IL DISCORSO DI ADAMS

Transcript

IL DISCORSO DI ADAMS
IL DISCORSO DI ADAMS
Tratto da:
William Owens
L’AMMUTINAMEMTO DELL’AMISTAD
Mondadori, 1999
La mattina seguente, ancor più agitato, Adams si recò
al Campidoglio in carrozza, portando con sé alcuni volumi,
in realtà in ordine piuttosto confuso, che pensava potessero essergli di qualche aiuto. Lo scheletro della sua
argomentazione non era ancora completo. Aveva
purtroppo perso del tempo prezioso nel sistemare gli affari
di Jeremy Leary per riguardo alla famiglia del poveretto.
Il più vasto pubblico che avesse sinora assistito al processo stipava l'aula della corte. Si era sparsa la voce che
John Quincy Adams in persona avrebbe difeso la causa
degli africani dell'Amistad. Amici e nemici dei neri, fianco a
fianco degli amici e nemici di Adams, affollavano la piccola
aula. Adams fu sorpreso nel vedere quante poche donne
avessero sfidato il cattivo tempo e le critiche per assistere
al processo. Gli fece invece piacere scoprire Daniel
Webster tra gli spettatori.
Adams guardò poi i giudici sfilare ai propri posti negli
imponenti banchi di mogano: il giudice capo Taney, pronto
a presiedere, seguito dai giudici Story, Thompson,
McLean, Baldwin, Wayne, Barbour e Catron. Il giudice
McKinley non aveva assistito a nessuno dei dibattimenti
sull'Amistad. Adams notò che anche quel giorno il suo posto era vacante.
Il giudice Taney aprì la seduta, quindi si rivolse direttamente a lui.
«La corte è pronta ad ascoltarvi.»
Adams si alzò. L'angoscia e l'agitazione che erano cresciute dentro di lui sin dal giorno in cui aveva promesso a
Tappan e Loring di occuparsi del caso e che lo avevano accompagnato fino a
quel momento, improvvisamente lo abbandonarono. Sentì allora che l'animo
non gli sarebbe venuto meno di fronte al compito che lo attendeva. Rivolgendo uno sguardo colmo di gratitudine al cielo, si rivolse ai giudici.
«Ho considerato con attenzione questo caso, e ritengo di poter dire che,
pur nell'angoscia per me stesso e per i miei clienti, due cose mi danno
consolazione: primo, il fatto che il diritto dei miei clienti alla vita e alla libertà
sono già stati difesi dai miei colleghi con tale competenza e completezza che
mi resta ben poco da dire, e sento che gli interessi dei miei clienti hanno già
ricevuto così piena giustizia che qualunque mia mancanza o imperfezione
non potranno che essere attribuiti alla loro vera causa...»
Gli sguardi degli spettatori si spostarono da Adams a Baldwin, seduto al
tavolo con una pila di carte di fronte a sé. Si erano lasciati ingannare dalla sua
mitezza? Il suo intervento era stato a tal punto più eloquente di quanto
avessero inteso?
«In secondo luogo, mi consola il pensiero che questa sia una corte di
E nell'enunciare un concetto così banale, mi permetto di chiedere
alla Corte di considerare che cosa sia la giustizia. Essa, come venne definita
dalle Istituzioni di Giustiniano circa duemila anni fa, e come viene tuttora
concepita da tutti coloro che comprendono i diritti umani, è il desiderio
costante e perpetuo di garantire a ognuno i PROPRI DIRITTI. »
GIUSTIZIA.
Egli fece risuonare con forza le sue parole negli orecchi dei giudici e del
pubblico, attendendo che facessero il loro effetto. Erano parole brucianti, e fu
evidente che Adams aveva colto il bandolo dell'intera causa.
«E in una Corte di giustizia, dove appaiono due parti avverse, giustizia
vuole che i diritti di ogni parte siano fatti salvi, come pure vuole che ogni parte
abbia dei diritti, che è cura della Corte assicurare e proteggere. Questa
osservazione è importante, dato che io sono qui per conto di trentasei
individui la cui vita e la cui libertà dipendono da questa Corte.»
