Con il fondamentale supporto scientifico ed economico dell`Istituto

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Con il fondamentale supporto scientifico ed economico dell`Istituto
C’è moda e moda… Dall’abito aristocratico all’abito “uniforme”.
Restauri di abiti dei secolo XVIII, XIX, XX della collezioni museali
Modena, Museo Civico d’Arte, Sala Nuova
19 maggio - 14 luglio 2013
Promotori
Museo Civico d’Arte - Comune di Modena
Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna
L’iniziativa rientra all’interno del progetto europeo Comenius partnership promosso
dall’Istituto Cattaneo Deledda di Modena MIF - Museums in fashion
http://museumsinfashions.wordpress.com/
Catalogo a cura di
Iolanda Silvestri e Lorenzo Lorenzini
Testi di
Francesca Piccinini, Laura Carlini, Lorenzo Lorenzini, Iolanda Silvestri, RT Restauro
Tessile
Redazione
Isabella Fabbri, Iolanda Silvestri (IBC)
Progetto grafico
Beatrice Orsini, Iolanda Silvestri (IBC)
Realizzazione grafica
Beatrice Orsini (IBC)
Crediti fotografici
Costantino Ferlauto (IBC), RT Restauro Tessile
Ufficio stampa
Valeria Cicala, Isabella Fabbri, Daniele Perra, Carlo Tovoli (IBC)
C
on il fondamentale supporto scientifico ed economico dell’Istituto Beni Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna il Museo Civico d’Arte ha
potuto recuperare, restaurare, studiare e riallestire negli anni scorsi l’intera collezione tessile Gandini, organizzando a conclusione del percorso il convegno internazionale “Antiche trame, nuovi intrecci. Conoscere e valorizzare le collezioni
tessili” (novembre 2010), e recentemente ha potuto avviare anche il restauro della
propria raccolta di abiti storici.
Per questo, nell’ambito dell’iniziativa “Museums in fashion”, organizzata dal museo insieme all’Istituto Cattaneo-Deledda di Modena a conclusione del progetto
europeo Comenius che ha visto collaborare ragazzi finlandesi, italiani, rumeni e
turchi e musei del costume delle quattro diverse nazionalità, viene proposta la
mostra “C’è moda e moda... dall’abito aristocratico all’abito uniforme”. L’esposizione è dedicata al nucleo di abiti storici della raccolta museale, restaurati a cura
dell’Istituto Beni Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna presso il laboratorio RT Restauro Tessile di Albinea (Reggio Emilia) tra 2012 e 2013. Tali abiti
costituiscono una campionatura rappresentativa di una collezione ben più vasta,
che conta circa duecentocinquanta capi databili tra metà del Settecento e metà del
Novecento, collezione nell’ambito della quale sono stati scelti i capi sui quali hanno
lavorato gli studenti del progetto MIF – Museums in fashion.
Nella stessa sala risultano così esposti, fianco a fianco, i capi realizzati dagli studenti ispirandosi a costumi storici appartenenti al Museo Civico d’Arte di Modena
(Italia), al KH Renlund Museum di Kokkola (Finlandia), al Kent Müzesi di Bursa
(Turchia) e al Museum “Casa Mureşenilor” di Braşov (Romania) e gli abiti del
museo modenese restituiti alla loro piena godibilità dalle mani sapienti delle esperte restauratrici reggiane, guidate da Iolanda Silvestri dell’Istituto Beni Culturali e
Naturali della Regione Emilia - Romagna. Un rinnovato e sentito grazie va quindi
all’Istituto regionale che concretamente consente con il suo sostegno di intraprendere la strada della valorizzazione delle collezioni tessili e del costume del museo,
fortemente caldeggiata in occasione del recente convegno organizzato in collaborazione, del quale è imminente la pubblicazione degli atti.
Restauri
Laboratorio RT Restauro Tessile, Albinea (RE)
Stampa
Centro stampa regionale Emilia-Romagna
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Francesca Piccinini
Direttrice
Museo Civico d’Arte di Modena
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I
l sodalizio tra il Museo Civico d’Arte di Modena e l’Istituto per i Beni Artistici
Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna per lo studio e la valorizzazione dei tessuti storici, avviato nel 1985, presenta oggi un nuovo esito che si pone
in continuità con il precedente, dedicato alle vesti delle mummie di Roccapelago e
Monsampolo del Tronto.
