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LO SCAFFALE DELL’INSEGNANTE
Auschwitz 1942: separati dalla rete.
Fino al giorno in cui Bruno decise di entrare...
JOHN BOYNE
Il bambino con il pigiama
a righe
Rizzoli 2008, pp. 211, €10,00
«Perché ci sono tutte quelle persone
dalla tua parte della rete?» domandò
Bruno. «E cosa ci fate lì?». «Io so solo questo» esordì Shmuel: «Fino a due anni fa
vivevo con mia madre, mio padre e mio
fratello in un piccolo appartamento sopra il laboratorio dove mio padre faceva
gli orologi... Poi un giorno le cose hanno
cominciato a cambiare... Poi ci hanno
detto che non potevamo più vivere nella nostra casa... Siamo arrivati qui. Da
noi ci sono molti bambini, ma noi
non giochiamo!». «Non giocate? E
perché?», chiese Bruno.
È il 1942. Bruno ha nove anni e ha
dovuto abbandonare la sua bella
casa di Berlino per trasferirsi ad Auscit (il bambino non sa pronunciare
Auschwitz, nome tanto difficile) do-
ve il papà è stato trasferito per motivi di “lavoro”. È scontento e arrabbiato perché ha perso gli amici e non
può fare il suo gioco preferito: l’esploratore. Infatti papà e mamma gli hanno proibito di avvicinarsi alla recinzione e al campo che vede dalla finestra
della sua camera.
Anche Shmuel ha nove anni. È figlio di un orologiaio polacco, porta
un “pigiama” a righe come tutta la
gente dall’altra parte della rete e ha
in testa un berretto di tela. Molto
magro e con la faccia triste, non ha né
scarpe né calze e i suoi piedi sono parecchio sporchi. Sulla manica ha un
bracciale con una stella a sei punte.
Bruno non sa spiegarsi perché tutti i “contadini” che lavorano in quella
strana “fattoria” siano così magri e tristi
e perché indossino il pigiama per lavorare. La curiosità e il desiderio di avventura lo spingono ad andare alla
scoperta di quel mondo strano. Ed è
proprio durante un’escursione che incontra Shmuel.
«Sto facendo un’esplorazione» disse
Bruno.«Hai trovato qualche cosa?»,domandò Shmuel. «Quasi niente». «Niente
di niente?». «Ho trovato te!»,rispose Bruno dopo un momento.
Leggere questo romanzo è come fare un viaggio in un momento
della Storia, tenuti per mano da
Bruno e da Shmuel. È l’esplorazione
del nazismo e dei campi di concentramento attraverso gli occhi di
questi due amici “quasi gemelli” che
non comprendono tutto.
Sono separati da quella linea arrugginita, dal recinto di rete metallica
oltre la quale si scorge una costruzione in mattoni rossi sormontata da un
alto camino. Ma un giorno Bruno decide che è giunto il momento di scoprire dove vive il suo amico Shmuel, e
passa la rete.
Shmuel aveva portato un paio di
pantaloni a righe, una giacca a righe e un
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berretto di tela a righe, proprio come
quelli che indossava lui. Non sembravano molto puliti, ma era un travestimento
e lui sapeva che i bravi esploratori indossano sempre gli abiti giusti per la loro
missione. Bruno si cambiò. Era straordinario, anche se gli mancavano la magrezza e il pallore per essere identico ai
bambini di quella parte della rete...
Shmuel si chinò per sollevare la rete... I
due rimasero per un momento uno di
fronte all’altro, incerti. Non erano abituati a stare dalla stessa parte. Cominciarono ad allontanarsi dalla rete, camminando verso il campo... Arrivati alla baracca Bruno spalancò gli occhi, sorpreso
da ciò che vide. Scoprì che non c’era niente di quello che si era immaginato.
In questa storia che risente di alcune forzature narrative, ma che insegna meglio di qualsiasi lezione teorica come in una guerra tutti siano vittime, il piccolo Bruno non appare come un eroe. È un bambino che sembra nato dalla parte del più forte.
Ma tutti i bambini sono uguali nei pericoli che corrono in balia degli adulti.
La locandina e, a sinistra, un’inquadratura del
film Il bambino con il pigiama a righe (Gran Bretagna-Usa 2008), tratto dal romanzo di Boyne.
Sulle isole del Nord la salvezza sono gli altri
JOHAN HARSTAD
Che ne è stato di te,
Buzz Aldrin?
