alpin del domm - ANA Gruppo Alpini Milano Centro

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alpin del domm - ANA Gruppo Alpini Milano Centro
ALPIN DEL DOMM
NOTIZIARIO DEL GRUPPO MILANO CENTRO
SEZIONE ANA MILANO
Numero Unico — Settembre 2001
Fotocopiato in proprio da: Associazione Nazionale Alpini – Sezione di Milano – Gruppo Milano Centro – Giulio Bedeschi
Redazione: Via Vincenzo Monti 36, 20123 Milano – tel. 02.48010991 – Responsabile Sandro Vincenti – Inviato gratis ai Soci
"Dispersi nel silenzio, prossimi alle stelle"
in ricordo di
Giulio Bedeschi
Alpin del Domm 1
2Alpin
Alpin
del del
Domm
Domm
N
el novembre dello
scorso anno il nostro Gruppo, come
è noto, ha organizzato una manifestazione per
commemorare Giulio Bedeschi
nel decennale della Sua scomparsa.
Nella prestigiosa cornice della
Sala Alessi di Palazzo Marino,
stracolma di alpini e di gente
comune, gli oratori avevano intrattenuto i presenti, prospettando una analisi letteraria delle opere dello scrittore, ovvero rammentando momenti di vita comune con l’amico scomparso.
In quell'occasione, però, si era
sentita la mancanza del canto, di
quei nostri canti, così tristi, ma
così coinvolgenti, che una grossa importanza avevano avuto anche nella
vita di Bedeschi, tanto da esserne egli
stesso ispiratore, promotore e persino autore.
Sorgeva, pertanto, spontanea l'idea di organizzare una nuova manifestazione, impostata questa volta sul canto, che completasse l'omaggio a Giulio Bedeschi.
Più se ne parlava e più il progetto prendeva forma, anche dilatandosi, creando,
in noi tutti una sorta di esaltazione.
Sembrava, infatti, che tutto fosse già stato preparato da altri: si aveva quasi l'impressione di essere guidati da una mano
invisibile alla scoperta di un evento che
era lì pronto per manifestarsi e che attendeva solo che qualcuno lo mettesse in opera.
Non poteva, però, trattarsi di un semplice
concerto di cori, ma occorreva fare in
modo che la musica creasse un percorso
di ricordi, di sensazioni, di emozioni …
Pressoché immediata è stata la individuazione dei protagonisti: il Coro ANA di
Milano ed "I Crodaioli", atteso il fatto
che con entrambi Bedeschi aveva fattivamente collaborato. Massimo Marchesotti
ci dava immediatamente la sua disponibilità, alla quale seguiva
quella di Bepi De Marzi.
Dopo Natale eravamo pronti per
“partire” .
Innanzi tutto dovevamo individuare dove tenere il Concerto: ancora
la sala Alessi? L’Aula Magna
dell’Università Cattolica?
Un grosso aiuto ci veniva da Marchesotti il quale, approfittando
delle proprie conoscenze, ci faceva ottenere addirittura la disponibilità del Teatro Dal Verme, finalmente ristrutturato dopo anni di
lavoro. Il prestigio della sala ci faceva raddoppiare gli sforzi, contattando sponsor (Regione Lombardia, Banca Mediolanum, Edi-
La platea del rinnovato teatro Dal Verme
zioni Mursia, Tipografia Tajana), definendo il programma, predisponendo locandine, inviti, brochure, eccetera.
Tutto andava per il meglio, eppure un'incognita ci assillava: Milano!
Questa metropoli che viene normalmente
definita fredda ed agnostica, avrebbe compreso l'iniziativa e risposto al nostro appello?
I milanesi erano ancora interessati ed attratti dalle emozioni pure che scaturiscono
da sentimenti tanto semplici quanto eterni?
Vi era ancora spazio, a Milano, per la Cultura …Alpina?
L’ansia raggiungeva il suo apice quando,
qualche giorno prima del concerto, veniva
effettuato il sopralluogo per le verifiche del
caso: la sala era stupenda ma, soprattutto
vista dal palco, immensa e, l'impresa di
riempire tutti i 1600 posto, appariva decisamente ardua.
***
E
, finalmente, veniva il giorno fatidico:
un’ora e mezzo prima dell’inizio eravamo
già sul posto e, non senza meraviglia, vedevamo gente che si accalcava davanti
all’ingresso del Teatro
per entrare: alla fine,
dopo che tutti i posti erano stati riempiti, e numerosi spettatori si erano seduti per terra, il
servizio d’ordine - incalzato da precisi ordini
dei Vigili del Fuoco - si
vedeva costretto a chiudere le porte del Teatro,
respingendo almeno
trecento persone colpevoli di "… non essere
arrivate con largo anticipo…".
Milano, dunque, aveva
compreso ed ampiamente risposto all'appello, e la nostra ansia
era, come per incanto,
scomparsa.
L'introduzione del Capogruppo, i saluti
del Presidente Nazionale e del Vice Presidente del Consiglio della Regione
Lombardia On. Piergianni Prosperini e
poi Suor Anna Maria Marconi che con
semplicità disarmante parlava del dolore
e della sofferenza illustrando l'opera della Associazione Casa dell'Accoglienza
per la quale, nel corso della serata sarebbe stata lanciata una raccolta di fondi con
esito più che proficuo.
Terminati questi brevi interventi, veniva
ufficialmente intitolato il Gruppo Milano
Centro a Giulio Bedeschi, e la signora
Luisa scopriva, tra gli applausi, una riproduzione del logo con la nuova intitolazione.
Non rimaneva, a questo punto, che godersi lo spettacolo.
I due Cori hanno eseguito magistralmente il loro repertorio, inframmezzato da
brani delle "Gavette" e dai ricordi di De
Marzi. Nella sala non volava una mosca,
il pubblico era attento, incantato e rapito
da sentimenti profondi che esplodevano,
al termine di ogni esecuzione, in entusiastici e fragorosi applausi.
La sala è, poi, stata letteralmente travolta dalla commozione
quando i due cori, congiuntamente, hanno intonato, insieme
al pubblico - rigorosamente in
piedi - “Sul ponte di Perati” e
“Signore delle Cime”.
La serata si è, poi, conclusa nella prestigiosa sede del Gruppo
di Cinisello Balsamo ove, nel
corso della cena, i Crodaioli di
De Marzi hanno tenuto un
…"secondo concerto"…
***
Unica nota triste di tutta questa
incredibile giornata, è stata la
Il Gruppo Milano centro è intestato a Giulio Bedeschi.
(Continua a pagina 4)
Alpin del Domm 3
(Continua da pagina 3)
mancanza di un amico illustre e sincero
del nostro Gruppo che era stato uno dei
protagonisti e degli artefici della prima
serata in ricordo di Giulio Bedeschi: l'alpino, il professore, l'amico Giuseppe
Cantamessa che, poco meno di un mese
prima della serata al Dal Verme era
"andato avanti".
Noi siamo certi, comunque, che il prof.
Cantamessa era con noi anche il 9 di giugno e desideriamo, per questo, ringraziarlo ancora una volta e ricordarlo, riportando un breve racconto (liberamente
ispirato ad un brano di uno degli autori
del '900 che maggiormente amava, Paolo
Monelli) che il figlio Alessandro ha letto
al termine della cerimonia funebre.
"Il 14 maggio 2001 l'alpino Giuseppe
Cantamessa ha affardellato il suo zaino
e si è trasferito in tutta fretta in Paradiso.
Perché tutti gli alpini che "vanno avanti", vanno in paradiso: dalle montagne a
lì non c'è che un passo.
Ma affacciatosi curioso al Paradiso delle "penne mozze", invece dello sguardo
arcigno del Generale Cantore vede un
gruppetto di ragazzi corrergli incontro
sorridenti e vocianti. Quando gli si
stringono attorno festosi egli riconosce
i visi: sono alcuni dei suoi ragazzi dei
primi anni di insegnamento nel dopoguerra: quasi coetanei e, qualcuno, anche col cappello alpino in testa. Qualcun
altro, assai più giovane e solitario si tiene in disparte: il Professore lo afferra
vigorosamente per un braccio e lo trae
a se, tenendolo vicino.
Poi ordina subito di arieggiare l'ambiente. Non ci sono finestre da aprire, ma
l'ordine è perentorio: "c'è troppa afa in
questo posto, forse quel sole caldo è
troppo vicino...".
Quindi ordina a tutti di
prendere posto e comincia
a passeggiare silenziosamente avanti e indietro.
Si ricorda anche di uno
straccio della polvere sempre presente nella sua borsa: "spolverate cattedra,
sedia e pulire la lavagna!"
dispone asciutto ai suoi capiclasse.
Di tanto in tanto giungono
altri ragazzi. Chi in gruppi
affiatati, chi alla spicciolata e qualcuno, isolato, si avvicina timido ed incerto.
Ogni volta sono baci ed abbracci e vigorose pacche
sulle spalle.
Poi invita ognuno a prendere ordinatamente posto.
Ci sono gli alunni dei primi anni di insegnamento alla statale, poi le mitiche maturità dell'Istituto Gonzaga. Il professore sente un fremito d'orgoglio: quante
personalità e professionisti di rilievo tra
loro! Sono le classi delle gite semiserie al
Dente del Gigante ed alla Madonnina del
Grappa.
Un vocìo squillante e petulante annuncia
le più giovani classi miste, con le gaie presenze femminili entusiaste delle visite ai
reparti Alpini tra i monti della Pusteria.
Per ultimi (ma non meno importanti per
lui) i privatisti dei bienni, gli ultimi allievi
della sua lunga carriera d'insegnante. Avanzano lenti, questi ultimi, ancora memori della grande fatica sostenuta. Ma il
Professore li sprona, li incita e li incoraggia più degli altri.
Poco in disparte Luigi, il vecchio amico
dell'Università che l'ha preceduto per
organizzargli l'aula, anch'egli insegnante
e famoso scrittore, tenendo sotto il
bra c c i o u n a c o p i a d e l s u o
"Velocifero" (col quale era giunto fin
lì) osserva la scena con sguardo sornione: ripensa al Beppe Cantamessa
come al gigante della montagna che
utilizza gli abeti come stuzzicadenti...
Quando anche l'ultimo allievo è arrivato ed ha preso posto, improvvisamente il Professore ordina:
"Silenzio, via tutto dai banchi!".
Ma invece di iniziare un'interrogazione scritta, il Professor Cantamessa si volta si, inginocchia e prega:
"Questi sono i miei ragazzi, Signore
Iddio. Tu li accogli e li benedici".
Posa il tuo zaino Professore Alpino! .
***
4Alpin
Alpin
del del
Domm
Domm
Nessun resoconto scritto della serata, per
quanto dettagliato possa essere, riuscirà
mai a descrivere appieno l'intensità e la
molteplicità delle sensazioni e dai sentimenti che i due cori sono riusciti a suscitare in ogni singolo spettatore.
Ad ogni buon conto, anche per sgombrare il campo dal dubbio che questa cronaca sia viziata da "partigianeria", ci pare
opportuno riportare il pensiero ed i commenti di alcuni personaggi che hanno
preso parte alla manifestazione.
È doveroso, ovviamente, lasciare la prima parola al nostro Presidente Nazionale
Beppe Parazzini che ci ha scritto:
"Caro Alessandro,
con la seconda iniziativa pubblica il Gruppo Milano Centro ha
evidenziato la sua personalità finalizzata a valorizzare e diffondere la cultura
alpina in una società che, solo apparentemente, sembra averla accantonata.
Al rammarico delle centinaia di persone
che, per mancanza di posti, hanno dovuto rinunciare alla manifestazione, hanno
fatto da contraltare la gioia e la commozione delle migliaia di persone presenti.
Il Gruppo Milano Centro, a cui va pertanto il mio plauso più sincero, saprà regalarci ancora tante emozioni alpine: ne
sono certo.
Salutissimi alpini.
Beppe Parazzini"
***
Graditissima ospite d’onore è stata la
moglie di Bedeschi, la signora Luisa, che
così ci ha scritto :
"Entrando nell'immensa sala del Teatro
Dal Verme ho provato un sentimento
misto di commozione e di sgomento;
sala, hanno intonato
Sul ponte di Perati.
Peppino Prisco"
***
Non potevano mancare, ovviamente, le
parole dei due protagonisti della serata, i
maestri dei due cori.
Bepi De Marzi ci ha scritto:
"Cominciamo … dalla fine!
Quando tutti si
stanno preparando
ad uscire dal bel- "Mi ha sorpreso il Capogruppo che chielissimo e rinato deva “possiamo cominciare?”. E in prima
"Teatro Dal Ver- fila, il Presidente Parazzini, poi
me", i due cori (75 l’avvocato Prisco e, appena dietro,
elementi) avanzano Bearzot.
nel proscenio verso Emozione? Sì, molta emozione. Cantare
il pubblico plauden- vicino al Coro dell’ANA!
te. Marchesotti e Alto, come un sospiro liberato dalla meDe Marzi invitano moria, l’amico Flaminio Gervasi.
tutti a cessare "Aprite le porte” era una sinfonia tra le
l'applauso vivacis- sinfonie. “Possiamo cominciare?”.
La signora Luisa Bedeschi e il presidente nazionale Beppe Parazzini simo per partecipa- Ma come si può trasformare un concerre all'ultima canzo- to al Dal Verme in un girotondo? Ecco la
ne. Così, dopo un attimo di silenzio, can- suora che parla di tumori, di tragedie,
quanta gente! Un pienone inaspettato.
di lacrime. Ha la voce innamorata e deErano venuti veramente a ricordare mio tiamo tutti l'inno più triste ma forse
cisa di chi raccoglie la disperazione dei
marito? Signore che emozione! E poi i più solenne di noi alpini: "Sul ponte di
poveri del mondo. Forse erano così le
canti, la lettura dei brani dei libri ed ap- Perati, bandiera nera". Per l'esattezza,
voci dei comandanti che sostenevano gli
plausi, tanti, che erompevano dopo l'at- pur essendo stonato e con una pessima
alpini nella Ritirata di Russia.
voce,
io
l’ho
cantato
spesso
ad
ogni
riutenzione ed il silenzio durante le cante,
Anche la signora Luisa è in prima fila. I
nione
degli
avvocati
alpini.
Eppure
lì
al
eseguite con passione e grande bravura
Dal Verme una profonda, improvvisa Bedeschi hanno il dono del sorriso che
dai due Cori.
rassicura. Il fratello Beppe, rimasto a
Mio marito mi diceva molto spesso, che commozione mi blocca e devo lottare
Verona, è qui seduto tra i tenori seconogni mattina alzandosi, ringraziava il si- con me stesso per non scoppiare a piandi. Gli piace cantare e far cantare. Angnore (per la sua vita), in quanto era vivo gere, per nascondere agli altri quanto
che a Giulio piaceva cantare. Muoveva la
perché uno davanti a lui era morto sal- sento nel mio animo; ma alla fine non
mano come se volesse armonizzare i
vandolo. Ed aggiungeva: è per questo che riesco a trattenere le lacrime; poi gli
suoni del vento. Sorridendo, sempre
dedico tanto tempo, tutto il tempo che abbracci dei tanti amici mi dimostrano
sorridendo.
che
il
mio
pudore
era
ingiustificato.
posso, a quei ragazzi, perché finché saMando allora un sorriso a Massimo Marranno nei nostri cuori, continueranno ad Grazie dunque a De Marzi e a Marchechesotti, amico e fratello. “Fatti il coesserci, ed è questo, e vi assicuro che sotti ed ai loro coristi; e grazie al
dino bianco come lui”, mi dicono i tenori
non è retorica, che ho sentito sabato. Gruppo "Milano Centro", a Vincenti a
primi
sempre un poco maliziosi. Dio mio,
Giulio e i suoi compagni erano con me e Lavizzari ed a quanti hanno dato l'anima
noi
qui
a cantare con il Coro dell’ANA di
ed il cuore per organizzare questo macon noi tutti.
Ringrazio con tutto il cuore, per primi gli gnifico pomeriggio di
Alpini milanesi e Milano Centro e unendoli giugno!
tutti, ricordo Alessandro Vincenti quale E grazie soprattutto
a Giulio Bedeschi, cui
loro rappresentante..
Ringrazio vivamente il Coro "I Crodaioli" la serata è stata dedi Bepi De Marzi, quello dell'ANA di Mi- dicata,. Grazie per
lano del Maestro Marchesotti, mirabili aver scritto Centomila
Gavette
di
esecutori.