Per l’odierna collaborazione non abbiamo voluto limitarci a organizzare una semplice mostra, o a sostenere lo studio e il recupero sistematico della raccolta Gandini, ma tentiamo di dare sostanza a una proposta innovativa radicata nella contemporaneità. Un’idea che guarda al futuro e che vede protagonisti i giovani e la
moda, da un lato, l’interculturalità e lo scambio dei saperi, dall’altro. Un modello
che reputiamo vincente poiché cerca di dare risposte alle istanze della globalizzazione, puntando a due obiettivi di sviluppo: i giovani con le loro aspettative di
crescita culturale, economica, sociale e la ricerca applicata all’arte, all’industria e
all’artigianato. Una “mission” ineludibile data la vocazione del museo, che vanta
non solo una della più importanti collezioni tessili al mondo, ma anche un fondo
cospicuo di abiti e accessori d’epoca, entrati nelle raccolte museali grazie a una
strategia di acquisizioni e donazioni mirata a integrare il fondo tessile storico. Una
sfida, inoltre, a rafforzare la propria riconosciuta leadership nazionale in materia di
programmi d’inclusione sociale e di attenzione ai temi interculturali. Un obiettivo
ambizioso e lungimirante da parte di un’istituzione che persegue la migliore offerta
culturale e gestionale possibile per garantire gli standard di qualità individuati dalla
Regione nel 2003.
Con la nuova iniziativa il museo interpreta l’idea stessa di moderna museologia, già
perseguita da Luigi Alberto Gandini alla fine del XIX secolo: quella di servizio e di
crescita della collettività e della cultura. L’ Istituto per i Beni Culturali ha sostenuto
l’impegno del museo modenese contribuendo al restauro e all’avvio dello studio
di un nucleo di materiali, selezionati per l’urgenza conservativa e per lo più inediti,
nella consapevolezza che questi sono gli strumenti fondamentali per traghettare
la conoscenza del passato nel presente e rilanciarla nella modernità. Le risultanze
tecniche del recupero, per quanto attiene al restauro, sono consultabili nella banca
dati del patrimonio regionale dell’IBC (http://bbcc.ibc.regione.emilia-romagna.it/
samira/v2f e/index.do), mentre è in fase di avvio la schedatura scientifica di questi
materiali, che saranno studiati e classificati in accordo con le direttive ministeriali
della scheda VeAc (Vesti Antiche e Contemporanee) e inclusi nel programma di
catalogazione del patrimonio regionale dei beni culturali gestito dall’Istituto per i
Beni Culturali.
Laura Carlini
Responsabile del Servizio Musei e Beni Culturali dell’Istituto per i Beni Culturali
della Regione Emilia-Romagna
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Abiti e accessori
di Modena
del
Museo Civico d’Arte
Lorenzo Lorenzini
Il Museo Civico d’Arte di Modena si qualifica soprattutto per le sue raccolte di artigianato artistico, in particolare per la collezione tessile Gandini, vero e proprio fiore
all’occhiello dell’istituzione. E’ evidente che gli oltre 2700 frammenti di tessuti esposti
nella monumentale sala voluta da Luigi Alberto Gandini (1827-1906) nel 1886 non
possono soddisfare che parzialmente chi si occupa di moda e di storia del costume in
senso stretto. Un confine questo che, certamente, non era stato percepito dal conte
modenese come un limite, essendo il suo progetto orientato a testimoniare, invece,
la storia dell’arte tessile. Soltanto in seguito, e quasi fortuitamente, ha preso forma
una raccolta di abiti che, in un certo senso, appare come un naturale complemento
di quella tessile. I primi esempi vestimentari - quasi reliquie laiche- arrivano in museo a testimonianza di presenze storiche: l’uniforme da accademico appartenuta al
pittore Adeodato Malatesta (1806 - 1091) con tanto di feluca e spadino, donata dalla
famiglia nel 1892 e il tocco da docente universitario appartenuto a don Celestino
Cavedoni (1795 - 1865), storico, archeologo e numismatico nella Modena estense
(n. 24).
In quei primi anni del Novecento i doni di abiti e accessori di moda sottostanno
certamente allo spirito del museo anche se sembrano sfiorare appena i criteri di
contiguità con la collezione Gandini; particolarmente significative sono le parole di
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Matteo Campori (direttore del museo tra il 1913 e il 1933) quando nel 1925 ringrazia
Maria Piella Gregori per il dono di alcuni oggetti: “Sono lieto ora, di dirle che essi
[gli oggetti] ne sono degni, alcuni anzi degnissimi. Gli stessi, quando non interessano
l’arte o le industrie artistiche, hanno il pregio che si lega al ricordo etnografico oggi
quanto mai cercato per la storia che si va facendo e del costume e delle consuetudini dei popoli” (lettera dattiloscritta rinvenuta con gli oggetti). La nobildonna aveva
mandato all’istituto ricami, merletti, un giubbetto turco e il bustino settecentesco
ora restaurato (n. 2). La donazione seguiva quella di Enrico Zuccoli del 1919 che,
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1.Busto, Europa, 1750-1760
Taffetas di seta azzurra fissato a un supporto rigido sagomato da stecche di
balena e foderato in tela di canapa con cuciture verticali e a losanga in seta in
tinta; le faldine a punta della baschina sono profilate da nastri in gros de Tours
e inserti di pelle bianca; ampio scollo rotondo, allacciature sul recto e verso
con cordonetti di seta azzurra; le maniche sono annodate al busto con nastri.
2. Corpino, Francia, 1760-1770
Lampasso broccato in seta policroma con pettorina sovrapposta in raso di seta perla ricamata
con applicazioni in ciniglia e gallone a fuselli in cotone bianco; profila il punto vita un pizzo a
fuselli in argento filato e in lamina; baschina a lobi; fodera in tela di lino naturale e tela stampata.
