L`immigrazione straniera in Italia e il ruolo della statistica
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L`immigrazione straniera in Italia e il ruolo della statistica
L’immigrazione straniera in Italia e il ruolo della statistica Luigi Biggeri Roma, 15-16 dicembre 2005 “Circondati dai paesi poveri con vasti eserciti di giovani che reclamano lavori modesti nei paesi sviluppati (…) i paesi ricchi con una popolazione sempre più vecchia e con pochi bambini devono scegliere tra consentire un’immigrazione massiccia (che determina grossi problemi politici all’interno), barricarsi contro gli immigrati di cui hanno bisogno per alcune attività (una scelta che a lungo termine potrebbe rivelarsi impraticabile) o trovare qualche altra soluzione”. Così lo storico inglese Eric Hobsbawm concludeva alcuni anni fa il suo importante libro dedicato al ventesimo secolo (intitolato significativamente “Il secolo breve”) e a ciò che gli eventi che lo avevano caratterizzato lasciavano in eredità per gli anni a venire. Quello dell’immigrazione è indubbiamente uno dei temi più importanti per chi si occupa di scienze sociali nella nostra epoca ed è percepito dalla gran parte di noi come un fenomeno recente legato alla globalizzazione. In realtà, gli spostamenti della popolazione hanno da sempre caratterizzato la storia dell’umanità e hanno contribuito alla formazione delle nazioni moderne e delle culture che le definiscono. È impossibile pensare alla storia della civiltà e alla sua evoluzione senza considerare il contributo delle migrazioni. Sin dalla preistoria interi gruppi di popolazione hanno lasciato i territori in cui vivevano stanzialmente per cercare nuove opportunità economiche e di vita, per effetto di grandi mutamenti climatici o per sfuggire a pericoli esistenti. Il movimento migratorio può essere definito come “uno spostamento di gruppi umani da una regione socioeconomica a un’altra. I movimenti possono essere permanenti o provvisori, spontanei o coatti; possono avvenire entro confini nazionali o fra stati e continenti diversi. All’interno del movimento migratorio si possono distinguere due momenti essenziali: l’emigrazione, cioè l’abbandono dell’ambiente di origine e l’immigrazione, cioè il processo di inserimento nella società di arrivo”. Il nostro Paese nella sua storia recente ha vissuto entrambi questi fenomeni in epoche relativamente ravvicinate. A partire dall’unificazione, l’Italia ha contribuito in maniera massiccia ai movimenti migratori verso i paesi del resto dell’Europa e verso altri continenti. Tra la fine del XIX secolo e i primi anni venti, infatti, quasi 15 milioni di persone hanno lasciato il paese per dirigersi verso alcuni paesi dell’Europa settentrionale, tra cui Germania, Belgio, Francia, Svizzera e Olanda o verso gli Stati Uniti, l’America del Sud e l’Australia. I flussi annui del fenomeno hanno superato le 800 mila unità nell’anno di picco 1913. Queste migrazioni erano determinate in larga misura da fattori economici: le condizioni delle aree rurali del nostro Paese dove non era garantita la mera sopravvivenza erano tali da rendere preferibile l’ipotesi avventurosa di un viaggio che spesso rappresentava l’abbandono del paese in cui erano vissute generazioni di persone. A questi fattori di “spinta” si aggiungevano quelli di “attrazione” dei paesi di destinazione nei quali i livelli di vita materiale e le opportunità economiche erano percepite come (ed erano anche oggettivamente) molto superiori a quella dei luoghi che si stavano per abbandonare. L’immigrazione non era, però, un’esperienza indolore sia per le persone che lasciavano il paese sia per le società che accoglievano gli immigrati. A testimonianza di ciò una vasta letteratura scritta e cinematografica - ad esempio sull’emigrazione verso gli Stati Uniti all’inizio del ‘900 – ma anche l’esperienza di coloro che oggi, versando in condizioni disagiate, scelgono di trovare la loro “America” nei paesi sviluppati del Nord del mondo tra cui figura anche l’Italia. Il nostro Paese, infatti, si è