugno
di Fabio Porta
1946-2016: auguri alla Repubblica e auguri
alle donne italiane
di Laura Garavini
QUI CANADA
PAG. 7
A Toronto l’inseganmento della lingua italiana è a un bivio
di Giuseppe Cafiso
OLTRE IL BORDO DEL PIATTO
PAG. 8
Ascoltare i cittadini per pianificare le scelte del futuro
di Carla Ciarlantini-Krick
QUI NEW YORK
PAG. 9
Hillary favorita alla Convention di Philadelphia
di Silvana Mangione
ANALISI E COMMENTI
PAG. 11
Temi cruciali in vista del Consiglio europeo di fine giugno
di Roberto Serra
Ucraina: due anni di conflitto lacerante e libertà violate
di Cono Giardullo
DEMOCRATICI NEL MONDO
PAG. 15
Riforme istituzionali necessarie per garantire
stabilità e credibilità
di Filippo Quadrelli
Il Telero di Carlo Levi: viaggio nella questione meridionale
di Domenico Cerabona
NEWS
Gli “italici”: potenziali pilastri
della nostra politica estera
PAG. 18
P
er tutti noi che seguiamo assiduamente le tematiche dell’emigrazione italiana, discutere dell’oggi e del futuro, e non solo della nostra storia di emigranti, rappresenta un’occasione importantissima
per ragionare in un’ottica innovativa di geopolitica. Ed è ciò che è stato
fatto a Monza, qualche giorno fa, ad un convegno sul tema degli “Italici”,
promosso dalla Camera di Commercio locale e dall’Associazione Globus
et locus, che ringrazio per le iniziative sempre serie e stimolanti.
Dopo più di 150 anni l’Italia continua a essere un Paese di emigrazione,
con una consistente presenza italiana nel mondo. In tutti questi anni
abbiamo avuto una politica migratoria a fasi alterne: a volte politiche intelligenti, altre volte inefficaci, altre ancora assenza di politiche generali
su questo universo. Per molto tempo si è discusso – e lo si fa anche oggi
– di quali siano i problemi legati all’emigrazione, di come arginarla. Oggi,
poi, va molto di moda la retorica dei “cervelli in fuga”. Si fanno discussioni, anche corrette, su quanto lo Stato abbia investito nel formare cervelli, di quale perdita rappresenti consegnare questo capitale umano a
paesi che ne beneficiano a costo zero. E si ragiona su politiche che dovrebbero porre un freno a questo esodo e, qualche volta, su provvedimenti che hanno l’illusorio intento di invertire la direzione e far rientrare
chi è partito.
Raramente si discute su chi siano coloro che se sono andati, i loro discendenti, le loro famiglie, coloro che italiani non sono più del tutto, ma
che all’Italia guardano sempre. Raramente si discute con cognizione e
volontà progettuale di cosa sia questa comunità chiamata degli “italici”.
E ancor meno si discute di come valorizzare, mettere l’Italia in connessione sentimentale, culturale, sociale ed economica con gli italici. Questo universo mantiene un legame con l’Italia, fatto di consanguineità,
radice culturale, affetto, interessi economici. Consuma prodotti italiani,
crea un substrato fertile che veicola la nostra cultura, il nostro stile di
vita e i nostri prodotti. Si tratta di una collettività fatta di milioni di persone che si rapporta anche istituzionalmente con l’Italia. E che vorrebbe
farlo in modo più strutturato e meno dispersivo da un punto di vista politico e strategico, perché sa di essere un pezzo di politica estera e di
proiezione internazionale. Per farlo avrebbe bisogno di una cabina di
regia adeguata, pensata e valorizzata come uno dei pezzi di una diplomazia che lavora come sistema Paese a determinati obiettivi. Una sorta
di megadiplomazia fatta dalla diplomazia ufficiale, ma anche da quella
economica, da quella solidale delle Ong, dagli stessi italici. Purtroppo
ancora oggi questa comunità valoriale ed economica non è riconosciuta
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mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO
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come tale e come parte del sistema Paese, sebbene
abbia istituzioni di rappresentanza articolate in tre livelli:
quello di base dei Comites, che coincide con le circoscrizioni consolari;
quello intermedio del CGIE, che coincide con i livelli
statali e continentali, che fa capo alla Farnesina;
quello parlamentare, composto di 18 eletti all’estero
nei due rami del Parlamento.
Oggi è in corso una riflessione sulla riforma di queste
istituzioni che spero porti a un’organicità di strumenti
e strategia politica verso le comunità italiche e a un
investimento politico (ed economico) in chiave contemporanea in diffusione di lingua, cultura e impresa
italiana, di servizi ai cittadini e alle imprese, di valorizzazione e riconoscimento di questo universo italico
in un contesto di politica estera e proiezione del sistema Paese.
Alla fine degli anni ‘70, la Fondazione Agnelli aveva
riconosciuto in un suo bellissimo studio, che la penetrazione commerciale di FIAT all’estero era stata
molto agevolata dalla presenza di comunità italiane
emigrate. Ciò significa che l’impresa italiana ha tratto,
e ancora trae, un vantaggio di marketing gratuito
dalle comunità italiche. Se questo vantaggio spontaneo lo sappiamo organizzare avremo grandi e ulteriori
chance.
Rimanendo al piano competitivo e strategico, sappiamo che nel sistema globale si gioca sulla base dei
rapporti di forza più che con spirito solidale e redistributivo. Chi ha più forza, risorse economiche, idee e
strumenti, riesce a far circolare i propri prodotti e piazzarli meglio sul mercato globale. Come sostiene una
delle massime menti del marketing globale, Mary
Douglas, il prodotto oggi non coincide con il suo contenuto, ma con il suo racconto. Una regola che vale
particolarmente per l’Italia, patria del “Cunto de li
Cunti”, che fu forse nel pieno barocco del ‘600 il
primo straordinario market place del made in italy,
dove la dieta mediterranea veniva declinata lungo la
linea della magia della commedia dell’arte.
Oggi siamo alla fase suprema di questa strategia, e
proprio in questo tornante il nostro Paese si trova disarmato, senza linguaggi e senza lingue. In questo
senso un tema che ancora oggi è un buco nero, riguarda la TV italiana nel mondo, che il racconto dell’Italia dovrebbe fare più di altri.
Alle spalle abbiamo anni di esperienze infelici a fronte
di una straordinaria domanda di italianità. Non si
tratta di riproporre una TV bandiera, che
trasmetta un palinsesto di quanto va in onda in patria, ma di lavorare sullo sfondo più che sulla scena.
Come spiega il giornalista Rai Michele Mezza, occorre
costruire colonne sonore e visive che siano di integrazione e di accompagnamento agli eventi che il made
in italy organizza nel mondo e in Italia. Occorrerebbe
farne un’agenzia di diffusione dell’offerta comunicativa italiana puntando, ad esempio, su contenuti di
qualità, come i Festival, l’Auditorium della musica di
Roma, la Scala di Milano, il San Carlo di Napoli, le Università e via di seguito. Assicurare un striscia di informazione sui primati italiani: il mondo e la politica
internazionale letti attraverso la geopolitica dell’eleganza, del gusto, della bellezza e della qualità.
Trasformare la TV in un centro di traduzione e reimpaginazione del modo italiano, nei vari settori delle
sue imprese che guardano ai mercati esteri.
Rai Italia dovrebbe quindi sviluppare una politica di
sponsorizzazioni, alleanze e coordinamento con enti,
istituzioni e imprese proiettati all’estero, con gli influencer più rappresentativi (tra i quali gli italici), con
i distretti di produzione e di eccellenza in Italia e italiani nel mondo.
Occorrerebbe costruire un sistema audiovisivo che
sia una piattaforma di coinvolgimento dove si guardi,
si ascolti, ma si interviene anche e si acquista o si
chiede, un market place della bellezza da modellare
area per area, città per città, settore per settore. Basterebbe una struttura leggera che selezioni le priorità (design italiano negli USA, enogastronomia in
Cina, moda e design in Sud America, arredo in Asia e
Americhe) e allo stesso tempo proponga pacchetti
multimediali, dove il web diventa la fabbrica aperta e
la TV un network distributivo.
Insomma, bisognerebbe darsi una politica per gli italici che porti a considerarli ciò che sono: un pezzo
consistente, fondamentale e strategico della presenza e proiezione italiana nel mondo.
Notiziario del Partito Democratico
per gli italiani all’estero
Redazione
Eugenio Marino, Alessandra Cattoi, Alessandra Fabrizio
Alfredo Orlando, Silvana Mangione, Carla Ciarlantini
Roberto Serra
Progetto grafico e impaginazione
Silvio Garbini
mail: [email protected]
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Le insolite promesse dei candicati
romani alle amministrative
Pedaggi, funivia, baratto e una nuova Ferrari per Marchini
QUI ITALIA
ALFREDO ORLANDO
Brillanti idee per i romani al voto
La campagna elettorale per le amministrative del 5
maggio è stata caratterizzata, soprattutto a Roma,
da una serie di straordinari impegni programmatici
da parte di alcuni candidati sindaco. Considerato
che è stata la più votata dai cittadini della capitale
(al ballottaggio del19 giugno se la vedrà col candidato Pd Roberto Giachetti), l’onore di aprire la carrellata delle singolari, quando non stravaganti promesse agli elettori, spetta a Virginia Raggi. Ecco,
fra le altre cose, quanto l’esponente del Movimento
5 Stelle si è impegnata a realizzare una volta eletta
sindaco: funivie per collegare le zone più periferiche
della capitale alle stazioni della metropolitana, in
modo da evitare il traffico; pannolini lavabili, e
quindi riutilizzabili, per limitare i rifiuti; adozione del
baratto – di fatto un ritorno ai primordi dell’attività
economica - per affrontare la crisi delle aziende. E
che dire, restando in campo penta stellato, di quello
che ha fatto Beppe Grillo. Il comico, fondatore del
Movimento, si è mostrato in un video che lo ritraeva
mentre camminava sulle acque, ha salutato gli attivisti che partecipavano a una manifestazione in
piazza del Popolo, e li ha resi edotti sul fatto che gli
amministratori 5 stelle sono capaci di fare anche
le cose più straordinarie: messaggio per sottintendere che il suo Movimento se prende impegni, anche i più difficili da realizzare, è sempre in grado di
rispettarli.