(Dono Maria Piella Gregori, 1925)
con materiali del tutto analoghi, frutto di un lungo soggiorno in Grecia, segna però
una lunga battuta d’arresto, fino agli anno ‘70 del Novecento, giusto in tempo per
allinearsi al fenomeno del cosiddetto folk. Tale recupero della cultura popolare e contadina, peraltro ancora assai prossima, non investì solo superficialmente la società
dell’epoca ma incentivò le “ricerche sul campo” le quali, se da un lato originarono
molti musei della “civiltà contadina”, dall’altro, innescarono un vero e proprio saccheggio delle campagne da parte di un mercato più o meno improvvisato. Eppure,
tra le maglie di questo commercio focalizzato su oggetti troppo modesti o troppo
recenti per entrare nel vero circuito antiquariale, si annida un rinnovato interesse per
il tessile e per il costume. E’ per merito di Anton Celeste Simonini, singolare figura di
raccoglitore-artista (promotore delle raccolte etnografiche di Villa Sorra e della Raccolta Civica di Castelfranco, entrambe attualmente chiuse al pubblico) che arrivano
in museo numerosi capi d’abbigliamento popolare e piccolo borghese. Sono gli anni
della direzione di Gabriella Guandalini alla quale spetta il merito di avere iniziato
e sostenuto la prima fase dell’imponente lavoro di catalogazione, restauro e riallestimento della collezione Gandini; la lungimiranza della studiosa, dunque, facilita
l’ingresso di questi materiali, sia mediante acquisti, sia mediante una vera e propria
sollecitazione del senso civico e di una cosciente manifestazione di appartenenza
culturale attraverso doni e lasciti.
Tutto ciò costituisce una sorta di premessa al sempre maggior interesse verso la storia
della moda che le successive direzioni hanno saputo canalizzare in una vera e propria vocazione del museo. Importanti acquisti, ma soprattutto cospicue donazioni,
hanno caratterizzato gli ultimi due decenni segnando un decisivo incremento del patrimonio. Accanto ai doni di corposi nuclei di abiti provenienti da famiglie modenesi,
si segnala anche la speciale “fidelizzazione” di alcune persone, in particolare di Danilo Bartoli, uno degli antiquari dal quale negli anni ‘70 il museo acquistò il nucleo
più interessante di abiti settecenteschi, ma che in seguito ha mutato il suo rapporto
istituzionale con una lunga sequenza di doni.
Va poi segnalato che il Museo Civico del Risorgimento conserva un grande numero
di divise militari e civili (circa 100 pezzi che comprendono militaria e berretti) che
testimonia in maniera efficace l’evoluzione dalla situazione preunitaria alla prima
guerra mondiale. Il nucleo di maggiore interesse è tuttavia quello inerente alle uni12
formi civili in uso presso la corte estense nella prima metà del XIX secolo.
Di seguito si riporta in ordine cronologico l’elenco degli abiti e accessori acquisiti dal
museo a partire dalla fine dell’Ottocento:
1892- dono famiglia Malatesta: uniforme da accademico con spadino e feluca appartenuta ad Adeodato
Malatesta
1908- dono Pasquale Iatici: toga con due tocchi e due cravatte appartenute a Celestino Cavedoni, metà
sec. XIX
1915- dono Enrico Zuccoli: abiti per immagini sacre, due giacchini greci, una sciarpa, secc. XVIII/XIX
1925- dono Maria Piella Gregori: bustino, sec. XVIII
1972- dono Anton Celeste Simonini: abiti civili, teatrali, cappelli maschili, cinture, borse, abiti per immagini sacre, scarpe, sec. XIX/XX
1975- acquisto Elena Florio da San Cassiano, veste e sottoveste maschile, sec. XVIII
1976- dono Gabriella Guandalini: due gilet, marsina, sec. XVIII
1976- acquisto Danilo Bartoli: gilet, frac, giacchino femminile, abito maschile, veste infantile, due abiti in
tre pezzi infantili, quattro gilet, sec. XVIII, livrea da servitore, sec. XIX
1977- acquisto Danilo Bartoli: due pianete, sec. XVIII
1979- dono Danilo Bartoli: gilet, sciarpa femminile, sec. XIX
1980- acquisto Maria Allegra: mantellina femminile, sec. XIX
1980- dono Danilo Bartoli: paramenti liturgici, abito teatrale infantile, calzoni maschili, due pianete,
piviale, uniforme da ciambellano, secc. XVIII/XIX
1980- Comitato Fiera Antiquaria di Modena: abito popolare sardo, sec. XX
1985- acquisto mercato antiquario: due campionari di sete e pizzi meccanici, sec. XIX
1985- dono Danilo Bartoli: abito femminile, inizio sec. XX
1990- dono Carla Spinelli Cristani: tre pianete e paramenti sacri, sec. XVIII