Ghiaccio,
non
solo
il
Grazie a Mursia, al Comune ed a tutti i
più
bel
libro
sulla
collaboratori, e un grazie speciale a quel
meraviglioso pubblico a cui, come porta- Campagna di Russia,
voce di Giulio, dico ancora: non dimenti- ma per me una delle
chiamo quei ragazzi, quegli Alpini, quei più belle opere letterarie in assoluto;
soldati che sono morti per la Patria.
Luisa Bedeschi" grazie anche per aver composto musica
e parole di "Alpino
***
Due dei Gruppi presenti: Bareggio e Lacchiarella
Abbiamo anche raccolto le impressioni di della Julia" sconfiun commilitone e carissimo amico di Giu- nando con successo
lio Bedeschi, Peppino Prisco, che nel corso dall'attività di scrittore; grazie per la Milano! “Possiamo cominciare?”, insiste
della serata abbiamo visto con gli occhi lu- fraterna amicizia alpina della quale mi il Capogruppo sperdendo lo sguardo
cidi, quando i due cori, all’unisono con la
ha onorato.
(Continua a pagina 6)
Alpin del Domm 5
canto "esista" ciazione, così ci ha scritto:
davvero o se
sia generato da "Gentile Avvocato Vincenti,
noi stessi, dal a nome degli operatori, dei volontari, e
nostro
corpo mio personale, desidero ringraziare dì
come una dife- cuore Lei e tutti gli Alpini del Gruppo
sa al silenzio. Milano Centro per aver dedicato alla
Cantiamo e ba- nostra Associazione il meraviglioso consta. Il canto certo de "I Crodaioli" e del Coro ANA
corale: è la più di Milano, svoltosi il 9 giugno scorso
ferma negazio- nella splendida cornice dello storico Tene della solitu- atro Dal Verme.
dine. Se nel E' ancora vivissima in noi l'emozione
freddo e nel- profonda che i Cori ci hanno donato in
l'asprezza de- quello che rimarrà un indimenticabile
gli elementi la pomeriggio di armonia musicale che ci
vita è svuota- ha coinvolti tutti, dando eco ai sentita, i canti degli menti di indelebile memoria e di proUno scorcio del palcoscenico in primo piano “I Crodaioli”
alpini sanno ri- fonda umanità che scaturivano dalle pascaldarla d'a- role di Giulio Bedeschi, tratte dal suo
(Continua da pagina 5)
micizia e d'amore. In questi canti, in cui ineguagliabile libro - testimonianza Cenil tema della morte s'affaccia sovente, tomila gavette di ghiaccio".
nell’immensa sala che pare salire alle nugli alpini hanno saputo calare la solenni- E poi, al termine dello spettacolo. ecco
vole. Ma il Presidente nazionale capirà le
tà del divino nel quotidiano della vita e un'altra espressione di concreta solidamie venete passioni, le mie ansie, le mie
meritano, senza alcun dubbio, un posto rietà verso le persone malate e i loro
rabbie, le mie delusioni?
di assoluto privilegio. Sentirli cantare, familiari ospitati nelle nostre Case: la
“Prossimi alle stelle…”.
e noi stessi cantarli, dà un senso di si- raccolta di offerte nel grande
Sperduti nella felicità. Possiamo comincurezza, di malinconia. Mai c'è in loro lo "salvadanaio" posto nell'atrio del teaciare.
spirito guerriero nel senso peggiore, tro. Offerte totalmente devolute alla
Grazie, alpini di Milano Centro.
c'è invece la solidarietà, l'amore della nostra Associazione, per un totale di
***
Massimo Marchesotti, dal canto suo:
vita privi di ogni fronzolo. Sono i canti Lire 16.100.000.
della preghiera perché il massacro ab- Tutto ciò si è realizzato grazie a Voi,
Alpini del Gruppo Milano
"Ricordo bene il giorno che visitamCentro, grazie al Vostro
mo con Alessandro Vincenti e Gianvivo esempio di condiviluca Marchesi il nuovo Teatro Dal
sione.
Verme per quello che sarebbe stato
Questo contributo ci aiuil concerto dedicato a Giulio Bedeterà a sostenere alcune
schi.
spese che vogliamo afChe impressione ci fece. Pensammo
frontare per migliorare e
che mai saremmo riusciti a riempirrendere più confortevoli
lo. Troppo grande e forse troppo
gli ambienti a disposizioimportante per noi.
ne dei nostri ospiti duNon fu così. Qualcuno aiuta gli aurante la loro permanenza
daci: soprattutto se sono alpini. La
così lontano da casa.
sala si riempì. Eccome si riempì.
In ultimo, pensando di
In prima fila le autorità: il PresifarVi cosa gradita, Vi aldente Parazzini, l'onorevole Prospeleghiamo la lettera che ci
rini, Peppino Prisco - non ci chiese
è giunta da una nostra cadi cantare, come sempre succede,
Suor
Anna
Maria
Marconi
e
il
capogruppo
Sandro
Vincenti
ra
amica che ha assistito
"sul Ponte di Perati", era già in proal concerto e che conosce
gramma e venne cantato da tutto il
bia termine.
pubblico -.
Massimo Marchesotti molto bene la nostra opera. A Voi …
I due cori, seduti uno da una parte, uno
Coro ANA Milano" commentarla!
Nel ringraziarvi ancora d'essere condall'altra, si studiavano. Noi eravamo tesi
***
cretamente al nostro fianco, rinnoviamo
come corde di violino. Li conosco bene i La serata è stata anche occasione per racl'invito a mettersi in contano con noi a
miei coristi. Cantare con i Crodaioli di De cogliere fondi a favore della associazione
tutti coloro che desiderino approfondiMarzi è una cosa che ti toglie il fiato. "Casa dell'Accoglienza" che si occupa di
accogliere
i
malati
di
tumore
ed
i
loro
fare la conoscenza dei diversi ambiti di
Che gioia, per me, trovare l'amico Bepi a
miliari.
La
generosità
del
pubblico
ci
ha
possibile volontariato presso la nostra
Milano. Quanti concorsi e quanti convegni
consentito di consegnare un contributo
Associazione.
passati insieme, a parlare, a conoscersi.
molto importante e la sig.ra Lucia CaSperando in una prossima e graditissiQuante intese tra noi. Adesso arriva il
gnacci Vedani, presidente di questa assoma occasione di incontro, Vi salutiamo
nostro momento. Nessuno può dire se il
6Alpin
Alpin
del del
Domm
Domm
con la più viva cordialità.
Luisa Cagnacci Vedani"
***
E poi anche Suor Annamaria Marconi, la
"stupenda e dolcissima suor Annamaria"
come l'ha definita il maestro Bepi De Marzi, ha voluto dedicarci qualche riga:
"Cari amici,
così mi permetto di chiamarvi
dopo la cordialità dimostratami.
Il mio scritto non è quello ufficiale (ci sarà chi lo preparerà) ma solo quello dettato da un cuore commosso e colmo di gratitudine. E questo non solo per i fondi
raccolti, ma perché ho capito che i problemi "sommersi" della nostra Casa, sono
stati ascoltati con "cuore".
Complimenti per la "qualità" e la proposta
della serata.
La "vicenda" del nostro incontrarci ha i
segni della Provvidenza e la spontaneità
di chi non sta troppo a ragionare, ma colto il bisogno - si rimbocca le maniche,
si dà da fare e ti assicura "su di me puoi
contare".
Ho sentito attorno a noi tanto affetto e
benevolenza. Sono certa che potremo
collaborare per ripetere ad ogni fratello
che bussa alla nostra porta: se vuoi c'è
un posto per dormire, un pane da spezzare e un'esperienza da condividere.
Questo è per me il Vangelo che non sta
tanto a porre l'attenzione su
"disquisizioni teologiche", ma si
fa vicinanza semplice, cordiale.
Grazie ancora. Per tutti i cari Alpini avrò un ricordo e una preghiera.
A presto.
Sr. Annamaria Marconi"
***
Da ultimo, riportiamo quello che la
stampa ha pubblicato, prima e dopo il concerto.
da AVVENIRE - 6 giugno 2001
A dieci anni dalla scomparsa, una
manifestazione per riscoprire il
medico - scrittore che in vita fu
spesso frainteso
BEDESCHI: CENTOMILA GAVETTE
TOLTE DAL FRIGO DEI CENSORI
Sarà mica stato un po’ “revisionista” anche lui, ed ante litteram, il dottor Giulio
Bedeschi: dottor perché medico e non
perché scrittore tra i più venduti (e i meno riconosciuti) degli ultimi 50 anni?
Il sospetto aleggia: Bedeschi dovette
bussare a 17 porte di editori prima che il
diciottesimo – Ugo Mursia, che da allora
in poi stampò tutti i suoi titoli – accettasse di pubblicare nel 1963 le Centomila gavette di ghiaccio.
Ma non fu solo la stanchezza degli italiani per tutte le memorie di guerra a
indurre gli editori a rifiutare un best
seller che oggi conta oltre tre milioni di
copie vendute, ben 132 edizioni, innumerevoli premi; fu anche la censura ideologica che non volava dare spazio ai
reduci dalla tragica campagna di Russia
(i “fascisti” colpevoli di avere assalito la
gran madre del proletariato…) a dissuadere il mondo degli intellettuali dal dar
credito a Bedeschi.
Il quale però – ben prima di Ciampi a
Cefalonia e di Alessandro Natta con
quel suo libro che rivaluta gli internati
italiani in Germania – non smise di raccogliere sui suoi taccuini le memorie dei
soldati qualunque: su qualsiasi fronte
avessero combattuto, e anche se non
avevano fatto la resistenza con la R
maiuscola. Ne nacquero i dieci volumi
del C’ero anch’io: da Nikolajewka: C’ero
anch’io del 1972 al terzo tomo di Prigionia: c’ero anch’io, uscito a poche settimane dalla morte dell’autore, e passando attraverso tutti i paesaggi –
l’Albania, l’Africa, i Balcani, l’Italia
stessa – che i connazionali in grigio verde dovettero frequentare nell’ultima
guerra, quasi sempre loro malgrado.
Comune, editore – gliela allestisce sabato 17 presso il Teatro dal Verme, ingresso libero; nessuna commemorazione, bensì la lettura di brani dai suoi libri inframmezzati dalle “cante” del Coro ANA di Milano (diretto da Massimo
Marchesotti) e da quelle de “i Crodaioli”
di Bepi De Marzi. Il tutto per
“condurre il pubblico alla scoperta del
significato di speranza e di fiducia nella
umanità presente nelle opere di Bedeschi”.
“Scoperta”, già. Che Bedeschi infatti
non sia stato capito o travisato in vita
(eccetto – e non è poco – che dai semplici lettori i quali continuarono a commuoversi portando Il peso dello zaino o
assaporando La mia erba è sul Don) lo
scrive con la consueta poesia ma senza
remore di penna sulla rivista Giovane
Montagna lo stesso De Marzi: il quale
del medico-scrittore è stato amico, oltreché conterraneo (ambedue sono nati
ad Arzignano, nel Vicentino, Bedeschi
nel 1915): “Come spesso accade ai generosi, è stato persino frainteso…
Frainteso e criticato malevolmente anche da certi settori del reducismo che,
soprattutto, non avrebbero voluto che
parlassero i semplici soldati…Frainteso
perché si è voluto vedere nella sua faticosissima e delicata operazione (la raccolta di testimonianze di militari qualunque) non il gesto
di un uomo generoso
che tende le ani ai
dimenticati,
bensì
una disincantata operazione militare…
Bedeschi non sarà
mai un caso letterario, e proprio per la
supponenza dei critici e degli scrittori
di professione che
mal sopportano il
successo dell’ultimo
arrivato”.
“In tutti questi anni
sono passato a conclusioni sempre più
ampie e sempre più
Il tenente Pietro Marchisio reduce del “Conegliano”
affratellanti”, riveA dieci anni dalla scomparsa (è morto a lava in una delle ultime interviste
Verona nel 1990) l’ufficiale medico del- l’autore, che – nonostante il successo –
la divisione alpina “Julia” Bedeschi, so- aveva continuato a fare il reumatologo a
pravvissuto alla ritirata sul Don, viene Milano. Quali conclusioni? “Estrarre
ora ricordato a Milano in una serata il l’uomo che soffre dal soldato che comcui titolo avrebbe gradito: “Dispersi nel batte. Capire come l’uomo possa salvare
silen zio, prossimi alle stelle”. la sua dignità anche in situazioni increL’Associazione Nazionale delle penne dibili. Evitare che una generazione,
nere – in collaborazione con Regione,
(Continua a pagina 8)
Alpin del Domm 7
(Continua da pagina 7)
quella dei militari italiani nella Seconda
Guerra Mondiale, risulti una generazione
maledetta o, peggio ancora, inutile”.
Eccolo il “revisionismo” mite dell’alpino,
medico e scrittore Giulio Bedeschi: uno
che tornando dal fronte russo aveva giurato di non toccare mai più la neve e per
noi posteri si ritrovò a scongelare Centomila gavette di ghiaccio.
* * *
teatro Dal Verme.
L’iniziativa è stata promossa dal Gruppo
Alpini Milano Centro per ricordare Giulio Bedeschi, “alpino, medico, scrittore”,
come lui stesso amava definirsi, nato ad
Arzignano (Vicenza) il 31 gennaio 1915 e
scomparso a Verona, dove si era da poco trasferito, nel dicembre 1990.
Bedeschi è stato ufficiale medico
nell’ARMIR (armata italiana in Russia),
da METRO – Venerdì 8 giugno 2001
“Cori alpini per Bedeschi al
Dal Verme”
UN CONCERTO BENEFICO A
INGRESSO GRATUITO, AL DAL
VERME,
RICORDANDO GIULIO BEDESCHI.
Sarà domani alle 17,00, organizzato dal gruppo Alpini di
Milano, con i canti del Coro
ANA e dei Crodaioli di Bepi
De Marzi, un omaggio alla figura di Giulio Bedeschi,
l’autore di Centomila gavette
di ghiaccio di cui ricorre il
decennale della scomparsa.
Proprio dal suo celeberrimo libro è tratta
la fase messa ad epigrafe
dell’avvenimento: “Dispersi nel silenzio,
prossimi alle stelle”.
Saranno raccolti fondi per l’associazione
Casa dell’accoglienza, che assiste i malati
di cancro.
***
dal CORRIERE DELLA SERA – venerdì 8 giugno 2001
“Due Cori alpini …”
Teatro Dal Verme (Via San Giovanni sul
Muro, 2)
Alle 17,00, due cori alpini, i “Crodaioli” diretti da Bepi De Marzi e il Coro dell’ANA
di Milano, guidato da Massimo Marchesotti, compongono un concerto in memoria di Giulio Bedeschi, con letture dei
suoi brani.
***
da IL GIORNO – Venerdì 8 giugno 2001
“E
LE STELLE STAVANO A GUARDARE”
(Marzio Gazzetta)
“Dispersi nel silenzio, prossimi alle stelle”.
È questo il suggestivo titolo della serata
in programma domani (inizio ore
17.00 con ingresso gratuito) allo storico
8Alpin
Alpin
del del
Domm
Domm
Scorcio della sala gremita
protagonista e testimone della tragica
ritirata nel gennaio 1943 tra i ghiacci
della pianura russa, in cui furono coinvolti tanti soldati italiani e soprattutto
gli alpini della Divisione Julia, da lui magistralmente narrata nel suo capolavoro
Centomila gavette di ghiaccio.
La serata sarà caratterizzata dal concerto de “I Crodaioli”, gruppo sorto nel
1958 ad Arzignano, diretto da Bepi De
Marzi, e dal Coro ANA (Associazione
Nazionale Alpini) di Milano nato nel settembre 1949 e, dal 1972, diretto da
Massimo Marchesotti.
Marchesotti, giovanile e dinamico sessantaseienne milanese, diplomato in pianoforte al Conservatorio di Milano, alterna l’hobby della musica all’impegno
professionale della pittura, esponendo
con successo le sue opere in itali ed
all’estero, specie in Danimarca.
E circa l’imminente concerto al Dal Verme il “maestro” Marchesotti ha voluto
precisare: “La serata milanese, realizzata grazie alla preziosa collaborazione
della Regione Lombardia, della Banca
Mediolanum, della Casa Editrice Mursia,
nonché delle autorità comunali che hanno offerto la prestigiosa sede del Teatro Dal Verme a titolo gratuito, è stata
dedicata a Giulio Bedeschi e non certo
casualmente.
Infatti, il Gruppo Milano Centro
dell’Associazione Alpini, promotore
dell’iniziativa – ha evidenziato con Marchesotti – è intitolato a Giulio Bedeschi,
vicentino di nascita, ma milanese
d’adozione, il grand’uomo che con le sue
opere ha contribuito in modo determinante alla divulgazione dei valori basilari dell’immenso patrimonio spirituale
degli alpini.
