Arato pp. 29-44 - Accademia Ligure di Scienze e Lettere

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Arato pp. 29-44 - Accademia Ligure di Scienze e Lettere
FRANCO ARATO
La Villetta nella cronaca letteraria contemporanea
«Mi piace tanto questo luogo, che se io fossi Duca di Genova,
non sarebbe già tuo». Chi rivolse a Di Negro questa sentenza, argutamente e familiarmente invida? Non lo sappiamo. La «louange gracieuse» è attribuita a «un illustre visiteur» in un ampio articolo, egualmente anonimo, pubblicato nel 1832 dalla ginevrina «Bibliothèque universelle des sciences, belles-lettres et arts» (già «Bibliothèque britannique») (1), la rivista che fu un po’ la sentinella svizzera del liberalismo
romantico (ospitò per esempio la traduzione del Discorso di Manzoni
sui longobardi) (2). A quell’altezza cronologica la Villetta, costruita e
(1) Quelques pas en Italie (Fragmens), in «Bibliothèque universelle des sciences,
belles-lettres et arts», Ginevra, XVII, 1832, t. XLIX (Littérature), p. 260; in via ipotetica si può avanzare, quale autore dell’articolo, il nome di Louis De Sinner (18011860), il classicista svizzero cui Leopardi affidò i propri lavori filologici: De Sinner fu
in visita alla Villetta il 19 novembre 1830, come testimonia una sua lettera a Di Negro
del 5 febbraio 1831 (Genova, Biblioteca Berio, Archivio Di Negro, m.r. aut. I.4.111).
Fra l’altro lo svizzero, che si professava «humble et modeste helleniste», ringraziava
per il dono da parte del marchese di «un des livres les plus rares qui existent sur le
continent»: si tratta, da quanto si deduce da un altro passo della lettera, di un testo
confuciano tradotto dal missionario gesuita Prospero Intorcetta (forse la Sinarum
scientia politico-moralis), libro che De Sinner si preparava a donare «à la Bibliothèque
du Roi» a Parigi. Nella medesima lettera il filologo svizzero informava l’amico di un
suo incontro a Milano con Manzoni che, assicurava, «m’a très bien reçu».
(2) Cfr. Discours sur l’histoire des Lombards en Italie, in «Bibliothèque universelle des sciences, belles-lettres et arts», XVI, 1831, t. XLVII (Littérature), pp. 225252, 337-367 e t. XLVIII (Littérature), pp. 1-29, (senza indicazione del traduttore).
Nella versione del Fauriel di Le Comte de Carmagnola et Adelghis (1823) era apparsa
la traduzione soltanto del primo breve capitolo del Discorso manzoniano. Sulla rivista
ginevrina: La Bibliothèque universelle (1815-1924): miroir de la sensibilité romande au
XIXème siècle. Sous la direction de Y. Bridel et R. Francillon, Lausanne, Payot, 1998.
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arredata quasi tre decenni prima, faceva saldamente parte della cronaca letteraria internazionale, anzi già quasi della leggenda. Corrisponde dunque al vero quanto scriveva il torinese Davide Bertolotti
nel Viaggio letterario nella Liguria marittima (1834): «Non v’è straniero, greco o barbaro ei sia, che tra le care memorie di Genova non
riporti per carissima la memoria della Villetta»; ovvero: «a tutta la
colta Europa [Di Negro] è noto come il signore della Villetta» (3). Le
pagine della «Bibliothèque» ginevrina sono parte di un diario di
viaggio nel nord Italia (Quelques pas en Italie ne è l’etichetta minimalista) in cui la letteratura è certamente più importante della storia.
Per esempio, poco vi si dice della vita del porto genovese o dei commerci, ma molto della congiura del Fiesco traguardata attraverso la
prospettiva dell’omonima tragedia schilleriana: «quand, à la clarté
d’une de ces nuits italiennes qui semblent impregnées d’une substance lumineuse enveloppée dans une gaze d’azur, on distingue entre l’étoile immobile du fanal et la forêt des mâts pressés dans le
port, ce bassin étroit, muet et presque désert, on croit reconnoître la
planche fatale, on croit entendre le bruit sourd qui changea en un
clin-d’œil la destinée de Gênes» (e via di questo passo) (4). Non è un
caso che la prospettiva aerea che si gode dalla Villetta accendesse
l’eloquenza dell’anonimo letterato: «Elle [la villa] s’étend sur le port
avec tous ses vaisseaux, sur la pleine mer remplie de voiles blanches,
sur la cité toute entière avec ses dômes, ses clochers rayés de marbres blancs et noirs, ses palais peints de couleurs brillantes, ses maisons blanches, si serrées qu’elles semblent ne former qu’une seule
masse, enfin sur les faubourgs avec leurs bosquets d’arbres fruitiers,
leur belles maisons de campagne, leur montagnes décharnées et leur
chaîne de forts» (5). E in quel luogo ameno, in quell’angolo di paradiso non possono mancare gli animali esotici, ma quasi biblicamente
(3) D. BERTOLOTTI, Viaggio nella Liguria marittima, Torino, Eredi Botta, 1834,
t. II, p. 244. Su Bertolotti (Torino 1784 – 1860), operoso traduttore, autore di varie
tragedie di gusto romantico (Tancredi, 1825, Ines di Castro, 1826, I crociati a Damasco,
1828) e di romanzi storici (La calata degli Ungheri in Italia nel Novecento, 1823): Dizionario biografico degli italiani, vol. 9, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana,
1967, pp. 613-615 (G. PONTE).
