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la fonte DICEMBRE 2013 ANNO 10 N 11 periodico dei terremotati o di resistenza umana € 1,00 Quando avrete abbattuto l'ultimo albero, quando avrete pescato l'ultimo pesce, quando avrete inquinato l'ultimo fiume, allora vi accorgerete che non si può mangiare il denaro. Toro Seduto lotta e contemplazione la tenerezza Rosalba Manes “Entrando nel mondo, Cristo dice: Non hai voluto atti eroici, di un corpo mi hai dotato” (cf. Eb 10,5). Il mistero dell’Incarnazione ci ricorda com’è diverso l’agire divino da quello umano. Dio chiede il permesso (vedi all’Annunciazione con Maria), l’uomo no. Arriva Natale che dovrebbe essere la festa del corpo e del ripristino della grande dignità della donna, chiamata a “concreare” con Dio, e invece siamo di nuovo alle prese con episodi di violenza contro le donne e di prostituzione femminile minorile. Si invoca la legge contro il femminicidio o si intercettano le chiamate di clienti o madri scellerate. Si dice: “Chi ha commesso questo reato merita il carcere”. Tutti si indignano, sbraitano e invocano la giustizia. Ma è davvero questo il punto? Basta pensare in termini di conseguenze o anche e soprattutto in termini di cause? Puoi tenere qualcuno in prigione per una vita, ma forse quando lo metti in libertà sarà peggiore di prima. Nel Primo Testamento, Dio non fa giustizia citando l’uomo in tribunale, ma “a colpi di parole” di denuncia; non con l’intento di ridurlo al silenzio, ma di suggerirgli di cambiare il cuore. Non è il carcere che ti cambia, ma la tua volontà. La cultura attuale presenta il sesso come un gioco e spesso mercifica il corpo. Ma cos’è un corpo? Non è “cosa”, non è “merce”, non è “giocattolo” e non vale quanto un cellulare. Il corpo è tempio, è inestimabile, è se tu lo violi, tu distruggi il sacro che porta. Ecco l’antiNatale! Inoltre l’unione sessuale è sacra, è espressione di un’intimità che si tesse reciprocamente nella fiducia e nell’amore, è incontro dello spirito di un essere umano con un altro. Insegniamolo ai nostri giovani, creati non per “viver come bruti”, ma come un prodigio. Insegniamo che la brutalità è il fallimento della vita e che il successo di una vita riuscita ha un solo nome: tenerezza. Il Bambino che ci tende le braccia per strapparci dal fango ci insegni a non aver paura della tenerezza ma a sceglierla come atmosfera dei nostri rapporti. ☺ [email protected] Carla Llobeta: solo quando l’amore il governo ti frega - tu fregalo sostieni la rivista facendo buon uso del conto corrente allegato Il tuo sostegno ci consente di esistere la fonte ABBONAMENTI PER IL 2014 ITALIA SOSTENITORI AUTOLESIONISTI € 10,00 € 20,00 € 30,00 2 la la fonte dicembre febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fontegennaio marzo 2005 la fonte Direttore responsabile Antonio Di Lalla Tel/fax 0874732749 Redazione Dario Carlone Domenico D’Adamo Annamaria Mastropietro Maria Grazia Paduano Segreteria Marialucia Carlone Web master Pino Di Lalla www.lafonte2004.it E-mail [email protected] Quaderno n. 101 87 Chiuso in tipografia il 26/08/12 24/11/13 Stampato da Grafiche Sales s.r.l. via S. Marco zona cip. 71016 S. Severo (FG) Autorizzazione Tribunale di Larino n. 6/2004 Abbonamento Ordinario € 10,00 Sostenitore € 20,00 Autolesionista € 30,00 Estero € 40,00 ccp n. 4487558 intestato a: la fonte molise via Fiorentini, 10 86040 Ripabottoni (CB) questioni immorali Antonio Di Lalla Una cara amica, attenta lettrice, ci chiede giustamente di radicalizzare la lotta andando alla radice di tutti i problemi, anziché perderci in tante pur utili scaramucce: la questione morale, perché finché le persone sono truffaldine ogni altra battaglia è donchisciottesca. Sarebbe come ostinarsi a prescrivere di mettersi la mascherina in un ambiente insalubre o drammaticamente tossico. Francamente è quello che vorremmo e che ci siamo prefissati. Siamo pronti a suonare la carica dei 101, quanti sono i quaderni offerti finora ai lettori, a farci torcia umana come Jan Palach nel vano tentativo di fermare l’invasione dell’allora Cecoslovacchia da parte dell’Unione Sovietica nel gennaio del 1969, a porci come il rivoltoso sconosciuto davanti ai carri armati cinesi sulla piazza Tienanmen di Pechino nel giugno del 1989. La nostra incidenza purtroppo non va oltre i manzoniani 25 lettori e non riusciamo a scalfire il granitico sistema di potere che spesso ci dà da bere cose ben diverse dalla verità dell’etichetta. Chi avrebbe sospettato che l’insospettabile ministro Cancellieri fosse espressione di potenti imprenditori, non proprio stinchi di santo, come i Ligresti o che il governatore e capopartito Vendola, sempre per amore degli operai, naturalmente, fosse così attento agli umori della famigerata famiglia dei Riva? Ma ne siamo venuti a conoscenza per un cortocircuito o perché i poteri forti avevano deciso di darli in pasto all’opinione pubblica? Qualche giorno fa il Letta nipote, quello per intenderci che si vanta di avere palle d’acciaio, ci ha rassicurato che gli americani gli hanno garantito che non ci spiano; ammesso che sia vero ha omesso di precisare che non è per l’efficienza dei nostri sistemi, ma perché non gliene frega niente a nessuno di quello che facciamo, vista la levatura della classe politica. Siamo ridotti proprio male! Come possiamo riappassionare alla questione morale? Il virus del berlusconismo ha infettato talmente tutti o quasi che non si nota uno scatto di orgoglio non dico nei politici, che essendo nominati rispondono ai padroni, ma sono caduti in letargo anche la cosiddetta società civile, i giovani, gli indignados. Se scuoti l’albero cadono i frutti, se scuoti l’Italia al massimo compare lo zoo di Berlusconi: falchi, colombe, pitonesse, falchetti, dudù oltre alle minorenni. Questa classe politica, con decenza parlando, ha deciso di mettere mano alla Costituzione e ormai è in dirittura d’arrivo. Fermiamoli, mettiamoci di traverso, scendiamo in piazza. Prima che sia troppo tardi. La cosa più impegnativa che hanno prodotto in questi anni e che dicono falsamente di voler cambiare è la legge elettorale e l’hanno chiamata porcellum. Prima che la Costituzione diventi scrofellum mandiamoli a casa. Finalmente, bontà loro, sono state desecretate le rivelazioni del boss Schiavone, fatte in parlamento nel 1997, sull’ inquinamento delle terre della Campania e pare del Molise. Le scorie che le ecomafie hanno provveduto a seppellire sotto terra sono all’origine di danni irreversibili alla madre terra, di cui siamo custodi non padroni, e ancora di più sono aumentati in modo esponenziale i tumori che hanno decimato le famiglie la cui colpa è di coltivare o abitare quelle aree. Sarò ingenuo, ma come è possibile che sia potuta rimanere segreta per 16 anni questa notizia che ha prodotto 16 anni di ritardi nella bonifica dei terreni, 16 anni di morti ammazzati dalle malattie e dalla polvere che ha ricoperto il fascicolo contenente una simile bomba? Se Schiavone avesse detto che le ecomafie avevano messo dell’esplosivo sotto il parlamento, la rivelazione sarebbe rimasta segreta 16 anni? Possibile che si muova qualcosa solo se è in gioco la salvaguardia dei loro culi? Naturalmente la la fonte dicembre febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fontegennaio marzo 2005 nessuno è responsabile per questi 16 anni di silenzio! Come potrebbero esserci colpevoli se per troppa gente il colpevole acclarato Berlusconi, già cavaliere, ma mai disarcionato, è vittima unicamente di persecuzione giudiziaria? Personalmente ritengo che andrebbe perseguito per un unico reato: circonvenzione di incapaci, includendovi tesserati, votanti, e simpatizzanti. Per quelli che sono in grado di offendersi dovrebbe scattare il reato di correità. Vogliamo riaffermare la questione morale, ma come è possibile anche solo parlarne con il consiglio regionale che ci ritroviamo? Non è per la figura fatta con le Iene, ma per il candore innocenziale manifestato mentre si guardavano le mani sporche di 2451 euro di marmellata e la decisone tardiva di rinunciare. E il governatore, anziché squagliarsi ed espatriare, ci mette pure la faccia e va in televisione a far ridere i pochi ancora ignari! E questo perché arrangiavano per loro. Ma qualche giorno addietro hanno finanziato con 450 mila euro i loro ex colleghi, già amici di merenda, non più rieletti. Per carità. Dicono che hanno dato copertura ad una legge preesistente. A parte che le leggi inique vanno abrogate, ma è legge regionale anche quella che dà pochi spiccioli per energia elettrica e gas ai terremotati ancora nelle indecenti baracche a undici anni dal terremoto e guarda caso non si trova copertura finanziaria. Proprio un bel consiglio regionale. Mentre loro cantano con de André: “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior…” la Granarolo con le sue 12 mila vacche vorrebbe venire a ricoprirci di merda! Un appuntamento per rilanciare la questione morale e denunciare le questioni immorali potrebbe essere la marcia della pace per le strade di Campobasso la notte del 31 dicembre, sempre che non se ne impossessino i soliti altisonanti figuri che per pavoneggiarsi apriranno la coda a raggiera finendo per scoprire la loro parte più nobile! ☺ 20 3 spiritualità la strage degli innocenti Michele Tartaglia Quando l’evangelista Matteo ha scritto la storia della nascita di Gesù, ha voluto dare un messaggio chiaro alla comunità: quel Gesù ora riconosciuto come Signore e Dio ha vissuto tutta una vita da esule e perseguitato, per ricordare ai cristiani che non potevano desiderare una vita tranquilla, se volevano veramente essere discepoli di Gesù. Per far capire questo ha usato due modalità: da un lato il ricorso alla Scrittura, dall’altro lo sguardo al tempo di Gesù, dove non mancavano situazioni in cui il potere opprimeva i deboli, considerandoli semplicemente oggetti. L’annuncio della morte di Gesù per tutti, afferma invece il valore assoluto di ciascuno ed è per questo che il cristiano deve impegnarsi nella storia, se è vero che alla fine saremo giudicati per quello che abbiamo o non abbiamo fatto per i più piccoli (Mt 25). L’evangelista non racconta il modo in cui è avvenuta la nascita di Gesù, ma dice invece che subito il potere, incarnato da Erode, si è opposto alla sua presenza, ha cercato di eliminarlo perché ostacolo all’affermazione del proprio dominio sugli altri ridotti a materiale di scarto. In realtà il personaggio storico di Erode forse non si è neppure accorto della nascita di Gesù; l’evangelista, tuttavia, usò questo personaggio perché sapeva bene chi era Erode, che uccideva per futili motivi, commetteva stragi e metteva a morte anche i suoi figli, quando li riteneva un pericolo. Nella descrizione della fuga in Egitto di Gesù e della strage dei bambini di Betlemme (Mt 2,13-18), venivano descritti i due effetti del potere dispotico: l’esilio di chi è costretto a fuggire di fronte alla violenza gratuita e la morte di chi non vuole o non 4 riesce a fuggire. La figura di Erode diventa emblematica ancora di più se si pensa che il vangelo è stato scritto quasi un secolo dopo la morte di quel re che è diventato il simbolo di ogni potere che si afferma con la violenza. Nel descrivere la vita di Gesù che inizia in modo drammatico, l’evangelista non dice solo la solidarietà del Figlio di Dio con l’umanità sofferente, ma anche che ogni persona, uomo donna o bambino che vive e muore in modo così tragico è l’immagine di quel Gesù che proprio alla fine del vangelo dirà: ogni volta che avete fatto qualcosa a uno di questi fratelli più piccoli, l’avete fatto a me (25,40). Aver preso un re morto da tempo come esempio di un potere che uccide l’uomo, ha permesso a Matteo di rendere universale quel messaggio per ogni tempo, in cui queste situazioni si ripetono. Quando leggiamo la storia di Gesù a Natale, non pensiamo semplicemente a una storia lontana, ma al fatto che quella storia è sempre presente perché anche oggi ci sono gli Erode che uccidono per conservare il potere e ci sono innocenti che muoiono nell’indifferenza o peggio, anche con il contributo delle istituzioni “sane”: Erode riesce a sapere del luogo di nascita di Gesù perché ci sono intorno a lui gli studiosi della Scrittura che gli indicano Betlemme, profetizzata nell’Antico Testamento come città del Messia; come a dire che i dittatori non sono mai soli nella loro lucida follia, ma sono sostenuti da tanti altri che giustificano o partecipano al sistema. La tradizione e gli studiosi ci dicono che il vangelo di Matteo è stato scritto in Siria e per una comunità della Siria. Non sarebbe temerario pensare che se dovesse scrivere oggi, l’evangelista troverebbe nella Siria attuale tutti gli elementi per darci il suo messaggio. Ma oggi dovrebbe aggiungere, al di là della strage di tanti innocenti in Siria, a causa delle armi chimiche e di quelle “convenzionali”, anche qualche episodio riguardante i pericoli la la fonte dicembre febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fontegennaio marzo 2005 della fuga della famiglia di Gesù che forse non sarebbe giunta neppure a destinazione, ma sarebbe affondata nel mare della nostra indifferenza. Per aggiornare il vangelo io aggiungerei la cronaca dell’ennesimo naufragio (11 ottobre 2013; per la cronaca si può vedere l’Espresso del 14 novembre) di cui non si è parlato a sufficienza, naufragio in cui sono morte 268 persone provenienti dalla Siria e tra di esse almeno 60 bambini. La cosa più drammatica è che i profughi hanno chiamato l’Italia ma chi ha risposto ha detto che avrebbero dovuto chiamare Malta, perché l’affondamento stava avvenendo in quelle acque. Dopo molte ore e molte chiamate disperate dal barcone, gli italiani si sono decisi a intervenire amplificando in questo modo i numeri della strage. Se la sacra Famiglia è giunta in Egitto è perché non ha trovato predoni lungo la strada, non ha trovato eserciti pronti a respingere alle frontiere, non ha trovato persone che si sono voltate dall’altra parte mentre la sete del deserto assaliva i poveri profughi. Quando leggiamo i bei racconti della nascita di Gesù e sentiamo di personaggi esotici che si opponevano alla sua presenza, anziché pensare al lupo delle favole, pensiamo ai dittatori di oggi ma anche ai tanti governi perbenisti che hanno foraggiato quei dittatori e che si permettono di piangere i morti che arrivano sulle spiagge mentre contribuiscono a perpetuare la strage degli innocenti. ☺ [email protected] grazie - a Paolo De Stefanis (Vasto) che ha fatto dono dell’abbonamento a la fonte a dieci suoi amici; - a Severino Legnini (Lucerna) che per festeggiare con noi il n. 99 de la fonte ci ha consegnato 99 euro e 99 centesimi; - a tutti voi che avete già rinnovato l’abbonamento a la fonte o lo rinnoverete perché siete la nostra unica fonte! - a tutti quelli che faranno dono dell’abbonamento a la fonte agli amici e magari anche ai nemici! glossario anomala normalità Dario Carlone presi in considerazione si confrontano per avere validità con quelli standard, quelli unanimemente riconosciuti quali “normali” e quindi accettabili. Standard: il termine ci proietta verso una riflessione sulla situazione sempre meno rosea in cui versa la nostra società nazionale (e regionale). Stando a quanto ci viene riferito da esperti di studi sociali, ad esempio, quella fascia di popolazione definita vulnerabile, quella cioè che risente maggiormente dei contraccolpi della crisi economica (perdita del posto di lavoro, impossibilità a trovare occupazione, problemi finanziari) si sta estendendo, come pure quella che comprende le fasce sociali da sempre più deboli (anziani, disabili, immigrati) che soffrono oltre che di mancanza di beni anche di mancanza di significato delle relazioni. La condizione di molti abitanti del nostro paese è definita seriamente impoverita: il tenore di vita che anni addietro poteva definirsi standard è sceso molto al di sotto di tale livello; si parla di nuovi poveri “in relazione alle condizioni di vita - reddito, possibilità di accedere ai consumi” - e di nuove povertà “che riguardano dimensioni non materiali dell’esistenza, quali l’accesso alla formazione e la possibilità di scegliere l’occupazione più confacente alle proprie competenze e di nego- ziarne le condizioni senza dover invece accettare qualsiasi lavoro, anche squalificante, e a qualsiasi condizione” (Chiara Saraceno). Fino a qualche decennio fa studiosi del settore quali Peter Townsend, a proposito della società britannica, sostenevano che una persona è povera “quando le sue risorse sono così al di sotto di quelle disponibili alla media degli individui o delle famiglie da escluderla di fatto dai modi di vita, abitudini e attività comuni” (1979). Viene da chiedersi se tale valutazione sia rimasta identica in una società sempre più diseguale quale l’attuale; e ancora, che cosa è standard oggi? Qual è la “media” o la “norma” a cui rapportarsi? Non ci stiamo forse avviando verso una separazione sempre più accentuata tra le persone e tra i gruppi sociali? Non è questo sintomo di disparità tra gli appartenenti alla comunità civile? Se, come afferma la filosofa Roberta De Monticelli “la giustizia è l’esatta misura del dovuto a ogni persona”…“nessuna vita umana ha più valore se “normale” diventa l’ ingiustizia”.