Giorgia Meloni, leader del raggruppamento di destra
Fratelli d’ Italia, se eletta sindaco avrebbe voluto
intitolare una strada a Giorgio Almirante, storico segretario del Movimento sociale. La sua idea era
stata però bocciata da Matteo Salvini, capo della
Lega e per l’occasione suo sostenitore, che di idee
ne ha avuta un’altra: far pagare un pedaggio alle
migliaia di automobilisti che ogni giorno percorrono
il Grande Raccordo Anulare che cinge Roma, utilizzato per entrare in città o uscirne. Ma questa volta
a dire no è stata la Meloni.
Alfio Marchini, il grande sconfitto del primo turno
per l’elezione del sindaco nonostante l’appoggio
di Silvio Berlusconi e di quel che resta di Forza Italia
- o, forse, vittima proprio di quell’appoggio - ha avuto
la seguente brillante idea: andare a chiedere voti
nelle periferie a bordo di una utilitaria e, una volta
terminato il giro di propaganda, raggiungere la sua
fiammante Ferrari parcheggiata sul Raccordo anulare e tornarsene a casa con questa, più adeguata
al suo status. Una volta scoperto, ha annunciato:
vendo la Ferrari. Bene, ora che ha perso la corsa al
Campidoglio, per consolarsi di Ferrari può addirittura comprarsene due.
Simone Di Stefano, capo del gruppo di estrema destra Casapound aveva immaginato di chiudere tutti
i centri di accoglienza per immigrati, i campi rom e
di abolire i fondi destinati ai bisognosi non italiani:
e se non ci fosse riuscito con le buone avrebbe
usato le manieri forti perché Roma si può cambiare
“solo a calci”.
Infine, l’ineffabile senatore di Forza Italia Antonio
Razzi. Per lui il problema più grave di Roma è rappresentato dalla presenza di migliaia di topi che
scorrazzano per la città. E dopo avere annunciato
di volersi candidare a sindaco (candidatura poi immediatamente ritirata sicuramente per imposizione
del suo gran capo, indovinate chi), ha reso noto di
essersi assicurato la fornitura di “500 mila gatti
asiatici”.
Successo della tecnologia italiana
La più importante commessa di un progetto nel
settore dell’astronomia è stata assegnata presso
la sede dell’ ESO (European Southern Observatory),
al consorzio di Società italiana Ace, che vede insieme la Astaldi e la Cimolai spa, con la firma di un
contratto dall’importo di 400 milioni di euro circa,
per la costruzione, in collaborazione con la società
di ingegneria Eie group, della cupola e della struttura meccanica di supporto del telescopio E-ELT
(European Extremely Large Telescope). Questo telescopio (ottico e infrarosso) sarà il più grande al
mondo ed è frutto anche del lavoro del nostro Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) che a livello
mondiale è considerato uno dei più prestigiosi Istituti di Ricerca. “Se è vero che la politica dell’ESO è
basata su un principio di equo ritorno sia scientifico
che economico per i Paesi membri, è anche vero –
ha tenuto a sottolineare Nicolò D’Amico, Presidente
dell’INAF - che non si tratta di un principio garantiSEGUE PAGINA 4
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sta perché in ESO vince il migliore, e il tasso di utilizzo italiano dei telescopi da parte dell’Osservatorio
Europeo e il ritorno industriale per il Paese hanno
raggiunto ormai valori di assoluto primato”. Secondo gli esperti, lo specchio principale di E-ELT,
dal diametro di 39,3 metri, raccoglierà 13 volte più
luce rispetto ai telescopi più grandi di oggi, e consentirà di ottenere immagini 16 volte più nitide del
telescopio spaziale “Hubble”. Sarà quindi un super-occhio, capace di raccogliere 100 milioni di
volte più luce dell’occhio umano, e che potrà quindi
sondare il cosmo con un dettaglio senza precedenti.
Questo telescopio consentirà inoltre di determinare
con altissima precisione la composizione chimica
dell’atmosfera dei pianeti extrasolari. Sarà quindi
un super-occhio, capace di raccogliere 100 milioni
di volte più luce dell’occhio umano, e che potrà
quindi sondare il cosmo con un dettaglio senza precedenti. Questo telescopio consentirà inoltre di determinare con altissima precisione la composizione
chimica dell’atmosfera dei pianeti extrasolari.
Il contratto è stato siglato dal Direttore Generale di
ESO Tim de Zeeuw, dal presidente di Astaldi, Paolo
Astaldi e dal presidente di Cimolai, Luigi Cimolai.
Alla cerimonia della firma erano presenti il Ministro
dell’Istruzione, Università e della Ricerca, On. Stefania Giannini, il Console Generale d’Italia a Monaco
Renato Cianfrani, il presidente del Council di ESO
Patrick Roche e i delegati italiani al Council di ESO,
ovvero il Presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, Nicolò D’Amico, e Matteo Pardo, Addetto
scientifico presso l’Ambasciata Italiana a Berlino,
oltre al presidente e Ceo di Eie group.
Dalla ex Padania con rabbia
Matteo Salvini, all’inizio della campagna elettore
per le amministrative, ha lanciato un suo blog,
chiamato “Il Populista” - contente articoli, commenti
e video - che ha fatto arrabbiare i giornalisti che lavoravano per la Padania e che dopo la chiusura del
giornale, due anni or sono, sono stati collocati in
cassa integrazione con l’impegno, sottoscritto in
accordi sindacali, di una loro ricollocazione. In sostanza, i giornalisti protestano per non essere stati
utilizzati per il blog . “I giornalisti cassa integrati
della Padania – si legge in una nota del Comitato
di redazione diffusa dall’agenzia Ansa - ‘liberano la
bestia che è in loro’ e con ‘audacia e istinto’ (frasi
con evidente intento sarcastico riprese dal sito salviniano) si rivolgono per l’ennesima volta a Salvini
che da tempo, nonostante le ripetute chieste, tace,
almeno su questo fronte, e chiedono a gran voce:
come la metti con i ‘tuoi’ collaboratori?”.
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Uruguay: il Parlamento
commemora la festa del 2 giugno
I legami storici, culturali e politici rendono vivo il rapporto con il nostro Paese
DAL PARLAMENTO
FABIO PORTA
C
on una cerimonia solenne il Parlamento dell’Uruguay ha reso uno storico omaggio ai 70
anni della Repubblica italiana: una decisione
presa all’unanimità dai deputati di tutti i gruppi parlamentari, che hanno accolto subito e con favore una
proposta avanzata dai rappresentanti locali del Comites e del Cgie.
Ho avuto l’onore di rappresentare il Parlamento italiano in questa importante occasione, su incarico della
Presidente della Camera Laura Boldrini che ha scritto
al suo omologo Geraldo Amarilla ringraziando per l’invito, scusandosi per l’impossibilità di essere presente
e indicando me (nella mia duplice funzione di eletto
nella ripartizione America Meridionale e di Presidente
del Comitato italiani nel mondo e promozione del Sistema Paese della Camera dei Deputati) come rappresentante suo e del Parlamento italiano. La
Presidente Boldrini ha anche fatto pervenire ai colleghi del Parlamento uruguaiano un affettuoso e significativo indirizzo di saluto, letto nel corso della seduta
ufficiale della “Camera dei rappresentanti”.
Pochi Paesi al mondo sono così intimamente legati
all’Italia come l’Uruguay; ciò avviene non soltanto in
ragione del 40% della popolazione di origine italiana
ma di profondi legami storici, culturali e politici che ancora oggi mantengono vivo e dinamico questo rapporto.
Ma c’è anche un altro evento “storico” che ha contribuito a rendere forte e profondo il legame tra i nostri
due Paesi.
Lo scorso anno è iniziato in Italia il processo sui crimini
commessi dalle dittature sudamericane degli anni ’70
a seguito del cosiddetto “Plan Condor”, un’operazione
di intelligence e coordinamento della repressione poliziesca che si basava sulla complicità degli Stati Uniti
e sulla mutua collaborazione tra i regimi dittatoriali di
quei Paesi.
Grazie alla giustizia italiana per la prima volta un processo internazionale potrà esprimersi e giudicare crimini commessi durante uno dei periodi più bui della
nostra storia. Lo Stato italiano e quello dell’Uruguay si
sono costituiti parte civile nel processo e analogamente anche il Partito Democratico e il “Frente Amplo”
(la coalizione di centro-sinistra che guida il Paese sudamericano) hanno preso tale decisione. Il processo
dovrebbe concludersi quest’anno e, nonostante coinvolga diversi Paesi latino-americani, riguarda in maniera prevalente crimini commessi proprio in Uruguay
che hanno coinvolto diversi cittadini di origine italiana.
