QUI - Ziqqurat

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QUI - Ziqqurat
Riccardo Novellone
A Cesare, Mirella, Viola
Siamo noi la poesia.
I.
Hai il sole nei capelli
e il cielo negli occhi.
Sei fatta di luce e di vento
sei il battito del cuore
sei il mistero della notte,
sei sogno senza sonno.
Nella stanza della mia mente
ho appeso il tuo ritratto:
hai il sole nei capelli
e il cielo negli occhi.
II.
La luna ci spia dal suo trespolo di stelle
mentre sperduti ci aggiriamo nella notte di Parigi
in cerca di un taxi, di un motel, di un letto
in cerca di un attimo d’amore eterno
gli alberi si inchinano al nostro passaggio
gli ubriachi baciano il suolo che calpestiamo
le fontane zampillano sangue in nostro onore
il freddo ci accarezza come un’amorevole madre
le foglie morte ci salutano svolazzando nel vento
i semafori impazziscono i tombini gorgogliano
le strade tremano i palazzi ondeggiano
le finestre sbattono le insegne esplodono
i parchi bruciano e i cimiteri si risvegliano
abbiamo sigarette al posto delle dita
e rombante vino al posto del sangue
ovunque sia il letto che ci aspetta noi proseguiamo
imperterriti invincibili inesauribili
invidiati dalla luna nel suo giaciglio di solitudine
luna piena come le tue labbra di ciliegia
luna degli assassini e degli amanti disillusi
luna di carne bianca rotonda e lussuriosa
che ci guida finalmente
dopo famelica peregrinazione
ad avvinghiarci nel sudario delle nostre coperte
a fare l’amore strappandoci a morsi le avide labbra
sangue nel sangue fiato nel fiato corpo nel corpo
avvolti dalla candida oscurità del nulla
sospesi nel dolce vuoto del piacere
senza angeli né Dio né diavoli
senza stelle né spazio né pianeti…
ma ecco improvvisa appare ancora la luna
che si insinua tra noi sotto le coperte
come una pestifera gattina gelosa
illuminandoci con la sua benedizione
eterna musa degli amanti disperati
che si incontrano per caso in una nicchia di Parigi
in un’unica notte d’amore
che non si ripeterà mai più.
III.
Zafferano, polvere e miseria
cielo d’argilla e sorriso di cannella
fiato del tempo, sangue della terra
sogno d’Agosto e gioia in guerra
profumo d’India nella brezza
come legno nella foresta
come arancia sbucciata
come donna straniera nel letto
nuda
e addormentata.
IV.
Scegli il vizio, l’insania, l’oblio
il sollievo del cieco all’insulto del sole
bestemmia l’amore sadico di Dio
il bambino che nasce ma non vuole
distruggi, esplodi, mordi
ama il sorriso dei pazzi e la pace dei sordi
la poesia è dietro l’orgasmo
e chi crede il contrario
chi rifugge l’imbrunire
è un prete vergine che si masturba
senza mai venire.
V.
Coraggio giullare
non era questo quello che volevi?
Leccare la dolceamara vulva dell’esagerazione?
Bere lunghe sorsate di notte
inebriato da morbide lune di carne?
Scaricare il basso ventre nei lombi del pericolo
dello sperpero
e dell’autodistruzione?
Stringere il seno del significato
come gonfia mammella materna?
Baciare le labbra del sole
respirare i capelli dell’alba
accarezzare i fianchi del mare
fare l’amore col fulmine e venire nel vulcano
coraggio giullare
avventato funambolo delle lettere
il tuo mestiere è divertire
niente altro
e morire nel farlo.
VI.
Sdraiato a letto da interminabili giorni
ricoperto di briciole e cenere
schizzi di vino rancido
depravazione
solitudine
follia
e biondi capelli di donna,
giocando a scacchi con Morfeo
blandito dalle inebrianti onde del materasso
le lenzuola come intrepide vele
diretto alle accoglienti caverne della notte
in un naufragio di sogni estatici ed erezioni
impetuosi oceani alcolici
rigogliose isole di carne
stordenti uragani sessuali
danzando sulla inesauribile sinfonia del campanello
volteggiando al ritmico squillare del telefono
come un viziato imperatore sbronzo
contemplo sbadigliando il mondo bruciare
giacendo placidamente riverso
sul mio glorioso trono orizzontale.
VII.
Avvolti dal nero grembo della notte
accarezzo le tue cosce tortuose
accavallate come forbici di carne,
la languida sigaretta penzolante
cupo volto di insonnia
sguardo di lama tagliente
cuore coccio di bottiglia:
tu sei uguale a me.
Siamo martiri del buio
kamikaze dell’oscurità
sacrifici dell’ombra…
ci aggiriamo per l’Eden di notte
mangiando tonnellate di mele
mentre Dio dorme come un bimbo
e il cielo russa come temporale,
la luna è il nostro anello nuziale
la tenebra il nostro soffice talamo
dove abbracciati ci nascondiamo dalla luce:
perché un giorno inevitabile
il sole ci scoverà
e ci separerà ghignando
uccidendoci con il suo arido amore
in un lugubre lampo d’invidia.
Ma ci incontreremo ancora
è destino non temere,
ci ricongiungeremo come sempre
sulla soglia del nostro amato grembo…
là, dove l’alba diventa inferno
e il tramonto paradiso.
VIII.
Gli amori marciscono le fabbriche producono
i fiori nascono e le persone uccidono
le lacrime si sciolgono nel mare come ricordi
e le poesie d’amore sono incubi mascherati
triste giullare della notte
lei danza sul tuo cranio sputandoti farfalle nel cuore
ridendo come terremoto urlando come uragano
squassandoti le ossa in un dolce omicidio
suo è il coltello, tuo il sangue sulla pagina
angoscia dorata
supplizio zuccherino
dolore raffinato
letale come il sole del deserto
lei è l’innocenza della tormenta di neve.
Gli amori marciscono le fabbriche producono
i fiori nascono e le persone uccidono
le lacrime si sciolgono nel mare come ricordi
e le poesie d’amore sono incubi mascherati
triste giullare della notte
suo è il coltello,
tuo il sangue sulla pagina.
IX.
Bicchieri di vino vuoti
posacenere pieni
piatti sporchi in cucina
scheletri di bottiglie
le tapparelle abbassate,
a protestare contro l’inutile esistenza del giorno
i vestiti sparsi dappertutto,
come centinaia di spaventapasseri esplosi
e tu nuda
notte incarnata
che parli e fumi e cammini
in questa stanza
precisa replica della mia mente
in cui ti aggiri indifferente
signora di materia e di spirito
tra pizza, disperazione e sigarette
ad ogni passo si agitano i tuoi capelli
come ragnatele dorate
come trappole per il mio cuore-insetto
e la mia pelle è solo una cicatrice
solo una sottilissima pellicola
che trattiene inutilmente le mie budella frementi
e intrusa la luce filtra dalle tapparelle
disegnando le linee del tuo corpo
con la precisione di un bisturi divino
e io muto ti osservo in controluce
mentre parli e fumi e cammini
e all’improvviso comprendo
con la nitidezza di un sogno
che Dio è il più grande artista dell’universo
e anche
un gran buongustaio.
X.
