Comunicato Tommaso Fattori Capogruppo di SI

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Comunicato Tommaso Fattori Capogruppo di SI
Prepariamoci a ripubblicizzare l’acqua
di Tommaso Fattori Capogruppo di Sì — Toscana a Sinistra Regione Toscana
L’acqua è un bene comune fondamentale e deve essere gestito da soggetti di diritto pubblico, senza scopo
di lucro e senza profitti, proprio come accade a Parigi, a Vienna o a Zurigo. E’ così difficile fare in Toscana
come si fa a Parigi, a Vienna o a Zurigo? E’ così difficile rispettare l’esito del referendum del 2011? Un
referendum che costrinse anche il presidente Rossi, all’indomani della valanga di Sì, a far scrivere nel
preambolo alle legge regionale 69/2011: “la Regione intende comunque dare attuazione alla volontà
popolare espressa nel recente referendum del 12 e 13 giugno”.
All’epoca, l’attuale presidente del consiglio era il sindaco di Firenze e fu molto netto nel prendere
posizione: “voterò due no”. Renzi — che aveva più volte ribadito come considerasse grave il mancato
rispetto degli esiti referendari — da quel referendum uscì pesantemente sconfitto. Ma all’indomani del
voto, Alessandro Petretto, fondatore del “comitato del No” ed entusiasta sostenitore della privatizzazione
dell’acqua e dei servizi pubblici locali, fu nominato assessore al bilancio al Comune di Firenze dallo stesso
Renzi e oggi il PD di Rossi, in Regione, nomina il sempreverde Petretto membro dell’ “Osservatorio
regionale per il servizio idrico integrato e di gestione integrata dei rifiuti urbani”, honoris causa, per così
dire. Tacerò di Erasmo D’Angelis, talebano del No, allora presidente di Publiacqua, poi nominato da Renzi a
capo della struttura di missione sul dissesto idrogeologico, infine direttore de L’Unità, giornale su cui non
manca di propagandare le privatizzazioni in barba alla volontà del popolo sovrano, con buona pace del
povero Gramsci.
Sarebbe tuttavia ingiusto attribuire a Renzi e alla sua corte la responsabilità della scelta strategica della
privatizzazione dei servizi pubblici locali. Il Pd aveva compiuto questa scelta molto tempo prima, quando il
partito si chiamava ancora DS, abbracciando le posizioni di Forza Italia e della destra neoliberista e avviando
il percorso che avrebbe portato a trasformare le aziende di gestione dell’acqua in società per azioni miste
pubblico-private. La regione Toscana, anche allora, fu capofila e il modello delle Spa miste divenne ben
presto “il” modello per la destra e il PD, nel paese intero.
Proprio in Toscana nacque però anche quel forte movimento per l’acqua bene comune che, nel corso degli
anni, ha messo a punto ben due leggi d’iniziativa popolare e un referendum, poi stravinto. In un paese
democratico normale quella vittoria avrebbe portato all’immediata cancellazione della remunerazione del
capitale e di conseguenza all’uscita dei privati dalle aziende. Invece i profitti restano tranquillamente nelle
nostre bollette, così come i soci privati restano nelle società per azioni che gestiscono l’acqua, portandosi a
casa ogni anno milioni e milioni di euro di dividendi. I cittadini continuano a pagare anche il costo degli
investimenti che i gestori privatizzati caricano integralmente sulle nostre tasche, secondo la regola del full
cost recovery, ma che poi realizzano solo in parte. Perdipiù migliaia di scarichi non depurati inquinano il
mare e i fiumi in violazione della legge da oltre dieci anni, anche se all’inizio del nuovo millennio venne
raccontata una favola: facciamo entrare i privati nelle società, così porteranno soldi freschi e potremo
rispettare le nuove normative europee sulla qualità delle acque, facendo le opere ora imposte dall’Europa.
Sarebbe l’ora di fare un bilancio di ciò che è accaduto realmente, dato che le bollette sono schizzate alle
stelle, assieme ai profitti per gli azionisti, ma gli investimenti sono ben al di sotto delle necessità e di quanto
programmato.
