Il trauma della guerra

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Il trauma della guerra
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Copyright © 2005 Rossella Biscotti
Riprodotto su licenza del titolare
Il trauma della guerra
Intervista di Rossella Biscotti a Michele Giannantonio,
maggio 2005
Ho deciso di incontrare il Dott. Michele Giannantonio per
porre alcune domande riguardanti i ricordi, la ricostruzione
dei ricordi e la narrazione in particolare da parte di soggetti
che sono stati coinvolti in una esperienza traumatica. L’evento
a cui si fa riferimento nell’intervista è parte di una mia ricerca
che riguarda una sparatoria avvenuta il 7 maggio 1945 in piazza Dam ad Amsterdam. Un gruppo di soldati tedeschi insediati all’interno di un edificio hanno sparato sulla folla che celebrava in piazza la Liberazione del paese e l’arrivo dei canadesi. L’incidente è stato subitamente rimosso dalla memoria collettiva e i testimoni da me intervistati, ormai anziani, ricordano solo ben pochi dettagli.
RB Quanto i ricordi dei testimoni di un incidente sono realmente le loro esperienze personali e quanto deriva da documentari che hanno visto, commenti, ecc?
MG Non c’è modo di saperlo. Bisogna fare, in primo luogo,
un discorso generale che riguarda la memoria. Noi non siamo
in grado di distinguere, a meno che non ci sia una prova esterna, se il nostro ricordo, è un ricordo verosimile o è un ricordo
completamente falso. Per fare un esempio emblematico, negli
Stati Uniti d’America ci sono stati diversi processi riguardanti
persone che hanno accusato un parente di avere abusato sesIl trauma della guerra
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sualmente di loro, ma è risultato che non ciò era vero; hanno
“ricordato” dei ricordi che non erano veri. In questo caso l’intensità delle emozioni non ha nessuna correlazione con la vericidità dei fatti. Ed è assolutamente controintuitivo, perchè normalmente quando una persona ricorda, percepisce delle emozioni con intensità e dice: “Certo che è vero, guarda come reagisco!”. Ricordare è un processo, è un’azione. Il risultato del
processo del ricordare è fatto di: cosa ti chiedono, perchè tu
ricordi, quello che hai registrato al momento dei fatti, il modo
in cui l’hai compreso, le abilità mentali che avevi, l’alterazione
biochimica nel momento in cui è successo l’evento traumatico
e tutte le influenze successive. Ad esempio: “Hai visto un documentario? Hai parlato con una persona che ne è stata ugualmente coinvolta? Hai condiviso con altre persone che hanno
commentato le loro esperienze?”. A questo punto tutto quanto diventa un mix, dove l’elemento storico in senso stretto non
è distinguibile da quello interpolato nè dall’interpretazione
soggettiva. Quindi per capire come sono andate le cose storicamente il sistema più attendibile è di confrontare diverse testimonianze di persone che non si sono confrontate tra di loro e
che possibilmente non sono state influenzate dagli stessi stimoli interferenti.
RB Dovremmo dunque considerare i loro ricordi come non
veritieri?
MG Diciamo che non ci sono buoni motivi per pensare che i
ricordi di queste persone non siano attendibili, con ogni probabilità vanno considerati tendenzialmente attendibili.
Quando una persona ricorda un evento traumatico si ha un
fenomeno che viene chiamato in letteratura “Flash Bulb
Memories”, cioè la memorie a flash, PACK! Ad esempio, noi
abbiamo sentito recentemente dell’attentato alle Torri gemelle:
se si chiede ad una persona dove fosse quando ne ha avuto
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notizia, avremo delle risposte interessanti. Personalmente io
ero in cucina e stavo apparecchiando la tavola. Ho acceso il
telegiornale, sono rimasto sbigottito e a questo punto PAF!
Nella mia mente c’è un flash dove io vedo quello che è successo in televisione, e vedo me stesso che rimango fermo con delle
cose in mano...
RB Possiamo considerarla come una visione dall’esterno?
