Cassazione Civile, Sez. I, 15 luglio 2004, n. 13113
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Cassazione Civile, Sez. I, 15 luglio 2004, n. 13113
Cassazione Civile, Sez. I, 15 luglio 2004, n. 13113 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 1^ sezione civile composta dagli Ill.mi Signori Magistrati: dr. Giovanni Losavio Presidente dr. Francesco Maria Fioretti Consigliere dr. Francesco Felicetti Consigliere dr. Aldo Ceccherini Consigliere rel. dr. Vittorio Ragonesi Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi riuniti, iscritti ai n. rí 28885 e 1400 del Ruolo Generale degli affari civili rispettivamente del 2001 e del 2002, proposti DA G.M., C.M., M.M., M.R.S. ved. M., tutti rappresentati e difesi dall'avv. Costantino Ventura e con questo elettivamente domiciliati in Roma, Via Mantegazza n. 24, presso il sig. Luigi Gardin, per procure speciali per notar Cesare Augusto Capo di Perugia dell'8.11.01, Rep. n. 26119, per notar Enrico Cafiero di Pesaro del 5.11.01, Rep. n. 70463, e per notar Stefania Monosi di Galatina dell'8.11.01, Rep. n. 11051. RICORRENTI CONTRO COMUNE DI GALATINA, in persona del sindaco, autorizzato al giudizio con delibera di G.M. n. 176, del 29 novembre 2001, ed elettivamente domiciliato in Roma, Via G. Gola n. 51, presso l'avv. Filippo Manca, rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Garrisi, per procura a margine dei controricorsi avverso il ricorso principale e quelloincidentale. CONTRORICORRENTE NONCHE' F., soc. coop. a r.l. con sede in Galatina, in persona del Presidente elettivamente domiciliato in Roma, V. della Giuliana n.44, presso l'avv. Raffaello Gioioso, rappresentata e difesa dall'avv. Donato Mellone per procura a margine del controricorso e ricorso incidentale nei confronti del Comune. CONTRORICORRENTE E RICORRENTE INCIDENTALE Q., soc. coop. a r.l. in persona del legale rappresentante, presso la sua sede legale in Galatina (Lecce), V. Vallone 15, già appellata contumace. INTIMATA avverso la sentenza della Corte di appello di Lecce, 1^ sez. civ., n. 317 del 20 aprile - 4 giugno 2001. Udita, all'udienza del 13 febbraio 2003, la relazione del Cons. dr. Fabrizio Forte. Uditi gli avv. ti Costantino Ventura e Donato Mellone e il P.M. dr. Vincenzo Maccarone, che ha concluso per il rigetto di entrambi iricorsi. Fatto Con distinte citazioni del 17 settembre e dell'8 ottobre 1990, G.M., C.M., M.M., M.R.S. ved. M. convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Lecce, il Comune di Galatina, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni per le occupazioni, autorizzate da decreti sindacali del 9 agosto e 10 luglio 1985, di mq. 560 e mq. 894 di un loro più vasto terreno a Rione Nachi, mai espropriati e trasformati irreversibilmente dai fabbricati sociali costruiti dalle società Coop. F. e Q. a r. l., ambedue chiamate in causa dal convenuto. Depositate le relazioni del c.t.u. nominato nelle due cause derivate dai due atti introduttivi, dopo la loro rimessione al Collegio, gli attori che avevano chiesto d'anticipare la decisione erano invitati dal Presidente del Tribunale a formulare istanze di ordinanze di pagamento, ai sensi dell'art. 186 quater c.p.c. Su dette istanze, riunite le cause, il G.I., con ordinanza del 13 dicembre 1996, fissava il valore dell'area alla data della irreversibile trasformazione (31 dicembre 1985) in £. 355.000.000 e, rivalutatala in £. 600.000.000 all'attualità, ordinava al Comune di Galatina di pagare la somma con interessi del 7% annuo dal 6 settembre 1990 al saldo per £. 200.000.000, alla M.R.S. e per £. 400.000.000, ai M., insieme alle spese di causa. Notificata al Comune l'ordinanza in forma esecutiva il 24 marzo 1997, l'intimato notificava alle altre parti la sua rinuncia alla pronuncia della sentenza ai sensi del quarto comma dell'art. 186 quater e depositava le notifiche del 4, 9 e 14 aprile 1997 nella Cancelleria del Tribunale il 31 maggio 1997, dopo che esse erano già state depositate dagli attori il 22 aprile 1997. Con atto notificato il 2 giugno 1997, il Comune di Galatina proponeva appello avverso le ordinanze di pagamento con efficacia di sentenza, chiedendo di riliquidare il risarcimento dei danni nei modi di cui all'art. 3, comma 65, della L. n. 662/96, in riferimento alla data di scadenza delle occupazioni, e di condannare le Cooperative F. e Q. a pagare direttamente ai danneggiati le somme liquidate o a rivalerlo di quanto pagato. Su ricorso dell'appellante l'esecutività dell'ordinanza impugnata veniva sospesa dal C.I. con provvedimento confermato dalla Corte il 4 luglio 1997. Gli appellati M. e M.R.S. deducevano la nullità e l'inammissibilità del gravame, da rigettare nel merito, proponendo appello incidentale, per un più alto valore del suolo, mentre la s.r.l. Coop. F. si costituiva, domandando il rigetto dell'appello e la Coop. Q. rimaneva contumace. Depositata la relazione del c.t.u. nominato per riliquidare il risarcimento nei modi previsti dalla L. 662/96, la Corte d'appello di Lecce, con sentenza 4 giugno 2001, accoglieva il gravame del Comune e riliquidava il dovuto in £. 