Con calma, ma con emozione evidente e profonda, spiegò come gli
africani fossero stati tenuti in prigione per diciotto mesi sulla base di accuse
differenti o, nel caso dei quattro bambini, senza alcun capo d'imputazione.
Nel narrare questa ingiustizia la sua voce risuonò più forte.
1
Avvocati e testimoni, schiavisti e antischiavisti si fronteggiavano.
Ecco l'appassionata difesa che i sostenitori degli africani avevano
atteso e che i loro nemici avevano temuto. Gli spagnoli guardavano
senza capire quel vecchio profeta del Vecchio Testamento, ritto in
piedi in una luce troppo chiara. Più di un agente governativo
divenne livido di rabbia...
«Quando dico che ricevo consolazione dalla considerazione di
trovarmi di fronte a una Corte di giustizia, lo dico a ragion veduta,
dato che un altro Dipartimento del Governo degli Stati Uniti ha
preso, riguardo a questo caso, una posizione di totale ingiustizia...»
L'aveva detto. Davanti alla Corte Suprema, e le sue parole
sarebbero stato ripetute il giorno dopo dai quotidiani di tutto il paese,
Adams aveva deciso di sferrare una dura critica contro la bieca
macchinazione di un uomo meschino la cui unica mira era stata
quella di spartirsi la Casa Bianca insieme a un gruppo di politici e di
loro scagnozzi prezzolati a caccia di poltrone. La sua carriera era
finita, e le stanze da cui aveva gestito il potere erano pronte a
essere sgombrate da ogni traccia del suo passaggio: ma il giudizio
scagliato su quel gruppetto di uomini sarebbe pesato a lungo su tutti
loro.
«...e questi uomini per i quali compaio di fronte a voi, attendono il
loro destino proprio da questa Corte; hanno contro l'intero apparato
del potere esecutivo di questa nazione, in aggiunta al fatto che si
trovano in un paese straniero. Sarò quindi obbligato a esaminare e
sottoporre a censura di questa Corte non solo la forma e il modo di
procedere dell'esecutivo in questa causa, ma anche la validità dei
motivi che hanno portato a tale inaudita interferenza in una causa
tra due parti per i loro rispettivi diritti.»
L'attesa degli spettatori non era stata vana. Stavano per
assistere a un processo a un presidente a opera di un altro
presidente. Videro il ministro della Difesa Gilpin arrossire durante
l'attacco. In qualità di lacchè di Van Buren, era venuto il suo turno.
«Non incalzare da presso colui che già cade», citò Adams
da Shakespeare osservando il ministro intensamente, e fermandosi
un istante come a considerare l'effetto della citazione. Quindi si
rivolse nuovamente ai giudici.
«Mi è quindi particolarmente penoso, nelle attuali circostanze,
tracciare di fronte a questa Corte e al mondo civile il corso tenuto
dalla presente amministrazione in questo caso. Ma devo farlo. Quel
governo è tuttora al potere ed è perciò soggetto al controllo di
questa Corte, nelle cui mani sono anche la vita e la libertà dei miei
clienti.»
Un'agitazione, un improvviso movimento tra gli spettatori indusse
i giudici a richiedere estremo rispetto della disciplina. Il corso che
Adams aveva impresso alla causa sembrava destinato ad agitare gli
animi delle due fazioni. Il vecchio avvocato non parve nemmeno
accorgersi dell'interruzione; continuò a parlare come se le parole
stesse spingessero per uscire, mentre la calma tornava in aula,
sotto lo sguardo severo dei giudici. Amici e nemici avevano il dovere
di ascoltare fino alla fine.
«Se io tralasciassi di descrivere accuratamente ciò che è stato
commesso, coloro che non hanno avuto la possibilità di esaminare il
caso e forse la Corte stessa potrebbero decidere che niente di
scorretto sia stato commesso e che le parti che rappresento non
abbiano patito alcun torto a causa della condotta tenuta
dall'esecutivo. Muovendo quest'accusa, o meglio questa
contestazione dell'accusa, in difesa dei diritti dei miei clienti,
procederò ora a esaminare la corrispondenza del Segretario di
Stato con l'ambasciatore di Sua Maestà Cattolica la Regina dì
Spagna, così com'è stata comunicata ufficialmente al Congresso.»
