PANORAMA PER I GIOVANI

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PANORAMA PER I GIOVANI
N. 4 - Anno 2015
COLLEGIO UNIVERSITARIO “LAMARO POZZANI” - FEDERAZIONE NAZIONALE DEI CAVALIERI DEL LAVORO
PANORAMA
PER I GIOVANI
17 | 2016
1-09-16
PANORAMA PER I GIOVANI
EDIZIONE
D I G I TA L E
Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro
Direttore responsabile
Mario Sarcinelli
Direttore editoriale
Stefano Semplici
Grafica
David D’Hallewin
Direzione
Collegio Universitario “Lamaro Pozzani”
Via Giuseppe Saredo N. 84 - 00173 Roma,
tel. 06 72.971.322 - fax 06 72.971.326
Internet: www.collegiocavalieri.it
E-mail: [email protected]
Autorizzazione edizione on-line
panoramaperigiovani.it
Tribunale di Roma n. 361 del 13/10/2008
ECONOMIA
CULTURA
FORMAZIONE
POLIS
SCIENZE
ECONOMIA
N.
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2015
CULTURA
N.
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2015
Quanto costa vincere una medaglia olimpica?
Ana Mladić, la figlia
Finanziamenti allo sport: il caso della Gran Bretagna e il successo ottenuto nella XXXI edizione delle Olimpiadi
di Rio de Janeiro
Realtà storica e immaginazione si amalgamano nel romanzo di Clara Usòn, La figlia e ci accompagnano, attraverso gli orrori della guerra in Bosnia, a scandagliare luci e ombre del rapporto tra padre e figlia
<3
di Rachele Antonella Lauro
di Chiara Colognese
A pochi giorni dalla conclusione dei Giochi della XXXI Olimpiade, le considerazioni che si possono fare sono tante,
così come i bilanci, sportivi e non. Il sorprendente risultato
della Gran Bretagna è sotto gli occhi di tutti: con 67 medaglie vinte, di cui 27 d’oro, ha ottenuto il suo miglior risultato
olimpico dopo 108 anni (almeno considerando il totale delle medaglie, dal momento che quattro anni fa le medaglie
d’oro erano state due in più) e si è posizionata seconda
nel medagliere, dopo gli USA e prima di Cina, Russia e
Germania.
Tra i fattori che influenzano il risultato olimpico di una Nazione ci sono senza dubbio dimensioni e ricchezza: paesi
più grandi hanno un bacino di talenti maggiore da cui attingere, così come paesi con un più alto PIL reale pro capite possono devolvere maggiori risorse all’attività sportiva.
Tuttavia, rispetto alle altre nazioni in cima al medagliere,
la Gran Bretagna non spicca né per popolazione (la Cina
vanta una popolazione di circa 1,376 miliardi, mentre la
Gran Bretagna di 62 milioni), né per Pil reale pro capite (nel
2015 per gli Stati Uniti è stato di circa 55,805 $, per la Germania di 46,893 $, mentre per il Regno Unito è di 41,159
$). Studi accademici hanno dimostrato che popolazione e
PIL pro capite al margine contribuiscono allo stesso modo
e che quindi il miglior indicatore della performance olimpica
di un paese sarebbe il suo PIL totale. Eppure, basandosi
solo su di esso, la Gran Bretagna avrebbe dovuto collezionare 36 medaglie, ovvero poco più della metà di quante ne
ha effettivamente vinte.
Per comprendere maggiormente la portata del risultato ba-
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sti pensare che solo venti anni fa, nelle Olimpiadi di Atlanta
del 1996, la Gran Bretagna si posizionava in 36esima posizione, con una sola medaglia d’oro. A partire da allora,
per cinque edizioni delle Olimpiadi consecutive il loro medagliere è sempre aumentato finché, il giorno finale della
Olimpiade di Rio, l’amministratore delegato di UK Sport ha
potuto ufficialmente definire la Gran Bretagna una “superpotenza sportiva”.