83.308.412, comprensive del valore dei manufatti, da rivalutare dalle date in cui erano cessate le occupazioni legittime (2.8.1994 per l'area Coop. F. e 6.9.1994 per l'altra), con interessi legali sulla indicata somma, da rivalutare anno per anno fino al saldo, compensando le spese di causa tra il Comune e gli eredi M. e confermando nel resto il provvedimento impugnato, negando la legittimazione delle Cooperative e condannando il Comune di Galatina a pagare alla Coop. F. le spese di causa, irripetibili rispetto alla contumace Coop. Q.. La Corte rigettava l'eccezione di nullità dell'appello per violazione del termine per comparire di sessanta giorni dell'art. 163 bis c.p.c. novellato, inapplicabile al 30 aprile 1995, data d'entrata in vigore della L. 353/90, ai processi pendenti, ai quali invece l'art. 186 quater, introdotto dalla stessa legge, era previsto che si dovesse immediatamente applicare. La Corte negava poi si fossero violati nel caso gli artt. 325 e 324 c.p.c., e 24 Cost., facendo decorrere dal deposito in Cancelleria della notifica della rinuncia alla sentenza eseguito dall'intimato e non da quello a cura delle altre parti, il termine breve per appellare, che nel caso decorreva dal 31 maggio 1997, data del deposito di cui sopra ad opera del Comune e non dal 22 aprile 1997, giorno in cui lo stesso deposito era avvenuto ad opera dei M.. In tal senso è la lettera dell'art. 186 quater c.p.c., né detta interpretazione lede i diritti di difesa di controparte, perché solo la parte intimata può valutare, quale soccombente, l'interesse all'impugnazione e determinare la decorrenza del termine per appellare eseguendo il deposito; l'intimante può proporre appello incidentale, solo temporaneamente condizionato al gravame di controparte, e può proseguire il giudizio fino alla sentenza, se manchi il deposito indicato di controparte. Infondata era pure l'eccezione degli appellati, per la quale "intimati" erano i soli destinatari del precetto, senza il quale non poteva aversi appello. Nel merito, la Corte riteneva applicabile l'art. 3, comma 65, L. 28 dicembre 1996 n. 662, che ha introdotto il comma 7 bis dell'art. 5 bis della L. n. 359/92, prevedendo, per le procedure in corso, i nuovi criteri di liquidazione del risarcimento dei danni per le occupazioni acquisitive di aree edificabili avvenute entro il 30 settembre 1996. Dichiarate manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 65, della L. 662/96, essendosi su esse pronunciata la Corte costituzionale (30 aprile 1999 n. 148 e 4 febbraio 2000 n. 24), i giudici di merito respingevano la tesi degli appellati del contrasto di detta norma all'art. 6 della Convenzione dei diritti dell'uomo, perché essa non risolve singole controversie ma ha portata generale e non c'é una vicenda espropriativa ma risarcitoria. La Corte di merito riteneva fondato l'appello principale e rigettava quello incidentale; fissate, alle date dette del 1994, la consumazione delle illecite acquisizioni per il Comune di Galatina, pure per le proroghe legali delle occupazioni legittime, la Corte limitava la superficie incisa dalle occupazioni, negando vi fossero danni alle aree residue degli appellati destinate a verde attrezzato e da qualificare agricole. Ritenuto generico l'appello incidentale, la Corte territoriale liquidava il dovuto nella misura già riportata con interessi e rivalutazione, negando l'indennità d'occupazione legittima, non riconosciuta dall'ordinanza ex art. 186 quater, con statuizione non impugnata dai M.. Negata la legittimazione passiva delle due Cooperative chiamate in causa, anche a rivalere l'ente locale delle somme da pagare agli occupati, erano respinte ancora le chiamate in causa, e le spese di causa erano regolate come sopra specificato. Per la cassazione della sentenza ricorrono con otto motivi illustrati da memoria, G.M., C.M., M.M., con la madre M.R.S. vedova M. e hanno resistito il comune di Galatina con controricorso e la Soc.coop. F. a r.l. con controricorso e ricorso incidentale di un motivo nei confronti del solo ente locale, che a sua volta ha replicato con controricorso. Diritto Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi principale e incidentale, ambedue nei confronti del Comune di Galatina e contro la stessa sentenza, ex art. 335 c.p.c.. 1. I primi due motivi di ricorso principale attengono alla sospensione dell'esecuzione del provvedimento in sede d'appello e possono esaminarsi insieme. 