trasformato - nel trentennio successivo alla seconda guerra mondiale - in ricettore di flussi migratori. Il dopoguerra ha visto una riprese delle migrazioni dalle aree depresse dell’Italia, soprattutto dal Mezzogiorno, verso i Paesi europei per effetto del permanere di divari di sviluppo tra le aree economiche del Paese e del dualismo Nord-Sud. Allo stesso tempo si è iniziato a registrare il fenomeno dei rimpatri di emigrati che ritornavano in Italia spesso al termine della vita attiva. Altri decidevano di rimanere nei paesi che li avevano ospitati e i 2 loro figli e nipoti diventavano progressivamente integrati linguisticamente, socialmente e culturalmente in questi luoghi. Dalla fine degli anni ’70 il quadro del movimento migratorio del nostro Paese cambia radicalmente. Da paese esportatore netto di manodopera l’Italia dell’ultimo ventennio del XX secolo diventa meta di immigrazione dalle aree meno sviluppate del bacino del mediterraneo e, successivamente alla disgregazione della cortina di ferro, dai paesi dell’Est europeo. I nuovi immigrati che “premono” sui confini dell’Europa - di cui l’Italia rappresenta uno dei fronti geograficamente più esposti - provengono dai conglomerati urbani dei paesi poveri dell’Africa dove l’urbanizzazione rapida e non pianificata ha creato enormi periferie di bidonville; ma anche da villaggi rurali e dalle città con elevati livelli di disoccupazione dei paesi europei come l’Albania o i paesi dell’ex Jugoslavia dove guerre e crisi economiche continuano a spingere numeri consistenti di cittadini a intraprendere quello che è stato chiamato giornalisticamente “il viaggio della speranza”. Rispetto ai paesi dell’Europa continentale (Francia, Germania, Regno Unito) che avevano sperimentato già in passato flussi migratori consistenti nel dopoguerra provenienti dai paesi dell’Europa meridionale e dagli ex possedimenti coloniali, l’Italia ha una storia relativamente recente come paese di immigrazione. Anche sotto un profilo quantitativo, l’incidenza della popolazione straniera sul complesso di quella residente è in Italia inferiore (seppure in netta crescita, come vedremo nelle relazioni presentate in questo convegno) rispetto ad altri paesi europei. Questo ha ripercussioni sia sulla percezione che i cittadini italiani hanno del fenomeno migratorio sia sulla qualità del dibattito sulle politiche migratorie. Per l’estrema rapidità con cui da paesi di emigrazione l’Italia si è trasformata in luogo di immigrazione c’è stata una difficoltà oggettiva da parte dell’opinione pubblica di valutare correttamente la consistenza del fenomeno e i suoi effetti. Ciò ha portato ad una radicalizzazione di percezioni e valutazioni sugli effetti del fenomeno migratorio che spesso non hanno contribuito a cogliere la complessa e dinamica realtà delle immigrazioni e i suoi molteplici impatti. Anche sotto il profilo politico c’è stata, e permane, una tendenza a polarizzare la discussione tra fautori e contrari all’immigrazione che ha messo in secondo piano l’esigenza di trovare pragmaticamente soluzione ad un fenomeno che, ci spiegano i 3 demografi, non può essere evitato e, ci illustra l’esperienza di altri paesi con una storia di immigrazioni più lunga e consistente della nostra, se ben gestito può rappresentare un enorme fonte di sviluppo economico e culturale per il nostro paese. In questo contesto, la statistica pubblica può svolgere un ruolo molto importante per guidare le scelte dei decisori politici sulla base di conoscenze informate della realtà del fenomeno e dei suoi effetti. Ci sono almeno tre ambiti all’interno dei quali ciò è di fondamentale importanza. In primo luogo la conoscenza della consistenza della popolazione straniera. Come noto, questo non è un compito facile per la stessa natura del fenomeno migratorio che tende in parte a sfuggire alle registrazioni ufficiali e, quindi, non può essere interamente colto utilizzando informazioni amministrative (come ad esempio i permessi di soggiorno). Ciò è comune a tutti i paesi dove i flussi migratori sono