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DICEMBRE 2013 ANNO 10 N 11
periodico dei terremotati o di resistenza umana
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Quando avrete abbattuto l'ultimo albero,
quando avrete pescato l'ultimo pesce,
quando avrete inquinato l'ultimo fiume,
allora vi accorgerete che
non si può mangiare il denaro. Toro Seduto
lotta e contemplazione
la tenerezza
Rosalba Manes
“Entrando nel mondo, Cristo dice: Non hai voluto atti eroici, di un corpo mi hai
dotato” (cf. Eb 10,5).
Il mistero dell’Incarnazione ci ricorda com’è diverso l’agire divino da
quello umano. Dio chiede il permesso (vedi all’Annunciazione con Maria),
l’uomo no. Arriva Natale che dovrebbe essere la festa del corpo e del ripristino
della grande dignità della donna, chiamata a “concreare” con Dio, e invece siamo
di nuovo alle prese con episodi di violenza contro le donne e di prostituzione femminile minorile. Si invoca la legge contro il femminicidio o si intercettano le chiamate di clienti o madri scellerate. Si dice: “Chi ha commesso questo reato merita
il carcere”. Tutti si indignano, sbraitano e invocano la giustizia. Ma è davvero
questo il punto? Basta pensare in termini di conseguenze o anche e soprattutto in
termini di cause? Puoi tenere qualcuno in prigione per una vita, ma forse quando
lo metti in libertà sarà peggiore di prima. Nel Primo Testamento, Dio non fa giustizia citando l’uomo in tribunale, ma “a colpi di parole” di denuncia; non con
l’intento di ridurlo al silenzio, ma di suggerirgli di cambiare il cuore. Non è il carcere che ti cambia, ma la tua volontà. La cultura attuale presenta il sesso come un
gioco e spesso mercifica il corpo. Ma cos’è un corpo? Non è “cosa”, non è
“merce”, non è “giocattolo” e non vale quanto un cellulare. Il corpo è tempio, è
inestimabile, è se tu lo violi, tu distruggi il sacro che porta. Ecco l’antiNatale! Inoltre l’unione sessuale è sacra, è espressione di un’intimità che si tesse reciprocamente nella fiducia e nell’amore, è incontro dello spirito di un essere umano con
un altro. Insegniamolo ai
nostri giovani, creati non
per “viver come bruti”, ma
come un prodigio. Insegniamo che la brutalità è il
fallimento della vita e che
il successo di una vita
riuscita ha un solo nome:
tenerezza. Il Bambino che
ci tende le braccia per
strapparci dal fango ci
insegni a non aver paura
della tenerezza ma a sceglierla come atmosfera dei
nostri rapporti. ☺
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Carla Llobeta: solo quando l’amore
il governo ti frega - tu fregalo
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Direttore responsabile
Antonio Di Lalla
Tel/fax 0874732749
Redazione
Dario Carlone
Domenico D’Adamo
Annamaria Mastropietro
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Segreteria
Marialucia Carlone
Web master
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E-mail
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Quaderno n. 101
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Chiuso in tipografia il
26/08/12
24/11/13
Stampato da
Grafiche Sales s.r.l.
via S. Marco zona cip.
71016 S. Severo (FG)
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Larino n. 6/2004
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intestato a:
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via Fiorentini, 10
86040 Ripabottoni (CB)
questioni immorali
Antonio Di Lalla
Una cara amica, attenta lettrice, ci
chiede giustamente di radicalizzare la lotta
andando alla radice di tutti i problemi, anziché perderci in tante pur utili scaramucce: la
questione morale, perché finché le persone
sono truffaldine ogni altra battaglia è donchisciottesca. Sarebbe come ostinarsi a prescrivere di mettersi la mascherina in un
ambiente insalubre o drammaticamente
tossico. Francamente è quello che vorremmo e che ci siamo prefissati. Siamo pronti a
suonare la carica dei 101, quanti sono i
quaderni offerti finora ai lettori, a farci torcia
umana come Jan Palach nel vano tentativo
di fermare l’invasione dell’allora Cecoslovacchia da parte dell’Unione Sovietica nel
gennaio del 1969, a porci come il rivoltoso
sconosciuto davanti ai carri armati cinesi
sulla piazza Tienanmen di Pechino nel giugno del 1989. La nostra incidenza purtroppo
non va oltre i manzoniani 25 lettori e non
riusciamo a scalfire il granitico sistema di
potere che spesso ci dà da bere cose ben
diverse dalla verità dell’etichetta. Chi avrebbe sospettato che l’insospettabile ministro
Cancellieri fosse espressione di potenti imprenditori, non proprio stinchi di santo, come i Ligresti o che il governatore e capopartito Vendola, sempre per amore degli operai, naturalmente, fosse così attento agli
umori della famigerata famiglia dei Riva?
Ma ne siamo venuti a conoscenza per un
cortocircuito o perché i poteri forti avevano
deciso di darli in pasto all’opinione pubblica? Qualche giorno fa il Letta nipote, quello
per intenderci che si vanta di avere palle
d’acciaio, ci ha rassicurato che gli americani
gli hanno garantito che non ci spiano; ammesso che sia vero ha omesso di precisare
che non è per l’efficienza dei nostri sistemi,
ma perché non gliene frega niente a nessuno
di quello che facciamo, vista la levatura
della classe politica.
Siamo ridotti proprio male! Come
possiamo riappassionare alla questione morale? Il virus del berlusconismo ha infettato
talmente tutti o quasi che non si nota uno
scatto di orgoglio non dico nei politici, che
essendo nominati rispondono ai padroni, ma
sono caduti in letargo anche la cosiddetta
società civile, i giovani, gli indignados. Se
scuoti l’albero cadono i frutti, se scuoti l’Italia
al massimo compare lo zoo di Berlusconi:
falchi, colombe, pitonesse, falchetti, dudù
oltre alle minorenni. Questa classe politica,
con decenza parlando, ha deciso di mettere
mano alla Costituzione e ormai è in dirittura
d’arrivo. Fermiamoli, mettiamoci di traverso,
scendiamo in piazza. Prima che sia troppo
tardi. La cosa più impegnativa che hanno
prodotto in questi anni e che dicono falsamente di voler cambiare è la legge elettorale
e l’hanno chiamata porcellum. Prima che la
Costituzione diventi scrofellum mandiamoli a
casa.
Finalmente, bontà loro, sono state
desecretate le rivelazioni del boss Schiavone,
fatte in parlamento nel 1997, sull’ inquinamento delle terre della Campania e pare del
Molise. Le scorie che le ecomafie hanno
provveduto a seppellire sotto terra sono
all’origine di danni irreversibili alla madre
terra, di cui siamo custodi non padroni, e
ancora di più sono aumentati in modo esponenziale i tumori che hanno decimato le famiglie la cui colpa è di coltivare o abitare
quelle aree. Sarò ingenuo, ma come è possibile che sia potuta rimanere segreta per 16
anni questa notizia che ha prodotto 16 anni di
ritardi nella bonifica dei terreni, 16 anni di
morti ammazzati dalle malattie e dalla polvere che ha ricoperto il fascicolo contenente
una simile bomba? Se Schiavone avesse
detto che le ecomafie avevano messo
dell’esplosivo sotto il parlamento, la rivelazione sarebbe rimasta segreta 16 anni? Possibile che si muova qualcosa solo se è in gioco
la salvaguardia dei loro culi? Naturalmente
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nessuno è responsabile per questi 16 anni di silenzio!
Come potrebbero esserci colpevoli se per
troppa gente il colpevole acclarato Berlusconi, già cavaliere, ma mai disarcionato, è
vittima unicamente di persecuzione giudiziaria? Personalmente ritengo che andrebbe perseguito per un unico reato: circonvenzione di incapaci, includendovi tesserati, votanti, e simpatizzanti. Per quelli che
sono in grado di offendersi dovrebbe scattare il reato di correità.
Vogliamo riaffermare la questione morale, ma come è possibile anche
solo parlarne con il consiglio regionale
che ci ritroviamo? Non è per la figura
fatta con le Iene, ma per il candore innocenziale manifestato mentre si guardavano le mani sporche di 2451 euro di marmellata e la decisone tardiva di rinunciare.
E il governatore, anziché squagliarsi ed
espatriare, ci mette pure la faccia e va in
televisione a far ridere i pochi ancora
ignari! E questo perché arrangiavano per
loro. Ma qualche giorno addietro hanno
finanziato con 450 mila euro i loro ex
colleghi, già amici di merenda, non più
rieletti. Per carità. Dicono che hanno dato
copertura ad una legge preesistente. A
parte che le leggi inique vanno abrogate,
ma è legge regionale anche quella che dà
pochi spiccioli per energia elettrica e gas
ai terremotati ancora nelle indecenti baracche a undici anni dal terremoto e guarda caso non si trova copertura finanziaria.
Proprio un bel consiglio regionale. Mentre loro cantano con de André: “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior…” la Granarolo con le sue 12
mila vacche vorrebbe venire a ricoprirci
di merda!
Un appuntamento per rilanciare
la questione morale e denunciare le questioni immorali potrebbe essere la marcia
della pace per le strade di Campobasso la
notte del 31 dicembre, sempre che non se
ne impossessino i soliti altisonanti figuri
che per pavoneggiarsi apriranno la coda a
raggiera finendo per scoprire la loro parte
più nobile! ☺
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spiritualità
la strage degli innocenti
Michele Tartaglia
Quando l’evangelista Matteo ha
scritto la storia della nascita di Gesù, ha
voluto dare un messaggio chiaro alla comunità: quel Gesù ora riconosciuto come Signore e Dio ha vissuto tutta una vita da esule e perseguitato, per ricordare ai cristiani
che non potevano desiderare una vita tranquilla, se volevano veramente essere discepoli di Gesù. Per far capire questo ha usato
due modalità: da un lato il ricorso alla Scrittura, dall’altro lo sguardo al tempo di Gesù,
dove non mancavano situazioni in cui il
potere opprimeva i deboli, considerandoli
semplicemente oggetti. L’annuncio della
morte di Gesù per tutti, afferma invece il
valore assoluto di ciascuno ed è per questo
che il cristiano deve impegnarsi nella storia,
se è vero che alla fine saremo giudicati per
quello che abbiamo o non abbiamo fatto per
i più piccoli (Mt 25). L’evangelista non
racconta il modo in cui è avvenuta la nascita
di Gesù, ma dice invece che subito il potere,
incarnato da Erode, si è opposto alla sua
presenza, ha cercato di eliminarlo perché
ostacolo all’affermazione del proprio dominio sugli altri ridotti a materiale di scarto. In
realtà il personaggio storico di Erode forse
non si è neppure accorto della nascita di
Gesù; l’evangelista, tuttavia, usò questo
personaggio perché sapeva bene chi era
Erode, che uccideva per futili motivi, commetteva stragi e metteva a morte anche i
suoi figli, quando li riteneva un pericolo.
Nella descrizione della fuga in
Egitto di Gesù e della strage dei bambini di
Betlemme (Mt 2,13-18), venivano descritti i
due effetti del potere dispotico: l’esilio di chi
è costretto a fuggire di fronte alla violenza
gratuita e la morte di chi non vuole o non
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riesce a fuggire. La figura di Erode diventa
emblematica ancora di più se si pensa che il
vangelo è stato scritto quasi un secolo dopo la
morte di quel re che è diventato il simbolo di
ogni potere che si afferma con la violenza.
Nel descrivere la vita di Gesù che inizia in
modo drammatico, l’evangelista non dice
solo la solidarietà del Figlio di Dio con
l’umanità sofferente, ma anche che ogni
persona, uomo donna o bambino che vive e
muore in modo così tragico è l’immagine di
quel Gesù che proprio alla fine del vangelo
dirà: ogni volta che avete fatto qualcosa a uno
di questi fratelli più piccoli, l’avete fatto a me
(25,40). Aver preso un re morto da tempo
come esempio di un potere che uccide
l’uomo, ha permesso a Matteo di rendere
universale quel messaggio per ogni tempo, in
cui queste situazioni si ripetono.
Quando leggiamo la storia di Gesù
a Natale, non pensiamo semplicemente a una
storia lontana, ma al fatto che quella storia è
sempre presente perché anche oggi ci sono
gli Erode che uccidono per conservare il
potere e ci sono innocenti che muoiono
nell’indifferenza o peggio, anche con il contributo delle istituzioni “sane”: Erode riesce a
sapere del luogo di nascita di Gesù perché ci
sono intorno a lui gli studiosi della Scrittura
che gli indicano Betlemme, profetizzata
nell’Antico Testamento come città del Messia; come a dire che i dittatori non sono mai
soli nella loro lucida follia, ma sono sostenuti
da tanti altri che giustificano o partecipano al
sistema. La tradizione e gli studiosi ci dicono
che il vangelo di Matteo è stato scritto in Siria
e per una comunità della Siria. Non sarebbe
temerario pensare che se dovesse scrivere
oggi, l’evangelista troverebbe nella Siria
attuale tutti gli elementi
per darci il suo messaggio. Ma oggi dovrebbe
aggiungere, al di là
della strage di tanti
innocenti in Siria, a
causa delle armi chimiche e di quelle
“convenzionali”, anche
qualche episodio riguardante i pericoli
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della fuga della famiglia di Gesù che forse
non sarebbe giunta neppure a destinazione,
ma sarebbe affondata nel mare della nostra
indifferenza.
Per aggiornare il vangelo io aggiungerei la cronaca dell’ennesimo naufragio (11 ottobre 2013; per la cronaca si può
vedere l’Espresso del 14 novembre) di cui
non si è parlato a sufficienza, naufragio in
cui sono morte 268 persone provenienti
dalla Siria e tra di esse almeno 60 bambini.
La cosa più drammatica è che i profughi
hanno chiamato l’Italia ma chi ha risposto
ha detto che avrebbero dovuto chiamare
Malta, perché l’affondamento stava avvenendo in quelle acque. Dopo molte ore e
molte chiamate disperate dal barcone, gli
italiani si sono decisi a intervenire amplificando in questo modo i numeri della strage. Se la sacra Famiglia è giunta in Egitto è
perché non ha trovato predoni lungo la
strada, non ha trovato eserciti pronti a respingere alle frontiere, non ha trovato persone che si sono voltate dall’altra parte
mentre la sete del deserto assaliva i poveri
profughi. Quando leggiamo i bei racconti
della nascita di Gesù e sentiamo di personaggi esotici che si opponevano alla sua
presenza, anziché pensare al lupo delle
favole, pensiamo ai dittatori di oggi ma
anche ai tanti governi perbenisti che hanno
foraggiato quei dittatori e che si permettono di piangere i morti che arrivano sulle
spiagge mentre contribuiscono a perpetuare la strage degli innocenti. ☺
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grazie
- a Paolo De Stefanis (Vasto) che
ha fatto dono dell’abbonamento a
la fonte a dieci suoi amici;
- a Severino Legnini (Lucerna)
che per festeggiare con noi il n. 99
de la fonte ci ha consegnato 99
euro e 99 centesimi;
- a tutti voi che avete già rinnovato l’abbonamento a la fonte o lo
rinnoverete perché siete la nostra
unica fonte!
- a tutti quelli che faranno dono
dell’abbonamento a la fonte agli
amici e magari anche ai nemici!
glossario
anomala normalità
Dario Carlone
presi in considerazione si confrontano per
avere validità con quelli standard, quelli unanimemente riconosciuti quali “normali” e
quindi accettabili.
Standard: il termine ci proietta verso
una riflessione sulla situazione sempre meno
rosea in cui versa la nostra società nazionale (e
regionale). Stando a quanto ci viene riferito da
esperti di studi sociali, ad esempio, quella
fascia di popolazione definita vulnerabile,
quella cioè che risente maggiormente dei contraccolpi della crisi economica (perdita del
posto di lavoro, impossibilità a trovare occupazione, problemi finanziari) si sta estendendo,
come pure quella che comprende le fasce
sociali da sempre più deboli (anziani, disabili,
immigrati) che soffrono oltre che di mancanza
di beni anche di mancanza di significato delle
relazioni.
La condizione di molti abitanti del
nostro paese è definita seriamente impoverita:
il tenore di vita che anni addietro poteva definirsi standard è sceso molto al di sotto di tale
livello; si parla di nuovi poveri “in relazione
alle condizioni di vita - reddito, possibilità di
accedere ai consumi” - e di nuove povertà
“che riguardano dimensioni non materiali
dell’esistenza, quali l’accesso alla formazione
e la possibilità di scegliere l’occupazione più
confacente alle proprie competenze e di nego-
ziarne le condizioni senza dover invece
accettare qualsiasi lavoro, anche squalificante, e a qualsiasi condizione” (Chiara
Saraceno).
Fino a qualche decennio fa
studiosi del settore quali Peter Townsend, a proposito della società britannica, sostenevano che una persona è
povera “quando le sue risorse sono così
al di sotto di quelle disponibili alla media degli individui o delle famiglie da
escluderla di fatto dai modi di vita, abitudini e attività comuni” (1979). Viene
da chiedersi se tale valutazione sia rimasta identica in una società sempre più
diseguale quale l’attuale; e ancora, che
cosa è standard oggi? Qual è la
“media” o la “norma” a cui rapportarsi?
Non ci stiamo forse avviando verso una
separazione sempre più accentuata tra le
persone e tra i gruppi sociali? Non è
questo sintomo di disparità tra gli appartenenti alla comunità civile?
Se, come afferma la filosofa
Roberta De Monticelli “la giustizia è
l’esatta misura del dovuto a ogni persona”…“nessuna vita umana ha più valore se “normale” diventa l’ ingiustizia”.☺
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Scatto d’autore di Guerino Trivisonno
Non passa ormai giorno senza che
giungano alle nostre orecchie i risultati di
diverse indagini statistiche che pretendono di
fornirci aggiornamenti sullo stato attuale della
nostra società. La statistica, si sa, è una scienza che cerca di presentare un quadro preciso e
rispondente della realtà, utilizzando dei parametri di riferimento ed operando secondo il
rigore logico di una scienza esatta.
Anche se semplici fruitori di informazioni, abbiamo però imparato a riconoscere, tra le voci che compaiono nei resoconti
statistici, il vocabolo standard, incluso nella
lingua italiana, e di comprensione ed uso
comuni. Con questo termine si intende un
“modello di riferimento”, un campione, ma
anche il “livello di qualità”. Per estensione
standard è ciò che rappresenta la “media” in
ogni settore, dagli oggetti alle situazioni. Il
traducente italiano corrispondente, e che
assume in sé le diverse variabili, è “norma”,
vale a dire “elemento a cui ci si uniforma
perché si ripeta”.