1.1. Anzitutto si deduce violazione degli artt. 51 n. 4 e 357, c.p.c., e 6.1 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, eccependosi la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale di dette norme del codice di rito, per contrasto con gli artt. 3, 24, 25, 97, 101, 111 Cost., se non lette come proposto in ricorso. L'ordinanza collegiale del 23.10.1987, ex art. 357 c.p.c. previgente, sul reclamo degli appellati contro la sospensione dell'esecuzione provvisoria dell'ordinanza ex art.186 quater c.p.c. disposta dall'istruttore, era stata decisa da un collegio cui partecipava quest'ultimo, al quale invano era stato chiesto di astenersi; sul punto nulla aveva stabilito la sentenza impugnata, illegittima per non essersi pronunciata sulla richiesta di dichiarare illegittima la pronuncia su reclamo. Le norme indicate del c.p.c. ad avviso dei ricorrenti, sarebbero illegittime costituzionalmente, consentendo al giudice che ha sospeso l'esecutorietà dell'ordinanza ex art. 186 quater appellata, di non astenersi sul reclamo contro il suo provvedimento, da lui riesaminato dopo aver già conosciuto della medesima questione e tale interpretazione non rispetterebbe neppure l'art. 6.1. della Convenzione europea sopra citata. Secondo il Comune, non essendovi stata ricusazione ex art. 52 c.p.c. del giudice che ha deciso sul reclamo, nessuna nullità può essere dedotta e, comunque, l'art. 51 n. 4 c.p.c. è inapplicabile nel caso. 1.2. Il secondo motivo di ricorso principale denuncia violazione degli artt. 186 quater, 325 e 324, c.p.c., 24 e 111 Cost., 6.1. e 6.3. della Convenzione dei diritti dell'uomo, non rilevando la sentenza impugnata la lesione dei diritti di difesa dei M. connesse all'assegnazione d'un termine di tre giorni al Comune per la notifica del ricorso per la sospensiva, senza concedere termini alle altre parti per difendersi. V'è violazione del principio del contraddittorio e di parità delle parti, e gli appellati potettero svolgere le loro difese solo dopo essersi impegnati a non dare esecuzione all'ordinanza di pagamento nei venti giorni loro concessi per depositare note scritte difensive, in contrasto con l'art. 111 Cost.. 2.1. I primi due motivi del ricorso principale sono inammissibili per difetto di interesse attuale del ricorrente a una pronuncia su di essi, riguardando l'ordinanza collegiale sul reclamo avverso la sospensione del provvedimento appellato, che non ha natura decisoria e non è impugnabile in Cassazione, ed è ormai superata dalla sentenza d'appello oggetto di ricorso, la cui efficacia esecutiva assorbe tutte le questioni dedotte in ordine all'esecutorietà del provvedimento oggetto d'appello, sostituito dalla sentenza che l'ha modificato o confermato. L'inammissibilità dei motivi di ricorso rende irrilevante pure la questione sulla pretesa illegittimità costituzionale degli artt. 51 n. 4 e 357 c.p.c. (quest'ultima norma nella versione vigente fino alla sua abrogazione di cui dalla L. 353/990), già comunque respinte in più pronuncie dalla Corte costituzionale (in tal senso ord. 25 maggio 2000 n. 168, sent. 28 ottobre 1998 n. 363 e 27 ottobre 1997 n. 326). Anche a ritenere sussistente la causa di astensione ex art. 51 n. 4 c.p.c. in due pronunce nello stesso grado di causa (sul tema Cass. 13 agosto 2001 n. 11070 e le già citate sentenze della Corte costituzionale), la irrilevanza per il presente giudizio di cassazione di ogni causa di astensione, in mancanza dell'istanza di ricusazione ex art. 52 c.p.c. (Cass. 28 giugno 2002 n. 9483, 25 giugno 2002 n. 9258 e S.U. 11 marzo 2002 n. 3527), comporta comunque l'inammissibilità della questione nel caso (S.U. 28 gennaio 2002 n. 1007). Altrettanto è a dire in rapporto all'art. 6, 1° comma, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata con L. 4 agosto 1955 n. 848, comunque non risultando violati i principi dell'equo processo, per la mancata previsione dell'obbligo di astensione sul reclamo contro le decisioni sulla esecuzione del provvedimento appellato. In ordine al secondo motivo di ricorso, i ricorrenti, ai quali fu concesso un termine di venti giorni per depositare note scritte difensive, non precisano quali attività non potettero svolgere e, anche per tale profilo, l'impugnativa è inammissibile. 3. Il terzo, quarto e quinto motivo di ricorso principale si esaminano insieme, attenendo tutti all'art.186 quater c.p.c. violato, in rapporto agli artt. 164 c.p.c. e 90 L. 353/1990 (3° motivo), agli artt. 325 e 324 c.p.c., e 24 e 111 Cost., (4° motivo) e per il significato delle parole del 4° comma "parte intimata" (5° motivo), il tutto in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., anche per omessa e insufficiente motivazione. 3.1. Per i ricorrenti la norma sarebbe stata violata anzitutto, negandosi la nullità dell'appello proposto dal Comune contro l'ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. con un termine per l'udienza di comparizione minore di quello dell'art. 163 bis. c.p.c., in violazione dell'art. 164, norme novellate dalla L. 353/90; non esatta è stata l'affermata inapplicabilità di quest'ultimo articolo al processo già pendente alla data d'entrata in vigore della legge del 1990 (30 aprile 1995), nel quale invece l'art. 186 quater c.p.c. poteva operare. La Corte d'appello, rilevata la natura derogativa e aggiuntiva dell'ordinanza di pagamento, da detta osservazione doveva far derivare la necessità che l'appello contro di essa fosse regolato con le medesime norme di cui alla novella e applicando i termini di comparizione dell'art. 163 bis c.p.c. novellato. 