Non solo: non tutti sanno che il libro Centomila
gavette di ghiaccio di
Bedeschi fu rifiutato, e
per ben diciotto anni, da
tutti gli editori ai quali
era stato proposto; e
soltanto
nel
1963
l’editore milanese Ugo
Mursia lo pubblicò, intelligentemente, in una
collana di libri interamente dedicata alla Seconda Guerra Mondiale.
Da allora questo intramontabile classico della
letteratura di guerra ha
raggiunto il traguardo di
ben 130 ristampe”.
COME SI ARTICOLERÀ LA
SERATA?
“Saranno letti brani delle opere scritte
da Bedeschi, a cui seguirà una serie di
canzoni eseguite dai “Crodaioli” e dal
Gruppo ANA di Milano, composto da 44
coristi.
All’ingresso del teatro Dal Verme saranno esposti tre grandi quadri: due realizzati da Piero Gauli, che ha partecipato alla campagna di Russia, ed uno
mio, in cui campeggia un gigantesco cappello alpino rosso in ricordo del martirio
della Julia e di tutti i soldati italiani, a
fianco di una giallo girasole, il fiore che
accolse gli alpini che si trovarono sul
fronte russo nell’estate del 1942”.
***
da IL GIORNALE DI VICENZA – 13
giugno 2001
“I Crodaioli ricordano Bedeschi. Tanta commozione a Milano”
“Tutto ora tace: a illuminar la neve neppure s’alza l’ombra di una voce…”: ai
versi di Carlo Geminiani, ormai diventati
un classico poetico sulla ritirata di Russia, e con la musica di Bepi De Marzi,
nell’immenso Teatro Dal Verme di Milano, c’è stato un fremito di emozione.
L’avvocato Prisco, seduto in prima fila,
accanto al presidente nazionale degli
alpini, non ha nascosto la commozione.
Il coro di Arzignano mancava dal capoluogo lombardo da qualche anno.
L’ultima volta era stato all’Università
Cattolica mentre alla prima, nel salone
del Circolo della Stampa di Palazzo Serbelloni, era stato introdotto proprio
dallo scrittore Giulio Bedeschi che sabato scorso, a dieci anni dalla scomparsa, è stato ricordato con il concerto dei
“Crodaioli” nel rinnovato Teatro Dal
Verme, nel cuore storico di Milano, trasformato in perfetto auditorium per
concerti.
Accanto ai “Crodaioli”, il coro dell’ANA
di Milano, diretto da Massimo Marchesotti, anch’egli compositore, ma anche
pittore, barbuto artista delle immagini
provocatorie.
Organizzato dal Gruppo Milano Centro,
il concerto ha registrato una partecipazione incredibile di pubblico, centinaia
di spettatori già in attesa dalle prime
ore del pomeriggio.
Il tema, concertato da De Marzi e Marchesotti, è stato incentrato su un passaggio del libro “Centomila gavette di
ghiaccio”: “Dispersi nel silenzio, prossimi
alle stelle”.
Così è stato possibile svolgere un itinerario musicale punteggiato dalle toccanti
sottolineature letterarie che, prese dai
libri di Bedeschi, sono state proposte
dalle voci degli stessi coristi: per i
“Crodaioli” Maurizio Signorini e Tono De
Marzi.
Ha suscitato addirittura stupore la nuova, inattesa versione corale di “Joska la
rossa”, come pure “L’ultima notte” eseguita in un gregorianeggiante unisono dalle
suggestive profondità timbriche.
E per ricordare l’infanzia di Bedeschi ad
Arzignano, dove è nato nel 1915, ecco una
ninna nanna di De Marzi in dialetto vicentino, proposta da quattro sole voci soliste: Claudio Fortuna, Moreno Dani, Tono
De Marzi e Paolo Marana. Infine, per sottolineare “la riconciliazione” dello scrittore con la neve, incubo della ritirata del
1943, riconciliazione datata 1946 e che
ha segnato l’avvio dell’ufficiale medico
Bedeschi all’attività letteraria della grande memoria, ecco il canto che dice “Ora
verrà la neve, verrà la tramontana e coprirà le pietre della fontana. Chiudi per
me la porta, la porta verso il prato e lascia fuori il tempo: è già passato…”
***
da Lettera al Direttore - CORRIERE
DELLA SERA - 13 giugno 2001
RICORDO
DI
GIULIO BEDESCHI – VALORI
ANCORA VIVI
Desidero vivamente ringraziare il Gruppo Alpini di Milano Centro che sabato 9
giugno ha organizzato presso il teatro
Dal Verme un pomeriggio in ricordo di
Il retro … coro
Giulio Bedeschi.
Il Coro dei “Crodaioli” diretto da Bepi
De Marzi e il Coro dell’ANA diretto da
Massimo Marchesotti hanno eseguito
bellissimi canti di montagna e
dell’ultima guerra, inframmezzati dalla
lettura eseguita in modo magistrale di
brani tratti da “Centomila gavette di
ghiaccio” e da altri libri di Bedeschi.
Pur essendo gremita fino all’ultimo posto, nella sala c’erano un silenzio assoluto ed una palpabile commozione, che accomunava tutti i presenti, fra i quali
stavano diversi bambini.
Credevo che lo spirito di Patria, il rispetto e la commemorazione dei suoi
caduti, l’amore per la montagna inteso
come elevazione dello spirito fossero
ormai sentimenti sorpassati.
Questo pomeriggio mi ha fatto scoprire
con grande piacere che questi valori sono ancora vivi in tanti di noi.
Candida Giuliani
***
da “Il Coro informazioni” anno 6, numero 7/8, luglio agosto 2001 p. 5
Ricordando Giulio Bedeschi:
Alpino, medico, scrittore
Non è stato un sabato qualunque quello
del 9 giugno 2001 al rinnovato Teatro
Dal Verme di Milano, era un grande ricordo per un grande uomo, che il Gruppo Alpini Milano Centro ha voluto com-
memorare con un meraviglioso concerto
corale. Giulio Bedeschi: alpino, medico e
scrittore di Arzignano (Vicenza), nato il
31 gennaio 1915 e scomparso nella città
di Verona nel 1990. nella nefasta campagna di Russia fu ufficiale medico
n e l l ’ A R M I R
(Armata Italiana in
Russia) dove nel
gennaio
1943 si
trovò coinvolto nella tragica ritirata
dove la lunga fila
dei fantasmi in grigioverde si perdeva
nella
sconfinata
pianura russa (dal
canto di Bepi De
Marzi “L’ultima notte degli alpini”) e
tra questi gli alpini
della divisione Julia. testimoniando
tutto questo per
non
dimenticare,
scrisse questa tragica realtà nel suo
grande capolavoro: Centomila gavette di
ghiaccio. E quel sabato di giugno nel Teatro Dal Verme, alla presenza di autorità, penne nere e pubblico, si alzava un
canto, il canto degli alpini magistralmente interpretato da due grandissimi
cori, “I Crodaioli” di Arzignano
(Vicenza) diretto dal Maestro Bepi De
Marzi e dal coro ANA (Associazione
Nazionale Alpini) di Milano diretto dal
Maestro Massimo Marchesotti. Ma gli
alpini non lasciano nulla al caso, infatti
dopo i dovuti ringraziamenti alla regione Lombardia, Banca Mediolanum e Casa
Editrice Mursia per la loro collaborazione e alle autorità comunali che a titolo gratuito hanno offerto il Teatro
Dal Verme, sono stati raccolti fondi per
l’Associazione Casa dell’Accoglienza che
ha lo scopo di accogliere i malati oncologici in terapia presso l’Istituto dei
Tumori e l’Istituto Besta, ed il parente
che li accompagna. E sulle note del canto “Signore delle Cime” le 1500 persone
presenti in sala si sono unite all’unisono,
all’esecuzione dei due cori mentre il nostro pensiero andava ancora all’alpino,
medico, scrittore Giulio Bedeschi e al
suggestivo titolo di questa manifestazione “Dispersi nel silenzio, prossimi alle stelle”.
(M. Magni)
(Continua a pagina 10)
Alpin del Domm 9
per "un'iniziativa che mantiene la cultura dell'alpinità in una società che sembra trascurare i valori e nella quale gli
Al teatro Dal Verme il Coro ANA della
alpini sono insostituibili. Grazie anche a
Sezione di Milano diretto dal maestro
Prosperini - ha continuato Parazzini Massimo Marchesotti e "I Crodaioli" di
che si adopera per far tornare gli alpini
Bepi De Marzi.
in Lombardia e a Milano, culla del glorioso 5° Reggimento. E grazie anche a
UN CONCERTO DI CORI SULL'ONDA
voi, che siete qui questo pomeriggio,
DEI RICORDI
perché avete capito gli sforzi che la nostra Associazione sta facendo per la
organizzato dagli alpini del "Milano Censalvaguardia dei valori".
tro", con lettura di brani tratti da
Il resto è stato concerto, di altissima
"Centomila gavette di ghiaccio" di Giulio
levatura e impatto: il pubblico ha apBedeschi al quale è stato dedicato il noplaudito ogni esecuzione dei due cori,
me del Gruppo. Una raccolta di fondi per
che hanno cantato alternandosi e alterla Casa dell'Accoglienza, i cui volontari
nando brani di Bedeschi. Il maestro
assistono malati terminali ed i loro famiMarchesotti ha diretto il suo coro e
liari.
tutto il pubblico nel "Ponte di Perati".
Quello di sabato 9 giugno al teatro Dal
Altrettanto commovente il ricordo di
Verme di Milano non è stato uno spettaBepi De Marzi, quando ha raccontato di
colo fra i tanti: è stato tutto speciale.
aver cantato a Bedeschi "L'ultima notte
Per la peculiarità degli attori, per le sue
degli alpini", musicata dallo stesso De
motivazioni, per i suoi contenuti.
Marzi su parole di Carlo Geminiani sulla
Possiamo dire che, più ancora di quanti si
tragedia della ritirata di Russia. "Che
sono esibiti sul palcoscenico, la protagobella - disse lo scrittore alpino - Perché
nista assoluta è stata ...l'alpinità, quenon la cantate a una voce sola? Così post'immenso patrimonio degli
trei cantarla anch'io…".
alpini fatto di rispetto dei
"Stasera faremo così",
valori fondamentali, delle
ha annunciato De Marzi.
proprie tradizioni e radici,
E il suo coro ha splendifatto di altruismo e di genedamente cantato, quasi
rosità. Il pomeriggio - orgauna preghiera, a una vonizzato dagli alpini del Gruppo
ce sola, tranne l'ultima
Centro della Sezione di Milanota, un rintocco di
no in collaborazione con la
campana esploso a quatRegione Lombardia, la presitro voci: colpo basso,
denza del Consiglio comunale,
caro Bepi, che hai fatto
il nostro Centro Studi ANA,
venire un nodo in gola.
la Banca Mediolanum e la casa
Poi De Marzi ha coronaeditrice Mursia - era dedicato un vecchio sogno:
to alla memoria di Giulio Becantare con il coro ANA
deschi e comprendeva un
di Milano, nel "Signore
concerto di cori alpini e di
delle Cime".
Carla De Albertis Spizzico del Comune di Milano e Beppe Parazzini
montagna eseguiti da due
Era ormai il momento
formazioni d'eccezione: il coro della se- Verme, a conclusione di questa splendi- del commiato. La gente ha lasciato il tezione ANA di Milano, del maestro Massi- da serata, gli spettatori hanno risposto atro a malincuore: uscendo, ciascuno ha
mo Marchesotti e il coro dei Crodaioli, all'appello con generosità.
lasciato un aiuto alla Casa dell'Accodiretto dal maestro Bepi De Marzi.
Il vice presidente del Consiglio regiona- glienza, risultato superiore a ogni aLa fama delle due corali ha fatto accor- le della Lombardia Piergianni Prosperini, spettativa. Poi, cantori e ospiti, hanno
rere al Dal Verme centinaia di persone, alpino, ha ringraziato il pubblico e ha raggiunto la sede degli alpini di Cinisello
anche da fuori provincia.
ribadito l'impegno a far sì che in Lom- Balsamo, dove hanno cenato e concluso
I 1800 posti del teatro erano al comple- bardia ci sia una caserma a disposizione la serata con i responsabili della Casa
to: per motivi di sicurezza, circa trecen- degli alpini di leva e di leva annuale, "in dell'Accoglienza, esibendosi ancora, ma
to altre persone sono state costrette a modo da non essere costretti a manda- solo per il piacere di cantare, come si
rinunciare allo spettacolo semplicemen- re i nostri ragazzi a fare il servizio mi- usa fra alpini. Mentre la sala cadeva nel
te ...perché la sala non poteva contenerle.
litare negli alpini in altre regioni".
silenzio, i Crodaioli hanno cantato l'Ave
Gli onori di casa sono stati fatti dal capo- Il presidente nazionale Beppe Parazzini, Maria a suor Anna Maria che avevano
gruppo di Milano Centro Alessandro Vin- che era accompagnato dall'avvocato ormai ...adottato. E benché fosse un
centi, che ha ringraziato tutti, collabora- Peppino Prisco e dal presidente della momento di allegria e di gioia, qualcuno
tori, coristi e spettatori e ha spiegato il sezione di Milano Tullio Tona, ha elogia- aveva gli occhi lucidi per la commozione.
motivo della serata: onorare Giulio Bede- to gli alpini del gruppo Milano Centro
(g.g.b.)
(Continua da pagina 9)
da L'ALPINO - Settembre 2001
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Alpin
del Domm
del Domm
schi, dedicare il gruppo Milano Centro
alla sua memoria (la signora Luisa Bedeschi ha scoperto - fra gli applausi - la
targa che annunciava la nuova denominazione del gruppo) un concerto di cori
alpini intercalati da letture di brani
tratti da Centomila gavette di ghiaccio,
il capolavoro di Bedeschi, un capolavoro
della letteratura italiana che ha superato i tre milioni di copie in 132 edizioni. E, come ha detto Vincenti, "poiché
gli alpini, non fanno nulla che non lasci
anche un segno di solidarietà", per aggiungere un segno concreto alla serata
hanno lanciato la raccolta di fondi a favore della Associazione Casa dell'Accoglienza di via Saldini 26, a Milano (tel.
02 71092888) i cui volontari assistono i
malati terminali di tumore e ospitano i
loro familiari. Suor Anna Maria Marconi, ha fornito - se il dolore può essere
compreso in una statistica - qualche numero: 1828, dei quali 282 malati, assistiti soltanto l'anno scorso. E ha raccontato casi strazianti, che sono purtroppo cronaca quotidiana in una città
troppo spesso distratta e ignara. Al Dal
ALPIN DEL DOMM
NOTIZIARIO DEL GRUPPO MILANO CENTRO
SEZIONE ANA MILANO
Numero Unico — Settembre 2001
Fotocopiato in proprio da: Associazione Nazionale Alpini – Sezione di Milano – Gruppo Milano Centro – Giulio Bedeschi
Redazione: Via Vincenzo Monti 36, 20123 Milano – tel. 02.48010991 – Responsabile Sandro Vincenti – Inviato gratis ai Soci
PALAZZO MARINO
SALA ALESSI
25 NOVEMBRE 2000
ATTI DEL CONVEGNO
PROMOSSO
DAL GRUPPO ALPINI MILANO CENTRO
DA
"CENTOMILA GAVETTE DI GHIACCIO"
A "IL PESO DELLO ZAINO"
Alpin del Domm 11
Il tavolo della “Presidenza”. Da sinistra a destra: Alessandro Vincenti, Leonardo Caprioli, Giovanni Marra, Peppino Prisco, Piergianni Prosperini.
Sullo sfondo alcuni componenti del coro “Biele stele”.
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del Domm
del Domm
Alessandro Vincenti (capogruppo): Il
Gruppo Alpini Milano Centro, di recente
costituzione - è nato infatti all’inizio di
quest’anno - , ha voluto organizzare un
evento particolare per celebrare l'inizio
della sua attività. Ci è venuta, quindi,
l’idea di organizzare questo convegno anche in considerazione del fatto che cade
proprio in questo periodo, il decennale della scomparsa di Giulio Bedeschi, che oltre
ad essere lo scrittore notissimo che tutti
conoscete, oltre ad essere alpino - artigliere
alpino -, per tantissimi anni ha frequentato
proprio la Sezione di Milano dell'Associazione Nazionale Alpini. Ci è sembrato naturale, pertanto, che fosse proprio Milano,
gli alpini milanesi, ad avere l'obbligo morale di ricordarlo.