Le gambe accavallate sul bordo della notte
fiera fissi il nulla
fumandoti lentamente la mia anima
prosciugandomi
come un vecchio materasso
abbandonato sul marciapiede
ridendo delle nuvole e delle lacrime
senza dei né fortuna
lasciandomi a penzolare dai tuoi occhi
enormi
come fredde stelle nello spazio
vibranti
come una nota nel vuoto:
sei fastidioso piacere
illuminazione ubriaca
violenta carezza
incubo gentile,
sei il sentimento contorto
con cui vago perduto
nella notte nera dei tuoi occhi.
XI.
Ti aspetterò all'inferno,
tu e i tuoi capelli d'oro
il tuo diabolico sorriso
le tue candide ali.
Ti aspetterò all'inferno,
bruciando lucido e adirato
ti aspetterò come una pietra nel fuoco,
come il ghiaccio sottoterra
come la luna nel vuoto.
Ti aspetterò all'inferno,
nascosto tra le fiamme
ti aspetterò in compagnia del diavolo.
Ti aspetterò sempre
ma già so che non verrai
mai.
XII.
Trafiggerò il tuo cuore tenendoti per mano
e la mia anima ballando ti guarderà negli occhi,
rabbrividendo di piacere
cantando il nome degli angeli,
tutte le bibbie del mondo esploderanno in cielo
e il perdono di Dio scenderà su di me
come crema alla vaniglia
come il sorriso della nonna
come il corpo nudo di una donna
come i tuoi occhi nudi e solitari
che ora mi guardano con rimprovero:
il tuo ultimo sospiro
schiude la tua maledizione per me,
come miele nel fango
come la più dolce delle benedizioni
la confessione del parroco,
la disperazione dell'assassino,
il pianto del diavolo.
XIII.
Lei esce di casa, sbattendo la porta.
Resta solo la grigia luce di una mattina invernale.
Fuori, le automobili si rincorrono
in un fanciullesco e inutile gioco senza senso.
L’acqua nella vasca si raffredda,
i miei capelli crescono,
le batterie della mia radiolina portatile
si esauriscono
mentre l’ultima nota di un Mozart deforme
si spegne piangendo
in un lamento di infinita bellezza.
In fondo la vita sarebbe meno bella senza il dolore
sarebbe più noiosa senza la fatica
sarebbe più triste senza la morte.
Perché proprio ciò che più temiamo ed evitiamo
è la forza che ci tiene in piedi,
la volontà che ci fa uscire dal letto al mattino,
il motivo per cui ad ogni respiro
ne facciamo seguire un altro.
Il sorriso che nasce tra le lacrime,
l’orgasmo dopo la lotta,
la risata folle di un bambino.
XIV.
Il sole ride
in questo giorno di gloria
e i nostri corpi nudi
contorcendosi simili a gatti
strisciano l’uno sull’altro
mentre il burro sfrigola in padella
e gli angeli suonano la cornamusa
solo per noi
e Dio e il diavolo
ballano il tango della vita e della morte
e tutto il vino del mondo
gorgoglia di piacere
in attesa di essere bevuto
mentre noi giacciamo nel letto
come delfini spiaggiati
il sorriso appena accennato
gli occhi languidi semichiusi
la luce che filtra dalle tapparelle
il telefono che squilla in continuazione, solitario
la porta che tuona
sotto la gragnuola di colpi della padrona di casa
l’inferno è vuoto
il paradiso pure
siamo tutti qui a fare festa
in faccia alla crisi economica
alle religioni marcescenti
alla morale decadente
alla televisione
alla politica
alla gentaglia
ora siamo la luce del mattino
siamo il salto dell’acrobata
siamo l’acqua che bolle
siamo la sigaretta che si consuma
siamo l’universo in contrazione
come le doglie della partoriente
come il bambino nell’utero
in attesa della perfezione
che dura sempre un attimo
giusto il tempo di un orgasmo
giusto il tempo di una giornata
giusto il tempo di una vita
e noi diciamo: ancora
e noi diciamo: ne vale la pena
e noi diciamo: si, cazzo.
Ancora nel letto
come un re sul trono dell’inedia
mi volto e osservo
il miracolo di carne al mio fianco:
unica speranza di senso
nell’infinito alfabeto dell’universo.
“Passami le sigarette”
lei dice.
Il lampo benigno dell’accendino,
e poi
il buio.
XV.
Lasciate che il silenzio sia la vostra guida.
Non toccatemi.
Non parlatemi.
E soprattutto,
non giudicatemi.
Avete voglia di dolcezza?
Mangiate cioccolato.
Lasciate a gente come noi
litri di vino rosso,
1.000 sigarette,
musica classica,
vomito nella pattumiera.
Nessuno vi ascolterà,
risparmiate il fiato per le candeline sulla torta.
Scegliete il legno delle vostre tombe.
Leggete una poesia.
Tutti i vostri sforzi
sono come soffiare contro un uragano.
L’unica cosa che abbia un valore,
l’unica cosa sensata
che potreste riuscire a fare in vita,
l’unica cosa
che vi renderebbe liberi
e senza paura,
sarebbe ridere della morte,
piangere per un palloncino nel cielo,
ascoltare il silenzio.
Fatemi sapere se ci riuscite.
Io resto qui,
a guardare questo muro bianco,
aspettando l’apocalisse.
XVI.
Distenditi sulle calde rive di questo sogno
rendi la tua mente versatile come acqua
gustati un bicchiere di vodka ghiacciata
diventa la marionetta di te stesso
compra 50 paia di mutande, ti saranno utili
credi di sapere dove sei?
puoi perderti per i vicoli di Tetouan
gridare bestemmie nei bistrot di Parigi
accoltellare ubriachi nelle fogne di Praga
quello da cui fuggi sei tu
sei il personaggio di un videogioco
sei una diapositiva sbiadita di tuo padre
sei una carta d’identità scaduta
sei una banconota fuori corso
sei un libro d’arte non aggiornato
sei un foglio di carta piegato in due
sei una stonatura in una sinfonia
sei una ruga sulla fronte di un vecchio
sei il cuore di un animale morto
sei il chiodo arrugginito di una bara
sei il bambino che piange in Namibia
sei il riso di un ubriaco a Helsinki
sei la targa annerita di un camion
sei il ramo di un albero morto
sei la lancetta di un orologio rotto
sei un fotone nella notte più nera
e nonostante tutto
per quanto lontano tu possa andare
come una lucertola al sole
amerai pur sempre la luce
fingendo di odiarla.
XVII.
La saggezza è un’antica leggenda dimenticata
eternamente ripetiamo i nostri errori
a rotazione
come ruote di preghiera tibetane sempre in corsa
numerosi
come le volte che abbiamo smesso di fumare
e il sole sorge ogni giorno
ridendosela
e noi aspettiamo la notte
dove sbagliare è più dolce
protetti dal velluto del silenzio
celati dal fumo delle sigarette
a centinaia di chilometri sotto la superficie del vino
e ancora più lontano
dall’impietoso giudizio di noi stessi.
XVIII.
