Stampa le informazioni sui Campi di concentramento
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“La storia che ascoltai era molto triste: Davide e Oscar erano gli unici sopravvissuti delle loro famiglie. Davide e i suoi genitori erano finiti in un campo di concentramento...” T. Ungerer, Otto, Mondadori Amico Pinco classe 4a e 5a - Arnoldo Mondadori Scuola PER CAPIRE Nel secolo scorso ci sono state due grandi guerre che hanno coinvolto e sconvolto l’Europa e il mondo intero: le guerre mondiali. Durante la Seconda guerra mondiale (1939-1945), in Germania era al potere Adolf Hitler, un uomo crudele e spietato. Hitler era convinto che esistesse una “razza” umana superiore alle altre, la “razza” ariana, composta da uomini e donne biondi, con la pelle chiara, dalla corporatura atletica. Questa “razza” (alla quale i tedeschi appartenevano) avrebbe dovuto governare il mondo. La crudeltà di Hitler nei confronti di tutte le persone “diverse” non ebbe limiti. Gli ebrei erano considerati un gruppo diverso, causa di tutti i mali e per questo, secondo il punto di vista di Hitler, dovevano essere emarginati. Gli ebrei furono dapprima obbligati a portare un contrassegno di stoffa sui vestiti (una stella, simbolo del loro popolo) e a frequentare solo determinati posti. Quando le leggi dette “razziali” divennero troppo dure da sopportare, molti ebrei tentarono la fuga verso altri Paesi più ospitali. Da un certo momento in poi, sempre per volere di Hitler, furono istituiti i cosiddetti “campi di concentramento” o di sterminio, luoghi di lavoro obbligato dove tanti ebrei (ma non solo) vennero rinchiusi e, lì, persero la vita. E tra questi, molti, moltissimi bambini. Amico Pinco classe 4a e 5a - Arnoldo Mondadori Scuola BRUNO E SCHMUEL Bruno è un bambino di nove anni. Il suo papà è un comandante tedesco, un uomo importante che, per lavoro, deve andarsene da Berlino con tutta la famiglia. Bruno, lontano dai suoi amici, si sente solo. Poi, un giorno, conosce un altro bambino, Shmuel. Bruno e Shmuel si somigliano: hanno la stessa età, amano giocare, chiacchierare... Ma i due bambini sono separati da una rete: il recinto del campo di concentramento dove Shmuel, ebreo, è rinchiuso. Bruno arrivò tardi al reticolato dove di solito incontrava Shmuel ogni giorno, ma il nuovo amico lo stava aspettando come di consueto, seduto per terra con le gambe incrociate. «Mi dispiace di essere in ritardo» disse Bruno, passandogli attraverso la rete il pezzo di pane e formaggio che gli era avanzato dopo che per strada era stato assalito da un certo languorino. «Stavo parlando con Maria.» «Chi è Maria?» chiese Shmuel senza alzare lo sguardo mentre ingoiava voracemente il cibo. «È la nostra cameriera» spiegò Bruno. «Ma mi stava raccontando di Pavel, l’uomo che taglia le verdure e che ci serve a tavola. Credo che lui viva dalla tua parte della rete.» Shmuel alzò gli occhi per un istante e smise di mangiare. «Dalla mia parte?» domandò. «Sì. Lo conosci? È molto vecchio, e ha una giacca bianca che indossa mentre ci serve la cena. Devi averlo visto.» «No» disse Shmuel scuotendo la testa. «Non lo conosco.» «Ma devi» disse Bruno irritato, come se Shmuel facesse il difficile apposta. «Non è alto come certi adulti, ha i capelli grigi ed è un po’ curvo.» «Non credo che tu ti renda conto di quante persone vivano da questa parte della rete» disse Schmuel. «Siamo migliaia.» «Ma questo si chiama Pavel» disse Bruno. «Quando sono caduto dall’altalena mi ha pulito la ferita perché non si infettasse e mi ha anche bendato la gamba. Non importa, volevo parlarti di Pavel perché anche lui viene dalla Polonia. Come te.» «La maggior parte di noi qui viene dalla Polonia» disse Shmuel. «Anche se alcuni vengono da altre parti, come dalla Cecoslovacchia e...» Amico Pinco classe 4a e 5a - Arnoldo Mondadori Scuola «Sì, ma per questo ho pensato che tu potessi conoscerlo. In ogni caso, prima di venire qui, nella sua città, era un dottore. Ma qui non gli è più permesso di esserlo. E se mio padre sapesse che mi ha curato il ginocchio quando mi sono ferito, finirebbe nei guai.» «Ai soldati non piace quando la gente guarisce» disse Shmuel mandando giù l’ultimo boccone di pane. «Di solito è il contrario.» John Boyne, Il bambino con il pigiama a righe, Fabbri editori Amico Pinco classe 4a e 5a - Arnoldo Mondadori Scuola ANNA E MAX Anna e Max sono due bambini ebrei, figli di un noto giornalista. Quando Hitler prende il potere in Germania, tutta la famiglia se ne deve andare in fretta e furia da Berlino, lasciando la casa, i parenti, gli amici... e anche i giocattoli. Inizialmente si rifugiano in Svizzera, paese