3.2. Con il quarto motivo di ricorso si censura la decisione impugnata, per non avere rilevato il giudicato formatosi per la mancata impugnazione nei trenta giorni dal deposito da parte dei M. della notifica della rinuncia alla sentenza del Comune di Galatina in data 22 aprile 1997, nella Cancelleria del Tribunale. La Corte d'appello ha ritenuto che il solo deposito a cura della parte intimata della notifica della rinuncia alla sentenza comporti decorrenza del termine per appellare, per la lettera della legge e in quanto solo detta parte può valutare il suo interesse a impugnare. Secondo i ricorrenti è incomprensibile perché, pur essendo tutte le parti legittimate a appellare, solo il destinatario dell'ordinanza ha diritto di valutare il suo interesse a appellare, senza ledere i principi di cui all'art. 111 Cost.; o s'afferma che tutte le parti del giudizio possono depositare la notifica della rinuncia alla sentenza, fissando così il dies a quo per l'appello, o si viola il principio costituzionale di uguaglianza delle parti nel giusto processo. 3.3. Con il quinto motivo di ricorso si lamenta l'errata lettura dell'espressione "parte intimata" di cui all'art. 186 quater c.p.c., che non può che essere identica a quella che essa ha nell'art. 480 c.p.c., da ritenere il debitore destinatario del precetto. Secondo gli appellati prima del precetto il Comune di Galatina non poteva rinunciare alla sentenza e proporre l'appello e in tal senso era da intendere la loro eccezione, letta dalla Corte di merito come relativa alla sola inammissibilità del gravame, ma in realtà tesa a rilevare l'illegittimità della rinuncia alla sentenza prima del precetto, non essendo rilevante l'esistenza di altre accezioni della parola "intimato" come quella di cui all'art. 663 c.p.c. per non avere il Comune ricevuto nessuna intimazione, né per questa norma, né ex art. 480 c.p.c. I precetti vennero notificati nel caso solo il 30 maggio 1997 e prima di essi nessuna rinuncia alla sentenza poteva aversi da controparte. 4. Anche i motivi di ricorso principale, di cui al numero che precede, sono infondati e da rigettare. 4.1. L'art. 90 della L. 26 novembre 1990 n. 353 stabilisce che "ai giudizi pendenti alla data del 30 aprile 1995 si applicano le disposizioni vigenti anteriormente a quella data, nonché l'art. 186 quater del codice di procedura civile", così chiarendo che quest'ultima norma, qualsiasi natura abbia, è applicabile nei processi iniziati prima della data indicata se pendenti. Pertanto in detti processi le ordinanze di condanna a seguito della chiusura dell'istruzione, quando la notifica della rinuncia alla pronuncia della sentenza da parte dell'intimato sia depositata nella Cancelleria, sono soggette a gravame da proporsi, secondo la previgente disciplina, che nell'art. 163 bis c.p.c. prevedeva termini inferiori a sessanta giorni per l'udienza di comparizione in caso di notifica della citazione in uno stesso distretto di Corte d'appello. Correttamente pertanto la Corte d'appello ha negato la nullità dell'appello per violazione del termine a comparire degli artt. 163 bis e 164 c.p.c. novellati, applicabili ai soli giudizi iniziati dopo il 30 aprile 1995, nessun rilievo avendo il fatto che l'art. 186 quater c.p.c. è stato introdotto dalla stessa Legge n. 353/90, che prevedeva pure il più lungo termine a comparire, in quanto l'art. 90 di quest'ultima legge ha precisato la propria efficacia temporale, disponendo la immediata vigenza dell'ordinanza di pagamento di somme ovvero di consegna e rilascio di beni successiva alla chiusura dell'istruzione e l'efficacia differita della nuova disciplina della nullità della citazione e dell'art. 164 c.p.c., che giustamente si è negato fosse cogente nel caso di specie. 4.2. Anche in relazione al quarto motivo, il dato letterale dell'art. 186 quater c.p.c., norma processuale di stretta interpretazione, impone di rilevare la tempestività dell'appello accertata dai giudici di merito, pure se con diversa motivazione. Secondo il quarto comma dell'art. 186 quater c.p.c., "la parte intimata può dichiarare di rinunciare alla pronuncia della sentenza, con atto notificato all'altra parte e depositato in cancelleria" ed è quindi palese che la notificazione e il deposito sono oneri a carico del destinatario dell'ordinanza di pagamento o consegna o rilascio; la norma aggiunge poi che "dalla data del deposito dell'atto notificato, l'ordinanza acquista l'efficacia della sentenza impugnabile sull'oggetto dell'istanza", cioè in rapporto alla domanda o alla parte di essa sulla quale il provvedimento del giudice si è in concreto chiesto e ottenuto. Il problema non è quindi quello affrontato dalla sentenza di merito del dies a quo del termine di trenta giorni per proporre l'appello, di cui all'art. 325 c.p.c., che nel caso, essendo stato il gravame notificato il 2 giugno 1997, sarebbe stato tempestivo solo se il termine breve si fosse fatto decorrere dalla data del deposito in Cancelleria della notifica della rinuncia alla sentenza da parte dell'intimato (31 maggio 1997) e non dal medesimo adempimento a cura