Dove sei
voglio mangiarti il cuore sorseggiando Chianti
voglio inchiodarti le labbra alle mie
annodarci le lingue
nascondermi nel tuo utero
voglio schiantare la tua immagine nel cielo
bella come un bambino che piange
reale come il mal di pancia
dove sei
ti aspetto con la lama del mio amore
fumando mitragliatrici di sigarette
gettando grappoli di bottiglie vuote dal balcone
ti aspetto
sei il mio lager
sei il sasso che mi fa inciampare
sei la mia apocalisse felice
e il tempo è un bambino impaurito
dinanzi alla pazienza della mia ossessione
ti aspetto qui impassibile come un cadavere
tu dimmi dove sei.
XIX.
Sputa nel vulcano
bevi birra sdraiato sotto il letto
strappa le unghie ai sogni
squarciati il petto e baciati il cuore
schiaffeggia le tigri
oirartnoc la alrap e ivircs
ridi quando tutti piangono
piangi quando tutti ridono
urla in chiesa
sii silenzioso nelle osterie
cerca il vuoto in ogni bicchiere
e la notte nei raggi di sole
apri il paracadute
ma solo dopo esserti schiantato.
XX.
Lacrima di fango e orfana risata
tremulo ansito della notte
àncora nel vuoto
getto di veleno nelle vene
pillola nel whiskey
gioco oscuro, violento, dissennato
graffio nell’anima
urlo del pensiero
bacio sanguinante e carezza al vetriolo
sguardi nudi che si incastrano
come i nostri corpi
mentre le stelle rabbrividiscono
la benzina danza con il fuoco
e gli angeli
si barricano nel rifugio del cielo.
XXI.
Non respira il vento
il serpente a sonagli tace
immobili siedono le nuvole.
Il tuo volto nel cielo
sostituisce la luna
ma non illumina il cammino.
Non respira il vento
il serpente a sonagli tace
l’arido deserto è il tuo sorriso.
Potessi drogarmi del tuo respiro
potessi bollire nel tuo sguardo
potessi morire per crearti.
Non respira il vento
il serpente a sonagli tace
e il mio scheletro spellato
nella polvere
giace.
XXII.
Come il raggio di sole
si allunga calmo e silenzioso
sul pavimento di legno
della casa della tua infanzia,
così io mi distendo
pur sembrando immobile
nell’arco del tempo
e osservo
e assorbo
e mi dilato
in un amplesso
che è quello dell’universo:
completo e soddisfatto.
Non ho bisogno di nulla
perché il nulla
non ha bisogno di me.
XXIII.
Immortale come una zanzara
il nostro pensiero segue la strada dei folli
dei martiri e degli invasati
inciampando in bottiglie vuote
tra mozziconi di noi stessi
abbagliati dalla luce di un sole spento
in un’epoca di gloria recitata
siamo sugo che cola dalla bocca del niente.
XXIV.
Estatico graffio della notte
cintura slacciata dei nostri pensieri
saggezza nei posacenere pieni
morso dell’alba alla natica del sonno
siamo le oscure nuvole del giorno
l’afa che il sole appanna, l’ombra dei sassi
la carne dei sogni e il colore dei ciechi
il muro bianco e crepato nella casa dei pazzi
è il tramonto l’unica cosa che possiedi
come l’anima alla tua morte
il tuo ultimo pensiero insanguinato
come il sole ingoiato dalla famelica notte
avvinghiato disperato
al seno della vita che ti sfugge.
XXV.
Il cielo preoccupato
nel crepuscolo incombente
dei lumi notturni il curatore
i tuoi occhi cerca, invano
due stelle mancano all’appello.
XXVI.
Pensi che scrivo ma ti sto guardando
da dietro lo schermo, spiando
tu che nuda fumi sul letto
i piedi sui cuscini
la testa sul copriletto
avessi una pistola ti sparerei
ammirando il sangue rosso
come il tuo smalto
spandersi sulle lenzuola candide
fossi vento entrerei furioso dalla finestra
scompigliandoti i capelli
scrollandoti di dosso il loro profumo
sapessi rimpicciolire ti scalerei
accucciandomi nell’incavo del tuo seno
la perduta valle dell’Eden
ma questo corpo possiedo
e niente altro
per cui mi alzo
mi avvicino
e afferrandoti per i capelli
ti amo.
XXVII.
Il tuo fiore sapeva di cannella
Jodhpur in una giornata di Maggio
umana spezia sul miasma del mondo
gusto di mosto sotto la lingua
ed io mi arrampicavo come Buhl
sul tuo fiore come sul Nanga Parbat
mentre soffiavi i tuoi divieti e i tuoi rifiuti
sulla mia nuca scoperta, nella mia bocca aperta
dea del terremoto, del fulmine e del gelo
che i leviatani combattano
che i preti predichino
che gli scheletri si sbriciolino negli armadi
io ricordo il profumo di cannella tra le dita
che era il tuo fiore
che era la mia vita.
XXVIII.
Il fato è sordomuto
indifferente ai nostri miseri schemi
calcoliamo eclissi, diagnostichiamo malattie
prevediamo il tempo
ma una pietra ha già il nostro nome sopra
come ebbri ballerini sulle viscere del caso
ignoriamo i richiami dell’ultima madre
spranghiamo la porta
stacchiamo il telefono
e nel letto ci giriamo dall’altra parte.
XXIX.
Ballando disperati tra le note della notte
in un bagno di vino, sudore e sigarette
ci guardiamo in silenzio trattenendo il fiato
mentre la notte chiede al giorno di aspettare
solo per noi
che rinunciamo per sempre agli sbadigli
e alle domeniche di sole
incatenati l’uno negli occhi dell’altro
come asceti pazzi
ignorando gloria e miseria del mondo
rincorrendo i lampi nella notte
distillando il sudore degli angeli
venerando il miracolo della carne
siamo batterie che non si scaricano
siamo motori che esplodono
siamo pugni al cervello
siamo albe senza giorno
e i fauni rincorrono le ninfe
e i fiori di loto si schiudono
con la forza delle carezze
e i piaceri del corpo ci ingolfano
coraggio schiudi la bocca
esplodi la lussuria nella mia
è come cadere dal 4° piano
reggendo sigaretta e bicchiere di vino
mentre il Papa ci condanna dalla finestra
ignaro che gli angeli esistano
e il diavolo piange ogni notte
come qualsiasi uomo solo
e dio è una donna che guardandoti dice:
perché mi sono innamorata di te?
ma ora balliamo
come demoni impazziti
e guardiamoci in silenzio trattenendo il fiato
tra le note della notte
sorridendo
fino a quando il tempo non sarà stanco
e ci lascerà in pace
per sempre.
XXX.
Tu mi guardi sorridendo arcana
velata da ciocche folte di serpenti
tu mi guardi sorridendo mistica
ballando nuda al ritmo del jazz
tra sigarette indifferenza vino e bellezza
mentre il mondo telefona preoccupato
e dio bussa alla porta, furiosamente
tu mi guardi sorridendo oscura
gemito di 1.000 sirene della polizia
fusa di gatta da 10 tonnellate
bacio di vulcano attivo, con la lingua
sibilo di luna forata con il tuo tacco a spillo
tu mi guardi sorridendo astrusa
e io ti rido addosso di rimando
crollando sul letto delle tue labbra
per addormentarmi sazio e ubriaco
nel conforto del dubbio, della giovinezza
e del peccato.
XXXI.