MG Si, e già questo ci dice che questo mio ricordo è una ricostruzione. Infatti, il ricordo è sempre un processo di ricostruzione; io non mi posso essere visto, io avrò visto la televisione
mentre nel mio ricordo io vedo me stesso che rimango fermo a
guardare la televisione. E’ un ricordo attendibile ma non posso
essere certo che sia successo esattamente in questi termini, perchè nel momento in cui sto ricostruendo potrei inserire qualcosa che non è verosimile. Diciamo che non c’è nessun buon
motivo per cui io debba aver distorto in maniera significativa
i fatti, non ci sono pressioni esterne, non ci sono pressioni politiche, non ho sensi di colpa per quanto è accaduto; per questo
il mio ricordo è da considerarsi altamente verosimile. Ma in
assenza di documentazione oggettiva, come ad esempio fotografie o filmati, nessun ricordo è certo a priori.
RB Nell’esempio delle Torri Gemelle lei era esterno all’avvenimento; quando una persona è direttamente coinvolta si può
avere lo stesso meccanismo di ricostruzione?
MG Può succedere esattamente la stessa cosa. Quando una
persona viene coinvolta in un’esperienza traumatica di questo
tipo i suoi meccanismi abituali di memorizzazione possono
risultare alterati e quindi si può formare uno strano mosaico in
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cui sono presenti dei dettagli anche assolutamente irrilevanti:
“Ho visto una persona cadere, che aveva le calze verdi...”.
RB Una donna che ho intervistato ricordava che il fratello
aveva perso le scarpe...
MG Questo è proprio l’effetto PAF, la memoria a flash! Nel
momento in cui c’è il flash tu memorizzi con vividezza straordinaria quello che sta nel tuo campo percettivo, visivo, olfattivo, tattile. Può essere anche un elemento irrilevante: da un
punto di vista storico può non avere un grande significato.
Contemporaneamente ci possono essere però dei grossi buchi,
delle ampie amnesie, perchè il cervello ha liberato delle sostanze chimiche che alterano il processo della memorizzazione ed
alcuni ricordi possono essere letteralmente non registrati. In
questi casi, quindi, non è che queste persone non vogliano
ricordare, ma a volte non c’è proprio l’informazione nel cervello da un punto di vista neurologico. E’, per esempio, come
quando noi stiamo lavorando al computer e scriviamo un
documento; il computer si blocca, a quel punto noi abbiamo
tutto nella memoria a breve termine, un buffer che doveva
essere trasferito nella memoria a lungo termine ma in quel
momento è arrivato il CRASH e non c’è stato il trasferimento
dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine.
Quindi i ricordi non ci sono affatto, oppure solo alcuni sono
rimasti memorizzati, visto che siamo più sofisticati di un computer, ma altri risultano assenti, altri ancora sono molto ovattati, confusi.
RB Quindi non siamo di fronte alla volontà da parte di queste persone di dimenticare un’esperienza traumatica?
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MG Diciamo che non necessariamente è così. Le amnesie, in
un contesto di questo tipo, possono essere spiegate da un lato
come fenomeno neurofisiologico, con un’alterazione vera e
propria del processo di memorizzazione, ma non solo; infatti,
ci può anche essere il tentativo di dimenticare, che è un processo più normale, e che non si presenta solo in coincindenza
di eventi traumatici o estremi. Immaginiamoci una persona che
ha vissuto la guerra: a quale tipo di atrocità avrà assistito, in
quale stato di angoscia avrà vissuto per chissà quanto tempo;
poi si rilassa, c’è la Liberazione, succede questa tragedia. A
questo punto, però, possiamo avere una serie di fenomeni
post-traumatici tipici, molto frequenti: ci sono pezzi dell’esperienza che mi si presentano involontariamente, immagini che
irrompono, flashbacks. Ma non sono necessariamente immagini visive. Possono essere suoni, odori, sapori, sensazioni tattili. Sento i rumori degli spari o sento un rumore improvviso
ed il mio corpo reagisce come se mi trovassi in pericolo. Vedo
qualcuno che corre e mi ricordo le persone che scappano tra la
folla. Cammino per strada, qualcuno mi urta ed io reagisco
come se fossi stato aggredito o mi trovassi in una situazione
terribile. Di fronte a tutta una serie di fenomeni percettivi o
emozioni naturalmente intrusive una persona cerca di difendersi come può: uno dei modi con cui noi cerchiamo di gestire
questo tipo di malessere è cercando di tenerlo a distanza e possibilmente cancellarlo. Quindi una parte dell’amnesia può essere legata al tentativo di una persona di liberarsi di ricordi
molto dolorosi. Ed è un processo un po’ diverso da quello discusso precedentemente, perchè in questo caso è possibile, se
una persona lo desidera ed è collaborante, recuperare gradualmente dei pezzi di ricordi. Quello che succede normalmente,
soprattutto se si parla di ricordi emotivamente molto forti, è
che una persona dica: “Quello che ti sto raccontando è il mio
ricordo, è ciò che ho visto, è la verità, me la puoi vedere negli
occhi”, indipendente da come se l’è costruito. Ma a volte
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anche chi dice di non ricordare nulla sta dicendo la verità, perchè ha avuto una vera è propria amnesia dissociativa.