☺ [email protected] Scatto d’autore di Guerino Trivisonno Non passa ormai giorno senza che giungano alle nostre orecchie i risultati di diverse indagini statistiche che pretendono di fornirci aggiornamenti sullo stato attuale della nostra società. La statistica, si sa, è una scienza che cerca di presentare un quadro preciso e rispondente della realtà, utilizzando dei parametri di riferimento ed operando secondo il rigore logico di una scienza esatta. Anche se semplici fruitori di informazioni, abbiamo però imparato a riconoscere, tra le voci che compaiono nei resoconti statistici, il vocabolo standard, incluso nella lingua italiana, e di comprensione ed uso comuni. Con questo termine si intende un “modello di riferimento”, un campione, ma anche il “livello di qualità”. Per estensione standard è ciò che rappresenta la “media” in ogni settore, dagli oggetti alle situazioni. Il traducente italiano corrispondente, e che assume in sé le diverse variabili, è “norma”, vale a dire “elemento a cui ci si uniforma perché si ripeta”. Standard è una parola comparsa nell’antico inglese intorno al 1100 con il significato di “stendardo, insegna”. Nei secoli successivi ha subìto una mutazione semantica prendendo il significato di “misura, criterio”. Secondo insigni esperti di linguistica il termine arriva in Italia alla fine dell’Ottocento, e già agli inizi del XX secolo era accolto come voce tipica del linguaggio commerciale. Che tutto ciò che riguarda la normalità sia ormai definito standard non stupisce più nessuno. Divenuto ormai vocabolo inclusivo, standard trova collocazione in ogni ambito della nostra vita sociale. In pratica, in qualsiasi campo i parametri di valutazione quando avrete tagliato anche il ramo su cui siete seduti non meravigliatevi se vi ritroverete con il culo a terra la la fonte dicembre febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fontegennaio marzo 2005 5 xx regione non basta il trucco Giovanni Di Stasi Il 27 dicembre del 1963 il Parlamento italiano approvò la Legge Costituzionale n. 3 che inseriva il Molise nell'elenco delle regioni italiane a statuto ordinario. Sono passati 50 anni dalla nascita della nostra regione e son pochi coloro che sentono il bisogno di festeggiare la ricorrenza. In questi mesi alcuni convegni hanno tentato di ripercorrere le vicende politiche, sociali ed economiche del Molise e ci si prepara alla celebrazione finale. La mia sensazione è quella di assistere ad eventi che hanno il carattere formale e sostanziale di atti dovuti che non svegliano la passione e non impegnano fino in fondo neppure la mente. Si potrebbe obiettare, non senza ragione, che questo è uno stato d'animo molto diffuso al momento in Italia e in Europa, ma possiamo affermare che da noi le cose vanno peggio che altrove. Volendo citare un dato assai recente e assai significativo si può ricorrere all'ultimo rapporto Svimez secondo il quale il Molise ha perso, negli ultimi 5 anni, il 14% del suo prodotto interno lordo. L'enorme balzo all'indietro certificato da Svimez descrive meglio di mille parole la portata della crisi produttiva, del dramma occupazionale in atto e dell'aumento esponenziale della povertà. A chi soffre nel vivo della propria carne le conseguenze di una tale situazione bisogna dimostrare di conoscere i problemi nei quali siamo sommersi e di saper indicare una strada per superarli. In un recente convegno che si è 6 tenuto a Termoli, mi sono permesso di sottolineare come, dal punto di vista dello sviluppo socio-economico, il Molise abbia sempre presentato tutti i tratti tipici del mezzogiorno d'Italia e, sebbene negli ultimi decenni del secolo scorso abbia provato ad agganciare la crescita che, partendo dal nord, si andava affermando lungo la dorsale adriatica, è riuscito solo in parte nel suo tentativo. I dati odierni relativi all'andamento fortemente negativo della crescita, alla dotazione infrastrutturale, alla qualità dei servizi pubblici, alla disoccupazione, alle crisi aziendali e ai livelli di povertà ci dicono che, in realtà, è il mezzogiorno d'Italia che sta riagganciando il Molise. Questo infausto esito è certamente influenzato dalla drammatica crisi globale, europea e nazionale in atto, ma nasce da ragioni endogene che non è il caso di sottovalutare. Prima tra tutte la scarsa attenzione riservata da tutte le classi dirigenti molisane alla necessità di favorire la creazione di un sistema economico strutturato e radicato sul territorio. Procedendo con la schematicità che la circostanza impone, dobbiamo riconoscere che lo sforzo fatto per favorire l'insediamento nel Molise di stabilimenti appartenenti a grandi realtà industriali nazionali ed internazionali ha dato frutti importanti. Con altrettanta onestà dobbiamo però dire che oggi su quegli stabilimenti incombono le incognite derivanti sia dai riassetti societari di imprese come la Fiat, che ha portato molto lontano le sue sedi decisionali, sia la scarsa interazione di quegli stabilimenti con il tessuto produttivo locale. D'altro canto, la la fonte dicembre febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fontegennaio marzo 2005 significative attività industriali del settore agroalimentare e dell'abbigliamento più legate al territorio erano riuscite a raggiungere dimensioni rilevanti, ma la crisi le sta mettendo a dura prova. Alcune di queste vedono la partecipazione della Regione ed hanno assorbito negli anni ingenti risorse pubbliche il cui flusso va interrotto. Resta in piedi un tessuto produttivo agricolo, artigianale e turistico che presenta tratti di grande vivacità accanto ad ampie zone di sofferenza. Ed è questo il campo in cui è non solo possibile ma necessario ed urgente intervenire per far ripartire il Molise su basi solide. Il traguardo dei cinquanta anni della Regione Molise potrebbe essere una buona occasione per affrontare questi temi con una riflessione corale sul da farsi. Si tratta di decidere se coglierla puntando decisamente sulla democrazia partecipativa per promuovere uno sviluppo sostenibile del territorio. È ora di smetterla con i progetti opachi calati dall'alto e mettere in campo uno sforzo comune per varare iniziative imprenditoriali ancorate al territorio e alla sua cultura materiale e immateriale. Per dare l'esempio abbiamo proposto un contratto di sviluppo denominato “Clean Economy Molise”. Un progetto che nasce dalla piena consapevolezza del fatto che il Molise sarà sempre più interconnesso con la realtà europea e globale. Per questo la nostra regione dovrà prendere l'abitudine di ispirarsi, nel progettare il suo futuro civile ed economico, alle sfide fondamentali di “Horizon 2020” che parlano di: salute, cambiamento demografico e benessere; sicurezza dell’ alimentazione, agricoltura sostenibile e bioeconomia; energia sicura, pulita ed efficiente; trasporti intelligenti, “verdi” e integrati; azioni climatiche ed efficienza delle risorse (incluse le materie prime). ☺ [email protected] politica Con più di un rammarico devo dare ragione al sindaco di Firenze. È vero, non è Renzi che distruggerà la sinistra, infatti è da almeno 20 anni che è iniziata una demolizione dei fondamenti politici, dell’orizzonte culturale e delle forme organizzate della sinistra. Il primo passo lo fece Occhetto e non mi riferisco all’abbandono della parola “comunista”, quanto all’idea che finita l’Unione Sovietica, si sarebbe aperta nel mondo una lunga fase di prosperità, di libertà e di pace e alla convinzione che il governo e solo il governo avrebbe dovuto essere la prospettiva politica della sinistra. Il passo successivo fu l’acquisizione di quel “pensiero unico” in virtù del quale la modernità, il mercato, le dinamiche spontanee del capitalismo, le alleanze militari, la privatizzazione dei beni pubblici sono stati assunti acriticamente. Infine l’espulsione persino dal linguaggio delle parole come conflitto di classe, lotta sociale, movimento di massa sino a negare non solo la funzione storica e fondamentale per la democrazia del nostro paese del Partito comunista, ma anche l’ingresso nel partito del socialismo europeo. Non solo, si dice che il sindaco di Firenze una volta segretario del Pd cancellerebbe il Partito, la sua struttura organizzata e la sua natura militante. È una evidente menzogna. Il partito come comunità politica, come soggetto politico radicato nella società e nel mondo del lavoro e come progetto di cambiamento della società è stato liquefatto, quando Renzi era ancora un boyscout. Se abbiamo assistito allo squallido spettacolo della moltiplicazione delle tessere, se in alcune federazioni del Pd si sono picchiati come fabbri, se la magistratura ha aperto indagini su pratiche congressuali torbide, se i congressi sono stati ridotti a dei semplici votifici, se il dibattito politico-congressuale si è trasformato in un deprimente spettacolo personalistico, se gli affari sono penetrati in profondità nel corpo del partito, tutto ciò è stato possibile perché il partito è stato trasformato in una accozzaglia di comitati elettorali, perché il partito è diventato una prateria balcanizzata da interessi particolari e clientelari. Per essere più chiaro e per guardare anche alle nostre vicende molisane, nelle passate settimane in Molise ci siamo trovati nel mezzo di un vergognoso tentativo di imporre, senza confronto con i cittadini molisani, un campo di concentramento dove ospitare le famose 12 mila manze della Granarolo. Operazione ideata e realizzata dai vertici il confronto con i cittadini Famiano Crucianelli del Partito democratico con il silenzio-assenso dei vertici del governo regionale. Il contenuto del progetto, la metodologia antidemocratica e la ragnatela degli affari personali ben rappresentano la sostanza, la forma e le degenerazioni del Partito Democratico molisano. Il problema grave è che in Molise si rappresentano in forma più estrema malattie e deviazioni che attraversano l’intero corpo politico del PD nazionale. marchetta europea delle privatizzazioni, giusto affermare che l’IMU è un dono natalizio alla destra, così come è giusto chiedere un rinnovamento dei vertici pluridecennali del Partito Democratico. Tutte posizioni giuste, il sospetto, però, è che sotto il vestito del futuro segretario del Pd non si veda nulla, anche perché il Renzi battagliero di oggi è lo stesso Renzi che solo un anno fa considerava Monti il miglior presidente del consiglio possibile e sceglieva come ispiratore della politica economica quel Pietro Ichino al cui confronto l’attuale presidente del consiglio Letta è quasi un estremista. Grande è la confusione sotto il cielo, ma la situazione non appare eccellente, pur tuttavia alcune note positive debbono essere sottolineate. La parabola berlusconiana volge al termine, le manze hanno ripreso l’autostrada per il Nord a testimonianza che battaglie si possono ancora vincere e, soprattutto, comincia ad essere maturo il tempo, perché le idee della sinistra riprendano a camminare, persino i banchieri hanno preso a discutere di Marx. Una sola avvertenza: il morto non afferri il vivo che deve ancora nascere. ☺ La questione non è, quindi, quella di un Renzi che vuole soffocare la sinistra e demolire il partito, la sostanza è ben diversa. Il problema vero è quello di una sinistra che [email protected] deve essere ricostruita e di un’idea di partito che deve essere reinventata. Ora, al di là delle chiacchiere di queste ultime settimane congressuali, è il sindaco di Firenze l’uomo Le associazioni Libertà e Giustizia Molise, La Fonte, Libera giusto per compiere Molise, Larino viva, Pax Christi Molise, Arca sannita, riunite a questa impresa diffici- Termoli in occasione dell’incontro con l’ex ministro Fabrizio le e certamente non Barca su sviluppo e democrazia, desiderano esprimere una netta breve? Dubito, fortis- posizione di contrarietà all’idea di sviluppo territoriale imposto simamente dubito. dall’alto che continua ad essere predominante nel Molise. Non per le posizioni “La nostra lunga storia di impegno propositivo al fianco dei politiche che Renzi ha cittadini e a sostegno delle necessità reali e quotidiane di chi espresso in questi questa terra vive e abita ci rende particolarmente sensibili ultimi mesi che, anzi, all’esigenza di processi condivisi e partecipati nelle scelte che sono ampiamente possono cambiare il futuro di una regione. condivisibili. Giusta la Chiediamo che i cittadini siano coinvolti in ogni decisione concritica a questo inutile cernente lo sviluppo territoriale, e soprattutto che questo svilupe dannoso governo po non sia più esogeno ed estraneo alla nostra storia e alle noLetta, giusto chiedere stre potenzialità, ma nasca da un’elaborazione collettiva e partele dimissioni del mini- cipata, rispettosa della legalità, dell’ambiente, della salute, delle stro Cancellieri, giusto peculiarità paesaggistiche, sostenibile e trasparente nelle procecriticare questa ultima dure, aperta ai contributi di singoli cittadini e associazioni”. mai un molise senza i molisani la la fonte dicembre febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fontegennaio marzo 2005 7 xx regione manze o bufala? Antonio De Lellis La questione granmanze che una srl di diecimila euro di capitale sociale, in cui la Granarolo spa detiene il 10%, entra nel vivo con i primi dibattiti pubblici e i primi consigli comunali monotematici. Il sito previsto per l’allevamento non è ancora noto, ma molto probabilmente a Ururi si gioca la vera battaglia. Che cosa emerge dopo aver incontrato agricoltori, cittadini, professionisti, allevatori, sindaci e politici? Un quadro desolante, ma anche una ripresa di coscienza su una questione che non è marginale, ma centrale; non è reversibile, ma irreversibile. Il progetto non è sostenibile, per chiari rischi ambientali e sanitari insiti nel tipo di allevamento intensivo ormai in dismissione in tutto il mondo, ed è completamente decontestualizzato perché pensato per un’area con bassa densità abitativa e forte disponibilità di acqua anche potabile, cosa non più possibile con il Biferno, fiume stressato, inquinato e vulnerato (parole scritte nei documenti ufficiali). Non vorrei forzare o urtare la sensibilità delle persone colpite dal terremoto, ma se qualcosa dovevamo imparare sulla scuola di San Giuliano era che quella sopraelevazione non era sbagliata in sé, ma era impossibile su quella esistente perché non in grado di essere sostenuta. Le leggi della natura e della fisica non si sfidano! Non possiamo cambiarle, ma dobbiamo rispettarle! L’ ambiente è, come diceva Elena Sassi, un uovo: esiste un punto di rottura irreversibile che dimostra che dopo nulla sarà come prima. Se l’uovo si rompe non puoi ricostruirlo. L’impatto idrico sarà, per l’acqua potabile, pari ad un nuovo insediamento di 3000 per- 8 sone, ma, se consideriamo le colture foraggiere, di 30.000 persone. La nostra area non è solo compromessa per la condizione idrica, ma anche per l’ambiente e lo dimostrano gli studi recenti: incrementi significativi di morte nelle aree interessate dall’insediamento, aumento di bambini malati di asma! Perfino la direttiva Nitrati della Regione Molise, se studiata, dimostra come sia impossibile qualsiasi insediamento ulteriore che impatti sull’ambiente. E poi c’è il ricatto occupazionale. 20 posti fissi di spalatori di merda e sottopagati (tanti sono quelli locali previsti) valgono un ulteriore aggravio ambientale e sanitario? Sanitario anche perché i gas prodotti dagli allevamenti intensivi sono fortemente dannosi. Lo sapevate quanti sono gli occupati nell’agricoltura di qualità in basso Molise in produzioni tipiche che vengono esportate in tutto il mondo? Sapete che l’aumento di nitrati comporta seri problemi per queste aziende con rischi enormi in termini di perdita di qualità di prodotto? Quanti posti perderemo nella filiera agroalimentare di qualità e tipica per colpa di quei 20 posti di spalatori di merda? Dicono che le foraggiere saranno incentivate e questo è incremento di lavoro agricolo. Ma vi chiedete se queste estensioni poi riconvertite a foraggiere non sono già oggi utilizzate? Vi siete mai chiesti se la conversione ha un reale vantaggio, per esempio, rispetto ad un seminativo? Non è conveniente passare alle foraggiere perché i costi (servizi di irrigazione) e il valore delle produzioni lo rendono meno competitivo dei tradizionali seminativi. Le manze allevate verranno rim- la la fonte dicembre febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fontegennaio marzo 2005 patriate al Nord e nessuna resterà in Molise, i posti sono davvero pochi, le foraggiere non converrà coltivarle, le piccole stalle molisane chiuderanno perché vi sarà, a livello nazionale e soprattutto a causa della liberalizzazione dal 2015, l’effetto ipermercato rispetto ai piccoli esercizi. Ma insomma noi cosa avremo in cambio? Solo i rischi e le certezze di ulteriore inquinamento (ormai non più possibile in Emilia Romagna) dell’aria e dell’acqua e l’impossibilità perfino di utilizzare il tanto decantato letame, pieno di antibiotici, a causa degli alti livelli di nitrati in Basso Molise. Questi insediamenti non hanno ragione di esistere più in nessuna parte del mondo perché ormai appartengono al passato, a un modello di sviluppo in crisi strutturale che ha fatto della competitività, della quantità e del profitto degli idoli. La ricerca scientifica mira all’ espansione, mentre l’eticità al senso del limite. Un vero sviluppo deve prevedere la crescita di tre fattori: il mantenimento della vita, la stima e la libertà, sia a livello individuale che sociale. Più precisamente, è la via "etica" quella che il comitato “No Manze, sì Molise bene comune” chiede all'economia attuale di percorrere, non per un semplice intendimento moralistico bensì per la salvaguardia dei suoi stessi interessi: l'etico non è esterno ai problemi di ordine economico. Si tratta di una dimensione costitutiva, intrinseca alla definizione integrale di qualsiasi problema umano. Di qui l'interrogativo centrale che ogni persona di economia deve farsi: “Che posto occupa l'essere umano nelle forme attuali della globalizzazione?” Questa è la domanda fondamentale. Non ci sarà economia senza etica. ☺ [email protected] convivialità delle differenze Dopo il vergognoso silenzio delle istituzioni regionali protrattosi negli ultimi anni in tema di politiche sulla disabilità, va salutato con un cauto ottimismo il Programma attuativo per persone in condizione di non autosufficienza e minori con gravi disabilità approvato con deliberazione di Giunta Regionale n. 434 del 6 settembre 2013 e pubblicato sull’ edizione n. 25 del 16 settembre 2013 del Bollettino Ufficiale della Regione Molise. Il