Come ruota inceppata slitto
sui tornanti dei miei pensieri
sei ostacolo improvviso
ghiaccio su strada
colpo di sonno
attacco di panico
starnuto convulsivo
albero di traverso
sigaretta accesa tra le gambe
cerbiatto paralizzato dalla luce
riflesso stordito dal vino
crampo del mio cuore
sei la piccola distrazione che uccide
e io il santo ebete
che precipita sorridendo
nel burrone degli amori perduti.
XXXII.
Notte,
ecco che arrivano le 3:00.
Silenziosamente
come sempre
la notte
ti abbraccia la testa
e ci soffia dentro
suoni cristallini e immagini di libidine
speranza e disperazione
disgusto ed estasi
oblio, reminiscenza
sigarette, vino e sbornie
e donne ubriache che russano
e santoni che si ingozzano
e sguardi luccicanti di lussuria
e bava che cola da menti affamate, drogate…
Viviamo come ipnotizzati
dalla accecante luce della luna,
che a tutti dà il benvenuto
nessuno escluso
in questo orario mistico,
che fa pensare
che fa scrivere
che fa gridare.
Come faccio io,
qui, ora
alle 3:00,
seduto nella mia stanza.
XXXIII.
La tua lingua scivola come colla sui miei pensieri
mentre le onde del nostro amore si infrangono
come gli antichi imperi
siamo noi gli scogli ostinati
noi il fondale oscuro
noi la tempesta
siamo bambini che rompono giocattoli
siamo castelli di sabbia senza mare
siamo navi che trasportano amanti
destinati a nuovi amori di sale
ci affoghiamo tenendoci per mano
mentre la tua lingua come frusta
imperterrita lecca i miei pensieri
al punto che gonfi come lacrime
cadranno presto a terra
esplodendo felici
lasciando infine ad altri
l’onere di amarti.
XXXIV.
Il tuo sorriso come squarcio nel cuore
dal passato teneramente mi acceca
mentre mi contorco nel letto sfatto ubriaco
chiudendo gli occhi ai sogni come ai morti
pregando su altari di bottiglie vuote
inseguendo e fuggendo te
medicina mortale
fiore velenoso
angelo sadico
io sono il lupo ululante
tu la mia tagliola
vago cieco nel regno della tua bellezza
niente più che ombra sul muro della notte
unica luce la brace della sigaretta,
unica luce il ricordo del tuo sorriso.
XXXV.
Nascosto dal nero giorno infame
in attesa del candido calore della notte
ancora imbrigliato nei capelli dei sogni
respirando come un naufrago affogato
ecco che improvviso un raggio di sole mi colpisce
dardo bruciante di un cecchino perfetto
non posso far altro che subire e attendere
attendere la notte, paziente
attendere la luna che è il mio astro
attendere il momento in cui cadrai
perché tu cadrai, sole
già vedo il tuo sangue dilagare in cielo
divorato dalle montagne all’orizzonte
colpito a morte dalle avanguardie del buio
e allora saprai,
allora saprai come io so,
quale scherzo il destino ha giocato a entrambi.
Tuo il giorno mia la morte,
tua la morte mia la notte.
XXXVI.
Incantati dagli arcobaleni del nostro pensiero
ci lasciamo sfuggire i lombi lussuriosi della terra
Noè ubriaco che guarda il cielo
vino sudore della guerra
dolce sangue di vagina
fiore appassito della regina
il re che muore, veleno nel ventre
Dioniso programmatore di deliri
insinua virus nella mente
stordisci i tuoi sensi e affoga i sospiri
lascia scivolare l’uva nella gola
soffoca il gemito nella tua bocca
la tua lingua è un rospo
che io lecco sul dorso
allucinazione rosa e bionda
il tavolo macchiato di vino
sul quale mi hai tagliato un dito
che pende ora dal tuo collo
insieme al crocefisso di tua madre
siamo ubriachi e morti io e te
antichi dei, mai risorti.
XXXVII.
Tu sei sbagliato.
Devi nasconderti,
camuffarti
come un santo in paradiso.
Come birra in osteria.
Mordi le cosce di tua madre?
E tappale la bocca,
alza il volume
mentre stupri un angelo sii cauto
sei circondato da chiese e senso del peccato
pioggia, fango, sperma
caramella del sole
schiavo decapitato
la donna della tua vita intrappolata in un sogno
che alla mattina scompare
come uno sbadiglio
come l’urina mattutina
giù nel cesso dei tuoi desideri
tira lo sciacquone e goditi i tuoi pensieri
a che ti serve una nuova alba?
a che ti serve fare ancora sesso?
a che ti serve una nuova vita?
sei sempre tu il regalo di te stesso.
XXXVIII.
Cerchiamo il senso alla luce di un fiammifero
sotto il tavolo dei nostri bagordi
tra cicche di sigaretta, briciole e polvere
niente gloria, solo entropia
brindiamo a ciò che è caduco
all’orgasmo ai tramonti all’amore
vino, sesso e ristoranti
siamo sazi cronici
danzanti sui cocci dei nostri ideali
che importa se ci sanguinano i piedi
se i capitali durano meno dei nostri pensieri
solo i nomi restano degli imperi.
XXXIX.
Brucia le liste del rimpianto
Sodoma e Gomorra nel bicchiere
goccia di sesso sulla fronte del volere
la sigaretta che si fuma da sola
finalmente abbandonata
il giorno che si infrange sulla notte infoiata
gloria nel tuo gemito che risveglia come un canto
la risata nel pianto
la muleta del torero
la donna che muore nell’orgasmo del guerriero.
XL.
Svegliato dal morso di un sogno
i tuoi capelli sul cuscino
sparsi come alghe su scogli bianchi
tatuaggi d’ombra sulla pelle
l’oscurità nei miei occhi
non in questa stanza
la sete nella mia mente
non in questa bocca
l’amore nella pattumiera
non in questo cuore.
XLI.
La tua bocca è una caverna di corallo e alghe rosa
il mio rifugio dalla polvere dei giorni
dove respiro il fumo delle tue sigarette
e annego negli alcolici di cui ti inebri
il mio sole è la tua ugola, acqua sorgiva la tua saliva
scogli d’avorio i tuoi denti e vento caldo il tuo fiato
musica ammaliante la tua voce di sirena
la tua bocca è una grotta di velluto
la tua bocca è il mio bunker
la tua bocca è la mia tomba in vita
dove giaccio beato e disperato
fino al giorno in cui distrattamente
deglutendo, mi inghiottirai.
XLII.
Gioca alla morte con gli scacchi dei tuoi giorni
triste stella spenta da uno sputo
valoroso mantra imbavagliato
benvenuto
nella giostra del banale e nel ricordo del possibile
il cerchio si chiude e tu ne sei fuori
fiamma che danzi furiosa nel tuo bruciare
hai l’orgoglio del diavolo e la forza di un petalo
il cuore di un leviatano e la fame del lupo
hai la nobile fierezza di un dio caduto,
e l’amara saggezza dell’eroe dimenticato.
XLIII.