Durante la prima ora della sua disquisizione, Adams aveva
presentato la sua affermazione più sensazionale. L'effetto era stato
più drammatico di quanto ogni sostenitore degli africani avrebbe
potuto desiderare. Quindi, sicuro che l'attenzione dei giudici e del
pubblico non sarebbe mancata, procedette con la contestazione
dell'amministrazione.
Accusò l'esecutivo di aver sostituito puntualmente, nel corso di
tutta la causa, la parola "Giustizia" con il termine "Simpatia" -
intendendo
specificamente
"Simpatia"
per
2
gli spagnoli, "Avversione" per gli africani, "Simpatia" per i bianchi,
"Avversione" per i negri. Rammentò ai suoi ascoltatori come il
medesimo spirito di simpatia e avversione avesse pervaso quasi
l'intera nazione.
«Non conosco alcuna legge che io non abbia la libertà di
contestare di fronte a questa Corte, nessuna legge, statuto o
costituzione, nessun codice, nessun trattato che sia applicabile alle
procedure attuate dall'esecutivo o dal giudiziario, tranne una...»
Il suo dito indicò la Dichiarazione di indipendenza appesa a una
delle colonne dell'aula.
«Quella legge, due copie della quale sono sempre sotto i vostri
occhi. Non conosco altra legge inerente il caso dei miei clienti, se
non la legge della Natura e del Dio della Natura che i nostri padri
hanno posto al principio dell'esistenza della nostra nazione. Le
presenti circostanze sono così anomale che nessun codice o
trattato le ha previste. Io confido che quella sarà la legge sulla cui
base la Corte deciderà dei miei clienti.»
Fissato questo principio negli orecchi degli ascoltatori, Adams
rimproverò aspramente l'amministrazione per aver interferito con il
caso, poi riassunse il corso che intendeva tenere per il prosieguo
del suo intervento.
«Tutta la mia argomentazione ha lo scopo di dimostrare che
l'appello è inammissibile e si basa sulla asserzione che la procedura
seguita dagli Stati Uniti è stata errata sin dall'inizio. Già il primo atto,
la cattura del vascello e di questi uomini da parte di un ufficiale di
Marina, è stato sbagliato. Il loro arresto forzato sul suolo di New
York è stato un errore. Dopo che il vascello fu portato all'interno
della giurisdizione della corte distrettuale del Connecticut, gli uomini
furono imprigionati e posti sotto processo criminale per omicidio e
pirateria dei mari, per poi essere dichiarati dal tenente Gedney
merce di sua proprietà per cui egli chiese l'indennità relativa. Nel
corso di quel medesimo procedimento essi vennero però presi in
consegna dall'ufficiale giudiziario come sua proprietà. Furono infine
reclamati da Ruiz e Montes come loro mercanzia e quindi di nuovo
presi in custodia dalla corte.»
Dopo questo riassunto Adams, prova dopo prova, cominciò a
rendere evidente il fatto che l'esecutivo aveva operato delle
pressioni sul giudiziario. Lesse alcuni testi di lettere rassicuranti al
Cavaliere de Argaiz da parte di Forsyth, citò lo zelo da parte
dell'esecutivo nel fornire assistenza legale agli spagnoli mentre la
negava agli africani, espose tutti i meschini rapporti intercorsi tra
Holabird e la Casa Bianca. Come prova finale, denunciò poi la
presenza del Grampus nel porto di New Haven su ordine
dell'esecutivo per riportare gli africani all'Avana e consegnarli alla
giustizia spagnola.
Parlò per quattro ore e mezza. A quel punto, quando non si era
ancora addentrato nemmeno per metà nella sua disquisizione, la
Corte aggiornò l'udienza. Guardando il pubblico che usciva, Adams
sentì che non li aveva soddisfatti interamente. D'altro lato, sapeva di
non aver del tutto fallito: l'amministrazione si sarebbe trovata in serie
difficoltà a rispondere ad alcune delle sue domande.