Programma attuativo, reclamizzato con numerosi comunicati stampa pubblicati su ogni testata giornalistica locale, ha alimentato le speranze di quanti - persone con disabilità, famiglie e operatori sanitari - si trovano tutti i giorni a dover combattere per vedere riconosciuti i propri diritti, anche i più elementari, e i diritti dei propri cari, praticando spesso una lotta silenziosa, perché quando tutti i giorni si è costretti a lottare per compiere attività che per molti sono scontate - anche solo lavarsi, vestirsi, andare a scuola o al lavoro, spostarsi - si ha davvero poco tempo per urlare. Speranze mal riposte? La lettura del programma attuativo sembra individuare due categorie di destinatari, vale a dire “le persone in condizione di non autosufficienza” alle quali è destinata la possibilità di fruire di sostegni economici aggiuntivi ulteriori all’indennità di accompagnamento fino ad un massimo di 700 euro, necessario per incrementare le risorse economiche destinate ad assicurare la continuità dell’assistenza, ed i “minori con gravi disabilità”, ai quali è dedicata la possibilità di accedere al rimborso delle spese per non meglio precisati corsi finalizzati al miglioramento dell’autonomia comunicativo-relazionale, senza chiarire se le due categorie possano - ove ricorrano entrambe le condizioni - intersecarsi. In entrambi i casi, è prevista la redazione di un piano di assistenza individualizzato (PAI) realizzato dall’assistente sociale del comune di residenza in collaborazione con i medici delle strutture pubbliche di riferimento sul territorio (Unità di Valutazione Multidimensionale). Per le persone in condizione di non autosufficienza, inoltre, viene prevista la possibilità di fruire di ricoveri di 15 giorni presso non meglio precisate strutture regionali attrezzate all’accoglienza, allo scopo di alleggerire il carico di assistenza del caregiver familiare. Infine, occorre precisare che il Programma attuativo sembra essere destinato (art. 6) a n. 220 pazienti (sic!!!) in condizione di non autosufficienza e n. 40 minori con disabi- persone con disabilità Tina De Michele lità, cifre certamente non adeguate alla realtà delle famiglie molisane. Deve premettersi che la convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità del dicembre 2006, ratificata dal Parlamento Italiano nel 2009 e dall’Unione Europea nel 2010, ha imposto un cambiamento di passo culturale, politico e legislativo, laddove ha spostato l’attenzione dal “disabile” alla “persona con disabilità”. È una differenza non da poco, in quanto per la prima volta la diversa abilità diviene un attributo e quindi un valore aggiunto della persona, e non l’unica forma di connotazione dell’individuo, al punto da permearne addirittura la denominazione! Un cambiamento non da poco, che deve ispirare ogni intervento normativo e che in concreto impone di spostare l’attenzione dalle politiche di mera assistenza alle politiche per l’integrazione, l’autonomia, la valorizzazione della persona con disabilità, in tutte le fasi della sua vita, con particolare attenzione all’ingresso nella scuola e nel mondo del lavoro. La diversità deve pertanto divenire una condizione da valorizzare e non soltanto da assistere. In quest’ottica il Programma attuativo della Regione Molise, è certamente un intervento forse necessario - a fronte del silenzio delle ultime legislature - ma non certamente sufficiente a tamponare l’emergenza di tante famiglie molisane. Ancora una volta purtroppo il provvedimento si innesta nel solco dell’assistenzialismo, prevedendo di fatto soltanto sostegni economici, dimenticando che le problematiche in campo sono molto più complesse. A mio avviso, le politiche sulle persone con disabilità devono innanzitutto puntare alla valorizzazione dell’autonomia e alla realizzazione di un’effettiva integrazione della persona nella società, consentendo alla stessa di sviluppare a pieno le proprie potenzialità e di fruire delle occasioni della società e delle bellezze del mondo. Devono ancora guardare alle famiglie, che la la fonte dicembre febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fontegennaio marzo 2005 hanno diritto a vivere serenamente il presente e la prospettiva del futuro. In quest’ottica e senza pretese di completezza, previa attenta scansione e monitorizzazione dei bisogni dei cittadini molisani, occorre potenziare - ove già ci siano - e creare nuovi centri diurni, necessari ponti tra la famiglia, la persona con disabilità e la società. Occorre valutare attentamente la possibilità di creare delle case famiglia, per i soggetti che abbiano sufficiente autonomia. Ancora, occorre investire sulla formazione e sulla realizzazione di corsi per le autonomie relazionali qui in Molise, ponendo fine ai viaggi della speranza, dare nuovo impulso all’eliminazione delle barriere architettoniche e semplificare la burocrazia. Occorre infine predisporre delle soluzioni per il “dopo di noi”, affinché la persona con disabilità trovi accoglienza e amore anche dopo la perdita dei propri cari. In questa prospettiva ben venga la predisposizione di piani individuali, che però non siano di mera assistenza, bensì di inserimento nella società e di valorizzazione delle facoltà residue dell’individuo. Infine, occorre prendere atto che questa è una sfida possibile e che compito supremo della politica è quello di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. È prima di tutto una sfida culturale. Se le istituzioni sapranno prendere atto di questo mutamento di prospettiva, soltanto allora sapranno realmente farsi interpreti delle istanze delle persone con disabilità e delle loro famiglie.☺ [email protected] 9 xx regione tramonto senza alba Il sindaco di San Giuliano di Puglia, dopo due mandati, si accinge a lasciare, solo simbolicamente, lo scettro a qualche seguace, meglio se parente. È stato il regista unico della ricostruzione, per cui meriti e scempi hanno un solo protagonista, a meno che, come si usa fare in politica, le cose buone sono frutto delle sue capacità mentre gli errori sono da attribuire agli altri. I pregi se li canta da solo o comunque tiene chi lo fa per lui. La pochezza invece va sottolineata. Il primo imperdonabile errore politico è stato quello, appena eletto, di dividere tra i vivi e i morti il malloppo racimolato a seguito della tragedia, grazie alla generosità di quanti hanno voluto far sentire la loro presenza. Che il popolo cerchi “panem et circenses” è fin troppo naturale e che sia felice di vedersi porgere qualche migliaio di euro altrettanto. Ci ha comprati con un po’ di denaro ed il fatto grave è che glielo abbiamo consentito. Ma se, insieme alla sua giunta, si fosse interrogato su quale sviluppo creare in paese forse quel denaro sarebbe risultato utile, anche se qualcuno avrebbe protestato, ma oggi ci sarebbe qualche posto di lavoro stabile. Dopo il terremoto ad ogni suo starnuto si sarebbero accesi i riflettori e la risonanza sarebbe stata avvertita per tutta la penisola. Preoccupato di mille piccinerie, mai ha sollevato grandi questioni né ha parlato per conto del cratere, puntualmente ignorato dai grandi mezzi di comunicazione, e così oggi può essere soddisfatto perché mentre nel nostro paese si sguazza nella piscina, negli altri si sguazza nelle pozzanghere, mentre qui ci sono costosissime scuole senza alunni, altrove ci sono alunni senza scuole; mentre per lui il terremoto è un ricordo, altrove ricordano solo il terremoto. Don Milani, se solo lo avesse letto, gli avrebbe ricordato che camminare insieme è la politica mentre correre da soli è egoismo. La riprova del fallimento della sua azione è stata la sua candidatura alle ultime regionali dove è stato praticamente ignorato da quelli che lui non aveva mai preso in considerazione. Il fatto stesso che è più preoccupato di sapere chi è anonimus che firma su questo foglio piuttosto che contestarne possibili falsità o intavolare discussione con opinioni diverse, la dice lunga sulla sua abitudine da don Rodrigo in cerca del conte zio che gli risolva tutto quello che turba la tranquillità dei suoi sogni. Ci manca solo che vada dal provinciale, per rimanere ne I promessi sposi, per far punire le impertinenze dei fra’ cristofari! Su come sta trattando la questione dei richiedenti asilo e il villaggio temporaneo avremo modo di tornarci. Assistiamo affranti al suo tramonto senza aver mai visto né l’alba, né tantomeno il meriggio. È proprio vero che di alcuni si sa che sono esistiti solo quando si legge il necrologio!☺ anonimus 10 il molise la solita storia Negli ultimi giorni, il Molise è diventato improvvisamente visibile. Ce ne accorgiamo soprattutto noi che viviamo lontano dalla nostra terra d’origine. Ma se la visibilità è quella offerta dal film di Checco Zalone o dai servizi delle “Jene” su Italia 1, meglio rimanere nel dimenticatoio. Il trash del film di Zalone apre un vulnus soprattutto culturale: le mezze verità possono rappresentare punti di forza e di debolezza a seconda di come si rappresentano. E se si insiste, si trasformano in pregiudizi. Così: avere abitanti parsimoniosi, frutto di una solida cultura contadina, non è trendy rispetto ai radicalchic delle ville toscane; essere dissanguati dall’emigrazione e avere pochi bambini nelle piazze diventa una sorta di misfatto; idem il fatto di rappresentare una zona sismica, caduta di tono anche verso le vittime di San Giuliano; il “valore” della ruralità equivale alla più becera arretratezza; la religiosità, espressa con una processione, annienta la ricchezza etnoantropologica. Questi i messaggi che emergono dal film, dove il Molise è sostanzialmente “ridicolo”: non a caso il bimbo ride solo a sentirne il nome, scatenando l’ilarità di tutte le platee nelle sale cinematografiche. C’è da domandarsi perché la cinematografia italiana utilizzi il Molise non come splendida scenografia (è il caso della Gubbio di Don Matteo), ma come “brand” di ridicolaggine. A ciò si aggiunge questa storia degli emolumenti dei consiglieri regionali molisani, diventata una sorta di tormentone tra trasmissioni Mediaset e Rai. Emerge, in conclusione, una regione che si sa far male da sola. C’è un'altra dimostrazione. A Roma i validi amici dell’associazione Forche Caudine, a cui sono iscritto da anni, sono impegnati nell’organizzazione di una grande rassegna sul Molise in zona Garbatella. Qualche tempo fa ho stampato il programma, davvero ben fatto perché evidenzia gli aspetti migliori di questa terra bellissima: l’enogastronomia, l’artigianato, i paesaggi, la cultura millenaria. Hanno invitato a parlarne i migliori rappresentanti culturali, come Mauro Gioielli, Giuseppe Tabasso e Franco Valente. Oggi mi capita di rileggere il programma on-line e con sorpresa lo trovo cambiato. Come? Sono stati inseriti una trentina di rappresentanti istituzionali del Molise, cioè assessori, consiglieri, sindaci e via cantando. Mi sembra chiaro che tutto ciò sia imposto dall’alto. Ma davvero questi politici, con le loro passerelle, pensano di arricchire un programma che onora questa terra e i suoi migliori rappresentanti, come Jacovitti o Jovine? Credono che i molisani di Roma e i tanti non romani accorreranno entusiasti per assistere alle loro prevedibili performance? Valerio Mancini - Roma [email protected] la la fonte dicembre febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fontegennaio marzo 2005 xx regione iena ridens Rosario Eremita vincenzo chi? Dopo la performance di diversi consiglieri regionali ospiti loro malgrado de le Iene non vogliamo assolutamente continuare a girare il coltello nella piaga, anche perché con tutta la cattiveria non riusciremmo a far loro più male di quanto se ne sono fatti da soli! Ma una domanda, a cui non riusciamo a dare risposta, la poniamo certi che qualcuno vorrà illuminarci e farci dormire sonni tranquilli: perché quegli stessi consiglieri che hanno intascato loro i famosi 2451 euro per il portaborse, ora hanno rinunciato giustamente al denaro ma non hanno optato per il portaborse effettivo, visto che avevano trattenuto le prime mensilità? Temono la legalizzazione del clientelismo, che non c’è trippa per tutti i gatti o vogliono tenerli affamati così sono più servizievoli? La calata de le Iene in Molise ha determinato la salita a Roma del nostro governatore che, ospite nell’Arena di Raiuno, ha provato a rimediare, senza esito, la pessima figura dei suoi (e purtroppo nostri) assessori e consiglieri fatta nel servizio “I furbetti della regione Molise” trasmesso in tv e rilanciato dal web; anzi la sua presenza costituisce occasione e ragione di replica sulla rai nazionale anche a beneficio dell’onorevole presente (le Iene divertono Lupi). Nei pochi minuti a disposizione ha comunicato che in otto (lui compreso) non hanno percepito il rimborso per il portaborse personale, senza operare alcuna distinzione tra chi aveva già rinunciato da luglio e chi invece, dopo averlo prima incassato a propria insaputa, l’ha restituito probabilmente a seguito della trasmissione. Il rimanente tempo è stato speso in difesa dell’assessore telefonatore e portatore di voti che, a causa del “no no, assolutamente” pronunciato dall’ormai popolare e famoso Vincenzo, è vittima di un “massacro mediatico”. L’aver ricevuto l’80% dei voti, oltre a spiegare la trasferta romana e la delega assessorile, giustifica e copre tutto il resto: chiunque ormai in Italia con una simile percentuale può permettersi di dire e, a maggior ragione nel caso in cui l’assessore è anche il capogruppo di se stesso, fare di tutto e di più. Trascurate le battute degli altri consiglieri intervistati, il presidente comunica in diretta nazionale ai molisani la bella e buona nuova: la nascita dell’atteso art.7 modificato che disciplina l’erogazione dei rimborsi delle spese effettivamente sostenute per i portaborse personali “concretamente contrattualizzati”. Tale lieto evento, ribatte Frattura a Giletti, è avvenuto in modo naturale e fisiologico senza l’interferenza aliena de le Iene che, casualmente una settimana prima, nel mentre l’iter legislativo si stava compiendo, incalzavano i nostri ignari e carissimi amministratori regionali. Un iter iniziato alcuni mesi fa, come in molti ricordano, quando il consiglio regionale rischiò lo scioglimento per non aver La Fusco Perrella sponsorizza la fonte . ridotto le indennità di carica nei termini prescritti dal decreto MonNon viceversa ti. La difesa, missione impossibile, provoca e scatena il ritorno in Molise de le Iene che, con la riconosciuta professionalità e competenza del ruolo, a differenza degli altri “attori” di questo misero e pietoso film, offuscano il Sole (di Checco Zalone). L’insistenza mediatica e la palese inesistenza di portaborse personali assunti, eccetto Vincenzo, ha indotto i nostri politisondaggio ci regionali ad annunciare l’abrogazione del neonato art.7. L’annuncio, secondo il signifiNei giorni scorsi è stato reso pubblico il risultato di un cato comune e convenzionale delle parole della lingua italiana, dovrebbe - il condizionale importantissimo sondaggio commissionato dall'ONU è d’obbligo dopo la babele che ha sconvolto i principi elementari della comunicazione rivolto a tutta la popolazione mondiale. Il quesito causata dall’assessore che dice una cosa intendendone l’esatto contrario - significare una oggetto del sondaggio era il seguente: "Esprima one“intenzione” finalizzata a ridurre i costi della politica da realizzare in un prossimo futuro stamente la sua opinione in merito alla scarsità di secondo i tempi propri della Politica. Ad inquadrare meglio la situazione molisana occoralimenti nel resto del mondo". re tener presente che all’erogazione degli inqualificabili rimborsi segue il Dalle successive analisi è emerso che: “racimolamento” e stanziamento delle somme destinate al fondo per il bonus di reinserigli europei non hanno capito cosa sia la "scarsità"; mento dei colleghi non eletti: senza sollevar la testa … aumentano così i posti al desco! - gli africani non sapevano cosa fossero gli "alimenti"; Intanto nei villaggi provvisori i terremotati attendono il contributo-rimborso, - gli americani hanno chiesto il significato di "resto del previsto da una legge regionale del 2010, per la spesa dell’energia elettrica relativa al mondo"; triennio 2011-13: curiosamente s’ingegnano a reperire somme per erogare il troppo ai - i cinesi hanno chiesto maggiori delucidazioni sul pochi non-eletti e fanno “i miracoli” per non concedere il poco dovuto ai propri e molti significato di "opinione"; elettori massacrandoli - non certo mediaticamente - quotidianamente. ☺ - nel parlamento italiano si sta discutendo su cosa si [email protected] intenda per "onestamente". la la fonte dicembre febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fontegennaio marzo 2005 11 lavoro eutanasia socio-industriale Antonello Miccoli Nel nostro Paese la deindustrializzazione sta assumendo i contorni di un processo inarrestabile: una sorta di suicidio assistito. Tale dinamica non è attribuibile alla sola globalizzazione dei mercati: molti dei mali economici affondano, infatti, le proprie radici nell’incapacità di un’intera classe dirigente. Un’oligarchia che non ha saputo o voluto costruire una nazione che facesse dell’ innovazione e del merito la base fondante del proprio agire. Si parla spesso dei costi della politica, ma nessuno quantifica quanto gravi un sistema lobbistico che, invece di premiare il merito e la competenza, tende a premiare la fedeltà e la rete delle amicizie. La stessa università, che dovrebbe valorizzare solo i talenti, assurge troppo spesso agli onori della cronaca per aver favorito carriere accademiche a danno di altri candidati. Nel frattempo la condizione industriale dell’Italia e della nostra regione, mostra i segni di un declino che rischia di stravolgere l’intero assetto democratico del paese. Basti pensare che sull’intero territorio nazionale sono stati analizzati dati che rispecchiano la drammaticità di una