Standard è una parola comparsa
nell’antico inglese intorno al 1100 con il
significato di “stendardo, insegna”. Nei secoli
successivi ha subìto una mutazione semantica
prendendo il significato di “misura, criterio”.
Secondo insigni esperti di linguistica il termine arriva in Italia alla fine dell’Ottocento, e
già agli inizi del XX secolo era accolto come
voce tipica del linguaggio commerciale.
Che tutto ciò che riguarda la normalità sia ormai definito standard non stupisce più nessuno. Divenuto ormai vocabolo
inclusivo, standard trova collocazione in ogni
ambito della nostra vita sociale. In pratica, in
qualsiasi campo i parametri di valutazione
quando avrete tagliato anche il ramo su cui siete seduti
non meravigliatevi se vi ritroverete con il culo a terra
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non basta il trucco
Giovanni Di Stasi
Il 27 dicembre del 1963 il Parlamento italiano approvò la Legge Costituzionale n. 3 che inseriva il Molise nell'elenco
delle regioni italiane a statuto ordinario.
Sono passati 50 anni dalla nascita
della nostra regione e son pochi coloro che
sentono il bisogno di festeggiare la ricorrenza. In questi mesi alcuni convegni hanno
tentato di ripercorrere le
vicende politiche, sociali ed
economiche del Molise e ci
si prepara alla celebrazione
finale. La mia sensazione è
quella di assistere ad eventi
che hanno il carattere formale e sostanziale di atti dovuti
che non svegliano la passione e non impegnano fino in
fondo neppure la mente. Si
potrebbe obiettare, non senza ragione, che questo è uno
stato d'animo molto diffuso
al momento in Italia e in
Europa, ma possiamo affermare che da noi le
cose vanno peggio che altrove.
Volendo citare un dato assai recente e assai significativo si può ricorrere all'ultimo rapporto Svimez secondo il quale il Molise ha perso, negli ultimi 5 anni, il 14% del
suo prodotto interno lordo. L'enorme balzo
all'indietro certificato da Svimez descrive
meglio di mille parole la portata della crisi
produttiva, del dramma occupazionale in atto
e dell'aumento esponenziale della povertà. A
chi soffre nel vivo della propria carne le conseguenze di una tale situazione bisogna dimostrare di conoscere i problemi nei quali
siamo sommersi e di saper indicare una strada per superarli.
In un recente convegno che si è
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tenuto a Termoli, mi sono permesso di sottolineare come, dal punto di vista dello sviluppo
socio-economico, il Molise abbia sempre
presentato tutti i tratti tipici del mezzogiorno
d'Italia e, sebbene negli ultimi decenni del
secolo scorso abbia provato ad agganciare la
crescita che, partendo dal nord, si andava affermando lungo la dorsale adriatica, è riuscito
solo in parte nel suo tentativo.
I dati odierni relativi all'andamento fortemente negativo
della crescita, alla dotazione
infrastrutturale, alla qualità
dei servizi pubblici, alla disoccupazione, alle crisi aziendali e ai livelli di povertà ci
dicono che, in realtà, è il mezzogiorno d'Italia che sta riagganciando il Molise.
Questo infausto esito è certamente influenzato dalla drammatica crisi globale, europea
e nazionale in atto, ma nasce
da ragioni endogene che non è il caso di sottovalutare. Prima tra tutte la scarsa attenzione
riservata da tutte le classi dirigenti molisane
alla necessità di favorire la creazione di un
sistema economico strutturato e radicato sul
territorio. Procedendo con la schematicità che
la circostanza impone, dobbiamo riconoscere
che lo sforzo fatto per favorire l'insediamento
nel Molise di stabilimenti appartenenti a grandi realtà industriali nazionali ed internazionali
ha dato frutti importanti. Con altrettanta onestà
dobbiamo però dire che oggi su quegli stabilimenti incombono le incognite derivanti sia dai
riassetti societari di imprese come la Fiat, che
ha portato molto lontano le sue sedi decisionali, sia la scarsa interazione di quegli stabilimenti con il tessuto produttivo locale. D'altro canto,
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significative attività industriali del settore
agroalimentare e dell'abbigliamento più
legate al territorio erano riuscite a raggiungere dimensioni rilevanti, ma la crisi le sta
mettendo a dura prova. Alcune di queste
vedono la partecipazione della Regione ed
hanno assorbito negli anni ingenti risorse
pubbliche il cui flusso va interrotto. Resta in
piedi un tessuto produttivo agricolo, artigianale e turistico che presenta tratti di grande
vivacità accanto ad ampie zone di sofferenza. Ed è questo il campo in cui è non solo
possibile ma necessario ed urgente intervenire per far ripartire il Molise su basi solide.
Il traguardo dei cinquanta anni
della Regione Molise potrebbe essere una
buona occasione per affrontare questi temi
con una riflessione corale sul da farsi. Si
tratta di decidere se coglierla puntando decisamente sulla democrazia partecipativa per
promuovere uno sviluppo sostenibile del
territorio. È ora di smetterla con i progetti
opachi calati dall'alto e mettere in campo
uno sforzo comune per varare iniziative
imprenditoriali ancorate al territorio e alla
sua cultura materiale e immateriale. Per dare
l'esempio abbiamo proposto un contratto di
sviluppo denominato “Clean Economy
Molise”.
Un progetto che nasce dalla piena
consapevolezza del fatto che il Molise sarà
sempre più interconnesso con la realtà europea e globale. Per questo la nostra regione
dovrà prendere l'abitudine di ispirarsi, nel
progettare il suo futuro civile ed economico,
alle sfide fondamentali di “Horizon 2020”
che parlano di: salute, cambiamento demografico e benessere; sicurezza dell’ alimentazione, agricoltura sostenibile e bioeconomia; energia sicura, pulita ed efficiente; trasporti intelligenti, “verdi” e integrati;
azioni climatiche ed efficienza delle risorse
(incluse le materie prime). ☺
[email protected]
politica
Con più di un rammarico devo
dare ragione al sindaco di Firenze. È vero,
non è Renzi che distruggerà la sinistra, infatti
è da almeno 20 anni che è iniziata una demolizione dei fondamenti politici, dell’orizzonte
culturale e delle forme organizzate della sinistra. Il primo passo lo fece Occhetto e non mi
riferisco all’abbandono della parola
“comunista”, quanto all’idea che finita
l’Unione Sovietica, si sarebbe aperta nel
mondo una lunga fase di prosperità, di libertà
e di pace e alla convinzione che il governo e
solo il governo avrebbe dovuto essere la
prospettiva politica della sinistra. Il passo
successivo fu l’acquisizione di quel “pensiero
unico” in virtù del quale la modernità, il mercato, le dinamiche spontanee del capitalismo,
le alleanze militari, la privatizzazione dei beni
pubblici sono stati assunti acriticamente.
Infine l’espulsione persino dal linguaggio
delle parole come conflitto di classe, lotta
sociale, movimento di massa sino a negare
non solo la funzione storica e fondamentale
per la democrazia del nostro paese del Partito
comunista, ma anche l’ingresso nel partito del
socialismo europeo. Non solo, si dice che il
sindaco di Firenze una volta segretario del Pd
cancellerebbe il Partito, la sua struttura organizzata e la sua natura militante. È una evidente menzogna. Il partito come comunità
politica, come soggetto politico radicato nella
società e nel mondo del lavoro e come progetto di cambiamento della società è stato
liquefatto, quando Renzi era ancora un boyscout. Se abbiamo assistito allo squallido
spettacolo della moltiplicazione delle tessere,
se in alcune federazioni del Pd si sono picchiati come fabbri, se la magistratura ha aperto indagini su pratiche congressuali torbide,
se i congressi sono stati ridotti a dei semplici
votifici, se il dibattito politico-congressuale si
è trasformato in un deprimente spettacolo
personalistico, se gli affari sono penetrati in
profondità nel corpo del partito, tutto ciò è
stato possibile perché il partito è stato trasformato in una accozzaglia di comitati elettorali,
perché il partito è diventato una prateria balcanizzata da interessi particolari e clientelari.
Per essere più chiaro e per guardare
anche alle nostre vicende molisane, nelle
passate settimane in Molise ci siamo trovati
nel mezzo di un vergognoso tentativo di
imporre, senza confronto con i cittadini molisani, un campo di concentramento dove ospitare le famose 12 mila manze della Granarolo. Operazione ideata e realizzata dai vertici
il confronto con i cittadini
Famiano Crucianelli
del Partito democratico con il silenzio-assenso
dei vertici del governo regionale. Il contenuto
del progetto, la metodologia antidemocratica e
la ragnatela degli affari personali ben rappresentano la sostanza, la forma e le degenerazioni del Partito Democratico molisano. Il problema grave è che in Molise si rappresentano in
forma più estrema malattie e deviazioni che
attraversano l’intero corpo politico del PD
nazionale.
marchetta europea delle privatizzazioni,
giusto affermare che l’IMU è un dono natalizio alla destra, così come è giusto chiedere
un rinnovamento dei vertici pluridecennali
del Partito Democratico. Tutte posizioni
giuste, il sospetto, però, è che sotto il vestito
del futuro segretario del Pd non si veda
nulla, anche perché il Renzi battagliero di
oggi è lo stesso Renzi che solo un anno fa
considerava Monti il miglior presidente del
consiglio possibile e sceglieva come ispiratore della politica economica quel Pietro
Ichino al cui confronto l’attuale presidente
del consiglio Letta è quasi un estremista.
Grande è la confusione sotto il
cielo, ma la situazione non appare eccellente, pur tuttavia alcune note positive debbono
essere sottolineate. La parabola berlusconiana volge al termine, le manze hanno ripreso
l’autostrada per il Nord a testimonianza che
battaglie si possono ancora vincere e, soprattutto, comincia ad essere maturo il tempo,
perché le idee della sinistra riprendano a
camminare, persino i banchieri hanno preso
a discutere di Marx. Una sola avvertenza: il
morto non afferri il vivo che deve ancora
nascere. ☺
La questione non è, quindi, quella di
un Renzi che vuole soffocare la sinistra e demolire il partito, la sostanza è ben diversa. Il
problema vero è quello di una sinistra che
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deve essere ricostruita e di un’idea di partito
che deve essere reinventata. Ora, al di là delle
chiacchiere di queste
ultime settimane congressuali, è il sindaco
di Firenze l’uomo Le associazioni Libertà e Giustizia Molise, La Fonte, Libera
giusto per compiere Molise, Larino viva, Pax Christi Molise, Arca sannita, riunite a
questa impresa diffici- Termoli in occasione dell’incontro con l’ex ministro Fabrizio
le e certamente non Barca su sviluppo e democrazia, desiderano esprimere una netta
breve? Dubito, fortis- posizione di contrarietà all’idea di sviluppo territoriale imposto
simamente dubito. dall’alto che continua ad essere predominante nel Molise.
Non per le posizioni “La nostra lunga storia di impegno propositivo al fianco dei
politiche che Renzi ha cittadini e a sostegno delle necessità reali e quotidiane di chi
espresso in questi questa terra vive e abita ci rende particolarmente sensibili
ultimi mesi che, anzi, all’esigenza di processi condivisi e partecipati nelle scelte che
sono
ampiamente possono cambiare il futuro di una regione.
condivisibili. Giusta la Chiediamo che i cittadini siano coinvolti in ogni decisione concritica a questo inutile cernente lo sviluppo territoriale, e soprattutto che questo svilupe dannoso governo po non sia più esogeno ed estraneo alla nostra storia e alle noLetta, giusto chiedere stre potenzialità, ma nasca da un’elaborazione collettiva e partele dimissioni del mini- cipata, rispettosa della legalità, dell’ambiente, della salute, delle
stro Cancellieri, giusto peculiarità paesaggistiche, sostenibile e trasparente nelle procecriticare questa ultima dure, aperta ai contributi di singoli cittadini e associazioni”.
mai un molise senza i molisani
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manze o bufala?
Antonio De Lellis
La questione granmanze che una
srl di diecimila euro di capitale sociale, in cui
la Granarolo spa detiene il 10%, entra nel
vivo con i primi dibattiti pubblici e i primi
consigli comunali monotematici. Il sito previsto per l’allevamento non è ancora noto, ma
molto probabilmente a Ururi si gioca la vera
battaglia.
Che cosa emerge dopo aver incontrato agricoltori, cittadini, professionisti, allevatori, sindaci e politici? Un quadro desolante, ma anche una ripresa di coscienza su una
questione che non è marginale, ma centrale;
non è reversibile, ma irreversibile. Il progetto
non è sostenibile, per chiari rischi ambientali
e sanitari insiti nel tipo di allevamento intensivo ormai in dismissione in tutto il mondo, ed
è completamente decontestualizzato perché
pensato per un’area con bassa densità abitativa e forte disponibilità di acqua anche potabile, cosa non più possibile con il Biferno, fiume stressato, inquinato e vulnerato (parole
scritte nei documenti ufficiali).
Non vorrei forzare o urtare la sensibilità delle persone colpite dal terremoto,
ma se qualcosa dovevamo imparare sulla
scuola di San Giuliano era che quella sopraelevazione non era sbagliata in sé, ma era
impossibile su quella esistente perché non in
grado di essere sostenuta. Le leggi della natura e della fisica non si sfidano! Non possiamo
cambiarle, ma dobbiamo rispettarle! L’ ambiente è, come diceva Elena Sassi, un uovo:
esiste un punto di rottura irreversibile che
dimostra che dopo nulla sarà come prima. Se
l’uovo si rompe non puoi ricostruirlo.
L’impatto idrico sarà, per l’acqua potabile,
pari ad un nuovo insediamento di 3000 per-
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sone, ma, se consideriamo le colture foraggiere, di 30.000 persone.
La nostra area non è solo compromessa per la condizione idrica, ma anche per
l’ambiente e lo dimostrano gli studi recenti:
incrementi significativi di morte nelle aree
interessate dall’insediamento, aumento di
bambini malati di asma! Perfino la direttiva
Nitrati della Regione Molise, se studiata, dimostra come sia impossibile qualsiasi insediamento ulteriore che impatti sull’ambiente. E
poi c’è il ricatto occupazionale. 20 posti fissi di
spalatori di merda e sottopagati (tanti sono
quelli locali previsti) valgono un ulteriore aggravio ambientale e sanitario? Sanitario anche
perché i gas prodotti dagli allevamenti intensivi sono fortemente dannosi.
Lo sapevate quanti sono gli occupati nell’agricoltura di qualità in basso Molise in
produzioni tipiche che vengono esportate in
tutto il mondo? Sapete che l’aumento di nitrati
comporta seri problemi per queste aziende con
rischi enormi in termini di perdita di qualità di
prodotto? Quanti posti perderemo nella filiera
agroalimentare di qualità e tipica per colpa di
quei 20 posti di spalatori di merda? Dicono
che le foraggiere saranno incentivate e questo
è incremento di lavoro agricolo. Ma vi chiedete se queste estensioni poi riconvertite a foraggiere non sono già oggi utilizzate? Vi siete mai
chiesti se la conversione ha un reale vantaggio,
per esempio, rispetto ad un seminativo? Non è
conveniente passare alle foraggiere perché i
costi (servizi di irrigazione) e il valore delle
produzioni lo rendono
meno competitivo dei
tradizionali seminativi.
Le
manze
allevate verranno rim-
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patriate al Nord e nessuna resterà in Molise,
i posti sono davvero pochi, le foraggiere non
converrà coltivarle, le piccole stalle molisane chiuderanno perché vi sarà, a livello
nazionale e soprattutto a causa della liberalizzazione dal 2015, l’effetto ipermercato
rispetto ai piccoli esercizi. Ma insomma noi
cosa avremo in cambio? Solo i rischi e le
certezze di ulteriore inquinamento (ormai
non più possibile in Emilia Romagna)
dell’aria e dell’acqua e l’impossibilità perfino di utilizzare il tanto decantato letame,
pieno di antibiotici, a causa degli alti livelli
di nitrati in Basso Molise. Questi insediamenti non hanno ragione di esistere più in
nessuna parte del mondo perché ormai appartengono al passato, a un modello di sviluppo in crisi strutturale che ha fatto della
competitività, della quantità e del profitto
degli idoli.
La ricerca scientifica mira all’
espansione, mentre l’eticità al senso del
limite. Un vero sviluppo deve prevedere la
crescita di tre fattori: il mantenimento della
vita, la stima e la libertà, sia a livello individuale che sociale. Più precisamente, è la via
"etica" quella che il comitato “No Manze, sì
Molise bene comune” chiede all'economia
attuale di percorrere, non per un semplice
intendimento moralistico bensì per la salvaguardia dei suoi stessi interessi: l'etico non è
esterno ai problemi di ordine economico. Si
tratta di una dimensione costitutiva, intrinseca alla definizione integrale di qualsiasi
problema umano. Di qui l'interrogativo
centrale che ogni persona di economia deve
farsi: “Che posto occupa l'essere umano
nelle forme attuali della globalizzazione?”
Questa è la domanda fondamentale. Non ci
sarà economia senza etica. ☺
[email protected]
convivialità delle differenze
Dopo il vergognoso silenzio delle
istituzioni regionali protrattosi negli ultimi anni
in tema di politiche sulla disabilità, va salutato
con un cauto ottimismo il Programma attuativo per persone in condizione di non autosufficienza e minori con gravi disabilità approvato
con deliberazione di Giunta Regionale n. 434
del 6 settembre 2013 e pubblicato sull’ edizione n. 25 del 16 settembre 2013 del Bollettino
Ufficiale della Regione Molise.
Il Programma attuativo, reclamizzato con numerosi comunicati stampa pubblicati
su ogni testata giornalistica locale, ha alimentato le speranze di quanti - persone con disabilità, famiglie e operatori sanitari - si trovano
tutti i giorni a dover combattere per vedere
riconosciuti i propri diritti, anche i più elementari, e i diritti dei propri cari, praticando spesso
una lotta silenziosa, perché quando tutti i giorni si è costretti a lottare per compiere attività
che per molti sono scontate - anche solo lavarsi, vestirsi, andare a scuola o al lavoro, spostarsi - si ha davvero poco tempo per urlare.