(4) Quelque pas en Italie cit., p. 254.
(5) Ivi, p. 256.
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connotati, la cui descrizione si alterna a notizie più puntuali su amici
e concorrenti del Di Negro aristocratico genovese:
Deux charmantes gazelles se jouent dans une cour plantée d’oliviers et de chênes verts, auprès d’une fontaine plus abondante que celle
qui les désaltéra dans le désert de Lybie; elles regardent l’étranger (et
tout homme l’est pour elles) avec de grands yeux noirs, caressans et farouches, tendres et méfians. L’intérieur de la maison est orné dans le
goût de l’artiste et du poëte. Chaque fenêtre a un point de vue intéressant et nouveau, d’un côté la vue s’étend jusqu’au rivage de Finale, et
jusqu’aux Alpes du Dauphiné, dont la crête neigeuse se dessine au-dessus des contours azurés des Appennins; de l’autre, elle s’arrête sur les
bosquets et les jets-d’eau de l’Aqua sola, surmontés par une tour que le
Marquis Serra vient de construire en imitant, avec un goût exquis, l’élégante hardiesse du style demi-gothique des temps de la renaissance (6).
Il visitatore-testimone elenca i tesori posseduti da quel collezionista d’eccezione: cimelii e oggetti d’arte antichi e moderni, tra cui il celebre bassorilievo marmoreo dell’Amazzonomachia proveniente dal
Mausoleo di Alicarnasso, «créé par l’école de Phydias» (più precisamente di Skopas: venduto nel 1865, dopo la morte del marchese, al
British Museum); uno specchio «qui a réflechi les traits des belles contemporaines de Bianca Capello et de Diane de Poitiers», incorniciato
da bassorilievi in argento che avrebbero portato il sigillo del Cellini;
addirittura un (assai improbabile) bassorilievo in avorio «sculpté par
Michel-Ange»; poi una «dague», una spada appartenuta al «doge André Doria»; infine, transitata dall’oriente per le mani dello zar Alessandro I, di Napoleone e di un non meglio precisato suo «compagno
d’esilio», «une tabatière d’ecaille, sculptée avec cette finesse minutieuse, cette ingénieuse patience, cette régularité dans l’extravagance, cette
fertilité dans la bizarrerie, qui n’appartiennent qu’aux ouvriers chinois» (7). Sembra quasi la voluttà elencatoria di un Des Esseintes o di
un Andrea Sperelli avanti lettera: salvo naturalmente l’obbligo per noi
(per lo storico dell’arte) di verificare la verità dei dati di fatto. Le ultime pennellate del quadro sono inevitabilmente riservate all’eco delle
(6) Ivi, pp. 256-257.
(7) Ivi, p. 258 e p. 259.
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gare d’improvvisazione del Di Negro con Francesco Gianni, morto ormai da molti anni, con l’anziano Gagliuffi e con altri (definisce il genere «une lutte brillante semblable aux tençons des anciens troubadours»), dove la teatralità dell’apparato era più importante della sostanza letteraria delle prove: «A l’entrée de cet appartement classique,
deux masques d’albâtre blanc, scrupuleusement copiés de modèles antiques laissent passer une lumière douce, incertaine et comme vaporeuse; on les prendroit pour une image vivante de la mélancolie, saluant des initiés à l’abord du temple de la méditation» (8). La Villetta
ci è restituita in un territorio ideale para-religioso, quasi mistico: accessibile ai pochi che possono sapere, assistiti dalla ben romantica musa Malinconia. Romantico, come sappiamo, Di Negro non fu, anzi gli
amici gli rimproverarono benevolmente l’attardato classicismo: ma romantico (parola del resto già allora passe-partout) poteva sembrare il
suo giardino.