Dietro il grande successo britannico c’è un profondo cambiamento, iniziato proprio 20 anni fa, nella gestione delle
associazioni sportive inglesi ed un significativo aumento
degli investimenti, ottenuti da finanziamenti pubblici di
origine non esclusivamente erariale. Quando nel 1994 fu
fondata la National Lottery, il Parlamento inglese approvò
l’idea del premier conservatore John Major di devolvere
annualmente parte degli introiti al sostegno di investimenti
in campo culturale, artistico e sportivo. Ancora più significativa delle modalità di finanziamento è la redistribuzione
di esso: le quote vengono redistribuite sulla base dei risultati. Per entrare a far parte del “Team Gb” la selezione degli
atleti è estremamente competitiva e le discipline in cui ci
sono possibilità maggiori di vincere una medaglia vengono
considerate meritevoli di ricevere maggiori finanziamenti.
Se il singolo atleta vince, continua a ricevere soldi per vincere di più; in caso contrario i finanziamenti verso quella disciplina vengono gradualmente ridotti finché un altro atleta
non si dimostra capace di renderla nuovamente competitiva e continuerà a ricevere denaro nella sua scalata verso i
risultati più importanti.
Già a partire dall’edizione delle Olimpiadi successiva a
quella di Atlanta, quella tenutasi a Sydney nel 2000, la
Gran Bretagna si è presentata con alle spalle 60 milioni
di sterline di investimenti sia per la costruzione di impianti
che per la formazione di tecnici, e si è classificata tra le
prime dieci nazioni nel medagliere con 28 medaglie, di cui
11 d’oro.
Il quotidiano inglese The Guardian ha calcolato che, tra il
2012 e il 2017, l’investimento nazionale negli sport olimpici
è stato di circa 400 milioni di euro. Si stima che le 67 medaglie conquistate dalla Gran Bretagna a Rio 2016 siano
costate in media 4 milioni di sterline l’una.
In tempi di austerity è inevitabile che ciò provochi dibattiti
etici ed economici. In Spagna, El Paìs ha definito le medaglie britanniche “il prodotto di un calcolo e non dello spirito
di un atleta”. Tuttavia è necessario considerare che quella
messa in atto dal governo britannico è una vera è propria
incentivazione dello sport ad ogni livello: rispetto al 2012,
in Gran Bretagna 75 mila persone in più praticano sport,
per un totale di circa 16 milioni. Se anche in Italia ogni sport
avesse l’eco mediatica del calcio e venisse largamente
praticato e sostenuto economicamente, si potrebbero forse raggiungere analoghi risultati sia sportivi che finanziari.
Ma la congiuntura macroeconomica che il nostro paese
sta vivendo rende il tema assai controverso.
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È nel primo capitolo del suo romanzo, La hija del Este, che
Clara Usòn, autrice catalana, svela la sua fonte di ispirazione.
Si tratta di un video postato su YouTube da un programma
della televisione bosniaca, “60 minuta”. Il video riguarda un
uomo robusto, sulla cinquantina, colto in un sereno momento di festa insieme alla moglie e alla figlia che lo guardano
con ammirazione. Una dissolvenza nera separa poi questo
momento di ordinaria felicità della famiglia dall’immagine di
una lapide: si riconoscono il padre e la madre della spensierata scena precedente, ora vestiti a lutto, mentre la foto sulla
lapide è quella della figlia. Quello che si propone la scrittrice
è capire cosa sia successo tra i primi fotogrammi e gli ultimi,
cercando di dare un colore a quella dissolvenza nera.
La famiglia protagonista del video e del romanzo è la famiglia
Mladić’: Bosa, Ratko e i figli Ana e Darko.
Ratko Mladić ricoprì il ruolo di comandante in capo dell’esercito della Repubblica Serba di Bosnia e Erzegovina durante la
guerra in Bosnia, svoltasi tra il 1992 e il 1995. Soprannominato da alcuni “il boia dei Balcani” e da altri “il macellaio di Bosnia”, si trova attualmente sotto processo all’Aja da parte del
Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia (ICTY). L’
ICTY è lo stesso tribunale che il 24 marzo scorso ha condannato Radovan Karadzic, presidente della Repubblica Serba di
Bosnia ed Erzegovina tra il 1992 e il 1996, a 40 anni di carcere
per genocidio (a Srebrenica), crimini di guerra e crimini contro
l’umanità durante l’assedio di Sarajevo. Ratko Mladić si trova
oggi a dover rispondere degli stessi capi d’accusa.