Speranze mal riposte? La lettura del
programma attuativo sembra individuare due
categorie di destinatari, vale a dire “le persone
in condizione di non autosufficienza” alle quali
è destinata la possibilità di fruire di sostegni
economici aggiuntivi ulteriori all’indennità di
accompagnamento fino ad un massimo di 700
euro, necessario per incrementare le risorse
economiche destinate ad assicurare la continuità dell’assistenza, ed i “minori con gravi
disabilità”, ai quali è dedicata la possibilità di
accedere al rimborso delle spese per non meglio precisati corsi finalizzati al miglioramento
dell’autonomia comunicativo-relazionale, senza chiarire se le due categorie possano - ove
ricorrano entrambe le condizioni - intersecarsi.
In entrambi i casi, è prevista la redazione di un piano di assistenza individualizzato
(PAI) realizzato dall’assistente sociale del
comune di residenza in collaborazione con i
medici delle strutture pubbliche di riferimento
sul territorio (Unità di Valutazione Multidimensionale). Per le persone in condizione di
non autosufficienza, inoltre, viene prevista la
possibilità di fruire di ricoveri di 15 giorni
presso non meglio precisate strutture regionali
attrezzate all’accoglienza, allo scopo di alleggerire il carico di assistenza del caregiver
familiare.
Infine, occorre precisare che il Programma attuativo sembra essere destinato (art.
6) a n. 220 pazienti (sic!!!) in condizione di
non autosufficienza e n. 40 minori con disabi-
persone con disabilità
Tina De Michele
lità, cifre certamente non adeguate alla realtà
delle famiglie molisane.
Deve premettersi che la convenzione
Onu per i diritti delle persone con disabilità del
dicembre 2006, ratificata dal Parlamento Italiano nel 2009 e dall’Unione Europea nel 2010, ha
imposto un cambiamento di passo culturale,
politico e legislativo, laddove ha spostato
l’attenzione dal “disabile” alla “persona con
disabilità”. È una differenza non da poco, in
quanto per la prima volta la diversa abilità
diviene un attributo e quindi un valore aggiunto
della persona, e non l’unica forma di connotazione dell’individuo, al punto da permearne
addirittura la denominazione!
Un cambiamento non da poco, che
deve ispirare ogni intervento normativo e che in
concreto impone di spostare l’attenzione dalle
politiche di mera assistenza alle politiche per
l’integrazione, l’autonomia, la valorizzazione
della persona con disabilità, in tutte le fasi della
sua vita, con particolare attenzione all’ingresso
nella scuola e nel mondo del lavoro. La diversità deve pertanto divenire una condizione da
valorizzare e non soltanto da assistere.
In quest’ottica il Programma attuativo della Regione Molise, è certamente un intervento forse necessario - a fronte del silenzio
delle ultime legislature - ma non certamente
sufficiente a tamponare l’emergenza di tante
famiglie molisane. Ancora una volta purtroppo
il provvedimento si innesta nel solco
dell’assistenzialismo, prevedendo di fatto soltanto sostegni economici, dimenticando che le
problematiche in campo sono molto più complesse.
A mio avviso, le politiche sulle persone con disabilità devono innanzitutto puntare
alla valorizzazione dell’autonomia e alla realizzazione di un’effettiva
integrazione della persona nella società,
consentendo alla stessa
di sviluppare a pieno le
proprie potenzialità e di
fruire delle occasioni
della società e delle
bellezze del mondo.
Devono ancora guardare alle famiglie, che
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hanno diritto a vivere serenamente il presente
e la prospettiva del futuro.
In quest’ottica e senza pretese di
completezza, previa attenta scansione e
monitorizzazione dei bisogni dei cittadini
molisani, occorre potenziare - ove già ci
siano - e creare nuovi centri diurni, necessari ponti tra la famiglia, la persona con disabilità e la società. Occorre valutare attentamente la possibilità di creare delle case
famiglia, per i soggetti che abbiano sufficiente autonomia. Ancora, occorre investire
sulla formazione e sulla realizzazione di
corsi per le autonomie relazionali qui in
Molise, ponendo fine ai viaggi della speranza, dare nuovo impulso all’eliminazione
delle barriere architettoniche e semplificare
la burocrazia. Occorre infine predisporre
delle soluzioni per il “dopo di noi”, affinché
la persona con disabilità trovi accoglienza e
amore anche dopo la perdita dei propri cari.
In questa prospettiva ben venga la predisposizione di piani individuali, che però non
siano di mera assistenza, bensì di inserimento nella società e di valorizzazione delle
facoltà residue dell’individuo.
Infine, occorre prendere atto che
questa è una sfida possibile e che compito
supremo della politica è quello di rimuovere
gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. È prima di tutto
una sfida culturale. Se le istituzioni sapranno prendere atto di questo mutamento di
prospettiva, soltanto allora sapranno realmente farsi interpreti delle istanze delle
persone con disabilità e delle loro famiglie.☺
[email protected]
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tramonto senza alba
Il sindaco di San Giuliano di Puglia, dopo due mandati, si accinge a
lasciare, solo simbolicamente, lo scettro a qualche seguace, meglio se parente.
È stato il regista unico della ricostruzione, per cui meriti e scempi hanno un
solo protagonista, a meno che, come si usa fare in politica, le cose buone sono
frutto delle sue capacità mentre gli errori sono da attribuire agli altri.
I pregi se li canta da solo o comunque tiene chi lo fa per lui. La
pochezza invece va sottolineata. Il primo imperdonabile errore politico è stato
quello, appena eletto, di dividere tra i vivi e i morti il malloppo racimolato a
seguito della tragedia, grazie alla generosità di quanti hanno voluto far sentire
la loro presenza. Che il popolo cerchi “panem et circenses” è fin troppo naturale e che sia felice di vedersi porgere qualche migliaio di euro altrettanto. Ci
ha comprati con un po’ di denaro ed il fatto grave è che glielo abbiamo consentito. Ma se, insieme alla sua giunta, si fosse interrogato su quale sviluppo
creare in paese forse quel denaro sarebbe risultato utile, anche se qualcuno
avrebbe protestato, ma oggi ci sarebbe qualche posto di lavoro stabile.
Dopo il terremoto ad ogni suo starnuto si sarebbero accesi i riflettori e la risonanza sarebbe stata avvertita per tutta la penisola. Preoccupato di
mille piccinerie, mai ha sollevato grandi questioni né ha parlato per conto del
cratere, puntualmente ignorato dai grandi mezzi di comunicazione, e così
oggi può essere soddisfatto perché mentre nel nostro paese si sguazza nella
piscina, negli altri si sguazza nelle pozzanghere, mentre qui ci sono costosissime scuole senza alunni, altrove ci sono alunni senza scuole; mentre per lui il
terremoto è un ricordo, altrove ricordano solo il terremoto. Don Milani, se
solo lo avesse letto, gli avrebbe ricordato che camminare insieme è la politica
mentre correre da soli è egoismo.
La riprova del fallimento della sua azione è stata la sua candidatura
alle ultime regionali dove è stato praticamente ignorato da quelli che lui non
aveva mai preso in considerazione.
Il fatto stesso che è più preoccupato di sapere chi è anonimus che
firma su questo foglio piuttosto che contestarne possibili falsità o intavolare
discussione con opinioni diverse, la dice lunga sulla sua abitudine da don
Rodrigo in cerca del conte zio che gli risolva tutto quello che turba la tranquillità dei suoi sogni. Ci manca solo che vada dal provinciale, per rimanere ne I
promessi sposi, per far punire le impertinenze dei fra’ cristofari!
Su come sta trattando la questione dei richiedenti asilo e il villaggio
temporaneo avremo modo di tornarci.
Assistiamo affranti al suo tramonto senza aver mai visto né l’alba,
né tantomeno il meriggio. È proprio vero che di alcuni si sa che sono esistiti
solo quando si legge il necrologio!☺
anonimus
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il molise la solita storia
Negli ultimi giorni, il Molise è diventato improvvisamente visibile. Ce ne accorgiamo soprattutto noi che viviamo
lontano dalla nostra terra d’origine. Ma se la visibilità è quella
offerta dal film di Checco Zalone o dai servizi delle “Jene” su
Italia 1, meglio rimanere nel dimenticatoio.
Il trash del film di Zalone apre un vulnus soprattutto
culturale: le mezze verità possono rappresentare punti di forza e
di debolezza a seconda di come si rappresentano. E se si insiste, si
trasformano in pregiudizi. Così: avere abitanti parsimoniosi, frutto di una solida cultura contadina, non è trendy rispetto ai radicalchic delle ville toscane; essere dissanguati dall’emigrazione e
avere pochi bambini nelle piazze diventa una sorta di misfatto;
idem il fatto di rappresentare una zona sismica, caduta di tono
anche verso le vittime di San Giuliano; il “valore” della ruralità
equivale alla più becera arretratezza; la religiosità, espressa con
una processione, annienta la ricchezza etnoantropologica. Questi i
messaggi che emergono dal film, dove il Molise è sostanzialmente “ridicolo”: non a caso il bimbo ride solo a sentirne il nome,
scatenando l’ilarità di tutte le platee nelle sale cinematografiche.
C’è da domandarsi perché la cinematografia italiana utilizzi il
Molise non come splendida scenografia (è il caso della Gubbio di
Don Matteo), ma come “brand” di ridicolaggine.
A ciò si aggiunge questa storia degli emolumenti dei
consiglieri regionali molisani, diventata una sorta di tormentone
tra trasmissioni Mediaset e Rai. Emerge, in conclusione, una
regione che si sa far male da sola.
C’è un'altra dimostrazione. A Roma i validi amici
dell’associazione Forche Caudine, a cui sono iscritto da anni,
sono impegnati nell’organizzazione di una grande rassegna sul
Molise in zona Garbatella. Qualche tempo fa ho stampato il programma, davvero ben fatto perché evidenzia gli aspetti migliori di
questa terra bellissima: l’enogastronomia, l’artigianato, i paesaggi, la cultura millenaria. Hanno invitato a parlarne i migliori rappresentanti culturali, come Mauro Gioielli, Giuseppe Tabasso e
Franco Valente.
Oggi mi capita di rileggere il programma on-line e con
sorpresa lo trovo cambiato. Come? Sono stati inseriti una trentina
di rappresentanti istituzionali del Molise, cioè assessori, consiglieri, sindaci e via cantando. Mi sembra chiaro che tutto ciò sia imposto dall’alto. Ma davvero questi politici, con le loro passerelle,
pensano di arricchire un programma che onora questa terra e i
suoi migliori rappresentanti, come Jacovitti o Jovine? Credono
che i molisani di Roma e i tanti non romani accorreranno entusiasti per assistere alle loro prevedibili performance?
Valerio Mancini - Roma
[email protected]
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iena ridens
Rosario Eremita
vincenzo chi?
Dopo la performance di diversi consiglieri regionali ospiti loro malgrado de le Iene non vogliamo assolutamente continuare a girare il coltello nella piaga, anche perché con tutta la cattiveria non riusciremmo a far loro più male di
quanto se ne sono fatti da soli!
Ma una domanda, a cui non riusciamo a dare
risposta, la poniamo certi che qualcuno vorrà
illuminarci e farci dormire sonni tranquilli: perché quegli stessi consiglieri che hanno intascato
loro i famosi 2451 euro per il portaborse, ora
hanno rinunciato giustamente al denaro ma non
hanno optato per il portaborse effettivo, visto
che avevano trattenuto le prime mensilità? Temono la legalizzazione del clientelismo, che non
c’è trippa per tutti i gatti o vogliono tenerli affamati così sono più servizievoli?
La calata de le Iene in Molise ha determinato la salita a Roma del nostro governatore che, ospite nell’Arena di Raiuno, ha provato a rimediare, senza esito, la pessima figura dei suoi (e purtroppo nostri) assessori e consiglieri fatta nel servizio “I furbetti
della regione Molise” trasmesso in tv e rilanciato dal web; anzi la sua presenza costituisce occasione e ragione di replica sulla rai nazionale anche a beneficio dell’onorevole
presente (le Iene divertono Lupi). Nei pochi minuti a disposizione ha comunicato che in
otto (lui compreso) non hanno percepito il rimborso per il portaborse personale, senza
operare alcuna distinzione tra chi aveva già rinunciato da luglio e chi invece, dopo averlo
prima incassato a propria insaputa, l’ha restituito probabilmente a seguito della trasmissione. Il rimanente tempo è stato speso in difesa dell’assessore telefonatore e portatore di
voti che, a causa del “no no, assolutamente” pronunciato dall’ormai popolare e famoso
Vincenzo, è vittima di un “massacro mediatico”. L’aver ricevuto l’80% dei voti, oltre a
spiegare la trasferta romana e la delega assessorile, giustifica e copre tutto il resto: chiunque ormai in Italia con una simile percentuale può permettersi di dire e, a maggior ragione nel caso in cui l’assessore è anche il capogruppo di se stesso,
fare di tutto e di più.
Trascurate le battute degli altri consiglieri intervistati, il
presidente comunica in diretta nazionale ai molisani la bella e
buona nuova: la nascita dell’atteso art.7 modificato che disciplina
l’erogazione dei rimborsi delle spese effettivamente sostenute per
i portaborse personali “concretamente contrattualizzati”. Tale lieto
evento, ribatte Frattura a Giletti, è avvenuto in modo naturale e
fisiologico senza l’interferenza aliena de le Iene che, casualmente
una settimana prima, nel mentre l’iter legislativo si stava compiendo, incalzavano i nostri ignari e carissimi amministratori regionali. Un iter iniziato alcuni mesi fa, come in molti ricordano,
quando il consiglio regionale rischiò lo scioglimento per non aver
La Fusco Perrella sponsorizza la fonte .
ridotto le indennità di carica nei termini prescritti dal decreto MonNon viceversa
ti. La difesa, missione impossibile, provoca e scatena il ritorno in
Molise de le Iene che, con la riconosciuta professionalità e competenza del ruolo, a differenza degli altri “attori” di questo misero
e pietoso film, offuscano il Sole (di Checco Zalone).
L’insistenza mediatica e la palese inesistenza di portaborse personali assunti, eccetto Vincenzo, ha indotto i nostri politisondaggio
ci regionali ad annunciare l’abrogazione del neonato art.7. L’annuncio, secondo il signifiNei
giorni
scorsi
è
stato reso pubblico il risultato di un
cato comune e convenzionale delle parole della lingua italiana, dovrebbe - il condizionale
importantissimo
sondaggio
commissionato dall'ONU
è d’obbligo dopo la babele che ha sconvolto i principi elementari della comunicazione
rivolto a tutta la popolazione mondiale. Il quesito
causata dall’assessore che dice una cosa intendendone l’esatto contrario - significare una
oggetto del sondaggio era il seguente: "Esprima one“intenzione” finalizzata a ridurre i costi della politica da realizzare in un prossimo futuro
stamente la sua opinione in merito alla scarsità di
secondo i tempi propri della Politica. Ad inquadrare meglio la situazione molisana occoralimenti nel resto del mondo".
re tener presente che all’erogazione degli inqualificabili rimborsi segue il
Dalle successive analisi è emerso che:
“racimolamento” e stanziamento delle somme destinate al fondo per il bonus di reinserigli europei non hanno capito cosa sia la "scarsità";
mento dei colleghi non eletti: senza sollevar la testa … aumentano così i posti al desco!
- gli africani non sapevano cosa fossero gli "alimenti";
Intanto nei villaggi provvisori i terremotati attendono il contributo-rimborso,
- gli americani hanno chiesto il significato di "resto del
previsto da una legge regionale del 2010, per la spesa dell’energia elettrica relativa al
mondo";
triennio 2011-13: curiosamente s’ingegnano a reperire somme per erogare il troppo ai
- i cinesi hanno chiesto maggiori delucidazioni sul
pochi non-eletti e fanno “i miracoli” per non concedere il poco dovuto ai propri e molti
significato di "opinione";
elettori massacrandoli - non certo mediaticamente - quotidianamente. ☺
- nel parlamento italiano si sta discutendo su cosa si
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intenda per "onestamente".
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lavoro
eutanasia socio-industriale
Antonello Miccoli
Nel nostro Paese la deindustrializzazione sta assumendo i contorni di un processo inarrestabile: una sorta di suicidio assistito. Tale dinamica non è attribuibile alla sola
globalizzazione dei mercati: molti dei mali
economici affondano, infatti, le proprie radici
nell’incapacità di un’intera classe dirigente.
Un’oligarchia che non ha saputo o voluto
costruire una nazione che facesse dell’ innovazione e del merito la base fondante del
proprio agire. Si parla spesso dei costi della
politica, ma nessuno quantifica quanto gravi
un sistema lobbistico che, invece di premiare
il merito e la competenza, tende a premiare la
fedeltà e la rete delle amicizie. La stessa università, che dovrebbe valorizzare solo i talenti, assurge troppo spesso agli onori della cronaca per aver favorito carriere accademiche a
danno di altri candidati.
Nel frattempo la condizione
industriale dell’Italia
e della nostra regione, mostra i segni di
un declino che rischia di stravolgere
l’intero assetto democratico del paese.
Basti pensare che sull’intero territorio nazionale sono stati analizzati dati che rispecchiano
la drammaticità di una situazione dagli esiti
sociali ed economici imprevedibili. Più specificatamente le ore, registrate nel lasso temporale gennaio-agosto 2013 e comparate con il
2012, fanno emergere una realtà estremamente complessa: Cigo 227.692.892
(+7,36%); Cigs 286.035.322 (+11,80%);
Cigd 190.262.584 (-20,26%). In riferimento
alla Cassa Integrazione guadagni ordinaria, il
Molise raggiunge in Italia la variazione per-
centualmente più elevata rispetto all’anno
precedente: 2012 (995.110) 2013 (1.980.681),
un differenziale pari a + 99,04%.