Di «romantic garden» infatti, e poi di «terraces, temples, statues
and busts», discorre con diversa eloquenza nel 1845 un’amica e ammiratrice inglese del Di Negro, Clotilda Elizabeth Stisted (9), il cui nome
figura anche nell’epistolario manoscritto: in una bella e lunga missiva
dall’Hôtel de Ville di Genova (29 aprile 1835) la gentildonna comunica la sua delusione per non aver potuto incontrare il marchese, in quel
momento a Milano e a Venezia ad ascoltare la Malibran (cui Di Negro
dedicò un’ode) (10). «Imagine – confessava la Stisted – our disappointment Dear Sir and pity us! We came to Genoa expressly to see you.
We have been to La Viletta, we have gazed on the thousand objects of
interest which adorn your residence, we have struck the chords of
your harp hoping to awaken its master spirit! And ran from room to
(8) Ivi, pp. 259-260.
(9) Mrs. H. STISTED [Clotilda Elizabeth S.], Letters from the Bye-Ways of Italy.
With Illustrations, by Colonel Stisted, London, John Murray, 1845, lettera XVIII, p.
265. Su Clotilda Elizabeth (1790-1868), animatrice, insieme al marito, il colonnello
Henry, della colonia inglese dei Bagni di Lucca (vi costruirono, vincendo la vivace opposizione della curia, una chiesa anglicana: e riposano tuttora nel locale cimitero protestante): B. CHERUBINI, Bagni di Lucca fra cronaca e storia. A cura di M. Cherubini,
Lucca, Maria Pacini Fazzi, 1977, pp. 183-201. Devo la segnalazione di questo interessante libro alla cortesia dell’amica Rosa Necchi.
(10) G. C. DI NEGRO, Maria Garçia-Malibran a Venezia. Ode, Venezia, Plet, 1835.
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room expecting and hoping against hope to find Him, who gives life to
all! But alas! He is far from hence! And one of our happiest prospects
in Italy is again distant, if not lost forever». Delusione che pare genuina e ci dice qualcosa – più di tante odi e di tanti sonetti d’occasione –
sulla vivacità di spirito, sulla generosità di ospite del marchese; la Stisted nella stessa lettera trovava anche modo di ricordare, parafrasando
Dante, l’anglica predilezione per l’operosità in ogni campo: «gli inglesi amano quegli che al ben far poser ingegno» (11). Dieci anni più tardi
nel suo singolare libro intitolato alle «scorciatoie d’Italia», principalmente della Toscana (è una spigliata rievocazione dei panorami meno
visti), la letterata si soffermava a lungo su Di Negro, che aveva finalmente visto ai Bagni di Lucca, dove la Stisted soggiornò: «After tea,
last night – scriveva –, we went out to see our Genoa friend, the Marchese Di Negro, and his interesting daugther, Madame Balbi [Francesca Maria, ovvero Fanny], who came here for change of air. They had
been to visit us last week at the baths, when I saw, for the first time,
this remarkable man, whom I call friend, but we had corresponded
before; he is in fact the improvisatore who visited England during the
peace of Amiens [1802], and astonished even our universities with his
talent for pouring forth ex-tempore poetry» (12). Il ritratto dell’uomo e
della sua Villetta, cronologicamente distaccati, venivano a confluire
sotto lo stesso fuoco: la Stisted aveva visitato la casa del mecenate che
solo molto dopo incontrò di persona. E gli oggetti visti parlano più
eloquentemente ora:
One can generally judge of the disposition of a master by his household; the servants of the Marchese di Negro did their utmost to compensate to us for their lord’s absence, showing us his grounds, his favourite works of art, his harp, his books, and even presenting us with
his last work; requesting us to visit the villetta again and again, and assuring us of their master’s disappointment, and how much they regretted he was not at home to receive us. We had not long returned from
that journey when I received a very gracious letter to the same effect
(11) Genova, Biblioteca Berio, Archivio Di Negro, m.r. aut. I.6.262: racconta fra
l’altro della passione per la pittura e per la musica sua e del marito, il quale, informa,
«served 24 years in the Royal dragoons».
(12) Mrs. H. STISTED, Letters from the Bye-Ways... cit., p. 263.
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from the Marchese, sending me a beautifully bound copy of his sermons, in verse, the subjects from Scripture. He appears to be a man of
piety, and is estimable, I believe, in all the relations of life. When we
went to visit him at his hotel, last night, he had some music ready for us,
for which he had sent to Genoa, with his own translations of some of
the most beautiful of Moore’s Irish Melodies. He told us he hoped soon
to inaugurate the bust of Andrea Doria, the hero of Genoa (13).
Sul rito dell’inaugurazione dei busti la Stisted si sofferma a lungo, temperando l’ammirazione per l’amor di patria dimostrato dal
manipolo di aristocratici italiani con l’amara ironia sul momento politico: «Thus it is that Italy consoles herself for many deprivations,
glorying in what no political change can ever deprive her of – the
immortal genius of her sons!» (14). Ma per la scrittrice inglese non
c’erano dubbi: anche quei riti dimostravano che «Italy is now intellectually aroused!» (15).