Nel corso del mio recente viaggio istituzionale ho potuto contare sulla collaborazione costante dell’Ambasciatore Gianni Piccato e soprattutto del supporto
indispensabile e prezioso dell’amico Renato Palermo,
responsabile del Partito Democratico e rappresentante nel Consiglio Generale degli Italiani all’Estero.
Ho così avuto modo di incontrare, dopo la visita ufficiale al Presidente della Camera, il Sindaco della città
di Montevideo Martinez, la senatrice Monica Xavier
(già Presidente del FA) e uno dei principali candidati
alle elezioni primarie che tra qualche settimana definiranno la nuova presidenza del Frente Ampio, Javier
Miranda; abbiamo avuto anche altri importanti incontri di carattere politico-istituzionale con il Sindaco di
Canelones (la seconda città del Paese) e il Ministro
dei Trasporti, l’italo-uruguaiano Rossi.
In tutti questi incontri sono apparsi chiari e forti i vincoli politici e culturali tra i nostri Paesi e, in maniera
del tutto speciale, tra il Frente Amplo e il Partito Democratico. La visita del Presidente della Repubblica
Mattarella, prevista per la prima settimana di luglio e
attesa con grande emozione dagli oltre centomila italiani con passaporto e da oltre un milione di italo-uruguaiani, sancirà in maniera plasticamente visibile e
istituzionalmente significativa questo rapporto storico,
che il nostro partito e il governo che guidiamo deve assolutamente tradurre in politiche strategicamente intelligenti tanto in relazione ai rapporti economici e
commerciali quanto con riferimento ai servizi alla collettività italiana ed alla promozione della lingua e della
cultura italiana.
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1946-2016: auguri alla Repubblica,
auguri alle donne italiane
70 anni fa le basi dell’emancipazione, ma tanto lavoro resta ancora da fare
DAL PARLAMENTO
LAURA GARAVINI
Q
uesto mese abbiamo festeggiato una ricorrenza storica per la nostra democrazia,
quella dei settant’anni della Repubblica italiana. Sono passati sette decenni, infatti, da quel 2
giugno del 1946, quando attraverso un referendum
l’Italia decise di abbandonare la monarchia per scegliere di diventare una Repubblica. Ma quella data
va ricordata anche per un’altra e non meno importante ragione. Fino ad allora le donne italiane non
godevano degli stessi diritti degli uomini, a partire
dal diritto di scegliere chi governava il Paese o di
essere chiamate a servirlo in Parlamento. E dunque
senza esitazione possiamo affermare che dal 2 giugno 1946 l’Italia è una democrazia.
E dal 1946 ne sono stati fatti di progressi. Da un
Parlamento di soli maschi siamo passati a un Parlamento costituito da più del 30 per cento di donne,
una buona percentuale che vede il nostro paese posizionarsi nella parte alta della classifica della rappresentanza femminile nei parlamenti europei. Al
primo posto, come era da immaginare, troviamo la
Svezia, con una presenza quasi paritaria tra uomini
e donne (43%). L’Italia è al decimo posti con un soddisfacente 31,4%, mentre democrazie consolidate
come Francia o Gran Bretagna fanno più fatica ad
eleggere molte donne nelle loro assemblee legislative e infatti i cugini d’Oltralpe si posizionano al tredicesimo posto in Europa (pari a 26,2% di donne
elette) mentre le parlamentari inglesi sono il 22,6%
degli eletti. Ma se in Italia abbiamo fatto tanta
strada lo dobbiamo proprio alle elezioni del giugno
del 1946, che segnarono il primo formale ingresso
delle donne nella vita politica italiana. In quell’occasione, le donne italiane poterono per la prima
volta esercitare un diritto fondamentale: il diritto di
voto, attivo e passivo. Un’elezione importantissima,
perché comprendeva un duplice voto: quello per la
forma istituzionale e quello per l’Assemblea costituente. Dopo la dittatura fascista, che molte di loro
contribuirono a combattere da protagoniste, partecipando alla Resistenza, le donne italiane smisero
di essere considerate cittadine di serie B, e poterono non solo votare ma anche essere elette. E la
partecipazione delle donne alle urne fu altissima, a
riprova del fatto che quel passo era atteso e fortemente voluto.
Nella stessa Assemblea Costituente, istituita per redigere la nuova Costituzione, furono presenti ventuno donne (pari al 4% degli eletti), così che la
Costituzione non ha solo padri, ma anche madri costituenti. Certo: resta ancora molta strada da percorrere per raggiungere la completa eguaglianza fra
donne e uomini e le pari opportunità restano per
ora un obiettivo ancora lontano da raggiungere.
Basta citare il Global gender gap index, il documento ufficiale che registra l’indice sul divario di genere stilato ogni anno dal World Economic Forum
di Ginevra. Come si può leggere nel rapporto, lo
scorso anno l’Italia ha guadagnato nove posizioni
nella classifica mondiale, ma siamo ancora al
71esimo posto su 136 Paesi. Nettamente dietro ai
paesi scandinavi, l’Italia si colloca al 65esimo posto
in tema di scolarizzazione, al 72esimo per la salute,
al 44esimo per l’accesso al potere politico e solo al
97esimo posto su 136 per quanto riguarda la partecipazione femminile alla vita economica. I dati
sono chiari e si spiegano da soli. Infatti, se in Italia
il 74 per cento degli uomini lavora, per le donne la
percentuale di abbassa al 51 per cento. Per non
parlare dei livelli salariali dove le disparità restano
molto evidenti sia a livello impiegatizio ma soprattutto dirigenziale.
Tuttavia, nel giugno del 1946 si posero le basi per
l’inizio dell’emancipazione femminile nel nostro
Paese. Ed è con grande soddisfazione che da un
Parlamento composto per un terzo da donne ricordiamo questa illuminante ricorrenza.
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A Toronto l’insegnamento
della lingua italiana è a un bivio
Per evitare l’interruzione del programma servirebbe l’intervento del Governo italiano
QUI CANADA
GIUSEPPE CAFISIO*
M
artedì 31 maggio vi è stato un importante
incontro presso il Provveditorato scolastico
dello York Catholic District School Board
nella Provincia (Regione) dell’Ontario. Tema scottante era la proposta di eliminare le classi di italiano offerte durante la settimana come parte
integrante del programma scolastico quotidiano.
Erano presenti alla riunione i rappresentanti istituzionali italiani: l’ambasciatore d’Italia in Canada,
Gian Lorenzo Cornado, il console generale d’Italia
a Toronto, Giuseppe Pastorelli, e l’onorevole Francesca La Marca, deputata PD per il Centro e Nord
America. Come pure presenti vi erano politici italocanadesi e rappresentanti dell’ente gestore Centro
Scuola, quale Alberto Di Giovanni oltre al sottoscritto in qualità di rappresentante del Circolo PD di
Toronto e coordinatore del Film Festival Italiano dei
Ragazzi.
La proposta al centro della discussione comporterebbe l’eliminazione del programma di lingua italiana in ben ventitre scuole elementari nella York
Region. E in queste scuole, vale la pensa sottolinearlo a chiare lettere, usufruiscono del programma
di insegnamento della lingua italiana più di 8 mila
e 500 studenti. Se la proposta sarà votata dalla
maggioranza dei Trustees (Fiduciari), l’effetto sul futuro della lingua italiana potrebbe essere devastante non solo per la zona periferica di Toronto, ma
eventualmente potrebbe dare un forte segnale al
Provveditorato di Toronto, Toronto Catholic District
School Board, dove una simile proposta fu avanzata
un anno fa e, fortunatamente, bocciata. Lo stesso
esito non sarà garantito la prossima volta. Anzi, a
Toronto, dove la presenza di studenti italocanadesi
è in diminuzione, la battaglia sarà molto più dura.
Ma quali sono i motivi che spingono a formulare
queste proposte? Innanzitutto il Provveditorato Scolastico di York Catholic District School Board si trova
attualmente, come tanti altri, in una situazione tale
da dover revisionare vari programmi scolastici per
non rischiare di doversi confrontare con un possibile deficit finanziario. Il Governo dell’Ontario, infatti, ha ridotto ultimamente i contributi finanziari
per tutti i Provveditorati, i quali da un paio di anni,
hanno dovuto cambiare, ridurre o eliminare del
tutto programmi e servizi che erano in vigore da
moltissimi tempo. Difatti, tra le varie proposte, vi è
quella assurda di tagliare programmi e personale
gestiti dal Dipartimento della Special Education,
che si cura dei programmi differenziati per gli studenti disabili, autistici e così via, quali quelli dello
stesso dipartimento a cui il Toronto Catholic District
School Board approvò l’anno scorso tagli che colpirono molti bambini bisognosi.
Alla riunione del 31 maggio tutti coloro che sono intervenuti erano concordi nel credere che l’apprendimento dell’italiano sia un valore aggiunto per lo
sviluppo accademico, sociale e culturale dei bambini e dei ragazzi di ogni età; un valore indiscutibile
anche fra i membri dei Trustees del York Catholic. Il
vero problema non è la validità del programma di
insegnamento dell’italiano, né l’utilità dell’apprendimento della lingua italiana. Il vero problema, alla
fine, è di tipo economico legato ai finanziamenti.