All’interno di questo scenario desolante ed incerto vivono milioni di famiglie che
rischiano di soccombere rispetto ad un sistema
che appare incapace di riprendere un cammino
virtuoso. Il calo stesso delle ore lavorate ha
determinato la riduzione del monte salari:
mensili più leggeri e ritardo nei pagamenti
hanno infatti reso estremamente difficoltoso
poter affrontare le semplici spese quotidiane
(fare la spesa, curarsi, mandare i figli a scuola,
onorare le tasse). Nel contempo i servizi franano, proprio quando vi sarebbe maggiore bisogno di assistenza: la debolezza del sistema
sanitario non offre, ad esempio, la possibilità di
effettuare in tempi celeri una visita specialistica o un esame diagnostico. Un deficit che
induce un cittadino in difficoltà economiche
ad attendere tempi lunghissimi, mentre altri,
che possono contare su maggiori risorse finanziarie, si rivolgono al settore privato; altri ancora non sono neppure in grado di pagare il ticket
sanitario. Mentre, sul versante dell’istruzione,
molte famiglie non riescono più a sostenere i
figli all’università: si sta, in definitiva, ricreando lo spartiacque tra le classi sociali più ricche
e quelle meno abbienti. La stessa imposta sulla
casa perde di vista l’aspetto sociale che ogni
forma di tassazione dovrebbe racchiudere in
sé; pagare il dovuto non
significa infatti far parti
uguali tra diseguali: se
due cittadini hanno un’abitazione dello stesso valore, ma i redditi complessivi risultano
differenti, anche quanto richiesto dal fisco
dovrebbe variare. Nei fatti le cose vanno
diversamente e così il disoccupato, il cassaintegrato o il lavoratore posto in mobilità
sono chiamati a pagare la stessa tassa di chi
lavora o guadagna il doppio. A questa tipologia di cittadini si dovrebbe dare la possibilità di pagare almeno in 12 rate quanto dovuto in due. Sarebbe inoltre utile, vista
l’emergenza, giungere ad un protocollo
d’intesa tra parti sociali, Anci, Provincia e
Regione, affinché si pervenga a contemplare
un programma di tassazione locale che tenga conto delle difficoltà delle famiglie espulse dal mondo del lavoro o in gravi difficoltà
economiche.
Risulta tra l’altro indecoroso il
perdurare dell’abbandono di coloro che,
superata la soglia dei 57/58 anni, si ritrovano
senza lavoro e senza rete di protezione sociale: a questi cittadini la normativa non
consente di andare in pensione neppure con
40 anni di contributi
(attualmente sono
necessari 42 anni e
5 mesi per gli uomini e 42 anni e 1
mese per le donne).
Un’azione politica,
che abbandona la
parte più vulnerabile
del proprio tessuto sociale, mostra di non
riconoscere la dignità di quanti esprimono
bisogni di natura primaria. In attesa che il
governo centrale corregga le rigidità del
sistema pensionistico, s’impone la costituzione di un fondo di solidarietà regionale:
una rete di protezione che la Regione Molise potrebbe costituire disegnando una graduatoria strutturata sulla condizione finanziaria dell’intero nucleo familiare. Il ritorno
dei tributi pagati deve necessariamente avere delle priorità: partire dai più deboli affinché la Costituzione declini nella quotidianità
i princìpi in essa racchiusi. ☺
[email protected]
Gli immigrati costano troppo all'Italia? Falso. Soppesando costi e benefici, i "nuovi italiani" portano in dote
alle casse dello Stato un bel gruzzolo: un miliardo e
mezzo di euro l'anno, per la precisione. È quanto emerge dal Dossier statistico 2013: un testo fondamentale
per chiunque si occupi d'immigrazione in Italia.
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terzo settore
elementi di speranza
Leo Leone
Si respira un clima di conflitto
permanente in ogni strada e piazza e ne dà
ampia testimonianza e rilievo matrigna televisione. Resta reclusa la voglia di rilanciare la
dimensione dialogica, soprattutto con chi
paga più pesantemente la crisi che oggi avvolge mezzo mondo. Per consolazione dei
pochi che cercano affannosamente spazi di
respiro e osano guardare un po’ più in alto si
possono anche riscoprire segnali che potrebbero essere annunci di
un futuro migliore.
Nostalgia o voglia concreta di tornare indietro
per riscoprire persone e
immagini di storia che
hanno segnato in positivo la stagione giovanile
di chi ebbe la fortuna di
respirarla qualche decennio indietro?
Possiamo
rifarci a figure come
don Lorenzo Milani, il
prete scomodo per vescovi e …gente perbene che nella lettera al giovane comunista
Pipetta, nel confidare la sua condivisione di
linea nell’impegno a sostegno dei poveri e dei
deboli, risultò scomodo per l’intero contesto
clericale al punto da venir severamente redarguito ed emarginato dal suo vescovo e sentenziato come “inopportuno” dal Sant’ Ufficio. Ma il suo schierarsi a servizio degli ultimi, a partire dai ragazzi figli di contadini
dispersi nell’isolamento dell’Appennino
toscano per i quali promosse la profetica
Scuola di Barbiana, fu e resta ancor oggi un
modello eccelso di dialogo che, nell’operare
scelte scomode per i benpensanti, non lo
recludeva tra coloro che nella storia sono
sempre apparsi come utopisti e sognatori. Nel
suo ardimento, non si ridusse mai a svolgere
azioni di scontro ad ogni costo e senza riserve. Ne sono convincenti attestazioni i diari e
le lettere che scriveva ad amici, conoscenti e
figure di rilievo in ogni ambito della sua società. Interloquiva con tutti e non attivava
dialogo con soggetti allergici all’interscambio
di idee e segnati da istinti sovversivi privi di
continenza. La conclusione di don Milani alla
lettera a Pipetta resta una lezione che può riportarci sul terreno di un dialogo che ponga
fine alla stagione litigiosa che pervade in ogni
spazio di vita.
Rileggiamo quelle parole che costituiscono ancora e permangono per il futuro un
apprezzabile stimolo per chi la pensa diversamente da altri su questioni attinenti la politica e
si adopera per presentare proposte centrate sui
valori di riferimento ai diritti, alla giustizia e
alla vicinanza soprattutto
ai più deboli. Dopo aver
confessato a Pipetta la
sua condivisione etica di
sostegno ai deboli da
tradurre in un concreto
agire, don Milani non
esita a confessargli il
proprio rigetto di strategie
e strumenti ideologici di
partiti della sinistra del
tempo, che rischiano di
applicare prassi che sono
distanti dai valori della
libertà, della democrazia, del bene comune e
che centrano la loro azione sull’obiettivo di
acquisire potere, dimenticandosi del popolo, a
partire dai più deboli. “Ma il giorno che avremo sfondata insieme la cancellata di qualche
parco, installata insieme la casa dei poveri
nella reggia del ricco, ricordatene Pipetta,
non ti fidar di me, quel giorno io ti tradirò.
Quel giorno io non resterò là con te. Io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a
pregare per te davanti al mio Signore crocifisso. Quando tu non avrai più fame e né sete,
ricordatene Pipetta, quel giorno io ti tradirò”.
La diffusa carenza di ascolto oggi
impedisce di portare a termine una comunicazione di gruppo volta
a cogliere opinioni,
pareri volti a definire
prassi e strumenti per
l’attuazione di iniziative anche di non rilevante portata. Si fa
fatica a reggere toni e
procedure,
giorno
dopo giorno, nelle
diatribe che ci sforna-
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no giornalisti, politici e gente comune. Gli
stessi giovani ne sono segnati al punto che si
sono convinti che il modo “normale” della
interlocuzione può anche seguire stili di
musica dissonante in cui i cori non rispettano o non riescono a cogliere le tonalità che
si armonizzano. Da qualche tempo intellettuali ed esperti in politiche sociali sollevano
l’allarme sulla distanza che la politica e i
partiti hanno accresciuta tra stato e cittadini.
Assistiamo ad atteggiamenti diffusi di rassegnazione e di carenza di partecipazione
civile che ci porta distanti dal primo articolo
della Costituzione che assegna la sovranità
al popolo.
I dati svelati dal Censis in questi
giorni sembrano riaprire istanze di riappropriazione di responsabilità e di impegno
operativo della cittadinanza italiana. Così
come non nasconde l’indice diffuso di indignazione che purtroppo non si traduce in
maniera sufficiente in partecipazione e promozione propositiva. Ma un aspetto ci riporta a guardare avanti ed è il dato che la fascia
giovanile dai 18 ai 24 anni fornisce più di
altri elementi di speranza nell’aver assunto
coscienza di ciò che li circonda e di andare
oltre la preoccupazione alimentando la voglia di fare, rafforzando la cultura e
l’operatività di marco comunitario. Anche in
Molise ne abbiamo segnali. ☺
[email protected]
Alla Redazione de la fonte
Ho letto con commozione e gratitudine il
ricordo di mia sorella Elena sul numero
di ottobre.
Vi ringrazio per le parole affettuose e per
l'impegno con cui continuate a tener desta la coscienza civile di noi molisani,
soprattutto in questo tempo di colpevole
indifferenza.
Buon lavoro.
Lucia Sassi - Termoli
[email protected]
13
cultura
il grido di una donna
Christiane Barckhausen-Canale
Ormai sono passati 23 anni da
quel giorno. Della donna che sta al centro di
questa “storia di natale”, non si conosce
neanche il nome. Quelli che l’hanno vista
per qualche istante, ricordano solo che aveva l’aspetto di una donna nel quinto o sesto
mese di gravidanza. Niente di più.
È uno dei primi giorni di dicembre dell’anno 1990. La storia si svolge a
Berlino, nella parte che, fino al 3 ottobre, è
stata la capitale della Repubblica Democratica Tedesca ed è
diventata la capitale
della Germania unificata. Le strade del
centro città sono
illuminate in preparazione del natale, gli
studenti si guadagnano qualche soldo
vestendo un costume
di Babbo Natale ed
invitando, nei grandi
negozi, i bambini a
posare con loro per
una fotografia. Verso
mezzogiorno, una
donna visita, una
dopo l’altra, tutte le
redazioni dei giornali, salendo e scendendo scale, bussando alle porte, cercando,
timidamente, un interlocutore e, non trovando nessuno, toglie della sua borsa la fotocopia di una fotografia e la lascia sul tavolo più
vicino alla porta. Esce dalla redazione e si
dirige verso la successiva redazione dove si
ripete la scena.
Fra tutti i capi redattori che l’ han-
14
no vista, c’è solo uno che, spinto dalla curiosità, si precipita verso la porta dove la donna
sta già per uscire. La ferma e la invita a spiegare quale è lo scopo della sua visita al giornale e perché ha lasciato sul tavolo quella
fotocopia. Ed ecco la storia di quella donna
senza nome.
È nata e cresciuta nella capitale
della RDT. Vive in un quartiere della periferia est. Ha tre figli, ma il marito l’ha lasciata
quattro mesi prima. Ha lavorato come bibliotecaria nella biblioteca
di una grande fabbrica, ma siccome dopo
il 3 ottobre, giorno
della unificazione dei
due stati della Germania, le fabbriche hanno
eliminato dal loro
interno prima le biblioteche e, dopo, gli
asili nido, la donna
senza nome è rimasta
disoccupata. I soldi
che aveva sul conto
corrente,
con
l’introduzione del
marco occidentale
nella parte est della
Germania, sono stati
dimezzati (il cambio
era 2 marchi dell’est per 1 marco dell’ovest),
non le rimane quasi niente, e si avvicina natale. Cosa potrà offrire ai suoi bambini? Nei
negozi di giocattoli ci sono più cose che mai,
ma potrà comprare dei regali per i bambini se
non sa come sfamarli nei mesi a venire, se
non trova un nuovo lavoro?
Il capo redattore capisce che questa
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non è una donna che racconta con facilità
la sua storia. Vede nei suoi occhi la disperazione, la paura, la stanchezza… “Ma
perche questa fotocopia?” chiede e guarda
per la prima volta con attenzione la foto
riprodotta. La foto mostra una donna con
un bambino piccolo in braccio ed un altro
che si vede nella parte bassa della foto. La
donna è incinta, una condizione che, normalmente, fa diventare più bella la faccia
di una donna, fa emergere negli occhi
un’espressione di orgoglio, di speranza, di
tenerezza. Ma la donna della fotografia non
ha questa espressione di felicità, anzi, si
vede che è preoccupata quando pensa alla
nuova vita che cresce dentro di lei.
“Quando ho visto questa foto”, dice la
donna senza nome, “ho pensato che raffigura esattamente il mio stato d’animo, ed
ho sentito l’urgenza di fare delle fotocopie
per consegnarle ai giornali. Siccome non
sono abituata a lamentarmi davanti agli
altri, ho deciso di distribuire queste fotocopie nelle redazioni dei giornali. La foto è
come la mia voce, la foto è come il grido di
disperazione che non mi esce dalla bocca…”.
Grazie alla curiosità di quel capo
redattore, abbiamo conosciuto nel dicembre del 1990 la storia di questa donna. Decine di migliaia di lettori hanno sentito il
suo grido di disperazione, hanno capito che
non sempre una nuova vita che cresce
dentro di una donna significa speranza,
gioia, orgoglio e fiducia nel futuro. La foto
diventata poi un grido fu fatta nel 1930, a
Berlino, da Tina Modotti, autrice di
un’opera di più o meno 300 fotografie. Ma
anche se avesse scattato soltanto una foto,
questa foto, una foto capace di diventare,
60 anni dopo, il grido di una donna, Tina
Modotti meriterebbe il nostro ringraziamento. ☺
[email protected]
cultura
Questo splendido autunno non ci
priva di mattini limpidi e tiepidi. Uscire
sulla mia terrazza e attendere che il sole si
levi, incendi il crinale delle colline e accenda di verdi scintille il bosco ancora folto è
il sorso quotidiano di armonia che mi aiuta
a star bene. Mi manca solo il canto nostalgico d’amore della tortora partita per lidi
più accoglienti.
Non è facile il ben-essere nella
vecchiaia quando, venendo meno il corpo,
si fa fatica a “tenere insieme” le restanti
forze e a conservare l’equilibrio. Si riscopre allora che nel profondo dei nostri stati
d’animo c’è sempre un bisogno di armonia. È nel malessere che provo alla vista del
vuoto aperto nel bosco da un taglio impietoso o quando il nero del Camerun si presenta alla mia porta con il suo fagotto di
merci invendute e mi racconta dei suoi
bambini da sfamare. È nella quiete raggiunta dopo un lacerante conflitto interiore.
È nel senso di beatitudine che mi dà
l’ascolto della Sinfonia pastorale di Beethoven.
Nei termini greci “harmozein” (connettere), “harmonia” (unione,
proporzione) c’è l’idea di accordo fra elementi diversi che messi insieme producono
qualcosa di gradevole, infondono uno stato
di pace. Rimandano alla radice
“ar” (adattare, connettere), che si ritrova
anche in “areté” (virtù). “Si chiama virtù
quella potenza che produce e conserva il
bene” (Aristotele). Per i credenti in Cristo
quella potenza elevata a un grado sublime
è l’amore. Amore armonia pace, un trittico
inscindibile: un sogno? una meta irraggiungibile? Importante è partire.
“È camminando che s’apre il
cammino”. Un verso del poeta Machado,
che Arturo Paoli ha messo in pratica nel
percorso della sua lunga strada (centouno
anni il 30 novembre nella sua Lucca), lo
sguardo sempre oltre, ad amorizzare il
mondo, espressione da lui molto amata
mi abbono a
la fonte
perché
meglio vivere da leoni
che da pecore
il ben-essere
Teresa Labagnara
(mutuata dallo scienziato e teologo Teilhard
de Chardin), che apre a un cristianesimo
radicato nella realtà terrena, a una spiritualità che non esclude la materia. Sacerdote,
“giusto fra le nazioni” (ha contribuito a
salvare centinaia di ebrei durante la seconda
guerra mondiale), cappellano sulle navi dei
migranti italiani in Argentina, piccolo fratello del Vangelo e, per quarantacinque anni,
nell’America latina dove si è dedicato alla
causa dei poveri, degli oppressi, dei senza
voce. Una storia che ha il suo cuore nei
tredici mesi trascorsi nel deserto algerino,
sulle orme di Charles de Foucauld. La pazienza del nulla - nome che egli dà
all’esperienza del deserto - gli ha fatto capire che “la vita cristiana è morire a te stesso
e rinascere per l’altro. Abbandonare la fede
astratta verso un Essere invisibile e orientarla verso l’amicizia con Gesù e il suo
progetto di pacificare il mondo”... “Gesù
non ha parlato di salvezza dell’anima, ha
parlato di una esistenza dell’uomo completo il quale deve trovare nella sua realtà
terrena la maniera di costruire la persona
nuova... Essere sale, lievito, luce, non separando l’anima dalla totale realtà del mondo
e di vivere in questo mondo. Quindi tutte le
attività, le relazioni fra noi e con la natura
devono entrare in una unità e in una armonia”.
Sono parole di fratel
Arturo - soltanto un flash - che
ho prese dal suo diario intimo,
La pazienza del nulla,
(Chiarelettere 2012) e da uno
dei suoi ultimi articoli comparsi sulla rivista Rocca (Pro
civitate christiana, Assisi).
Vorrei servissero a dirigere
l’attenzione verso una persona
di coerente, ardente fede.
Il suo “cristianesimo
dinamico esistenziale” penso
possa portare ogni credente a
una profonda riflessione, specialmente quei credenti che,
come me, hanno ricevuto una
educazione religiosa di tipo
preconciliare, improntata di
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verità astratte, lontane dal pulsare della
vita che si rinnova di giorno in giorno.
Amorizzare il mondo vuol dire entrare nel
movimento della vita mettendo al centro
Gesù, l’Amico, il grande Fratello modello
unico, come lo chiamava Charles de Foucauld. È Gesù che ha saputo tradurre in
realtà, a costo della vita, il “progetto uomo” condensato negli stupendi versetti di
Isaia, che l’evangelista Luca (4, 16-18) gli
fa proclamare nella sinagoga di Nazareth.
Vissuto lunghi anni nell’ America latina, in un mondo religioso dove
cielo e terra trovano la giusta armonia,
Fratel Arturo ne ha assorbito con la cultura il rispetto sacro della terra, la pachamama, cui la vita è legata da un nodo indissolubile. Purtroppo l’uomo, comportandosi da padrone e signore, tradisce il mandato divino di custodia, minaccia e consuma la terra abusando del suo potere tecnoscientifico. Di qui la “cultura della scarto” ripresa con forza da papa Francesco in
una sua recente catechesi. Con il suo messaggio di mitezza Fratel Arturo ci convince che è possibile, senza inutili preoccupazioni e paure, tra cui quella dell’aldilà,
lasciando solamente libero il cuore, raggiungere l’armonia. ☺
[email protected]
Rosanna Celano: il tempo è
15
arte
i brunetti
Gaetano Jacobucci
Nella terra di Molise alla fine del
Seicento e all’inizio del Settecento si registrò
un intenso e laborioso progetto culturale, ad
opera dei Signori locali che crearono botteghe per un fiorente filone intellettuale. Il secolo d’oro del Barocco napoletano si propagava
in modo sistematico in tutto il regno, grazie
alla scuola partenopea ricca di pittori, scultori
e architetti. Francisco Zurbaràn, grande attore
del sontuoso Seicento spagnolo, nato un anno
prima del Velasquez e tre prima del Cano. La
bellezza dell’arte Spagnola si impone con
veemenza con le aeree impostazioni di Jusepe de Ribeira e Bartolomè Esteban Murillo,
mostrando all’Europa di quale portata sia la
risposta della nuova generazione che si opponeva al manierismo di Filippo II e alle influenze fiamminghe e italiane. Si può ritenere
una seconda reconquista, che usa la pittura
per insegnare, confermare, dimostrare la
bellezza del cattolicesimo imperante attraverso le opere, “di fronte alle quali si può e viene
voglia di pregare; cosa di cui molti non si
curano” (Josè de Sigueza, teologo-poeta).