Nel palcoscenico della mia mente
tu balli nuda simile a pizia indemoniata
sui cadaveri dei miei ricordi
e i tuoi capelli suonano come sitar
e la luce è il tuo unico vestito
mentre io gorgoglio, rubinetto intasato d’amore
stridulo suono di un gatto affogato
becco proteso di un cucciolo d’aquila
che aspetta solo il vomito del tuo cuore
tonnellate di diamanti o un rivolo di bava
la carne per la frusta e il dente cariato
anestetico prescritto senza anamnesi
polvere nel sole, un contratto stilato sui coltelli
sono il cane nella macchina del tuo affetto
ma tu sei andata via, chissà dove
senza abbassarmi il finestrino.
XLIV.
Suonano i tuoi passi sulla sabbia
mentre il vento danza con il granchio
e ride il gabbiano nella nebbia
siamo lo scrigno del sole, insieme
i tuoi denti come lune piene
le tue mani coralli rosa
siamo l’onda che rolla senza posa
il marinaio e la sirena
l’orma dei tuoi piedi sulla rena
matrici dorate della tua figura
eterna statua tra le mie braccia
eterna prigioniera delle mie mura.
XLV.
Serenità nella mischia e passione nella calma
esiste un solo giorno, una sola vita
da quando nasci a quando muori
da quando ti svegli a quando ti addormenti
siamo noi l’intervallo della notte
la pausa tra le note
il vuoto che riempie la ferita
il presente che ci schiaccia
tra l’incudine del passato e il martello del futuro
il teschio dietro ogni faccia
siamo noi l’impronta sulla sabbia
noi il mare, che subito la cancella
senza lasciarne traccia.
XLVI.
Aprite i rubinetti della notte
ululanti monaci a lato dei sogni
profeti di vetro, aquile senz’ali
dormite quando siete svegli
cadete senza inciampare
combattete a guerra finita
lasciate gli ideali a leccarsi come cani
ragnatele di carne agli angoli dei giorni
avaria nei quadranti del paradiso
benzina che sostituisce il sangue
i missili che zampillano, i satelliti che spiano
le pubblicità che adulano
i portafogli che ci avvolgono e ci stritolano
i leader che sorridono plastici
è meglio dormire
dormiamo ora che c’è il sole
risorgeremo puri con la luna
e il mondo, nostro adorato specchio
è il nemico che al risveglio distruggeremo.
XLVII.
Ingoiato dal bicchiere in un gorgo di piacere
rincorrendo false estasi e lussuria scadente
filosofi infoiati che fornicano con la tua mente
sei pronto a ingoiare i cocci
dei tuoi pensieri più inutili?
raccatta i lembi infranti della tua stima e ricucili
l’ispirazione non è una bottiglia di vino vuota
sei la bocca arida del mattino,
lo sbadiglio dell’assassino
l’orgasmo esaurito,
il corpo dissanguato e il criceto senza ruota
hai la forza ma non la puoi usare
come un foglio senza matita
cerchi il sole nel riflesso di una lampadina
nella sporca pozzanghera che è la tua vita.
XLVIII.
Inchiostro nel bicchiere
vino sulla pagina
lupi nella lingua
polipi tra i pensieri
ombre negli occhi
freddo
come il bancone su cui mi addormento
galleggiando con la cenere
sulla superficie della notte che incombe
chi bussa alla porta della mia noia?
chi sfonda le finestre della mia solitudine?
chi percuote il petto della mia apatia?
tu
mio spettro rosa
nuvola di abbandono
che copri la luna delle mie notti
inzuppando con la pioggia dei tuoi baci
la mia presunta invincibile indifferenza.
XLIX.
I nostri corpi giacciono riversi, scomposti
rovesciati sui tavoli e sui tappeti, con sguardi foschi
tra migliaia di bottiglie vuote
e mozziconi di sigaretta
come candele votive in una chiesa maledetta
abbiamo fiato d’ombra e occhiaie di cobalto
respiriamo immobili come spiriti in letargo
talvolta si scorge un movimento, s’ode un grugnito
una risata che scoppia solitaria e senza invito
birra nei vasi, il computer nel lavandino
risucchiamo le speranze e le sputiamo sul destino
l’ultima luna dalle finestre ci spia divertita
come delatrice celeste, luminosa bandita
seducente, limpida e curiosa
con una risatina maliziosa si dilegua all’orizzonte
lasciandoci vuoti tra dubbi e scarpe rotte
come tristi ruscelli senza fonte
abbandonati a noi stessi, soli nella notte:
non fa differenza, il tempo ha gambe corte
giacciamo riversi e scomposti nell’attesa
brindando con i diavoli e ridendo della morte.
L.
Dante sapeva meglio di noi
che il tuo girone era quello dei codardi
una vita dietro la scrivania della vita
a saggiare i sogni con la punta delle dita
come un gatto fa con l’acqua, ripugnato
ti crogiolavi nella falsa gloria del vino
e nascosto in vagine foderate di specchi
contemplavi il tuo volto nell’orgasmo:
c’era il vuoto, solo il vuoto nel tuo sguardo
come in quello delle antiche statue sumere
siamo la lingua sotto il tacco del piacere
il pene del diavolo, le cosce della madonna
il tuffo liberatorio nel cuore di una donna.
LI.
Figli diseredati del sole
andavamo predicando la gioia
il sesso, l’estasi e il piacere
incatenati in gocce di pioggia
ora ci resta solo la gelida mente
la fradicia ragione calcolante
con cui contemplare l’universo
che un tempo era nostro
ma ora non più.
LII.
Il sole indifferente cuoce la carne
in gocce di condensa e sudore
sabbia come cenere
musica che si muove a fatica nell’aria
nausea, estasi e donne maya
iguane imperscrutabili
imperatori nel regno dell’indolenza
lacrime e pelle d’oca, sbadigli e risate
infiniti dubbi e infinite attese
come se il domani fosse il paradiso perduto
siamo tutto e abbiamo niente
la mano sul coltello, il vino nella pancia
e un diamante nel cervello
il sorriso nella forma, il vuoto nell’essenza
siamo un conto alla rovescia
cuori rossi ma spenti
oceani di benzina privi di scintilla
figli dell’inevitabile entropia
perché la purezza è inversa alla durata
la simmetria è caos per il caos
le verità sono fradice di alcool
e ovunque la vita è la stessa:
inutile e graziosa,
come un libro sfogliato dal vento.
LIII.
Mastica il mio cuore come filetto di maiale
io sono cielo, tu il mio temporale
la tua saliva è alcolica i tuoi capelli sono fumo
sei la sostanza che mi uccide, ma che assumo
ape di lussuria sul fiore del mio pensiero
Venere in pizzo rosso e dal sangue nero
sei la lacrima che cola come lama
la goccia gelida lungo la schiena
la tortura senza meta di un anello
la lugubre risata di un’avida iena…
dimenticate diavoli, assassini e mentecatti
e ricordate:
sono gli angeli i torturatori più esperti
ti lasciano cieco al mondo infatti
ma con gli occhi aperti.
LIV.
I nervi sono sassolini
nel terremoto del tempo che scorre.
La pelle è elettrica, un’unica squama rosa.
Ti senti meglio
dopo aver letto il giornale della domenica?
La tua unica ambizione: congelare l’ego,
una corda rotta nella sua nota
il letto sfatto dopo che ci hai scopato sopra.
La coscienza farà di tutto per abbandonarti.
Credi che otterrai qualcosa con il prossimo respiro?