ospitale, dove ricominciano una nuova vita, senza però dimenticare gli affetti lasciati a Berlino. «Max, perché Heimpi non è venuta?» Max parve colto di sorpresa. «Vuoi tornare a letto?» chiese. «No» rispose Anna. «Be’, non so se devo dirtelo, ma sono successe molte cose mentre eri malata.» «Cosa?» «Sai, Hitler ha vinto le elezioni. Ha preso subito in mano il potere, è successo proprio come diceva il babbo... nessuno può dire una parola contro di lui, altrimenti lo gettano in prigione.» «Heimpi ha detto qualcosa contro Hitler?» Anna immaginava già Heimpi rinchiusa in gattabuia. «No, certo che no. Ma il babbo sì. E lo dice ancora. E naturalmente nessuno in Germania può pubblicare quello che scrive il babbo. Così non guadagna neanche un soldo e non possiamo pagare lo stipendio ad Heimpi.» «Ho capito. Allora siamo poveri?» «Un po’, sì. Ma il babbo sta cercando di scrivere per qualche giornale svizzero e così andrà ancora tutto bene.» Mentre Max si alzava per andare, Anna disse tutto d’un fiato: «Non pensavo che ad Heimpi importassero tanto i soldi. Se avessimo avuto una casetta, sono sicura che sarebbe venuta lo stesso, anche se non avremmo potuto pagarla tanto.» «Be’, questa è un’altra storia» Max esitò e poi aggiunse: «Non possiamo prendere una casa, perché non abbiamo i mobili.» «Ma...» «Si sono beccati tutto i nazisti. Si chiama confisca dei beni. Il babbo ha ricevuto una lettera Amico Pinco classe 4a e 5a - Arnoldo Mondadori Scuola la settimana scorsa.» Max strinse i denti. «Sembrava proprio di essere a teatro, quando si vedono quelle terribili commedie, dove la gente non la smette mai di portare cattive notizie. E come se non bastasse, ci mancavi anche tu che stavi per tirare le cuoia...» «Non stavo affatto tirando le cuoia!» ribatté Anna indignata. «Sì, lo so che non tiravi le cuoia, ma quel dottore svizzero ha una fantasia macabra. Vuoi tornare a letto, adesso?» «Sì, è meglio.» Anna si sentiva molto debole e Max la sostenne. Quando fu di nuovo a letto, Anna chiese: «Max, questa, cose si chiama, confisca dei beni, ma... i nazisti hanno preso tutto... anche le nostre cose?» Max annuì. Anna cercò di figurarselo. Il piano non c’era più... le tende a fiori della stanza da pranzo... il suo letto... tutti i suoi giocattoli, anche il Coniglio Rosa di pezza. Per un attimo si sentì molto triste per via del Coniglio Rosa. Gli erano stati ricamati degli occhi neri, perché quelli di vetro li aveva persi anni addietro e aveva l’abitudine di crollare sulle zampe – e questo lo rendeva ancora più caro. Il pelo, anche se non era più rosa, era soffice, familiare. Come aveva potuto scegliere di portare via il cane di pezza, nuovo, senza personalità? Era stato uno sbaglio terribile e adesso non poteva fare più niente. «L’ho sempre detto che dovevamo portare la scatola dei giochi» disse Max. «In questo momento scommetto che Hitler sta giocando con il mio gioco dell’oca.» «E starà coccolando il mio Coniglio Rosa!» aggiunse Anna e si mise a ridere, ma le lacrime le riempirono gli occhi e cominciarono a scenderle sulle guance. Judith Kerr, Quando Hitler rubò il coniglio rosa, Fabbri editori Amico Pinco classe 4a e 5a - Arnoldo Mondadori Scuola JOSEPH Joseph Joffo, ebreo, racconta la propria infanzia e le persecuzioni subite nella Francia occupata dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Dalla fuga da Parigi alla ricerca di un rifugio fino alla salvezza definitiva avvenuta grazie all’aiuto di un prete cattolico. Una grande avventura piena di pericoli, di paure, di solitudine e di crudeltà, qualche rara volta anche di allegria perché un bambino trova ovunque la forza di vivere. “Tocca a te, Jo.” Mi avvicino con la giacca in mano. Sono le otto e fuori è ancora notte. Mamma è seduta sulla seggiola dietro il tavolo. Ha un ditale, del filo nero e le sue mani tremano. Sorride solo con le labbra. Mi volto. Sotto il paralume della lampada, Maurice è immobile. Con il palmo della mano liscia sul suo risvolto sinistro la stella gialla cucita a grossi punti: Maurice mi guarda. “Non piangere, l’avrai anche tu la tua medaglia.” Certo che l’avrò, tutto il quartiere l’avrà. Stamattina quando la gente uscirà sarà primavera in pieno inverno, una fioritura spontanea: ognuno ha il suo grande fiore all’occhiello. Una volta che lo si ha, non si può più fare molto: non si entra nei cinema e neppure nei treni, forse non si avrà più nemmeno il diritto di giocare con le biglie, forse non si avrà più il diritto di andare a scuola. Questa, come legge razziale, non sarebbe neanche male. Joseph Joffo, Un sacchetto di biglie, Bur Amico Pinco classe 4a e 5a - Arnoldo Mondadori Scuola