Iperborea 2008, pagg. 464, €16,50
«Non tutti vogliono dirigere un’azienda. Non tutti vogliono essere i più
grandi campioni del Paese e far parte
di svariati consigli d’amministrazione,
non tutti vogliono aprire gli occhi ogni
mattina sul loro trionfo nei titoli di
giornale...». Mattias, 30 anni, protagonista e voce narrante di questo romanzo tradotto da Iperborea (la casa
editrice votata alla letteratura scandinava), ama la gloria opaca dei “secondi”: per intendersi, quelli che hanno
fatto “il loro dovere” e poi sono rientrati nei ranghi per finire (quasi) dimenticati. Uno per tutti Erwin “Buzz”
Aldrin, il secondo uomo a mettere piede sulla luna nel mitico ’69.
Mattias avrebbe tutti i numeri per
diventare un vocalist di successo e invece fa il giardiniere in un vivaio. Non
per sfiducia in se stesso, anzi. Il suo lavoro gli piace, segue ciò che accade nel
mondo, ha degli amici interessanti, ha
messo su casa con la compagna più carina del liceo, ha il sacro terrore d’essere «inutile». Eppure, a volte, la vita sca-
raventa su strane ribalte anche i secondi della Storia. A Mattias tocca una crisi
psichiatrica che lo annienta durante un
viaggio alle isole Fær Øer, dopo che ha
perso il lavoro al vivaio e che è anche
stato lasciato dalla compagna. Ma sarà
proprio su queste isole che ritroverà se
stesso, in un’eccentrica comunità per
persone sofferenti di disagio psichico.
Che ne è stato di te, Buzz Aldrin? è il
primo romanzo dello scrittore norvegese Johan Harstad, classe 1979. Fra critica sociale e partecipe attenzione alla
fragilità dell’uomo (e del giovane) contemporaneo, sono 450 pagine ora ironiche e ora struggenti, fitte di episodi e
personaggi, mai banali, sempre sorrette da una scrittura ricca di toni, ritmi, registri. E forti della consapevolezza che,
alla fine, non ci si “salva” da soli: perché,
come osserva la traduttrice Maria V.
D’Avino nella postfazione, «la salvezza
possono ancora essere gli altri».
G. G.
La scuola è un rischio per il futuro del Paese?
FONDAZIONE AGNELLI
Rapporto sulla scuola
in Italia
Laterza 2009, pp. 272, €25
«Occuparsi di scuola è occuparsi di
futuro»: per John Elkann, vicepresidente della Fondazione Giovanni
Agnelli, questa è la motivazione della
pubblicazione del Rapporto.
Nel volume sono evidenziate le cri-
ticità della scuola italiana, ma si ritrovano anche alcuni segnali di speranza.
Emergono, per esempio, la disponibilità degli insegnanti (almeno dei più giovani) a mettersi in gioco e la richiesta di
cambiamento. Viene denunciato il fallimento del sistema delle graduatorie,
che premia soltanto l’anzianità: se ne
chiede l’abolizione. Oggi l’unico surrogato (o quasi) della progressione di carriera è poter scegliere una scuola migliore, più “comoda”. Non manca la proposta di soluzioni concrete e praticabili: assunzioni dirette, una differenziazione retributiva e, soprattutto, l’introduzione della valutazione delle scuole.
Il Rapporto inoltre smantella la leggenda metropolitana che gli insegnanti siano «troppi», senza distinguere
quantità e qualità. È vero che i precari
sono numerosi (260 mila circa), ma è altrettanto vero che sono pochi i professori di matematica e scienze. Una ra-
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gione? Questi docenti guadagnano
meno dei loro pari impegnati in altri
settori e non hanno prospettive di carriera. Ma viene smascherata l’inconsistenza anche di altri luoghi comuni, miti e leggende: la scuola è in difficoltà in
tutti i Paesi e non solo in Italia (benché
da noi il dibattito sia iniziato in ritardo!).
Non è vero che una volta l’istruzione
“funzionava” e poi, negli ultimi decenni, è andata peggiorando: al censimento del 1971,su 100 nati negli anni 19471950 solo 23 risultavano diplomati e
sette erano analfabeti. Oggi i diplomati sono il 75% dei giovani della loro età.
Gli sprechi e le mediocrità, la resistenza a valutare e la mancanza di una seria
riflessione pedagogica sono i veri nemici
della scuola protesa verso il futuro. Ma
questo Rapporto «documenta e sostiene una speranza: che cambiare sia possibile e che il cambiamento può arrivare
se cammina sulle gambe dei docenti».