L'idea ci ha subito entusiasmato, ma anche
preoccupato: se l’argomento, infatti, era
senz’altro stimolante e interessante era particolarmente sentita in noi la paura di non
essere all'altezza del compito. Vi era, anche il timore di non riuscire a stimolare
opportunamente il pubblico: quanti avrebbero raccolto il nostro invito? Avevamo
dubbi persino sulla sala da utilizzare: la
Sede Sezionale ovvero questa splendida
Sala Alessi, messaci a disposizione dalla
Presidenza del Consiglio Comunale di Milano. Certo la Sala Alessi è prestigiosa ma
di una capienza elevatissima e ciò ci preoccupava. Del resto, visto la nostra totale inesperienza, ci mancavano del tutto i parametri di riferimento.
La decisione, pertanto, è stata presa più
con il cuore che con la ragione: Bedeschi
meritava una sede prestigiosa e così lo avremmo commemorato nella Sala Alessi di
Palazzo Marino.
Alla fine siamo arrivati al gran giorno e,
guardandomi in giro, mi rendo conto che le
nostre preoccupazioni erano infondate: la
sala è piena all'inverosimile e mi si dice
che non tutti siano riusciti ad entrare. Questo fatto ci conforta perché prova che i nostri valori non sono affatto, come certuni
cercano di far credere, desueti e dimenticati.
Il mio compito, come responsabile del
Gruppo Alpini Milano Centro, è quello di
parlare il meno possibile. Prima, però, di
cedere la parola agli oratori ufficiali debbo
ringraziare le Autorità civili e militari che
hanno voluto essere con noi oggi. Mi scuso
se non faccio un elenco nominativo ma
rischierei di dimenticare qualcuno.
Il primo saluto, oltre ad un caloroso ringraziamento, va certamente alla signora Luisa
Bedeschi che ha voluto essere con noi stasera. Questo applauso penso che sia la prova più vera dell'affetto che lega ancora oggi gli alpini, e non solo gli alpini, a Giulio
Bedeschi. Ringrazio, poi, la Sezione ANA
di Milano che ha voluto far partecipare il
Vessillo sezionale a questa nostra manifestazione e gli altri Gruppi della Sezione
che numerosi sono oggi intervenuti con i
loro Gagliardetti. Ringrazio, poi, il Presidente del Consiglio Comunale di Milano,
Giovanni Marra, che ci ha consentito di
usufruire di questa prestigiosissima sede,
e con lui i consiglieri Gavazzi e Prosperini che non hanno certo lesinato il loro
appoggio ed aiuto fattivo. Un saluto particolare ai reduci di Russia Giovanni Toffoli - artigliere alpino ed infermiere che
fu in Russia con Bedeschi - il tenente
Marchisio, anch'egli del Conegliano, ed
il tenente Ivo Emett che oltre alla Campagna di Russia dovette subire anni di
durissima prigionia.
Consentitemi, infine, di leggere un telegramma che ci è pervenuto dal Vescovo
di Vicenza:
“La prego portare alla serata milanese,
espressione mia spirituale partecipazione a ricordo di Giulio Bedeschi, comunicando il mio plauso agli organizzatori e
compiacendomi con lei degno fratello.
Pietro Nonis Vescovo”.
Vorrei dare subito la parola al Presidente
Marra per un cenno di saluto.
Giovanni Marra (Presidente del Consiglio Comunale di Milano): È con grande piacere che il Consiglio comunale di
Milano ha accettato di ospitare questo
incontro organizzato dal Gruppo Alpini
Milano Centro per ricordare Giulio Bedeschi nel decimo anniversario della
morte. È per noi un onore ricordare in
questa sede un grande scrittore che con le
sue parole ha contribuito a rendere ancora più grandi le imprese di un glorioso
corpo militare come quello degli Alpini.
Nei libri di Bedeschi si sono riconosciuti
centinaia di migliaia di lettori o hanno
riconosciuto persone a loro care, nelle
tragedie, nella sofferenza, nell’eroismo.
Nei piccoli e nei grandi gesti di solidarietà raccontati da Giulio Bedeschi si riconosce gran parte degli italiani.
L’imperativo che muove gli Alpini ad
andare avanti comunque è in altre parole
la vera grande risorsa di cui dispone questo nostro grande, anche se a volte un po’
improvvisato paese. Si tratta di una preziosissima risorsa che gli Alpini hanno
sempre portato nel loro zaino sia nei tempi tragici della guerra, come quelli raccontati da Bedeschi, sia in occasione di
piccole e grandi calamità in tempi di pace. L’azione e i valori che guidano gli
Alpini sono però anche un grande sicuro
presidio per la nostra identità e unità nazionale. Dove c’è stato bisogno indipendentemente dalla posizione geografica,
gli Alpini sono stati e sono sempre per
portare, con tempismo ed efficacia, aiuto
alle popolazioni delle nostre regioni travolte da disastri naturali e non, ma voglio
dire anche non solo nelle nostre regioni.
Ricordo in questi giorni il ventesimo anniversario del terremoto in Irpinia e nel
ricordarlo è doveroso ricordare il contributo che fu portato prima agli Alpini e
dall’Associazione Nazionale Alpini così
come fecero prima in occasione del terremoto in Friuli e più recentemente in Piemonte con le disastrose alluvioni degli
ultimi anni. Con il loro impegno gli Alpini dimostrano che le maglie che tengono
assieme la nostra amata patria sono molto più resistenti di quanto normalmente si
creda. Questa epopea degli Alpini non è
ancora stata scritta con quell’efficacia
con cui Bedeschi racconta le vicende della campagna di Russia e le vicende successive di Centomila gavette di ghiaccio
e il Peso dello zaino, e mi auguro che
questa lacuna venga presto colmata. Gli
Alpini infatti meritano di essere amati e
ricordati sempre, in pace e in guerra, infatti, amando loro si impara ad amare il
nostro Paese.
Alessandro Vincenti: È noto che il
Gruppo è il nucleo più piccolo
dell’Associazione Nazionale Alpini. È,
quindi, per noi un grande onore la presenza del Presidente Nazionale – Giuseppe Parazzini – al quale chiediamo due
parole di saluto, benché ci avesse chiesto
di non farlo parlare.
Giuseppe Parazzini (Presidente Nazionale ANA): Buona sera a tutti. Questa è
un po’ una pugnalata alle spalle, ma per
Giulio Bedeschi la si sopporta volentieri.
Ringrazio ancora la signora Luisa per
aver presenziato a questa bella cerimonia. Volevo solo limitarmi a fare i complimenti al neo costituito Gruppo della
Sezione di Milano, Gruppo Milano Centro, al suo capogruppo e a tutti quelli che
lo compongono, perché avevamo bisogno di avere qualcuno che prendesse a
cuore anche questi aspetti associativi,
ricordare le grandi persone che ci hanno
indicato tanti valori e tanti ideali da seguire. Sono orgoglioso e ringrazio quindi
ancora il Gruppo di Milano Centro per
questa iniziativa che dà il là a tutta la sua
attività. Grazie a tutti, approfitto
dell’occasione per fare inoltre a tutti i
presenti gli auguri per le prossime feste.
Viva l’Italia e viva gli Alpini.
Alessandro Vincenti: Prima di passare
alle relazioni ufficiali, una piccola sorpresa. Abbiamo scoperto, quasi per caso,
che nella nostra città c'è un gruppo di
ragazzi, di liceali, che fanno parte di alcuni complessi corali, ma che si sono
uniti per fare un coro a se stante, il Coro
"Biele Stele", che canta esclusivamente
le nostre canzoni.
Prima di dare la parola al prof. Canta(Continua a pagina 14)
Alpin del Domm 13
(Continua da pagina 13)
messa per la relazione introduttiva, pertanto, chiederei al direttore del Coro - Paolo
Grava -, di eseguire una nostra canta.
Il coro Biele Stele canta "Joska la Rossa"
Alessandro Vincenti: Vi confesso che
anche per me è stata una piacevolissima
sorpresa perché, anche se me ne avevano
tanto parlato, non li avevo ancora sentiti e
sono veramente bravi. Li sentiremo ancora
più tardi.
Ma, a proposito di cori, doveva essere presente con noi oggi anche Bepi De Marzi,
maestro de “I Crodaioli”, il quale, impossibilitato a presenziare per altri e precedenti
impegni, ci ha indirizzato questa lettera:
“Subito dopo l’uscita del libro Centomila
gavette di ghiaccio, Carlo Geminiani amico della famiglia Bedeschi e in particolar
modo di Giuseppe, Beppe, ispirandosi a
due precisi momenti del libro, scrissi i versi di Joska la Rossa e L’ultima notte degli
Alpini, perché ne facessi dei canti. Li presentammo al Teatro Sociale di Arzignano
nel novembre del 1963 e fu proprio Giulio
a raccontarne le origini, le ragioni e le
emozioni. Poi lungo gli anni assistendo a
qualche conferenza vicentina dello scrittore ho trovato i motivi per la musica di Le
voci di Nicolajewka e Giulio ha condotto il
nostro cantare intorno a questa storia fatta
di armonia e urla disperate in un concerto
nel salone del Circolo della Stampa di Milano nella seconda metà degli anni Sessanta. Così sempre in quegli anni siamo giunti
al festoso incontro in Piazza S. Marco di
Venezia, dove 15 cori hanno intonato insieme Il Signore delle cime, Joska la Rossa, L’ultima notte degli Alpini e fu ancora
l’amico Giulio Bedeschi a introdurre ogni
momento cantato. Vorrei tanto essere lì
con voi tutti magari con un gruppo di coristi e ritrovare i suoni della dolce memoria
ma stasera canteremo a Gorizia, però a
ogni canto sarà la voce morbida di Giulio
a intonare i nostri pensieri. Date un bacio
per me e per noi alla carissima signora
Bedeschi che immagino presente e che ha
vissuto con noi quei giorni indimenticabili.
Un abbraccio fraterno e riconoscente.
Bepi De Marzi, Carlo Geminiani, i Crodaioli.”
Diamo quindi inizio alle relazioni ufficiali.
Cedo, dunque, la parola, al prof. Giuseppe
Cantamessa, alpino, giornalista pubblicista,
critico letterario del quotidiano l’Italia che
nel 1962 ideò la pagina “Italia libri” e la
prima pagina di un quotidiano interamente
dedicata alla presentazione di libri. Tra i
volumi da lui pubblicati figura L’alpino in
pace e in guerra.
Prof. Cantamessa: Buonasera. Ritengo
opportuno iniziare con una spiegazione ed
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una premessa breve. La spiegazione riguarda proprio il titolo della relazione:
“Da Centomila gavette di ghiaccio a Il
peso dello zaino”. I due volumi si sviluppano in un ciclo storico che inizia dalla guerra in Albania e finisce dopo l’8
settembre, esattamente il 28 dicembre
1943. Ma la parte più interessante è
“Giusto riconoscimento a Giulio Bedeschi”. Quando nel 1963 fu pubblicato
Centomila gavette di ghiaccio i critici
letterari dei quotidiani e dei settimanali
scrissero tutti belle parole: erano anche
stati trascinati dall’entusiasmo e
dall’accoglienza del pubblico; basti ricordare che l’anno dopo il libro vinceva il
Premio Bancarella, tre anni dopo aveva
raggiunto la diffusione di un milione di
copie; oggi si è già a tre milioni di copie.
Era ammissibile che i critici letterari fossero incerti; erano in parte scusabili e
c’ero anch’io tra quelli da scusare: era il
primo libro.
Avevo osservato che c’erano tutte le caratteristiche, tutti gli aspetti perché quel
libro entrasse a far parte della storia della
letteratura italiana del Novecento. Entrando nella storia della letteratura italiana doveva essere un’opera d’arte e Bedeschi uno scrittore di valore letterario,
cioè un artista.
Gli artisti possono essere scultori, pittori,
musicisti, poeti, narratori che si esprimono in un’opera perfetta. Si poteva avere
qualche esitazione perché era la prima
opera. Ma quando nel 1966 fu pubblicato
Il peso dello zaino si doveva avere, da
parte di tutti, il coraggio di riconoscere il
valore dell’opera d’arte dello scrittore, e
che Bedeschi fosse degno di essere compreso nella storia della letteratura italiana. Ho qui un documento, una pagina che
ha trentaquattro anni, quella del 20 aprile
1966. Il libro Il peso dello zaino, pubblicato in prima edizione da Garzanti (passò
poi a Mursia), ultimata la stampa il 17
marzo, l’editore Garzanti giustamente
mandò a tutti i quotidiani ed a tutti i settimanali fogli di stampa piegati perché potessero leggerlo prima: ed io che desideravo proprio considerare la validità dello
scrittore, lo lessi subito e pubblicai
l’articolo di apertura della mia pagina
quando il libro non era ancora in libreria
perché vi arrivò ai primi di maggio. In
quell’articolo affermavo chiaramente che
Bedeschi doveva far parte della storia
della letteratura italiana perché i suoi libri erano opere di valore letterario, cioè
opera d’arte. I motivi erano diversi: si
passava dalla prosa d’arte all’uso
dell’armonia del periodo, all’uso di certe
tecniche che Bedeschi aveva spontanee
perché era un artista, perché era uno
scrittore. Pensate alla difficoltà di certi
scrittori quando vogliono usare l’isteron
proteron e quando vogliono usare la so-
vrapposizione linguistica oppure la suddivisione del periodo con la bipolarità
della narrazione e con la struttura dialogica del linguaggio. Per Bedeschi era
tutto naturale, perché era un artista e da
allora ho atteso che si potesse esprimere
questo riconoscimento a Bedeschi.
Due anni fa, finalmente, Luigi De Vendittis pubblicò tre volumi mastodontici,
sembrano tre messali, per di più pesantissimi, dal titolo “ Uso e forme della creazione letteraria in Italia”: nel terzo volume, finalmente, metteva Giulio Bedeschi
nella letteratura italiana; ma non mi è
bastato perché, prima di tutto, citava solo
Centomila gavette di ghiaccio ; e invece
vedremo che ha maggiore valore letterario “Il peso dello Zaino” perché in questa opera l’autore ha avuto la libertà di
creare, cioè lo scrittore ha potuto
“scavare” perché ha scritto un romanzo
su documenti veri, su testimonianze vere:
e poi non dava un giudizio critico, un
giudizio estetico completo, come si desidera quando uno scrittore entra a far parte della storia della letteratura italiana. Il
mio tentativo, questa sera, è proprio questo, brevissimo perché non abbiamo tempo: vedere, analizzando l’opera di Bedeschi, come è un artista, cioè analizzare
l’opera e, in qualche punto, che possono
essere una, due, tre righe, mezza pagina,
vedere perché è un artista, quale è la differenza tra l’artista e gli altri.
L’opera narrativa di Bedeschi si inquadra
naturalmente, nella storia della letteratura, in un settore particolare, cioè la letteratura di guerra; e nella letteratura di
guerra ci sono due tecniche narrative che
vi dico in parole semplici: in una si parla
al sentimento e in un’altra si parla alla
mente, alla ragione; e i due volumi di
Bedeschi sono proprio suddivisi in queste due categorie. Nel primo parla al sentimento e nel secondo parla alla ragione.
Ma prima di iniziare ad analizzarli dobbiamo chiederci: chi è l’artista? Come si
fa a capire se Bedeschi fu un artista? Per
definire l’artista mi piace usare una definizione che disse due mesi fa Monsignor
Ravasi, Prefetto dell’Ambrosiana, ricordando Aligi Sassu.
Commemorando Aligi Sassu e parlando
dell’artista in generale cioè lo scultore, il
pittore, il musicista, il poeta, il narratore,
disse: “ l’artista è quello che sa scavare
(bellissimo questo verbo) al di là delle
persone, al di là delle cose per scoprire
cosa c’è dietro “. Cioè, praticamente,
l’artista è quello che di fronte ad una soggettivazione che abbiamo tutti, riesce in
se stesso a giungere all’oggettivazione
mediante il momento creativo dell’arte
che egli possiede: sia con la parola, sia
con la poesia, sia con la musica, sia con
la pittura, sia con la scultura: e, nel se(Continua a pagina 15)
(Continua da pagina 14)
condo volume, proprio Bedeschi ci darà
l’esempio di questa differenza che c’è tra
noi, che sentiamo la soggettivazione, e
l’artista che di fronte alla medesima sensazione ci dà la pagina di poesia in prosa o la
pagina di poesia.
