quasi niente | almost nothing

Transcript

quasi niente | almost nothing
extraspazio
via san francesco di sales 16 a
I – 00165 roma
+39 06 68210655
[email protected]
www.extraspazio.it
quasi niente | almost nothing
Shirine Aliabadi & Farhad Moshiri | Kaoru Arima | Joe Duggan | Samuel Fosso
Laurent Grasso | Toma Muteba Luntumbue | Aurora Reinhard
30 maggio – 15 settembre 2005
La poetica degli 8 artisti in mostra scaturisce dalla loro capacità di creare contenuto a partire da
q u a s i n i e n t e.
Soap televisive, fili per la corrente, manichini dismessi, identità riciclate… L’estetica in gioco è
quella della fragilità, della modestia e della vulnerabilità, spinta a volte verso l’assurdo.
Strategie leggere, strutture agili, idonee a rendere questi artisti, come chiede Stuart Hall, “gli
agenti reali di una specie di globalizzazione dal basso legata alla differenza, all’eterogeneità, al
pluralismo, che non intende sottostare a una forma artistica, che non viene inglobata da alcun
linguaggio artistico né da un paradigma politico, da una forma di Stato o da uno stile
economico”.
La collettiva q u a s i n i e n t e è una sorta di rito di passaggio estivo tra la prima e la seconda
stagione espositiva di e x t r a s p a z i o. Partecipano, con lavori non ancora visti in Italia, Farhad
Moshiri (che propone un video-collage realizzato insieme a Shirine Aliabadi), Kaoru Arima e Toma
Muteba Luntumbue, che hanno già collaborato con la galleria nel 2004/05. Joe Duggan, Samuel
Fosso, Laurent Grasso e Aurora Reinhard realizzeranno le loro personali nel 2005/06 e si presentano
in quest’occasione per la prima volta.
Nel video Julio & Lupitá di Aurora Reinhard (Helsinki, 1975), un uomo latino di mezz’età, Julio, balla
con abbandono insieme all’inespressiva Lupitá, una bambola in minigonna a grandezza naturale.
Danzando, la bambola si contorce in posizioni strane e a volte addirittura perverse, mentre uno
spettrale ritmo latino suona in sottofondo ed una scenografia nera accresce l’atmosfera surreale.
Il video verrà anche proiettato in occasione dell’apertura della Biennale di Venezia 2005 presso il
Campo Santa Margherita, Dorsoduro.
Un’altra opera dell’artista (Female Gloves) consiste in un paio di mani in lycra corredato di unghie
laccate di rosso: ancora un simulacro del femminile.
Il lavoro di Toma Muteba Luntumbue (Kinshasa, 1962) si fonda sulla fascinazione dell’artista per
oggetti usurati, logori, per i rifiuti della vita urbana. Nel caso delle sculture esposte, realizzate con
fili elettrici e legno, Luntumbue affianca degli objects trouvés dalla tecnologia erroneamente
ritenuta elementare ad ‘artefatti’ di sua produzione, utilizzando materiali apparentemente
incongruenti all’interno di un linguaggio intenzionalmente più affine al bric à brac che all’arte in
senso tradizionale. “La scelta di materiali a bassa fedeltà … dà all’intera operazione un’agilità da
teatrino portatile, frizzante e precaria, che nulla toglie alla [sua] carica problematica” (Pericle
Guaglianone). L’intenzione di Luntumbue è quella di interrogare l‘inclinazione a costruire
dell’artista e dell’uomo in generale.
Da alcuni mesi, nei periodi d’ansia che separano la lavorazione dei suoi video, Laurent Grasso
(Mulhouse, 1972) disegna con un sottile pennello cerchi di acquarello che stingono sulla carta
l’uno nell’altro.
Tracciati esili, aerei e misteriosi, che riprendono graficamente il movimento di camera circolare e
fluttuante, che gira magneticamente attorno alle cose, utilizzato da Grasso in alcuni suoi video.
Ed anche la suggestione degli stormi di uccelli che si muovono a spirali nel cielo di Roma, le cui
dinamiche segrete e quasi magiche per l’occhio dell’artista pare siano legate al funzionamento
dei neuroni-specchio, che inducono la ripetizione di uno stesso movimento sulla base di
automatismi imitativi.
Samuel Fosso (Kumba, 1962) ricicla delle identità. Nei suoi autoritratti non mette in scena se stesso:
le fotografie si ispirano a situazioni e personaggi che lui conosce, immagina di nuovo, rivive. “Il suo
lavoro è probabilmente uno dei primi esempi di commento ponderato sulla mascolinità, il genere,
l’identità e la sessualità nell’Africa contemporanea” (Okwui Enwezor).
Joe Duggan (Limerick,1973) vive a Londra con manichini, bambole e animali impagliati, che
porta al parco per fotografarsi con loro in dolci, tranquilli quadri di famiglia. Così tranquilli da
insospettirci.
E difatti il ritratto David sembra parlarci di notti interiori o, come Raymond Chandler diceva a
proposito dei suoi noir: buie con qualcosa in più della sola notte.
Mitologie trasfigurate ed icone underground, ansia primordiale e serenità assoluta, sarcasmo
pungente e poesia naïve: sulla miscela di questi elementi, distillati però volta per volta fino
all’essenziale, poggia la natura bizzarra dei nervosi disegni di Kaoru Arima (Komaki, 1969), tracciati
su pagine strappate da un’edizione in lingua originale dell’Huckleberry Finn di Mark Twain.
In modo obliquo, la sua opera sembra seguire la tradizione poetica dell’haiku, mescolando inoltre
riferimenti culturali giapponesi e stranieri ad un’attitudine di tipo filosofico e ad un humor freddo.
La dimensione sovversiva del suo lavoro deriva dal fatto che ognuno degli elementi o dei
linguaggi in gioco produce una critica degli altri, senza che si possa stabilire al loro interno alcuna
gerarchia.
Shirine Aliabadi (Teheran, 1973) e Farhad Moshiri (Shiraz, 1963) presentano un video-collage,
Tehran TV Disoriented, basato sul cut & paste di sequenze tipiche tratte dalle più famose soap
operas della TV iraniana: dall’inconsistenza e banalità della fiction televisiva, per di più mutilata di
senso grazie all’uso strategico ed ironico della censura, emergono bislacche cartoline che danno
l’idea delle contraddizioni sociali ed estetiche che attraversano l’odierna Teheran. “La
fascinazione che scaturisce da questo lavoro è una vertigine di segni che i due artisti estraggono
dalla società contemporanea iraniana e spingono ad un livello di eccesso visivo” (Teresa Macrí).