Sua figlia Ana, invece, è la migliore studentessa del corso
di medicina di Belgrado. Brillante, estroversa, è il più grande orgoglio del padre, che le riserva il soprannome di “Stella”
(stesso nome in codice con cui Mladić chiamerà il piano di distruzione di Srebrenica) e che lei ricambia con un affetto e una
devozione assoluti. Il suo sogno è diventare il miglior chirurgo
della Serbia e lavorare in un ospedale sul fronte per portare
cure ai giovani feriti durante il conflitto.
Qualcosa però si rompe durante un viaggio a Mosca: al suo
ritorno Ana, triste e taciturna, non si riconosce più, fino alla
fatale data del 24 marzo del 1994 in cui si suicidò, scegliendo
di spararsi con la vecchia Zastava del padre. Ricevuta in dono
negli anni ’60 dal padre per essersi graduato come miglior
ufficiale dell’accademia militare di Belgrado, questa pistola
univa padre e figlia con il suo significato particolare. Il generale, chiamandola “figlio mio” come se il segno dell’affetto più
alto non potesse essere dimostrato se non attraverso una vocazione al maschile, chiedeva spesso ad Ana di aiutarlo nel
rituale della pulizia chirurgica di quello strumento. Il legame
era infine suggellato dalla promessa del generale di sparare
con quella Zastava solo per festeggiare il primo figlio di nome
Mladić di Ana: il simbolo della continuità della famiglia che diventa veicolo di rottura e morte.
Una frase perseguiterà Ana fino alla fine, pronunciata da uno
dei suoi amici: “Per ogni vita che salverà la dottoressa Ana
Mladić, suo padre avrà lasciato dietro di sé migliaia di cadaveri”. È la sapienza classica che funge ancora una volta da
archetipo: “delicta maiores immeritus lues”, piangerai senza
colpa i delitti dei padri, scriveva Orazio.
La Usòn, amalgamando in modo omogeneo dati storici e finzione, cerca di ricostruire i pensieri di Ana con delicatezza e
sensibilità e mostra il padre “mostro” dalla prospettiva intima
e familiare vissuta dalla protagonista: garantisce così a Ratko Mladić il miglior avvocato difensore possibile, che proprio
nel momento in cui la difesa diventa impossibile, preferisce
andarsene piuttosto che condannarlo. È questo infine un racconto della perdita dell’innocenza, passaggio ineliminabile
nella vita di ciascun figlio.
Le ultime parole con cui Clara Usòn ci lascia sembrano riguardare sia la tragedia personale di Ana sia la tragedia collettiva
dei Balcani e suonano così lapidarie: “I vincitori scrivono la
storia. Il popolo tesse la tradizione. Gli scrittori fantasticano.
Certa è solo la morte.”
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FORMAZIONE
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FORMAZIONE
N.
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2015
Professori svizzeri: qual è il loro mondo?
Una giornata nella scuola di Regensdorf, nel Canton Zurigo
Marco Kellerhals racconta che cosa significa insegnare in una scuola della Svizzera
La quotidianità di Herr Kellerhals, giovane professore svizzero
di Desirèe Scanniello
di Desirèe Scanniello
In questi giorni di fuoco e di polemiche sul Concorsone,
che vede coinvolti più di 150mila insegnanti italiani, basta
fare un salto appena fuori dai confini per sentire altre storie
e capire come si vive questo stesso tipo di esperienza lavorativa fuori dall’Italia. Abbiamo intervistato un professore
di una Sekundarschule (scuola media) di Zurigo (CH).
Chi sei? Cosa fai nella vita?
Mi chiamo Marco Kellerhals, ho 28 anni. Lavoro come insegnante, al 50%. Il tempo restante studio pedagogia alla
Pädagogische Hochschule Zürich (PHZH) di Zurigo.
Perché hai scelto questa professione?
Mi è sempre piaciuto assistere alla crescita dei giovani e
mi rende felice essere parte di un periodo così importante
della loro vita.
Come si diventa professori in Svizzera?
Prima di tutto è necessario aver fatto il liceo, poi bisogna
frequentare una scuola, come la PHZH, che è equivalente
all’università, per quattro anni e mezzo. Qui si scelgono
quattro discipline in cui specializzarsi. Le mie sono matematica, scienze, storia e geografia.
Come mai sono quattro?
La vera ragione è che i docenti in giro sono pochi, allora
si cerca di creare dei soggetti attrattivi per il mercato del
lavoro, che possano adattarsi alle necessità del posto in
cui andranno a lavorare, un vantaggio per sé stessi e per
la scuola.