consistenti: l’immigrazione non regolare, per esempio, continua a essere un fenomeno importante negli Stati Uniti nonostante gli sforzi intrapresi dalle autorità per limitarne l’estensione. Tuttavia, la difficoltà di registrare statisticamente l’entità dei flussi e degli stock di immigrati non è limitata alla presenza di immigrati irregolari. Anche la componente regolare dell’immigrazione tende a essere meno stabile della popolazione italiana e, quindi, più difficile da cogliere attraverso le rilevazioni statistiche. Il secondo aspetto sul quale la statistica può e deve offrire al Paese informazioni sempre più dettagliate sono le caratteristiche delle persone che hanno deciso di immigrare in Italia. Il recente censimento della popolazione effettuato nel 2001 ha permesso di cogliere con maggiore dettaglio alcune caratteristiche importanti di natura socio-demografica ed economica relative alla popolazione straniera (come i paesi di provenienza, le caratteristiche familiari, la mobilità e le condizioni abitative e lavorative). Queste informazioni sono importanti per due ordini di motivi: primo perché contribuiscono a rompere il tabù dell’immigrazione straniera come fenomeno compatto e omogeneo al suo interno e mostrano con chiarezza che quello degli immigrati non è un gruppo omogeneo e statico. Esso è invece un insieme indispensabile eterogeneo comprendere in e in dettaglio. continua In evoluzione secondo luogo, che è queste informazioni consentono di predisporre politiche per questo gruppo di popolazione che sono adeguate alle esigenze e ai bisogni di ciascuna 4 comunità e di evitare l’errore delle politiche sull’immigrazione basate sull’approccio one size fits all come l’esperienza degli Stati Uniti testimonia. Infine, la terza area nella quale l’informazione statistica può contribuire a fornire un servizio per i cittadini e i decisori è quello dell’impatto socioeconomico dell’immigrazione e dei processi d’integrazione. Sono queste aree ancora relativamente poco esplorate dagli analisti in Italia e nella quale emerge ancora una forte esigenza di approfondimenti. Ciò è in contrasto con l’ampia letteratura che in Europa e negli Stati Uniti studia questi fenomeni con risultati molto importanti per comprendere il peso che l’immigrazione ha nel funzionamento dei nostri sistemi economici e sociali. Una maggiore quantità e qualità di informazioni statistiche che permettano di cogliere meglio il ruolo dell’immigrazione nel mercato del lavoro, nella mobilità territoriale e sociale delle famiglie e sul sistema di welfare è di fondamentale importanza per governare tale fenomeno e indirizzarne le potenzialità verso lo sviluppo e il benessere. Il convegno di oggi, promosso e organizzato dall’Istat, anche su indicazione e stimolo del Consiglio dell’Istituto, ha come obiettivo principale l’approfondimento dei temi legati alla presenza straniera in Italia, attraverso il contributo della statistica ufficiale e del mondo della ricerca. In particolare, i lavori si articoleranno in tre sessioni all’interno delle quali vari esperti si confronteranno sullo stato delle conoscenze in materia di immigrazione con l’obiettivo di indicare le modalità e gli strumenti per approfondire l’analisi del fenomeno da un punto di vista multidimensionale. La prima sessione approfondirà le principali problematiche e caratteristiche della dinamica migratoria in Italia e il ruolo delle rilevazioni statistiche nel processo di analisi di tali fenomeni. Nella seconda giornata, il dibattito si sposterà sulle possibilità e sui limiti dell’ampliamento della ricerca in tema di migrazioni. Con questo convegno l’Istat ribadisce il proprio impegno a proseguire il lavoro sin qui svolto. La collaborazione con il mondo universitario, le altre istituzioni pubbliche e i soggetti del mondo non profit, è un valore aggiunto alla conoscenza di un fenomeno come l’immigrazione e un ulteriore tassello che la statistica ufficiale aggiunge al processo di accoglienza e integrazione che ogni democrazia multietnica deve perseguire. 5