dell'intimante, avvenuto nel caso il 4 aprile 1997. La norma conferisce all'ordinanza, a seguito del deposito in Cancelleria della richiamata notifica a cura del destinatario dell'ordine di pagamento, l'efficacia della "sentenza impugnabile" e ciò significa solo che detto provvedimento, in caso d'adempimento dell'onere, è parificabile alla sentenza pubblicata, impugnabile per un anno e quarantasei giorni dal deposito stesso, mentre per l'applicazione del termine breve di trenta giorni, come per ogni altro provvedimento, occorrerà una nuova notifica dell'ordinanza con l'attestazione del deposito in Cancelleria della notifica della richiamata rinuncia, affinché decorra il termine per impugnare di cui all'art. 325 c.p.c.. Correttamente è stato negato il passaggio in giudicato dell'ordinanza di pagamento per il fatto che erano decorsi trenta giorni dal deposito a cura degli intimanti della notifica dall'intimato della rinuncia alla pronuncia della sentenza, anche se la motivazione della mancanza di giudicato non attiene all'applicazione del termine breve di impugnazione ma a quella del termine di cui all'art. 327 c.p.c., in quanto l'efficacia di sentenza impugnabile, per il principio dispositivo del processo, comporta che solo a seguito di notifica dell'atto a istanza di parte ex art. 285 c.p.c. decorrerà il termine breve per l'impugnazione. L'indicata lettura della norma comporta l'inammissibilità per irrilevanza della prospettata questione di legittimità costituzionale per violazione dell'art. 111 Cost., potendo entrambe le parti, dopo il deposito di cui sopra a cura dell'intimato, notificare l'atto con efficacia di sentenza impugnabile e far così decorrere i termini brevi per il gravame, con rispetto dei principi d'uguaglianza e d'identità di trattamento delle parti nel giusto processo, anche a non considerare che l'art. 186 quater, in rapporto agli artt. 3 e 24 Cost., s'è già ritenuto legittimo con la citata ordinanza n. 168/2000, la n. 357 del 25 luglio 2000 e la sentenza della C. Cost. 15 ottobre 1997 n. 385. 4.3. L'espressione "intimato", di cui al citato quarto comma dell'art. 186 quater, va intesa in senso atecnico, cioè come destinatario dell'ordinanza di pagamento e non anche del precetto, consistente "nell'intimazione di adempiere l'obbligo risultante dal titolo esecutivo entro un termine non minore di dieci giorni" dell'art. 480 c.p.c.; lo stesso codice di procedura civile definisce intimazione la diffida a comparire ai testi nel processo civile, che è indipendente dall'adempimento di un obbligo (art. 250 c.p.c.) e così come i testimoni, si può essere "intimati" a compiere certe attività entro un certo termine, pure senza precetto. D'altronde l'ordinanza costituisce titolo esecutivo e può essere alla base di un precetto ex art. 480 c.p.c. indipendentemente dalla notifica della rinuncia alla sentenza notificata all'intimante e depositata in Cancelleria e, pertanto, per tale profilo, non è vero che il solo precetto possa fare acquisire l'efficacia di sentenza all'ordinanza ex art. 186 quater c.p.c.. Non è il precetto il presupposto del procedimento che può portare all'impugnazione dell'ordinanza come provvedimento anticipatorio della sentenza di cui alla citata norma e il destinatario dell'ordine di pagamento che è titolo esecutivo, qualora con esso sia "intimato ad adempiere", pur senza fissazione del termine di cui al precetto, ha diritto a far conferire efficacia di sentenza impugnabile a detto titolo, assoggettandolo a eventuali interventi cautelari del giudice dell'appello sulla sua esecutività, anche senza la notifica d'un precetto con l'ordinanza (art. 479 c.p.c.). Anche il quinto motivo di ricorso è quindi infondato, dovendosi negare l'esistenza di qualsiasi motivazione omessa e insufficiente in ordine alla non necessità di esistenza di un precetto per dar luogo agli atti dell'intimato presupposto del suo gravame. 5. Il sesto e settimo motivo di ricorso principale riguardano la liquidazione del risarcimento danni nell'occupazione acquisitiva e si esaminano insieme. 5.1. Si lamenta violazione dell'art. 3, comma 65, della L. 662/996 e dei principi in materia d'occupazione appropriativa, oltre che degli artt. 117 Cost., 17 della Carta dei diritti dell'U.E., dell'art. 1, protocollo 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dell'art. 6 del Trattato U.E., per aver la Corte d'appello accolto il motivo di gravame del Comune di Galatina, che chiedeva di ridurre l'entità del risarcimento, applicando l'indicata norma del 1996, incostituzionale e violativa delle norme sovranazionali ora richiamate. La Corte europea dei diritti dell'uomo, con le sentenze Belvedere Alberghiera e Carbonara e Ventura contro Italia, del 30 maggio 2000, ha nella sostanza accolto le censure dei ricorrenti contro l'Italia, riconoscendo la violazione del principio di legalità dall'istituto giurisprudenziale dell'occupazione acquisitiva, espunto dall'ordinamento secondo i ricorrenti con il D.P.R. n. 327/2001 per adeguare la legge italiana alla normativa sovranazionale. La Corte, nonostante la normativa del T.U. entrasse in vigore dal 1°giugno 2002 e fosse cogente per i giudizi pendenti al 1°gennaio 1997, ha ritenuto applicabile lo ius superveniens, con palese errore dato che unico diritto applicabile era il D.P.R. 327 del 2001, per il quale l'occupazione acquisitiva non ha più spazio nel nostro ordinamento. 