Come ottiene il posto di lavoro un professore svizzero?
Manda direttamente il proprio curriculum alla scuola, sperando nell’assunzione (come ho fatto io) oppure cerca sui
siti internet dove ci sono offerte di lavoro. Ma non esistono
concorsi: se più professori competono per un posto, è la
scuola a decidere il soggetto più interessante, o meglio,
quello più utile per quel contesto specifico.
Quali sono le tue prospettive di guadagno?
Lavorando al 100% tra qualche anno, appena avrò finito
la scuola, arriverò a 91mila euro annui. Però anche l’e-
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sperienza conta. Viene valutata con una scala fino a un
punteggio massimo di 15. Io al momento ho esperienza 2.
Al 15° livello si arriva fino a 130mila euro annui. Se avessi
insegnato alle scuole elementari, invece, la cifra sarebbe
stata di poco più bassa: con il livello 2 di esperienza, fino
a 70mila euro annui, col livello 15 fino a 100mila euro. Lo
stipendio è proporzionato al tipo di scuola.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Per adesso rimanere a Regensdorf, dove insegno da un
mese ed ho un posto fisso. Poi vedrò di prendere altre
decisioni in futuro. Il mio stipendio non varia. Potrei permettermi di cambiare luogo di lavoro solo per una vista
migliore dalla finestra della classe.
Qual è la cosa più importante che la scuola deve dare
agli studenti?
Per me sono tre cose: un “minimo” di ordine, un “massimo” di rispetto e un “minimo” di autonomia (è un motto
personale tradotto dal tedesco).
Che considerazione riceve la tua professione nella
società svizzera?
Un tempo professore, avvocato e medico erano tre professioni che contrassegnavano uno status sociale elevato: “perché ti curavano, educavano e difendevano”. Oggi
le cose stanno cambiando, ma la stima è rimasta. Non c’è
altro lavoro nei quali si viene messi alla prova così tanto e
spesso: per la società siamo coraggiosi.
Che cosa credi che dovrebbe cambiare nel sistema
scolastico svizzero?
Si dovrebbe lavorare ancora di più sul senso di responsabilità dei ragazzi. A volte non è facile educare con le mani
legate.
Cosa pensi dei livelli A, B e C?
È una buona cosa, perché non tutti apprendono allo stesso modo; talvolta lo scoglio più alto è la lingua che usiamo
tutti i giorni e va tenuto da conto. Molti ragazzi possono
dare per scontati dei passaggi a cui altri invece devono
arrivare con qualche esempio in più.
Come funziona con i ragazzi stranieri? Quanto peso
ha la religione a scuola?
È accaduto che a una maestra sia stato impedito di lavorare, perché indossava il velo. Ma era un caso isolato.
Non ci sono regole o divieti particolari, la scuola è laica.
La percentuale di stranieri peraltro è molto alta: esistono
le QUIMS Schulen, ossia scuole con il 40% di stranieri,
che ricevono aiuti economici per favorire corsi ad hoc integrativi.
Da italosvizzero, che consiglio daresti alla scuola italiana?
L’educazione costa. Fare economie è controproducente
in questo settore. Noi risparmiamo sui materiali didattici, e
ne vediamo bene le conseguenze. Immagino che tagliare risorse sui professori, ad esempio, abbia effetti ancor
peggiori.
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La classe di Herr Kellerhals è una 9° classe della Sekundarschule, l’equivalente di una terza media italiana, appartenente al livello intermedio B. Alla fine della scuola elementare, gli
studenti svizzeri vengono separati in tre livelli (A, B o C), in
base a preparazione, rendimento scolastico, attitudini personali e condotta. Ad ogni livello corrisponde una rosa differente
di materie, analizzate con complessità più o meno elevata per
ogni insegnamento. Nonostante possa apparire una selezione prematura non è definitiva e lo studente impegnandosi può
progredire avanzando di livello in ogni momento della propria
carriera scolastica e poi professionale.
La giornata inizia alle ore 07:20. Klassenstunde: “L’ora per la
classe”.
