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L'11 giugno 1944
Cronaca di una notte piovigginosa Di quella notte in cui l'11 giugno
1944 otto partigiani fecero saltare in aria otto vagoni di tritolo fermi da giorni su un
binario morto sotto il paese di Poggio alla Malva si ricorda il boato che fu sentito fin
dalla Valbisenzio. Si ricordano i tetti delle casa saltate (ed anche la paura di possibili
rappresaglie, che non ci furono). Il racconto di quelle ore, quasi in presa diretta, lo
fecero i sopravvissuti della spedizione, memorie che sono state raccolte
dall'Associazione Resistente Prato.
L'azione riuscì ma quattro partigiani persero la vita. Morirono il capo del gruppo
Bogardo Buricchi, il fratello Alighiero e Ariodante Naldi, tutti e tre fra i 20 ed i 25
anni. Morì anche il più anziano della squadra, Bruno Spinelli, 43 anni, per le
conseguenze della violentissima esplosione. Bogardo aveva studiato in seminario
per un po' ed era insegnante e poeta. Ariodante era uno studente e Bruno un padre
di famiglia.
Pioveva quella notte. Piovigginava. E Ruffo del Guerra arrivò infatti più tardi del
convenuto sul muro davanti al bar di Poggio alla Malva dove l'attendevano i
compagni perché tornò a casa per indossare un giubbotto più pesante. Lì c'erano
già Enzo Faraoni e Ariodante Naldi. Bogardo e Alighiero Buricchi, Lido Sardi, Bruno
Spinelli e Mario Banci arrivarono partirono invece dalla Serra, a piedi per i sentieri di
campagna. Appena furono in cima alla cipressaia di Poggio alla Malva presso la
Cavaccia, una cava abbandonata di pietraserena grossomodo di fronte a dove oggi
c'è il cippo ai caduti, Bogardo, il comandante del gruppo, dispose che scendessero
tre da una parte e tre dall'altra, mentre lui e il Naldi avrebbero tagliato dritto verso il
centro della zona che dovevano raggiungere. I vagoni erano lì sotto, allungati per
cinquanta o sessanta metri, a circa quattrocento metri dalla stazione di Comeana
sulla confluenza tra Ombrone e Arno.
Soldati alla festa da ballo
Le sentinelle dovevano essere eliminate, ma stranamente non furono trovate. Quel
sabato sembra vi fosse una festa allo stabilimento Nobel, la città fabbrica appena al
di là della stazione che dal 1944 produceva esplosivi per i tedeschi, e i soldati
tedeschi probabilmente erano andati tutti a ballare. Al segnale di via libera ebbe
inizio la fase più delicata della pericolosa operazione: mentre una parte dei
partigiani vigilava alle due estremità dei vagoni, Enzo Faraoni ne spiombò uno e
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Bogardo vi entrò dentro con Ariodante Naldi. Il programma era questo: prelevare
una cassa di tritolo per minare, in un secondo momento, il ponte del Mulino, poi al
segnale di Bogardo, fatto con una lampada elettrica, riunirsi e quindi partire per il
sentiero che saliva obliquamente per mettersi al riparo, possibilmente oltre il crinale,
verso Poggio alla Malva. Avevano calcolato i tempi. Bogardo aveva con sé sette
metri di miccia. Avrebbe dovuto durare almeno un minuto, forse di più, e in un
minuto erano certi di poter arrivare al sicuro. Invece non fu così.
Sul treno
Dopo aver aperto il vagone Bogardo affidò una delle casse di tritolo, di quaranta
chili, a Bruno Spinelli, che si avviò con Mario Banci verso la Cavaccia. Quindi entrò
nel vagone con Ariodante. Fu tempo che parve infinito, ricorda Enzo Faraoni,
l'ultimo superstite ancora in vita. Non si sa cosa successe. Nel caso di malfattura
della miccia Bogardo aveva portato con sé anche una bomba a tempo. Aveva
anche un fascio di balistrite in strisce, per innescare un incendio, e forse fu quella la
causa dello scoppio anticipato. Teoricamente l'operazione era molto semplice:
consisteva nel collegare la miccia all'ordigno, che diventava un detonatore. Ma
qualcosa appunto andò storto.
La fiammata improvvisa
"Vidi due lunghe gambe che saltarono giù dal treno: penso che fossero di Ario
(Ariodante Naldi ndr) ? ricorda ancora Faraoni ? poi la vampata". Faraoni, giovane
pittore spezzino che si era trasferito a Carmignano con il padre capostazione, si
salvò nonostante fosse stato investito dall'onda d'urto, perché scaraventato oltre la
salita in una depressione del terreno. "Le esplosioni continuarono per più di mezzo
minuto ? dice -: una reazione a catena, vagone dopo vagone. La cenere diventava
pasta appiccicosa, faceva un gran caldo e i cappelli si arruffavano ..." . Con una
gamba malconcia risalì fino alla casa dove era sfollato, a Poggilarca, e con l'aiuto
del pittore Ottone Rosai, dopo qualche giorno scappò a Firenze a bordo di una carro
funebre: l'unico mezzo non requisito e con benzina che ci fosse.
Solo in quattro si salvarono
Bruno Spinelli e Mario Banci si erano avviati con la cassa di tritolo alla Cavaccia. Il
resto della squadra era già lungo la scarpata ad attendere il segnale convenuto per
riunirsi e quindi allontanarsi. Ruffo Del Guerra si trovava sul ripiano. Le onde d'urto
schiacciarono e quasi disintegrarono sulle rocce circostanti Bogardo e Alighiero
Buricchi con Ariodante Naldi. Di loro furono ritrovati soltanto frammenti di ossa e
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tessuti, assieme la tessera ferroviaria del Naldi. Faraoni e Sardi furono scagliati nel
bosco. Del Guerra ricorda un attimo in cui vide tronchi e alberi schiantarsi e
abbattersi e frantumarsi su per il pendio, poi più niente. Bruno Spinelli, che aveva
raggiunto la Cavaccia, fu investito forse anche dalla deflagrazione dell'esplosivo che
aveva con sé, scagliato dall'altra parte della strada su alcuni massi dove batté la
testa e rimase mortalmente ferito. Mario Banci non riportò ferite gravi, anche se era
in condizioni pietose. Ruffo del Guerra, ferito seriamente, fu trasportato in ospedale
confondendosi con i feriti del paese, e benché sospettato e interrogato riuscì a non
essere accusato dell'azione.
La linea ferroviaria che collegava Firenze a Pisa e Livorno, che tante volte
inutilmente gli aerei degli alleati avevano cercato di colpire, fu definitivamente
interrotta dalla larga e profonda voragine aperta dall'esplosione ed il polverificio
Nobel, pur non avendo riportato danni gravi, venne chiuso per sempre lasciando
l'esercito tedesco in questa zona senza esplosivo.
Ai partigiani caduti fu assegnata la medaglia d'argento al valor militare, ma solo
all'inizio degli anni Settanta. Fino ad allora un lungo silenzio. (wf)