5.2. Il settimo motivo di ricorso censura la sentenza d'appello per insufficiente e omessa motivazione, in ordine alla liquidazione dei danni e in rapporto alla stessa misura dell'area occupata. Il suolo dei M. era di mq. 6.241, e di esso mq. 1.770 erano stati oggetto di altre occupazioni, con la conseguenza che rimanevano ai ricorrenti mq. 4.471 nei quali sono compresi mq.2.339 ritenuti dal primo c.t.u. acquisiti al Comune perché interclusi e considerati da parte del secondo consulente rimasti agli attori. E' alla valutazione di detto secondo consulente che si rifà la Corte territoriale la quale afferma che l'area occupata era di mq. 2.132 e per essa dovevano pagarsi £. 83.308.412, in tal modo riconoscendo la riduzione dell'intero terreno dei M. dei mq. 2339 non occupati e giungendo alla valutazione data senza considerare le aree oggetto di altre occupazioni. La sentenza avrebbe dovuto ritenere di mq. 3.902 e non di mq. 4.471 l'area degli attori occupata (mq. 4.241-mq. 2.339), con errore matematico e logico palese. E' errata comunque la considerazione della Corte e del c.t.u., per cui l'area occupata sarebbe solo di 2.132 mq., perché, accertata l'interclusione del suolo residuo, era illogico ritenere questo stesso destinato a verde e rimasto nella disponibilità dei M. mentre, come per ogni altro caso di occupazione parziale, doveva risarcirsi la perdita di tutta l'area, anche a non considerare, che secondo il D.P.R. 327/2001, tutte le superfici inedificabili e inedificate devono acquisirsi con l' espropriazione . La sentenza impugnata non rileva la contraddittorietà tra la destinazione a verde attrezzato pubblica - e quella agricola privata da essa riconosciuta. 6. Anche il sesto e settimo motivo del ricorso principale sono infondati, dovendo in primis rilevarsi che il nuovo T.U. sull' espropriazione , di cui al D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, è in vigore dal 30 giugno 2003 per la proroga dell'art. 2 D.L. 20 giugno 2002 n. 122, e non da gennaio 2002, come dedotto in ricorso (pag.17). In ogni caso, l'art. 55 del D.P.R. 327, come modificato dall'art. 1 del D. Lgs. 27 dicembre 2002 n. 302 prevede che "nel caso di utilizzazione di un suolo edificabile per scopi di pubblica utilità, in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio alla data del 30 settembre 1996, ai fini della determinazione del risarcimento del danno si applicano i criteri previsti dall'articolo 37, comma 1, con esclusione della riduzione del quaranta per cento e con l'incremento dell'importo nella misura del dieci per cento", precisando al 2° comma che detta regola "si applica anche ai giudizi pendenti alla data del 1° gennaio 1997",data di decorrenza degli effetti della L. 23 dicembre 1996 n. 662, il cui art. 3 comma 65 risulta confermato e correttamente applicato dalla Corte di merito. La modifica apportata nel 2002 all'art. 55 del D.P.R. 327 del 2001, che nella versione originale si riferiva anche alle occupazioni usurpative o "senza valida dichiarazione di pubblica utilità", richiamando contraddittoriamente l'art. 43 dello stesso D.P.R. che nelle occupazioni acquisitive a regime impone il risarcimento per equivalente (comma 6), sancendo però la "esclusione della riduzione del quaranta per cento", propria dell'indennità d' espropriazione di cui all'art. 37, da incrementare del 10%, ha confermato la disciplina temporanea del comma 7 bis dell'art. 5 bis per le occupazioni acquisitive anteriori al 30 settembre 1996, nei giudizi pendenti al 1° gennaio 1997. Il richiamo alle sentenze n. 24638/94 e 31524/96 della Corte europea dei diritti dell'uomo, relative entrambe alla fattispecie dell'occupazione illecita, non tiene conto che i due casi in esse esaminati di occupazione, per i quali l'Italia è stata condannata, riguardavano l'istituto "giurisprudenziale" dell'occupazione, e in particolare, di quella acquisitiva, per il caso della sentenza Carbonara e Ventura c. Italia, e usurpativa per quello della s.r.l. Belvedere Alberghiera. La Corte sovranazionale, in entrambi i casi, ritiene lesiva dei diritti fondamentali di cui alla Convenzione e quindi anche alle norme sovranazionali citate in ricorso, la violazione del principio di legalità nella materia, che lasciava i proprietari nell'incertezza in ordine alle azioni da espletare a difesa del loro diritto, nessun rilievo dando ai fini per cui le occupazioni erano avvenute. Deve allora confermarsi quanto già rilevato da questa Corte sulla inesistente violazione di norme sovranazionali nel caso di applicazione dell'occupazione per pubblica utilità e di liquidazione del danno nella misura particolare e ridotta prevista dalla legge 662/96, anche a prescindere dalla conferma di essa per le