Iniziamo ad analizzare Centomila gavette
di ghiaccio. Immagino che l’abbiate già
letto tutti quanti perché non ho la possibilità di dirvi i riassunti dei tempi. Se dovessi
esprimere un paragone come si usa quando
si analizzano libri e si osserva la creatività
dell’artista, la struttura del periodo, a quali
autori si ricollega (lasciando il richiamo a I
promessi Sposi di Manzoni perché lì c’è
tutto), rimanendo nella letteratura del 900
farei un riferimento: Centomila gavette di
ghiaccio lo collegherei con il romanzo ciclico di Bacchelli Il mulino del Po, mentre
Il peso dello zaino a un libro che fu pubblicato nel medesimo anno in cui fu pubblicato “Centomila gavette di ghiaccio” di Bedeschi, cioè a Il velocifero di Luigi Santucci. Ma c’è una differenza: Bedeschi non
divide in parti i suoi libri: se voi li avete
letti vi siete accorti che i libri sono divisi in
tempi: quattro tempi il primo, quattro tempi il secondo; e non basta. A ogni tempo
premette una didascalia che può essere un
verso, due versi, tre versi, quattro versi che
sono il leitmotiv del tempo stesso, cioè come avviene nelle sinfonie; infatti i tempi
sono nient’altro che i tempi o i movimenti
di una sinfonia. E allora a me è venuto più
spontaneo un paragone diverso, non con la
letteratura ma con la musica. Mi sembra
che nei due libri di Bedeschi si possa percepire un grande poema sinfonico, o meglio come due sinfonie che si sviluppano
una dopo l’altra come se fossero l’opera 67
e l’opera 68 di Beethoven: non rimanete
perplessi, le conoscete, sono la Quinta e la
Sesta sinfonia detta La Pastorale.
Poiché il tempo disponibile è poco, iniziamo subito una analisi per poter giudicare
Bedeschi scrittore letterario. Il “tempo primo” di Centomila gavette di ghiaccio è il
periodo in cui il Sottotenente medico Serri
presta servizio, in Albania, in una divisione
di fanteria. Ci sono pagine stupende,
quando dirò “pagine” o “ brani di antologia” vuol dire che ci sono nel libro pagine
così complete che possono, pur collegate
col resto, vivere da sole: si possono pubblicare, appunto, in una antologia. Nel tempo
primo ci sono pagine toccanti: non posso
fermarmi a lungo perché ho dovuto tagliare
anche i brani più belli; vi sono pagine in
cui compare sempre l’eroismo e questo
spiega la caratteristica. Centomila gavette
di ghiaccio parla al sentimento ma non ha
bisogno dei traumi emotivi, non ha bisogno degli intimismi psicologici, non ha
bisogno di niente perché Bedeschi è un
artista e descrive tutti atti eroici; e questo
vale non solo per i libri di valore letterario,
vale anche per tutte quelle testimonianze
di guerra, per tutti quei libri che sono
stati pubblicati: pensate anche a quelli
sulla prigionia dei nostri soldati in Russia, quelli dei cappellani militari prigionieri; e qui Bedeschi mi ha dato una soddisfazione grandissima: giungeremo a
questo punto. Mi sono ripromesso di non
essere polemico questa sera: non lo sarò
ma se qualche volta, ad un certo punto,
dirò qualcosa è perché sono stati troppo
ingiusti.
Bedeschi, quindi, non usa traumi emotivi
perché parte da fatti che sono eroici. Il
fatto eroico porta naturalmente a quello
che è l’aspetto più grande, cioè al meraviglioso: ma attenti bene, meraviglioso
nel significato del termine latino
“monstrum”, cioè prodigio, prodigioso. E
qui siamo in una categoria mentale: a
questo punto si giunge al magistero del
sentimento. Quindi non ha proprio bisogno di usare quei mezzi e tanto meno di
quello che un critico letterario di un quotidiano, pur scrivendo belle parole, aveva
evocato come moduli deamicisiani. Forse
non aveva letto De Amicis, ma certamente non aveva letto i saggi critici di Croce
e di Santucci sulla letteratura infantile.
Ma iniziamo un’analisi più impegnata.
Dopo il tempo primo che narra le vicende con la divisione di fanteria, si giunge
al tempo secondo quando c’è l’armistizio
e la pace. Possiamo fare una prova. Pensate Voi come vi esprimereste se doveste
dire che c’è la pace: provate a pensarci.
Io vi dico che cosa ho scritto e poi leggiamo come si esprime un artista. Quando vent’anni fa stavo terminando di scrivere L’Alpino in guerra e in pace (libro
che è stato onorato dalla prefazione del
Presidente Caprioli) ho creduto di esprimermi in modo originale incominciando
il titolo con la congiunzione “ e ”, volendo scrivere in modo diverso dai soliti, e
intitolai quella parte “ E venne la pace ”.
Adesso sentite come un artista dice che
c’è la pace senza usare il termine pace. “
Saporito era nuovamente il pane, dolce il
riposo, buona a bere l’acqua, privo di
incubi il sonno, bello, bellissimo era vivere ancora ”. Questo è l’artista che
“scava”, che vede e che sa dire quello
che tutti proviamo ma che solo lui, poi,
sa esprimere. A un certo punto, finita la
guerra, il Tenente Serri, cioè Bedeschi,
venne trasferito nell’ospedale da campo
840 e poi in un ospedale da campo della
Julia. Ed è qui che una sera vede le tende
nel bosco e si accorge che il bosco è
troppo silenzioso e sente che gli Alpini
danno la voce al bosco. Non leggo la prima parte dell’episodio perché non abbiamo tempo, ma sentiamo la conclusione.
“ Così nasceva il canto”: state attenti alla
progressione dell’espressione musicale
come a poco a poco cresce; “ mormorato
all’inizio quasi seguito di pensieri accorati e gonfio di contenuto respiro, lamento più che grido perché mai dissociato
dal rimpianto per coloro che non cantano più attorno ai fuochi. Un’infinita nostalgia di cose perdute piangeva fra gli
Alpini immobili e gravi: pareva allora
veramente nel tenebroso silenzio del bosco che innanzi alle rosse lingue guizzanti le parole e le voci venissero a sciogliersi grondando sangue e lacrime”.
Avete notato come sa usare i traslati in
modo stupendo, meraviglioso? La
“nostalgia infinita” che piange, le parole
e le voci che grondano “sangue e lacrime”. D’accordo: sono dei traslati; ma
solo un artista li sa usare così bene ed è
anche per questo che Bedeschi doveva
essere valorizzato. Nel terzo tempo poi,
(dobbiamo proseguire velocemente) la
Julia è tornata in Italia; ma prima della
partenza il Tenente medico Serri aveva
chiesto all’amico Reitani di raccontargli
tutte le vicende della Julia e l’amico, una
sera, gliele aveva raccontate. Era la notte
di Natale del 1941 e il Capitano Reitani,
con un “isteron proteron” (si può definire
una trasposizione di tempo e di luogo ma
che trova un riferimento a ciò che sta avvenendo in quel momento) narra la vicenda della notte di Natale dell’anno precedente. È Natale e sta nevicando e la
neve e il Natale riportano il racconto a
quel Natale del 1940 quando mille Alpini
passarono la notte portando ciascuno
quattro proiettili per i 75/13 su in alto
alle batterie che erano senza munizione e
che stavano per essere attaccate dai Greci.
Vi è poi il trasferimento in Italia con un
“brano d’antologia”: l’affondamento della Galilea e la perdita del battaglione Gemona. In Italia, dopo la licenza, partono
per la Russia.
Trasferiamoci là in Russia nel dicembre
1942. La batteria del Capitano Reitani,
con un gruppo di pronto intervento, è
incuneata in avanti mentre ai fianchi le
altre Divisioni, tranne quelle degli Alpini, si sono ritirate.
Gli Alpini dovettero rimanere per proteggere tutti gli altri che si ritiravano, Tedeschi, Ungheresi e Rumeni. Fu un momento cruciale perché non sapevano se
fossero riusciti a resistere ai Russi o se
fossero sopravvissuti. Erano in quella
situazione precaria quando giunse presso
di loro Padre Leone, il cappellano del
Battaglione sciatori Monte Cervino”. Padre Leone si accostò ai due ufficiali, il
Capitano Reitani e il Tenente medico
Serri: vide gli Alpini sdraiati nella neve,
pensò che difficilmente sarebbero sopravvissuti e allora volle assolverli tutti.
Vi leggo solo l’ultima parte. Dice il cappellano: “Ormai credo di poterlo fare, la
(Continua a pagina 16)
Alpin del Domm 15
(Continua da pagina 15)
penitenza la stanno già facendo da un pezzo mi pare – E fissando i due ufficiali disse: -- Io vi assolvo, io vi assolvo tutti – levò la mano nuda sulla distesa bianca”.
E qui abbiamo un capoverso che è stupendo, è di un realismo proprio doloroso, triste; ma ha fatto bene Bedeschi a rendere
giustizia a questi cappellani militari che
sono stati prigionieri in Russia. Seguitemi
perché è veramente affascinante. “ Era
una mano diafana, esangue, di frate, adusata al breviario e al messale, a innalzar
l’Ostia, a spargere carità dove toccava; e
Dio solo già sapeva che di lì a pochi mesi,
nell’orrore della prigionia, Padre Leone,
distrutto dalle cancrene dei congelamenti,
moribondo in tutto ma non nello spirito si
sarebbe trascinato sino al suo ultimo respiro da morente, ad alzare su di essi giacenti quella mano ormai putrida e sfatta
fino all’ossa, gocciolante di pus nel benedire”.
A questo punto c’è un passaggio nel quale
Bedeschi dimostra di possedere una tecnica particolare: quando descrive momenti
tristi è capace di passare con una dissolvenza ad una distensione, anzi è capace di
giungere a considerare la serenità della
morte, tanto che accanto alla tematica della neve, alla tematica del Natale ho descritto in Bedeschi anche la tematica della serenità della morte. “Padre Leone tacque a
lungo e assorto. Poi all’improvviso, come
cambiando umore esclamò quasi allegro –
In gamba ragazzi. Tanto in un modo o in
un altro, deve toccare a tutti. “ Quia pulvis
es”. Te lo ricordi ancora il latino, dottore? – Giacché sei polvere – mormorò Serri – Sènti, Sènti i signori ufficiali che i parla latin anca a Jvanowka! –“.
Notate questa trasposizione del linguaggio,
questa sovrapposizione linguistica che Bedeschi usa sovente magistralmente. “ –
Era la voce del conducente Pilòn che stava
passando accanto con un telo da basto caricato sulle spalle. Continuò: -- El bèlo xe
che ‘sto latìn lo so ànca mi, el xe el latìn
de me nòno, el lo dixèva sempre, poarèto,
quando me nòna ghe scondèva el tabàco!
Volé sentirlo? – Cambiò spalla al telo da
basto, e recitò: -- Me meto omo, chi pulvisè et in pulvere redeventàri ! – Padre, perdona loro “ – disse ridendo il cappellano
aprendo le braccia e levando gli occhi al
cielo”.
Ma il momento è veramente tragico e la
serenità della morte appare poco dopo,
quando temono di non poter resistere e
Reitani e Serri, ormai amici fraterni, si
stringono la mano. Sono due righe e ve le
leggo: “-- Addio, Italo – disse il Capitano
afferrando nel buio e stringendo con grandissima forza la mano del medico: -- Addio, Ugo – disse il medico. – Siamo stati
fratelli. Noi crediamo in Dio, ci ritroveremo tra poco “.
Alpin
16
Alpin
del Domm
del Domm
Invece riescono a superare quel momento
e giunge la notte di Natale 1942: è stupenda, è mirabile. Bedeschi qui ha saputo dare una disgiunzione linguistica e,
soprattutto, una sovrapposizione del linguaggio che è meravigliosa, perché c’è il
cappellano che legge la messa in latino,
mentre dentro di sé, dal suo cuore, rivolge una preghiera a Gesù Bambino. C’è
uno sdoppiamento, ma la parte originale
è che Bedeschi fa parlare il cappellano
come se parlasse agli Alpini e invece
parla a Gesù Bambino. Ve ne leggo alcune righe: “Il cappellano leggeva in fretta
e a bassa voce le parole della Messa di
Natale. – Vedi, Bambino Gesù – forse
diceva il suo cuore mentre gli occhi scorrevano sulle righe del messale – questi
sono gli Alpini che fanno la guerra. Ma
non ne hanno colpa. Tu lo sai. Sono stati
mandati e devono ubbidire. Preferirebbero lavorare tranquilli nelle loro case,
per i loro figli e per le mogli che sono
rimaste sole, e per i vecchi … Guardali
come sono ridotti, quasi peggio di te
quando nascesti: hanno solo un po’ di
fradicia paglia per sdraiarsi: Tu almeno
avevi, scusa, il bue e l’asinello a riscaldarti col fiato. Loro, no. …
Quando mi sono voltato verso di loro per
annunciare ‘ Gloria in Excelsis Deo’ ho
visto che sono inginocchiati nella neve
rivolti al tuo altare: me l’aspettavo, li
conosco bene. E stanno a testa china. Ti
pregano, se li ascolti sentirai che Ti chiedono soprattutto di farli tornare presto a
casa, alle loro montagne; da soli non
possono andarci, sono capaci di morire
qui, per ubbidire. Tu stesso li hai fatti
così –“.
Alpini che siete qui in sala, avete capito
bene cosa dice il cappellano a Gesù
Bambino? Se avete udito bene, avete capito che in questo punto Bedeschi, per
mezzo del cappellano, ha espresso
l’elogio più sublime che si possa dire agli
Alpini. Lo rileggo. Il cappellano dice a
Gesù Bambino: “—Tu stesso li hai fatti
così: ma se li restituisci alla casa, sentirai che felicità, che bontà d’intenti e
d’opere vive nel loro cuore …-- Press’a
poco così doveva pregare il cappellano,
perché era un alpino anche lui “.
Alpini, fate una bella cosa. Vedete se
riuscite a trovare un elogio degli Alpini
più bello di questo. Ma state attenti: accanto all’elogio c’è l’aggettivo
“sublime”. Cercatelo: se lo trovate, fatemelo sapere; vi ringrazierò.
Passiamo al tempo quarto che è dedicato
alla ritirata. Nella descrizione della ritirata ci sono molte pagine belle (con un isteron proteron ne troveremo anche
nell’altro volume): ma la pagina dedicata
alla battaglia di Nikolajewka è meravigliosa: secondo me quella di Bedeschi è
la migliore, perché accanto a quelli che
sono gli aspetti tristi, dolorosi, cruciali,
ha saputo mantenere la serenità. E’ una
pagina di poesia, pagina proprio da antologia. Credo di aver recensito 22 o 23
volumi che descrivevano la battaglia di
Nikolajewka. Ne ho trovati solo due che
mi sono piaciuti, ma questo è quello che
più ho apprezzato. L’altro era quello di
Monsignor Chiavazza, Scritto sulla Neve,
che fu poi anche traslato nel disco Philips
Con gli alpini in Russia.
Ma la descrizione di Bedeschi è quella
che mi è piaciuta maggiormente, perché
ha saputo mantenere quello spirito di serenità e di poesia anche nei momenti più
tristi, anche nei momenti più dolorosi,
anche nei momenti più ostili all’uomo,
quando l’uomo non è più capace di essere amico dell’altro uomo.
Nel tempo quarto c’è anche il ritorno in
Italia. Furono fortunati: viaggiarono nei
carrozzoni con gli sportelli e i finestrini.
Pochi di voi hanno conosciuto i famosi
carri “ quaranta uomini, otto cavalli ”.
Questa volta, per i reduci dalla Russia,
c’erano i carrozzoni. A un certo punto
Bedeschi ci offre una pagina indimenticabile. Una sera, quando era già buio, in
un carrozzone venne, chissà da chi, un
mormorio incerto, un accenno a labbra
chiuse; “altri lo raccolsero, lo passarono di bocca in bocca”. Notate, adesso, la
progressione nella intensità musicale dei
verbi. “ Il motivo vagolò indeciso”. ( Bellissimo questo verbo “vagolò” ). Solo un
artista può comunicarci questa espressione. “ Il motivo vagolò indeciso, sfiorò
lento il cuore degli uomini, altre voci lo
accrebbero donandogli una consistenza
triste, simile a un accorato pianto che
fluisce nel buio. Ma gli artiglieri alpini
non piangevano, erano immobili, forse
ad occhi chiusi. Cantavano. A bassa voce, un sussurro. Veniva a loro il ricordo
di cento, di mille, d’infinite cose lasciate
disciogliere in una, in quel filo di voce
che si faceva strada nel buio come una
piccola vena d’acqua tra le pietre e
l’erba “. Bedeschi, con le parole, ci ha
trasmesso questa delicatissima sensazione musicale. Un altro artista, ma era un
musicista, era Smetana, nel poema sinfonico “La mia patria”, nel tempo primo La
Moldava, usò un solo flauto tenore per
interpretare in modo quasi impercettibile
questa sensazione del “filo di voce che si
fa strada, nel buio come una piccola vena
d’acqua tra le pietre e l’erba”. E la canzone era struggente come tutte le canzoni
degli Alpini: parlava di un ponte, parlava
di una bandiera, parlava della Julia, parlava degli Alpini. Avete capito: era “Sul
ponte di Perati”. Bedeschi fa cantare agli
Alpini le prime due strofe; ma io ho
l’impressione, e la mia impressione deriva da quanto ha scritto Bedeschi nelle
(Continua a pagina 17)
(Continua da pagina 16)
pagine 77 e 78 (vi dico il numero delle pagine perché non abbiamo il tempo di leggerle), che abbiano cantato anche la quinta
strofa. Non li sentiva nessuno: erano là nel
loro carrozzone e hanno cantato anche
quella quinta strofa che in quei tempi era
proibito cantare: c’era la proibizione assoluta perché parlava di tradimento. Mentre
non so se abbiano cantato la sesta strofa
perché ancora non sapevano quanti e quanti e quanti Alpini sarebbero morti soprattutto nei campi di prigionia. La sesta è
quella che comincia “Un coro di fantasmi
vien giù dai monti ”, che certi cori cantano
per prima dopo che il coro degli Alpini
della Taurinense cominciò a recitarla, non
a cantarla: solo a recitarla.