RB Non è possibile in questo caso recuperare dei ricordi?
MG Se sono amnesie legate al fatto di quel momento sono
andati profondamente “in tilt”, non hanno memorizzato, allora i ricordi non sono recuperabili. Nel secondo caso, quello del
non volere ricordare, allora è possibile almeno parzialmente
recuperare i ricordi, se esiste questa volontà. Credo che sia
possibile che la quasi totalità di queste persone, che saranno
molto anziane, non vogliano ricordare. Perchè ricordare chiede la volontà di accogliere una sofferenza che proviene dall’interno e condividerla con un altro essere umano: ma sono
anziani, hanno fatto la guerra, magari hanno lavorato tutta la
vita per tenere in un angolino della mente questo genere di
ricordi, perchè devono condividerlo con lei? Forse non ne
hanno parlato neanche con i nipoti: perchè devono farlo con
questa signora qui, così curiosa, che non sa neanche che cos’è
la guerra?
RB E’ possibile che una persona mescoli ricordi di avvenimenti differenti? Incidenti o tragedie diverse sia per il luogo
che per il tempo in cui si sono verificate.
MG Si, è possibile. Le persone tendono ad assemblare ricordi
anche distanti nel tempo e nello spazio, riuniti però da una
stessa emozione oppure da uno stesso tipo di modificazione
dello stato di coscienza. Quando una persona si trova in mezzo
ad una folla con qualcuno che gli spara addosso normalmente
reagisce entrando in uno stato di coscienza diverso da quello
o rdinario, dove l’obbiettivo fondamentale è innanzitutto
sopravvivere, scappare, andare veloci. Quando una persona
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vive diverse esperienze di questo tipo tende poi a metterle insieme e a volte non riesce più a capire bene se un fatto sia accaduto prima di un altro. Magari ci sono anche tre mesi di
distanza tra un fatto e l’altro, ma nella mente di una persona
possono essere fusi insieme. Dal punto di vista storico non è
più possibile ricordare con esattezza lo svolgimento temporale, perchè tutto viene compresso come in un’amalgama, dove
l’elemento fondamentale è ad esempio il terrore o doversi
nascondere, o il dolore fisico...
RB Quando un trauma è relativo ad una esperienza personale c’è normalmente la volontà di nasconderlo, ma se parliamo
di un trauma collettivo mi sembra importante avere la volontà di condividerlo, capire cosa sia successo, trovarne le cause...
MG Lei parla di singole persone coinvolte o di uno stato?
RB Si, in realtà abbiamo due tipi di memoria collettiva...
MG Esatto
RB Di cosa è fatto il ricordo?
MG Noi normalmente diciamo che una persona ricorda o non
ricorda, ma il ricordo è una questione più complessa; innanzitutto viene composto attraverso sistemi percettivi differenti:
ciò che ho visto, ciò che ho sentito, un odore, un sapore. E gli
aspetti cosiddetti narrativi, quelli di cui sono consapevole e che
racconto a lei per condividere la mia esperienza, sono i tipi di
ricordi che sono più soggetti alle amnesie di cui si parlava
prima. Questo per un motivo neurologico: la struttura celebrale che ha il compito di legare insieme in un contesto spaziotemporale tutti questi elementi si chiama ippocampo, e può
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essere messa in crisi da uno stress intenso e protratto. Ed è questo fenomeno che può generare amnesie non recuperabili.