situazione dagli esiti sociali ed economici imprevedibili. Più specificatamente le ore, registrate nel lasso temporale gennaio-agosto 2013 e comparate con il 2012, fanno emergere una realtà estremamente complessa: Cigo 227.692.892 (+7,36%); Cigs 286.035.322 (+11,80%); Cigd 190.262.584 (-20,26%). In riferimento alla Cassa Integrazione guadagni ordinaria, il Molise raggiunge in Italia la variazione per- centualmente più elevata rispetto all’anno precedente: 2012 (995.110) 2013 (1.980.681), un differenziale pari a + 99,04%. All’interno di questo scenario desolante ed incerto vivono milioni di famiglie che rischiano di soccombere rispetto ad un sistema che appare incapace di riprendere un cammino virtuoso. Il calo stesso delle ore lavorate ha determinato la riduzione del monte salari: mensili più leggeri e ritardo nei pagamenti hanno infatti reso estremamente difficoltoso poter affrontare le semplici spese quotidiane (fare la spesa, curarsi, mandare i figli a scuola, onorare le tasse). Nel contempo i servizi franano, proprio quando vi sarebbe maggiore bisogno di assistenza: la debolezza del sistema sanitario non offre, ad esempio, la possibilità di effettuare in tempi celeri una visita specialistica o un esame diagnostico. Un deficit che induce un cittadino in difficoltà economiche ad attendere tempi lunghissimi, mentre altri, che possono contare su maggiori risorse finanziarie, si rivolgono al settore privato; altri ancora non sono neppure in grado di pagare il ticket sanitario. Mentre, sul versante dell’istruzione, molte famiglie non riescono più a sostenere i figli all’università: si sta, in definitiva, ricreando lo spartiacque tra le classi sociali più ricche e quelle meno abbienti. La stessa imposta sulla casa perde di vista l’aspetto sociale che ogni forma di tassazione dovrebbe racchiudere in sé; pagare il dovuto non significa infatti far parti uguali tra diseguali: se due cittadini hanno un’abitazione dello stesso valore, ma i redditi complessivi risultano differenti, anche quanto richiesto dal fisco dovrebbe variare. Nei fatti le cose vanno diversamente e così il disoccupato, il cassaintegrato o il lavoratore posto in mobilità sono chiamati a pagare la stessa tassa di chi lavora o guadagna il doppio. A questa tipologia di cittadini si dovrebbe dare la possibilità di pagare almeno in 12 rate quanto dovuto in due. Sarebbe inoltre utile, vista l’emergenza, giungere ad un protocollo d’intesa tra parti sociali, Anci, Provincia e Regione, affinché si pervenga a contemplare un programma di tassazione locale che tenga conto delle difficoltà delle famiglie espulse dal mondo del lavoro o in gravi difficoltà economiche. Risulta tra l’altro indecoroso il perdurare dell’abbandono di coloro che, superata la soglia dei 57/58 anni, si ritrovano senza lavoro e senza rete di protezione sociale: a questi cittadini la normativa non consente di andare in pensione neppure con 40 anni di contributi (attualmente sono necessari 42 anni e 5 mesi per gli uomini e 42 anni e 1 mese per le donne). Un’azione politica, che abbandona la parte più vulnerabile del proprio tessuto sociale, mostra di non riconoscere la dignità di quanti esprimono bisogni di natura primaria. In attesa che il governo centrale corregga le rigidità del sistema pensionistico, s’impone la costituzione di un fondo di solidarietà regionale: una rete di protezione che la Regione Molise potrebbe costituire disegnando una graduatoria strutturata sulla condizione finanziaria dell’intero nucleo familiare. Il ritorno dei tributi pagati deve necessariamente avere delle priorità: partire dai più deboli affinché la Costituzione declini nella quotidianità i princìpi in essa racchiusi. ☺ [email protected] Gli immigrati costano troppo all'Italia? Falso. Soppesando costi e benefici, i "nuovi italiani" portano in dote alle casse dello Stato un bel gruzzolo: un miliardo e mezzo di euro l'anno, per la precisione. È quanto emerge dal Dossier statistico 2013: un testo fondamentale per chiunque si occupi d'immigrazione in Italia. 12 la la fonte dicembre febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fontegennaio marzo 2005 terzo settore elementi di speranza Leo Leone Si respira un clima di conflitto permanente in ogni strada e piazza e ne dà ampia testimonianza e rilievo matrigna televisione. Resta reclusa la voglia di rilanciare la dimensione dialogica, soprattutto con chi paga più pesantemente la crisi che oggi avvolge mezzo mondo. Per consolazione dei pochi che cercano affannosamente spazi di respiro e osano guardare un po’ più in alto si possono anche riscoprire segnali che potrebbero essere annunci di un futuro migliore. Nostalgia o voglia concreta di tornare indietro per riscoprire persone e immagini di storia che hanno segnato in positivo la stagione giovanile di chi ebbe la fortuna di respirarla qualche decennio indietro? Possiamo rifarci a figure come don Lorenzo Milani, il prete scomodo per vescovi e …gente perbene che nella lettera al giovane comunista Pipetta, nel confidare la sua condivisione di linea nell’impegno a sostegno dei poveri e dei deboli, risultò scomodo per l’intero contesto clericale al punto da venir severamente redarguito ed emarginato dal suo vescovo e sentenziato come “inopportuno” dal Sant’ Ufficio. Ma il suo schierarsi a servizio degli ultimi, a partire dai ragazzi figli di contadini dispersi nell’isolamento dell’Appennino toscano per i quali promosse la profetica Scuola di Barbiana, fu e resta ancor oggi un modello eccelso di dialogo che, nell’operare scelte scomode per i benpensanti, non lo recludeva tra coloro che nella storia sono sempre apparsi come utopisti e sognatori. Nel suo ardimento, non si ridusse mai a svolgere azioni di scontro ad ogni costo e senza riserve. Ne sono convincenti attestazioni i diari e le lettere che scriveva ad amici, conoscenti e figure di rilievo in ogni ambito della sua società. Interloquiva con tutti e non attivava dialogo con soggetti allergici all’interscambio di idee e segnati da istinti sovversivi privi di continenza. La conclusione di don Milani alla lettera a Pipetta resta una lezione che può riportarci sul terreno di un dialogo che ponga fine alla stagione litigiosa che pervade in ogni spazio di vita. Rileggiamo quelle parole che costituiscono ancora e permangono per il futuro un apprezzabile stimolo per chi la pensa diversamente da altri su questioni attinenti la politica e si adopera per presentare proposte centrate sui valori di riferimento ai diritti, alla giustizia e alla vicinanza soprattutto ai più deboli. Dopo aver confessato a Pipetta la sua condivisione etica di sostegno ai deboli da tradurre in un concreto agire, don Milani non esita a confessargli il proprio rigetto di strategie e strumenti ideologici di partiti della sinistra del tempo, che rischiano di applicare prassi che sono distanti dai valori della libertà, della democrazia, del bene comune e che centrano la loro azione sull’obiettivo di acquisire potere, dimenticandosi del popolo, a partire dai più deboli. “Ma il giorno che avremo sfondata insieme la cancellata di qualche parco, installata insieme la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordatene Pipetta, non ti fidar di me, quel giorno io ti tradirò. Quel giorno io non resterò là con te. Io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio Signore crocifisso. Quando tu non avrai più fame e né sete, ricordatene Pipetta, quel giorno io ti tradirò”. La diffusa carenza di ascolto oggi impedisce di portare a termine una comunicazione di gruppo volta a cogliere opinioni, pareri volti a definire prassi e strumenti per l’attuazione di iniziative anche di non rilevante portata. Si fa fatica a reggere toni e procedure, giorno dopo giorno, nelle diatribe che ci sforna- la la fonte dicembre febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fontegennaio marzo 2005 no giornalisti, politici e gente comune. Gli stessi giovani ne sono segnati al punto che si sono convinti che il modo “normale” della interlocuzione può anche seguire stili di musica dissonante in cui i cori non rispettano o non riescono a cogliere le tonalità che si armonizzano. Da qualche tempo intellettuali ed esperti in politiche sociali sollevano l’allarme sulla distanza che la politica e i partiti hanno accresciuta tra stato e cittadini. Assistiamo ad atteggiamenti diffusi di rassegnazione e di carenza di partecipazione civile che ci porta distanti dal primo articolo della Costituzione che assegna la sovranità al popolo. I dati svelati dal Censis in questi giorni sembrano riaprire istanze di riappropriazione di responsabilità e di impegno operativo della cittadinanza italiana. Così come non nasconde l’indice diffuso di indignazione che purtroppo non si traduce in maniera sufficiente in partecipazione e promozione propositiva. Ma un aspetto ci riporta a guardare avanti ed è il dato che la fascia giovanile dai 18 ai 24 anni fornisce più di altri elementi di speranza nell’aver assunto coscienza di ciò che li circonda e di andare oltre la preoccupazione alimentando la voglia di fare, rafforzando la cultura e l’operatività di marco comunitario. Anche in Molise ne abbiamo segnali. ☺ [email protected] Alla Redazione de la fonte Ho letto con commozione e gratitudine il ricordo di mia sorella Elena sul numero di ottobre. Vi ringrazio per le parole affettuose e per l'impegno con cui continuate a tener desta la coscienza civile di noi molisani, soprattutto in questo tempo di colpevole indifferenza. Buon lavoro. Lucia Sassi - Termoli [email protected] 13 cultura il grido di una donna Christiane Barckhausen-Canale Ormai sono passati 23 anni da quel giorno. Della donna che sta al centro di questa “storia di natale”, non si conosce neanche il nome. Quelli che l’hanno vista per qualche istante, ricordano solo che aveva l’aspetto di una donna nel quinto o sesto mese di gravidanza. Niente di più. È uno dei primi giorni di dicembre dell’anno 1990. La storia si svolge a Berlino, nella parte che, fino al 3 ottobre, è stata la capitale della Repubblica Democratica Tedesca ed è diventata la capitale della Germania unificata. Le strade del centro città sono illuminate in preparazione del natale, gli studenti si guadagnano qualche soldo vestendo un costume di Babbo Natale ed invitando, nei grandi negozi, i bambini a posare con loro per una fotografia. Verso mezzogiorno, una donna visita, una dopo l’altra, tutte le redazioni dei giornali, salendo e scendendo scale, bussando alle porte, cercando, timidamente, un interlocutore e, non trovando nessuno, toglie della sua borsa la fotocopia di una fotografia e la lascia sul tavolo più vicino alla porta. Esce dalla redazione e si dirige verso la successiva redazione dove si ripete la scena. Fra tutti i capi redattori che l’ han- 14 no vista, c’è solo uno che, spinto dalla curiosità, si precipita verso la porta dove la donna sta già per uscire. La ferma e la invita a spiegare quale è lo scopo della sua visita al giornale e perché ha lasciato sul tavolo quella fotocopia. Ed ecco la storia di quella donna senza nome. È nata e cresciuta nella capitale della RDT. Vive in un quartiere della periferia est. Ha tre figli, ma il marito l’ha lasciata quattro mesi prima. Ha lavorato come bibliotecaria nella biblioteca di una grande fabbrica, ma siccome dopo il 3 ottobre, giorno della unificazione dei due stati della Germania, le fabbriche hanno eliminato dal loro interno prima le biblioteche e, dopo, gli asili nido, la donna senza nome è rimasta disoccupata. I soldi che aveva sul conto corrente, con l’introduzione del marco occidentale nella parte est della Germania, sono stati dimezzati (il cambio era 2 marchi dell’est per 1 marco dell’ovest), non le rimane quasi niente, e si avvicina natale. Cosa potrà offrire ai suoi bambini? Nei negozi di giocattoli ci sono più cose che mai, ma potrà comprare dei regali per i bambini se non sa come sfamarli nei mesi a venire, se non trova un nuovo lavoro? Il capo redattore capisce che questa la la fonte dicembre febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fontegennaio marzo 2005 non è una donna che racconta con facilità la sua storia. Vede nei suoi occhi la disperazione, la paura, la stanchezza… “Ma perche questa fotocopia?” chiede e guarda per la prima volta con attenzione la foto riprodotta. La foto mostra una donna con un bambino piccolo in braccio ed un altro che si vede nella parte bassa della foto. La donna è incinta, una condizione che, normalmente, fa diventare più bella la faccia di una donna, fa emergere negli occhi un’espressione di orgoglio, di speranza, di tenerezza. Ma la donna della fotografia non ha questa espressione di felicità, anzi, si vede che è preoccupata quando pensa alla nuova vita che cresce dentro di lei. “Quando ho visto questa foto”, dice la donna senza nome, “ho pensato che raffigura esattamente il mio stato d’animo, ed ho sentito l’urgenza di fare delle fotocopie per consegnarle ai giornali. Siccome non sono abituata a lamentarmi davanti agli altri, ho deciso di distribuire queste fotocopie nelle redazioni dei giornali. La foto è come la mia voce, la foto è come il grido di disperazione che non mi esce dalla bocca…”. Grazie alla curiosità di quel capo redattore, abbiamo conosciuto nel dicembre del 1990 la storia di questa donna. Decine di migliaia di lettori hanno sentito il suo grido di disperazione, hanno capito che non sempre una nuova vita che cresce dentro di una donna significa speranza, gioia, orgoglio e fiducia nel futuro. La foto diventata poi un grido fu fatta nel 1930, a Berlino, da Tina Modotti, autrice di un’opera di più o meno 300 fotografie. Ma anche se avesse scattato soltanto una foto, questa foto, una foto capace di diventare, 60 anni dopo, il grido di una donna, Tina Modotti meriterebbe il nostro ringraziamento. ☺ [email protected] cultura Questo splendido autunno non ci priva di mattini limpidi e tiepidi. Uscire sulla mia terrazza e attendere che il sole si levi, incendi il crinale delle colline e accenda di verdi scintille il bosco ancora folto è il sorso quotidiano di armonia che mi aiuta a star bene. Mi manca solo il canto nostalgico d’amore della tortora partita per lidi più accoglienti. Non è facile il ben-essere nella vecchiaia quando, venendo meno il corpo, si fa fatica a “tenere insieme” le restanti forze e a conservare l’equilibrio. Si riscopre allora che nel profondo dei nostri stati d’animo c’è sempre un bisogno di armonia. È nel malessere che provo alla vista del vuoto aperto nel bosco da un taglio impietoso o quando il nero del Camerun si presenta alla mia porta con il suo fagotto di merci invendute e mi racconta dei suoi bambini da sfamare. È nella quiete raggiunta dopo un lacerante conflitto interiore. È nel senso di beatitudine che mi dà l’ascolto della Sinfonia pastorale di Beethoven. Nei termini greci “harmozein” (connettere), “harmonia” (unione, proporzione) c’è l’idea di accordo fra elementi diversi che messi insieme producono qualcosa di gradevole, infondono uno stato di pace. Rimandano alla radice “ar” (adattare, connettere), che si ritrova anche in “areté” (virtù). “Si chiama virtù quella potenza che produce e conserva il bene” (Aristotele). Per i credenti in Cristo quella potenza elevata a un grado sublime è l’amore. Amore armonia pace, un trittico inscindibile: un sogno? una meta irraggiungibile? Importante è partire. “È camminando che s’apre il cammino”. Un verso del poeta Machado, che Arturo Paoli ha messo in pratica nel percorso della sua lunga strada (centouno anni il 30 novembre nella sua Lucca), lo sguardo sempre oltre, ad amorizzare il mondo, espressione da lui molto amata mi abbono a la fonte perché meglio vivere da leoni che da pecore il ben-essere Teresa Labagnara (mutuata dallo scienziato e teologo Teilhard de Chardin), che apre a un cristianesimo radicato nella realtà terrena, a una spiritualità che non esclude la materia. Sacerdote, “giusto fra le nazioni” (ha contribuito a salvare centinaia di ebrei durante la seconda guerra mondiale), cappellano sulle navi dei migranti italiani in Argentina, piccolo fratello del Vangelo e, per quarantacinque anni, nell’America latina dove si è dedicato alla causa dei poveri, degli oppressi, dei senza voce. Una storia che ha il suo cuore nei tredici mesi trascorsi nel deserto algerino, sulle orme di Charles de Foucauld. La pazienza del nulla - nome che egli dà all’esperienza del deserto - gli ha fatto capire che “la vita cristiana è morire a te stesso e rinascere per l’altro. Abbandonare la fede astratta verso un Essere invisibile e orientarla verso l’amicizia con Gesù e il suo progetto di pacificare il mondo”... “Gesù non ha parlato di salvezza dell’anima, ha parlato di una esistenza dell’uomo completo il quale deve trovare nella sua realtà terrena la maniera di costruire la persona nuova... Essere sale, lievito, luce, non separando l’anima dalla totale realtà del mondo e di vivere in questo mondo. Quindi tutte le attività, le relazioni fra noi e con la natura devono entrare in una unità e in una armonia”. Sono parole di fratel Arturo - soltanto un flash - che ho prese dal suo diario intimo, La pazienza del nulla, (Chiarelettere 2012) e da uno dei suoi ultimi articoli comparsi sulla rivista Rocca (Pro civitate christiana, Assisi). Vorrei servissero a dirigere l’attenzione verso una persona di coerente, ardente fede. Il suo “cristianesimo dinamico esistenziale” penso possa portare ogni credente a una profonda riflessione, specialmente quei credenti che, come me, hanno ricevuto una educazione religiosa di tipo preconciliare, improntata di la la fonte dicembre febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fontegennaio marzo 2005 verità astratte, lontane dal pulsare della vita che si rinnova di giorno in giorno. Amorizzare il mondo vuol dire entrare nel movimento della vita mettendo al centro Gesù, l’Amico, il grande Fratello modello unico, come lo chiamava Charles de Foucauld. È Gesù che ha saputo tradurre