Siamo così giunti al ritorno degli eroi. Ritorno degli eroi che, naturalmente, Bedeschi rievoca senza mezzi termini: ce lo descrive con un realismo che è veramente
desolante, ma vero. Fu proprio così. Quando entrarono in Italia, alla prima sosta gli
Alpini scesero dalle carrozze per toccare la
terra, per baciarla, ma vennero rimandati
sulle carrozze. Anzi, i ferrovieri chiusero
gli sportelli e fecero alzare i vetri: e agli
Alpini che si lamentavano, ecco la chiusura del ritorno degli eroi “ –Che Alpini o
non Alpini !! Ma vi vedete ? – urlò allora
il ferroviere; -- Vi accorgete sì o no che
fate schifo ? –“.
Il titolo del secondo volume Il peso dello
zaino è una simbologia perché non è solo
lo zaino che portavano: anche quello, ma
soprattutto è l’angoscia, quella che sentivano sia il Capitano Reitani, sia, ad un certo
punto, il Tenente medico Serri, perché loro
erano tornati. Soprattutto il Capitano Reitani non sapeva cosa fare: poi decise di andare a morire là dove erano morti i suoi artiglieri alpini. Infatti, guardate la copertina
della prima edizione: gli alpini capiscono
subito tutto. È rappresentato un soldato
disteso a terra, morto, con le fasce gambiere e gli scarponi: ma gli scarponi sono illuminati dal sole. Quando nel 1921 Paolo
Monelli pubblicò presso l’editore Treves
Le scarpe al sole (fu fortunato, perché girò
solo due anni tra i vari editori; Bedeschi,
purtroppo, girò per diciassette anni) iniziò
il suo libro con queste parole: “Nel gergo
degli alpini mettere le scarpe al sole significa morire in combattimento”. Sarà questa la vicenda che si svilupperà in tutta
quanta la storia del volume, che ha più
valore letterario perché è un romanzo basato su documenti storici. Bedeschi ha conosciuto Padre Flad, ha sentito da lui la storia
di questo religioso che studiava alla Gregoriana di Roma quando era in guerra e che
divenne poi professore della medesima
Università. Il religioso raccontò a Bedeschi
tutta la sua storia: incredibile. Aiutante di
Sanità a Stalingrado, quando la città si ar-
rese, sollecitato dai suoi soldati guidò
tutto il suo gruppo senza usare le armi.
Era stata questa la condizione irrinunciabile: le armi, caricate su una slitta, non
dovevano essere usate. Attraversò tutta la
Russia e portò i suoi soldati sino alle
nuove linee tedesche. Voi certamente
pensate che ebbe, almeno, la “Croce di
ferro” . No: otto giudizi dei tribunali della Vermacht e delle S.S. e alla fine mandato in campo di concentramento da dove lo liberarono gli americani. E con la
conoscenza di questi episodi veri che aveva sentito costruì il romanzo: ed è qui,
naturalmente, che appare l’artista. Nel
romanzo Bedeschi può spaziare, può creare, può indagare, può scavare anche in
tutti quegli altri aspetti
Dopo il tempo primo nel quale c’è la narrazione brevissima della ritirata delle nostre divisioni, non solo delle tre alpine,
ma anche delle sette divisioni di fanteria,
tra le quali la Vicenza che fu mandata in
linea con la divisa estiva, passando al
tempo secondo, la narrazione si svolge
nell’Ospedale di Bologna dove c’è anche
Bedeschi, cioè il Tenente Serri, perché
aveva avuto un inizio di congelamento ai
piedi. Nel medesimo Ospedale c’è anche
Scudrera: e a questo formidabile alpino
Bedeschi dedica una pagina significativa
quando deve chiedere al cappellano di
scrivere a casa. Ma tutti i giorni, il Tenente medico serri va a trovare l’alpino
Gios che ha i piedi congelati. C’è una
spiegazione di queste visite giornaliere.
Nel sesto giorno della ritirata, il Tenente
Serri avvertì un principio di congelamento ai piedi e cominciò a restare indietro.
Gli passò vicino un alpino che gli disse:
“Ma va, cammina!” Subito dietro c’era
una slitta con l’alpino Gios che lo vide, si
strinse per fare un po’ di spazio e lo invitò a salire. Gli tolse gli scarponi, gli levò
le calze e gli fece strusciare i piedi sulla
neve e incitò la mula ad andare un po’
più veloce in modo che al Tenente Serri
potesse riprendere la circolazione del
sangue. Quando poi il Tenente Serri si
accorse di stare meglio e volle scendere
ma non riuscì a mettere gli scarponi,
Gios gli regalò i suoi valenchi. Esistono
ancora: ho avuto la fortuna di vederli nello studio dell’Avvocato Prisco quei valenchi con i quali Bedeschi tornò in Patria. C’è un altro episodio, nell’Ospedale:
è un racconto che può stare accanto a
quelli mensili narrati da De Amicis in
Cuore. È stupendo, di una delicatezza
estrema: l’avrei voluto leggere, ma non
abbiamo il tempo. È anche commovente
nella parte finale quando la maestrina
Clara va all’Ospedale per rivedere il fidanzato: non vogliono dirle dove è
l’ufficiale ferito che lei cerca; ma quando, senza farsi notare, entra in una sala di
medicazione, vede un tronco con una
testa: non ha più né le braccia né le gambe. È una descrizione delicatissima questa della maestrina Clara.
Ormai guarito Scudrera lascia l’ospedale
e va in licenza a casa per sposare la Pasquala e in chiesa, Pilon, l’alpino poeta, è
inginocchiato proprio dietro a Scudrera e
contempla quelle spalle larghe e grosse
dell’amico inginocchiato davanti a lui e,
con un isteron proteron, rivede quelle
spalle quando portavano i proiettili per i
75/13, e poi in quella notte di Natale,
quella del 1941 che era stata descritta,
con la predica del cappellano. È in chiesa, ma, come capita a tutti, anche Pilon si
distrae durante la cerimonia del matrimonio e, ripensando a quel Natale, gli sembra che la chiesa sia cambiata.
Ma sono poche righe e ve le leggo:
“Vedeva ancora quelle spalle d’alpini
inginocchiati nel buio sulla neve verso la
baracchetta del comando del Tolmezzo
che aveva la porta aperta e si vedeva
l’altare con le due candeline”. E poi, nella sua distrazione si trasporta là, nella
chiesa dove si trova. “Ora tanti Alpini
erano entrati senza rumore e stavano
inginocchiati rivolti all’altare, vicino a
Scudrera stavano buoni e fermi e sembravano vivi e lui, Pilon, li riconosceva
tutti, a uno a uno anche se li vedeva soltanto di spalle e aveva quasi la tentazione di chiamarli per nome ma non si poteva perché quelli erano i morti della Julia
che erano entrati e stavano riempiendo
tutta la chiesa”.
E qui Bedeschi ci offre un esempio di
quella differenza che vi ho accennato.
Pilon è come noi: sente qualcosa ma non
riesce ad esprimersi: e Bedeschi ci espone la differenza tra la persona comune e
l’artista. Pilon si confida al tenente Serri
e gli dice “Ma io vorrei dire … “cosa
vuoi dire?” “Dico solo – Alpino della
Julia – e Serri gli risponde – va bene”.
Serri, cioè Bedeschi, ha le medesime sensazioni ma è il poeta, è l’artista e il giorno dopo dà un foglio a Pilon con le sei
strofe di “Alpino della Julia”. La conoscete la poesia perché l’avete sentita cantare e quindi conoscete la struttura differenziata tra la prima, la terza e quinta
strofa, nelle quali c’è l’espressione del
dolore e la seconda, la quarta e la sesta
che invece esprimono il desiderio che si
ripete in queste tre strofe pari coi primi
quattro versi e con gli ultimi due che sono uguali. Si ripetono sempre e dicono,
insistono a dire “Semo soltanto i fioli
vostri, i fioi de le montagne de l’Italia”.
Sono versi di una potenza espressiva e di
una originalità senza pari.
Dopo il mese di licenza si trovano al forte di Osoppo e un giorno il Tenente Serri
va verso un muricciolo, vi si siede, osserva sotto la pianura e il fiume Taglia(Continua a pagina 18)
Alpin del Domm 17
(Continua da pagina 17)
mento e sente che è ingiusto che lui sia lì:
si ricorda i compagni che sono rimasti nella neve e cerca di dire qualcosa e pensa a
quando aveva provato la sensazione di non
riuscire più a camminare e vedeva gli alpini che si allontanavano e lui che rimaneva
indietro.
Ecco allora l’artista che scava e sa esprimere quello che pensa e scrive sei versi.
Sono il secondo verso della prima strofa, i
primi due versi della quarta e della quinta
strofa e il primo verso della sesta strofa
della “Preghiera dell’Alpino ignoto”.
Quando viene raggiunto dal Capitano Reitani glieli fa leggere e il Capitano condivide anche lui questa angoscia. È una poesia
che si struttura in modo diverso dall’altra:
vi è una contrapposizione tra le prime cinque strofe e l’ultima. Nelle prime cinque
strofe i versi iniziali sono un crescendo di
sofferenza: “Per le mie ferite, per il mio
silenzio, per il lungo calvario, per gli occhi
di mia madre, per le mani di mio figlio”.
Poi termina con la preghiera: e qui
l’esclamazione è potente e grandiosa: “ Tu,
o Signore, tendi la mano!” Quando io leggo questi versi, vedo innanzi la volta della
Cappella Sistina, là dove Michelangelo ha
dipinto “Dio Padre” che si china e tende la
mano all’uomo che, in basso, alza la sua
per afferrarla. Ma c’è quella anafora, quel
“Tu” ripetuto insistentemente, sempre più
angosciante di strofa in strofa che mi sembra un rintocco di campana, ma di quella
campana, di Maria Dolens che lassù, al
castello di Rovereto, ogni sera alle 20,30
suona per tutti i caduti di tutte le guerre.
E giungiamo alla brevissima preghiera di
Pilon: è una finezza di Bedeschi. Pilon è
un artigliere alpino, un conducente: noi
tutti sappiamo come venivano allora chiamati i conducenti. Eppure Pilon, a un certo
punto, dopo che c’è stato l’armistizio e tutti cercano di ritornare nelle loro case, vuole
andare a un comando con la divisa, il moschetto, lo zaino. Ma è sfinito, non ne può
più e si siede su un paracarro con le mani
in tasca Sente di dover dire una preghiera,
brevissima, cinque parole delle quali due
ripetute: ed ecco che a questo punto si alza
dal paracarro (notate la finezza di questo
artigliere conducente), leva le mani di tasca e guardando il cielo dice: “Guarda giù,
guarda giù, Signore”.
E ci avviamo verso la fine. Reitani, che è
andato in licenza in Sicilia, ritorna indietro
con un reparto italiano, dopo l’invasione
degli alleati e, dovendo decidere, non sa se
stare al Sud o andare al Nord, perché, da
qualsiasi parte si metta deve combattere
contro gli Italiani e non vuole. Viene a sapere che c’è un reparto di Italiani che combatte ancora in Russia insieme a un battaglione tedesco e pensa di raggiungerli.
Nello sfaldamento che avviene dopo l’8
settembre 1943, anche il tenente Serri cerAlpin
18
Alpin
del Domm
del Domm
ca di tornare a casa. E in questo ritorno
c’è l’episodio delle tre pettegole
(leggetelo perché è davvero bellissimo).
Dedica una riga a ciascuna: leggetelo
perché vale la pena di vedere come Bedeschi ha saputo indagare e presentare in
modo completo anche i piccoli personaggi ai quali dedica una riga sola, al massimo due righe.
Il Capitano Reitani raggiunge il fronte
russo e, nell’ultima mattina, il 28 dicembre, incontra Padre Flad. Scambia con lui
poche parole dicendogli che è venuto lì
per morire dove sono morti i suoi Alpini.
Ma Padre Flad gli risponde: “No, questa
è un’espressione sentimentale; per una
soluzione bisogna avere un aspetto razionale, la vera conclusione viene soltanto da un atto d’amore assoluto”.
E abbiamo l’atto d’amore assoluto che
conchiude il volume. In quella stessa
mattina i Russi attaccano e Pagliula, il
suo attendente viene ferito e gli grida di
salvarlo. Il Capitano se lo carica sulle
spalle ma, a un certo punto, anche lui
viene ferito e cade. Rimane a terra svenuto, e quando rinviene non c’è più nulla,
non c’è più nessuno: sono già passati tutti. Ma ecco che sente un lamento: “Vodi,
Vodi, acqua, acqua”: guarda, e lì a due
metri c’è un soldato russo ferito che lo
fissa, che ha la bocca aperta e che chiede
acqua da bere, ma lui …
No, qui ve lo leggo: sono gli ultimi quattro capoversi che sono un capolavoro.
Io userei una similitudine, li definirei
l’ultima grande pennellata dell’artista
perché solo un artista è capace di giungere ad una simile evocazione. Notate lo
sdoppiamento del periodo: “– Non posso – pensò Reitani – non ho più forza --;
ma ricorda le parole del cappellano e
che deve compiere un atto d’amore assoluto. Allora Reitani si ribellò: -- Non sono ancora morto -- Raccolse le ginocchia
e le puntò, puntò i gomiti e a denti stretti
avanzò . Strisciò ancora e capì che poteva arrivare”.
Adesso state attenti alla bellezza di
quest’ultima parte: l’artista sdoppia il
periodo, prima tra la narrazione ed il protagonista, il Capitano Reitani, poi tra la
narrazione e lui stesso.
Interviene Bedeschi a chiudere
l’episodio. “Strisciò ancora e capì che
poteva arrivare, la mano è di legno ma
il palmo fa conca e mi serve ugualmente,
l’affondò nel bianco e la trasse ricolma,
la tenne sospesa nell’aria, l’uomo già
spalancava le labbra aspettando la neve,
poco poco e ti tocco lo vedi sarei già da
te se non fosse per questo dolore”.
L’atto d’amore assoluto era compiuto.
“Più aumentava il dolore, più percepiva
vicina una acquietante presenza; A quel
punto un Qualcosa (è scritto con la iniziale maiuscola) “lo attrasse e lo fer-
mò. – Lascia lo zaino soldato Reitani –”.
E’ intervenuto lo stesso scrittore.
“Allora la mano si fermò, restava protesa nell’aria perché il tempo era finito e il
Capitano Reitani ormai si assentava da
tutta quella neve”.
Era il 28 dicembre 1943. Quarantasette
anni dopo, nel 1990, poche ore prima del
28 dicembre, nel tardo pomeriggio del 27
dicembre, anche Giulio Bedeschi si spegneva. È una coincidenza, una pura coincidenza: ma io non ho mai capito perché
ci siano delle coincidenze che sembrano
intuizioni e che frequentemente, però,
avvengono negli artisti.
Alessandro Vincenti: Il prof. Cantamessa ci ha parlato della "preghiera
dell’alpino ignoto" di Giulio Bedeschi,
che ora ci verrà letta, anzi recitata, da un
attore professionista dei Filodrammatici
Alessandro Conte.