In tale contesto di difficoltà finanziarie, l’ambasciatore italiano Gian Lorenzo Cornado, assieme al console Giuseppe Pastorelli e all’onorevole Francesca
La Marca, ha ribadito la volontà del Governo italiano
di continuare il rapporto di collaborazione per mantenere in vita il programma di insegnamento della
lingua italiana. Tuttavia, quello che ora è necessario
è un maggiore contributo di fondi da parte del Governo italiano. Purtroppo i tempi sono stretti e il momento di agire è proprio adesso! Il prossimo 14
giugno si terrà la riunione dei Trustees durante la
quale sarà votata la mozione. Si spera che invece
dell’eliminazione totale del programma si facciano
delle modifiche per una più efficiente programmazione dal punto di vista finanziario.
*segretario Circolo PD di Toronto
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mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO
Ascoltare i cittadini per pianificare
le scelte del futuro
A Monaco un’esperienza positiva di democrazia partecipata
OLTRE IL BORDO DEL PIATTO
CARLA
CIARLANTINI-KRICK
A
ll’inizio di Giugno si è tenuto in Baviera un parlamento di tipo un po’ particolare. Si chiama “Parlament der Generationen”, ossia parlamento
delle generazioni. Si tratta di un’iniziativa che si tenne
per la prima volta nel 2013 a Bonn e che ora è stata
ripetuta a Monaco di Baviera ed è per molti versi un
vero e proprio parlamento. Su iniziativa del parlamento
regionale bavarese e dell’Accademia di Formazione Politica di Tutzing, vengono scelte alcune decine di candidati, facendo attenzione a che la composizione del
gruppo rispecchi quella della popolazione per età, livello d’istruzione, provenienza nazionale e così via.
I prescelti si riuniscono in commissioni, incaricate di discutere temi di interesse generale, come salute, assistenza sociale, lavoro, infrastrutture, istruzione,
dopodiché, come in un vero parlamento, i risultati dei
lavori delle commissioni vengono presentati in aula dai
rispettivi relatori e messi ai voti. Il tutto ha un tema specifico: come sarà il mondo nel 2050?
Uno dei partecipanti all’edizione 2016 è stato Giorgio
Pomillo, italiano da decenni in Germania, impegnato
sia nella politica comunale con la SPD, sia con il PD
Germania.
Come sei entrato nel Parlament der Generationen?
Un amico mi ha proposto di candidarmi. Sono stato selezionato in quanto portavo nel gruppo due elementi
rispondenti alla reale struttura demografica della regione: fascia di età senior e provenienza estera.
Perché è stata decisa questa iniziativa?
Perché il cambiamento demografico comporta che la
società del futuro sarà drasticamente diversa da quella
attuale. Gli anziani saranno oltre il 35%: con quali conseguenze per il sistema sociale, la spesa pubblica, la
vita quotidiana? Il governo bavarese voleva l’opinione
dei cittadini su questi temi e sulle priorità da darsi.
Possibile che la classe politica abbia bisogno di
un’iniziativa abbastanza onerosa per scoprirli?
Certo che sono temi noti, ma anzitutto il Landtag (parlamento regionale – NdA) voleva offrire ad una rappresentanza di cittadini un forum serio di discussione.
Siamo sicuri che non si tratti del solito contentino?
No, nel complesso, sia per l’organizzazione che per
l’andamento dei lavoro, mi è sembrata una cosa seria.
Del resto i risultati verranno resi pubblici e gli organiz-
zatori, Landtag e Accademia di Formazione Politica, si
sono impegnati a tenerne conto nella futura attività politica. Insomma, la convinzione generale era che quel
che discutevamo veniva ascoltato davvero.
Lo svolgimento dei lavori è stato tranquillo?
Non del tutto. Ci sono state discussioni anche piuttosto
accese. Ad esempio, nella mia commissione sono volati
i piatti, in senso figurato, tra i giovani, che non consideravano prioritaria la salute e l’assistenza agli anziani
negli anni futuri e noi che anziani lo siamo già oggi.
Possibile che i ragazzi non se ne rendessero conto?
È normale: tu quando eri studentessa ci pensavi alla
tua pensione? Il gruppo dei giovani ad esempio riteneva che anche in futuro gli asili nido saranno più importanti dell’assistenza quotidiana agli anzianI.
Se ci saranno pochi giovani a mantenere molti anziani, loro dovranno lavorare e avranno tutti il problema di dove lasciare i loro bambini. Gli asili ci
vorranno...
Non dico che gli asili saranno superflui, ma ciò non
vuol dire che i servizi di assistenza agli anziani saranno
una faccenda secondaria. Come vedi, le risposte a
questi temi non sono affatto scontate e iniziative come
il Parlament der Generationen possono aiutare a
creare informazione e consapevolezza.
E come è andato a finire lo scontro?
In commissione l’hanno spuntata i giovani, poi però il
dibattito e il voto in aula hanno capovolto la cosa. Come
capita anche in parlamento.
Ti risulta che sia mai stato fatto qualcosa di simile
anche in Italia?
Non credo proprio. Purtroppo in Italia c’è un problema
di fondo: non siamo lungimiranti. Si ragiona e si agisce
sempre sul breve termine, nelle aziende come in politica. Non si pianifica e non si guarda al futuro e il risultato è che stiamo rimanendo indietro. Se non si cambia
metodo, perdiamo il treno del futuro.
Giusto per curiosità, come mai stavolta si è fatto in
Baviera?
Beh, un po’ di opportunismo c’è. Intanto la Baviera ha
questa tendenza a ritenersi più brava del resto del
mondo e poi le elezioni sono in vista: nel 2017 quelle
per il parlamento federale e nel 2018 quelle regionali
bavaresi. Un po’ di pubblicità se la vogliono fare. Ma
se questo si traduce in un’iniziativa valida, mi sta benissimo.
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mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO
Hillary favorita alla Convention
di Philadelphia
Dovrà unire tutto il Partito Democratico per contrastare il pericolo Trump
QUI NEW YORK
SILVANA MANGIONE
E
ra cominciato benissimo questo giugno 2016.
Era arrivata negli Stati Uniti una delegazione
del Comitato per le questioni degli italiani all’estero del Senato, per l’indagine conoscitiva sull’insegnamento dell’italiano all’estero, guidata dal
senatore Claudio Micheloni. Celebrando a New York
il 70esimo anniversario della Repubblica, Micheloni
ha dichiarato nel suo discorso: “Se vogliamo sapere
quanto costa la democrazia, dovremmo chiederlo a
quei soldati italoamericani che combatterono con
l’esercito della loro nuova patria, per liberare quella
vecchia e garantirle un futuro di democrazia e benessere, a quei soldati italiani che non eseguirono
gli ordini infami di una monarchia indegna, a quei
cittadini che scesero in strada a Roma sulla via
Ostiense per combattere i nazisti a mani nude, a
quelle centinaia di migliaia di italiani che pochi mesi
dopo salirono in montagna e restituirono al nostro
Paese l’onore, la dignità infangata da venti anni di
fascismo e cinque anni di guerra imperialista al seguito di Hitler. Loro lo sapevano, quanto costa la democrazia. Cerchiamo di non dimenticarlo noi, che
grazie a loro abbiamo vissuto in pace e libertà”.
Il super martedì del 7 giugno aveva consegnato la
“presumptive nomination” a Hillary Clinton. Ho
aspettato otto lunghi anni per vedere Hillary candidata dei democratici alla Casa Bianca. Ho sofferto
con lei nel 2008 quando, prima della Convention
democratica, con l’aiuto dei Kennedy, i delegati speciali di Hillary furono scippati a favore di Obama e
gli consegnarono la nomination, malgrado il voto
popolare apparisse favorevole alla Clinton. Pensai
allora che questa America, matriarcale nella gestione del quotidiano, fosse ancora profondamente
maschilista in politica, e lo penso ancora. Le donne
americane hanno ottenuto il diritto di voto nel
1920, ma bisogna arrivare al 2005 per avere la
prima donna presidente della Camera dei Deputati
– l’italo-americana Nancy Pelosi – mentre la nostra
Nilde Iotti fu eletta alla stessa carica in Italia per la
prima volta nel 1979. Di una Presidenza femminile
del Senato non si ha alcun cenno e, fino ad oggi, la
Costituzione americana non include il principio
della parità fra uomo e donna. L’ultimo super-martedì delle primarie, su cui contava Bernie Sanders
per arrivare alla Convention quasi a pari merito con
Hillary, ha invece decretato la superiorità della Clinton, che ha vinto con largo margine i due Stati col
maggior numero di delegati: California e New Jersey
e si è aggiudicata anche il New Mexico e il South
Dakota. Bernie ha dovuto accontentarsi del North
Dakota, nei cui caucus ha votato un totale di treSEGUE PAGINA 10
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mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO
DA PAGINA 9
cento cinquantaquattro elettori su una popolazione
di oltre un milione di abitanti, e del Montana, dove
i 21 delegati in palio sono andati 11 a Sanders e
10 a Hillary. Mi dovete perdonare, ma non ho mai
creduto alla sincerità di questo candidato che si è
affiliato al partito democratico soltanto poco prima
di dichiarare la sua corsa alla Casa Bianca. Non
credo nemmeno alla sua reale preparazione a rivestire un ruolo così importante, visto che nella sua
carriera è stato soltanto sindaco di Burlington (circa
42.000 abitanti) e Deputato, poi Senatore federale
per lo Stato del Vermont, il 49esimo in USA. La sua
campagna elettorale dai toni populistici ha dato vita
a quello che lui chiama un “movimento”, basato su
promesse in realtà irrealizzabili, ma che destano
entusiasmo nei giovani che votano per la prima
volta e nelle vittime innocenti della crisi economica
che attanaglia il mondo. Mai come in questo momento abbiamo avuto bisogno di avere a Washington una Presidente che sa quello che fa a livello
sia internazionale che nazionale.