È un’ora settimanale in cui si fa il punto insieme su questioni
organizzative riguardanti la classe. I ragazzi in questa fascia
d’età, ed appartenenti a questo livello scolastico, sono infatti
alle prese con la ricerca di un apprendistato. Questo “orientamento” è monitorato dal professore durante l’intero anno
scolastico: i ragazzi si assenteranno più volte dalle lezioni,
per trascorrere un giorno o brevi periodi in luoghi di lavoro. È
offerta loro questa possibilità, affinché possano avere visioni
verosimili sulla professione che hanno intenzione di svolgere
e allo stesso tempo avere il tempo di fare una scelta consapevole per il proprio futuro.
h. 08:10. L’Atelier. Studio individuale per 45 minuti.
In questo tempo vengono posti obiettivi generici, come il semplice svolgimento dei compiti a casa. È un esperimento recente, portato avanti da Regensdorf e soltanto un altro comune
del cantone Zurigo, per insegnare ai giovani a gestire e utilizzare il proprio tempo in maniera proficua. In aula c’è una scrivania su cui sono presenti tutti gli strumenti utili allo studio. Non
è concesso parlare, le domande vengono poste a bassa voce,
richiamando l’attenzione del professore con una “mano di carta” posta verso l’alto sul proprio banco. Nei primi dieci minuti,
al silenzio si associa il divieto di porre domande e usare il PC.
Questa è anche l’ora del “Palavrium”: gli studenti possono
uscire dall’aula in coppia per discutere 15 minuti su argomenti
scolastici. Ciò permette agli studenti di svolgere lavori di coppia assegnati e di aiutarsi reciprocamente con i compiti, senza
disturbare il resto della classe.
h. 09:00. Matematica: le funzioni lineari.
Le lezioni di matematica si dividono in tre corsi diversi, adattati al livello di capacità e conoscenze del singolo studente. Le
classi si smembrano e ciascuno studente segue la materia nel
livello a lui assegnato in base ai voti conseguiti nel semestre
precedente. Anche qui è possibile migliorare oppure regredire, in base all’andamento rilevato semestre per semestre.
A questa ora, seguirà un’altra ora di Atelier, nella quale alcuni
di questi ragazzi potranno esercitarsi sull’argomento appena
spiegato.
h. 12:00. Gli studenti pranzano a casa e ritornano a scuola di
pomeriggio, per seguire altre lezioni, per un totale di otto ore
al giorno, da 45 minuti ciascuna.
h 13:30. Lezione di storia: il volto dell’Europa nel 1815.
Nessun libro in classe, qualche opuscolo del professore ed
una lezione estremamente interattiva basata su brainstormings di parole alla lavagna e mappe colorate. “Questi ragazzi che
vanno verso il mondo del lavoro sono sensibili ad atteggiamenti pratici”, sostiene Herr Kellerhals.
Per le restanti ore, ciascuno studente può scegliere, oltre alle
materie obbligatorie, come matematica o tedesco, delle materie libere aggiuntive, quali lingue straniere, come italiano o
spagnolo, corsi di cucina o di cucito, oppure attività sportive.
L’adempimento delle questioni organizzative viene gestito anche nelle ultime ore: ad esempio, la pulizia della classe è un
compito degli studenti dopo la fine delle lezioni.
La giornata scolastica del professore Kellerhals si conclude
alle 15:20, con l’organizzazione delle lezioni successive e la
correzione di qualche lavoro scolastico. Lunedì saranno di
nuovo tutti pronti a cominciare un’altra settimana scolastica,
rigidamente scandita minuto per minuto: come Svizzera vuole.
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SCIENZA
N. N.
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Di cosa parliamo quando parliamo di Doping?
Una breve panoramica tra le principali sostanze dopanti e le nuove tecniche analitiche
POLIS
N.
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2015
Open Government Partnership, l’impegno italiano nella
trasparenza amministrativa
di Sara Gabrielli
Dal 16 luglio al 31 agosto è aperta la consultazione online per la redazione del nuovo piano nazionale Open
Government. In esso sono racchiuse le risposte alle esigenze italiane di lotta alla corruzione e di trasparenza
dei processi decisionali
di Michele Giovanni Manfrini
Negli ultimi mesi, in occasione delle Olimpiadi, si è sentito spesso parlare di doping. Eventi come lo scandalo che ha coinvolto
la Russia o come la squalifica di Alex Schwazer hanno puntato
sempre di più i fari sul problema dell’assunzione di sostanze
non regolamentari finalizzate all’ottenimento di migliori performance sportive. Quali sono però queste sostanze e quali tecniche analitiche vengono sfruttate per rilevarle?