In realtà sappiamo che gli ospiti, italiani e stranieri, che si radunarono nel cenacolo dinegriano non sono affatto ascrivibili a un partito, né letterario, né tanto meno politico: il cuore liberale della Stisted
batté in favore di una pronta rinascita politica dell’Italia, ma se Di Negro ebbe frequentazioni vagamente giacobine (se non altro perché fu
amico di Gianni: quest’ultimo poi poeta di corte di Napoleone) e consuetudine col repubblicano Mazzini (di cui la figlia Laura fu seguace),
pare chiaro che le sue opinioni politiche volsero infine al moderatismo: ancora alla fine degli anni Quaranta gli epigrammi del marchese
manifestano un profondo scetticismo in tema di unità italiana. Qualcuno dei suoi corrispondenti e amici la pensava diversamente. Per
esempio, Giovanni Berchet in una lettera (a quanto so, inedita) dell’11
marzo 1848 da Roma gli comunicava, citando anche le ambiguità di
(13) Ivi, pp. 265-266. Converge, per il ritratto del marchese ospite squisito, la testimonianza di Alessandro Manzoni nella lettera da Genova a Tommaso Grossi del 25
luglio 1827: «per gentilezza, e per obligeance può esser contato per molti: bisogna che
un badi bene a quel che dice, perché se si mostra un desiderio, egli si mette in faccenda per soddisfarlo; lasciando stare quei che previene» (A. MANZONI, Lettere, a cura di
C. Arieti, Milano, Mondadori, 1970, t. I, p. 421).
(14) Mrs. H. STISTED, Letters from the Bye-Ways... cit., p. 266.
(15) Ivi, p. 3 (la sottolineatura è nel testo).
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Pio IX, entusiasmi e scetticismi sulla rapida evoluzione politica nella
Città eterna e altrove: «[...] l’opinione pubblica si forma, si fa uniforme, si rinfranca, e il dare indietro diventerà impossibile. Intanto v’è
qui un parlare di libertà, un farsi largo che consola. Ma chi spera molto, temo s’inganni. Se c’è a sperare, è nella politica generale d’Europa,
che pare minacciare, o se si vuole promettere de’ grandi mutamenti:
faciunt superi?» (16). Difficile poi pensare con che animo il Di Negro
devoto degli ultimi mesi di vita abbia letto questa tirata anticlericale di
Francesco Domenico Guerrazzi, il quale in un biglietto del 5 giugno
1857 (il marchese sarebbe morto il 31 agosto di quello stesso anno)
raccomandava un proprio scritto agli amici di casa, «eccetto preti, di
qualunque specie, forma, natura, indole, e colore; avendo potuto far
lunga, ed amarissima esperienza conoscere, che prete e galantuomo
sono due cose, che accordano insieme come cani e gatti» (17). Lo stesso Guerrazzi, esule a Genova (ci ricorda un testimone, Anton Giulio
Barrili), fu tra gli ultimi amici superstiti che seguì commosso il funerale del marchese (18).
Ma questi sono documenti privati, per quanto curiosi. L’immagine pubblica di Di Negro rimase saldamente legata, anche in Italia, alla
munificenza, all’amore nobilmente dilettantesco che egli ebbe per le
belle arti e per le lettere. Ovviamente la Villetta non poteva paragonarsi a Les Délices di Voltaire, alla Coppet dell’amica Madame de
Staël, o addirittura ai machiavelliani Orti Oricellari (come la «Gazzetta di Genova» un giorno scrisse con piaggeria) (19): il padrone di casa
ammaliava i viaggiatori con la generosità, la bellezza dei luoghi, la mitezza del clima, non con la potenza del suo intelletto. Per menzionare
ancora il malizioso Barrili, che lo frequentò quando era appena ragazzo: «Vissuto coi cigni, con le aquile, e magari coi passerotti, volava come poteva» (20). È tipico che le numerose recensioni dei libretti di Di
(16) Genova, Biblioteca Berio, Archivio Di Negro, m.r. aut. I.2.20.
(17) Ivi, m.r., aut. I.3.56.
(18) Cfr. A.G. BARRILI, Sorrisi di gioventù. Ricordi e note, Milano, Treves, 1912,
pp. 110-111 (la prima edizione del libro è del 1898).
(19) Inaugurazione del busto di F. Gagliuffi, in «Gazzetta di Genova», n. 61, 30
luglio 1834, p. 1.
(20) A.G. BARRILI, Sorrisi... cit., p. 103.
