Leggi la lettera

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Prof.,
questo scritto inizia così, senza “egregio”, senza “gentile”, senza “caro” o “carissimo”:
semplicemente “prof”. Non perché la si voglia sminuire, ma perché è così che l'abbiamo sempre
chiamata, perché è questo che è sempre stato per noi: un prof.
Un prof non è solo un insegnante, non è solo un uomo con la giacca cachi con le toppe di pelle
marrone sui gomiti, i pantaloni beige e le scarpe scamosciate o talvolta le “Fila” blu. O erano
“Superga”?
Un prof non è solo un abile burocrate che registra assenze e voti, non è solo un vigile che determina
chi debba stare dentro o fuori la classe in base a criteri di puntualità o ritardo. Non è solo questo.
Non è solo un megafono che propaga informazioni, dati, definizioni, non è solo garante dell'ordine.
Un professore è anche solo ciò che è: un uomo, prima di tutto.
Non si può prescindere dai suoi vizi, dalle sue spigolosità, dal suo essere burbero, e certamente
indelicato Non si può prescindere dai suoi baffi, dagli occhi vispi nell'espressione sorniona, quegli
occhi che sembravano osservare da fuori quando invece erano capaci di guardare dentro. Non si può
prescindere dalla montagna che era, dall'alto della sua sapienza, dall'alto della sua saggezza,
dall'alto della sua “altezza” ci ha presi, ci hai sgridati quando siamo stati sgraditi, ci ha accarezzati
nei momenti cari, e in mezzo, sempre e comunque, con il modo delicato e comprensivo, oppure
deciso e intransigente, ha cercato con tutta la passione che aveva in corpo, non già e non solo di
insegnarci la sua materia, ma anche di insegnarci la vita.
Insegnarci che la passione è la benzina della vita, che non c'è passione se non c'è calore, che non c'è
calore se non ci mettiamo in gioco con tutti noi stessi, comprese le nostre debolezze, i nostri sensi di
inadeguatezza, le nostre paure e le nostre mancanze.
Ci ha insegnato che non impareremo mai a scavalcare un muro prima di averci sbattuto la faccia,
ma anche che dopo avercela sbattuta sarà difficile, ma doveroso per noi stessi, trovare il coraggio di
rischiare di sbattercela ancora.
Ci ha insegnato la pacatezza e l'irruenza, e di farle valere sempre attorno a un tavolo.
L'ironia, quella non ce l'ha insegnata! Ci ha innaffiati di ironia, come quando sconfortato disse: “La
storia insegna a una classe di asini. E' quello che sta succedendo a me!”.
Un prof, a tutto campo, che ci osservava ovunque: in gita, in classe, nei corridoi, ovunque capitasse,
per poi poter pungolare per farci capire che sapeva bene che lo studente non è solo un ragazzino con
la felpa e le scarpe da ginnastica, ma che lo studente è prima di tutto ciò che è: un ragazzo.
E lo sono stato io. E lo siamo stati noi, noi con lei. É stato il nostro prof, spigolosamente affettuoso,
focosamente appassionato, burberamente gentile, molti di noi con lei si sono accesi.
Ora è nei nostri ricordi, ricordi sopiti nel tepore di un periodo diverso della vita, non così lontano,
ma così diverso. Noi e lei divisi da una cattedra, noi e lei uniti dal ricordo della sua voce baritonale,
dal ricordo di quei baffi con cui forse credeva di riuscire a nascondere il suo sorriso beffardo, dal
ricordo di un prof, senza prescindere dal suo essere un uomo. E' triste pensare che sia così, un
ricordo, ma non diceva lei che se penso a un elefante che vola, l'elefante che vola allora esiste?
Allora penseremo a lei, ogni volta che la vita ci metterà alla prova, cercheremo di ricordare le
lezioni che ci ha dato frugando nei nostri ricordi. Nei cari ricordi del nostro gentile, egregio, caro,
carissimo professor Giovanni Camatarri.