La bottega dei Brunetti
I pittori dell’area partenopeaspagnola si piegano a narrazioni di vite e
storie di santi, che si dividono in ricchissimi
cicli: misteri del rosario, vite di santi e di
martiri, che dalle grandi cattedrali o palazzi
principeschi si rinchiudono in conventi o
chiese di città periferiche del regno. Ritroviamo pittori di solitudini e di silenzi scanditi
nella squadrata simmetria o in contrapposizione del doppio registro, quello terreno e
quello celeste. Le figure sono severamente
immobili, arcaicamente ritagliate nei contorni, sorprese da uno sguardo che pur si sofferma a decorare i particolari, arricciando drappi
e aggiungendo particolari leziosi. Il caravag-
gismo imperante in tutta l’Europa è un successo della sentita devozione derivante da dettagli
minuziosi che confonde le linee in uno spazio
co, oggi scomparso, raffigurante l’ Annunziata. Alla fine del Cinquecento la sua famiglia raggiunge Oratino proveniente da S.
Pietro Infine, con Benedetto, nonno del
nostro, maestro intagliatore. La formazione
figurativa spazia e riecheggia la maniera
tardomeridionale e confrontandosi con i
maggiori artisti del Seicento napoletano,
reperibili in tante parti del regno.
Nel 1658 Brunetti firma per la
chiesa di S. Onofrio di Casacalenda, il Perdono di Assisi. I personaggi posti su due
piani secondo uno schema già realizzato da
Federico Barocci, oggi ad Urbino nella
Galleria Nazionale delle Marche. La figura
di Francesco dallo sguardo rivolto verso
l’alto, ripresa dal Barocci, conosciuto dalle
incisioni o dall’osservazione diretta, è unita
dal Brunetti ad una matura formazione di
conoscenza sia di Angelo Solimena, che
Francesco Guarino. L’aggiunta dell’ Arcangelo S. Michele sulla destra del dipinto attesta che l’opera fu commissionata da un certo
Angelo Filacchione scampato alla peste del
1656 che tante vittime provocò, decimando
intere popolazioni del regno di Napoli.
Un paesaggio centrale si squarcia
quasi in un ideale punto di fuga. L’arte, la
peste e la carestia hanno sempre coabitato.
Perché l’una e l’altra appartengono a quella
misteriosa terra di mezzo tra uomo e natura
in cui il male trova nella bellezza la sua
rappresentazione e il suo antidoto.☺
[email protected]
infinitamente grande
con l’acutezza dell’
infinitamente piccolo.
In
questa
corrente si immerge
Benedetto
Brunetti,
figlio di Matteo, che nel
1623, per la chiesa di
Santa Maria della Libera di Cercemaggiore,
aveva firmato un tritti-
CAMPOBASSO
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mondoscuola
E i ragazzi? Cosa pensano i ragazzi? In una rubrica sulla scuola, non può
mancare la loro voce. Anche perché, spesso,
a lasciarla uscire fuori, suona di una freschezza e di una verità dirompente. Qui,
stavolta, ci piace accogliere e proporre quella di Federico Cutrone, uno studente diciassettenne, di origini molisane, che frequenta il
liceo classico “Vivona” di Roma. E che,
dalle pagine del giornalino della sua scuola,
fa alcune considerazioni sensate, assolutamente interessanti, su certa “polvere” che
dovrebbe essere tolta dai programmi, dalle
metodologie, dagli obiettivi. Gliele abbiamo
gentilmente rubate per rifletterci su con voi.
Federico sogna di fare il giornalista. Gli auguriamo con tutto il cuore che il
suo sogno possa diventare realtà. Ma ci permettiamo di strizzargli l’occhio, con garbata
ironia, e di proporgli, di qui a qualche anno,
caso mai dovesse cambiare idea, di fare una
capatina nel mondo della scuola, di regalarci
la sua sensibilità, la sua energia. Di quanti
come te, Federico, ci sarebbe bisogno oggi
dietro ad una cattedra!
Buon lavoro e in bocca al lupo,
Federico. Non importa quanto tempo ci vorrà. Se è il tuo sogno, non mollare mai.
Il liceo classico è da sempre sinonimo di vasta formazione culturale, conseguente a grandi carichi di studio, a volte anche
pesanti. Noi del liceo Vivona, questo, lo sappiamo bene. Le varie materie caratteristiche,
latino, greco, storia, italiano, sono ricoperte
sempre da un vago alone di antichità, che il
più delle volte ci porta ad interrogativi del
tipo "Sono utili veramente il latino e il greco?" oppure "La cultura classica può essere
ricondotta al presente?", ma soprattutto "Mi
basta studiare le espressioni artistiche di
centinaia/millenni di anni fa, per dare un mio
apporto diretto alla corrente artistica contemporanea?".
A mio avviso, per quanto sia importante conoscere la cultura classica, che ci
insegna ad interpretare il presente e a
"leggere" il futuro, è indispensabile la consapevolezza delle espressioni artistiche attuali,
in quanto queste ci danno l'opportunità di
poter vivere direttamente il presente, per poi
scrivere il futuro.
Sembra però che nella nostra era
non ci si "esprima" più ai livelli del passato e
non ci siano espressioni artistiche rilevanti.
Niente di più sbagliato. Le invenzioni del
secolo passato, come il cinema e la registra-
al passo coi tempi
Gabriella de Lisio
zione di brani musicali, non devono essere
viste come avverse al progresso culturale
dell'uomo, bensì devono entrare a farne parte,
in quanto validissime forme di espressione/
evasione/liberazione. La scuola in quanto tale
ha l'obbligo di offrire ai giovani queste opportunità affinché loro (noi) le possano cogliere al
meglio.
Poi, sono veramente tanto distanti il
cinema e la musica dalle materie che studiamo
a scuola? Il cinema può sembrarlo decisamente, ma se analizziamo un po' alcuni argomenti
che abbiamo studiato o che studieremo tra i
banchi di scuola, potremo facilmente cambiare
idea. Nei programmi ministeriali, lo studio
delle opere teatrali dei vari Plauto, Aristofane,
Seneca, Euripide sono dei punti fermi. Quanto
sono diversi dalle opere cinematografiche?
William Shakespeare e Christopher Marlowe,
se ne avessero avuto l'opportunità, avrebbero
rappresentato i loro scritti al cinema? Secondo
me sì. Dunque studiare le grandi opere del
cinema (non di certo i cine-panettoni) di artisti
come Stanley Kubrick, Alfred Hitchcock,
Federico Fellini, Sergio Leone, etc. non è sbagliato. È assurdo che un ragazzo, che può anche ottenere la maturità con il massimo
dei voti, esca dal liceo totalmente ignorante riguardo i
più grandi film della storia.
D'altra parte la musica, sempre ben accolta da tutti, ma
mai veramente approfondita
da nessuno tra le mura scolastiche. Eppure se riprendia-
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mo la letteratura antica, partendo anche dal
lontanissimo Omero, conosciamo benissimo che gli aedi, nell'esporre le opere classiche, si accompagnavano sovente con la lira.
Studiamo anche gli scrittori della poesia
lirica, che cantavano d'amore, di politica e
dei piaceri/dolori della vita, sicuramente
sempre accompagnati da vari strumenti
(uno a caso, la κἰθάρα), quindi testo su musica.
Che differenze ci sono con i cantanti attuali? Saffo parla d'amore. E Battisti?
Archiloco, Solone, Alceo, quanto sono
distanti o superiori a Fabrizio De Andrè,
Francesco De Gregori o Franco Battiato?
Poesia e musica, questi artisti hanno molto
in comune, l'unica differenza è che gli ultimi
citati possono essere i cantanti amati da noi
o dai nostri genitori, mentre i primi al massimo da qualche nostro antichissimo avo
comune. Alcune opere musicali hanno il
potere di farci raggiungere quasi la pace dei
sensi, così come certe poesie. Come esistono le canzoni meno belle esistono le opere
letterarie mal riuscite: facendo una cernita, si
avrebbe l'opportunità di inserire nei programmi scolastici delle opere musicali,
italiane e straniere, che sono già da tempo
radicate nella nostra coscienza contemporanea, e le quali sarebbe giusto approfondire.
Cinema e musica al liceo classico, un desiderio sicuramente non infondato, che sarebbe inoltre un ottimo metodo per rendere lo
studio meno pesante e più attuale. Dato che
poi ci piace fare sempre i paragoni con le
altre nazioni, il cinema all'estero si studia e
diventa strumento di analisi del mondo in sé,
mentre la musica è ormai da decenni radicata nell'insegnamento, non solo nei paesi più
avanzati, ma anche nelle
regioni più povere, come
nel Sud America (Venezuela e Cile) dove diventa
uno strumento per salvare i
ragazzi dalla criminalità. Si
sogna anche, pensando
all'America, dove si studia
matematica con i Pink
Floyd di sottofondo.
[email protected]
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libera molise
contro la povertà
Franco Novelli
Oggi non si dà valore che ai ricchi
(Marziale, Epigr., 5, 1-2)
Il 6 dicembre 2013, venerdì, presso
la sala conferenza della Camera di Commercio di Campobasso, in Piazza della Vittoria n.
1, ci saranno:
- Una conferenza stampa - ore 17.00 - relativa
all’apertura della campagna nazionale e regionale sul tema della povertà con la partecipazione di Gabriella Stramaccioni - ufficio di
presidenza di Libera - e di Giuseppe De Marzo, giornalista del Gruppo Abele e di Libera campagna “Miseria ladra”.
- Un incontro pubblico - ore 18.00/20.30 tenuto da Gabriella Stramaccioni e Giuseppe
De Marzo sul tema de “La povertà e le sue
ripercussioni sociali”. Seguirà il dibattito.
La crisi economica, che si è abbattuta anche sul nostro paese, è aggravata da
due elementi: il primo è costituito dal degrado istituzionale e da quello etico/morale che
sta provocando una nefasta corruzione del
sistema e un chiaro disinteresse da parte del
governo attuale - quello delle grandi intese - e
delle istituzioni a risolvere i nodi della crisi,
legati essenzialmente all’immiserimento di
parte cospicua (ma anche più debole!) della
popolazione.
Il secondo elemento, molto preoccupante, riguarda la necessità di trovare per
l’inizio del 2014 50 miliardi di euro, che
rappresentano la prima delle venti rate, imposte dall’odioso fiscal compact, vera e propria
maledizione agli occhi di una parte percentualmente più ampia della popolazione e,
guarda caso, proprio di quella economicamente più debole ed indifesa.
Che fare allora?
È assolutamente necessario in
questa fase di grave recessione economica
riprendersi in mano gli strumenti della politica, che sono principalmente la partecipazione
responsabile, il rifiuto cioè di ogni assurda e
immotivata delega, alla vita del paese e definire, il più preciso possibile, un cammino
prospettico che si vuole fare, vale a dire riconquistare un minimo di dignità civile dopo
venti anni di scurrilità e di licenziosità diffuse
da una classe politica in larga parte corrotta e
degenere.
18
miseria ladra
Dalla crisi si esce insieme.
Aiutiamoci a farlo!
Parte la campagna nazionale del Gruppo Abele e di Libera contro la povertà. Alcuni dati: un
paese fragile, fra diseguaglianza, povertà e
disoccupazione.
Il nostro paese vive una condizione di impoverimento materiale e culturale insostenibile ed
inaccettabile. I numeri più asettici dell’ISTAT
ci informano che, nel 2012, 9 milioni e
563mila persone pari al 15,8% della popolazione sono in condizione di povertà relativa,
con una disponibilità di 506 euro mensili
(erano 8.173 milioni nel 2011 pari al 13,8%
della popolazione). In condizione di povertà
assoluta si trovano invece 4 milioni 814mila
persone, pari al 7,9% della popolazione italiana (nel 2011 erano 3.415 milioni pari al 5,2%
della popolazione).
Parliamo di quasi un italiano su quattro costretto a vivere in una condizione in cui la dignità
umana viene calpestata. L'Italia è in Europa il
paese meno sicuro per un minore. Il 32,3% di
chi ha meno di 18 anni è a rischio povertà. 723
mila minorenni italiani vivono già in condizione di povertà assoluta. È questo un dato intollerabile che dovrebbe farci indignare tutti e
tutte. Le diseguaglianze continuano a crescere,
con differenze territoriali che ripropongono la
questione meridionale come uno dei temi sui
quali intervenire urgentemente. Il sud infatti
risulta drammaticamente più colpito ed impoverito dalla crisi. La disoccupazione nazionale
oltre il 12%, nel mezzogiorno è nettamente
superiore. Tra i 15/24 anni che cercano lavoro
al sud, la disoccupazione è superiore al 41%.
Le famiglie italiane si sono enormemente
impoverite. Oltre il 60% delle famiglie ha
ridotto la quantità e la qualità della propria
spesa alimentare, mentre aumentano i casi di
disoccupati e anziani costretti a rubare per
mangiare. Più di due milioni sono i cosiddetti
Neet, giovani così scoraggiati dalla situazione
che non studiano, non cercano più lavoro e
non sono nemmeno coinvolti in attività formative. Aumentano enormemente la precarietà e
lo sfruttamento sul lavoro, sino a raggiungere
pratiche di neoschiavismo nei confronti dei
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lavoratori migranti e non, sia al sud che al
nord del paese. Si rafforza il controllo dei
clan malavitosi su molte attività economiche
in crisi, costrette a “rivolgersi” ai prestiti dei
mafiosi. Così come sono in drammatica
crescita i crimini contro l'ambiente. Sono
oltre 93,5 al giorno quelli denunciati che
certificano l'aumento dell'impatto e dell'influenza delle ecomafie e che distruggono la
nostra vera ricchezza: territori, beni comuni
e biodiversità.
La ricchezza si è spostata dal lavoro alla
rendita finanziaria. La situazione risulta
aggravata dalle attuali politiche in campo.
Delocalizzazioni, dismissioni, privatizzazioni, austerità e vincoli di bilancio, riforme di
welfare e pensioni, azzeramento dei fondi
per il sociale e tagli nei settori dove maggiore è la domanda di servizi pubblici e sociali,
hanno aggravato ulteriormente la crisi. Disuguaglianza e ingiustizia sociale ed ambientale stanno mettendo in crisi la nostra democrazia. Una società diseguale, che coniuga
svantaggio economico con la mancanza di
opportunità, che precarizza i diritti degli
esclusi, che difende i privilegi e la concentrazioni della ricchezza nelle mani di pochi,
attenta alla coesione sociale e incrementa la
sfiducia istituzionale, affossa il principio di
rappresentatività e scoraggia la partecipazione. I dati e la situazione di crisi politica fotografano una “guerra” dove la povertà materiale e culturale è la peggiore delle malattie,
in senso sociale, economico, ambientale e
sanitario.
Responsabili e solidali:
10 cose da fare subito insieme
nei territori
Per noi del Gruppo Abele e di Libera, la
costruzione dell'uguaglianza e della giustizia
sociale è compito della politica nel senso più
vasto del termine: quella formale di chi
amministra e quella informale che ci chiama
in causa tutti come cittadini responsabili. La
povertà dovrebbe essere illegale nel nostro
paese. La crisi per molti è una condanna, per
altri è un'occasione. Le mafie hanno trovato
inedite sponde nella società dell'io, nel suo
diffuso analfabetismo etico. Oggi sempre
più evidenti i favori indiretti alle mafie che
sono forti in una società diseguale e culturalmente depressa e con una politica debole.
Partendo dalle richieste e dalle esigenze di
chi sta indietro, il Gruppo Abele e Libera
promuovono la campagna nazionale Miseria Ladra. Abbiamo 10 proposte concrete
libera
che vorremmo condividere e promuovere
con tutte quelle realtà sociali, sindacali, studentesche, con i comitati, le associazioni, i
movimenti, i giornali, le radio ed i singoli
cittadini/e, intenzionati a portare avanti le
proposte della campagna. Vogliamo impegnarci in tutte le città, con tutte le realtà che ci
stanno, a portare avanti gli obiettivi della
campagna, incalzando le istituzioni locali e
nazionale, aprendole alla partecipazione della
società civile e delle tante realtà impegnate
sul sociale.
Siamo convinti che queste proposte possano
sin da subito rispondere concretamente alla
crisi materiale e culturale, rafforzando la
partecipazione e rivitalizzando la nostra democrazia. La Costituzione ci impegna in tal
senso a fare ognuno la sua parte. La lotta alla
povertà va ripensata in termini di interdipendenza tra le persone, le specie e all'interno
degli equilibri naturali dei nostri ecosistemi.
La miseria é opera degli uomini, solo gli
uomini possono distruggerla. Aiutiamoci a
farlo!
le 10 proposte concrete
1. Ricostruire subito ed aumentare il fondo
sociale e il fondo per la non autosufficienza;
2. Una moratoria sui crediti di Equitalia e del
sistema bancario;
3. Subito i pagamenti delle pubbliche amministrazioni nei confronti di chi fornisce servizi, beni e prestazioni;
4. Agricoltura sociale, risanamento del dissesto idrogeologico, riconversione ecologica
dell’apparato produttivo e della filiera energetica, integrazione e inclusione dei migranti. A
bilancio complessivo invariato attraverso la
revisione dei progetti di alcune grandi opere
inutili e i tagli alle spese militari;
5. Sospensione degli sfratti esecutivi;
6. Destinare velocemente il patrimonio immobiliare sfitto nelle città e quello confiscato
alle attività criminali per i più bisognosi e ad
uso sociale;
7. Riconoscere la residenza presso i municipi
a tutti coloro che sono senza dimora e temporaneamente in difficoltà così da accedere ai
servizi sociali e sanitari;
8. Reddito minimo di cittadinanza per sostenere il lavoro;
9. Riportare in ambito pubblico i servizi basici essenziali e difesa dei beni comuni;
10. Rinegoziazione del debito pubblico.
Per info, adesione e per promuovere la campagna: [email protected]
letti e riletti
Se nella vostra vita avete avuto a che fare con
queste due parole chiave: INTERNET e TERREMOTO, dovete assolutamente leggere il
libro di Massimo Giuliani “Il primo terremoto di Internet: L’Aquila: blog, social network, narrazioni del trauma
nello show della ricostruzione”, 2012.