in realtà, a costo della vita, il “progetto uomo” condensato negli stupendi versetti di Isaia, che l’evangelista Luca (4, 16-18) gli fa proclamare nella sinagoga di Nazareth. Vissuto lunghi anni nell’ America latina, in un mondo religioso dove cielo e terra trovano la giusta armonia, Fratel Arturo ne ha assorbito con la cultura il rispetto sacro della terra, la pachamama, cui la vita è legata da un nodo indissolubile. Purtroppo l’uomo, comportandosi da padrone e signore, tradisce il mandato divino di custodia, minaccia e consuma la terra abusando del suo potere tecnoscientifico. Di qui la “cultura della scarto” ripresa con forza da papa Francesco in una sua recente catechesi. Con il suo messaggio di mitezza Fratel Arturo ci convince che è possibile, senza inutili preoccupazioni e paure, tra cui quella dell’aldilà, lasciando solamente libero il cuore, raggiungere l’armonia. ☺ [email protected] Rosanna Celano: il tempo è 15 arte i brunetti Gaetano Jacobucci Nella terra di Molise alla fine del Seicento e all’inizio del Settecento si registrò un intenso e laborioso progetto culturale, ad opera dei Signori locali che crearono botteghe per un fiorente filone intellettuale. Il secolo d’oro del Barocco napoletano si propagava in modo sistematico in tutto il regno, grazie alla scuola partenopea ricca di pittori, scultori e architetti. Francisco Zurbaràn, grande attore del sontuoso Seicento spagnolo, nato un anno prima del Velasquez e tre prima del Cano. La bellezza dell’arte Spagnola si impone con veemenza con le aeree impostazioni di Jusepe de Ribeira e Bartolomè Esteban Murillo, mostrando all’Europa di quale portata sia la risposta della nuova generazione che si opponeva al manierismo di Filippo II e alle influenze fiamminghe e italiane. Si può ritenere una seconda reconquista, che usa la pittura per insegnare, confermare, dimostrare la bellezza del cattolicesimo imperante attraverso le opere, “di fronte alle quali si può e viene voglia di pregare; cosa di cui molti non si curano” (Josè de Sigueza, teologo-poeta). La bottega dei Brunetti I pittori dell’area partenopeaspagnola si piegano a narrazioni di vite e storie di santi, che si dividono in ricchissimi cicli: misteri del rosario, vite di santi e di martiri, che dalle grandi cattedrali o palazzi principeschi si rinchiudono in conventi o chiese di città periferiche del regno. Ritroviamo pittori di solitudini e di silenzi scanditi nella squadrata simmetria o in contrapposizione del doppio registro, quello terreno e quello celeste. Le figure sono severamente immobili, arcaicamente ritagliate nei contorni, sorprese da uno sguardo che pur si sofferma a decorare i particolari, arricciando drappi e aggiungendo particolari leziosi. Il caravag- gismo imperante in tutta l’Europa è un successo della sentita devozione derivante da dettagli minuziosi che confonde le linee in uno spazio co, oggi scomparso, raffigurante l’ Annunziata. Alla fine del Cinquecento la sua famiglia raggiunge Oratino proveniente da S. Pietro Infine, con Benedetto, nonno del nostro, maestro intagliatore. La formazione figurativa spazia e riecheggia la maniera tardomeridionale e confrontandosi con i maggiori artisti del Seicento napoletano, reperibili in tante parti del regno. Nel 1658 Brunetti firma per la chiesa di S. Onofrio di Casacalenda, il Perdono di Assisi. I personaggi posti su due piani secondo uno schema già realizzato da Federico Barocci, oggi ad Urbino nella Galleria Nazionale delle Marche. La figura di Francesco dallo sguardo rivolto verso l’alto, ripresa dal Barocci, conosciuto dalle incisioni o dall’osservazione diretta, è unita dal Brunetti ad una matura formazione di conoscenza sia di Angelo Solimena, che Francesco Guarino. L’aggiunta dell’ Arcangelo S. Michele sulla destra del dipinto attesta che l’opera fu commissionata da un certo Angelo Filacchione scampato alla peste del 1656 che tante vittime provocò, decimando intere popolazioni del regno di Napoli. Un paesaggio centrale si squarcia quasi in un ideale punto di fuga. L’arte, la peste e la carestia hanno sempre coabitato. Perché l’una e l’altra appartengono a quella misteriosa terra di mezzo tra uomo e natura in cui il male trova nella bellezza la sua rappresentazione e il suo antidoto.☺ [email protected] infinitamente grande con l’acutezza dell’ infinitamente piccolo. In questa corrente si immerge Benedetto Brunetti, figlio di Matteo, che nel 1623, per la chiesa di Santa Maria della Libera di Cercemaggiore, aveva firmato un tritti- CAMPOBASSO 16 la la fonte dicembre febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fontegennaio marzo 2005 mondoscuola E i ragazzi? Cosa pensano i ragazzi? In una rubrica sulla scuola, non può mancare la loro voce. Anche perché, spesso, a lasciarla uscire fuori, suona di una freschezza e di una verità dirompente. Qui, stavolta, ci piace accogliere e proporre quella di Federico Cutrone, uno studente diciassettenne, di origini molisane, che frequenta il liceo classico “Vivona” di Roma. E che, dalle pagine del giornalino della sua scuola, fa alcune considerazioni sensate, assolutamente interessanti, su certa “polvere” che dovrebbe essere tolta dai programmi, dalle metodologie, dagli obiettivi. Gliele abbiamo gentilmente rubate per rifletterci su con voi. Federico sogna di fare il giornalista. Gli auguriamo con tutto il cuore che il suo sogno possa diventare realtà. Ma ci permettiamo di strizzargli l’occhio, con garbata ironia, e di proporgli, di qui a qualche anno, caso mai dovesse cambiare idea, di fare una capatina nel mondo della scuola, di regalarci la sua sensibilità, la sua energia. Di quanti come te, Federico, ci sarebbe bisogno oggi dietro ad una cattedra! Buon lavoro e in bocca al lupo, Federico. Non importa quanto tempo ci vorrà. Se è il tuo sogno, non mollare mai. Il liceo classico è da sempre sinonimo di vasta formazione culturale, conseguente a grandi carichi di studio, a volte anche pesanti. Noi del liceo Vivona, questo, lo sappiamo bene. Le varie materie caratteristiche, latino, greco, storia, italiano, sono ricoperte sempre da un vago alone di antichità, che il più delle volte ci porta ad interrogativi del tipo "Sono utili veramente il latino e il greco?" oppure "La cultura classica può essere ricondotta al presente?", ma soprattutto "Mi basta studiare le espressioni artistiche di centinaia/millenni di anni fa, per dare un mio apporto diretto alla corrente artistica contemporanea?". A mio avviso, per quanto sia importante conoscere la cultura classica, che ci insegna ad interpretare il presente e a "leggere" il futuro, è indispensabile la consapevolezza delle espressioni artistiche attuali, in quanto queste ci danno l'opportunità di poter vivere direttamente il presente, per poi scrivere il futuro. Sembra però che nella nostra era non ci si "esprima" più ai livelli del passato e non ci siano espressioni artistiche rilevanti. Niente di più sbagliato. Le invenzioni del secolo passato, come il cinema e la registra- al passo coi tempi Gabriella de Lisio zione di brani musicali, non devono essere viste come avverse al progresso culturale dell'uomo, bensì devono entrare a farne parte, in quanto validissime forme di espressione/ evasione/liberazione. La scuola in quanto tale ha l'obbligo di offrire ai giovani queste opportunità affinché loro (noi) le possano cogliere al meglio. Poi, sono veramente tanto distanti il cinema e la musica dalle materie che studiamo a scuola? Il cinema può sembrarlo decisamente, ma se analizziamo un po' alcuni argomenti che abbiamo studiato o che studieremo tra i banchi di scuola, potremo facilmente cambiare idea. Nei programmi ministeriali, lo studio delle opere teatrali dei vari Plauto, Aristofane, Seneca, Euripide sono dei punti fermi. Quanto sono diversi dalle opere cinematografiche? William Shakespeare e Christopher Marlowe, se ne avessero avuto l'opportunità, avrebbero rappresentato i loro scritti al cinema? Secondo me sì. Dunque studiare le grandi opere del cinema (non di certo i cine-panettoni) di artisti come Stanley Kubrick, Alfred Hitchcock, Federico Fellini, Sergio Leone, etc. non è sbagliato. È assurdo che un ragazzo, che può anche ottenere la maturità con il massimo dei voti, esca dal liceo totalmente ignorante riguardo i più grandi film della storia. D'altra parte la musica, sempre ben accolta da tutti, ma mai veramente approfondita da nessuno tra le mura scolastiche. Eppure se riprendia- la la fonte dicembre febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fontegennaio marzo 2005 mo la letteratura antica, partendo anche dal lontanissimo Omero, conosciamo benissimo che gli aedi, nell'esporre le opere classiche, si accompagnavano sovente con la lira. Studiamo anche gli scrittori della poesia lirica, che cantavano d'amore, di politica e dei piaceri/dolori della vita, sicuramente sempre accompagnati da vari strumenti (uno a caso, la κἰθάρα), quindi testo su musica. Che differenze ci sono con i cantanti attuali? Saffo parla d'amore. E Battisti? Archiloco, Solone, Alceo, quanto sono distanti o superiori a Fabrizio De Andrè, Francesco De Gregori o Franco Battiato? Poesia e musica, questi artisti hanno molto in comune, l'unica differenza è che gli ultimi citati possono essere i cantanti amati da noi o dai nostri genitori, mentre i primi al massimo da qualche nostro antichissimo avo comune. Alcune opere musicali hanno il potere di farci raggiungere quasi la pace dei sensi, così come certe poesie. Come esistono le canzoni meno belle esistono le opere letterarie mal riuscite: facendo una cernita, si avrebbe l'opportunità di inserire nei programmi scolastici delle opere musicali, italiane e straniere, che sono già da tempo radicate nella nostra coscienza contemporanea, e le quali sarebbe giusto approfondire. Cinema e musica al liceo classico, un desiderio sicuramente non infondato, che sarebbe inoltre un ottimo metodo per rendere lo studio meno pesante e più attuale. Dato che poi ci piace fare sempre i paragoni con le altre nazioni, il cinema all'estero si studia e diventa strumento di analisi del mondo in sé, mentre la musica è ormai da decenni radicata nell'insegnamento, non solo nei paesi più avanzati, ma anche nelle regioni più povere, come nel Sud America (Venezuela e Cile) dove diventa uno strumento per salvare i ragazzi dalla criminalità. Si sogna anche, pensando all'America, dove si studia matematica con i Pink Floyd di sottofondo. [email protected] 17 libera molise contro la povertà Franco Novelli Oggi non si dà valore che ai ricchi (Marziale, Epigr., 5, 1-2) Il 6 dicembre 2013, venerdì, presso la sala conferenza della Camera di Commercio di Campobasso, in Piazza della Vittoria n. 1, ci saranno: - Una conferenza stampa - ore 17.00 - relativa all’apertura della campagna nazionale e regionale sul tema della povertà con la partecipazione di Gabriella Stramaccioni - ufficio di presidenza di Libera - e di Giuseppe De Marzo, giornalista del Gruppo Abele e di Libera campagna “Miseria ladra”. - Un incontro pubblico - ore 18.00/20.30 tenuto da Gabriella Stramaccioni e Giuseppe De Marzo sul tema de “La povertà e le sue ripercussioni sociali”. Seguirà il dibattito. La crisi economica, che si è abbattuta anche sul nostro paese, è aggravata da due elementi: il primo è costituito dal degrado istituzionale e da quello etico/morale che sta provocando una nefasta corruzione del sistema e un chiaro disinteresse da parte del governo attuale - quello delle grandi intese - e delle istituzioni a risolvere i nodi della crisi, legati essenzialmente all’immiserimento di parte cospicua (ma anche più debole!) della popolazione. Il secondo elemento, molto preoccupante, riguarda la necessità di trovare per l’inizio del 2014 50 miliardi di euro, che rappresentano la prima delle venti rate, imposte dall’odioso fiscal compact, vera e propria maledizione agli occhi di una parte percentualmente più ampia della popolazione e, guarda caso, proprio di quella economicamente più debole ed indifesa. Che fare allora? È assolutamente necessario in questa fase di grave recessione economica riprendersi in mano gli strumenti della politica, che sono principalmente la partecipazione responsabile, il rifiuto cioè di ogni assurda e immotivata delega, alla vita del paese e definire, il più preciso possibile, un cammino prospettico che si vuole fare, vale a dire riconquistare un minimo di dignità civile dopo venti anni di scurrilità e di licenziosità diffuse da una classe politica in larga parte corrotta e degenere. 18 miseria ladra Dalla crisi si esce insieme. Aiutiamoci a farlo! Parte la campagna nazionale del Gruppo Abele e di Libera contro la povertà. Alcuni dati: un paese fragile, fra diseguaglianza, povertà e disoccupazione. Il nostro paese vive una condizione di impoverimento materiale e culturale insostenibile ed inaccettabile. I numeri più asettici dell’ISTAT ci informano che, nel 2012, 9 milioni e 563mila persone pari al 15,8% della popolazione sono in condizione di povertà relativa, con una disponibilità di 506 euro mensili (erano 8.173 milioni nel 2011 pari al 13,8% della popolazione). In condizione di povertà assoluta si trovano invece 4 milioni 814mila persone, pari al 7,9% della popolazione italiana (nel 2011 erano 3.415 milioni pari al 5,2% della popolazione). Parliamo di quasi un italiano su quattro costretto a vivere in una condizione in cui la dignità umana viene calpestata. L'Italia è in Europa il paese meno sicuro per un minore. Il 32,3% di chi ha meno di 18 anni è a rischio povertà. 723 mila minorenni italiani vivono già in condizione di povertà assoluta. È questo un dato intollerabile che dovrebbe farci indignare tutti e tutte. Le diseguaglianze continuano a crescere, con differenze territoriali che ripropongono la questione meridionale come uno dei temi sui quali intervenire urgentemente. Il sud infatti risulta drammaticamente più colpito ed impoverito dalla crisi. La disoccupazione nazionale oltre il 12%, nel mezzogiorno è nettamente superiore. Tra i 15/24 anni che cercano lavoro al sud, la disoccupazione è superiore al 41%. Le famiglie italiane si sono enormemente impoverite. Oltre il 60% delle famiglie ha ridotto la quantità e la qualità della propria spesa alimentare, mentre aumentano i casi di disoccupati e anziani costretti a rubare per mangiare. Più di due milioni sono i cosiddetti Neet, giovani così scoraggiati dalla situazione che non studiano, non cercano più lavoro e non sono nemmeno coinvolti in attività formative. Aumentano enormemente la precarietà e lo sfruttamento sul lavoro, sino a raggiungere pratiche di neoschiavismo nei confronti dei la la fonte dicembre febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fontegennaio marzo 2005 lavoratori migranti e non, sia al sud che al nord del paese. Si rafforza il controllo dei clan malavitosi su molte attività economiche in crisi, costrette a “rivolgersi” ai prestiti dei mafiosi. Così come sono in drammatica crescita i crimini contro l'ambiente. Sono oltre 93,5 al giorno quelli denunciati che certificano l'aumento dell'impatto e dell'influenza delle ecomafie e che distruggono la nostra vera ricchezza: territori, beni comuni e biodiversità. La ricchezza si è spostata dal lavoro alla rendita finanziaria. La situazione risulta aggravata dalle attuali politiche in campo. Delocalizzazioni, dismissioni, privatizzazioni, austerità e vincoli di bilancio, riforme di welfare e pensioni, azzeramento dei fondi per il sociale e tagli nei settori dove maggiore è la domanda di servizi pubblici e sociali, hanno aggravato ulteriormente la crisi. Disuguaglianza e ingiustizia sociale ed ambientale stanno mettendo in crisi la nostra democrazia. Una società diseguale, che coniuga svantaggio economico con la mancanza di opportunità, che precarizza i diritti degli esclusi, che difende i privilegi e la concentrazioni della ricchezza nelle mani di pochi, attenta alla coesione sociale e incrementa la sfiducia istituzionale, affossa il principio di rappresentatività e scoraggia la partecipazione. I dati e la situazione di crisi politica fotografano una “guerra” dove la povertà materiale e culturale è la peggiore delle malattie, in senso sociale, economico, ambientale e sanitario. Responsabili e solidali: 10 cose da fare subito insieme nei territori Per noi del Gruppo Abele e di Libera, la costruzione dell'uguaglianza e della giustizia sociale è compito della politica nel senso più vasto del termine: quella formale di chi amministra e quella informale che ci chiama in causa tutti come cittadini responsabili. La povertà dovrebbe essere illegale nel nostro paese. La crisi per molti è una condanna, per altri è un'occasione. Le mafie hanno trovato inedite sponde nella società dell'io, nel suo diffuso analfabetismo etico. Oggi sempre più evidenti i favori indiretti alle mafie che sono forti in una società diseguale e culturalmente depressa e con una politica debole. Partendo dalle richieste e dalle esigenze di chi sta indietro, il Gruppo Abele e Libera promuovono la campagna nazionale Miseria Ladra. Abbiamo 10 proposte concrete libera che vorremmo condividere e promuovere con tutte quelle realtà sociali, sindacali, studentesche, con i comitati, le associazioni, i movimenti, i giornali, le radio ed i singoli cittadini/e, intenzionati a portare avanti le proposte della campagna. Vogliamo impegnarci in tutte le città, con tutte le realtà che ci stanno, a portare avanti gli obiettivi della campagna, incalzando le istituzioni locali e nazionale, aprendole alla partecipazione della società civile e delle tante realtà impegnate sul sociale. Siamo convinti che queste proposte possano sin da subito rispondere concretamente alla crisi materiale e culturale, rafforzando la partecipazione e rivitalizzando la nostra democrazia. La Costituzione ci impegna in tal senso a fare ognuno la sua parte. La lotta alla povertà va ripensata in termini di interdipendenza tra le persone, le specie e all'interno degli equilibri naturali dei nostri