Personalmente, si.
L’algoritmo della vita riesce ancora ad affascinarci.
Sepolti dalla televisione, dal lavoro, dalla moda
la brace della fenice continua a brillare, celata.
Prima o poi arriverà l’uragano
quel delicato, innocente e profumato respiro
che ci farà divampare
come il sole a mezzogiorno,
prima o poi.
La folla sarà un unico “si”,
il cielo un salotto,
e un nostro sbadiglio
l’assordante tromba dell’apocalisse.
LV.
Strizzami l’anima come spugna sul tuo viso
mia languida ferita che tu chiami sorriso
mia goccia di sangue che sputi sulla vita
aroma del tuo capezzolo tra le dita
sei il fiore della notte che si schiude
nel canto del mio diluvio salivare
i santi che si riparano sotto i tetti
insieme ai cani e alle puttane
piega del tuo seno, sguardo dietro al velo
immagine ideale di me stesso
Tantalo eunuco nel mondo del tuo sesso
ubriaco come vela nel vento dei giorni
prego Orfeo che il risveglio più non torni
scivola il carattere sul fondo del bicchiere
mentre ordini distratta la mia anima al cameriere
sono piccola goccia perduta nel deserto
prendi quella goccia,
puoi inzupparci il mondo dentro
piccola goccia che succhierai dalle mie labbra
statua fasulla, oceano in una brocca
le calde coperte del nulla
l’accogliente vuoto della tua bocca
regina dell’Olimpo e sovrana dell’Ade
che sia verso l’alto o verso il basso
mio è il cuore che pesante come un masso
cade.
LVI.
Girovago vagabondo
nella landa del tuo spirito
regina del mio regno
vela del mio vento
coppa del mio sangue
alla ricerca di un pozzo
bramando l’oasi all’orizzonte
che non troverò mai,
perché non esiste:
sei il miraggio che pur avvicinandoti
sempre lontano appare.
LVII.
La testa nel fango e i piedi nel cielo
languide erezioni nel mezzo
la tua vagina senza un pelo
morbido cuscino del ritmo
tacco dodici nel cervello
la pelle un’unica lingua
eterna battaglia nel deserto
miraggio d’acqua tra le gambe
io sdraiato a terra in mutande
tra scrivanie di solitudine
tappeti di silenzio che ci separano
chiudo le tende, serro la porta
spengo la luce e aspetto
i drappi del tuo abito arcano
lo sguardo del maestro dietro al velo
uccidimi, risvoltami e rovesciami
i piedi nel fango e la testa nel cielo.
LVIII.
Saltando da un sogno all’altro
tra le pieghe del vino
trascino il giorno con me
inutile, come un computer rotto
la notte beffarda che mi guarda e ride
a braccetto della luna
ma io tornerò
accompagnato dai mastini infernali
e schiere di debosciati
incoronato re marcio
e tutte le bottiglie rotte del mondo
saranno i nostri coltelli
e uccideremo con risate sguaiate
cadremo scopando e mangiando
l’orgasmo sarà la nostra politica
e allora notte
tu saprai chi è il padrone
di chi sei figlia
tu saprai a chi devi la tua forza.
Tornerò a prenderti
scagliando via l’inutile giorno,
tornerò a prenderti
puntuale come la morte
tornerò a prenderti
stanotte,
come sempre,
come ogni notte.
LIX.
L’orgasmo è una finestra rotta
vuoto sbirciato da una crepa nel mondo
strizzare l’occhio al diavolo
scalando natiche d’avorio nell’ombra
l’orgasmo è una lama che taglia
come falce di luna, rasoio degli angeli
contraddittorio parco giochi del corpo
l’orgasmo è lo sbadiglio di un dio annoiato
panno al sole dopo la pioggia
uragano domato, starnuto del fiore
linea retta che si incurva maliziosa
l’orgasmo è una poesia, senza scopo alcuno
impossibile equazione di carne
cranio sfracellato nell’amplesso
legge fisica infoiata e assioma del sesso
l’orgasmo è un pianeta che rotola
come una biglia verso il tombino del nulla
che precipitando in silenzio
si sfracella al suolo con un gemito
come l’allegra morte di un’onda.
LX.
Scivoliamo come gelide gocce
lungo la schiena dei giorni
siamo il brivido del sole
gli ingranaggi della notte
saldamente aggrappati al nostro bicchiere
attraversiamo le burrasche dei tramonti
scrutando avidi l’orizzonte
sempre aspettando il sorgere di una luna
la nostra amata luna
che non esiste,
se non in pagine come questa.
LXI.
Tramonto di corallo rosa
sulla languida terrazza del nostro cuore
dove tu balli liquida sudando feromoni
giocando con i pianti del passato
riflessi nel tuo gigantesco sorriso presente
che mi schiaccia come un cuscino profumato
evaporando l’acqua degli oceani
spegnendo stelle e angosce
aggrappati alle ali degli angeli
in questo tramonto di corallo rosa
inutile ruota dei secoli appassiti
lento movimento delle tue anche
la chioma che ondeggia come petalo
sulla languida terrazza del nostro cuore
pensieri di cristallo rovente
tu che mi sfiori dolcemente
come il fulmine sfiora la terra
come il fuoco abbraccia la benzina
mentre balli liquida sudando feromoni
sbriciolando il mondo nella tua danza
il peccato redento dalla tua candida lussuria
il corallo rosa di questo tramonto
la tua lucida pelle di platino
la mente come stella nuova
musica senza tempo, senza ritmo, senza suono
solo il momento presente
sulla languida terrazza del nostro cuore
avvolta nell’aria tua unica veste
balli liquida sudando feromoni
esplodendo i miei occhi come uova
mentre gli dei si masturbano infoiati
le pietre applaudono e gli alberi si inchinano
l’aria si infiamma
il pianeta si ferma dal suo trottolare
l’universo frena la sua espansione
in questo tramonto di corallo rosa
sulla languida terrazza del nostro cuore
dove tu balli liquida sudando feromoni
giocando con le ceneri della mia anima
spezzandomi le ossa e lacerandomi la carne
distruggendo i miei pensieri
io ti osservo placido e rido finalmente
rido forte
e per sempre.
LXII.
E mentre il sole cadeva
in picchiata nel cielo di porpora
i motoscafi prendevano il largo
scivolando sul ciglio dell’orizzonte
si sdraiavano le ombre
i cormorani schernivano il mare
ed io contemplavo l’impronta
del tuo corpo nudo sulla sabbia
una lacrima sul seno
la ruga che spunta quando sorridi
il cielo dopo la tempesta
che infinito si perde
nel tuo volto finalmente sereno.
LXIII.
Prega i tuoi dei bambina
ingranaggio di lussuria
che la terra si apra e ti inghiotta
come una vagina
ti aspetto io sul fondo
armato di Ovidio e lubrificanti
fruste, candele e manette
il paradiso è deliziosa prigione
cancelli di carne
cielo di specchi
prega i tuoi dei bambina
elettriche squame rosa
foreste di lingue rosse
e un gigantesco cuore nero
immobile, spento
ma tu ed io
sappiamo come accenderlo
bambina mia
e lo faremo,
oh si che lo faremo.
LXIV.