Non è solo molto emozionante, questo libro,
ma è anche illuminante e istruttivo: le testimonianze e le riflessioni sul terremoto a L’Aquila
e sul ruolo che internet ha avuto prima della
grande scossa e durante la notte della tragedia,
si intrecciano alle riflessioni sul senso generale
delle nuove forme di narrazione rappresentate
dai social network, dai blog, ecc.
Il fatto che l’intreccio avvenga a più voci e a
più livelli, rende questo libro coerente col fenomeno che vuole raccontare: quello a
L’Aquila è stato il primo grande terremoto
italiano nell’epoca di internet e in particolare di
Facebook; ma è stato anche il terremoto che ha
ribaltato alcuni pilastri fondamentali del senso
comune come il ruolo di controllo e non solo
di aiuto della Protezione Civile guidata da
Bertolaso e l’intera impalcatura di menzogne
dell’intero sistema informativo televisivo controllato dal berlusconismo. Alla gente che ha
visto completamente distrutta la propria esistenza, e che tuttora vive nell’attesa che succeda qualcosa è stato ordinato di non credere a
quello che vedeva e di credere a quello che
non vedeva. Una rivoluzione più che un terremoto.
Il libro è acquistabile su Amazon.
Felice Di Lernia
[email protected]
contro la tracotanza
Il clima instaurato dalla politica, di
qualunque parte essa sia, si va facendo di aperta
intimidazione. Credo però che se non ci fosse di
fondo, da parte di noi italiani, una tendenza a
farci intimorire, nonché un minimo di interesse
per il bene comune (per questo siamo un popolo
folle!), ci sarebbe minore tracotanza da parte
loro.
Racconto, a titolo esemplificativo,
un episodio avvenuto un po' di tempo fa, nel
corso di una manifestazione. Mi scuserete se
non faccio nomi di luoghi e di persone, non per
timore, ma perché vi sono coinvolte terze persone che hanno a cuore le sorti di un'attività che,
come molte, troppe cose, dipende dalla politica,
e non desidero creare problemi a nessuno. Qual-
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2013
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fontegennaio
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cosa però va detta, e il fatto stesso di essere
dubbioso nel raccontare apertamente, con
nomi, luoghi e fatti, coinvolgendo chi non so
se desideri esserlo, dà l'idea del clima che si è
instaurato in questo paese. Tutti segnali inquietanti che fanno capire che ci siamo messi
su una brutta china. E facendo gli struzzi non
è che risolviamo questi problemi.
Insomma, partecipo un giorno a
questa manifestazione, in vari anni di attività
non s'era mai visto un politico, stavolta invece
sì. Viene a presentare una nuova legge, in
effetti inerente il tema in discussione in quella
serata, e vabbé.
Non ci sono state contestazioni,
solo una breve e melensa discussione e una dico una - sola legittima domanda fatta per
comprendere quando sarebbero divenute
effettivamente operative le nuove norme.
Subito si è alzata la tensione. Risposta seccata
del politico, e immediata chiusura, in anticipo
rispetto al solito orario, da parte del moderatore. E buonanotte al secchio!
Che tristezza che delle persone
impegnate da anni debbano camminare sul
filo del coltello, in equilibrio tra il tentare la
prosecuzione di valide attività, e il non rendersi proni dinanzi all'arroganza di certa gente.
Quando si instaurano certi regimi,
fossero pure i peggiori come il nazifascismo,
ci sono e ci saranno sempre persone disposte
al collaborazionismo, in nome della propria
salvaguardia personale. Coloro che instaurano il regime sono sempre persone malate,
perché non riconoscono l'altrui umanità,
l'altrui bisogno, le altrui emozioni, in un crescendo di crudeltà, di cattiveria, che nel peggiore dei casi, qui da noi in Europa, è sfociata
in passato nella shoah. Esagero nel fare certi
paragoni? Me lo auguro.
Un mio amico prete, commentando la figura di Papa Francesco, ha detto che la
sua elezione è stata un miracolo, e che ora
che siamo contenti della sua figura ora non lo
dobbiamo tradire. Non mi sento pienamente
inserito nella istituzione Chiesa per via di
miei dubbi, ma ho percepito come mie queste
parole. Agli eroismi io non ci credo, per
quanto, per fortuna, nei popoli, anche i più
oppressi, ci sono sempre persone che emergono e non si piegano e risollevano le sorti.
Ma altrettanto valore assumono i nostri piccoli gesti quotidiani: la gentilezza verso il prossimo, anche quello che ci disturba. La disponibilità a collaborare ed aiutare, il mettere al
bando l'indifferenza. Piccole cose, che possono renderci tutti più umani, e far sciogliere
come nebbia al sole la tracotanza.
Gianni Mancino
[email protected]
19
spazio aperto
mi batto per il lavoro
Michele Petraroia
Il 31 ottobre mancavano quattro
ore al termine di scadenza fissato dalla exCattolica per far scattare il licenziamento
definitivo per 45 infermieri. Dopo mesi di
tentativi e giornate frenetiche di relazioni,
contatti e iniziative, ho fatto un’ultima telefonata a Milano che probabilmente si è sommata alla buona sorte ed è andata a segno. I lavoratori assiepati all’ingresso della Giunta Regionale alla vigilia della festa di ognissanti
avevano composto coi lumini dei morti la
scritta “45 grazie” che spaccava il buio
della notte. Non sapevano come sarebbe
andata a finire ma ci avevano riconosciuto
l’impegno e la dedizione regalandoci
un’insperata emozione in una fase densa di
dolori e sofferenze.
Negli stessi giorni era piombata
in 153 case del Basso Molise la notizie
funerea della chiusura dello stabilimento
VIBAC di Termoli, lasciando increduli i
lavoratori e le loro famiglie. Senza clamori
chiamo a più riprese la proprietà della multinazionale ricevendo in cambio battute
poco edificanti, con scarsissimi margini di
disponibilità a rivedere una scelta assunta
con una determinazione degna di miglior
causa. Eppure grazie alla collaborazione dei
lavoratori, del Presidente della Confindustria, dei sindacati e di diversi amministratori,
è stato possibile riallacciare il filo sottilissimo
che si era spezzato e nel giro di un mese,
grazie al sacrificio dei dipendenti, la situazione si è capovolta con la stipula di un accordo
di ristrutturazione che riapre la fabbrica e
restituisce il sorriso a 153 nuclei familiari.
Due buone notizie dell’ultimo
mese che si sommano all’inaugurazione dello
stabilimento LAVAZZA a Pozzilli dove il
20
gruppo industriale torinese ha investito milioni
di euro per rilanciare la produzione di caffè e
garantire posti di lavoro diretti e dell’indotto.
In silenzio due grandi aziende allocate nel
consorzio industriale di Termoli annunciano
progetti di espansione con nuova occupazione
stabile e a tempo indeterminato.
Mentre il Molise si diletta a dire di
no agli immigrati, a dire di no alle mucche, e
ad alimentare contrapposizioni anche sulla
propria ombra, la Banca d’Italia fotografa nel
rapporto economico il crollo del prodotto interno lordo e la drammaticità di una crisi che
non si affronta con le polemiche spicciole
sollevate ad arte, contro tutto e tutti, da parte
degli stessi soggetti che per dodici anni non
hanno mai visto, mai sentito e mai parlato su
nessun argomento e su nessuna questione.
L’approccio più efficace di questa fase deve
essere sobrio, competente, teso al massimo
coinvolgimento
e
proiettato alla risoluzione concreta dei problemi. Sarà pure vero che i
problemi non si risolvono con gli ammortizzatori sociali ma assicurare a migliaia di famiglie
molisane la possibilità
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di beneficiare di un reddito per soddisfare i
propri bisogni essenziali è cosa buona e
giusta. Aver ottenuto 15 milioni di euro per
cassa in deroga e mobilità in deroga a fronte
di 5 milioni che lo Stato ci aveva assegnato
nel 2012 ha permesso a 3 mila famiglie di
accedere ad un sostegno concreto scevro da
filosofie dotte che di solito appassionano
coloro che essendo sazi non credono a chi è
a digiuno. È stata poca cosa e ne sono consapevole aver attivato 1,2 milioni di euro
per l’alta formazione, 1,8 milioni di euro per
l’obbligo formativo triennale, 5 milioni di
euro per la scuola dell’infanzia e le sezioni
primavera nel triennio 2014-2016, 1,4 milioni di euro per la formazione continua e
l’aggiornamento professionale degli occupati in favore delle aziende, 1,1 milioni di
euro per la stabilizzazione dei precari, 1,9
milioni di euro per l’assistenza ai non
autosufficienti, 2,3 milioni di euro nel
riparto ai 7 ambiti territoriali di zona dei
fondi per le politiche sociali, 2,2 milioni di
euro sulla legge 98/2013 di messa in sicurezza degli edifici scolastici, 1,5 milioni di
euro sull’apprendistato professionalizzante, 220 mila euro sui tirocini estivi più i 3
milioni della quarta annualità del bando
giovani al lavoro che andrà in pubblicazione entro metà dicembre insieme a 1,9
milioni di euro per il credito d’imposta in
favore delle aziende che trasformano i
rapporti di lavoro da precari a tempo indeterminato.
Questi atti insieme alla condivisione delle difficoltà per le casse straordinarie scadute e rinnovate, per le liste di mobilità, la disoccupazione in deroga ed i progetti
di tutela sociale delle fasce fragili, non rappresentano la soluzione ai problemi della
regione, ma attestano la concretezza di un
cammino efficace e la volontà di resistere di
un territorio che vuole vivere e che intende
superare la crisi devastante di questi anni.
L’arte di Tafazzi in cui il Molise eccelle, in
una competizione sfrenata e trasversale che
unisce nostalgici e volpi che non avendo
mai acciuffato l’uva asseriscono che è acerba, non apre spiragli né prospettive per la
nostra terra. Occorre umiltà, lavoro, impegno e capacità d’ascolto, per distinguere il
grano dal loglio e costruire tra mille contraddizioni e tanti errori un percorso possibile
per un Molise attrattivo, competitivo, solidale ed equo. ☺
[email protected]
chiese
un contributo all’unità
Fra i tanti anniversari che quest’anno
si possono ricordare, vorrei presentarvi
l’anniversario dei 150 anni della Chiesa evangelica metodista di Verbania-Intra, in Piemonte, sul Lago Maggiore. Con questo intenGiovanni Anziani
to presento innanzi tutto il quadro sommario
Però la dura reazione del cattolicesimo
giustizia e libertà.
della storia italiana nella metà dell’800.
del
tempo
fermò
il
movimento
evangelico.
Gli
Innanzi tutto giustizia per un tempo
In quegli anni l’Italia sarà segnata da
evangelici
osteggiati
dovettero
modificare
il
di
pace
durante
gli anni del conflitto e della
un evento significativo: inizia il Risorgimenloro
progetto.
Così
a
cavallo
del
XX
sec.
iniemarginazione.
Poi
un impegno per la liberto. Il congresso di Vienna aveva dato all’Italia
ziano
a
diffondersi
nel
Paese
diverse
iniziative
tà
dalla
ignoranza,
ed ecco le scuole per
una nuova sistemazione politica: la penisola
a carattere sociale. Ed ecco l’apertura della
vincere l’analfabetismo; libertà dalla supervenne divisa in dieci stati e l’Austria venne a
scuola
a
Intra
(1864)
per
oltre
80
bambini
e
poi
stizione, ed ecco lo studio della Bibbia;
rappresentare il garante della Restaurazione.
l’opera
di
predicazione
che
tocca
le
sponde
del
libertà dalla povertà, ed ecco le opere per i
Il frazionamento del paese e l’egemonia auLago
creando
sale
di
culto.
più emarginati.
striaca fecero emergere il problema
Nel
1882
a
Villadossola
viene
aperto
Ed oggi? Innanzi tutto si è ben condell’indipendenza nazionale. Pochi di numeun
asilo
chiamato
“ricovero
sapevoli
di non vivere più nel tempo del
ro e strettamente sorvegliati,
per bambini poveri”; quest’
conflitto. Il tempo della pace è giunto. Vi è il
i patrioti liberali italiani si
opera
nasce
perché
vi
erano
tempo del confronto, ma con una caratteriorganizzarono in società
dei
bambini
rimasti
orfani
e
stica particolare: occorre riaprire il dialogo
segrete.
nel
1885
si
decide
di
trasferire
soprattutto interreligioso per una predicazioNegli anni quaranta
questo
istituto
assistenziale
ne evangelica rinnovata.
si affermò l’idea di una traproprio
a
Intra.
Nasce
così
un
Così nel ricordare l’anniversario
sformazione graduale conistituto intitolato all’educatore
dell’inizio dell’opera delle chiese metodiste
dotta dagli stessi sovrani. I
svizzero
Giovanni
Pestalozzi
del Lago Maggiore ci si è chiesti quale ruolo
moderati, in gran parte piecon
sezione
maschile
e
femsvolgere nel XXI sec. e si è cercato di trovamontesi, rivolsero le loro
minile.
re questa risposta: non preoccuparsi di salvaaspettative a Carlo Alberto.
Il
giorno
8
settembre
1893
guardare una pietà religiosa personale, ma
Ma l’evento decisivo verso
viene
inaugurato
il
nuovo
continuare ad operare nella società perché la
l’unità fu la spedizione dei
complesso comprendente la
giustizia possa produrre la pace e la libertà
Mille, al comando di GariChiesa,
due
edifici
(uno
per
possa produrre la speranza nel futuro.
baldi e la liberazione degli
l’ala
femminile
e
l’altro
per
Negli ultimi anni, oltre al dialogo
stati meridionali. Il 18 feb- Chiesa Evangelica Metodista di Intra
l’ala
maschile),
i
locali
della
ecumenico
e interreligioso con i musulmani,
braio 1861 si riunì a Torino
scuola
e
ampi
laboratori
al
piano
terreno
per
è
stato
possibile
iniziare un nuovo lavoro
il nuovo parlamento che votò la proclamaziol’apprendimento
dei
mestieri
(soprattutto
falesociale
nel
fabbricato
che anticamente ospine del Regno d’Italia.
gnameria e calzaturificio), un grande giardino
tava i bambini poveri della zona: l’Istituto
Questi eventi ebbero un’eco sia negli
interno.
evangelico come casa di seconda accoglienStati Uniti d’America sia in Gran Bretagna e
Perché
questi
ricordi?
Certamente
za per famiglie immigrate. ☺
in particolare negli ambienti evangelici. Ben
[email protected]
sono
eventi
che
fanno
parte
della
storia
del
presto le diverse società missionarie inviaronostro
Paese
e
del
Risorgimento
in
particolare,
no dei pastori per dare un contributo di impema quale il motivo di celebrare un anniversami abbono a
gno agli ideali del Risorgimento. A loro si
rio
dopo
150
anni?
Una
ragione
riguarda
la
unirono i valdesi. Questi dopo il 17 febbraio
la fonte
caratteristica delle comunità protestanti italia1848, con il riconoscimento di alcuni diritti
ne: la perseveranza nella predicazione
perché
civili, si spinsero fuori dalle loro valli per
dell’Evangelo!
Una
predicazione
che
non
è
portare il messaggio evangelico in particolare
voglio lottare tutto l’anno
rinchiusa nel discorso religioso, ma raggiunge
a Palermo e a Napoli.
la vita e la storia delle
Possiamo dire che dal 1861 iniziò il
tante persone.
vero movimento evangelico in Italia con
I predicatori
questo particolare obiettivo: il risorgimento
dell’800
non si preocdel Paese sarebbe stato possibile se accanto ci
cuparono
dei riti e delle
fosse stato l’annuncio dell’Evangelo quale
liturgie,
ma
si preocculibertà dalla ignoranza e dalla superstizione.
parono
delle
persone e
All’interno di questo movimento si colloca
del loro futuro. Due
l’azione del pastore metodista inglese Henry
parole furono a guida di
James Piggott il quale nel 1863 opera nella
quella predicazione:
zona del Lago Maggiore.
la
la
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21
incontri
prigioniera delle sue prigioni
Federico Pommier Vincelli
In un momento in cui il tema
dell'amnistia torna al centro del dibattito
pubblico, “Come il vento”, di Marco Puccioni, dedicata alla storia vera di Armida Miserere interpretata da una eccellente Valeria Golino, offre una prospettiva nuova sul pianeta
carcere. Per una volta non sono i detenuti a
essere protagonisti, ma chi fa funzionare
questi luoghi, e in particolare una donna che,
quasi sempre sola in un mondo integralmente
maschile, ha diretto tra gli anni ottanta e duemila alcune tra le più importanti carceri italiane: Lodi, Opera, Pianosa, Ucciardone, Sulmona.
Una storia intensa, dura,
raccontata con rigore stilistico e
fedeltà alla cronaca, ed in cui la
dimensione pubblica (il giudice
Caselli, il mafioso Brusca) si intreccia drammaticamente con la vicenda privata di una personalità forte e
fragile allo stesso tempo. Il film
racconta in forma circolare la carriera di Armida nei vari penitenziari, attraversando 15 anni di storia
italiana in cui la criminalità organizzata attaccò frontalmente lo Stato, e
ruota attorno al suo legame sentimentale con Umberto Mormile,
l'operatore carcerario ucciso in un agguato
dalla 'Ndrangheta nel 1990 a Milano.
Da allora la vita della Miserere non
è stata più la stessa e il dolore per la perdita
dell'uomo con cui aveva sognato di costruirsi
un futuro normale, e con cui aveva anche
concepito un figlio mai nato, l'ha accompagnata sino al suicidio, avvenuto la sera del
Venerdì Santo del 2003. La sequenza finale è
di grande impatto emotivo e la meticolosa
preparazione dell'ultimo atto viene rappresen-
22
tata in parallelo alle immagini vere della processione del “Cristo morto” di Sulmona, in
una riuscita commistione tra finzione e cinema
del reale.