La classe più numerosa e rilevata più frequentemente è quella
degli agenti anabolizzanti, costituita in gran parte da steroidi
strutturalmente simili al testosterone. Il testosterone favorisce
l’aumento della massa muscolare, ma è anche responsabile
dei caratteri sessuali che compaiono durante il periodo della
pubertà maschile. Tale molecola viene quindi modificata al fine
di ridurne l’effetto androgenico a favore di quello anabolizzante.
Gli steroidi anabolizzanti – e in particolare un cocktail di tre
steroidi differenti: turinabol orale, oxandrolone e methasterone
– sono stati al centro dello scandalo del doping in Russia.
La seconda classe di sostanze dopanti maggiormente rilevate è
quella degli stimolanti, utilizzati per aumentare concentrazione
ed energia. Alcuni di essi presentano lo stesso comportamento
di adrenalina e noradrenalina. Alla classe degli stimolanti vietati
appartengono cocaina ed anfetamina.
Seguono poi altri ormoni e modulatori che interferiscono con
il metabolismo degli atleti e possono essere utilizzati congiuntamente agli steroidi anabolizzanti al fine di ridurne gli effetti
indesiderati sull’aspetto fisico (per esempio possono essere utilizzate sostanze che agiscono sugli estrogeni al fine di ridurre
la ginecomastia causata dagli steroidi). Questa classe include
il Meldonium, famoso poiché ha causato la squalifica della tennista Maria Sharapova. Il Meldonium contribuisce ad allargare
le arterie ed il suo utilizzo in ambito sportivo è stato vietato all’inizio del 2016.
Da menzionare è anche l’uso di diuretici e narcotici. I primi
vengono sfruttati sia per raggiungere un minor peso corporeo,
sia per mascherare l’uso di sostanze illegali diluendo le urine
e facendo risultare nelle analisi una concentrazione minore
dell’agente ricercato. I secondi vengono assunti per diminuire ansia e dolore. I narcotici venivano utilizzati principalmente
nella prima metà del ventesimo secolo ma, con l’introduzione di
antidolorifici come l’aspirina, si è verificata una forte riduzione
nel loro consumo.
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Infine una particolare rilevanza è assunta dall’ eritropoietina
(EPO), un ormone glicoproteico che stimola la produzione di
globuli rossi. L’aumento di globuli rossi risulta nel trasporto di
una maggiore quantità di ossigeno ai muscoli del corpo e quindi a migliori prestazioni aerobiche. Un effetto analogo viene ottenuto tramite doping genetico, ossia sfruttando DNA sintetico
che codifica per l’eritropoietina.
Di recente è stato sviluppato un nuovo test per il doping genetico dal National Measurement Institute di Sydney. La tecnica
sfrutta la mancanza nell’EPO DNA sintetico dei quattro introni
che sono invece presenti nel gene che codifica naturalmente
l’eritropoietina. Gli introni sono sequenze che vengono tagliate
fuori dall’RNA messaggero una volta che il gene è stato trascritto.
Altre tecniche si basano sul rilevamento degli zuccheri legati
alla proteina. L’EPO è sintetizzata nel nostro organismo al livello renale, in cui viene sottoposta a determinate vie di glicosilazione (reazione che prevede l’aggiunta di zuccheri). Poiché
in caso di doping l’EPO DNA viene iniettato nel muscolo, la
proteina segue vie di glicosilazione differenti.
La WADA (World Anti-Doping Agency) sta inoltre finanziando
ricerche per tecniche di analisi che permettano di individuare
atleti sottoposti a doping genetico per l’ormone della crescita
e per l’IGF-1.
In generale le tecniche analitiche contro il doping sono diventate negli ultimi anni sempre più efficienti e gli strumenti
(principalmente spettrometri di massa) più potenti. In passato
i ricercatori erano in grado di rilevare metaboliti degli steroidi
solo entro poche settimane dall’ultima dose assunta dall’atleta,
mentre oggi, grazie alla scoperta di metaboliti che sopravvivono per più tempo (metandienone, ossimetolone e stanozolo), è
possibile rilevarli entro circa due mesi.