Vivi abbastanza da veder morire i tuoi eroi
e potrai dire allora di esser saggio
scrivi con le unghie, con i tendini e coi nervi
e potrai dire di essere sincero
fa l’amore con i giorni rinunciando all’orgasmo
e potrai dire di essere sereno
scegli la fatica di aprire gli occhi al mattino
e potrai dire allora di esser vivo
solo perché la vita non ha senso né scopo
non rinunciare
allo sforzo costante di stare in piedi
come la scimmia primigenia nostra antenata
che guardando il sole
si erse per la prima volta
seguendo la nobile illusione
di poterlo afferrare.
LXV.
Ai bordi taglienti delle strade
l’anima simile ad uno specchio rotto
ascolti il mondo ruttare piano
mentre ti digerisce come una vongola
le automobili demoni danteschi
i lampioni picche da impalamento
il cielo puro fango nero
allora prendi la bottiglia di vino
e vuotandola d’un fiato la infrangi
e con i cocci in mano ti getti nella mischia
brandendo fiero la tua lama dionisiaca
macellando il grigio, quieto, apatico mondo
con una risata ululante
che sovrasti l’assurdo assordante silenzio
che spinga tutti quanti a toccare il fondo.
LXVI.
Il sorriso è l’unica cosa vera che possiedi
la tua spada e il tuo scudo nelle frane della sorte
la nemesi del caos, il dato certo nell’equazione
il perno fisso nella ruota dei mutamenti
lascia che gli alberi crescano
e le persone si ignorino
che le pistole sparino e gli animali si accoppino
lascia che le fogne si riempiano
che le stelle si allontanino
lascia il pane bruciare nel forno
hai il tuo sorriso sulle labbra
la smorfia d’Atlante
tenero virgulto e colonna portante
che in segreto sostiene il mondo.
LXVII.
Si prega di slacciare le cinture di sicurezza
aggrapparsi saldi al seno della musa che ci allatta
si prega di collezionare stelle e vomitare arcobaleni
al mattino bere tè bollente,
alla sera vino dei pensieri
si prega di filtrare il mondo con lo sguardo
e quindi depurarlo
sfigurare gli angeli più casti,
intinger tutta la filosofia nel lardo
si prega di fissare la tigre negli occhi,
anche mentre ci mangia
scalciare forte vostra madre
quando ancora siete nella pancia
si prega di bere per ricordare ciò che il bere
ci ha fatto dimenticare
usare le parole come stampelle
e le stampelle come protesi
fino a quando le protesi saranno carne,
e i nostri sogni in fondo al mare.
LXVIII.
L’alba ci sorveglia come sadico carceriere
mentre noi gli ridiamo la notte in faccia
ribelli galeotti imprigionati dalla luce
incatenati nel ciclico ribadirsi del giorno
avvogliamo la tristezza nei drappi del vino
danziamo al suono del buio come pizie epilettiche
fissando il sole negli occhi senza sbatter ciglia
in equilibrio pazzo sulla sfera della luna
come acrobati onirici, atleti dell’oblio
con un salto accendiamo sigarette nelle comete
il cuore sul comodino come posacenere scheggiato
nessun dogma, nessuna filosofia, solo carne
accoppiamenti sui tetti e parti in vicoli oscuri
vizi cullati come figli adorati
spieghiamo a Dio la matematica
e al Diavolo il peccato
felici vagabondi tra le note dell’ombra
la nostra preghiera è la risata nel crepuscolo
e le stelle sono come lampadine
che un giorno spegneremo.
LXIX.
Ininterrotta sgorga la notte dalle nostre menti
sgocciolando sulla superfice dei pensieri
goccia dopo goccia
(rimarrà la macchia)
scandendo il tempo come un metronomo
coagulandosi in forme geometriche
semplici e pure e crudeli
(rimarrà la macchia)
è così dunque
siamo solo sacchetti di pelle
contenenti ossa e altra brodaglia rossa
che uscirebbe se potesse
da questo squallido motel chiamato corpo
dilagando liberamente sul pavimento
(rimarrà la macchia)
si, lo sappiamo tutti
la verità è una terra inospitale
inadatta alla proliferazione della vita
la menzogna è il nostro paracadute
la nostra calda coperta
la menzogna è il nostro universo
perché ogni generalizzazione è menzogna
ogni insieme è menzogna
ogni recinzione o contenitore o sacchetto
menzogna
solo il particolare esiste
l’atomo in movimento
l’indivisibile
e anche questo in fondo
è solo un ulteriore limite che ci siamo imposti
solo una boccata d’aria
un po’ di relax
prima della follia totale
in questa matrioska senza fine
in questo eterno sgocciolio di pensieri e pianeti.
(rimarrà la macchia)
LXX.
Lascia andare
come il primo pugno della tua vita
con le lacrime agli occhi
e la rabbia nel destino
lascia andare
chiudi gli occhi
come prima di dormire
sperando di non sognare
abbracciato dalle calde coperte della notte
sfuggendo all’ultimo pensiero cacciatore
come un bambino sotto la gonna della madre
lascia andare.
LXXI.
Corpi nudi distesi al sole
donano la loro vita alla luce
(paladini della logica
che si crogiolano nella loro moralità)
mentre gli uomini-vampiro attendono
impazienti
la nascita della luna nuova
incuranti
delle leggi del sole
disgustati
dalla frenetica attività del giorno.
Io e loro
mentre il mondo dorme
sappiamo bene
che la notte è solo un dolce e breve intervallo
completamente privo di senso
durante il quale bere e pensare e scrivere.
Tutto qui.
LXXII.
E’ così
la vita è meschinità, sudore, rabbia.
Eppure
quando le dita della mente
sfiorano la caustica superficie della follia
proprio quando hai voglia di scagliare la tua faccia
contro lo specchio sghignazzante del mondo
allora comprendi.
Lì giace il segreto del crepuscolo.
Il sospiro
che trasforma la notte in alba.
Il boccone deglutito che scivola nell’abisso,
e che ora sei pronto a digerire.
Quindi
abbracci la donna che dorme al tuo fianco
non importa che sia tua madre
una puttana, Maria Vergine
o l’amore della tua vita.
L’abbracci,
come se fosse l’ultima cosa viva al mondo.
E finalmente ti addormenti.
Regalando un sorriso più luminoso del sole
al tuo volto sazio
rivolto alle ombre della notte, sconfitte
ma intimamente soddisfatte della tua vittoria.
Loro sapevano che ce l’avresti fatta
loro sapevano, come tu sai
che la morte è il motore, della vita
e dell’amore.
LXXIII.
Gioca il lampo con il buio
fugace sorriso sul volto della notte
sbrodolano i pensieri alla finestra
come vino
sulla camicia che indossi da una settimana
soffre l’asfalto accogliendo la pioggia
implorando il fiore perduto
negli aridi ingranaggi dei nostri pensieri.
LXXIV.
Fate nel piombo fuso
sirene sott’olio, come sardine
unicorni al mattatoio
sfingi che miagolano in salotto
angeli spennati e diavoli castrati
poeti imbavagliati
esiliate creature di un antico sogno
siamo sudditi ribelli nel regno del “non puoi”
ci imponiamo alla realtà con un vagito
il ruggito possente del bambino ancestrale
sventolando fogli di carne
brandendo nomi d’osso
parole acuminate come un “si”
e verbi immortali
come un “posso”.