ecosistemi. La miseria é opera degli uomini, solo gli uomini possono distruggerla. Aiutiamoci a farlo! le 10 proposte concrete 1. Ricostruire subito ed aumentare il fondo sociale e il fondo per la non autosufficienza; 2. Una moratoria sui crediti di Equitalia e del sistema bancario; 3. Subito i pagamenti delle pubbliche amministrazioni nei confronti di chi fornisce servizi, beni e prestazioni; 4. Agricoltura sociale, risanamento del dissesto idrogeologico, riconversione ecologica dell’apparato produttivo e della filiera energetica, integrazione e inclusione dei migranti. A bilancio complessivo invariato attraverso la revisione dei progetti di alcune grandi opere inutili e i tagli alle spese militari; 5. Sospensione degli sfratti esecutivi; 6. Destinare velocemente il patrimonio immobiliare sfitto nelle città e quello confiscato alle attività criminali per i più bisognosi e ad uso sociale; 7. Riconoscere la residenza presso i municipi a tutti coloro che sono senza dimora e temporaneamente in difficoltà così da accedere ai servizi sociali e sanitari; 8. Reddito minimo di cittadinanza per sostenere il lavoro; 9. Riportare in ambito pubblico i servizi basici essenziali e difesa dei beni comuni; 10. Rinegoziazione del debito pubblico. Per info, adesione e per promuovere la campagna: [email protected] letti e riletti Se nella vostra vita avete avuto a che fare con queste due parole chiave: INTERNET e TERREMOTO, dovete assolutamente leggere il libro di Massimo Giuliani “Il primo terremoto di Internet: L’Aquila: blog, social network, narrazioni del trauma nello show della ricostruzione”, 2012. Non è solo molto emozionante, questo libro, ma è anche illuminante e istruttivo: le testimonianze e le riflessioni sul terremoto a L’Aquila e sul ruolo che internet ha avuto prima della grande scossa e durante la notte della tragedia, si intrecciano alle riflessioni sul senso generale delle nuove forme di narrazione rappresentate dai social network, dai blog, ecc. Il fatto che l’intreccio avvenga a più voci e a più livelli, rende questo libro coerente col fenomeno che vuole raccontare: quello a L’Aquila è stato il primo grande terremoto italiano nell’epoca di internet e in particolare di Facebook; ma è stato anche il terremoto che ha ribaltato alcuni pilastri fondamentali del senso comune come il ruolo di controllo e non solo di aiuto della Protezione Civile guidata da Bertolaso e l’intera impalcatura di menzogne dell’intero sistema informativo televisivo controllato dal berlusconismo. Alla gente che ha visto completamente distrutta la propria esistenza, e che tuttora vive nell’attesa che succeda qualcosa è stato ordinato di non credere a quello che vedeva e di credere a quello che non vedeva. Una rivoluzione più che un terremoto. Il libro è acquistabile su Amazon. Felice Di Lernia [email protected] contro la tracotanza Il clima instaurato dalla politica, di qualunque parte essa sia, si va facendo di aperta intimidazione. Credo però che se non ci fosse di fondo, da parte di noi italiani, una tendenza a farci intimorire, nonché un minimo di interesse per il bene comune (per questo siamo un popolo folle!), ci sarebbe minore tracotanza da parte loro. Racconto, a titolo esemplificativo, un episodio avvenuto un po' di tempo fa, nel corso di una manifestazione. Mi scuserete se non faccio nomi di luoghi e di persone, non per timore, ma perché vi sono coinvolte terze persone che hanno a cuore le sorti di un'attività che, come molte, troppe cose, dipende dalla politica, e non desidero creare problemi a nessuno. Qual- la la fonte dicembre febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fontegennaio marzo 2005 cosa però va detta, e il fatto stesso di essere dubbioso nel raccontare apertamente, con nomi, luoghi e fatti, coinvolgendo chi non so se desideri esserlo, dà l'idea del clima che si è instaurato in questo paese. Tutti segnali inquietanti che fanno capire che ci siamo messi su una brutta china. E facendo gli struzzi non è che risolviamo questi problemi. Insomma, partecipo un giorno a questa manifestazione, in vari anni di attività non s'era mai visto un politico, stavolta invece sì. Viene a presentare una nuova legge, in effetti inerente il tema in discussione in quella serata, e vabbé. Non ci sono state contestazioni, solo una breve e melensa discussione e una dico una - sola legittima domanda fatta per comprendere quando sarebbero divenute effettivamente operative le nuove norme. Subito si è alzata la tensione. Risposta seccata del politico, e immediata chiusura, in anticipo rispetto al solito orario, da parte del moderatore. E buonanotte al secchio! Che tristezza che delle persone impegnate da anni debbano camminare sul filo del coltello, in equilibrio tra il tentare la prosecuzione di valide attività, e il non rendersi proni dinanzi all'arroganza di certa gente. Quando si instaurano certi regimi, fossero pure i peggiori come il nazifascismo, ci sono e ci saranno sempre persone disposte al collaborazionismo, in nome della propria salvaguardia personale. Coloro che instaurano il regime sono sempre persone malate, perché non riconoscono l'altrui umanità, l'altrui bisogno, le altrui emozioni, in un crescendo di crudeltà, di cattiveria, che nel peggiore dei casi, qui da noi in Europa, è sfociata in passato nella shoah. Esagero nel fare certi paragoni? Me lo auguro. Un mio amico prete, commentando la figura di Papa Francesco, ha detto che la sua elezione è stata un miracolo, e che ora che siamo contenti della sua figura ora non lo dobbiamo tradire. Non mi sento pienamente inserito nella istituzione Chiesa per via di miei dubbi, ma ho percepito come mie queste parole. Agli eroismi io non ci credo, per quanto, per fortuna, nei popoli, anche i più oppressi, ci sono sempre persone che emergono e non si piegano e risollevano le sorti. Ma altrettanto valore assumono i nostri piccoli gesti quotidiani: la gentilezza verso il prossimo, anche quello che ci disturba. La disponibilità a collaborare ed aiutare, il mettere al bando l'indifferenza. Piccole cose, che possono renderci tutti più umani, e far sciogliere come nebbia al sole la tracotanza. Gianni Mancino [email protected] 19 spazio aperto mi batto per il lavoro Michele Petraroia Il 31 ottobre mancavano quattro ore al termine di scadenza fissato dalla exCattolica per far scattare il licenziamento definitivo per 45 infermieri. Dopo mesi di tentativi e giornate frenetiche di relazioni, contatti e iniziative, ho fatto un’ultima telefonata a Milano che probabilmente si è sommata alla buona sorte ed è andata a segno. I lavoratori assiepati all’ingresso della Giunta Regionale alla vigilia della festa di ognissanti avevano composto coi lumini dei morti la scritta “45 grazie” che spaccava il buio della notte. Non sapevano come sarebbe andata a finire ma ci avevano riconosciuto l’impegno e la dedizione regalandoci un’insperata emozione in una fase densa di dolori e sofferenze. Negli stessi giorni era piombata in 153 case del Basso Molise la notizie funerea della chiusura dello stabilimento VIBAC di Termoli, lasciando increduli i lavoratori e le loro famiglie. Senza clamori chiamo a più riprese la proprietà della multinazionale ricevendo in cambio battute poco edificanti, con scarsissimi margini di disponibilità a rivedere una scelta assunta con una determinazione degna di miglior causa. Eppure grazie alla collaborazione dei lavoratori, del Presidente della Confindustria, dei sindacati e di diversi amministratori, è stato possibile riallacciare il filo sottilissimo che si era spezzato e nel giro di un mese, grazie al sacrificio dei dipendenti, la situazione si è capovolta con la stipula di un accordo di ristrutturazione che riapre la fabbrica e restituisce il sorriso a 153 nuclei familiari. Due buone notizie dell’ultimo mese che si sommano all’inaugurazione dello stabilimento LAVAZZA a Pozzilli dove il 20 gruppo industriale torinese ha investito milioni di euro per rilanciare la produzione di caffè e garantire posti di lavoro diretti e dell’indotto. In silenzio due grandi aziende allocate nel consorzio industriale di Termoli annunciano progetti di espansione con nuova occupazione stabile e a tempo indeterminato. Mentre il Molise si diletta a dire di no agli immigrati, a dire di no alle mucche, e ad alimentare contrapposizioni anche sulla propria ombra, la Banca d’Italia fotografa nel rapporto economico il crollo del prodotto interno lordo e la drammaticità di una crisi che non si affronta con le polemiche spicciole sollevate ad arte, contro tutto e tutti, da parte degli stessi soggetti che per dodici anni non hanno mai visto, mai sentito e mai parlato su nessun argomento e su nessuna questione. L’approccio più efficace di questa fase deve essere sobrio, competente, teso al massimo coinvolgimento e proiettato alla risoluzione concreta dei problemi. Sarà pure vero che i problemi non si risolvono con gli ammortizzatori sociali ma assicurare a migliaia di famiglie molisane la possibilità la la fonte dicembre febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fontegennaio marzo 2005 di beneficiare di un reddito per soddisfare i propri bisogni essenziali è cosa buona e giusta. Aver ottenuto 15 milioni di euro per cassa in deroga e mobilità in deroga a fronte di 5 milioni che lo Stato ci aveva assegnato nel 2012 ha permesso a 3 mila famiglie di accedere ad un sostegno concreto scevro da filosofie dotte che di solito appassionano coloro che essendo sazi non credono a chi è a digiuno. È stata poca cosa e ne sono consapevole aver attivato 1,2 milioni di euro per l’alta formazione, 1,8 milioni di euro per l’obbligo formativo triennale, 5 milioni di euro per la scuola dell’infanzia e le sezioni primavera nel triennio 2014-2016, 1,4 milioni di euro per la formazione continua e l’aggiornamento professionale degli occupati in favore delle aziende, 1,1 milioni di euro per la stabilizzazione dei precari, 1,9 milioni di euro per l’assistenza ai non autosufficienti, 2,3 milioni di euro nel riparto ai 7 ambiti territoriali di zona dei fondi per le politiche sociali, 2,2 milioni di euro sulla legge 98/2013 di messa in sicurezza degli edifici scolastici, 1,5 milioni di euro sull’apprendistato professionalizzante, 220 mila euro sui tirocini estivi più i 3 milioni della quarta annualità del bando giovani al lavoro che andrà in pubblicazione entro metà dicembre insieme a 1,9 milioni di euro per il credito d’imposta in favore delle aziende che trasformano i rapporti di lavoro da precari a tempo indeterminato. Questi atti insieme alla condivisione delle difficoltà per le casse straordinarie scadute e rinnovate, per le liste di mobilità, la disoccupazione in deroga ed i progetti di tutela sociale delle fasce fragili, non rappresentano la soluzione ai problemi della regione, ma attestano la concretezza di un cammino efficace e la volontà di resistere di un territorio che vuole vivere e che intende superare la crisi devastante di questi anni. L’arte di Tafazzi in cui il Molise eccelle, in una competizione sfrenata e trasversale che unisce nostalgici e volpi che non avendo mai acciuffato l’uva asseriscono che è acerba, non apre spiragli né prospettive per la nostra terra. Occorre umiltà, lavoro, impegno e capacità d’ascolto, per distinguere il grano dal loglio e costruire tra mille contraddizioni e tanti errori un percorso possibile per un Molise attrattivo, competitivo, solidale ed equo. ☺ [email protected] chiese un contributo all’unità Fra i tanti anniversari che quest’anno si possono ricordare, vorrei presentarvi l’anniversario dei 150 anni della Chiesa evangelica metodista di Verbania-Intra, in Piemonte, sul Lago Maggiore. Con questo intenGiovanni Anziani to presento innanzi tutto il quadro sommario Però la dura reazione del cattolicesimo giustizia e libertà. della storia italiana nella metà dell’800. del tempo fermò il movimento evangelico. Gli Innanzi tutto giustizia per un tempo In quegli anni l’Italia sarà segnata da evangelici osteggiati dovettero modificare il di pace durante gli anni del conflitto e della un evento significativo: inizia il Risorgimenloro progetto. Così a cavallo del XX sec. iniemarginazione. Poi un impegno per la liberto. Il congresso di Vienna aveva dato all’Italia ziano a diffondersi nel Paese diverse iniziative tà dalla ignoranza, ed ecco le scuole per una nuova sistemazione politica: la penisola a carattere sociale. Ed ecco l’apertura della vincere l’analfabetismo; libertà dalla supervenne divisa in dieci stati e l’Austria venne a scuola a Intra (1864) per oltre 80 bambini e poi stizione, ed ecco lo studio della Bibbia; rappresentare il garante della Restaurazione. l’opera di predicazione che tocca le sponde del libertà dalla povertà, ed ecco le opere per i Il frazionamento del paese e l’egemonia auLago creando sale di culto. più emarginati. striaca fecero emergere il problema Nel 1882 a Villadossola viene aperto Ed oggi? Innanzi tutto si è ben condell’indipendenza nazionale. Pochi di numeun asilo chiamato “ricovero sapevoli di non vivere più nel tempo del ro e strettamente sorvegliati, per bambini poveri”; quest’ conflitto. Il tempo della pace è giunto. Vi è il i patrioti liberali italiani si opera nasce perché vi erano tempo del confronto, ma con una caratteriorganizzarono in società dei bambini rimasti orfani e stica particolare: occorre riaprire il dialogo segrete. nel 1885 si decide di trasferire soprattutto interreligioso per una predicazioNegli anni quaranta questo istituto assistenziale ne evangelica rinnovata. si affermò l’idea di una traproprio a Intra. Nasce così un Così nel ricordare l’anniversario sformazione graduale conistituto intitolato all’educatore dell’inizio dell’opera delle chiese metodiste dotta dagli stessi sovrani. I svizzero Giovanni Pestalozzi del Lago Maggiore ci si è chiesti quale ruolo moderati, in gran parte piecon sezione maschile e femsvolgere nel XXI sec. e si è cercato di trovamontesi, rivolsero le loro minile. re questa risposta: non preoccuparsi di salvaaspettative a Carlo Alberto. Il giorno 8 settembre 1893 guardare una pietà religiosa personale, ma Ma l’evento decisivo verso viene inaugurato il nuovo continuare ad operare nella società perché la l’unità fu la spedizione dei complesso comprendente la giustizia possa produrre la pace e la libertà Mille, al comando di GariChiesa, due edifici (uno per possa produrre la speranza nel futuro. baldi e la liberazione degli l’ala femminile e l’altro per Negli ultimi anni, oltre al dialogo stati meridionali. Il 18 feb- Chiesa Evangelica Metodista di Intra l’ala maschile), i locali della ecumenico e interreligioso con i musulmani, braio 1861 si riunì a Torino scuola e ampi laboratori al piano terreno per è stato possibile iniziare un nuovo lavoro il nuovo parlamento che votò la proclamaziol’apprendimento dei mestieri (soprattutto falesociale nel fabbricato che anticamente ospine del Regno d’Italia. gnameria e calzaturificio), un grande giardino tava i bambini poveri della zona: l’Istituto Questi eventi ebbero un’eco sia negli interno. evangelico come casa di seconda accoglienStati Uniti d’America sia in Gran Bretagna e Perché questi ricordi? Certamente za per famiglie immigrate. ☺ in particolare negli ambienti evangelici. Ben [email protected] sono eventi che fanno parte della storia del presto le diverse società missionarie inviaronostro Paese e del Risorgimento in particolare, no dei pastori per dare un contributo di impema quale il motivo di celebrare un anniversami abbono a gno agli ideali del Risorgimento. A loro si rio dopo 150 anni? Una ragione riguarda la unirono i valdesi. Questi dopo il 17 febbraio la fonte caratteristica delle comunità protestanti italia1848, con il riconoscimento di alcuni diritti ne: la perseveranza nella predicazione perché civili, si spinsero fuori dalle loro valli per dell’Evangelo! Una predicazione che non è portare il messaggio evangelico in particolare voglio lottare tutto l’anno rinchiusa nel discorso religioso, ma raggiunge a Palermo e a Napoli. la vita e la storia delle Possiamo dire che dal 1861 iniziò il tante persone. vero movimento evangelico in Italia con I predicatori questo particolare obiettivo: il risorgimento dell’800 non si preocdel Paese sarebbe stato possibile se accanto ci cuparono dei riti e delle fosse stato l’annuncio dell’Evangelo quale liturgie, ma si preocculibertà dalla ignoranza e dalla superstizione. parono delle persone e All’interno di questo movimento si colloca del loro futuro. Due l’azione del pastore metodista inglese Henry parole furono a guida di James Piggott il quale nel 1863 opera nella quella predicazione: zona del Lago Maggiore. la la fonte dicembre febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fontegennaio marzo 2005 21 incontri prigioniera delle sue prigioni Federico Pommier Vincelli In un momento in cui il tema dell'amnistia torna al centro del dibattito pubblico, “Come il vento”, di Marco Puccioni, dedicata alla storia vera di Armida Miserere interpretata da una eccellente Valeria Golino, offre una prospettiva nuova sul pianeta carcere. Per una volta non sono i detenuti a essere protagonisti, ma chi fa funzionare questi luoghi, e in particolare una donna che, quasi sempre sola in un mondo integralmente maschile, ha diretto tra gli anni ottanta e duemila alcune tra le più importanti carceri italiane: Lodi, Opera, Pianosa, Ucciardone, Sulmona. Una storia intensa, dura, raccontata con rigore stilistico e fedeltà alla cronaca, ed in cui la dimensione pubblica (il giudice Caselli, il mafioso Brusca) si intreccia drammaticamente con la vicenda privata di una personalità forte e fragile allo stesso tempo. Il film racconta in forma circolare la carriera di Armida nei vari penitenziari, attraversando 15 anni di storia italiana in cui la criminalità organizzata attaccò frontalmente lo Stato, e ruota attorno al suo legame sentimentale con Umberto Mormile, l'operatore carcerario ucciso in un agguato dalla 'Ndrangheta