Eros e Thanatos avvolgono il film
dall'inizio alla fine, con lo sfondo carcerario
che fa da scenario costante al tormento della
protagonista, con gli amici che cercano invano
di lenire la sua sofferenza, con la delusione per
altre relazioni amorose fallite, con la dedizione
al lavoro e il senso del dovere che si scontrano
con un sistema che lascia Armida sempre più
sola. Emerge anche la complessità della concezione di carcere che aveva la Miserere: da
una parte democratica e orientata ai diritti del
detenuto (significativo il passo in cui fa allontanare dal carcere di Pianosa gli agenti che
picchiavano i carcerati); dall'altra severa e
inflessibile nel rispetto delle regole (“non sono
la direttrice del Jolly hotel...il detenuto deve
fare il suo mestiere”) e che le costarono continue minacce e intimidazioni, tanto che le fu
assegnata per lungo tempo una scorta.
Valeria Golino, che ha rinunciato ai
suoi occhi blu e ha messo delle lenti per interpretare Armida, offre
una prova di grande
intensità e credibilità
che le è valso anche il
premio come miglior
interprete italiano al
recentissimo Festival di
Roma. Dimostra qui la
sua piena maturità artistica ed è affiancata da
attori di spessore: l'istin-
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armida
tivo Filippo Timi, che impersona Umberto
Mormile, il misurato Francesco Scianna,
l'amico magistrato, e Chiara Caselli, la collega che raccoglie le sue confidenze. Belle e
adeguate anche le musiche del giapponese
Shigeru Umebayashi, già autore di colonne
sonore per grandi maestri del cinema asiatico come Zhang Yimou e Wong Kar-Wai.
Il regista Puccioni, che firma la
sceneggiatura insieme a Nicola Lusuardi e
Heidrun Schleef (coautrice de “La stanza
del figlio” e del “Caimano” di Nanni Moretti), ha scelto una chiave narrativa molto
precisa, incentrando il nucleo del film
sull'inquietudine di Armida e sulla
costante ambientazione carceraria.
Una coerenza scenica che si sofferma poco sulla sua vita fuori dal
carcere e forse toglie qualcosa alla
profondità della figura di Armida, al
suo saper essere anche solare e
ironica. La ricordano così molte
persone che l'hanno conosciuta a
Casacalenda, paese di cui era originaria e dove passava gran parte del
suo tempo libero. Un aspetto questo
che invece è approfondito nella
biografia scritta dalla giornalista
Cristina Zagaria (“Miserere. Vita e
morte di una servitrice dello Stato”).
Proprio al rapporto di Armida
con il Molise inoltre è dedicato un docucorto realizzato dallo stesso Marco Puccioni
e promosso da MoliseCinema, Molise Film
Commission e Regione Molise, in occasione della presentazione del film a Casacalenda lo scorso 16 aprile e che contiene le interviste a suoi cari amici molisani.
Nonostante alcuni limiti “Come il
vento”, terzo lungometraggio di Puccioni, è
un'opera che colpisce e commuove e che ha
il merito di riscoprire la figura di una donna
che ha dedicato la sua vita ai valori della
legalità e a un'istituzione come il carcere che
tutti tendono a rimuovere e che invece è un
luogo con cui la coscienza civile deve sempre confrontarsi. E dopo i titoli di coda appare forte la sensazione che fosse proprio Armida la principale prigioniera della sue prigioni.☺
[email protected]
incontri
miserere
Parma 5.4.84
Antonio carissimo,
è una giornata triste, forse solo perché piovosa, forse solo perché avrei voglia di parlare
con qualcuno. Mi sento un po’ sola, mentre
fino a ieri respiravo un’aria finissima, che
aveva i colori dell’entusiasmo e della libertà.
Fondamentalmente, tutto è rimasto invariato,
anche se oggi è stata una giornata “oscura”,
forse solo all’insegna del nervosismo. Ora va
meglio.
Alle 19 andrò in palestra e poi fuori a trovare
alcuni compagni di lavoro con i quali credo
valga la pena tentare di
costruire un rapporto.
Sono a casa ad ascoltare
Beethoven, e forse ti stai
chiedendo dove voglia
arrivare, forse solo a
parlare un po’ di me, di
ciò che sono, di ciò che
vivo, di come mi senta
“intera” eppure affettivamente demotivata,
distante da Casacalenda,
da Roma, da tutto quanto abbia a che fare con
il passato recente o remoto. Può darsi che io
mi stia barricando, può darsi mi stia difendendo da tutto quanto mi ha causato dolore. Ero
caduta in un pesante torpore: non solo ero
demotivata affettivamente, ma, molto più
tragico, non riuscivo a vedere oltre lo squallore che mi circondava. Ho riacquistato il coraggio di guardare avanti e intanto ho cercato
di dare senso al mio studio, al mio lavoro. Da
questo punto di vista sono soddisfatta, con un
entusiasmo che ormai credevo di aver perduto ho ripreso i contatti con l’università, con gli
studenti, con la scuola di specializzazione.
Sono stata ad un incontro a Bologna fra direttori e segretariato di Martinazzoli. Ho conosciuto gente nuova che mi ha dato della politica una visione umana, un quadro, all’interno
del quale muoversi, accettabile. Parma mi ha
dato molto, mi ha offerto innumerevoli spazi
e, per il momento, non intendo abbandonarla.
Io, nomade, irrequieta, sempre in cerca del
“centro”, sto dicendo a me stessa che ho
intenzione di fermarmi. Per ora, fermarmi a
Parma. E non è tutto. Il carcere è un mondo a
parte, ricco di attività fortemente sociali: può
la difficile scelta
essere una tomba per sepolti vivi, oppure può
vivere, palpitare, muoversi e rinnovarsi; dipende dal direttore dargli un’impronta vitale. Un
direttore titolare deve essere reperibile 24 ore
su 24, deve essere il direttore sempre. Per un
direttore uomo, stante certa cultura, è facile,
non si pone il problema della “casa”, degli
affetti; la moglie segue il marito, oppure svolge una attività che le consenta la vita privata.
Eterno problema. Un direttore donna sceglie di
essere un direttore oppure una donna. Essere
un direttore significa vivere obbligatoriamente
all’interno, essere presente in istituto sempre,
ritirarsi in casa a tarda sera o comparire di notte
per una ispezione.
Non sto esagerando Antonio e quanto ho scritto è
solo una minima parte di
ciò che già vivo. Alla fine
di luglio scadranno i 6
mesi di prova, ed il ministero deciderà della mia
vita, forse. Qualche giorno fa l’ispettore distrettuale è venuto ad ispezionare i nostri istituti. Ha
parlato un po’ con me.
(Tra l’altro già lo conoscevo, lo incontravo spesso a San Vittore). Mi
ha chiesto cosa intendessi fare, istintivamente
ho risposto “il direttore”. E lui mi ha detto che
avevo due possibilità: fare il vicedirettore a
vita, probabilmente frustrata dal punto di vista
professionale, realizzata dal punto di vista
umano. Oppure potevo essere un direttore,
certo rinunciando agli affetti più pregnanti
della mia vita privata. Ho concluso dicendo
che certo avrei scelto la titolarità di un istituto,
non avrei studiato tanto, non sarei un criminologo, non sarei stato tanto al lavoro. Comunque avrò tempo fino a luglio per risolvere i
miei eventuali conflitti.
Se di scelta si tratta oggi la sento distante, sento
il mio impegno, il mio coraggio, sono restia a
coinvolgere altri nei rischi della mia vita. Ho
molto lottato per arrivare dove sono arrivata.
Mi sento intera proprio perché posso continuare a studiare, a ricercare, ad essere cioè un
criminologo. Ed in questo entusiasmo per i
miei studi, le scoperte, i contributi tangibili alla
vita sociale, tutto quanto è accaduto e forse
ancora accade mi si manifesta estraneo, privo
di significato, mentre significativa è Casaca-
la
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lafonte
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lenda avulsa dalla sua gente, significativa la
mia casa in quel paese, e di entrambi provo
nostalgia e tenerezza. Sento che non mi
interessa trovare il “capo di quel filo”, sento
che non mi interessa chiarire, spiegare, giustificare. Il tutto è troppo diverso da me,
troppo lontano. È come se fossi troppo distante anche da …, è solo una sensazione,
ma è come se gli rimproverassi qualcosa,
ancora oscuro, forse sono io a non essere in
grado di amare e offrire. Sì, forse è così, il
mio amore è troppo intellettuale e vive benissimo nell’assenza, mentre l’amore è fatto
di offerte, di presenze, di quotidiano. Probabilmente ho terrore di essere “incastrata”,
imbavagliata, o forse è solo paura di perdere
ciò che amo così, in partenza rinuncio ad
amare, ad avere, offrirmi è sempre pericoloso, forse ho paura di soffrire ancora perché
sono stanca di soffrire, di essere delusa o
amareggiata. Mi sento intellettualmente
sola, spesso anche con … anche se non
riuscirò a dirglielo.
… mi ama molto, anche … mi amava molto e mi ama molto. Forse non ho saputo
amarlo come non riesco ad amare … Forse
è meglio che mi interrompa qui.
Il bianco del foglio è come se fosse colmo di
pensieri che certo intuisci senza necessità di
essere trascritti.
Ti abbraccio. A presto.
La decisione di rendere pubblica
questa lettera che risale al 1984 è
dovuta al fatto che può essere un
utile contributo per una più proficua e profonda comprensione del
film come il vento. Il dramma vissuto e raccontato della non semplice scelta tra lavoro e sentimenti
o del come interpretare il lavoro ci
restituiscono una Armida vera,
reale, che finirà per soccombere
nel tragico epilogo di quel venerdì
santo del 2003 quando pose la
mano su di se.
Antonio Di Lalla
23
pillole di lupo
speranza è natale
Z’ Vassilucc’e
La personificazione della speranza
veniva venerata nell’antichità classica come
una divinità e rappresentata in piedi, con un
bocciolo di fiore nella mano destra e la veste
sollevata sul fianco sinistro. Nella logica dei
"vagabondi della vita", sperando di non irretire la dea, appare ovvio che quella veste
sollevata sul fianco faceva, e faccia, sperare
nello sbocciare e donarsi del fiore nascosto
della dea. Nei luoghi comuni e nelle fantasie
più accese, difatti, il figlio possibile incarnava
la speranza di rigenerarsi.
Il termine speranza deriva dal latino exspectare (aspettare), composto di ex (da,
fuori) e spectare (guardare) che è un verbo
derivante probabilmente dal tardo latino sperantia. Il verbo spērare deriva da spes e significa sperare che si avveri qualcosa di positivo, aspettare, auspicare, augurarsi, confidare, contare ... sì, sognare, ovvero "tendere
verso qualcosa”. Il senso etimologico esteso
di speranza è ancora più significativo perché
vuol dire “abbracciarsi”, cioè contare sulle
intuizioni del proprio cuore. Quando una
persona esce dalla propria sicurezza (dal
proprio cuore) e tutto viene a crollare nella
propria vita, ecco che lì, allora, deve avere
speranza, cioè diventa necessario abbracciarsi e tornare dentro di sé per confidare ed aver
fiducia in sé stessi e che quella cosa di positivo verrà a sé. Forse per questo il simbolo
della speranza è l’ancora.
Leggendo tratti della biografia di
quel prete di Torino, Don Bosco (bollettino
salesiano-Settembre 2013 pagg.4 e 5), ho
scoperto che affermava "...ciò che sostiene la
pazienza deve essere la Speranza. Questa ci
sorregge, quando la pazienza vorrebbe mancarci". Ma pazienza, aggiungeva "...vuol dire
24
patire, tollerare, soffrire, farci violenza: se non
costasse fatica, non sarebbe più pazienza".
Pazienza è la necessaria calma, costanza, assiduità, applicazione senza sosta nel fare un'opera o una qualsiasi impresa e si coniuga in modo intrinseco con la Speranza che il proprio
patire ha in sé il seme del nuovo, del cambiamento certo "oltre ogni speranza", cioè, che il
tentativo, non indolore, si risolverà favorevolmente.
Le parole non fanno altro che cercare di descrivere dei processi puramente interni
che si esteriorizzano nella vita di tutti i giorni,
in interazione con gli altri umani e con tutte le
cose che stanno fuori di noi, e costituiscono la
nostra esperienza percettivo-esistenziale. Sebbene le parole tra una cultura e un’altra cambino contesti e, spesso, il significato, è importante decifrarne il senso reale-scientifico da quello
comune ascoltando "il percettivo"; altrimenti,
beh, altrimenti utilizziamo in modo improprio
il linguaggio e quindi non ci capiamo e non ci
ascoltiamo.
Le persone comprano di tutto. Altri
uccidono. Poteri e stati fanno altrettanto. Le
religioni e le fedi molto spesso sono funzionali
e speriamo che uomini, poteri, stati e fedi cambino. La scuola, nonostante una percentuale
ridottissima ormai, non educa, ma impone (la
logica fraintesa del mazze e panelle); in verità,
mi pare non faccia neanche più questo, ne dà
informazioni adeguate al momento storico. Un
collegio docenti è disattento e connivente con
la disfunzione, un consiglio comunale litiga sui
regolamenti, ... e speriamo che tali situazioni
cambino.
Beh, nella logica dei "vagabondi
della vita senza padroni e senza padrini", è
questo che uccide inesorabilmente la Speranza
la
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ovvero che qualcosa possa cambiare nella
mia vita e nel mio quotidiano aspettando
che altri la facciano cambiare! Terribile! e...
tutti i responsabili, compreso colui che
"spera", molto spesso ne sono pure inconsapevoli (colpa grave!) e non vengono mai
perseguiti; e ieri come oggi basta sacrificare
il Galileo di turno; e ieri come oggi ci saranno proseliti dei vari Galilei, ma si metteranno allo stesso tavolo del ricco epulone.
Allora? Non c'è più Speranza?
Ecco il crocevia! La Speranza non
è disperazione ed essa non può essere riposta in una aspettativa neutra, disattenta e
delegata, perché non sarebbe più tale. La
Speranza è la paziente convinzione che
verrà il tempo in cui l'arcobaleno si innalzerà
nei cieli per annunciare la fine della tempesta; ma se è vero che "madre natura" procede con leggi che spesso ci ricordano di non
deturparla, altrettanto vero è che in democrazia e nella nostra esistenza quotidiana,
noi possiamo e dobbiamo alimentare la
Speranza che i sogni si possano avverare,
ma senza delega e consapevoli che io posso
farcela si, ma non aspettando che gli altri
cambino e soprattutto mettendo in conto che
sarà necessario "patire... sperando" e
"sperando, patire nella ricerca e nell'attesa", consapevoli che molto spesso l'oggetto
di speranza lo ritroviamo talvolta dietro la
porta, sicuramente nel nostro cuore ...e forse,
per molti è una certezza, nella culla del Galileo nato a Betlemme! ☺
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mi abbono a
la fonte
perché se no
che natale è?
le nostre erbe
l’edera
Gildo Giannotti
L’edera (Hedera helix L.), della
famiglia delle Araliacee, è una liana rampicante, legnosa, diffusa nei luoghi ombrosi ed
umidi, particolarmente nel sottobosco, dove
ricopre abbondantemente i tronchi degli alberi. Spesso riveste muri e facciate di case e
ville, a cui si aggrappa tenacemente con le
sue radici avventizie. Ed è proprio da queste
piccole radici che ha origine il suo nome
scientifico, derivante dal termine latino adhaereo (= aderire, aggrapparsi), e dalla parola
greca helisso (= avvolgersi intorno ad elica, a
spirale). Va precisato che le piccole radichette
hanno esclusiva funzione di sostegno e non
traggono nessun nutrimento dalla pianta alla
quale si aggrappano; quindi, contrariamente a
quanto sostengono alcuni, l’edera non è una
pianta parassita.
L'edera è anche largamente coltivata dall’uomo, che ne ha selezionato moltissime varietà, le quali differiscono tra loro per la
forma, il colore - a volte variegato, più spesso un bel verde scuro -, e la dimensione delle
foglie. A tal proposito, si ricorda il fenomeno
dell’eterofillia: esso si verifica tutte le volte
che una pianta produce foglie di forme diverse ed è conosciuto anche come dimorfismo
fogliare. In particolare, sulla pianta dell’edera
possiamo trovare ben cinque forme di foglie
diverse l’una dall’altra.
Attenzione però ai frutti dell’edera,
quelle piccole bacche nerastre o giallognole,
particolarmente tossiche: la loro ingestione,
insieme a quella delle foglie, può provocare
disturbi di varia natura, in particolare a carico
dell’apparato grastrointestinale. Tuttavia le
foglie possono essere usate in fitocosmetica
nel trattamento della cellulite.
Fino a qualche decennio fa, c’era
l’usanza di appendere frasche di edera
sull’uscio delle cantine per segnalare la mescita del vino; ma in particolare a Bonefro, per
questo scopo, veniva usato anche un ramoscello di una qualsiasi altra pianta.
Narra una leggenda che l’edera
comparve subito dopo la nascita di Dioniso,
affinché fosse protetto dal fuoco che bruciava
il corpo della madre, dovuto ad un fulmine
lanciato da Zeus. Ma fin dalla
sua comparsa, essendo una
pianta rampicante che cresce
abbarbicandosi ai tronchi degli
alberi, l’edera ha ispirato soprattutto riferimenti all’amore e
all’amicizia, divenendo simbolo
di fedeltà e affetto perenne, oltre
che di longevità. Si racconta infatti di alcuni
esemplari vissuti 400 anni. Come il garofano,
la margherita, la quercia, l’ulivo, un tempo
simboli di partiti politici, così anche l’edera si è
ricavata un suo spazio, quale emblema del
Partito Repubblicano Italiano. I lettori un po’
più avanti negli anni ricorderanno poi la famosa canzone L’edera portata al successo da
Nilla Pizzi.
Con l’avvicinarsi del Natale si comincia a pensare
anche a come decorare la propria casa
per celebrare adeguatamente le festività. Da sempre, per
realizzare ghirlande
o centrotavola si
usano pungitopo,
agrifoglio e vischio.
Ma per preparare
delle piccole coroncine da appendere
sui muri o sulla por-
ta, oltre che rametti di rosmarino e di alloro,
si possono utilizzare, allo stesso modo, dei
rampicanti di edera. Questi, alla giusta temperatura dei nostri ambienti, hanno il pregio
di riuscire a durare più a lungo. La tradizionale ghirlanda, appesa alla porta di casa o
usata come centrotavola, è un bel modo per
dare il benvenuto e creare atmosfera natalizia. Costruire una piccola ghirlanda con
edera è molto semplice: basta arrotolare i
rametti tenendoli insieme con un nastro
bianco o colorato, oppure
con dei fiocchetti.