Alcune emozioni come la paura, però, non sono soggette a
questo destino perchè vengono registrate da strutture celebrali
diverse. La struttura celebrale principale legata alla memorizzazione della paura è l’amigdala, che è una struttura sottocorticale che non risente negativamente dello stress eccezionale o
prolungato, ma memorizza e ricorda tutto. Quindi una persona che dice “io non ricordo”, può non essere in grado di riferire verbalmente degli avvenimenti che l’hanno coinvolto, ma
una parte del suo cervello ha memorizzato molto bene, ed è
quella parte cerebrale che ha memorizzato le emozioni provate allora, in particolare la paura. In questi casi possiamo assistere ad una una reazione di paura che però non è riconducibile a niente di ricordabile esplicitamente, perchè il ricordo
non è stato registrato oppure la mia testa non ha nessuna
voglia di ricordare. E questo ricordo rimane, come si suol dire,
“dissociato”. Una parte della mia mente è come un muro di
piombo oltre il quale non riesco ad andare o non ho tanta
voglia di andarci perchè la vividezza dei ricordi può essere
altissima, può essere come se fosse successo ieri. E questo discorso si innesta poi con l’atteggiamento che uno stato ha nei
confronti di una tragedia collettiva, perchè le riccorrenze servono non soltato per non dimentare, ed in questo gli ebrei
hanno insegnato molto, ma servono alla popolazione anche
perchè periodicamente abbia un’occasione per aprire, se vuole,
quella porticina blindata, e condividere con gli altri le proprie
esperienze traumatiche. Sapendo che ci sono altre persone che
hanno condiviso le stesse vicende, nel giorno della commemorazione tutti si aspettano che raccontando una propria esperienza dolorosa, le altre persone saranno pronte ad accoglierlo. E quindi ti danno una mano, perchè tu sentendoti appoggiato collettivamente da un’intera nazione ti puoi confrontare
con delle esperienze traumatiche, che ancora ti perseguitano.
Non c’è niente di più dannoso del silenzio imposto ad espeIl trauma della guerra
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rienze di questo tipo, perchè si toglie la possibilità ad una
comunità di avere un momento di ritualità collettiva in cui
possa finalmente ricondividere delle cose, e cercare di superarle insieme.
RB Da qui l’importanza della condivisione di gruppo?
Abbiamo avuto l’esempio dopo la guerra del Vietnam...
MG Assolutamente. Madre natura o il buon Dio, dipende dai
punti di vista, ha inventato degli strumenti utili per rielaborare
le esperienze traumatiche, senza bisogno che inventassero gli
psichiatri o gli psicoteurapeuti. E le persone cosa fanno: condividono l’esperienza. Chi meglio di una persona che ha vissuto
la tua stessa esperienza è grado di capirti? Se lo stato negasse
l’esistenza di determinati avvenimenti, da un certo punto sare bbe stato quasi meglio, perchè ciò avrebbe sollevato gli animi e
la gente avrebbe fatto fronte compatto per dire: “No, è successo!”. Ma lo stato a volte nega perchè sorvola: non è degno di
mensione, non ci interessa, e questo è terribile. Toglie la possibilità di elaborare collettivamente il dramma di un popolo. In
questo modo non si tratta più di un processo che porta ad una
risoluzione psicologica e sociale di un trauma, ma diventa un
loop dal quale non si riesce più ad uscire, o perchè le esperienze sono eccezionali di per se (pensiamo ad i sopravvissuti dall’olocausto), oppure perchè il contesto ambientale non ha consentito o favorito la rielaborazione di un trauma. Pensiamo, ad
esempio, ai nostri superstiti della resistenza, che come è noto
non hanno portato con se, al livello di massa, degli esiti posttraumatici rilevanti dal punto di vista sociale. Per quanto
r i g u a rda i reduci del Vietnam, tornati in patria si sono sentiti
i n s u l t a re, sono stati percepiti al livello sociale come dei reietti.
E’ mancato tutto il contesto sociale che consente di rielaborare
quello che è accaduto. Se ti è consentito di essere perc e p i t o
come una vittima o addirittura un eroe, infatti, parti dalle conIl trauma della guerra
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dizioni migliori per superare quello che ti è accaduto. Se ti devi
n a s c o n d e re, se ti devi verg o g n a re, oltretutto essendo tu molto
fragile perchè porti con te dei ricordi di intesità drammatica,
allora la società volontariamente o involontariamente contribuisce a far si che questo processo di rielaborazione si incagli,
e tu continui a girare a vuoto per chissà quanti anni. Oggi,
quello che succede in uno stato evoluto e psicologicamente sensibile, è che quando capita una tradegia vengano istituite ricorrenze, manifestazioni, dibattiti pubblici e possibilmente viene
messo a disposizione delle persone coinvolte un supporto psicologico. Oggi, diversi eserciti e forze di polizia hanno al loro
i n t e rno uno staff part i c o l a re che si occupa di esiti post-traumatici conseguenti ad esperienze particolarmente stre s s a n t i .