Preghiera dell’Alpino Ignoto:
O Signore
TU per le mie ferite
da cui scese sangue
alla terra alle pietre
al fango alla neve
dovunque passai;
TU per il mio silenzio
e il mio dolore senza volto
e il mio respiro che cessò
senza lamento
nell’invocare Te;
TU per il lungo calvario
d’ogni fratello alpino
che giacque infine riverso
in quell’ora e per sempre
simile a me
nella sua stessa offerta;
TU per gli occhi di mia madre
-fermi nel buio fermi nel vuotoin cui vedesti tremolare
e cadere verso Te dalle ciglia
la luccicante preghiera;
TU per le mani di mio figlio
che mai sentirono le mie
e non ebbero più guida
se non di ricordo,
TU, o Signore, tendi la mano
per quanto noi Ti offrimmo,
preserva dalla vita e dalla morte
ch’io conobbi in sorte
e benedici
ogni fratello che vive.
Benedici l’Italia
Alessandro Vincenti: La preghiera la
trovate nella brochure che vi è stata distribuita all’ingresso.
Vorrei chiamare adesso nuovamente il
coro che ci canterà “Nikolajewka”. Questi ragazzi sono stati scoperti dal nostro
vice capo Gruppo, Gianluca Marchesi,
tenore primo del Coro ANA della Sezio(Continua a pagina 19)
(Continua da pagina 18)
ne di Milano e dal maestro del coro.
Mentre il coro si prepara, vorrei leggervi
due righe di Giulio Bedeschi su questa
canta.
“…è una canzone scritta da un alpino Bepi
de Marzi, un giovane che non ha fatto la
guerra ed è una canzone che vuole rievocare attraverso la suggestione di un nome
ripetuto tante volte dal coro, la situazione
vissuta dalla Julia nel ’43 a Nikolajewka,
la battaglia di Nikolajewka, una città nella
quale si erano insediate due divisioni russe
che ci contrastavano il passo in una delle
tante sacche che abbiamo dovuto sfondare
per uscire dall’accerchiamento. Nikolajewka è tra le più strazianti canzoni alpine,
c’è soltanto quel nome sussurrato, gridato,
invocato, ripetuto da voci vicine e da voci
lontane, come un addio dal fondo
dell’orizzonte”
Prima ci ha rivolto un cenno di saluto l'attuale Presidente dell'Associazione Nazionale Alpini ed ora, nel segno della continuità, cedo volentieri la parola al dr. Leonardo Caprioli, Nardo per tutti gli Alpini,
che per oltre 16 anni ha retto
l’Associazione.
Leonardo Caprioli: Voglio anzitutto rivolgere un cordialissimo saluto a tutti voi,
in modo particolare alla signora Luisa Bedeschi, che è qui con noi, a tutti gli alpini
presenti ed in modo speciale ai reduci di
Russia: all’infermiere, artigliere infermiere
Toffoli, al tenente reduce dalla prigionia
Ivo Emett e a tutti gli altri reduci di Russia
che sono qui. Un saluto deferente al mio
Presidente Nazionale Beppe Parazzini, che
mi meraviglio non si sia alzato a cantare
con i ragazzi, perché per lui il canto è una
cosa irresistibile. Io di solito sono abituato
a parlare a braccio però di fronte a un pubblico come questo non era possibile ricordare Giulio Bedeschi facendo magari delle
omissioni o commettendo errori, per cui ho
preferito scrivere tre paginette che vedrò di
leggervi il più rapidamente possibile anche
perché c’è Peppino Prisco che mi controlla
con l’orologio per vedere se impiego più
dei dieci o quindici minuti che gli ho promesso. Io sento Giulio qui con noi stasera,
sento che ha avuto un permesso speciale
dal General Cantore e che è qui con noi
così come lo è sempre stato nei nostri cuori. E allora gli ho scritto una specie di lettera.
Quando dieci anni fa mi venne comunicata
la notizia che non ti avremmo più avuto
con noi, forse al momento non mi resi conto di quanto mi saresti mancato, di quanto
grande fosse il vuoto lasciato nel mio cuore, di quale immensità fosse
l’insegnamento trasmessomi attraverso le
tue parole, i tuoi scritti, i nostri incontri.
Forse per questo, da allora, ogni anno in un
qualsiasi giorno del mese di agosto, torno
alla chiesetta di San Lucio su
quell’altipiano che sovrasta Clusone da
cui si domina tutta la vallata, meta, settanta e più anni fa, delle mie giovanili
imprese sciistiche, quando si partiva da
Bergamo con il primo treno per la Val
Seriana e arrivati a Clusone ci si inerpicava lungo il sentiero che portava prima
a San Lucio e poi al Pianone, per ripercorrerlo poi nel tardo pomeriggio allorché si tornava per riprendere il treno che
ci avrebbe riportato a casa.
A San Lucio ricordi, tornavamo tutti gli
anni e con noi c’erano altri reduci della
campagna di Russia, Tino Simoncini del
Vestone, che divenne poi indimenticabile
sindaco di Bergamo e Zanoletti che tu
In primo piano Leonardo Caprioli accanto al
Presidente del Consiglio Comunale di Milano Giovanni Marra
descrivesti così bene nella tua Rivolta di
Abele. Staffetta sciatori della 52°
dell’Edolo, la mia Compagnia e il mio
Battaglione, e altri di cui adesso non ricordo il nome, mentre le nostre mogli
parlavano delle loro solite cose, noi ci
sedavamo sul muretto della terrazza e
senza dirci niente ma guardandoci negli
occhi, riandavamo col pensiero a quei
giorni, a quell’epopea tragica, assurda od
eroica, secondo i punti di vista, o forse
entrambe le cose.
Un'azione corale dalla quale, di volta in
volta, tu hai saputo far emergere un singolo.
Giulio, gli alpini da te descritti più che
combattenti sono soprattutto uomini, ai
quali è capitata la sventura di una guerra
che nessuno di loro aveva voluto, ma che
tutti hanno combattuto con onore. Colpisce, nelle tue descrizioni, la sfida di questi uomini più con se stessi che contro il
nemico, la sfida contro la rassegnazione,
il desiderio di mettere fine una volta per
tutte a quei giorni, durante i quali era forse più facile lasciarsi morire che continuare a vivere. Sono, così come tu ne
parli, personaggi dai valori risorgimentali
per i quali appare superato il dualismo
eroe e antieroe, perché sono solo uomini
proiettati in un'avventura da cui emergono i valori della solidarietà, della generosità, dell’aiuto reciproco. Vi sono nel racconto di questa avventura una grande
sobrietà e alcuni tratti di commovente
poesia e ci si rende conto, allora, che per
te, Giulio, questo era il tuo mondo, quello dei Pilon e degli Scudrera, dei Toffoli,
dei Reitani, dei Perbellini, un mondo nel
quale tu avresti voluto rituffarti, per stare
ancora con quegli uomini, per rivivere
quei momenti di tragedia e di esaltazione, per riprovare e risentire tutto il calore
umano e la commozione provati allora,
come quando Scudrera al limite della
sopportazione e della resistenza fisica,
cede all’amico che sta morendo di fame
quella crosta di formaggio, tanto gelosamente custodita, che doveva mangiare lui
prima di morire. E, allora, Giulio nell'impossibilità e nella difficoltà di accettare il
nuovo mondo che non è più il tuo, ecco
che tu confronti il tuo mondo di allora
con quello in cui devi vivere. Al tuo
mondo di valori che non si possono barattare con nient’altro, perché la dignità
umana non è mai stata in vendita meno
che meno in quegli uomini nei quali tu ti
rispecchi, tu contrapponi i tristi momenti
del ‘68 con tutte le sue contraddizioni, la
famosa ricerca di un qualcosa che possa
giustificare quell’affannoso, prepotente
rifiuto di ogni disciplina, di ogni sacrificio di qualsiasi impegno e fatica. La tua
aperta disapprovazione per la contestazione giovanile del ‘68 potrebbe forse
avvallare un giudizio abbastanza scontato
su di te, scrittore uomo, non in linea con i
tempi, incapace, per alcuni nella coraggiosa coerenza con te stesso e perché dotato di una onestà intellettuale che non si
piega alle mode e alle strumentalizzazioni socio-politiche del momento, di cogliere i mutamenti di una società in evoluzione. Del resto l’opinione pubblica ci
vede da più parti anche e soprattutto politiche, come scomodi dinosauri mummificati nella nostra epoca e nella nostra storia, comunque fortunatamente, in via di
estinzione. Ma ciò non è vero, tu di quei
giovani, col volto coperto da un fazzoletto e che urlavano tutta la loro rabbia per
una società dalla quale si sentivano traditi, non hai guardato solo l’aspetto esterno, hai cercato di stare loro vicino e in
loro hai visto emergere qualità insospettabili e ti sei accorto che, anche se con i
jeans ed i capelli lunghi, in loro alberga(Continua a pagina 20)
Alpin del Domm 19
vano gli stessi sentimenti che riscaldavano
il nostro cuore quando avevamo vent’anni,
e fai capire che, secondo il tuo punto di
vista, il compito di noi anziani avrebbe dovuto essere quello di mettere a disposizione dei più giovani la nostra esperienza,
proiettandola nel mondo attuale. Perché, se
ci limiteremo sempre e soltanto a contare il
gruzzoletto dei nostri ricordi, fatto di monete che per altri non hanno più corso anche se per noi sono di oro zecchino, faremmo torto non solo a noi stessi, ma soprattutto ai nostri morti, ai nostri ideali, ad una
società che esige comunque la nostra presenza.
Ricordi Giulio, che nell’estate del 1974 su
a San Lucio. ti dissi che sulla spinta di
quello che i coscritti mi avevano insegnato,
nel ricordo di quegli Uomini che avevo
conosciuto in Russia, non me la sentivo di
continuare a restare ostinatamente ancorato
al passato. rifiutando quanto di nuovo ci
veniva proposto e avevo detto agli Alpini
della Sezione di Bergamo, di cui all’epoca
ero presidente, che era giunto il momento
di ricordare i morti aiutando i vivi, perché
questa era la componente fondamentale
dell’anima alpina. Anima alpina che i più
anziani avevano conosciuto in guerra come
espressione di amor patrio, ma soprattutto
come disponibilità ad aiutare gli altri. Anima alpina che, in tempo di pace, doveva
rifiutare l’immobilismo delle commemorazioni rituali che avrebbero isterilito il nostro slancio, relegandoci in un limbo di
parole che gli alpini di sempre hanno rifiutato, per operare invece in quei settori della
società dove non si richiedono discorsi alati e promesse mai mantenute, ma interventi
concreti. Avevo proposto allora agli alpini
di Bergamo di costruire un complesso che
potesse ospitare coloro che più impietosamente erano stati colpiti dalla sorte, gli
handicappati, come quegli alpini che nella
neve di Russia, non più in grado di proseguire il cammino, si erano accasciati esausti pietosamente ricoperti dopo pochi istanti da un candido velo di neve. Tu mi rispondesti: Nardo, tu, in questo modo, farai
simbolicamente rivivere uno dei tuoi alpini, darai calore e vita a una di quelle centomila gavette di ghiaccio che sono rimaste
lassù e forse riuscirai a pagare, però solo
parzialmente, quel debito nei confronti della sofferenza, del dolore e della morte che
allora abbiamo contratto e che ci accompagnerà per tutta la vita. Giulio perché gli
interventi degli alpini a favore di chi soffre
in una società come la nostra appaiono come dei miracoli a volte scioccanti? Perché
lo fanno? Ci si chiede da più parti. Perché
la solidarietà gratuita sgomenta più
dell’egoismo? La risposta è nell’aver accolto e trasformato da parte degli alpini di
oggi, il messaggio che traspare inequivocabile nei tuoi scritti, di quei ragazzi che nel
1943 marciavano, pressoché scalzi, nella
Alpin
20
Alpin
del Domm
del Domm
neve, messaggio che non conosce frontiere storiche e generazionali, che sfida
l’indifferenza e l’egoismo in nome di una
comune umanità.
Purtroppo non tutti, anzi ben pochi, hanno recepito questo messaggio. Sempre su
a San Lucio tu mi dicesti, anni fa, che
l’uomo solo attraverso le prove più impegnative, i sacrifici più dolorosi, le rinunce più costose, riesce ad essere veramente se stesso, riesce ad esprimere tutto
quello che, potenzialmente, ognuno di
noi ha nel cuore, riesce ad apprendere
che la vita non può e non deve essere
vissuta solo per se stessi ma anche e soprattutto per gli altri. Questo hanno insegnato i loro vecchi agli Scudrera e ai Pilon del tuo Centomila gavette di ghiaccio, questo ha voluto dire il tuo Reitani
quando decise di tornare nella neve di
Russia, per poter essere ancora idealmente con i suoi artiglieri, per poter tornare a
vivere, e tu con lui, in quel mondo appreso durante la campagna di Russia del
quale facemmo parte e che nessuno di
noi vorrebbe più abbandonare. Non ricordo, o meglio non voglio ricordare, il nostro ultimo incontro proprio perché è stato l’ultimo, anche se io ogni tanto ti sento
ancora accanto a me, come quel Minà
della Rivolta di Abele e spesso mi dico
che il buon Dio, che troppo prematuramente ti ha chiamato accanto a sé, forse
lo ha fatto per non farti vivere questi ultimi dieci anni di follia, nei quali abbiamo,
impotenti, constatato quanto siano diversi i tuoi uomini di allora dagli uomini di
adesso, quanto quei sentimenti, che per i
nostri alpini erano altrettanti, credo, siano vanificati nella ricerca soltanto
dell’egoistico interesse personale o partitico. Oggi Giulio, pur di arrivare, pur di
mantenere quella sedia, si accetta qualsiasi compromesso. Prima si accusa, poi
si ritratta, prima si offende e si minaccia,
poi ci si pente e si fa il sorrisetto di circostanza, non ci sono più ideali, e uomini
che li perseguono senza secondi fini, non
ci sono più gli Scudrera e i Pilon, che
nella loro semplicità imparata nelle mura
domestiche e rinsaldata durante la naia
alpina, hanno saputo offrire uno spettacolo di tale grandezza, che tutto il resto del
mondo a loro cospetto scompare. Ci stanno pian piano distruggendo Giulio, stanno uccidendo per la seconda volta tutti i
tuoi artiglieri della 26, il tuo capitano, i
tuoi tenenti e sottotenenti, i tuoi artiglieri,
tutto quello in cui noi abbiamo creduto e
che i nostri vecchi ci avevano insegnato,
ma coloro che oggi credono di annientarci non sanno che quei valori che tu ci hai
trasmesso sono talmente levati, talmente
belli, talmente indistruttibili che non potranno mai essere strappati dal nostro
cuore. Credono che eliminando i nostri
Battaglioni e i nostri Gruppi, elimineran-
no anche noi e non riescono a capire che
non riusciranno mai a distruggere quello
che abbiamo nel cuore perché Tridentina,
Julia, Orobica, Taurinense, Cadore, vogliono dire alpini e alpini vogliono dire
Italia, la nostra Italia.
Ciao Giulio, hanno voluto che fossi io a
ricordarti, forse perché sanno che ti ho
voluto un sacco di bene e che ti sarò
sempre grato per tutto quello che mi hai
insegnato.
Arrivederci lassù.
Alessandro Vincenti: Tutti gli anni, il
sabato prima dell’Adunata Nazionale
degli Alpini, si celebra la cosiddetta
"Messa della Julia". A questa messa partecipava sempre, assieme ad un gruppo
di reduci, anche Giulio Bedeschi.
Di questo gruppo di reduci, di amici oggi
ve ne sono alcuni qui presenti: ed a loro
vorrei chiedere di portare alla prossima
Messa un ricordo di questa celebrazione.
Vorrei, ora, dare la parola all'avvocato
Giuseppe Prisco, Peppino, per tutti noi.
Peppino Prisco: Saluto tutti, in particolare, dopo avere cancellato alcuni nomi
perché, parlando per ultimo ci si trova
sempre di fronte a delle sorprese, volevo
salutare Toffoli, Marchisio ed Emett, entrambi del terzo artiglieria alpina, volevo
salutare il sergente Sergio Cuttò del Battaglione L’Aquila, che ho rivisto dopo
qualche anno e mi ha fatto molto piacere.
Io ho avuto la fortuna di conoscere Giulio Bedeschi nel maggio del ’42. Lui era
stato un mese in licenza, io venivo dal
Battaglione L’Aquila Bis. Eravamo a
Gorizia, andavamo a mangiare in una
strana trattoria, che, se ricordo bene, si
chiamava Aurora; e c’erano quelli
dell’artiglieria alpina, dominavano, erano
in numero maggiore. Giulio era appena
arrivato ed era in fondo, io ero degli alpini e, quindi, avrei dovuto avere, rispetto
agli artiglieri, il posto d’onore - ma questa è una battuta, così, perché ci sfottiamo sempre amichevolmente - e così ci
confidavamo. Mi parlava del suo ritorno
a casa, del padre, della madre che vivevano in dignitose ristrettezze come tutti
gli italiani per bene dell’epoca, della sorellina che aveva undici anni meno di lui
e quindi era considerata la piccola della
famiglia. E così ricordo ancora quando il
18 – 19 giugno, sempre del ’42, andammo a piedi a Udine perché c’era la sfilata
davanti al Re Imperatore. Ci si metteva
sull’attenti e si faceva il saluto militare in
due giorni di pioggia spaventosa. Però il
Padre Eterno, quel giorno favorevole, per
il 21 giugno ci lascio sfilare: sfilava
l’Ottavo Alpini, sfilava il Nono Alpini,
sfilava il Terzo Artiglieria Alpina. Tutti e
tre i reggimenti decorati di medaglia
d’oro per quanto avevano fatto in Grecia.