Tutto ciò succedeva di mercoledì, e soltanto lunedì Adams si
ripresentò dinanzi alla Corte suprema, poiché il dibattimento era
stato sospeso a causa del decesso del giudice Barbour, spirato nel
sonno mercoledì notte. Il giudice, uno dei sudisti più temuti dai
sostenitori degli africani, aveva abbandonato il conflitto solo per
ubbidire alla chiamata della morte.
Durante quel breve intervallo Adams aveva cercato di lavorare
alla sua disquisizione, pur con la mente ancora occupata dal
pensiero della morte e della fuggevolezza della vita; inoltre un sacco
di piccoli contrattempi si frapposero tra lui e il lavoro. Il Campidoglio
era pieno di gente in cerca di impiego e di raccomandazioni che
cercava di perpetuare il sistema clientelare dei democratico-repubblicani sotto i whig. Adams esasperato aveva dovuto pregare
parecchie persone di lasciarlo in pace, adducendo come scusa che
un suo intervento in qualunque questione sarebbe stato di danno.
Ma quando si recò al Campidoglio domenica per il servizio
religioso, assieme alla
3
moglie, trovò i banchi pieni di gente venuta a chiedergli favori.
Adams si trovò così immerso in un vortice di saluti e di addii, anche
se col pensiero era lontano, concentrato com'era sui suoi argomenti
in favore degli africani.
Quando ritornò di nuovo alla Corte Suprema, trovò il pubblico
diminuito, proprio come gli sembrava fosse accaduto al proprio
vigore. Il peso della morte del giudice Barbour aleggiava sui giudici
e sugli spettatori, infondendo in tutti una strana sensazione, foriera
di cattivi presagi. Mentre si alzava, la mente di Adams si volse alla
memoria del giudice e a quella di Leary.
Parlò nuovamente per più di quattro ore, analizzando ancora i
punti salienti del caso ed enfatizzando dettagli che Baldwin aveva
solo sfiorato. Ma poteva sentire la sua voce cadere sui presenti
come priva di vita, questa volta. Improvvisamente il fardello gli
sembrò troppo pesante per le sue forze.
Aveva pensato di sviluppare con completezza il parallelo tra il
caso presente e quello della Antelope, ma si accorse che il tempo
quel giorno non gli sarebbe bastato - e capì di essere un vecchio
stanco. Non aveva la forza né la voglia di intrattenere la corte per
una terza giornata. Tutta l'energia che gli restava andava spesa ora,
e in fretta.
Improvvisamente abbandonò l'argomento che stava trattando,
troppo piatto per via delle frequenti ripetizioni, e abbassò la voce in
un appello personale - appello che ben presto suonò come il
commiato di un vecchio che ha combattuto bene la propria
battaglia.
«Col permesso della Corte: il 7 febbraio 1804, ormai più di
trentasette anni fa, il mio nome fu rubricato e ancora si trova
registrato in entrambi gli albi come uno degli avvocati e consiglieri di
questa Corte. Cinque anni più tardi mi presentai per l'ultima volta di
fronte a questa Corte in difesa di una causa giudiziaria. Dopo
brevissimo tempo fui chiamato a svolgere altri doveri, prima in paesi
lontani, e successivamente in patria ma presso altri dipartimenti del
governo.
«Difficilmente avrei creduto che mi sarebbe stato ri-
chiesto nuovamente di rivestire i panni di ufficiale di questa Corte.
Tuttavia tale è stato il dettame del destino - e i compaio qui una
volta ancora per servire la causa della giustizia, e ora la causa
della libertà e della vita, per conto dei miei amici. Sono ancora qui
e mi affido per l'ultima volta alla medesima Corte...
«Mi trovo di fronte alla stessa Corte ma non agli stessi giudici, né
sono aiutato dagli stessi assistenti o mi si oppongono gli stessi
avversari. Mentre lascio scorrere lo sguardo su questi seggi così
onorevoli e degni della pubblica fiducia, cerco invano quelle
persone onorabili e onorate. Dove sono Marshall, Cushing, Chase,
Washington? Dov'è l'eloquente statista e colto avvocato che fu
mio socio? Dov'è il mio avvocato dell'accusa? E dove il cancelliere?