Trump rappresenta un tale pericolo per gli equilibri
globali e quelli interni agli USA che gli stessi repubblicani parlano per distinguo, attaccano e insultano
la Clinton, ma non trovano il coraggio di cantare le
lodi di colui che la splendida Senatrice progressista
del Massachusetts, Elizabeth Warren, ha definito
un “piccolo bulletto insicuro”, “un mascalzone bugiardo interessato a far soldi rubando alla gente”,
nei discorsi con cui ha dato il suo endorsement a
Hillary.
Poi è arrivata la strage di Orlando in Florida, attribuita ad un terrorista, che le indagini più recenti
stanno cominciando invece ad identificare come
persona travagliata dalla propria sessualità, condannata duramente da un padre all’antica. Che fa
Trump, mentre l’America piange 49 morti e oltre 50
feriti, un eccidio secondo soltanto a quello delle
Torri gemelle? Trump sale sul palcoscenico condito
di bandiere di uno dei suoi soliti rally pilotati nella
scelta dei presenti e incita all’odio contro una
grande religione e alla xenofobia contro tutti i mussulmani che, secondo lui, non dovrebbero essere
ammessi negli USA. Ma l’assassino di Orlando era
nato a New York, nella municipalità di Queens, proprio come lo stesso Trump. Quindi, la chiusura delle
frontiere non avrebbe impedito questa né altre mattanze di lupi solitari emarginati nelle periferie del
mondo. Peggio, Trump urla e sparge il sospetto che
lo stesso Obama sia in qualche modo connivente
con i terroristi e promuove odio e dubbi contro il Presidente degli USA, la cui carica in questo frangente
deve invece godere del rispetto di tutti per riportare
il Paese alla calma e farlo uscire dal tunnel della
paura. In una mossa senza precedenti, Obama risponde con uno splendido discorso sulla natura
delle istituzioni, i valori su cui si basa l’America, la
delicatezza di gestione dei rapporti internazionali,
la necessità di impedire che persone inserite nell’elenco di coloro che non possono salire sugli aerei
per legami con il terrorismo possano acquistare
armi da guerra senza alcun controllo.
I repubblicani non rispondono a tono, ma lanciano
uno spot pubblicitario su Bill Clinton e la famosa
storia della stagista alla Casa Bianca! Trump invece,
come era prevedibile, si incaponisce, aggravando
le dosi. L’immediato sondaggio della Bloomberg
News posiziona Hillary di 12 punti sopra Trump:
49% a 37%. Bisogna dunque far uscire Sanders
dalla corsa alla presidenza. L’ultima primaria, a Washington, si consuma con un 79% per Hillary, contro
il 21% per Sanders. Obama lo incontra alla Casa
Bianca, il Vice Presidente Joe Biden lo riceve in residenza, Elizabeth Warren gli parla lungamente. Hillary stessa lo incontra in campo neutro. Tutti con
l’obiettivo di facilitare l’uscita con onore di Sanders
dalla campagna per la candidatura, per poter gestire la Convention di Filadelfia del 23 – 25 luglio
senza colpi di scena, riunificare subito il partito democratico e mantenere l’appoggio dell’elettorato
sandersiano in vista del voto di novembre. In quattro mesi e mezzo potrebbe succedere di tutto. Mentre scrivo, Sanders persiste nel voler continuare la
sua corsa fino alla Convention. A che pro? Ufficialmente per inserire la maggior parte delle sue proposte nella piattaforma programmatica del partito.
Nei fatti, sperando invece contro evidenza di riuscire ancora a ribaltare i risultati che danno Hillary.
Sanders non accetta la sconfitta, per quanto continui a dire che bisogna impedire l’elezione di Trump.
Questo comportamento certamente impedirà una
sua nomina a “running mate” e forse anche uno
scranno nel Cabinet presidenziale, come ad esempio quello al Ministero della Salute, Istruzione e Welfare, suoi cavalli di battaglia, che gli avrebbero dato
una posizione di potere per migliorare in concreto
quello che propugna. No, Sanders, che vive lo
stesso delirio di onnipotenza di Trump, ed è sostenuto da una moglie irriducibile, vuole tutto o nulla
e rischia di rendere la partita più difficile, ritardando
di oltre sei settimane la serena e congiunta campagna elettorale per Hillary, alla quale dopo la Convention dovrà piegarsi, che gli piaccia o no, anche
la sua irragionevole ostinazione. Personalmente,
credo nella validità della realpolitik nelle situazioni
difficili e sono convinta che questa grande democrazia sia avviata a scrivere un altro magnifico capitolo della sua storia, eleggendo la prima donna
Presidente a succedere al primo afroamericano
Presidente degli USA.
*Vice Segretario Generale CGIE
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mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO
Temi cruciali in vista del consiglio
europeo di fine giugno
Ancora poca chiarezza su chi trarrà vantaggio dal Fondo europeo per gli investimenti
ANALISI E COMMENTI
ROBERTO SERRA*
I
prossimi 28 e 29 giugno si riunirà a Bruxelles il Consiglio Europeo. Anzitutto facciamo un po’ di pedagogia istituzionale. Il Consiglio Europeo non va confuso
con il Consiglio dell’Unione Europea (Consiglio UE) e,
tantomeno, con il Consiglio d’Europa. Consiglio Europeo e Consiglio UE sono due istituzioni europee. E cioè
due istituzioni che appartengono a quell’entità economica e geo-politica che chiamiamo Unione Europea
composta da 28 Stati membri.
Il Consiglio Europeo non ha una efficacia legislativa
diretta al contrario del Consiglio UE che, assieme al
Parlamento Europeo, delibera e prende decisioni che
hanno poi una ricaduta sulle legislazioni dei singoli
Stati membri. Il Consiglio d’Europa, al contrario, non
è un’istituzione europea ma un’organizzazione internazionale composta da 47 Stati membri il cui scopo è
promuovere la democrazia i diritti dell’uomo, l’identità
culturale europea e la ricerca di soluzioni ai problemi
sociali in Europa. La sede del Consiglio d’Europa è
Strasburgo.
Il Consiglio Europeo si riunisce di solito due volte per
semestre, a Bruxelles. È presieduto da un presidente
che rimane in carica due anni e mezzo, e cioè la metà
della durata della legislatura legata al rinnovo del Parlamento Europeo. Il madanto è rinnovabile una volta
sola.
L’attuale Presidente del Consiglio UE è lo slovacco
Tusk che appartiene alla famiglia politica dei popolari
europei.
Il necessario passaggio pedagogico va accompagno
con una considerazione. A volte il dibattito pubblico, a
qualsiasi livello e in qualsiasi ambito, si lancia a parlare d’Europa ma passando a lato di queste opportune
precisazioni. Un cittadino europeo, anche con un
grado di istruzione medio-alta, fa spesso fatica a fare
le corrette distinzioni e a coglierne la sottile ma fondamentale specificità (aggiungerei che anche una
parte della diplomazia internazionale vive la stessa
condizione...ma questo è un altro discorso...).
A quando l’introduzione nelle scuole e nei luoghi di
istruzione più in generale di una sana ed efficace
“educazione civica” delle istituzioni europee? Ricordate a scuola? L’ora o due alla settimana di educazione civica - di solito legate al programma di storia dove ci veniva spiegato il ruolo del Parlamento nazionale, quello del Governo, quello del Presidente della
Repubblica.
Io credo che questo sarebbe un modo, concreto, di avvicinare le persone e i cittadini all’Europa. E viceversa.
Perché la coscienza (in questo caso la coscienza europea), si fa anche attraverso la conoscenza.
Tornando al Consiglio Europeo: il suo ruolo è quello di
discutere e indirizzare l’agenda politica dell’UE e,
quindi, dei 28 paesi membri. Nel prossimo Consiglio,
in programma alla fine di questo mese l’agenda in discussione prevede quattro punti salienti:
il tema della Migrazione nella quale verrà riesaminata
la situazione relativa alla migrazione in tutti i suoi
aspetti ponendo particolare attenzione al rafforzamento delle frontiere esterne dell’UE e l’attuazione
della dichiarazione UE-Turchia del 18 marzo 2016
il tema dell’occupazione, della crescita e degli investimenti
il tema delle relazioni esterne con particolare attenzione alla cooperazione UE-NATO in vista del vertice
NATO che si terrà a Varsavia l’8 e il 9 luglio 2016
il tema “Brexit” che prevede una discussione sui risultati del Referendum del Regno Unito del 23 giugno
2016
Insomma, un’agenda corposa e, ovviamente, figlia dell’attualità. A cominciare dal primo punto che sta mettendo a dura prova l’identità territoriale, culturale e
politica dell’UE.