Immaginiamoci un poliziotto in missione per strada e il suo
p a rtner viene ucciso. Non è tanto semplice da superare, ha dei
sensi di colpa: “Forse potevo aiutarlo, forse è colpa mia, se non
mi fossi girato in quello momento...”. Questo stesso poliziotto,
invece, il giorno dopo può essere in servizio con la pistola in
mano... Rendiamoci conto cosa ciò possa significare dal punto
di vista della sicurezza dei cittadini.
RB Ritornando a come la gente ricorda. Lei ha mai lavorato
con dei testimoni all’interno di un processo? In questo caso il
ricordo è fondamentale per stabilire le cause, le responsabilità...
MG Mi occupo anche di questo.
RB Qual’è il metodo di lavoro da lei usato nel caso in cui queste persone non siano completamente consenzienti nel ricordare?
MG Certo, la prima cosa da fare è inanzitutto un’allenza:
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-Lei è disposto a parlare di queste cose qui? Le faccio presente che quando parleremo di queste cose, emotivamente
saranno disturbanti. Lo può accettare?
-Si
Terzo passo è invitare questa persona a raccontare qualunque cosa questa ricordi, anche particolari irrilevanti, anche
nell’eventualità che non fossero certi, come dire: lasciare la
possibilità massima di comunicazione. Questo aumenta la probabilità che i ricordi siano attendibili. A questo punto si fa una
seconda passata:
-Mi sono segnato alcune cose: mi può dire per cortesia che
cosa è successo in questo momento, mi può spiegare meglio
quest’altra cosa? Terza passata, si fanno domande ancora più
precise:
-Ma qui è successo così o cosà? Erano 5 o 10? Ma siete
scappati in quella direzione piuttosto che in quell’altra?
Se poi uno vuole, ma questa è una strategia più da processo, si va a vedere quanto una persona è resistente alla suggestionabilità:
-Lei dice che siete scappati di là, mi sembra un po’ strano
perchè un’altra persona che abbiamo intervistato dice che siete
scappati di lì? È davvero certo?
-Si
-Mah, è strano, perchè due persone mi hanno detto che...
-Si sbagliano perchè io sono andato di lì.
Oppure:
-Effettivamente non è che io ricordi tanto bene, forse sono
andato di là.
Questo per rispondere a quello che lei chiedeva prima:
quanto è attendibile il ricordo? In alcuni casi lo vediamo anche
con la veemenza con cui una persona difende il suo ricordo o
quanto invece il suo ricordo è facilmente plagiabile o interpolabile da informazioni provenienti da altre fonti. Se così succede, è possibile che i ricordi di questa persona siano stati modificati chissà quante altre volte. Diciamo che quanto più una
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persona risulta resistente e difende con veemenza il proprio
ricordo, tanto più aumenta l’attendibilità, sempre che ovviamente non stia inventando deliberatamente un fatto che non è
mai accaduto. Visto che lei parlava di processi, un giudice se
conosce l’argomento, non chiede mai ad un perito se è vero
quello che dicono, ma dice sempre qualcosa di simile a “verifichi se quanto è in grado di riscontrare è compatibile con l’ipotesi di reato”. Il giudice non stabilirà la verità oggettiva, ma
la cosiddetta “verità processuale”. Il compito di uno psicologo
in questo caso è di andare a vedere se nel modo di raccontare,
quello che prova e quello che sente una persona, c’è compatibilità di massima con l’ipotesi di reato.
RB Quali sono i diversi processi di costruzione del ricordo? E
in che modo il ricordo è narrato?
MG Diciamo che la persona più sana è quella che è in grado
di ricordare e condividere i suoi ricordi permettendosi di esprimere in modo congruente quello che prova. Ad esempio, gli
viene in mente di aver visto il bambino che ho visto io nella
foto che lei mi ha mostrato, e prova angoscia, lo si vede chiaramente, glielo comunica; ma è un’angoscia per quanto umanamente significativa che non supera un certo livello e che è
c o n g ruente con il contenuto di quello che sto dicendo.
Narrazione ed emozioni in questo caso si incastrano bene.