1992- acquisto Maria Grazia Vajtho Montanari: sciarpa di merletto, metà sec. XIX
1992- acquisto Paola Fantechi: gilet, abito femminile “andrienne”, ultimo quarto sec. XVIII
1995- dono Giovanna Molza: due paia di guanti, colletti di merletto, tre paia di scarpe femminili, sec. XX
1997- dono Tardini: spilloni da balia, manichino e testa per parrucca maschile, spalline e berretto da
ufficiale, tre cappelli a cilindro con cappelliera, bombetta, tre finanziere, divisa, due tenute da scherma,
due thigth, due frac, calzoni da sera, sette gilet, sec. XIX
1997- acquisto Bertoni Senigagliesi: giacchino femminile, cappotto femminile, fine sec. XIX/inizio sec. XX
2000- Ufficio Economato municipio di Modena: quattro abiti da mazziere con mantello, due abiti da
donzello con mantello, abito da trombettiere, divisa da usciere, metà sec. XIX
2000- dono Giovanna Dallari: borsa con accessori, tre abiti femminili, scarpe femminili, inizio sec. XX
2002- acquisto mercato antiquario: gilet ,età sec. XIX
2002- dono Tardini: due camice da frac, gilet da frac, 2 bottoni rimovibili, dodici colletti da camicia, due
cravatte da sera, fine sec. XIX
2003- dono Maria Segapeli: borsa femminile, abiti per immagine sacra, sec. XIX
2004- dono Dina Carandini: tre camice maschile, cinque paia di mutandoni maschili, quattro corpetti
femminili, sottogonna, abito con giacca femminile, calze, due abiti interi femminili, busto, inizio sec. XX
2005- dono Danilo Bartoli: camicia da notte con mutandoni femminili, inizio sec. XX
2005- dono Marisa Mari: spilloni da balia, calze femminili, sottoveste, colletti, abiti e cuffiette da neonato, cinture, gioielli di bigiotteria, sette corpetti femminili, undici paia di guanti, due borsette, parasole,
ventagli, bottoni, merletti, gale, tre sottogonne con mutandoni abbinati, sottovesti, copribusti, due cuffie
femminili, un completo da battesimo, secc. XIX/XX
2006- dono Giuliana Ferraresi: abito intero femminile, tre colletti di perle vitree, inizio sec. XX
2006- dono Vincenzo Vandelli: due pianete, sec. XVIII
2006- dono Danilo Bartoli: marsina, abito femminile, ultimo quarto sec. XVIII
2007- dono Rita Ghelfi: abbigliamento da neonato, inizio sec. XX
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3. Marsina, Francia o Italia, 1770-80.
Taffetas a effetto gros de Tours di seta rosa
con ricami a profilature in argento filato,
cannuttiglia, lustrini, lamine laccate e rete
a maglia esagonale; bottoni rotondi piatti
in tela su anima in legno ricamati; dorso e
maniche foderati in tela di lino rosa, davanti e falde in taffetas verde acqua.
(Dono Danilo Bartoli, 2006)
4. La marsina prima del restauro
5. Particolare della marsina prima del restauro
2007- dono Danilo Bartoli: feluca da funzionario estense, cappello a cilindro, sec. XIX
2007- dono Antonio Giacobazzi: cappotto da guardaportone, sec. XIX
2008- dono Mori: undici abiti femminili, sedici pezzi di biancheria intima femminile, otto borse, undici
cappelli femminili, cinque paia di guanti, quattro paia di scarpe, tre ventagli, sette abiti maschili, tre
camice maschili, sec. XX
2008- dono Associazione Antiquari Modenesi: sette abiti femminili, scialle, due cuffie, due paia di
maniche, due sottogonna, sec. XIX, pianeta, sec. XVII
2008- dono Marisa Mari, paramenti liturgici, indumenti da neonato, colletti e polsi femminili, fazzoletti, ventagli, secc. XIX/XX
2010- dono Franco Fratelli: quattro abiti maschili, sec. XX
2010- dono Alfredo Margreth: gioielli femminili, bottoni da sparato accessori di moda, sec. XIX
2010- dono Elisabetta Colombo Giglioli: due mantelline femminili, fine sec. XIX
2010- dono Marisa Dugoni Canepari: scialle di seta, corpetto femmile, due copribusto, camicia maschile, inizio sec. XX
2012- dono Nicoletta Cariboni: scialle di merletto, metà sec. XIX
Senza data e provenienza:
tre cappelli a cilindro, sec. XIX
zucchetto cardinalizio, sec. XVIII
due paia di calzoni giapponesi, sec. XIX
scarpa infantile, inizio sec. XIX
busto femminile, sec. XVIII
scarpe femminili, inizio sec. XX
cinque gilet, sec. XVIII
abito femminile, inizio sec. XIX
giacchino femminile, sec. XIX
quattro paramenti liturgici, secc. XVIII/XIX
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6. Sottomarsina, Europa, 1775-1785
Raso di seta perla ricamato a punto
raso e punto erba con decori floreali,
motivi bucolici e inserti dipinti a tempera con coppie di dame e gentiluomini; fodera in tela di lino naturale.