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Negro sulle principali riviste letterarie italiane contenessero quasi sempre un lungo discorso sull’uomo e sul mecenate, seguito da un giudizio rapido, qualche volta anche imbarazzato, sul poeta. Per esempio,
sul «Giornale arcadico» di Roma, animato dall’amico antiquario e archeologo Luigi Biondi (21), Filippo Gerardi lodava nel 1830 la Visione
in terzine che il genovese aveva dedicato alla memoria dell’amico
Francesco Gianni, soffermandosi poi a lungo sulla vecchia pratica, tipicamente italiana, del poetare estemporaneo e sigillando l’articolo col
consueto elogio cultural-mondano:
Prosegua egli [D.N.] intanto allegramente a comporre versi, e ad
accrescere onore alla nostra Italia coll’ingegno, non meno, che col proteggere le arti e le lettere, siccome si piace tanto di fare; e voglia pure il
cielo, che tutti coloro cui fortuna fu larga d’onori e di ricchezze, tolgano
ad imitarlo, che certo allora si vedrebbe in poco tempo salire questo
gentile paese in tanta e così gran fama per mezzo delle scienze arti e lettere, a quanta non salì mai ne’ suoi fortunati tempi (22).
Sullo stesso «Giornale» Antonio Cesari, un altro ospite della
Villetta, nel 1827 aveva pubblicato un sonetto per l’amico. Basti la
citazione delle macchinose quartine:
Dal mar cui signoreggia ardua dal monte
scoglioso, ove tien fitta altera il piede,
alza in ricchi palagi ond’il ciel fiede
Genova per miracolo la fronte.
Di tutte grazie albergo elette e conte
la villetta Di Negro ha qui sua sede,
che d’Armida ai giardin punto non cede,
e d’aspro irato ciel non teme l’onte (23).
(21) Interessanti le sessantasette lettere del Biondi a Di Negro (anni 1823-1839),
che si trovano a Genova, Biblioteca Berio, Archivio Di Negro, m.r. aut. I.1.13. Su
Biondi volgarizzatore dei classici: W. SPAGGIARI, L’eremita degli Appennini. Leopardi
e altri studi di primo Ottocento, Milano, Unicopli, 2000, ad indicem.
(22) «Giornale arcadico di scienze lettere ed arti», Roma, XLVI, aprile-giugno
1830, p. 359: recensisce G.C. DI NEGRO, Alla memoria di Francesco Gianni poeta
estemporaneo. Visione, Genova, A. Ponthenier, 1830.
(23) Sopra la Villa del Ch. Sig. Marchese Gio. Carlo di Negro, ivi, t. XXXVI, ottobre-dicembre 1827, p. 127.
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In chiusura Cesari menziona il «cor di Carlo e l’alta cortesia»,
moralmente superiori a ogni altro valore per chi soggiorna in Villetta
(«d’ogni altro bello [il visitatore] si ricorda appena»). Siamo al polo
opposto rispetto alle fantasie estenuate e malinconiche del giornalista
della «Bibliothèque» ginevrina.
Anche l’autorevole «Biblioteca italiana» di Milano fu attenta ai
parti letterari del Di Negro. Nella redazione della «Biblioteca» v’erano stati per pochi mesi Monti e Giordani, che ben presto lasciarono
il giornale in mano al tanto più modesto letterariamente, ma politicamente e culturalmente accorto, Giuseppe Acerbi (direttore sino al
1825). Sia Monti, sia Giordani transitarono per la Villetta, Giordani
recitandovi (nel ’37) un’orazione molto significativa contenente un
paragone tra Cristoforo Colombo, di cui si scopriva allora il busto, e
Galileo Galilei (24). Saremmo curiosi di sapere – apro una breve parentesi – cosa Giordani pensasse davvero dell’amore un po’ sconsiderato di Di Negro per la poesia all’improvviso, il rito più frequentemente celebrato nel baluardo di Santa Caterina. Proprio Giordani
infatti contro la mania degli improvvisatori nel 1816 aveva scritto,
anche su suggerimento del conte Franz-Joseph von Saurau, governatore della Lombardia austriaca, un violento articoletto incentrato
sulla figura dell’aretino Tommaso Sgricci; le pagine giordaniane destarono una vasta eco polemica (una delle cause che indussero Giordani ad abbandonare la rivista), anche perché in un obiter dictum
l’amico di Leopardi aveva domandato retoricamente: «Non è poi
stoltissima e miseranda cosa incoronarsi una Corilla [l’improvvisatrice Maddalena Morelli] dove fu carcerato e torturato il Galileo? Si
tronchi il parlare di queste indegnità, che per la vergogna intollerabile e l’ira giustissima suggerirebbero troppo gravi parole» (25). Gli im(24) Cfr. P. GIORDANI, Opere, a cura di A. Gussalli, vol. XII (= Scritti editi e postumi, V), Milano, Sanvito, 1857, pp. 90-93: Discorso per la solenne dedicazione di un
busto di Cristoforo Colombo nella Villetta del Marchese Giancarlo di Negro in Genova,
1837; su questo testo vedi G. MARCENARO, Genova con gli occhi di Stendhal, Genova,
Cassa di Risparmio di Genova e Imperia 1984, pp. 136-137, nonché quanto scrive nel
presente volume Stefano Verdino.