LXXV.
Siamo nel gorgo e ci ridiamo sopra
barcollanti sull’orlo della notte
il cuore scagliato lontano, nel buio
come una sveglia rotta
una lattina vuota
una bomba
il vino è il nostro sangue
il fumo la nostra aria
tiriamo la coda ai diavoli
strappiamo le piume agli angeli
ci tuffiamo nei vulcani e demoliamo i templi
immortali canaglie dello spirito
siamo nel gorgo, e ci ridiamo sopra.
LXXVI.
Folle maschera di carne
sei cubetto di ghiaccio nel drink di Dio
sorseggiato come sangue per il vampiro
sei sigaretta nella bocca della luna
la sigaretta che hai giurato fosse l’ultima
sei torta di cuore umano
nel compleanno della tua morte
coraggio soffia sulla candelina
sulla candelina che ti illumina
quella candelina sei tu
folle maschera di carne
coraggio soffia e spegniti:
la cenere è il regalo della luce.
LXXVII.
Sei scheggia di stella e labirinto senza nome
sei luminoso mistero, libera equazione
vino dei pensieri e nicotina del cuore
sei gemma infranta nel sepolcro dell’amore
sei luna in pieno giorno
imperturbabile sicario del cielo
candido boia sul patibolo
dove io giaccio torturato
tra i petali del tuo sguardo appassito
e derelitto mi piego su me stesso
come solitario girasole nella notte.
LXXVIII.
Conficcherò una forchetta nel tuo gelido occhio
eiaculando simile a scimmia borghese
darò fuoco ai tuoi piaceri più vergini
ti percuoterò le natiche con fulmini di gelosia
inconcludente sentimento di lussuria
ottuso godimento sfuggente
sei uno sbadiglio in guerra
vento sott’acqua
fiore nel fuoco
sei veleno di miele
e groviglio di lame rosa
ti masticherò il naso
ti strapperò il sorriso come carne dall’osso
e ridendo simile a cascata
mi getterò dal balcone del Motel Luna
gridando nel vuoto il tuo vano nome
Amore.
LXXIX.
Seduto tra le vampe della cupidigia
sul mio trono lentamente brucio
attendendo le tue labbra come onde
il tuo sorriso come nubifragio
abisso lussurioso in cui tuffarmi ardente
simile a fenice fiammeggiante
meteora di tormento
angelo di fuoco
scintilla vivente
illuso incandescente
che sogna invano di spegnersi un giorno
nel tuo bacio che è oceano
che è oceano di benzina.
LXXX.
Ogni sasso è il tuo castello
e ogni lacrima il tuo diamante,
il sorriso la corona del tuo volto
i pianeti lo scettro dei tuoi occhi
le stelle i nei della tua pelle
le farfalle i destrieri del tuo cocchio
sei fuoco nel vuoto
sei battito senza cuore
sei sole con la pioggia
il giorno è il tuo regno e il mio rifugio
dove mi nascondo aspettando la notte
aspettando quella notte
in cui il mio scheletro spellato ballerà il tuo nome
annullando il tempo
sciogliendo le montagne
commuovendo Dio
ma lasciando te impassibile
ad ignorarmi sorridente
barricata nel tempio della tua bellezza.
Ogni sasso è il tuo castello,
ogni lacrima il tuo diamante.
LXXXI.
La vita è un gioco che si fa da soli
come la televisione
il pianto
o la masturbazione
la vita è un gioco che si fa da soli
questo il chiodo fisso
nella notte dei pensieri
nel sudario della nostra stanza
nell’anticamera dell’alba che ci aspetta
inquieto sogno di un ingenuo bambino
mi giro e mi rigiro nel letto
come un naufrago nella tempesta
cercandoti
la vita è un gioco che si fa da soli
ma questa notte
questa notte vorrei farlo con te.
LXXXII.
Hai scoperto che ti sto fissando
da qualche minuto e da sempre
seduto ubriaco nell’ultimo tavolino
in fondo al locale
nell’ultimo locale in fondo al mondo
hai scoperto che ti sto leccando con gli occhi
da qualche minuto e da sempre
mentre i rumori della città si spengono
il tempo si spezza
e tutta la luce si concentra su di te
come un riflettore puntato da Dio in persona
e io piccolo come una mosca
sul bordo del mio bicchiere
resto qui pietrificato
a godermi il più straordinario spettacolo
nell’universo intero:
la tua chioma che ondeggia annoiata
accarezzata dalla calda brezza di Agosto.
LXXXIII.
Le tue carezze come schiaffi
solleticano la mia sete di lussuria
mentre ti verso vino tra le cosce
e Rachmaninov alla radio è all’orgasmo
siamo come sigarette l’uno per l’altra
ci succhiamo l’anima a vicenda
per risputarla fuori in uno sbuffo di fumo nero
siamo cavalieri del vizio
monaci dell’ebbrezza
servi della voluttà
eternamente alla ricerca del vuoto
lo stesso vuoto
che scorgo ora nei tuoi occhi languidi
all’apice del piacere dei sensi.
LXXXIV.
L’alba nei tuoi occhi
e il tramonto nei tuoi baci,
come sorridere appena svegli
leccati dai primi raggi del sole
come correre ridendo
inseguendo sogni sulla spiaggia
come farsi un bagno caldo
in una giornata di fango
come guardare l’oceano nella notte
cullati dal fragore dei marosi
come ubriacarsi bevendo acqua,
così io con te.
L’alba nei tuoi occhi,
il tramonto nei tuoi baci.
LXXXV.
Sapete
non è poi così male,
quando il vento
scompiglia le chiome delle donne
e il profumo di quel divino groviglio
stuzzica le nostre narici da fauno.
Non è poi così male,
quando ti siedi dopo aver camminato a lungo
e guardando l’orizzonte
impacchetti il tuo ultimo pensiero
e semplicemente respiri
come se fosse l’unica cosa
di cui avrai bisogno per il resto della tua vita.
Non è poi così male,
sentire una ristata che scoppia dall’esofago
e lasciarla libera per il mondo
a salutare il cielo gli uomini gli alberi gli edifici
ogni cosa
morendo infine felice
come gli amanti dopo l’orgasmo
la belva dopo il massacro
il cuore dopo il battito.
Che i vostri giorni
siano l’anticamera per la notte più bella,
che il cielo infine si schiuda
regalandovi una fede che non abbia bisogno di Dio,
e in caso di necessità
ricordate sempre
che vivere aspettando la bellezza
in fondo
non è poi così male.
LXXXVI.
Osservavo intensamente
il volo leggiadro
di una bolla di sapone.
Troppo tardi mi accorsi
di essere stato imprigionato
al suo interno.
Arrivò il vento…
LXXXVII.
Il delirio
ispeziona le nostre menti
regolarmente.
C’è follia ovunque,
scorribande di demoni
vampiri eleganti
mummie che gridano
bambini vecchi e silenziosi.
Qualcuno conosce il segreto
là fuori
qualcuno sa accudire la pazzia
e la piega ai propri scopi,
la sua vita è un’arte
che non ha bisogno di spettatori,
il suo ego si guarda allo specchio,
si volta,
sorride,
e crea.