Dall’abito
Iolanda Silvestri
aristocratico all’abito borghese
Anche solo dal nucleo di abiti selezionati per il restauro di abiti e sconosciuti al grande pubblico, perché conservati nei depositi museali modenesi, è possibile cogliere lo
stile del vivere di un’ epoca e il codice semantico trasmesso dai “tra”vestimenti dei
suoi protagonisti: l’aristocrazia e la borghesia. Il codice vestimentario è infatti un formidabile mezzo di comunicazione del potere da sempre stabilito dal ceto dominante
che impone nuove regole di distinzione sociale quando avverte che questa distanza
viene meno e rischia confusione interpretativa o, alla peggio, omologazione.
La veste della nobiltà, nelle diverse declinazioni di abito aristocratico, più sensibile ai
cambiamenti della moda o di abito di corte, decisamente più conservatore e stereotipato, è stato lo schema interpretativo di riferimento guida dell’Ancien Régime che
ha definito i rapporti tra le diverse classi sociali attraverso codici estetici sempre rinnovati, spesso suggeriti dai ceti subalterni. Codici esibiti nelle apparizioni pubbliche
come nella vita privata e normati da divieti imposti (e sempre elusi) dalle prescrizioni
suntuarie. Questo almeno dall’antichità fino a tutto il XVIII secolo, epoca in cui il controllo del sistema moda da parte del potere costituito viene contrastato dall’entrata
in campo di forze sociali emergenti, come quelle della borghesia imprenditoriale,
prima in Inghilterra poi in Francia, che rivendicano la propria identità, introducendo
nuovi canoni estetici improntati a una maggior funzionalità e comodità del vestire.
La ridefinizione del codice vestimentario introdotta in epoca napoleonica ristabilirà
per circa un decennio la continuità rinnovata dell’antico regime, ma verrà subito
7. Particolare della sottomarsina prima del
restauro con le lacune del ricamo
8. Particolare della sottomarsina con il risarcimento delle lacune del ricamo
rimessa in gioco dalla domanda diversificata della borghesia industriale ottocentesca
che darà il via all’eclettismo tipico del secolo. Il Novecento delineerà scenari ancora
ulteriormente mutati diversi che vedono convivere l’affermazione della moda e del
design industriale come fenomeno di mercato di massa in contrapposizione alla continuità con l’alta sartoria di tradizione, artigianale e socialmente esclusiva. Scenari
che confermano, comunque, la regola non scritta e immutata della moda nei secoli
come ricerca continua di nuove modelli di distinzione e rivendicazione sociale.
In questa selezione espositiva l’abito dell’aristocrazia è rappresentato per il Settecento da due capi femminili (nn. 1, 2) e da otto abiti maschili, una marsina alla francese
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9. Sottomarsina, Europa, 1775-85
Raso di seta color perla ricamato
a punto raso, punto erba in seta
policroma, punto a nodini in
argento filato; fodera in tela di lino
naturale.
10. Sottomarsina, Europa,
1775-85.
Taffetas ad effetto gros de Tours
di seta perla; ricamo a punto
pieno e punto erba in seta
policroma.
(n. 3) e da sette sottomarsine, altrimenti dette sottovesti o gilet (nn. 6 - 16). Busto
e corpino femminili sono le espressioni contrapposte della moda del secolo, il primo rivolto alla semplificazione formale e materiale del vestire, mutuata dalle istanze della vita borghese; il secondo tutto ancora costruito nello stile rococò ricercato
e frivolo proprio dell’aristocrazia. Anche le vesti maschili degli esempi modenesi
testimoniano questa evoluzione del gusto nella moda del secolo dei lumi, con l’affiancamento ai modelli sontuosi e strutturati riservati agli abiti di corte e di parata
(qui però non documentati), di tagli sartoriali più essenziali e pratici realizzati con
tessuti di fondo uniti, meno pesanti in taffetas e raso di seta a tonalità chiare, dove
il decoro floreale minuto è affidato esclusivamente al ricamo che si distribuisce a
scacchiera sull’intera superficie o si concentra sulle profilature dei bordi, dei paramani, delle tasche, delle patte, dei bottoni e dei colletti. La botanica dei disegni è
ricercata, molto naturalistica e, spesso, predilige inserimenti di scenette arcadiche
o esotiche (n. 6) e di motivi neoclassici “a cammeo” ispirati alle nuove scoperte
archeologiche (n. 13). Il telo predisposto per la confezione di un gilet dello stesso
periodo (n. 16) documenta, poi, come l’alta domanda di questi capi di sartoria
imponesse comunque una razionalizzazione progettuale della produzione che
contenesse al minimo lo spreco della preziosa materia prima, la seta.