Abbiamo invece tutta una serie di narrati o di modi di ricordare che sono alterati. Per esempio, una persona che ricorda
con assoluta freddezza, con la mimica totalmente inespressiva
o totalmente contratta e dice che lui non prova dolore per
quello che è accaduto ma prova soltanto odio. Accidenti, l’odio a sessant’anni di distanza è un po’ sospetto! E’ inverosimile che queste persone non provino dolore, sembra piuttosto
che nella loro mente ci sia qualcosa che impedisca loro di sentire, e lo coprono con l’odio. L’odio diventa la barriera nei conIl trauma della guerra
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fronti del dolore, della disperazione, della fragilità, dell’impotenza. Viene usato per contrastare un altra emozione, che non
vogliono o non possono accogliere. Un altro esempio: ci sono
delle persone che ricordano pochi frammenti di un ricordo, ma
se accettano di parlarne è quasi irrilivante quello che raccontano narrativamente, perchè quello che comunicano sono
essenzialmente emozioni. Piangono o fanno vedere con gli
occhi l’angoscia e il terrore che hanno memorizzato. Questa è
l’amigdala di cui si parlava prima. Ma l’ippocampo ricorda
poco. Io non ho lavorato con persone reduci di guerra ma ho
lavorato con delle persone vittime di catastrofi, di attentati o
violenze. Ho visto una persona coinvolta nell’attentato di
Piazza Fontana che a distanza di qualche decennio reagisce
ancora a degli stimoli presenti in quell’evento come se fosse
successo cinque minuti prima. E non è che ricordi molto. Ha
pochi frammenti. Ma questo è di nuovo il fenomeno per cui la
memoria narrativa è alterata, un po’ perchè sono passati degli
anni, un po’ perchè li ha cancellati, un po’ perchè non ha
memorizzato i ricordi. In questo caso è difficile distinguere tra
la non memorizzazione e il non voler ricordare. Ma le emozioni, la paura e l’angoscia, sono rimaste inalterate, sino a
quando non ha deciso di curarsi.
RB Lei lavora anche con l’ipnosi. E’ un metodo per rielaborare i ricordi?
MG Lavorare con l’ipnosi è una delle strategie più efficaci per
rielaborare i ricordi traumatici. La psicoterapia ipnotica, infatti, nasce per curare persone che hanno subito dei traumi. É
“passata di moda” per una serie di motivi sui quali ora sorvoliamo, ma quando è stata riscoperta? Per curare persone vittime di guerra in coincidenza con la prima e la seconda guerra
mondiale, quando altri dispositivi teraupeutici non funzionavano e non c’era ancora un’evoluzione della farmacologia
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come quella attuale. Oggi abbiamo a disposizione farmaci,
terapie vecchie riscoperte e rese più moderne ed anche altri tipi
di psicoretapie come per esempio EMDR (Eye Movement
Desensitization and Reprocessing) che è una terapia nata per
curare disturbi postraumatici ed è stata ampiamente utilizzata
per esempio con i reduci dell’attentato alle Torri gemelle. Per
questo avvenimento, in America, molte persone coinvolte
direttamente o che hanno subito un trauma vicario sono state
curate in questo modo. Un altro esempio i poliziotti del FBI:
nel caso risultassero traumatizzati durante lo svolgimento delle
loro mansioni, possono essere curati con l’EMDR. In Italia
abbiamo lavorato utilizzando l’EMDR, anche a scopo di
volontariato, con persone coinvolte in catastrofi come per
esempio l’aereo che è finito contro il palazzo Pirelli di Milano
o il terremoto di San Giuliano di Puglia.
RB E’ differente lavorare con persone vittime di catastrofi e
persone vittime di attentati?
MG Accidenti si! Se proprio devo essere coinvolto in una tragedia preferisco che sia una catastrofe naturale perchè non è
colpa di nessuno, perchè non mette in discussione la visione
dell’uomo e della società. Io ho avuto modo recentemente di
c u r a re persone travolte dallo Tzunami, persone torn a t e
dall’Indonesia molto scosse, con conseguenze traumatiche
pesanti. Questo evento ha, come dire, fatto il reset del loro
computer, ma non ha messo in discussione il loro rapporto con
l’uomo in generale: ciò che è giusto, ciò che è sbagliato, la
visione politica delle cose. Una catasfrofe cambia l’immagine
del mondo ma non l’immagine dell’uomo, mentre un attentato incide sulla tua visione dell’ uomo, del futuro, di quello che
è il destino dell’umanità, se l’umanità è perfettibile, di cosa è
giusto, come sono le convivenze tra gli uomini, sulla tua visone politica e religiosa del mondo.
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RB Bene, io sono soddisfatta dell’intervista...
MG Ora ha un bel po’ di informazioni...
RB La ringrazio.
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