Questa consuetudine non è
recente: già nell’antica Roma
c’era l’usanza di scambiarsi
doni tra parenti e amici. Si
trattava, in genere, di semplici
rami di piante sempreverdi, considerati
portafortuna, colti nei boschi cari alla dea
Strenia. Da ciò il costume di definire
“strenne” i regali natalizi. Anche Charles
Dickens, nel suo noto romanzo Canto di
Natale, descrive una stanza addobbata da
ghirlande, fasci di agrifogli e altre piante
tipiche del Natale, fra le quali compare l'edera. ☺
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Via Marconi, 62/64
CAMPOBASSO
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natale
la sovversiva di nazareth
In una casa
della piccola città di
Giuda, io, ragazza
madre, un giorno intonai un vibrante inno di
riscossa; non portavo
cartelli appesi al collo,
non alzavo minacciosi
pugni al cielo, né ero
portabandiera di ideologie sovvertitrici, ma
le strofe che sgorgarono dal mio cuore cantavano
liberazioni
profonde e annunciavano che i potenti sarebbero stati rovesciati dai troni e sarebbero stati innalzati
gli umili, mentre i ricchi sarebbero stati privati dei loro beni.
Il figlio che mi nacque si rivelò del mio stesso stampo; rivoluzionario senza armi, conquistò il mondo; a lui si accodò gente della peggiore risma: gabellieri, prostitute, lebbrosi, indemoniati, risuscitati…
Gli fui sempre accanto, anche quando venne condannato quale bestemmiatore e destabilizzatore dell’ordine costituito. Inchiodato in croce come un malfattore, quando tutti si diedero alla
fuga, seppure il cuore mi scorreva in mille rivoli, stetti in piedi sotto il patibolo, impavida e resistente a fissare il dolore senza distoglierne lo sguardo …
Fra poco è Natale e ancora una volta l’immaginario collettivo, ricollocandomi in una
Betlemme di cartone, farà di me una mammina dolce e bionda, vestita di rosa e di azzurro, con il
capo reclinato in posizione di sudditanza, mentre io, Maria, ero la donna forte, una donna non
neutrale ma di parte, come il Dio biblico; schierata senza ambiguità dalla parte dei senza diritti e
dei senza voce, di tutti coloro, insomma, che non contano niente agli occhi della storia, contro chi
mantiene situazioni di ingiustizia, di sfruttamento e di profitto perpetuando indigenza, discriminazione ed esclusione…
Sono passati duemila anni e più da quella mia salmodia di fuoco ma io aspetto ancora
che la profezia diventi realtà: che gli oppressi siano liberati, che nuove siano le sorti dei poveri e
che mai alcuno confidi più nei potenti. ☺
Carolina Mastrangelo
[email protected]
le scarpelle di natale
Lunghe, soffici, dorate
sono le scarpelle di Natale,
pasta di pane lievitata e fritta.
Antica tradizione di paese,
si trovano al forno, al supermercato,
si consumano come pizza e panini.
26
Ma una volta avevano
un valore aggiunto.
Si facevano in casa ed era un rito.
Iniziava col trambusto dell’impasto,
si aspettava che il pane lievitasse.
Poi sul fuoco una gran padella
e la pasta tirata ad elastico
era immersa nell’olio bollente.
Rigonfie, fumanti
nascevano friggendo le scarpelle.
I bimbi intorno saltellavano lieti.
Al tavolo i parenti le gustavano
con un bicchiere di vino novello.
Un vociar allegro ed era festa.
La famiglia unita e solidale.
Sul buffet un presepino
di muschio e cartapesta.
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Immaginiamo la fraternità come
un cantiere aperto in cui ogni uomo è convocato. Un cantiere per adulti responsabili,
la cui definizione la assumiamo da Maslow:
“colui che risponde di sé, risponde degli
altri, risponde del mondo”, mentre risaliamo, in breve, alle radici della cultura cristiana.
Risponde di sé
Il racconto evangelico del samaritano (Lc. 10,25) ci mette davanti a risposte
diverse. La responsabilità o prossimità positiva non è definita dalla logica dell’affinità o
dell’appartenenza (religiosa, nazionale,
ideale, ecc.) che avvolge l’altro, bensì dallo
stato di bisogno in cui egli versa. Il paradigma dell’essere umano, nella sua realtà costitutiva e profonda, sta nell’essere di bisogno
che grida e attende aiuto. Prima che dotato
di valore e di poteri, al di là delle apparenze,
l’uomo si rivela come essere inerme e bisognoso: il bimbo appena nato è attesa ed
invocazione di protezione e di tenerezza, é il
rappresentante dell’alterità nuda e radicale,
paradigma del volto che si sottrae al dominio dell’io paralizzandone i poteri e giudicandolo. La parabola custodisce un senso
abissale: dal silenzio del corpo di quel malcapitato di cui non si conosce il nome, si
innalza una voce che, interrompe il cammino dei passanti e li convoca ad una responsabilità indeclinabile: rispondere positivamente a quel grido, assumendolo nella compassione, oppure negarvisi restando avvinghiati al proprio io. Di qui la parabola dischiude al significato ultimo e sconvolgente,
soprattutto per coloro che si professano
credenti: il luogo dove Dio mi parla e mi
incontra, convocandomi alla responsabilità,
giudicandomi, è l’altro nel suo essere di
bisogno, l’alterità nella irriducibilità al desiOggi i tempi sono cambiati.
Altri gusti, altri svaghi.
Ma nelle fredde sere di dicembre
una scarpella ben calda
ristora mette buonumore.
E quel sapore di pane antico
sa di ricordi familiari e cari.
Quei volti gioiosi
nell’attesa del Natale
hanno la speranza
della buona Stella,
lo sguardo fidente
dei pastori di Betlemme.
Lina D’Incecco
etica
il cantiere della fraternità
Silvio Malic
derio dell’io e dei suoi progetti. Dov’è Dio?
Dove incontrarlo? “Non sta tra i conoscitori
della sua identità, non sta nelle istituzioni che
lo rappresentano, é là dove nessuno se lo
aspetta: chi non è niente lo ospita e lo designa... il nuovo testamento ha dislocato Dio
trasferendo il suo habitat dal tempio al corpo
di Gesù” (Midrash Rabbà). L’etica della
responsabilità è innanzitutto l’etica della
compassione. “Dobbiamo imparare a valutare gli uomini più per quello che soffrono che
per quello che fanno o non fanno … Dio non
ha disprezzato gli uomini, ma si è fatto uomo
per amor loro” … Far diventare eloquente
la sofferenza è condizione di ogni morale
universale; comincia forse qui la crisi radicale della morale europea ed occidentale. Se il
nostro mondo sarà un paesaggio multiculturale in fiamme o fiorente, se l’Europa sarà
un paesaggio di pace o lo scenario di una
escalation di guerre civili, dipende dal successo di una tale morale della sofferenza” (D.
Bonhoeffer, Resistenza e Resa).
Risponde degli altri
Farsi carico dell’inimicizia senza
mai perdere lo sguardo sulla persona. Scriveva E. Hillesum: “La massa è un terribile
mostro, i singoli individui fanno compassione. Ma ho dovuto costatare in me stessa che
non esiste alcun nesso causale fra il comportamento delle persone e l’amore che si prova
per loro. Questo amore del prossimo è come
l’ardore elementare che alimenta la vita”.
Essere responsabili dell’inimicizia dell’altro,
assumendola e rispondendo ad essa non con
il male ma con il bene (Rm, 12,20) è
l’apparizione ultima e radicale della bontà
come gratuità, come asimmetria, come messa
in disparte della priorità dell’io e come priorità dell’altro. Dove l’io compie l’impensabile
esodo dal suo io all’altro e, fuori dalla logica
dell’essere, la logica dell’automantenimento e
dell’autopersistenza, entra nell’altrimenti che
essere: la logica della grazia e del disinteressamento. La bontà è il vero futuro che si apre
all’uomo, l’avvenire degno di questo nome e
portatore di novità. Per il Nuovo Testamento
il perdono è il principio di ricostruzione del
mondo, perché potenza capace d’infrangere
la logica della violenza che irretisce la storia
umana e delle relazioni umane. La giustizia e
l’agire secondo l’orizzonte del “è giusto” non
solo non si oppone all’amore ma ne è la vera
instaurazione: la giustizia è l’amore che raggiunge l’altro; è la messa in opera di leggi e
istituzioni adeguate nelle quali si oggettiva il
principio bontà o misericordia senza cui
l’umano precipita nel caos. Nella propria libertà si inscrive l’ethos della bontà, che, quale
evento della soggettività responsabile, ha bisogno delle pietre dell’oggettività - istituzioni e
leggi - in cui incidersi, conservarsi e tramandarsi. Nelle ore buie della storia solo istituzioni
giuste, salde e democratiche possono arginare
la barbarie che minaccia l’umanità e risvegliare le coscienze alla loro responsabilità indeclinabile.
Risponde del mondo
Il mondo, per la Bibbia, non è ostacolo per l’uomo, né è solo una tappa, né tentazione; semplicemente è l’oggettivarsi dell’
amore creatore che da Dio proviene all’uomo
e dall’uomo giunge all’altro uomo. Non viene
nascosto il negativo che sconquassa il mondo
ma é addebitato alla mancata responsabilità
dell’uomo. A differenza della grecità che lo ha
celebrato come cosmos, pienezza di armonia e
di forma, la Bibbia lo ritiene in-compiuto, dove
il caos ancora attende di essere debellato. Responsabilità è compiere l’in-compiuto del
mondo, immettendovi l’amore di Dio che è
“comandamento”. Redimere il mondo facendolo passare da parola fermata (Sartre) a parola dotata di senso, portare al termine la creazione che, per Paolo, nelle doglie del parto
attende ancora di venire pienamente
alla luce. La creazione più che ordinazione del caos è apparizione di un nuovo ordine: l’ordine del bene su tre livelli.
Il primo è definito dal bisogno umano. Il mondo è adeguato al
bisogno umano; non è deserto, spazio
vuoto o res extensa dove l’unico senso
é quello che l’uomo vi iscrive con la
sua progettualità, come vuole la modernità, bensì è oikòs cioè casa.
L’esperienza biblica del mondo è quella dell’accasamento o terra dei padri,
metafore dello spazio riconciliato tra
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l’uomo bisognoso e il mondo capace di
rispondervi.
Il secondo livello di bontà è definito dal mondo in se stesso. Come l’albero è
buono non perché serve all’uomo ma in se
stesso. La bontà è sinonimo di bellezza;
l’agathos (buono) è kalòs (bello).
Il terzo livello di bontà, unico
della bibbia, è definito non dal rapporto al
bisogno umano (utile) né dal mondo in
rapporto alla sua forma (bello) bensì in rapporto a Dio che lo fa essere chiamandolo
dall’inesistenza all’esistenza: buono perché
proveniente da una bene-volenza. La terra è
di Dio, modello che oltrepassa il mito della
terra madre (causa dei nazionalismi) e quello della conquista (causa delle guerre); poiché di Dio l’uomo può risiedervi come forestiero e come pellegrino. In qualsiasi momento bisogna essere pronti a mettersi in
cammino (nomadismo): distacco come
antidoto al possesso. Il rapporto con il mondo non si istituisce nella linea dell’ appropriazione e del possesso ma su quella
dell’ospitalità e dell’accoglienza. Lo spirito
che esprime questa relazione al dono gratuito è la bene-dizione. Essa ritrascrive la logica dell’eden dove tutto è per l’uomo purché
tutto resti di Dio. Risposta originaria al dono
é la ri-conoscenza nel duplice significato di
una nuova conoscenza e di gratitudine o
ringraziamento. Ri-conoscere il mondo,
accedendo ad una nuova conoscenza, come
mistero e come adorazione, dove l’io porta
la mano alla bocca per tacere e cedere il
posto all’ascolto e al silenzio. La trascendenza dell’uomo sulla natura non è quella di chi
allunga le mani sul mondo dicendo “è mio”
ma quella di chi, stupito, se lo vede porgere
da un’altra mano e vi legge: “è per te”. ☺
27
sisma
gli allegri bricconi
Domenico D’Adamo
“Il merito va a tutto il Molise”:
questo, il presidente Frattura il giorno
13/11/2013, in occasione dell’approvazione
di un emendamento predisposto da tutta la
delegazione parlamentare molisana e presentato in commissione dal solo senatore Ruta,
all’interno della manovrina di fine anno (la
solita solfa di cui si parla da tempo, un provvedimento che autorizzerebbe, il condizionale è d’obbligo, la regione Molise a spendere
15 milioni di euro per i lavori di ricostruzione
post-sisma, in deroga al patto di stabilità).
Prima dell’estate, la stessa compagnia di
allegri bricconi, si era spericolatamente attribuito il merito di una analoga iniziativa ed
anche in quella occasione il governatore si
era sperticato in riconoscimenti lusinghieri,
non solo per l’impegno profuso e la competenza dimostrata dalla delegazione parlamentare di centro-sinistra ma, e soprattutto, per
l’azione sinergica messa in campo da questi
ultimi e la sottosegretaria molisana di centrodestra. Solo dopo due mesi si scoprì che gli
splendidi, miracolo delle larghe intese, avevano inserito nella legge sulle emergenze una
“cosa per un’altra”. Ad essere onesti non fu il
caldo estivo a fregarli e neanche la fretta.
Questi signori, negli anni successivi al sisma,
del problema della ricostruzione non se ne
sono mai occupati. Naturalmente, a seguito
della “formidabile azione sinergica”, le casse
della regione non videro il becco di un quattrino.
Sono grato al governatore per avermi attribuito, insieme a tutti i molisani, il
merito di questa brillante operazione, ma
devo confessare che io non c’ero e non vorrei
appropriarmi di meriti che non ho, così come
non vorrei ritrovarmi nella merda come è
successo a loro l’estate scorsa. Sarò irriconoscente ma, come per la precedente, anche
questa volta il merito va solo a Ruta, Leva e
Venittelli, i quali, oltre a questa replica, per
non farsi mancare proprio nulla, hanno assunto l’impegno a tirare fuori, non dalle loro
tasche ma dal patto di stabilità, gli altri 331
milioni di euro, giusti quelli della delibera
CIPE del 2011 che hanno consentito a Iorio
di vincere le elezioni regionali poi annullate.
La sottosegretaria larinese, per non essere da
28
meno, si è invece impegnata a ritrovare anche i
soldi della Termoli-San Vittore, quelli della
stessa delibera andati poi agli amici campani,
ma, siccome a tutt’oggi di denari non se ne
sono visti, è probabile che si sia persa nei pressi di Telese, insieme al ministro Lupi con il
quale si era impegnata a ritrovarli. Non vorremmo sembrare pedanti ma è il caso di precisare che se il parlamento prima della fine
dell’anno farà propria la proposta di Ruta e
compagni, checché ne pensino loro, quei soldi
basteranno appena a pagare una parte dei lavori già fatti e nulla resterà né per riavviare la
ricostruzione né per mantenere in piedi la
mastodontica struttura tecnico-amministrativa.
È proprio vero che gli scanzonati
parlamentari indigeni, quando non la sentono,
la puzza, stanno male e sono capaci di ingoiare
tonnellate di lassativi pur di sentirsi a casa. Il
Senatore Ruta, infatti, sogna di ospitare 12
mila vacche nel feudo dell’assessore all’ agricoltura per trascorrere insieme a loro e al consigliere Totaro le vacanze natalizie, Iene permettendo: parlano di deiezioni, loro, mica di
merda e sono convinti che senza di quella il
Molise non ha futuro. Hanno perso il lume
della ragione per via delle manzette e non si
accorgono che dietro a loro non c’è più nessuno. La puzza, perché c’è anche chi la combatte, li ha fatti scappare tutti: le organizzazioni
sindacali non le vogliono perché il progetto
Granmanze non trova alcun riscontro e sviluppo in regione e non è quindi in linea con la
programmazione regionale; gli
imprenditori agricoli perché da quel
progetto non ne traggono alcun
vantaggio in quanto il 70% dei
prodotti che alimenteranno gli animali saranno forniti da altre regioni;
i cittadini comuni perché preoccupati dall’enorme impatto ambientale che le manze così concentrate in
un solo posto produrranno; e loro
cosa fanno? Vanno in pellegrinaggio in una località della Spagna per
aver informazioni su quanto puzza
la merda di vacche.
Per fortuna i dubbi ce li
ha fugati tutti la Granarolo che, per
bocca del suo presidente, ha spiega-
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to che chi vivrà nelle vicinanze
dell’impianto non deve temere olezzo alcuno in quanto Eolo ha promesso che sposterà
altrove la puzza. II manager ci ha anche
spiegato che quella parte del progetto che
prevede la presa in pensione e cura, fino a
due mesi prima dal parto, delle 12 mila
manze, non è stata realizzata in Emilia, in
quanto lì c’è la nebbia. Che questo signore
abbia visto il simpatico film di Zalone è un
bene, specialmente se non è abituato a ridere. Non vogliamo commentare le amenità
espresse sullo studio dei venti che portano la
puzza altrove, ma siamo a conoscenza che
la regione Emilia Romagna stanzia fondi
regionali ed europei per bonificare l’ ambiente e non per inquinarlo, figuriamoci se
avrebbe finanziato un progetto che prevede
la produzione di 60 mila tonnellate di merda
all’anno, oltre alle migliaia di ettolitri di
piscio ancora più inquinanti del letame.
Intanto, i tecnici della Regione Molise, hanno espresso, anche se con con una serie
rilevante di criticità, parere favorevole su di
un progetto che “promette una cosa e ne fa
un’altra”. Pensare che il progetto nasce
dall’idea di migliorare la qualità della filiera
del latte, ma in Molise non se ne produrrà
neanche un litro. Con questa iniziativa imprenditoriale i vantaggi andranno alle aziende emiliane, pugliesi e lucane che produrranno latte di qualità, e il Molise? Curerà la
filiera del letame, in linea con quanto previsto dall’art. 3 parag. 2.2 dal PRS 2007/2013
per la collina interna regionale. A proposito,
ma l’agro di San Martino in Pensilis si estende verso il mare o sulla collina interna?
Meditate gente, meditate!! ☺
[email protected]