Completa la rassegna un gilet, già di primo Ottocento (n. 17), dal taglio corto e
sobrio realizzato in cotone con semplice ricamo in filato metallico a profilatura,
quasi interamente ossidato, che testimonia in modo ancora più evidente, rispetto
agli esempi precedenti, l’affermarsi nell’abito aristocratico maschile della nuova
eleganza borghese, meno attenta al superfluo e alla qualità dei materiali. La veste
della nobiltà del Novecento è documentata, invece, da tre capi femminili. I primi
due da giorno rievocano l’eleganza della Belle Epoque qui caratterizzata da forme
morbide e funzionali, realizzate in tessuti uniti di seta e cotone monocromi con
inserimenti di pizzi meccanici in cotone tono su tono e in filato metallico, utilizzati
come unico ornamento (nn. 19, 21). Il terzo, un lussuoso abito da sera degli
anni Venti (n. 22), a linea tubolare corta ricoperto da decori geometrici complessi
ricamati a cascata di perline e lustrini, attesta, invece, la ricerca di moderne forme
di eleganza, rivoluzionarie nelle tagli e nei disegni, proprie del gusto Déco.
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11. Sottomarsina, Europa, 1775-85.
Raso di seta perla ricamato a punto
catenella in seta policroma; fodera in
tela di lino naturale.
L’abito “uniforme”
Lorenzo Lorenzini
E’ soltanto da qualche decennio che il cerimoniale e tutto l’apparato che lo costituisce hanno abbandonato quasi totalmente i luoghi del potere pubblico. Eppure, in
un passato non lontano, le mansioni di chiunque, dal più alto funzionario all’ultimo
valletto, erano dichiarate a prima vista da un abito uniforme che contrassegnava
ruoli e ranghi. A corte la veste d’onore era anche segno di benevolenza da parte del
sovrano: nondimeno, pure nell’alta tenuta delle occasioni di gala, inquadrava ognuno entro un confine preciso. L’abito uniforme nell’uso civile era spesso regolamentato da decreti e disposizioni che prevedevano figurini e talvolta incisioni e stampe. Il
caso modenese è esemplificato dalla Cronaca di Antonio Rovatti (manoscritto presso
Archivio Storico Comunale, Modena) che contiene una vasta campionatura di illustrazioni con uniformi militari e civili. All’anno 1817 (17 luglio cc. 97-100) risalgono
alcune pagine dalle quali si apprende che la Pubblica Rappresentanza del Comune
si reca alla chiesa del Voto per una cerimonia: i conservatori in toga di damasco con
cravatta bianca di merletto, sei trombettieri in livrea e quattro mazzieri con l’antico
abito di costume recanti le mazze d’argento che servono per le “pubbliche sortite
della Comunità”. Accanto c’è anche il figurino dei mazzieri il cui abito è sostanzialmente identico a quello raffigurato in una serie di disegni databili al terzo quarto del
XIX secolo e conservati presso l’Archivio Storico Comunale. Forse il cerimoniale a
quelle date si era ulteriormente arricchito poiché la serie comprende anche i bidelli,
i portieri, i guarda portoni oltre ai donzelli, al massarolo, al podestà e al cancelliere.
Un documento del 1911 (Archivio Museo Civico d’Arte) attesta il deposito della toga
da cancelliere (n. 25) unitamente ad alcuni degli abiti da cerimonia, questi ultimi
non rintracciati. E’ invece del 2000 il definitivo deposito dei costumi (n. 27 e ss.)
che, fino a quella data, venivano indossati il giorno di San Geminiano (31 gennaio)
quando la rappresentanza municipale si reca in Duomo per assistere a una cerimonia
religiosa. Gli abiti originali (alcuni hanno la data 1851 scritta a penna sulla fodera),
sono ora stati sostituiti da copie fedeli poiché la tradizionale “sortita” si svolge ancora
regolarmente.
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12. Sottomarsina (particolare), Europa,
1775-85.
Gros de Tours di seta perla ricamato a profilature a punto raso e punto erba in seta policroma; fodera di tela di lino naturale.
(Dono Gabriella Guandalini, 1976)
Restaurare
la moda
R.T. Restauro Tessile
Il nucleo di abiti e accessori del Museo Civico d’Arte di Modena restaurati grazie al
finanziamento dell’Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali Culturali della Regione Emilia-Romagna che ne ha seguito e progettato l’intervento in collaborazione
con la direzione museale, si è presentato quanto mai eterogeneo per genere, materiali e problemi conservativi.
Alcuni di questi capi, come le sottomarsine o gilets maschili (nn. 6 - 17), sono costituiti da materiali di natura diversa, per lo più ricamati su fondo chiaro con filati dai
colori spesso instabili, come spesso si riscontra per manufatti di questa epoca. Quasi
tutti presentavano vistose macchie brune che ne disturbavano la preziosità.
Nel caso eclatante della marsina (n. 3), ci si è trovasti di fronte, per esempio, a un
tessuto che nei punti più danneggiati si mostrava impregnato di una colla brunastra
che aveva irrigidito sia il taffetas in seta rosa che la fodera in seta verde acqua, disidratandone ancor più le fibre e snaturandone pesantemente l’immagine d’insieme
(nn. 4, 5).