Oggi Rossi e Renzi continuano sulla consueta strada, proprio come se non ci fosse stato alcun referendum a
sbarrar loro il cammino. La Toscana si è prontamente data da fare per creare un Ato unico per l’intera
Regione e non perchè quello regionale fosse realmente l’ambito ottimale per la gestione dell’acqua (come
invece la legge Galli avrebbe richiesto, imponendo di disegnare gli Ato sulla base dei bacini idrografici, al
fine di tutelare al meglio la risorsa) ma con l’obiettivo di creare un unico soggetto gestore per la Toscana,
da lasciare poi in mano ad Acea Spa. Il governo, a sua volta, persegue in ogni modo i processi di
aggregazione e fusione societaria, in modo che Acea, A2A, Hera e Iren — i 4 colossi multiutilities già quotati
in borsa — possano assorbire tutte le società di gestione dei servizi idrici, ambientali ed energetici,
divenendo i “campioni” nazionali in grado di competere sul mercato globale. E in modo da attirare i capitali
finanziari in cerca di remunerazione sicura, grazie ad un business regolato da tariffe, flussi di cassa elevati,
prevedibili e stabili nel tempo, e grazie a titoli che fruttano cospicui dividendi. Insomma, una vera
regressione ai primi del Novecento, quando a gestire l’acqua e i servizi pubblici erano pochi monopoli
privati, con l’aggiunta, oggi, di un’elevata dose di finanziarizzazione del sistema.
Al contempo Acea e i soci privati stanno spolpando le “loro” società, compresa Publiacqua, svuotandole a
poco a poco. Il vecchio soggetto gestore pubblico, prima di essere trasformato in Publiacqua Spa, aveva un
organico di quasi 800 dipendenti e una propria unità organizzativa e gestionale che aveva all’interno tutte
le competenze necessarie. Oggi le bollette sono salatissime, i soci intascano i dividendi, i lavoratori sono
ridotti a 600 e una parte consistente del lavoro viene esternalizzato e appaltato a ditte esterne, il che
significa precarietà dilagante e bassi salari, oltre che perdita immane di saperi e di competenze. Come se
non bastasse, con la scusa della creazione di una nuova piattaforma tecnologica ribattezzata Acea 2.0,
Publiacqua si appresta a trasferire ad Acea dati fondamentali e know-how. In altri termini il rischio è che fra
5 anni, a fine concessione, Publiacqua sia stata ormai trasformata in un guscio vuoto, a cui il socio privato
ha sottratto strumenti e professionalità, ostacolando e rallentando la ripubblicizzazione, esattamente come
è accaduto a Parigi. Su tutto questo dobbiamo vigilare ed intervenire con intelligenza, per evitare che la
ripubblicizzazione venga pregiudicata e ulteriormente frenata.
Che fare, dunque? La situazione ha spinto molti alla rassegnazione: se nemmeno attraverso il massimo
strumento di democrazia diretta, il referendum, siamo riusciti a imporre la gestione pubblica dell’acqua,
che altro resta da fare? Tuttavia lo scenario, a ben vedere, è meno deprimente o plumbeo, intanto perchè
quella parte d’Europa che negli anni passati aveva privatizzato ha cambiato decisamente rotta, optando con
successo per una gestione pubblica del servizio idrico, meno costosa e più efficiente. Persino in Gran
Bretagna si è aperta una discussione pubblica sul disastro delle privatizzazioni, ferrovie comprese. E’
paradossale ostinarci a riprodurre qui, in ritardo, il modello vituperato oltreconfine, quando Parigi e Berlino
sono costrette ad ammettere l’errore e cospargersi il capo di cenere. In Italia, poi, la classe politica ha ben
chiaro che la maggioranza del paese è profondamente contraria alla privatizzazione e che questa
divaricazione non sarà sostenibile molto a lungo. Fra pochi anni, in Toscana, scadranno le concessioni ai
soggetti gestori privati e dovremo quindi esser pronti a riprenderci l’acqua, rompendo il giochino di chi
vorrebbe consegnare ad Acea il gestore unico regionale: non ci saranno invece più scuse, neppure quella
dei costi della “ripubblicizzazione” e del riacquisto delle quote dai privati. Se saremo in grado di lavorare
insieme con questo obiettivo chiaro in testa, l’acqua tornerà ad essere un bene comune.
Firenze, 8 Febbraio 2016
*Capogruppo di Sì — Toscana a Sinistra Regione Toscana