Poi andammo in Russia, era l’estate del ’42
e lì pur essendo della Julia, entrambi, Giulio ed io, le occasioni di vedersi erano relative. I primi mesi furono tranquilli; ricordo
che un giovane sottotenente del Val Cismon del 9° alpini si prestò per andare al di
là del Don per fare un colpo di mano - oggi
si direbbe una follia totale - e andò, si sentirono gli spari e non si seppe più niente.
Ricordo di un cugino di mia moglie, moglie che allora non conoscevo, che era il
tenente Cellanova, già medico, anche lui
della Julia: un cecchino dall’altra parte del
Don, aveva ferito un giovane alpino, e lui
si era precipitato per prenderlo. Lo aveva
portato al riparo, ma l’ultimo colpo fu riservato a lui. Era il segretario del GUF di
Pavia, il Gruppo Universitario Fascista, e
morì così, non secondo i suoi desideri: avrebbe desiderato vivere! Ma un italiano
che avesse avuto le palle e l’amor patrio,
allora, doveva comportarsi così e moltissimi si comportarono così.
Nel dicembre del ’42 per la Julia
furono giorni tremendi, catastrofici. L’Aquila, il Tolmezzo e la
13° Batteria dell’Artiglieria Alpina erano già predestinate ad essere il Nucleo Celere di Intervento
aggregati al 24° Corpo Corazzato
Panzer tedesco e ci trovammo
così all’avventura in una zona
che dopo circa cinquant'anni e
pagando cento dollari a un autista
che conosceva il luogo, insieme a
Beppe Parazzini, girai in lungo ed
in largo per ritrovare Selenjar per
ritrovare il Kalitwa e tutti gli altri
luoghi; ma dopo qualche ora venne buio e io non trovai niente.
Pazienza, 100 dollari non spostano la vita anche se, forse, la mia
vita, se avessi potuto vedere quei
luoghi, sarebbe stata per qualche
giorno almeno più lieta.
C'era un particolare però: nel '42 noi andammo lì oltre la metà di dicembre, mentre
quando tornai era il mese di settembre e vi
era una natura completamente diversa.
Negli ultimi giorni di dicembre, dopo la
morte di Burri, che era il medico della 108° Compagnia, dopo la scomparsa di Bedini, che era il medico della 93°, al quadrivio
di Seleniar dove ero andato così, non so
per quale motivo, chiamato, il 28 o il 29
dicembre, vidi Giulio Bedeschi, ma non ci
riconoscemmo: era da giugno che non ci
frequentavamo. Chiesi qualcosa, ci salutammo e solo dopo capii: un sorriso mesto,
perché non si poteva essere allegri in quei
tempi.
Poi il 17 gennaio ci fu l’inizio di quella che
tutti chiamano Ritirata di Russia, ma per
tornare
indietro, essendo continuamente accerchiati, fu necessario combattere, combattere
duramente, vedere un’infinità di alpini mo-
rire, cadere. Congelamenti a non finire:
veramente una tragedia.
Un libro che dovrò presentare martedì al
Circolo della Stampa, con importanti personalità come Padellaro del Corriere della Sera e l’Ambasciatore Sergio Romano,
narra quella che definisce come la più
grande epopea dell’esercito italiano a
proposito della divisione Acqui.
Ma non è certo possibile fare una graduatoria fra le varie epopee. Là sono morti
italiani selvaggiamente, più o meno fucilati dai tedeschi. In Russia abbiamo combattuto aspramente e, quando siamo tornati abbiamo dovuto subire l’accusa di
invasori: “…eh, ma siete andati là, nella
loro terra, nella loro patria”. Macché terra e terra! Era gente nata a migliaia e migliaia di chilometri di distanza, non difendevano la loro terra, obbedivano agli
ordini dei loro capi.
In guerra non si va per fare le belle sta-
Peppino Prisco ricorda l’Amico Bedeschi
tuine, si va per ammazzare, onde non
essere ammazzati. Sono frasi che oggi
fanno rabbrividire, ma chi ha settantanove anni, come ormai avrò io fra pochi
giorni, e come tanti altri qui, sanno bene,
per esperienza personale, che questa è
l'assoluta verità.
Dopo tornammo e non ci vedemmo, almeno io non vidi Marchisio non vidi Emett, non vidi il serpentino simpatico
Sergio Cuttò e così insomma eravamo
tutti sbandati. Ci fu il 25 luglio, ci fu l’8
settembre, non si capiva più assolutamente nulla. Si dava un’impronta politica
alla nostra guerra, si ignoravano i prigionieri, non si osava, da parte del Governo,
chiedere informazioni su quanti erano
caduti in prigionia, che erano decine di
migliaia. E questa angoscia continuò per
decenni.
Quando timidamente c’è stato anche un
ministro, un componente del Consiglio
dei Ministri che andando in Russia in
missione ha chiesto scusa perché gli italiani erano andati là a combattere, avemmo la prova della viltà dei nostri politici
o meglio della loro "…coglioneria".
Però noi ci trovavamo ogni tanto. Io rividi Giulio in casa della signora Delliponti,
che vedo lì in terza fila e che saluto con
tanto affetto, vedova di un tenente, magari sarà diventato capitano perché poi i
gradi avanzano per anzianità. E siccome
io sono ancora sottotenente, mi considero
ancora giovane.
Ci trovavamo e pensavamo: “ma cosa
succede, non si può saper niente”. Nel
’54, alla fine di gennaio, rientrarono 12
prigionieri o 16 quanti fossero, fra i quali
almeno due della Julia, Franco Magnani
e Don Padre Brevi. Allora io organizzai
un pranzo al ristorante Abetone, qui vicino, in Foro Bonaparte. Eravamo una
trentina, non voglio dire della stessa fede,
ma con gli stessi sentimenti: pensavamo
a quelli che non c’erano
più; speravamo che qualcuno tornasse ancora.
Io invitai logicamente anche Giulio e ho persino
qui due fotografie, una
delle quali darò a Luisa. E
Giulio qui sembra cantare
allegro, ma era una serata
strana: un po’ eravamo
allegri e un po’ eravamo
tristi, e basta vedere
l’espressione dei due che
sono in entrambe le fotografie, per rendersene conto. Queste due persone
sono Nino Lavizzari e la
signora Ester Lavizzari,
rispettivamente fratello e
vedova del Colonnello che
comandava il 9° Alpini,
padre del Tedo e nonno
del Cesare che vedo qui presenti.
Io darò queste fotografie una a te Luisa e
una a te Tedo.
Così anche quella sera ci sentivamo più
uniti, isolati dal mondo, però uniti fra di
noi che è quello che fa piacere.
In quel periodo Giulio era entrato nel
mio Rotary, avevo fatto io il presentatore, e quindi al giovedì ci vedevamo quasi
sempre. In una di queste occasioni mi
disse che stava perfezionando gli appunti
che aveva scritto subito dopo il rientro in
Italia. E ad un certo momento mi annunciò che era pronto questo dattiloscritto.
Io di balle ne racconto tante, ma questa
sera su quello che sto per dirvi ho
un’autorevole testimone: la moglie di
Giulio.
Quando Giulio mi diede da leggere il
dattiloscritto, io lo divorai: l’avevo avuto
il sabato mattina e la domenica sera a
mezzanotte mia moglie mi disse: “ma
cosa c’è, hai gli occhi umidi”. “Fatti
Alpin del Domm 21
miei” risposi, Ma lo dissi affettuosamente,
senza reazione, “ma è perché ho finito il
libro di Giulio e adesso gli telefono." "Ma
sei matto, è mezzanotte!”. Matto o maleducato, io ho telefonato, Giulio ha risposto
come se fossero le dieci del mattino e ha
detto: “Per me è una cosa bellissima. C’è
qui anche Luisa che ti ringrazia”. E così io
ho citato l'Anabasi di Senofonte: ma il libro di Giulio era superiore, secondo me,
anche perchè dei Greci mi interessa poco.
Poi ci rivedemmo e allora timidamente, e
anche qui invoco la testimonianza di Luisa,
feci qualche osservazione, dissi “Ma tu
metti il Colonnello Lavizzari, però invece
quando parli di altri metti Verdotti anziché
Rosotto. Cambi i nomi metti Gianfranco
Di Nemi anziché Gianfranco Uccelli Di
Nemi". E lui mi disse: “Ma sai io i vivi li
ho chiamati come ho voluto. Quelli che
sono mancati li ho chiamati col loro nome". Ed io lo trovai giustissimo.
Seconda osservazione, timida: “Il titolo
proprio non mi piace per niente”. Il titolo
era “Giacché sei polvere” e questa mia osservazione lo fece un po’ riflettere.
Dopo pochi giorni mi disse: “Sai Luisa ha
trovato un altro titolo “Centomila gavette
di ghiaccio”.
Passarono gli anni io ideai la Messa che
ormai si celebra ogni anno, la terza domenica di dicembre. Feci precedere la messa
il giorno prima da un annuncio sul Corriere
ed uno sulla Notte: “La medaglia d’oro
Padre Giovanni Brevi domani alle ore 10.00 in San Sebastiano, celebrerà una S.
Messa in memoria dei caduti del Battaglione L’Aquila.” Questa volta i suggerimenti,
le garbate critiche, me le fece proprio Giulio e allora trasformai la celebrazione in
suffragio dei caduti della Julia e, negli anni
successivi, per tutti gli italiani, comunque
inquadrati, caduti per l’Italia. Ed è ancora
oggi la manifestazione patriottica più bella
che c’è a Milano e non solo a Milano.
Poi Giulio un giorno mi disse: “Senti ma tu
conosci tanta gente: perché non troviamo
un editore”. E allora cominciai ad andare
da un editore all’altro: andai da Andrea
Rizzoli che si confermò milanista nella
fattispecie - era presidente del Milan -, mi
mise nelle mani di Rusca, persona molto
intelligente. Mi disse di lasciargli il dattiloscritto e che mi avrebbe fatto sapere. La
sera ho telefonato a Giulio dicendogli che
avevo buone speranze: del resto avevo anche qualche pratica della Rizzoli. Dopo
pochi giorni, però, mi restituirono il dattiloscritto e io dovetti dire a Giulio:
“Purtroppo niente”.
Poi andai, su consiglio di mio cugino Michele Prisco, da Cimadori della Mondadori
ed anche qui solita storia: "Si, gran bel lavoro, ma sa interessa poco..". Andai da
Garzanti che mi disse testualmente: “Ma
sa, io ho pubblicato due libri di reduci di
Russia, ma non sono andato oltre la prima
Alpin
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Alpin
del Domm
del Domm
edizione”. Da Feltrinelli non andai proprio, perché non avevo alcuna possibilità.
Da ultimo andai da Bompiani che fu veramente gentile, affettuoso, comprensivo,
però alla fine disse: “Avvocato ma lei sa
quanti anni sono passati dal ’42?”. Io,
probabilmente, sbagliai la risposta perché
l’aritmetica non è mai stata il mio forte e
lui disse: “Io ammiro l’entusiasmo di voi
che ricordate i caduti, che volete bene
alla Patria e tutto, però c’è poco da fare,
la gente pensa a divertirsi. Siamo nel ’62,
si affaccia il Centro Sinistra, stanno nazionalizzando tutto. C’è il gran Concilio
del Vaticano, con tutta l’ammirazione..”
“Grazie” risposi, e me ne andai.
E invece il libro uscì, perché Giulio si
rivolse alla famiglia Mursia - c’è qui la
signora che saluto con vecchia amicizia e così uscì il libro.
Io ho una copia finita di stampare nel
gennaio del ’63 e la dedica di Giulio è
del 16 febbraio. Una dedica che non leggo perché assurdamente elogiativa. Gli
elogi quando sono eccessivi puzzano di
non sincerità, invece fra me e Giulio, come può, per l’ennesima volta testimoniare Luisa, i rapporti erano fraterni.
Prima ho sentito, purtroppo sento poco,
l’analisi letteraria, la critica: ma Giulio fu
anche finalista del Campiello che è il più
importante premio letterario italiano e
quella era la prova che era un letterato.
Non dico che, io poi non dissi niente a
tutti questi gentiluomini che mi avevano
sorriso, dato illusioni e poi negato
quell’appoggio concreto che volevo venisse dato al libro di Giulio.
Passarono gli anni ci vedevamo, ultima
testimonianza poi non te ne chiedo più,
potrei chiederla anche a Tedo Lavizzari,
il 26 gennaio, il giorno di Nikolajewka,
ci trovavamo in casa mia, mangiavamo
qualcosa, chiacchieravamo, una ventina,
trenta persone fidate e concludevamo la
nostra riunione cantando “Alpino della
Julia" e "Sul ponte di Perati” tutti commossi, emozionati.
Poi Giulio si trasferì a Verona, è vero che
è solo un’ora di treno, un’ora e mezza
quel che è, In automobile ci si mette anche meno, ma insomma eravamo meno
insieme e poi ci fu quella triste notizia.
Sul treno che portava da Milano a Verona un’infinità di cappelli alpini e scherzosamente dicevamo: “Ma qui ci hanno
richiamato sotto la naia”.
Anche un richiamo non ci sarebbe dispiaciuto per stare un po’ insieme ricordando
i nostri caduti.
Poi sono tornati i dispersi, son tornate le
urne. Ma adesso consentitemi divagazione perché sennò mi commuovo.
Noi non abbiamo vinto la guerra, anche
se una parte sostanziale del nostro paese
si illudeva di averla vinta, quando dal
Sud erano arrivati fino al Nord gli Allea-
ti. L’unica vittoria che abbiamo avuto la
dobbiamo a un comandante che è presente qui, e parlo di Enzo Bearzot che ci ha
fatto vincere i mondiali nell’82.
Ora io devo concludere perché prima ero
intollerante, quando gli altri parlavano,
ma avendoti notato lì con la gentile signora, ho detto: “Ora divago. Abbiamo
vinto qualcosa? – Sì i mondiali!" E speriamo di vincerli ancora, ma ci vorrebbero gli Alpini anche nelle squadre di calcio”.
Alessandro Vincenti: Devo chiedere ora
una cortesia a tutti. Vorrei che ci si alzasse in piedi, chi ha il cappello lo metta. Il
coro, ora, canterà quella che per noi alpini è una preghiera: "Sul Ponte di Perati”.
Prof. Giuseppe Cantamessa: Vi chiedo
solo un attimo d'attenzione: la mia è una
proposta.
Il Coro ANA della Sezione di Milano
aveva un impegno, precedentemente preso, e questa sera si trova in quel di Biella;
ma qui ci sono dei coristi ed io rivolgo
loro una proposta.
E’ il coro più bravo di tutti quelli delle
Sezioni dell’Associazione Nazionale Alpini (questo l’ho scritto già trentasette
anni fa con un titolo a cinque colonne).
Hanno un bravo maestro, Massimo Marchesotti, hanno a disposizione dei musicisti insostituibili sia compositori che
arrangiatori. Ebbene sarebbe il dono più
bello se nel decimo anniversario della
morte di Giulio Bedeschi cantassero “La
preghiera dell’Alpino ignoto”.
Non mi dicano che non c’è tempo perché
l’anniversario dura un anno e voi avete a
disposizione un anno, un mese e due
giorni e poi dite anche che non ve lo
chiedo solo io, ve lo chiede anche la signora Bedeschi. Sono certo che ve lo
chiedono anche tutti gli alpini.
Il Coro Biele Stele canta "Sul Ponte di
Perati".
Al termine della manifestazione il Capogruppo consegna agli oratori ed alle personalità intervenute un pergamena con la
Preghiera dell'Alpino Ignoto ed il Guidoncino del Gruppo Milano Centro.
Il Coro Biele Stele canta “Signore delle
Cime”.
***
Alla fine di tutto desideriamo ringraziare, per il sostegno offerto nel realizzare
questa pubblicazione:
Agenzia Frua Reale Mutua assicurazioni
Studio Nicola-Giordano S.r.l. consulenza
immobiliare
Gruppo avvocati alpini.