Di qui la necessità di studiare caso per caso una metodologia di pulitura mirata che
rispettasse colori e materiali costituenti e restituisse ai singoli capi un’idratazione migliore, liberandoli da impregnazioni dannose e deturpanti.
Fortunatamente le prove di pulitura della marsina hanno evidenziato la natura solubile della sostanza adesiva (in acqua e detergente neutro), mentre il colore dei tessuti
di seta si è rivelato stabile. Ciò ha permesso, dopo un’accurata prevenzione delle
decorazioni metalliche con reticella protettiva, di liberare le fibre intrappolate dalla
colla con il lavaggio a immersione in acqua deionizzata e detergenti organici, fermandone così il degrado. Il lavaggio, unitamente al restauro che è seguito, ha portato
al recupero dell’aspetto originale del manufatto, restituendo un’immagine d’insieme
più apprezzabile.
Diverso il caso dei gilet maschili dove spesso i tests di stabilità dei colori sui ricami,
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13. Sottomarsina, Francia o Italia,
1785-90.
Taffetas di seta perla ricamato a
punto catenella in seta policroma
integrato da una coppia di medaglioni “a cammeo” dipinti a tempera su raso; fodera in tela di lino
naturale.
14. Particolare della sottomarsina prima del restauro
con il medaglione in ricamo dipinto incompleto
15. Particolare della stessa sottomarsina dopo il
restauro con il medaglione integrato
hanno messo in evidenza la scarsa tenuta delle tinture alla soluzione detergente, ipotecando non poco gli esiti del recupero, anche per la presenza diffusa di gore vistose
o aloni di sporco concentrati soprattutto sulle parti posteriori in lino. La scelta di un
lavaggio a immersione avrebbe, infatti, in questo caso, portato a inevitabili trasporti
di colore dai filati di ricamo alla seta chiara del fondo. Di qui la decisione di rimuovere al tavolo aspirante solo le macchie delle parti molto sporche, limitando così con
l’aspirazione, il passaggio dell’ acqua ove necessario e asciugando immediatamente
la porzione di tessuto lavato. Per le parti di tessuto non macchiato, ma solo ingrigito
dalla polvere, si è optato, invece, per una pulitura a vapore con tamponi in microfibra che ha preservato parti delicate a forte rischio conservativo, come i medaglioni
dipinti “a cammeo” (nn. 13, 14, 15).
Tutti i ricami in seta, filato metallico e con applicazioni di paillettes, perline, e i bordi
spesso danneggiati e pericolanti, sono state fermati con punti in filo di Lione tinto in
tono. Non sono state integrate le parti mancanti, mentre sotto alle lacune dei tessuti
di fondo sono stati posti supporti in tinta fissati a sottopunto, spesso aiutati da velature anteriori fissate a copertura di parti sfilacciate o frammentate.
In un solo caso si è deciso, in accordo con la direzione lavori, di integrare in sottotono uno dei due medaglioni “a cammeo” dipinti su raso (n. 13) , recante l’immagine
miniaturizzata di una statua classica e incompleto del fondo sul lato destro: la lacunosità eccessiva del frammento tendeva a disturbare l’armonia e l’equilibrio della
raffigurazione (nn. 14, 15).
Diversi e numerosi rimaneggiamenti della confezione originale dei capi, ritrovati soprattutto sul retro dei gilet e degli abiti femminili, denunciavano riadattamenti
subiti nel corso dei decenni, forse anche in epoca non troppo lontana, per feste in
costume o rappresentazioni teatrali. In questi casi, di fronte a interventi che erano
vistosamente deformanti della fattura originale, si è puntato per quanto possibile al
recupero dell’antica forma sartoriale, studiando le tracce delle cuciture di confezione
ed eliminando tagli, arricciature e allacciature incongrue.
Gli abiti femminili del Novecento ci hanno portato, invece, ad affrontare problemi
16. Telo ricamato predisposto per la confezione di una sottomarsina, Europa, 1785-95.
Taffetas di seta avorio con ricamo a punto pieno in seta policroma.
(Deposito “Raccolta del lavoro contadino e artigiano di Villa Sorra”, 2010)
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17. Gilet, Francia o Italia, 1800-1810.
Tela di cotone bianco ricamato a profilature a punto pieno e punto passato in oro filato; fodera in
tela di cotone bianco.
(Acquisto Danilo Bartoli, 1976)
diversi di restauro, legati soprattutto alla natura dei materiali usati in mischia di filati
naturali e artificiali. In un caso, il lavaggio per immersione in acqua di un abito di
seta di inizio Novecento (n. 21), è reso indispensabile per il gran numero di macchie
brune e di sporco presenti soprattutto sulla gonna, ma le applicazioni di particolari
perle in plastica artificiale che tendono a rigonfiare e a deformarsi in acqua, presenti
sul pizzo del corpetto, hanno imposto una pulitura separata del pezzo superiore su
tavolo aspirante, in modo da evitare di bagnare la zona del merletto centrale.