Ma è anche sul secondo punto che l‘Unione misura la
propria capacità di reazione ad un’altra grande crisi
che è ben al di là dall’essere superata. Mi riferisco alla
crisi della crescita, a quella del lavoro e a quella dell’occupazione. Più in generale ad una crisi stessa dell’idea di sviluppo.
Nella discussione del secondo punto all’ordine del
giorno si farà riferimento ad una parola, anzi, una sigla
magica: EFSI (European Found for Strategic Investments), Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici.
Che cos’è l’EFSI? È il piano di investimenti di 314 miliardi di euro legato a sviluppo e crescita che JeanClaude Juncker presentò al Parlamento Europeo come
“carta vincente” per la sua nomina alla presidenza
della Commissione Europea. Si disse, nel dibattito di
allora, che finalmente l’UE abbandonava la linea del
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mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO
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rigore per il rigore (tanto sponsorizzata dall’ex presidente della Commissione Europea Barroso) per prendere la strada degli investimenti e della crescita.
In effetti l’EFSI, gestito direttamente dalla BEI (Banca
Europea per gli Investimenti), che ha la sede proprio
qui in Lussemburgo, parte da un punto di forza che
costituisce anche una novità: e cioè la creazione di un
fondo di garanzia di 21 miliardi di euro alimentato in
parte dal bilancio dell’UE (16 miliardi) e in parte dai
fondi di riserva provenienti dalla BEI stessa (5 miliardi).
Tale fondo di garanzia ha lo scopo di attirare finanziamenti pubblici e privati – che senza garanzie ed in un
mercato “impaurito” non si metterebbero in moto - per
finanziare infrastrutture, reti di trasposto, reti digitali
ed energetiche, innovazione e ricerca in senso generale e PME (piccole medie imprese).
Secondo fonti provenienti dalla stessa Commissione
Europea, dal 1 gennaio 2015 (data di inizio del funzionamento dell’EFSI) ad oggi si sarebbero già mobilitati 100 dei 315 miliardi di euro finalizzati a finanziare
i progetti di cui sopra. Il Consiglio Europeo, nella riunione di fine giugno, farà una prima profonda valutazione del funzionamento dell’EFSI. Vedremo presto,
anche a tale proposito, le conclusioni (si chiamano tecnicamente così) del vertice di Bruxelles.
Ma il cittadino comune europeo non può non farsi
qualche domanda su questo argomento. L’EFSI sta
davvero combattendo la crisi economica ed occupazionale che continua a mordere l’UE e che sembra
sempre più un dato strutturale dell’economia di mercato? Basti pensare che la disoccupazione giovanile
nell’area UE si attesta ancora oltre il 18% (dati di aprile
2016).
Non è chiaro come e dove attingere le informazioni relative ai progetti già finanziati. Sarebbe interessante
capire se il finanziamento è effettivamente avvenuto
e se i progetti sono partiti. Personalmente credo non
sia tutto oro ciò che luccica. L’impressione che se ne
ricava è quella di una gigantesca operazione di finanza pubblica e privata che porterà certamente qualche beneficio qua e là nel corpaccione produttivo ed
economico dell’Unione ma che, forse, non intaccherà
i problemi di fondo legati ad una crescita ed una occupazione deboli. Le imprese piccole o veramente piccole (pensiamo all’universo artigianale italiano) quasi
certamente non beneficeranno di aiuti e finanziamenti dell’EFSI. In altre parole, c’è da aspettarsi che i
soggetti beneficiari saranno inevitabilmente di nicchia
e, con tutta probabilità, interesseranno aree e situazioni non particolarmente sofferenti sul piano economico e occupazionale. Quando, invece, lo scopo
primario dovrebbe proprio essere quello di agganciare
alla ripresa le realtà che più soffrono. È plausibile pensare che i progetti che potranno accedere al fondo saranno gestiti da coloro che già operano nella grande
area di interfaccia tra realtà locale e istituzioni europee. I dati oggi disponibili sul funzionamento dell’EFSI
non risolvono questi dubbi.
Per cui, il prossimo vertice di Bruxelles rischia di nuovo
di passare come l’ennesimo vertice che intende occuparsi della vita dei cittadini europei senza che questi
se ne rendano minimamente conto. In questo indistinto magma istituzionale è sempre d’attualità la domanda legata al ruolo dei socialisti europei. Che, nelle
fotografie di rito a inizio e fine dei vertici, appaiono purtroppo sempre più simili a tutti gli altri.
Nessuna parola diversa, nessuna criticità espressa,
nessuna sospensione del giudizio, nessun confronto
attorno ad un’idea nuova e diversa di sviluppo e di crescita. Nessuna considerazione circa le ricadute, in termini di equità e giustizia sociale, del piano strategico
di investimenti. E se tutto questo caso mai vi fosse, lasciatemi dire che, purtroppo, non lo si vede.
* PD Lussemburgo
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mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO
Ucraina: due anni
di conflitto lacerante e libertà violate
Presentato a Kiev l’ultimo rapporto ONU sulla situazione dei diritti umani
ANALISI E COMMENTI
CONO GIARDULLO*
M
entre in Francia si svolgono i Campionati
europei di calcio, gli ucraini contano sulle
gesta della loro squadra per dimenticare almeno per un momento la guerra nel Donbass,
come è successo con la vittoria di Jamala, la cantante ucraina-tatara, al festival di Eurovision lo
scorso 15 maggio. Quest’anno il tifo, però, è particolarmente amaro se mischiato ai ricordi. Quattro
anni fa, a ospitare la più celebre competizione sportiva continentale, era proprio l’Ucraina insieme alla
Polonia, in un’edizione che registrò un gran successo di pubblico, e dove l’Italia sfiorò la vittoria finale.
E invece, il Paese deve continuare a confrontarsi
con il conflitto interno che la lacera dalla primavera
del 2014. Il 3 giugno, l’Assistente Segretario Generale dell’ONU per i Diritti Umani, il croato Ivan Simonovic, ha presentato a Kiev il 14° rapporto sulla
situazione dei diritti umani in Ucraina per il periodo
che corre dal 16 febbraio al 15 maggio 2016. La
diffusione pubblica del rapporto di oltre cinquanta
pagine, preparato grazie al lavoro meticoloso degli
uffici sparsi su tutto il territorio della Missione ONU
di Monitoraggio per i diritti umani, è stato seguito
in modo consistente dai media, perché segna
anche i due anni dall’inizio del conflitto.
Il bilancio è disastroso: dall’inizio della guerra, le
Nazioni Unite hanno registrato oltre 30 mila vittime, delle quali 9.371 morti e 21.532 feriti. Le vittime negli ultimi tre mesi sono state 113 – un
numero comunque spropositato, se si tiene conto
che dal febbraio 2015 è in vigore il “Pacchetto di
Misure per l’Implementazione degli Accordi di
Minsk”, supportato anche dai cinque membri permanenti del Consiglio delle Nazioni Unite, e da tutta
la comunità internazionale, che dovrebbe assicurare il cessate il fuoco e una risoluzione politica del
conflitto. Ma accanto alle vittime, il rapporto mette
in luce la violazione di una lunga serie di diritti
umani.
Le Nazioni Unite puntano il dito contro tutti gli attori,
che direttamente o indirettamente hanno preso
parte al conflitto. Le autorità ucraine sono, ad
esempio, colpevoli di violare il principio di non discriminazione avendo adottato e messo in pratica
politiche che distinguono, restringono ed escludono
l’accesso alle libertà fondamentali e ai diritti socioeconomici delle persone che vivono lungo la “linea
di contatto” (i.e. il fronte delle operazioni belliche).
Un esempio su tutti è l’interruzione dei pagamenti
di pensioni e benefici sociali per una parte consistente degli sfollati interni che ammontano a oltre
un milione e mezzo di cittadini ucraini. Dal canto
loro, le autoproclamatesi repubbliche di Donetsk e
Luhansk hanno minato il rispetto dei più basilari diritti umani per le circa 2 milioni e 700 mila persone
che vivono nei territori sotto il loro controllo, attraverso la creazione di luoghi di detenzioni irregolari
dove i detenuti sono torturati e dove il rispetto dei
diritti civili e politici è assente, rendendo per il momento vana la richiesta di libere elezioni.
Infine, secondo le Nazioni Unite, la Russia dopo
aver imposto la sua giurisdizione sulla penisola di
Crimea nel marzo 2014, ha indebolito lo stato di diritto nell’ex provincia autonoma ucraina, forzando
gli abitanti a modificare la loro cittadinanza, e negando l’accesso a servizi sanitari essenziali e sociali, oltre a tentare di piegare la resistenza della
popolazione indigena per eccellenza, quella dei tatari.
Per Simonovic, si rischia un conflitto protratto come
in tante altre ex-regioni sovietiche, o un’escalation
militare che provocherebbe ulteriori enormi perdite
di vite umane. Secondo l’alto funzionario ONU, il
messaggio è chiaro: dopo due anni di conflitto i civili, da entrambi le parti della “linea di contatto”,
chiedono pace e rispetto per i loro diritti umani. E
davvero pare questa l’opinione della maggioranza
degli ucraini, dato che secondo l’ultimo sondaggio
dell’Istituto internazionale di sociologia di Kiev, due
terzi degli intervistati spinge per uno sforzo della comunità internazionale in favore di una risoluzione
pacifica, piuttosto che per la riconquista militare del
Donbass (supportata solo dal 20% degli intervistati).