occupazioni antecedenti al 30 settembre 1996, di cui all'art. 55 D.P.R. 327/2001, tanto più nel caso d'occupazioni avvenute per edilizia residenziale pubblica, per le quali sin dal 1988 era prevista con legge l'acquisizione delle aree irreversibilmente trasformate e all'atto delle domande che hanno iniziato il giudizio nel 1990, non poteva ignorarsi la rilevanza ablatoria delle condotte del Comune nel caso. "La disciplina dell'istituto dell'occupazione appropriativa, il quale aveva già una base legale nei principi generali dell'ordinamento e ha trovato previsione normativa prima settoriale con l'art. 3 della legge 27 ottobre 1988, n. 458 e poi con l'art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996 n. 662 (oggi art. 55 d.p.r. 327/2001 n.d.r.), risulta ormai basata su regole sufficientemente accessibili, precise e prevedibili, ancorate a norme giuridiche che hanno superato il vaglio di costituzionalità ed hanno recepito (confermandoli) principi enucleati dalla costante giurisprudenza, con la conseguenza che l'istituto deve ritenersi compatibile con il principio sancito dall'art. 1 del Protocollo n. 1 addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto 1955 n. 848) come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. La riconosciuta necessità che l'occupazione appropriativa sia comunque presidiata da una valida dichiarazione di pubblica utilità dell'opera, la previsione che al privato va riconosciuto un risarcimento ragionevole, l'esistenza di norme idonee ad assicurare una tutela effettiva in sede giudiziaria, consentono di ravvisare un giusto equilibrio tra la garanzia del diritto di proprietà, prevista dalla normativa interna e dalla citata Convenzione europea e gli interessi generali della collettività" (S.U. 6 maggio 2003 n. 6803 e già Cass. 25 febbraio 2000 n. 2148 e in riferimento alla durata della prescrizione, rilevante nella decisione sovranazionale, per il caso Carbonara e Ventura, cfr. Cass. 14 aprile 2003 n. 5902). Altrettanto è a dire in ordine alla pretesa violazione di norme o principi costituzionali, avendo il giudice delle leggi, con le sentenze 3 maggio 1995 n. 188, 2 novembre 1966 n. 369 e 30 aprile 1999 n. 148, ritenuto non contrastante con la Carta fondamentale l'istituto e le modalità di liquidazione del risarcimento di cui al comma 7 bis dell'art. 5 bis della L. 359/92, introdotte con la L. 662/96 e confermate dall'art. 55 del D.P.R. 327/2001, applicabili anche al presente processo, pendente al 10 gennaio 1997. In ordine alla misura del terreno occupato, di cui al settimo motivo di ricorso, come in sostanza si rileva da esso stesso, la Corte si rifà alla misura del terreno occupato accertata dal consulente d'ufficio ing. Negro (mq. 2.132), escludendo espressamente a pag. 13 della sentenza impugnata, che possa ritenersi oggetto di occupazione appropriativa la superficie "di mq. 2339 non occupata e rimasta nella disponibilità dei M.: il contrario principio da questi ultimi evidenziato nelle osservazioni dell'8.5.2000, fondato sul presupposto secondo cui, trattandosi di parte residua del fondo originario, debba essere risarcito anche il danno consistito nella diminuzione di valore dipesa dall'ablazione sostanziale della parte irreversibilmente trasformata, non può essere condiviso; ha precisato infatti il c.t.u. che tale area era ed è suscettibile di utilizzazione a fini agricoli, in conformità alla destinazione impressagli dal Piano di Zona di «verde attrezzato», sicché deve ritenersi abbia conservato le potenzialità precedenti l'occupazione legittima e la trasformazione dell'altra parte senza detrimento per la perdita di questa". La motivazione della Corte è sicuramente rispondente a canoni logici e scevra di errori giuridici e quindi anche il settimo motivo di ricorso deve rigettarsi. 5.3. Al rigetto dei richiamati sette motivi del ricorso principale contro il Comune di Galatina consegue l'assorbimento dell'ottavo motivo, relativo alla disciplina delle spese nel giudizio d'appello, come accessoria alla decisione principale, che con quest'ultima deve essere confermata. 6.1. Con il ricorso incidentale nei confronti del Comune di Galatina, la s.r.l. Coop. F. lamenta violazione dell'art. 91 c.p.c. nella liquidazione delle spese del giudizio da lei anticipate e poste a carico di detto ente locale resistente, pure per omessa motivazione in ordine alla riduzione della nota specifica relativa a onorari, spese e diritti depositata in Cancelleria dalla Cooperativa stessa. Ad avviso della ricorrente incidentale, lo scaglione tariffario di valore della causa era da liquidare, per gli onorari, da £. 750.000.000 a £. 1.000.000.000, e per i diritti, da £. 500.000.000 a £. 1.000.000.000; di conseguenza la liquidazione risultava certamente errata, dovendosi comunque rimborsare le spese dei bolli, che ammontavano esse solo a £. 120.000 in luogo delle £. 100.000, liquidate per ogni tipo di esborso dalla Corte di merito. I diritti fissi spettanti alla Cooperativa, liquidati in £. 800.000 ammontavano per le ventidue voci riportate in nota a £. 