Ancora più complesso si è presentato il recupero dell’abito con ricami in paillettes e
canutiglie degli anni Venti (n. 22): l’estrema fragilità dei materiali costituenti, tulle di
seta da cui pendono lunghe e numerose file di cannette di vetro a copertura quasi
totale dell’abito, aveva prodotto nel tempo numerose lacerazioni sul fondo, rendendo davvero complessa la pulitura. Dopo alcune prove si è optato in questo caso per
un lavaggio della seta a tampone con acqua e alcool su panni assorbenti dopo aver
provveduto ad avvolgere provvisoriamente le collane di perline, proteggendole con
film plastico. Naturalmente il problema successivo da affrontare, il restauro del tulle
pulito, si é presentato ancor più arduo: occorreva dare un sostegno totale a questo
fragile fondo di seta in modo da chiudere le lacerazioni e renderlo sufficientemente
idoneo a sostenere il peso delle perline senza interferire con la sua originale trasparenza. La scelta è caduta sul velo maline che ha le caratteristiche di trasparenza
richieste e di buona resistenza: applicato su tutta la superficie con filze generali a
cucito, ha poi permesso la fermatura delle lacerazioni. Decisamente problematico
infine è stato l’intervento sulla toga da cancelliere municipale (n. 24) per la totale
fragilità del materiale, in fibra organica artificiale, che ha imposto il fissaggio integrale
del capo eseguito al retro su supporto adesivato.
Restaurare la moda antica e moderna, da quando è nata come disciplina scientifica
nel secolo scorso, pone regole e tecniche complesse ancora in parte da sperimentare
e codificare che comprendono non solo il recupero dei materiali costitutivi, ma anche
il ripristino fondamentale dei volumi e delle proporzioni dei capi con soluzioni anche
creative come il mondo della moda, del resto, ha sempre richiesto nei secoli passati.
La documentazione del restauro sui capi e accessori esposti in mostra è consultabile nella banca dati del Catalogo del Patrimonio IBC
http://bbcc.ibc.regione.emilia-romagna.it/samira/v2fe/index.do
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19. Abito femminile da giorno in due
pezzi, Italia, 1900-05.
Mussola di cotone bianca con applicazioni di merletti meccanici e falsature di
filet meccanico di cotone bianco.
(Dono Danilo Bartali, 1980)
18. Zucchetto cardinalizio, Italia,
seconda metà XVIII secolo.
Taffetas di seta rossa (virata al
marrone) con cuciture ripassate
a ricamo in filo di seta in tinta;
fodera in taffetas di seta marrone.
20. Ombrellino parasole, Italia, 1915-20.
Tela di cotone bianco con
applicazioni di merletti meccanici di cotone dello stesso
colore; manico in legno con
parte del riccio in bachelite.
(Dono Marisa Mari, 2005)
24. Tocco da professore universitario appartenuto a don Celestino Cavedoni (1795-1865), Italia,
metà XIX secolo.
Velluto tagliato unito di cotone
nero applicato su cartone; finitura in passamaneria di seta; fodera
di taffetas verde e fascia di pelle
nera.
(Dono Pasquale Iatici, 1908)
21. Abito femminile da giorno in due pezzi, Italia, 1910-15.
Taffetas di seta avorio con applicazioni in
merletto meccanico in seta e filato metallico;
finiture in gallone con perle di vetro sferiche
e tubolari.
(Dono Danilo Bartoli, 2006)
25. Toga con cravatta da cancelliere
municipale, Modena (?), ultimo quarto
XIX secolo.
Taffetas in fibra organica artificiale
nera con rinforzi al giromanica, spalle
e revers in tela di lino nero. Cravatta
in battista di cotone bianco inamidata
con bordo in pizzo di cotone bianco;
toga e cravatta recano un’etichetta con
la dicitura “PUGLIA” ricamata a punto
croce in filo rosso.
(Deposito Municipio, 1911)
22. Abito femminile da sera, Italia, 1920-25.Tulle di
seta ricamato rosa con perle di vetro sferiche e tubolari, paillettes, strass e applicazioni di merletto meccanico in filato metallico; fodera in raso di seta rosa.
(Dono Anton Celeste Simonini, 1972)
23. Lo stesso abito prima del restauro
26. La toga prima del restauro
27. Uniforme da mazziere comunale con mantello, Modena, terzo
quarto XIX secolo.
Panno di lana blu scuro con ricami
per applicazione in velluto tagliato
unito di cotone in seta gialla e galloncino a telaio in seta azzurra; la
gonna è guarnita di nastri di seta;
fodera in tela di lino bianco
(Deposito Municipio, 2000)
C’È MODA E MODA...
DALL ’ABITO ARISTOCRATICO
ALL ’ABITO “UNIFORME”
Abiti restaurati dei secc. XVIII, XIX, XX
delle collezioni museali
19 maggio - 14 luglio 2013
Museo Civico D’Arte
Palazzo dei Musei
Largo Porta Sant’Agostino 337
41124 Modena
ORARI
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sabato, domenica e festivi 10 - 13 e 16 - 19
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