nel 1990 a Milano. Da allora la vita della Miserere non è stata più la stessa e il dolore per la perdita dell'uomo con cui aveva sognato di costruirsi un futuro normale, e con cui aveva anche concepito un figlio mai nato, l'ha accompagnata sino al suicidio, avvenuto la sera del Venerdì Santo del 2003. La sequenza finale è di grande impatto emotivo e la meticolosa preparazione dell'ultimo atto viene rappresen- 22 tata in parallelo alle immagini vere della processione del “Cristo morto” di Sulmona, in una riuscita commistione tra finzione e cinema del reale. Eros e Thanatos avvolgono il film dall'inizio alla fine, con lo sfondo carcerario che fa da scenario costante al tormento della protagonista, con gli amici che cercano invano di lenire la sua sofferenza, con la delusione per altre relazioni amorose fallite, con la dedizione al lavoro e il senso del dovere che si scontrano con un sistema che lascia Armida sempre più sola. Emerge anche la complessità della concezione di carcere che aveva la Miserere: da una parte democratica e orientata ai diritti del detenuto (significativo il passo in cui fa allontanare dal carcere di Pianosa gli agenti che picchiavano i carcerati); dall'altra severa e inflessibile nel rispetto delle regole (“non sono la direttrice del Jolly hotel...il detenuto deve fare il suo mestiere”) e che le costarono continue minacce e intimidazioni, tanto che le fu assegnata per lungo tempo una scorta. Valeria Golino, che ha rinunciato ai suoi occhi blu e ha messo delle lenti per interpretare Armida, offre una prova di grande intensità e credibilità che le è valso anche il premio come miglior interprete italiano al recentissimo Festival di Roma. Dimostra qui la sua piena maturità artistica ed è affiancata da attori di spessore: l'istin- la la fonte dicembre febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fontegennaio marzo 2005 armida tivo Filippo Timi, che impersona Umberto Mormile, il misurato Francesco Scianna, l'amico magistrato, e Chiara Caselli, la collega che raccoglie le sue confidenze. Belle e adeguate anche le musiche del giapponese Shigeru Umebayashi, già autore di colonne sonore per grandi maestri del cinema asiatico come Zhang Yimou e Wong Kar-Wai. Il regista Puccioni, che firma la sceneggiatura insieme a Nicola Lusuardi e Heidrun Schleef (coautrice de “La stanza del figlio” e del “Caimano” di Nanni Moretti), ha scelto una chiave narrativa molto precisa, incentrando il nucleo del film sull'inquietudine di Armida e sulla costante ambientazione carceraria. Una coerenza scenica che si sofferma poco sulla sua vita fuori dal carcere e forse toglie qualcosa alla profondità della figura di Armida, al suo saper essere anche solare e ironica. La ricordano così molte persone che l'hanno conosciuta a Casacalenda, paese di cui era originaria e dove passava gran parte del suo tempo libero. Un aspetto questo che invece è approfondito nella biografia scritta dalla giornalista Cristina Zagaria (“Miserere. Vita e morte di una servitrice dello Stato”). Proprio al rapporto di Armida con il Molise inoltre è dedicato un docucorto realizzato dallo stesso Marco Puccioni e promosso da MoliseCinema, Molise Film Commission e Regione Molise, in occasione della presentazione del film a Casacalenda lo scorso 16 aprile e che contiene le interviste a suoi cari amici molisani. Nonostante alcuni limiti “Come il vento”, terzo lungometraggio di Puccioni, è un'opera che colpisce e commuove e che ha il merito di riscoprire la figura di una donna che ha dedicato la sua vita ai valori della legalità e a un'istituzione come il carcere che tutti tendono a rimuovere e che invece è un luogo con cui la coscienza civile deve sempre confrontarsi. E dopo i titoli di coda appare forte la sensazione che fosse proprio Armida la principale prigioniera della sue prigioni.☺ [email protected] incontri miserere Parma 5.4.84 Antonio carissimo, è una giornata triste, forse solo perché piovosa, forse solo perché avrei voglia di parlare con qualcuno. Mi sento un po’ sola, mentre fino a ieri respiravo un’aria finissima, che aveva i colori dell’entusiasmo e della libertà. Fondamentalmente, tutto è rimasto invariato, anche se oggi è stata una giornata “oscura”, forse solo all’insegna del nervosismo. Ora va meglio. Alle 19 andrò in palestra e poi fuori a trovare alcuni compagni di lavoro con i quali credo valga la pena tentare di costruire un rapporto. Sono a casa ad ascoltare Beethoven, e forse ti stai chiedendo dove voglia arrivare, forse solo a parlare un po’ di me, di ciò che sono, di ciò che vivo, di come mi senta “intera” eppure affettivamente demotivata, distante da Casacalenda, da Roma, da tutto quanto abbia a che fare con il passato recente o remoto. Può darsi che io mi stia barricando, può darsi mi stia difendendo da tutto quanto mi ha causato dolore. Ero caduta in un pesante torpore: non solo ero demotivata affettivamente, ma, molto più tragico, non riuscivo a vedere oltre lo squallore che mi circondava. Ho riacquistato il coraggio di guardare avanti e intanto ho cercato di dare senso al mio studio, al mio lavoro. Da questo punto di vista sono soddisfatta, con un entusiasmo che ormai credevo di aver perduto ho ripreso i contatti con l’università, con gli studenti, con la scuola di specializzazione. Sono stata ad un incontro a Bologna fra direttori e segretariato di Martinazzoli. Ho conosciuto gente nuova che mi ha dato della politica una visione umana, un quadro, all’interno del quale muoversi, accettabile. Parma mi ha dato molto, mi ha offerto innumerevoli spazi e, per il momento, non intendo abbandonarla. Io, nomade, irrequieta, sempre in cerca del “centro”, sto dicendo a me stessa che ho intenzione di fermarmi. Per ora, fermarmi a Parma. E non è tutto. Il carcere è un mondo a parte, ricco di attività fortemente sociali: può la difficile scelta essere una tomba per sepolti vivi, oppure può vivere, palpitare, muoversi e rinnovarsi; dipende dal direttore dargli un’impronta vitale. Un direttore titolare deve essere reperibile 24 ore su 24, deve essere il direttore sempre. Per un direttore uomo, stante certa cultura, è facile, non si pone il problema della “casa”, degli affetti; la moglie segue il marito, oppure svolge una attività che le consenta la vita privata. Eterno problema. Un direttore donna sceglie di essere un direttore oppure una donna. Essere un direttore significa vivere obbligatoriamente all’interno, essere presente in istituto sempre, ritirarsi in casa a tarda sera o comparire di notte per una ispezione. Non sto esagerando Antonio e quanto ho scritto è solo una minima parte di ciò che già vivo. Alla fine di luglio scadranno i 6 mesi di prova, ed il ministero deciderà della mia vita, forse. Qualche giorno fa l’ispettore distrettuale è venuto ad ispezionare i nostri istituti. Ha parlato un po’ con me. (Tra l’altro già lo conoscevo, lo incontravo spesso a San Vittore). Mi ha chiesto cosa intendessi fare, istintivamente ho risposto “il direttore”. E lui mi ha detto che avevo due possibilità: fare il vicedirettore a vita, probabilmente frustrata dal punto di vista professionale, realizzata dal punto di vista umano. Oppure potevo essere un direttore, certo rinunciando agli affetti più pregnanti della mia vita privata. Ho concluso dicendo che certo avrei scelto la titolarità di un istituto, non avrei studiato tanto, non sarei un criminologo, non sarei stato tanto al lavoro. Comunque avrò tempo fino a luglio per risolvere i miei eventuali conflitti. Se di scelta si tratta oggi la sento distante, sento il mio impegno, il mio coraggio, sono restia a coinvolgere altri nei rischi della mia vita. Ho molto lottato per arrivare dove sono arrivata. Mi sento intera proprio perché posso continuare a studiare, a ricercare, ad essere cioè un criminologo. Ed in questo entusiasmo per i miei studi, le scoperte, i contributi tangibili alla vita sociale, tutto quanto è accaduto e forse ancora accade mi si manifesta estraneo, privo di significato, mentre significativa è Casaca- la la fonte dicembre febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fontegennaio marzo 2005 lenda avulsa dalla sua gente, significativa la mia casa in quel paese, e di entrambi provo nostalgia e tenerezza. Sento che non mi interessa trovare il “capo di quel filo”, sento che non mi interessa chiarire, spiegare, giustificare. Il tutto è troppo diverso da me, troppo lontano. È come se fossi troppo distante anche da …, è solo una sensazione, ma è come se gli rimproverassi qualcosa, ancora oscuro, forse sono io a non essere in grado di amare e offrire. Sì, forse è così, il mio amore è troppo intellettuale e vive benissimo nell’assenza, mentre l’amore è fatto di offerte, di presenze, di quotidiano. Probabilmente ho terrore di essere “incastrata”, imbavagliata, o forse è solo paura di perdere ciò che amo così, in partenza rinuncio ad amare, ad avere, offrirmi è sempre pericoloso, forse ho paura di soffrire ancora perché sono stanca di soffrire, di essere delusa o amareggiata. Mi sento intellettualmente sola, spesso anche con … anche se non riuscirò a dirglielo. … mi ama molto, anche … mi amava molto e mi ama molto. Forse non ho saputo amarlo come non riesco ad amare … Forse è meglio che mi interrompa qui. Il bianco del foglio è come se fosse colmo di pensieri che certo intuisci senza necessità di essere trascritti. Ti abbraccio. A presto. La decisione di rendere pubblica questa lettera che risale al 1984 è dovuta al fatto che può essere un utile contributo per una più proficua e profonda comprensione del film come il vento. Il dramma vissuto e raccontato della non semplice scelta tra lavoro e sentimenti o del come interpretare il lavoro ci restituiscono una Armida vera, reale, che finirà per soccombere nel tragico epilogo di quel venerdì santo del 2003 quando pose la mano su di se. Antonio Di Lalla 23 pillole di lupo speranza è natale Z’ Vassilucc’e La personificazione della speranza veniva venerata nell’antichità classica come una divinità e rappresentata in piedi, con un bocciolo di fiore nella mano destra e la veste sollevata sul fianco sinistro. Nella logica dei "vagabondi della vita", sperando di non irretire la dea, appare ovvio che quella veste sollevata sul fianco faceva, e faccia, sperare nello sbocciare e donarsi del fiore nascosto della dea. Nei luoghi comuni e nelle fantasie più accese, difatti, il figlio possibile incarnava la speranza di rigenerarsi. Il termine speranza deriva dal latino exspectare (aspettare), composto di ex (da, fuori) e spectare (guardare) che è un verbo derivante probabilmente dal tardo latino sperantia. Il verbo spērare deriva da spes e significa sperare che si avveri qualcosa di positivo, aspettare, auspicare, augurarsi, confidare, contare ... sì, sognare, ovvero "tendere verso qualcosa”. Il senso etimologico esteso di speranza è ancora più significativo perché vuol dire “abbracciarsi”, cioè contare sulle intuizioni del proprio cuore. Quando una persona esce dalla propria sicurezza (dal proprio cuore) e tutto viene a crollare nella propria vita, ecco che lì, allora, deve avere speranza, cioè diventa necessario abbracciarsi e tornare dentro di sé per confidare ed aver fiducia in sé stessi e che quella cosa di positivo verrà a sé. Forse per questo il simbolo della speranza è l’ancora. Leggendo tratti della biografia di quel prete di Torino, Don Bosco (bollettino salesiano-Settembre 2013 pagg.4 e 5), ho scoperto che affermava "...ciò che sostiene la pazienza deve essere la Speranza. Questa ci sorregge, quando la pazienza vorrebbe mancarci". Ma pazienza, aggiungeva "...vuol dire 24 patire, tollerare, soffrire, farci violenza: se non costasse fatica, non sarebbe più pazienza". Pazienza è la necessaria calma, costanza, assiduità, applicazione senza sosta nel fare un'opera o una qualsiasi impresa e si coniuga in modo intrinseco con la Speranza che il proprio patire ha in sé il seme del nuovo, del cambiamento certo "oltre ogni speranza", cioè, che il tentativo, non indolore, si risolverà favorevolmente. Le parole non fanno altro che cercare di descrivere dei processi puramente interni che si esteriorizzano nella vita di tutti i giorni, in interazione con gli altri umani e con tutte le cose che stanno fuori di noi, e costituiscono la nostra esperienza percettivo-esistenziale. Sebbene le parole tra una cultura e un’altra cambino contesti e, spesso, il significato, è importante decifrarne il senso reale-scientifico da quello comune ascoltando "il percettivo"; altrimenti, beh, altrimenti utilizziamo in modo improprio il linguaggio e quindi non ci capiamo e non ci ascoltiamo. Le persone comprano di tutto. Altri uccidono. Poteri e stati fanno altrettanto. Le religioni e le fedi molto spesso sono funzionali e speriamo che uomini, poteri, stati e fedi cambino. La scuola, nonostante una percentuale ridottissima ormai, non educa, ma impone (la logica fraintesa del mazze e panelle); in verità, mi pare non faccia neanche più questo, ne dà informazioni adeguate al momento storico. Un collegio docenti è disattento e connivente con la disfunzione, un consiglio comunale litiga sui regolamenti, ... e speriamo che tali situazioni cambino. Beh, nella logica dei "vagabondi della vita senza padroni e senza padrini", è questo che uccide inesorabilmente la Speranza la la fonte dicembre febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fontegennaio marzo 2005 ovvero che qualcosa possa cambiare nella mia vita e nel mio quotidiano aspettando che altri la facciano cambiare! Terribile! e... tutti i responsabili, compreso colui che "spera", molto spesso ne sono pure inconsapevoli (colpa grave!) e non vengono mai perseguiti; e ieri come oggi basta sacrificare il Galileo di turno; e ieri come oggi ci saranno proseliti dei vari Galilei, ma si metteranno allo stesso tavolo del ricco epulone. Allora? Non c'è più Speranza? Ecco il crocevia! La Speranza non è disperazione ed essa non può essere riposta in una aspettativa neutra, disattenta e delegata, perché non sarebbe più tale. La Speranza è la paziente convinzione che verrà il tempo in cui l'arcobaleno si innalzerà nei cieli per annunciare la fine della tempesta; ma se è vero che "madre natura" procede con leggi che spesso ci ricordano di non deturparla, altrettanto vero è che in democrazia e nella nostra esistenza quotidiana, noi possiamo e dobbiamo alimentare la Speranza che i sogni si possano avverare, ma senza delega e consapevoli che io posso farcela si, ma non aspettando che gli altri cambino e soprattutto mettendo in conto che sarà necessario "patire... sperando" e "sperando, patire nella ricerca e nell'attesa", consapevoli che molto spesso l'oggetto di speranza lo ritroviamo talvolta dietro la porta, sicuramente nel nostro cuore ...e forse, per molti è una certezza, nella culla del Galileo nato a Betlemme! ☺ [email protected] mi abbono a la fonte perché se no che natale è? le nostre erbe l’edera Gildo Giannotti L’edera (Hedera helix L.), della famiglia delle Araliacee, è una liana rampicante, legnosa, diffusa nei luoghi ombrosi ed umidi, particolarmente nel sottobosco, dove ricopre abbondantemente i tronchi degli alberi. Spesso riveste muri e facciate di case e ville, a cui si aggrappa tenacemente con le sue radici avventizie. Ed è proprio da queste piccole radici che ha origine il suo nome scientifico, derivante dal termine latino adhaereo (= aderire, aggrapparsi), e dalla parola greca helisso (= avvolgersi intorno ad elica, a spirale). Va precisato che le piccole radichette hanno esclusiva funzione di sostegno e non traggono nessun nutrimento dalla pianta alla quale si aggrappano; quindi, contrariamente a quanto sostengono alcuni, l’edera non è una pianta parassita. L'edera è anche largamente coltivata dall’uomo, che ne ha selezionato moltissime varietà, le quali differiscono tra loro per la forma, il colore - a volte variegato, più spesso un bel verde scuro -, e la dimensione delle foglie. A tal proposito, si ricorda il fenomeno dell’eterofillia: esso si verifica tutte le volte che una pianta produce foglie di forme diverse ed è conosciuto anche come dimorfismo fogliare. In particolare, sulla pianta dell’edera possiamo trovare ben cinque forme di foglie diverse l’una dall’altra. Attenzione però ai frutti dell’edera, quelle piccole bacche nerastre o giallognole, particolarmente tossiche: la loro ingestione, insieme a quella delle foglie, può provocare disturbi di varia natura, in particolare a carico dell’apparato grastrointestinale. Tuttavia le foglie possono essere usate in fitocosmetica nel trattamento della cellulite. Fino a qualche decennio fa, c’era l’usanza di appendere frasche di edera sull’uscio delle cantine per segnalare la mescita del vino; ma in particolare a Bonefro, per questo scopo, veniva usato anche un ramoscello di una qualsiasi altra pianta. Narra una leggenda che l’edera comparve subito dopo la nascita di Dioniso, affinché fosse protetto dal fuoco che bruciava il corpo della madre, dovuto ad un fulmine lanciato da Zeus. Ma fin dalla sua comparsa, essendo una pianta rampicante che cresce abbarbicandosi ai tronchi degli alberi, l’edera ha ispirato soprattutto riferimenti all’amore e all’amicizia, divenendo simbolo di fedeltà e affetto perenne, oltre che di longevità. Si racconta infatti di alcuni esemplari vissuti 400 anni. Come il garofano, la margherita, la quercia, l’ulivo, un tempo simboli di partiti politici, così anche l’edera si è ricavata un suo spazio, quale emblema del Partito Repubblicano Italiano. I lettori un po’ più avanti negli anni ricorderanno poi la famosa canzone L’edera portata al successo da Nilla Pizzi. Con l’avvicinarsi del Natale si comincia a pensare anche a come decorare la propria casa per celebrare adeguatamente le festività. Da sempre, per realizzare ghirlande o centrotavola si usano pungitopo, agrifoglio e vischio. Ma per preparare delle piccole coroncine da appendere sui muri o sulla por- ta, oltre che rametti di rosmarino e di alloro, si