3.630.000, mentre per gli onorari erano stati violati i minimi tariffari e non si era tenuto conto delle spese generali, da calcolare nel 10% dei diritti e onorari. 6.2. Il ricorso incidentale è fondato in quanto oggetto dell'appello era un ordine di pagamento, per cui i M. avevano notificato, come risulta dal ricorso (pag. 4), atti di precetto per £. 884.863.107 e per £ . 49.268.967, rispettivamente per la sorta capitale e a titolo di spese, somme delle quali era stato richiesto in via incidentale un ulteriore aumento. Per detta domanda in appello, il Comune di Galatina ha chiamato in causa la Coop. F. s.r.l. come già aveva fatto in primo grado, chiedendone la condanna a pagare, per quanto di sua spettanza, direttamente il dovuto ai danneggiati ovvero a rivalerlo di quanto fosse stato esso condannato a pagare, dopo che già in primo grado s'era rilevato il difetto di legittimazione della odierna ricorrente incidentale. Anche a voler ridurre la domanda in rapporto alla somma pretesa per l'area acquisita per la sola costruzione della Coop. F., deve negarsi che in questo caso, come deduce il Comune nel controricorso, possa applicarsi l'art. 6 del D.M. 5 ottobre 1994 n. 585, per il quale "nella liquidazione degli onorari a carico del soccombente, il valore della causa è determinato a norma del codice di procedura civile, avuto riguardo ... nei giudizi per pagamento di somme o liquidazioni di danni, alla somma attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandata". La indicata ultima limitazione rileva infatti nei rapporti tra coloro che hanno chiesto la condanna e la parte condannata in caso di accoglimentò parziale della domanda (Cass. 23 gennaio 2002 n. 738 e 6 marzo 1999 n. 2891), ma non in caso di totale soccombenza di chi richiede il pagamento, come nel caso di specie in cui l'ente locale ha chiamato in causa la Cooperativa F. per pagare il dovuto direttamente ai danneggiati o rivalere il chiamante delle eventuali condanne subite per i danni ai M. e alla M.R.S., con domanda interamente rigettata dal giudice adito per difetto di legittimazione della Cooperativa chiamata (sul criterio della soccombenza nel regolare i rapporti tra il chiamante e il chiamato, cfr. Cass. 26 aprile 1994 n. 3956 e 4 maggio 1999 n. 3729). Quando la domanda sia rigettata, come è stato nel caso della chiamata in causa da parte del Comune di Galatina nei confronti della Cooperativa F., il valore della controversia si accerta sulla somma chiesta (in tal senso Cass. 4 marzo 1998 n. 2407) e, nel caso, come può rilevarsi dal precetto, anche a limitare la domanda di cui alla chiamata alle sole somme pretese per il suolo su cui s'è costruito l'edificio della società ricorrente, comunque è priva d'ogni motivazione la liquidazione di spese, diritti e onorari della Corte che s'è distaccata dalle tariffe, di cui al D.M. 585/94, e non ha tenuto conto del valore della causa e della nota spese presentata dal difensore della Cooperativa, a norma dell'art. 75 disp att. c.p.c. Pertanto il ricorso incidentale della Coop. F. in ordine alla liquidazione delle spese a carico del Comune di Galatina è fondato, anche in relazione al denunciato difetto di motivazione; dato l'accoglimento del ricorso incidentale, la sentenza impugnata deve essere cassata su detto punto, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d'appello di Lecce, perché provveda alla liquidazione di quanto dovuto a titolo di spese e onorari dal Comune di Galatina alla soc. Cooperativa F., uniformandosi ai principi enunciati in questa sede, e delle spese anche di questa fase di legittimità tra la società e l'ente locale. 7. In conclusione, riuniti i ricorsi, quello principale deve rigettarsi e l'incidentale deve essere accolto; la sentenza impugnata, definitiva nei rapporti tra i ricorrenti principali e il Comune, per il rigetto della loro impugnativa, deve invece essere cassata in rapporto al ricorso incidentale accolto e alla liquidazione delle spese del grado di appello tra l'indicato ente locale e la Cooperativa. La causa va quindi rinviata a altra sezione della Corte d'appello di Lecce, per riliquidare le spese del secondo grado di causa e per regolare pure le spese di questa fase di legittimità e di quella di rinvio nei soli rapporti tra la Cooperativa ricorrente e l'ente locale controricorrente. P.Q.M. La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta quello principale e condanna i ricorrenti a pagare al Comune di Galatina le spese della presente fase, che liquida in euro 6100,00, delle quali euro 6000,00 per onorari, euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali e accessorie come per legge. Accoglie il ricorso incidentale della s.r.l. Coop. F. nei confronti del Comune di Galatina e cassa, in rapporto a detto accoglimento, la sentenza impugnata; rinvia la causa, anche per le spese di questa fase tra dette parti, ad altra Sezione della Corte d'appello di Lecce. Così deciso nella camera di consiglio del 13 febbraio 2004. DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 15 LUG. 2004.