Intanto, l’Italia può svolgere un ruolo importante in
questa crisi. E’ dell’anno scorso la proposta del nostro ministro degli esteri, Paolo Gentiloni, di apportare nelle negoziazioni politiche degli elementi di
riflessione che si rifacciano al modello politico-istiSEGUE PAGINA 14
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mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO
DA PAGINA 13
tuzionale vigente in Sud Tirolo, tale per cui si possa
immaginare una soluzione che rispetti la sovranità
dell’Ucraina, preservando i suoi confini e i diritti
delle minoranze.
La proposta purtroppo non ha avuto seguito dato il
protrarsi dello scontro militare. Il 18 maggio scorso,
invece, il Consiglio regionale del Veneto, prima regione in Europa, ha sancito il riconoscimento dell’annessione russa della Crimea con il fine esplicito
di far pressione sul governo italiano affinché blocchi
il rinnovo delle sanzioni europee contro la Russia.
Forse non è questo il ruolo che ci si aspetta dal nostro paese, fiaccando l’unità europea, mentre il governo e la diplomazia partecipano al Forum
economico internazionale di San Pietroburgo in programma dal 16 al 18 giugno, in cui l’Italia è invitata
come ospite d’onore, e gioca un ruolo da protagonista nel riavvio delle relazioni tra Mosca e Bruxelles.
Questa tragedia si svolge alle porte orientali dell’UE.
Quella serie di paesi frontalieri, che nel 2004 il presidente della Commissione Europea, Romano Prodi,
sperava si trasformasse in un “circolo di amici che
va dal Marocco alla Russia”, sta dando vita ad alcune tra le più gravi crisi internazionali. Purtroppo,
però, anche nei confini dell’Unione abbiamo i nostri
problemi, come commentano in maniera molto autorevole Javier Solana e Guy Verhofstadt, in due recenti editoriali che affrontano il tema della crisi del
progetto europeo e dello stato di diritto, soprattutto
nei paesi dell’Europa centro-orientale, e in particolare in Polonia e Ungheria.
I diritti umani, cosi come i diritti politici e civili che
oggi vantiamo, sono conquiste acquisite solo nello
scorso secolo dopo aver patito le sofferenze della
Seconda guerra mondiale. L’esempio dell’Ucraina,
ma anche quello più subdolo di Varsavia e Budapest, deve aiutarci a non dar mai per scontati i diritti
di cui oggi godiamo.
* Esperto OSCE: Organization for Security
and Co-operation in Europe
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mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO
Riforme istituzionali necessarie
per garantire stabilità e credibilità
A Berlino per parlare di referendum e riforme con la ministra Maria Elena Boschi
DEMOCRATICI NEL MONDO
FILIPPO QUADRELLI*
L
o sorso 30 maggio la ministra per Riforme costituzionali, Maria Elena Boschi, è stata ospite
al Forum-Europa della Konrad-Adenauer Stiftung di Berlino per parlare del percorso di modernizzazione del nostro Paese a seguito delle
numerose riforme portate avanti dal Governo italiano. All’iniziativa eravamo presenti anche noi
come Circolo PD di Berlino e Brandeburgo.
La ministra, accompagnata dall’ambasciatore italiano a Berlino, Pietro Benassi, ha elaborato un discorso di ampio respiro. Ci ha parlato infatti della
crisi dell’Unione Europea e della necessità di una
più forte collaborazione tra i differenti Paesi, in
modo particolare tra l’Italia e la Germania. Ha poi
discusso delle attuali sfide globali, come il terrorismo e i flussi migratori, sottolineando come solo
una politica europea comune e condivisa possa
consentirci di individuare delle soluzioni che incidano sulle emergenze che tutto il continente europeo vive in questi anni.
Ha citato più volte il ruolo dell’Italia nel percorso di
integrazione europea e il contributo fondamentale
che il nostro Paese ha dato negli ultimi cinquant’anni alla creazione di questo progetto di pace e di
collaborazione tra Stati di uno stesso continente
che fino a qualche decennio prima si erano fatti la
guerra.
Gran parte dell’intervento, poi, è stato dedicato alle
riforme istituzionali. La Ministra ha raccontato a
una platea numerosa di italiani e tedeschi l’importanza del percorso riformatore messo in atto dal Governo italiano per garantire la stabilità nel nostro
Paese e per ritornare ad essere credibili sul piano
internazionale. Non sono certo mancate le difficoltà, e tutt’ora questo percorso è in divenire, ma
la strada tracciata è quella di un cambiamento radicale, atteso da tanto, troppo tempo.
Rispondendo ad alcune domande della giornalista,
poi, la Ministra ha sottolineato l’importanza di una
discussione che vada oltre simpatie o antipatie nei
confronti di questo Governo, per portare a compimento gli sforzi degli ultimi anni. Una eventuale affermazione del NO al referendum del prossimo
ottobre, ha detto la Ministra, significherebbe una
nuova fase di instabilità politica e di incertezza, poiché si tornerebbe a votare in un sistema in cui le
due camere mantengono le stesse prerogative di
sempre, ma con due leggi elettorali differenti.
Alla fine dell’evento, la Ministra si è trattenuta con
il nostro gruppo per discutere più da vicino della riforma costituzionale e del nostro ruolo, come Circoli
all’estero del Partito Democratico, per presentare
alle cittadine e ai cittadini italiani, da qua ad ottobre, il senso di questo percorso di riforme e i contenuti della riforma stessa.
*segretario del Circolo PD
di Berlino e Brandeburgo
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mondo ....... NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO
Il Telero di Carlo Levi: viaggio
nella questione meridionale
A Parigi, Berlino e Bruxelles per tre tappe evocative della storia dell’emigrazione
DEMOCRATICI NEL MONDO
DOMENICO CERABONA*
L
a Fondazione Giorgio Amendola e l’Associazione
Lucana in Piemonte Carlo Levi, due istituti culturali
di Torino, hanno pubblicato, con il contributo del
Consiglio Regionale del Piemonte, un volume sul Telero
Lucania ‘61 di Carlo Levi.
Levi, pur essendo in tutto e per tutto un intellettuale
piemontese, è forse uno dei più autorevoli meridionalisti del Novecento italiano. Il Telero Lucania ‘61 è una
delle sue opere pittoriche più famose, è Il Cristo si è
fermato ad Eboli trasferito su tela. Realizzato su richiesta di Mario Soldati in occasione delle manifestazioni
celebrative del centenario dell’Unità d’Italia, il Telero è
un vero e proprio viaggio nella «Questione Meridionale».
Il volume, con testi di Mario Carbone, Giovanni Caserta,
Loris Dadam, Domenico Notarangelo e Caterina Sabino spiega l’opera in ogni suo dettaglio, offrendo una
visione d’insieme sia della poliedrica personalità dell’artista, scrittore e patriota, che del complesso fenomeno dell’emigrazione italiana, essa stessa
protagonista del dipinto Lucania ‘61.
Prima di cominciare a dipingere, Carlo Levi tornò in Basilicata con l’amico documentarista Mario Carbone,
che fissa in immagini fotografiche i ricordi e l’atmosfera
vissuti dall’artista torinese nel periodo di confino. Immagini esposte nel volume, in stretta correlazione al
dipinto leviano.
Carlo Levi dedica l’opera, divisa in tre scene, a Rocco
Scotellaro, per sancire il suo legame di fratellanza con
l’intellettuale lucano, e lo dipinge al centro della tela,
fanciullo, oracolo della sua stessa vita, con lo sguardo
fiero e sorridente, consapevole delle speranze che la
comunità riporrà in lui. La dimensione pubblica della
vita scorre tra il corteo dei contadini che risale dalle argille aride e desolate e la piazza, vissuta da soli uomini
catalizzati da Rocco, sindaco di Tricarico, che recita le
sue poesie, chiarisce le sue idee, incita a rompere
l’apatia di chi guarda sgomento un orizzonte disilluso
e rassegnato.
La platea è composta da contadini, con le facce arse
dal sole ma pronti a percepire l’anelito del suo messaggio di riscatto, con la stessa attenzione degli intellettuali e dei poeti Umberto Saba, Michele Parrella,
Pietro Pannarella, Carlo Muscetta, Rocco Mazzarone e
Levi stesso, che con loro si fondono in una unica ideale
orgogliosa comunità.
Testimoni della scena i padri della Lucania post-Risor-
gimentale, Giuseppe Zanardelli, Francesco Saverio
Nitti, Giustino Fortunato, Guido Dorso che, affacciati
alla finestra della casa sulla macelleria, legittimano il
sogno del «poeta della libertà contadina» e lo consegnano alla storia. Sulla porta della macelleria, campeggia l’iscrizione d.d.t. 15-4-61 che data l’opera e, al
tempo stesso, ricorda la marcatura dei luoghi disinfestati chimicamente per liberarli dalla «mala aria».
Alla scena della vita civica della piazza si collega la vita
del vicinato, luogo delle relazioni sociali e del lavoro domestico. All’interno della grotta, dal cui fondo compare
l’asino, unico bene della famiglia, dormono ammassati
quindici bambini; dalla volta del lampione penzola,
unica parvenza di attenzione sanitaria, il nastro colorato della carta moschicida.
Nel «Lamento su Rocco» la pittura di Carlo Levi tocca
l’apice del lirismo. In contrapposizione al «Comizio», un
circolo di sole donne distrutte dal dolore piangono la
morte di un uomo giovane e giusto.