(25) Intorno allo Sgricci ed agl’improvvisatori in Italia, in «Biblioteca italiana»,
Milano, IV, 1816, p. 365-375 (375: la sottolineatura nel testo): poi in P. GIORDANI,
Opere... cit., vol. X (= Scritti editi e postumi, III), pp. 101-113; per lo sviluppo della
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provvisatori secondo Giordani non avevano niente a che fare con la
cultura italiana moderna: che in Galileo trovava invece la sua vera
origine.
Nel 1825 la «Biblioteca» ospitò un’ampia recensione (anonima,
come era nell’uso) alla prima serie dei Sermoni sacri di Di Negro (26). Il
giornale del 1825 non era più quello del 1816: le impuntature polemiche erano escluse del tutto, anzi nello stesso volume in cui si elogiava
Di Negro ci si imbatte in un lungo articolo di apologia del sistema giudiziario e poliziesco in vigore nella Lombardia austriaca, forse scritto
proprio dall’Acerbi, che si preparava a spiccare il volo per l’Egitto,
dove avrebbe avuto la carica di console generale d’Austria e sarebbe
diventato buon conoscitore dell’arte dei faraoni (27). Il recensore del
Di Negro la prendeva molto da lontano: «Platone consigliava Senocrate di sagrificare alle Grazie prima di accingersi a scrivere» (e via platonizzando...); si soffermava poi su un’altra aurea sentenza, stavolta di
Pindaro («la riccheza dalla virtù ornata è astro fulgidissimo») (28), e
si decideva, dopo una pagina e mezza, ad entrare in medias res, citando, a confronto, il dantismo di Alfonso Varano e quindi azzardando
un giudizio:
Coloro pertanto i quali vorranno dar sentenza dei Sermoni del sig.
di Negro, guardinsi dal recare a colpa dell’Autore se scarsi forse vi appajono i poetici ornamenti. Perocché quello che nelle materie profane e
mitologiche si terrebbe in luogo di abbellimento e di vezzo, disonesterebbe il più delle volte la gravità di un sacro argomento: né alcuno vorrà mover censura all’Autore s’egli volle esser piuttosto maestro di virtù
che modello di ornata poesia. La virtù adunque è lo scopo, e diremmo
quasi, la musa del sig. di Negro [...] (29).
polemica, cfr. ivi, pp. 248-269: Degl’improvvisatori e dell’ordine nello studiare la storia
e della tortura data al Galileo. Discorso al Conte Francesco Saurau imperiale governatore in Lombardia (polemizza con Acerbi e con Giuseppe Carpani).
(26) Cfr. ivi, XXXVII, 1825, pp. 327-331.
(27) Ivi, pp. 163-173: Intorno alle inesattezze e falsità che si leggono nelle relazioni de’ viaggiatori e in certi Giornali stranieri rispetto all’Italia, e particolarmente alla
Lombardia.
(28) Ivi, p. 327.
(29) Ivi, p. 329. Più breve ma analoga nel tono la recensione al secondo volume
dei Sermoni dinegriani, «Biblioteca italiana», XLIX, 1828, pp. 74-76.
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Non molto diverso il tono adoperato dalla fiorentina «Antologia»,
che recensisce anch’essa il primo volume dei Sermoni con parole simpatetiche ma anche un po’ ironiche, perché avanzando il nome del
grande oratore secentesco Fenélon il recensore sottintende che in Di
Negro si incontra più prosa che poesia: «Questi sermoni hanno realmente le qualità che possono dirsi essenziali in una buona predica: sono ben proposti, ben condotti, chiarissimi sopra tutto, e pieni di una
dolce morale, cui esortano praticare»; anche la chiusa della recensione
non potrebbe essere più chiara circa il giudizio generale sulla qualità
dei versi: «Per sentir bene la forza di questi versi, bisogna leggerli guardando al ritratto dell’autore, che sta in fronte all’edizione. Esso è disegnato sopra un vago dipinto di mad. Milesi ora Moion, e inciso da un
gran maestro, il cav. Longhi. Tutti lo dicono somigliantissimo; e nondimeno si crederebbe un tipo ideale della bontà e della sincerità» (30).