possono utilizzare, allo stesso modo, dei rampicanti di edera. Questi, alla giusta temperatura dei nostri ambienti, hanno il pregio di riuscire a durare più a lungo. La tradizionale ghirlanda, appesa alla porta di casa o usata come centrotavola, è un bel modo per dare il benvenuto e creare atmosfera natalizia. Costruire una piccola ghirlanda con edera è molto semplice: basta arrotolare i rametti tenendoli insieme con un nastro bianco o colorato, oppure con dei fiocchetti. Questa consuetudine non è recente: già nell’antica Roma c’era l’usanza di scambiarsi doni tra parenti e amici. Si trattava, in genere, di semplici rami di piante sempreverdi, considerati portafortuna, colti nei boschi cari alla dea Strenia. Da ciò il costume di definire “strenne” i regali natalizi. Anche Charles Dickens, nel suo noto romanzo Canto di Natale, descrive una stanza addobbata da ghirlande, fasci di agrifogli e altre piante tipiche del Natale, fra le quali compare l'edera. ☺ [email protected] Via Marconi, 62/64 CAMPOBASSO la la fonte dicembre febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fontegennaio marzo 2005 25 natale la sovversiva di nazareth In una casa della piccola città di Giuda, io, ragazza madre, un giorno intonai un vibrante inno di riscossa; non portavo cartelli appesi al collo, non alzavo minacciosi pugni al cielo, né ero portabandiera di ideologie sovvertitrici, ma le strofe che sgorgarono dal mio cuore cantavano liberazioni profonde e annunciavano che i potenti sarebbero stati rovesciati dai troni e sarebbero stati innalzati gli umili, mentre i ricchi sarebbero stati privati dei loro beni. Il figlio che mi nacque si rivelò del mio stesso stampo; rivoluzionario senza armi, conquistò il mondo; a lui si accodò gente della peggiore risma: gabellieri, prostitute, lebbrosi, indemoniati, risuscitati… Gli fui sempre accanto, anche quando venne condannato quale bestemmiatore e destabilizzatore dell’ordine costituito. Inchiodato in croce come un malfattore, quando tutti si diedero alla fuga, seppure il cuore mi scorreva in mille rivoli, stetti in piedi sotto il patibolo, impavida e resistente a fissare il dolore senza distoglierne lo sguardo … Fra poco è Natale e ancora una volta l’immaginario collettivo, ricollocandomi in una Betlemme di cartone, farà di me una mammina dolce e bionda, vestita di rosa e di azzurro, con il capo reclinato in posizione di sudditanza, mentre io, Maria, ero la donna forte, una donna non neutrale ma di parte, come il Dio biblico; schierata senza ambiguità dalla parte dei senza diritti e dei senza voce, di tutti coloro, insomma, che non contano niente agli occhi della storia, contro chi mantiene situazioni di ingiustizia, di sfruttamento e di profitto perpetuando indigenza, discriminazione ed esclusione… Sono passati duemila anni e più da quella mia salmodia di fuoco ma io aspetto ancora che la profezia diventi realtà: che gli oppressi siano liberati, che nuove siano le sorti dei poveri e che mai alcuno confidi più nei potenti. ☺ Carolina Mastrangelo [email protected] le scarpelle di natale Lunghe, soffici, dorate sono le scarpelle di Natale, pasta di pane lievitata e fritta. Antica tradizione di paese, si trovano al forno, al supermercato, si consumano come pizza e panini. 26 Ma una volta avevano un valore aggiunto. Si facevano in casa ed era un rito. Iniziava col trambusto dell’impasto, si aspettava che il pane lievitasse. Poi sul fuoco una gran padella e la pasta tirata ad elastico era immersa nell’olio bollente. Rigonfie, fumanti nascevano friggendo le scarpelle. I bimbi intorno saltellavano lieti. Al tavolo i parenti le gustavano con un bicchiere di vino novello. Un vociar allegro ed era festa. La famiglia unita e solidale. Sul buffet un presepino di muschio e cartapesta. la la fonte dicembre febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fontegennaio marzo 2005 Immaginiamo la fraternità come un cantiere aperto in cui ogni uomo è convocato. Un cantiere per adulti responsabili, la cui definizione la assumiamo da Maslow: “colui che risponde di sé, risponde degli altri, risponde del mondo”, mentre risaliamo, in breve, alle radici della cultura cristiana. Risponde di sé Il racconto evangelico del samaritano (Lc. 10,25) ci mette davanti a risposte diverse. La responsabilità o prossimità positiva non è definita dalla logica dell’affinità o dell’appartenenza (religiosa, nazionale, ideale, ecc.) che avvolge l’altro, bensì dallo stato di bisogno in cui egli versa. Il paradigma dell’essere umano, nella sua realtà costitutiva e profonda, sta nell’essere di bisogno che grida e attende aiuto. Prima che dotato di valore e di poteri, al di là delle apparenze, l’uomo si rivela come essere inerme e bisognoso: il bimbo appena nato è attesa ed invocazione di protezione e di tenerezza, é il rappresentante dell’alterità nuda e radicale, paradigma del volto che si sottrae al dominio dell’io paralizzandone i poteri e giudicandolo. La parabola custodisce un senso abissale: dal silenzio del corpo di quel malcapitato di cui non si conosce il nome, si innalza una voce che, interrompe il cammino dei passanti e li convoca ad una responsabilità indeclinabile: rispondere positivamente a quel grido, assumendolo nella compassione, oppure negarvisi restando avvinghiati al proprio io. Di qui la parabola dischiude al significato ultimo e sconvolgente, soprattutto per coloro che si professano credenti: il luogo dove Dio mi parla e mi incontra, convocandomi alla responsabilità, giudicandomi, è l’altro nel suo essere di bisogno, l’alterità nella irriducibilità al desiOggi i tempi sono cambiati. Altri gusti, altri svaghi. Ma nelle fredde sere di dicembre una scarpella ben calda ristora mette buonumore. E quel sapore di pane antico sa di ricordi familiari e cari. Quei volti gioiosi nell’attesa del Natale hanno la speranza della buona Stella, lo sguardo fidente dei pastori di Betlemme. Lina D’Incecco etica il cantiere della fraternità Silvio Malic derio dell’io e dei suoi progetti. Dov’è Dio? Dove incontrarlo? “Non sta tra i conoscitori della sua identità, non sta nelle istituzioni che lo rappresentano, é là dove nessuno se lo aspetta: chi non è niente lo ospita e lo designa... il nuovo testamento ha dislocato Dio trasferendo il suo habitat dal tempio al corpo di Gesù” (Midrash Rabbà). L’etica della responsabilità è innanzitutto l’etica della compassione. “Dobbiamo imparare a valutare gli uomini più per quello che soffrono che per quello che fanno o non fanno … Dio non ha disprezzato gli uomini, ma si è fatto uomo per amor loro” … Far diventare eloquente la sofferenza è condizione di ogni morale universale; comincia forse qui la crisi radicale della morale europea ed occidentale. Se il nostro mondo sarà un paesaggio multiculturale in fiamme o fiorente, se l’Europa sarà un paesaggio di pace o lo scenario di una escalation di guerre civili, dipende dal successo di una tale morale della sofferenza” (D. Bonhoeffer, Resistenza e Resa). Risponde degli altri Farsi carico dell’inimicizia senza mai perdere lo sguardo sulla persona. Scriveva E. Hillesum: “La massa è un terribile mostro, i singoli individui fanno compassione. Ma ho dovuto costatare in me stessa che non esiste alcun nesso causale fra il comportamento delle persone e l’amore che si prova per loro. Questo amore del prossimo è come l’ardore elementare che alimenta la vita”. Essere responsabili dell’inimicizia dell’altro, assumendola e rispondendo ad essa non con il male ma con il bene (Rm, 12,20) è l’apparizione ultima e radicale della bontà come gratuità, come asimmetria, come messa in disparte della priorità dell’io e come priorità dell’altro. Dove l’io compie l’impensabile esodo dal suo io all’altro e, fuori dalla logica dell’essere, la logica dell’automantenimento e dell’autopersistenza, entra nell’altrimenti che essere: la logica della grazia e del disinteressamento. La bontà è il vero futuro che si apre all’uomo, l’avvenire degno di questo nome e portatore di novità. Per il Nuovo Testamento il perdono è il principio di ricostruzione del mondo, perché potenza capace d’infrangere la logica della violenza che irretisce la storia umana e delle relazioni umane. La giustizia e l’agire secondo l’orizzonte del “è giusto” non solo non si oppone all’amore ma ne è la vera instaurazione: la giustizia è l’amore che raggiunge l’altro; è la messa in opera di leggi e istituzioni adeguate nelle quali si oggettiva il principio bontà o misericordia senza cui l’umano precipita nel caos. Nella propria libertà si inscrive l’ethos della bontà, che, quale evento della soggettività responsabile, ha bisogno delle pietre dell’oggettività - istituzioni e leggi - in cui incidersi, conservarsi e tramandarsi. Nelle ore buie della storia solo istituzioni giuste, salde e democratiche possono arginare la barbarie che minaccia l’umanità e risvegliare le coscienze alla loro responsabilità indeclinabile. Risponde del mondo Il mondo, per la Bibbia, non è ostacolo per l’uomo, né è solo una tappa, né tentazione; semplicemente è l’oggettivarsi dell’ amore creatore che da Dio proviene all’uomo e dall’uomo giunge all’altro uomo. Non viene nascosto il negativo che sconquassa il mondo ma é addebitato alla mancata responsabilità dell’uomo. A differenza della grecità che lo ha celebrato come cosmos, pienezza di armonia e di forma, la Bibbia lo ritiene in-compiuto, dove il caos ancora attende di essere debellato. Responsabilità è compiere l’in-compiuto del mondo, immettendovi l’amore di Dio che è “comandamento”. Redimere il mondo facendolo passare da parola fermata (Sartre) a parola dotata di senso, portare al termine la creazione che, per Paolo, nelle doglie del parto attende ancora di venire pienamente alla luce. La creazione più che ordinazione del caos è apparizione di un nuovo ordine: l’ordine del bene su tre livelli. Il primo è definito dal bisogno umano. Il mondo è adeguato al bisogno umano; non è deserto, spazio vuoto o res extensa dove l’unico senso é quello che l’uomo vi iscrive con la sua progettualità, come vuole la modernità, bensì è oikòs cioè casa. L’esperienza biblica del mondo è quella dell’accasamento o terra dei padri, metafore dello spazio riconciliato tra la la fonte dicembre febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fontegennaio marzo 2005 l’uomo bisognoso e il mondo capace di rispondervi. Il secondo livello di bontà è definito dal mondo in se stesso. Come l’albero è buono non perché serve all’uomo ma in se stesso. La bontà è sinonimo di bellezza; l’agathos (buono) è kalòs (bello). Il terzo livello di bontà, unico della bibbia, è definito non dal rapporto al bisogno umano (utile) né dal mondo in rapporto alla sua forma (bello) bensì in rapporto a Dio che lo fa essere chiamandolo dall’inesistenza all’esistenza: buono perché proveniente da una bene-volenza. La terra è di Dio, modello che oltrepassa il mito della terra madre (causa dei nazionalismi) e quello della conquista (causa delle guerre); poiché di Dio l’uomo può risiedervi come forestiero e come pellegrino. In qualsiasi momento bisogna essere pronti a mettersi in cammino (nomadismo): distacco come antidoto al possesso. Il rapporto con il mondo non si istituisce nella linea dell’ appropriazione e del possesso ma su quella dell’ospitalità e dell’accoglienza. Lo spirito che esprime questa relazione al dono gratuito è la bene-dizione. Essa ritrascrive la logica dell’eden dove tutto è per l’uomo purché tutto resti di Dio. Risposta originaria al dono é la ri-conoscenza nel duplice significato di una nuova conoscenza e di gratitudine o ringraziamento. Ri-conoscere il mondo, accedendo ad una nuova conoscenza, come mistero e come adorazione, dove l’io porta la mano alla bocca per tacere e cedere il posto all’ascolto e al silenzio. La trascendenza dell’uomo sulla natura non è quella di chi allunga le mani sul mondo dicendo “è mio” ma quella di chi, stupito, se lo vede porgere da un’altra mano e vi legge: “è per te”. ☺ 27 sisma gli allegri bricconi Domenico D’Adamo “Il merito va a tutto il Molise”: questo, il presidente Frattura il giorno 13/11/2013, in occasione dell’approvazione di un emendamento predisposto da tutta la delegazione parlamentare molisana e presentato in commissione dal solo senatore Ruta, all’interno della manovrina di fine anno (la solita solfa di cui si parla da tempo, un provvedimento che autorizzerebbe, il condizionale è d’obbligo, la regione Molise a spendere 15 milioni di euro per i lavori di ricostruzione post-sisma, in deroga al patto di stabilità). Prima dell’estate, la stessa compagnia di allegri bricconi, si era spericolatamente attribuito il merito di una analoga iniziativa ed anche in quella occasione il governatore si era sperticato in riconoscimenti lusinghieri, non solo per l’impegno profuso e la competenza dimostrata dalla delegazione parlamentare di centro-sinistra ma, e soprattutto, per l’azione sinergica messa in campo da questi ultimi e la sottosegretaria molisana di centrodestra. Solo dopo due mesi si scoprì che gli splendidi, miracolo delle larghe intese, avevano inserito nella legge sulle emergenze una “cosa per un’altra”. Ad essere onesti non fu il caldo estivo a fregarli e neanche la fretta. Questi signori, negli anni successivi al sisma, del problema della ricostruzione non se ne sono mai occupati. Naturalmente, a seguito della “formidabile azione sinergica”, le casse della regione non videro il becco di un quattrino. Sono grato al governatore per avermi attribuito, insieme a tutti i molisani, il merito di questa brillante operazione, ma devo confessare che io non c’ero e non vorrei appropriarmi di meriti che non ho, così come non vorrei ritrovarmi nella merda come è successo a loro l’estate scorsa. Sarò irriconoscente ma, come per la precedente, anche questa volta il merito va solo a Ruta, Leva e Venittelli, i quali, oltre a questa replica, per non farsi mancare proprio nulla, hanno assunto l’impegno a tirare fuori, non dalle loro tasche ma dal patto di stabilità, gli altri 331 milioni di euro, giusti quelli della delibera CIPE del 2011 che hanno consentito a Iorio di vincere le elezioni regionali poi annullate. La sottosegretaria larinese, per non essere da 28 meno, si è invece impegnata a ritrovare anche i soldi della Termoli-San Vittore, quelli della stessa delibera andati poi agli amici campani, ma, siccome a tutt’oggi di denari non se ne sono visti, è probabile che si sia persa nei pressi di Telese, insieme al ministro Lupi con il quale si era impegnata a ritrovarli. Non vorremmo sembrare pedanti ma è il caso di precisare che se il parlamento prima della fine dell’anno farà propria la proposta di Ruta e compagni, checché ne pensino loro, quei soldi basteranno appena a pagare una parte dei lavori già fatti e nulla resterà né per riavviare la ricostruzione né per mantenere in piedi la mastodontica struttura tecnico-amministrativa. È proprio vero che gli scanzonati parlamentari indigeni, quando non la sentono, la puzza, stanno male e sono capaci di ingoiare tonnellate di lassativi pur di sentirsi a casa. Il Senatore Ruta, infatti, sogna di ospitare 12 mila vacche nel feudo dell’assessore all’ agricoltura per trascorrere insieme a loro e al consigliere Totaro le vacanze natalizie, Iene permettendo: parlano di deiezioni, loro, mica di merda e sono convinti che senza di quella il Molise non ha futuro. Hanno perso il lume della ragione per via delle manzette e non si accorgono che dietro a loro non c’è più nessuno. La puzza, perché c’è anche chi la combatte, li ha fatti scappare tutti: le organizzazioni sindacali non le vogliono perché il progetto Granmanze non trova alcun riscontro e sviluppo in regione e non è quindi in linea con la programmazione regionale; gli imprenditori agricoli perché da quel progetto non ne traggono alcun vantaggio in quanto il 70% dei prodotti che alimenteranno gli animali saranno forniti da altre regioni; i cittadini comuni perché preoccupati dall’enorme impatto ambientale che le manze così concentrate in un solo posto produrranno; e loro cosa fanno? Vanno in pellegrinaggio in una località della Spagna per aver informazioni su quanto puzza la merda di vacche. Per fortuna i dubbi ce li ha fugati tutti la Granarolo che, per bocca del suo presidente, ha spiega- la la fonte dicembre febbraio gennaio 2005 2013 lafonte fontegennaio marzo 2005 to che chi vivrà nelle vicinanze dell’impianto non deve temere olezzo alcuno in quanto Eolo ha promesso che sposterà altrove la puzza. II manager ci ha anche spiegato che quella parte del progetto che prevede la presa in pensione e cura, fino a due mesi prima dal parto, delle 12 mila manze, non è stata realizzata in Emilia, in quanto lì c’è la nebbia. Che questo signore abbia visto il simpatico film di Zalone è un bene, specialmente se non è abituato a ridere. Non vogliamo commentare le amenità espresse sullo studio dei venti che portano la puzza altrove, ma siamo a conoscenza che la regione Emilia Romagna stanzia fondi regionali ed europei per bonificare l’ ambiente e non per inquinarlo, figuriamoci se avrebbe finanziato un progetto che prevede la produzione di 60 mila tonnellate di merda all’anno, oltre alle migliaia di ettolitri di piscio ancora più inquinanti del letame. Intanto, i tecnici della Regione Molise, hanno espresso, anche se con con una serie rilevante di criticità, parere favorevole su di un progetto che “promette una cosa e ne fa un’altra”. Pensare che il progetto nasce dall’idea di migliorare la qualità della filiera del latte, ma in Molise non se ne produrrà neanche un litro. Con questa iniziativa imprenditoriale i vantaggi andranno alle aziende emiliane, pugliesi e lucane che produrranno latte di qualità, e il Molise? Curerà la filiera del letame, in linea con quanto previsto dall’art. 3 parag. 2.2 dal PRS 2007/2013 per la collina interna regionale. A proposito, ma l’agro di San Martino in Pensilis si estende verso il mare o sulla collina interna? Meditate gente, meditate!! ☺ [email protected]