Due madri, a sottolineare ancora la condivisione di
idee e la fratellanza, Annetta Treves, madre di Levi, e
Francesca Armento madre di Rocco, raggomitolata ai
suoi piedi, lo piangono sul letto di morte e cantano la
sua vita alle donne che le attorniano, tra cui Linuccia
Saba e Mimma Trucco impietrite dal dolore, e due
bambine dal viso dolcissimo, Anna e Marina Rossi
Doria.
La Fondazione Giorgio Amendola, grazie al supporto
del PD mondo e del suo responsabile Eugenio Marino,
ha organizzato la presentazione del volume in tre capitali evocative per la storia dell’emigrazione e della
cultura italiana: Parigi, Berlino e Bruxelles.
L’intento è quello di interpretare la grande opera pittorica di Levi e farne uno dei grandi monumenti pittorici
ideati da Levi, quasi suo testamento politico e morale.
Prendendo a prestito il pensiero di un attento e originale studioso di Levi, il professor Giovanni Caserta, si
può legittimamente affermare che il Telero Lucania
‘61 è il Cristo si è fermato Eboli passato sulla tela. Le
ultime pagine del volume, grazie al prezioso contributo
della dottoressa Sabino, trattano il pregiudizio anti italiano negli Stati Uniti per due ragioni. La prima è che
quegli italiani emigrati tra la fine dell’800 e la prima
metà del ‘900 sono gli stessi raccontati da Carlo Levi
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DA PAGINA 16
nel Cristo, come ha ricordato nella sua bella introduzione il Presidente del Consiglio Regionale Mauro Laus,
e sembrava giusto raccontare meglio le vicissitudini
che avevano dovuto affrontare quei personaggi che
Levi descrive in maniera così struggente. Il secondo
motivo è più legato all’attualità. In un periodo in cui è
l’Italia a ricevere i migranti è giusto ricordare di quando
i nostri compatrioti erano accolti con pregiudizio e
spesso disprezzo, per evitare di commettere anche noi
quegli stessi errori.
A Parigi l’iniziativa si terrà il 29 giugno 2016 alle ore
19 presso la libreria italiana “la tour de Babel” (vedi locandina in ultima pagina). L’incontro è organizzato
dall’Associazione Democratici Parigi con la partecipazione del Comites Parigi, ANPI Parigi, INCA Francia e
ACLI France. Il programma prevede gli interventi del
sottoscritto, per la Fondazione Giorgio Amendola di Torino, del Prof. Giovanni Cerchia, docente di Storia Contemporanea del Molise e del Dott. Peppe Provenzano,
meridionalista e vice Direttore dello SviMez.
Parigi è una città particolarmente importante per Carlo
Levi, è infatti la città ove si è formato come pittore, la
città dove scopre il senso di libertà personale e artistica.
A Berlino l’iniziativa, il cui programma ancora non è
stato del tutto definito, si terrà nel mese di settembre.
Il ciclo di presentazioni si concluderà in una data simbolica, il 29 novembre 2016, giorno della scomparsa
di Levi. La manifestazione si terrà presso il Museo
Ebraico di Bruxelles, istituto presso il quale verrà esposta una riproduzione del Telero della dimensione di 2
metri di altezza per 12 di larghezza, riproduzione che
quel giorno verrà donata dalla Fondazione Amendola
al museo ebraico, anche come segno di solidarietà in
seguito agli attentanti avvenuti proprio presso la sede
del museo nel maggio del 2014.
Il tema centrale dell’incontro del 29 novembre sarà
l’emigrazione. Infatti quest’anno ricorrono i 70 anni dai
famosi trattati tra Belgio e Italia e, purtroppo, anche i
60 anni dal disastro di Marcinelle. Per questo motivo
sia il ComItEs di Bruxelles che l’ANPI hanno aderito immediatamente al progetto di questa manifestazione,
proprio per promuovere una riflessione sull’importanza
che ha avuto l’emigrazione per lo sviluppo del Belgio e
le difficoltà che sta avendo ora quella nazione ad accogliere diverse forme di emigrazione. La Filef (Federazione Italiana Lavoratori Emigrati e Famiglie) fondata
proprio da Carlo Levi è molto attiva in Belgio e parteciperà all’iniziativa portando anche testimonianza delle
nuove realtà dell’emigrazione italiana in Belgio, che è
cambiata enormemente rispetto a quella della seconda metà del ‘900 e che pone nuove sfide sia alle
istituzioni europee che a quelle italiane che si occupano di organizzare gli italiani all’estero. L’incontro del
29 novembre sarà un’occasione per riflettere anche
su queste nuove tematiche.
* Fondazione Giorgio Amendola di Torino
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E-COMMERCE: PIÙ CHE RADDOPPIATE DAL causa di difficoltà economiche, non riuscendo a pa2009 LE AZIENDE CHE VENDONO ONLINE gare di tasca propria le prestazioni. Il fenomeno riBorse, cosmetici, accessori, gadget, abbigliamento,
articoli per bambini e per la pesca. Ma anche auto
e moto, casalinghi, vino, scarpe, biciclette, parquet,
prodotti elettronici e farmaceutici, libri, occhiali, giocattoli fino alle “piante di acqua dolce”, ai sistemi
di allarme e ai servizi di pompe funebri. E’ solo una
piccola frazione di quello che si può comprare sul
web attraverso le quasi 15mila aziende operanti nel
settore delle vendite online che, a fine 2015, risultavano iscritte al Registro delle imprese delle Camere di commercio. Il ritratto del fenomeno emerge
dai dati elaborati da InfoCamere per Unioncamere,
secondo i quali il ‘boom’ delle imprese di vendita
via internet (circa 9mila imprese in più) corrisponde
quasi alla perfezione all’intero saldo del settore del
commercio nell’arco degli ultimi sei anni.
A guidare la corsa del commercio virtuale sono gli
imprenditori abruzzesi (+260% le imprese con sede
nella regione adriatica, nel periodo considerato), seguiti da quelli pugliesi (+218%) e da quelli campani
(+202%). In termini assoluti, la crescita più consistente si registra invece in Lombardia.
SALUTE - CENSIS: NELL’ULTIMO ANNO 11
MILIONI DI ITALIANI HANNO DOVUTO
RINUNCIARE A PRESTAZIONI SANITARIE
Erano 9 milioni nel 2012, sono diventati 11 milioni
nel 2016 (2 milioni in più) gli italiani che hanno dovuto rinviare o rinunciare a prestazioni sanitarie a
guarda, in particolare, 2,4 milioni di anziani.
È arrivata a 34,5 miliardi di euro la spesa sanitaria
privata e ha registrato un incremento in termini reali
del 3,2% negli ultimi due anni (2013-2015): il doppio dell’aumento della spesa complessiva per i consumi delle famiglie nello stesso periodo (pari a
+1,7%).
Sono 10,2 milioni gli italiani che fanno un maggiore
ricorso alla sanità privata rispetto al passato, e di
questi il 72,6% a causa delle liste d’attesa che nel
servizio sanitario pubblico si allungano. Il 30,2% si
è rivolto alla sanità a pagamento anche perché i laboratori, gli ambulatori e gli studi medici sono aperti
nel pomeriggio, la sera e nei weekend. Pagare per
acquistare prestazioni sanitarie è per gli italiani
ormai un gesto quotidiano: più sanità per chi può
pagarsela.
Tra pubblico in crisi e privato in crescita, avanza la
sanità integrativa. Il 57,1% degli italiani pensa che
chi può permettersi una polizza sanitaria o lavora
in un settore in cui è disponibile la sanità integrativa
dovrebbe stipularla e aderire. Così si otterrebbero
anche benefici pubblici, perché molte persone utilizzerebbero le strutture private, liberando spazio
nel pubblico, e perché così si inietterebbero maggiori risorse nel sistema sanitario. Sono ormai più
di 26 milioni gli italiani che si dicono propensi a sottoscrivere una polizza sanitaria o ad aderire a un
Fondo sanitario integrativo.
COSTERNAZIONE E CORDOGLIO
PER LA SCOMPARSA DI ADBELAZIZ
La notizia della morte del Presidente della Repubblica Araba Saharawi Democratica e Segretario
Generale del Fronte Polisario, Mohamed Abdelaziz, riempie di costernazione e cordoglio tutti gli
amici dei Saharawi. Con il Presidente Abdelaziz scompare un militante esemplare, un combattente intemerato, un leader lungimirante ed instancabile della lotta per la libertà prima con la
lotta armata e, poi, con la tenace ed altrettanto instancabile ricerca di una soluzione pacifica,
posta nelle mani delle istanze della comunità internazionale.
L’Associazione degli Amici del Popolo Saharawi di Roma inchina le sue bandiere, listate a lutto,
assieme a quelle di tutto il popolo saharawi ed a quelle di milioni di sostenitori della loro lotta
del mondo intero. Queste bandiere, oggi a lutto ed inchinate di fronte alla grave perdita, non tarderanno, ne siamo certi, a garrire in libertà nelle città e nei campi di tutto il suo popolo, finalmente libero, indipendente, sovrano. Nel nome del Presidente Abdelaziz, ne siamo certi, questo
giorno non tarderà a giungere, perché, come dice il Poeta, “anche quando la bufera dell’inverno
imperversa più dura, significa che la primavera non può tardare a lungo ad arrivare”. Il popolo
saharawi sta già vincendo.
Gianfranco Brusasco
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