Ancora una volta insomma al centro del ritratto del marchese
non sta il poeta, ma l’uomo, il mecenate, e anche il filantropo: più d’uno si ricordò del generoso appoggio di Di Negro all’Istituto per i sordomuti fondato da Ottavio Assarotti (31), cui al momento della morte,
nel 1829, il signore della Villetta immancabilmente dedicò una Visione
in terzine, in cui danteggiò a suo modo:
Entro la claustrale angusta cella,
degl’infelici mutoli a conforto,
tu il vedresti crear nuova favella;
e a guisa di parlar veloce e corto,
con figure alfabetiche segnate,
vincer di lor caducitate il torto;
(30) «Antologia», Firenze, XVIII, giugno 1825, pp. 127-128. Persino in casa
propria Di Negro non riceveva grandi lodi: si veda la recensione alle Odi liriche (del
1824), in «Giornale ligustico di scienze, lettere, ed arti», Genova, II, n. 5, 1828, pp.
475-482, dove si discorre a lungo di Chiabrera, Gravina, Schlegel e poco del contenuto del libretto, salvo per qualche osservazione di censura per l’asprezza della sintassi
usata da Di Negro.
(31) Vedi per esempio D. BERTOLOTTI, Viaggio... cit., p. 245: «E qual affettuosa
scena non presentano le refezioni a cui egli spesso accoglie i sordo-muti, che col linguaggio de’ cenni e più con la commozione del cuore espressa ne’ sembianti, si sforzano di testificare la lor gratitudine all’amico dell’Assarotti, all’antico lor protettore, al
loro benefattore perpetuo!».
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da quelle indi ritrar le varïate
forme dei molti oggetti offerte ai sensi,
a intelligenza universal formate (32).
Eppure anche nelle ireniche, sonnolente assemblee in Villetta, tra
musica, recita di versi, scoprimento di busti, acrobatiche danze (Di
Negro era stato in gioventù un ballerino provetto) (33), qualche piccola
burrasca, qualche accenno di polemica poteva prender corpo. È il caso – con cui farò punto – dell’orazione recitata da Lorenzo Costa il 28
luglio 1840, in occasione dello scoprimento del busto del già ricordato
Luigi Biondi (la stampa in opuscolo del discorso e dei versi di contorno si arricchì, eccezionalmente, della prefazione di Giordani) (34). Il
Costa fu poeta di turgide forme (il suo Cristoforo Colombo è uno di
quei parti patriottici della cultura ottocentesca sovente citati, rarissimamente letti), critico a tratti efficace, liberale sino al 1848, rapidamente convertito al moderatismo, se non al bigottismo, dopo; ebbe
lunga frequentazione e confidenza col Di Negro (35). Il ricordo del’arcadico Biondi, un tipico esponente del classicismo romano, non pareva fornire occasione per contrasti o tumulti. Eppure il Costa prima
(32) In: M. MARCACCI, Il solitario dell’Acquasola. Elegia - G.C. DI NEGRO, In
morte del P. Assarotti. Visione - A. CROCCO, Iscrizione in lode del P. Assarotti, Genova,
Tipografia del R. Istituto Sordomuti, 1901, p. 8.
(33) Valga ancora una volta la testimonianza di A.G. BARRILI, Sorrisi... cit., pp.
107-110: racconta l’aneddoto (che Barrili avrebbe ascoltato dalla viva voce del marchese) di una visita di Di Negro insieme a madame de Staël alla Fenice di Venezia,
con un’esibizione estemporanea del giovane genovese al cospetto nientemeno che del
primo ballerino dell’Opéra di Parigi, Louis Dupré.
(34) Cfr. Per la solenne dedicazione del busto di Luigi Biondi nella Villetta Di Negro il dì 28 giugno 1840, Genova, Fratelli Pagano, 1840, pp. 3-7; nella ristampa di questa prefazione compresa nell’ed. delle P. GIORDANI Opere..., vol. XII cit., pp. 277-279,
c’è un’eco delle polemiche nate allora (279, nota).
(35) Su Costa: Dizionario biografico degli italiani, vol. 30, Roma, Istituto della
Enciclopedia Italiana, 1984, pp. 222-225 (P. PETRONI), nonché il volumetto coll.
Omaggio a Lorenzo Costa, La Spezia, Lunaeditore, 1992, in cui è pubblicata, a cura di
B. Bernabò, una significativa selezione della corrispondenza privata (fra cui le lettere a
Di Negro); sul poeta: G. PONTE, Il Cosmo di L.C. classicista ligure dell’Ottocento, «Atti della Accademia Ligure di Scienze e Lettere», serie V, vol. 53, 1996, pp. 380-386;
G.G. AMORETTI, Il Canzoniere di Lorenzo Costa, ivi, pp. 387-394.