La ricerca nel campo dei test anti-doping non è unicamente
finalizzata a un miglioramento delle tecniche esistenti, ma è
anche caratterizzata ad una continua rincorsa alle novità, con
un tentativo di contrastare e prevedere sia le tipologie di doping
nuove, sia quelle future. Si ipotizza per esempio che in futuro
sarà possibile ricorrere a trapianti di cellule per aumentare forza e resistenza di cuore e muscoli oppure, grazie all’avvento
della tecnica CRISPR/Cas9, rendere accessibile agli atleti una
modifica genetica delle proprie cellule.
PANORAMA PER I GIOVANI
Anche per il biennio 2016 – 2018 l’Italia si impegna
nell’ambito dell’iniziativa internazionale Open Government Partnership. Si tratta di un progetto partito nel
2011 comprendendo, all’inizio, solo 8 paesi (Brasile,
Regno Unito, Indonesia, Messico, Filippine, Sudafrica
e Stati Uniti d’America). Il traguardo posto è quello di
creare una rete sovranazionale che possa monitorare
l’effettiva trasparenza dell’operato dei governi membri.
L’Open Government Declaration, firmata dalle nazioni partecipanti, prevede il riconoscimento di autorità
indipendenti per la valutazione dei risultati e di uno
Steering Committee, un consiglio superiore nel quale
vengono rappresentati governi e gruppi di interesse.
È chiesto agli Stati membri di elaborare un piano per
adattare gli obiettivi dell’Open Government alle peculiarità nazionali. La mediazione offerta dallo Steering
Committee permette alle autorità governative e alle formazioni della società civile di garantire l’effettiva democraticità dei processi decisionali. Alla promozione
della cooperazione fra amministratori e cittadini, alla
lotta alla corruzione e all’incentivazione dell’utilizzo dei
supporti digitali sono indirizzati gli impegni maggiori.
L’edizione 2016 coinvolge oltre 70 paesi e l’Italia vi partecipa con la terza redazione di un Action Plan. Il rinnovato interesse dell’Italia alle tematiche del “governo
aperto” si riassume nell’iniziativa di Marianna Madia,
ministro della Pubblica Amministrazione, di organizzare il primo forum italiano dell’Open Government Partnership. Il 6 giugno scorso a Palazzo Vidoni, sede del
dipartimento di Funzione pubblica, si sono riunite oltre
70 realtà provenienti dal mondo universitario, dalle imprese, dalle organizzazioni agricole e dei consumatori,
dall’associazionismo e dagli istituti think tank. Durante
l’incontro il ministro Madia ha affermato la necessità di
costituire un programma concreto di “collaborazione
strutturata” tra istituzioni e società civile. Il capo del
dipartimento della Funzione pubblica, Pia Marconi, ha
delineato il metodo operativo per la realizzazione del
nuovo piano d’azione Ogp, prevedendo la collaborazione tra due gruppi di lavoro principali. Il primo, guidato
da Pia Marconi, Ernesto Belisario e Riccardo Luna di
Agid, Agenzia Italiana per il Digitale, si concentra sulle
modalità di cooperazione tra amministrazioni regionali,
provinciali e locali. Il secondo gruppo di lavoro si presenta come intermediario tra i vari attori della società
civili, portando esigenze e proposte all’attenzione delle
autorità nazionali. L’impegno di squadra ha portato, a
distanza di un mese dal forum, alla definizione di una
bozza del terzo piano d’azione. Dal 16 luglio al 31 ago-
sto è attivo su Internet un portale di consultazione del
documento. Attraverso una procedura online è possibile inserire commenti e proporre modifiche da apportare al testo. Come si evince dalla bozza, quattro sono
le aree di intervento del nuovo piano d’azione: giustizia, trasporti, infrastrutture e l’attuazione della disciplina Foia (Freedom of Information Act), ossia la legge
sulla libertà d’informazione promulgata con decreto
nel mese di maggio. Nel testo, oltre alle problematiche
rilevate nel rapporto tra formazioni cittadini e istituzioni, sono riportate quelle proposte che verranno attuate nei prossimi due anni. Da settembre inizia, infatti,
l’attuazione concreta di queste misure, operazione che
verrà costantemente monitorata dai gruppi di lavoro
già individuati dal dipartimento della Funzione pubblica. I primi risultati verranno analizzati nel secondo
forum sulla partecipazione e sulla trasparenza, pensato per novembre. Il nostro paese è chiamato, inoltre, a
presentare l’Action plan nella conferenza internazionale dell’Open Government Partnership a Parigi il prossimo dicembre.
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