E l'ufficiale giudiziario? E i banditori della Corte? Ahimè! Dov'è uno
dei giudici di fronte ai quali ho cominciato questa ansiosa
disquisizione che ora ho chiuso anzitempo? Dove sono tutti?
Andati! Andati! Tutti andati...»
Un singhiozzo di donna riempì la pausa che Adams aveva
lasciato.
«Hanno lasciato i compiti che nella loro epoca e nella loro
generazione hanno svolto fedelmente per il loro paese. In virtù
dell'umanissimo spirito che li ha sostenuti in vita, io spero umilmente
e credo profondamente, per quanto misere le mie conoscenze, che
essi stiano ora ricevendo la ricompensa della benedizione divina.
«Prendendo infine commiato da questo tribunale, e insieme da
questa onorevole Corte, posso solo esprimere una fervida preghiera
al Cielo perché ogni suo membro, proprio come questi illustri
predecessori, possa recarsi al rendiconto finale con poca fragilità
terrena di cui render conto, e prego che ognuno di voi, alla
conclusione di una lunga e virtuosa carriera in questo mondo, possa
essere ricevuto ai cancelli del mondo a venire con le parole di approvazione: Ben fatto, bravo e fedele servitore; entra nella gioia del
tuo Signore.»
Il vecchio avvocato si inchinò profondamente ai giudici e al
pubblico, quindi, senza aspettare le formalità della
4
chiusura dell'udienza, uscì dall'aula e si diresse lentamente verso
casa.
Per più di una settimana Adams fu immerso nella tipica
confusione di Washington nei giorni dell'inaugurazione, prendendo
parte a occasioni mondane e a riunioni alla Camera dei
rappresentanti, ma sempre portandosi dentro un profondo senso di
insoddisfazione per quanto non era riuscito a fare in favore degli
africani.
La mattina del 9 marzo si alzò presto e si recò al Campidoglio. Gli
era stato detto che la Corte avrebbe reso pubblica la sentenza sul
caso Amistad proprio quella mattina.
Solo un piccolo gruppo di persone era riunito nell'aula della Corte
Suprema per ascoltare il verdetto che il giudice Story lesse in un
sussurro. Ma quel sospiro conteneva parole memorabili nella storia
della giustizia umana. Si confermavano in ogni punto le sentenze
delle Corti distrettuale e circoscrizionale, tranne per quanto
riguardava gli africani. Era stata annullata la parte della sentenza
che li metteva a disposizione del presidente degli Stati Uniti perché
venissero riportati in Africa, e li si dichiarava immediatamente liberi.
Si dava quindi ordine alla corte circoscrizionale di rilasciarli
immediatamente dalla custodia dell'ufficiale giudiziario dello Stato.
Adams ascoltò queste parole con umiltà, chinando il capo in
segno di ringraziamento. In tutto il Sud gli schiavi venivano venduti,
separati dalle proprie famiglie, picchiati, umiliati; in tutto il paese
vigevano due sistemi giudiziari - uno per i bianchi e uno per i negri.
In quest'unico caso la giustizia era prevalsa, l'umanità aveva
trionfato. Adams sollevò il capo e lo tenne ben alto mentre usciva,
passando tra i sostenitori dello schiavismo che sibilavano il suo nome con malevolenza: camminando nella certezza che sarebbe
venuto il tempo in cui la giustizia non avrebbe chiesto a nessuno il
colore della sua pelle.
Nella camera della commissione per le manifatture, solo, lontano
dal frastuono delle lodi e delle critiche, scrisse poi due lettere, una a
Baldwin e una a Tappan.
A Tappan scrisse:
"Gli schiavi sono liberi!
"La parte della sentenza della corte distrettuale che li lasciava a
disposizione del presidente degli Stati Uniti è stata annullata.
Devono essere rilasciati dalla custodia dell'ufficiale giudiziario liberi.
"Il resto della sentenza è stato confermato.
"Ma grazie - grazie! Grazie a voi nel nome dell'umanità e della
giustizia!"
A Baldwin scrisse essenzialmente le stesse cose, poi aggiunse:
"Con la massima urgenza e la massima gioia, vostro..."
5