LA VILLETTA NELLA CRONACA LETTERARIA CONTEMPORANEA
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maniera, che era per altro ammiratore del borghese Luigi Filippo (36),
usò espressioni di misogallismo tinte di radicalismo culturale: ecco
quindi l’elogio di Alfieri, «Italiano di sensi, Italiano ancora di lingua»
(«per lui la tragica eloquenza si nudre dalla materia siccome fiamma,
non getta un fuggitivo bagliore, ma chiarisce per agitare e distruggere») (37), ma soprattutto un’evocazione dell’assai meno celebre (allora)
Giacomo Leopardi, scomparso da soli tre anni:
Certo egli solo [Alfieri] fu nuovo Dante all’Italia, e dopo lui, ch’io
creda, niuno, se non forse quel Giacomo Leopardi che nella greca e romana sapienza nodrito, di mente capace, di cuore affettuoso insieme e tremendo tempestò gli errori non perdonando agli erranti, e parve che abborrisse l’umanità da lui creduta senza rimedio. Sventurato giovane! A
procurarci durevole benefizio non gli mancò né il volere, né la potenza, ma
gracile del corpo, e per lunghi ed ineluttabili patimenti venuto a disperazione di tutte cose, fece poco meno che detestata quella virtù ch’egli travisò d’apparenza più presto feroce che disamabile. Vivrà non ostante sì grave colpa la fortissima poesia, vivrà lontani secoli trionfando la stessa fortuna, che pur dopo il sepolcro non rade volte ai sommi infelici è mortale (38).
Non sappiamo se proprio queste o altre furono le parole che provocarono (come scrive Giordani) «le romorose audacie della turba
(36) È quanto apprendiamo da una sua lettera a Di Negro del 27 novembre
1840 (in Omaggio... cit., p. 39): «Godo, veramente godo, che la burbanza francese abbia trovato in Luigi Filippo un freno potente ed ineluttabile. Diceva Alfieri che i Francesi si ammansano come agnelli se incontrano cuore, e volto non pauroso. Questo
Monarca repubblicano mi pare che sia proprio fatto a cappello per guarire que’ cervelli fantastici e, se lo lasceranno fare, distruggerà una libertà che ha fondamenti di
carta». Di qualche interesse il discorso dedicato da Costa a G.C. Di Negro in occasione di un’adunanza accademica in Villetta (del 1840?), che si legge in copia (con firma
autografa) alla Biblioteca Berio, Archivio Di Negro, m.r. aut. I.2.37: alla condanna dei
«cinquecentomila sonettisti, che assordano questa povera Italia dall’ultimo Lilibeo
alle pendici dell’Alpe» il letterato affiancava l’elogio della poesia e del «terribile intelletto di verità» di Dante (che anche Costa aveva preso a imitare in un suo poema
didascalico).
(37) Per la solenne dedicazione del busto di Luigi Biondi... cit., p. 22. Suona curioso, in casa Di Negro, l’attacco di Costa nei confronti delle prove degli improvvisatori, definite senza mezzi termini «ridicole e vicine molto alla temeraria baldanza dei
cerretani e dei giocolieri» (p. 26).
(38) Ivi, pp. 22-23.
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FRANCO ARATO
contraria [...] agramente riprese dall’oratore» (39): il quale nell’energica chiusa si avventurò in considerazioni schiettamente politiche (40).
Certo suona singolare in quell’occasione l’elogio di Leopardi poeta accompagnato da forti riserve ideologiche, per altro espresse con parole
un po’ sibilline (la travisata apparenza della virtù «più presto feroce
che disamabile»). Non è improbabile che il ritratto studiosamente
contrastato dello «sventurato giovane» dal cuore «affettuoso» e «tremendo» debba qualcosa alla conversazione di Costa con Giordani. È
comunque notevole che in mezzo ai cerimoniali arcadici mille volte ripetuti sia risuonata, in bocca a un piccolo letterato quale fu il Costa,
l’eco tragica della più grande parabola poetica del secolo.
University of the Witwatersrand, Johannesburg
(39) Ivi, p. 7, poi P. GIORDANI, Opere..., vol. XII cit., p. 280.
(40) «Non è gloria, o Signori, che nelle opere di materia utile e di pensato artifizio; non è trionfo che nell’unità degl’intelletti constantemente rivolti a combattere la
crudele ignoranza. Il resto è sciocchezza, è ludibrio, è scioperaggine vituperosa e mortale. Deh! cessino le vecchie colpe e le nuove. Deh! non sia pieno il desiderio dei nostri nemici molti; dai quali saremo trionfati sì ma non vinti, finché ci resti la più nobile monarchia, quella del pensiero, della parola e delle arti» (Per la solenne dedicazione
del busto di Luigi Biondi... cit., pp. 31-32).