dell`articolo - Il Pagliaccio

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ALCHIMISTI DEL GUSTO
ANTHONY GENOVESE
TRA I VICOLI DI ROMA ESISTE UN RISTORANTE UNICO NEL SUO GENERE, IN CUI VENGONO MISCELATI
ALLA PERFEZIONE LE SPEZIE ORIENTALI, LA TECNICA FRANCESE E L’AMORE PER GLI INGREDIENTI
ITALIANI. LO CHEF SI CHIAMA ANTHONY GENOVESE E SI STA PARLANDO DEL LUOGO GOURMET “IL
PAGLIACCIO”. UNO DEI PIÙ IMPORTANTI RISTORANTI IN ITALIA, E NON SOLO.
DI CARLO SPINELLI
FOTO DI AROMICREATIVI (IN ANTEPRIMA DAL LIBRO “TEN XTND”)
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L
a culla è francese, i cromosomi provengono dalla Calabria e la sensibilità metafisica e
speziata scaturisce dall’Oriente. Tre entità concettuali che, miscelate, hanno ben forgiato
la filosofia culinaria dello chef Anthony Genovese a “Il Pagliaccio” di Roma.
Stiamo parlando di un Cerbero a tre teste che con i suoi piatti ruggisce contro lo stereotipo
dell’ignoranza, della chiusura mentale, della noia gastronomica che a volte offusca il cervellino dell’italiano medio. Anthony Genovese divulga la sua indole gastronomica attraverso
una cucina buona e imprevedibile, personale nel senso che è davvero unica nel suo genere,
in cui l’equilibrio delle spezie inghirlanda abbinamenti azzardati come funghi e polpo, fichi
e coda di maiale.
La sua è una gastronomia cosmopolita che ha faticato a emergere in una città come Roma,
così ancorata alle origini dei ricettari tradizionali. Ma il re del Pagliaccio graffia e ringhia come
un leone, non si piega alle mode o alle tradizioni, e oggi è forse diventato uno dei cuochi più
importanti e innovativi del nostro Bel Paese. Roarr!
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ALCHIMISTI DEL GUSTO
DALLA FRANCIA ALLA COSTIERA
Anthony Genovese ha 45 anni, è nato nell’Alta Savoia francese in una famiglia calabrese
immigrante, ha frequentato la scuola alberghiera a Nizza e fin da subito è stato plasmato da
una cultura ibrida del cibo, bizzarramente calabro-transalpina.
A 22 anni vola nella sua terra natìa, l’Italia, per l’esattezza all’Enoteca Pinchiorri di Firenze:
all’epoca c’era poca scelta per approfondire la cucina di ricerca, si poteva andare solo da Gualtiero Marchesi o da Pinchiorri. Qui scopre un mondo nuovo e riesce a raggiungerne anche
altri, davvero differenti, sempre grazie a Giorgio Pinchiorri e Annie Feolde: i viaggi in Oriente
infatti, a Bangkok e Tokyo, sono molto importanti per la sua futura statura professionale.
Nel suo estroso encefalo gourmet scoppia quindi una positiva pazzia per il Sud-Est asiatico.
Poi arrivano le esperienze anche a Londra, in Malesia, a Pechino nella fervente Cina e quindi
in Costiera amalfitana, a Ravello all’interno del Palazzo Sasso.
In questo luogo meraviglioso assume per la prima volta il titolo di chef di cucina, a 28 anni
suonati: la fortuna e il carisma sono dalla sua parte perché la struttura è bellissima e l’adrenalina
stimola e potenzia il suo estro culinario. Conquista la prima stella Michelin, dimostrando il suo
indubbio valore e godendosi la vicinanza di due compagni di viaggio da scompiglio neurale:
Stefano Baiocco e Pino Lavarra. Insieme a loro il cuoco italo-francese trasforma Palazzo Sasso
in uno dei migliori ristoranti del Meridione, d’Italia e del mondo stesso.
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LA NASCITA DEL PAGLIACCIO
Nell’Anno Domini 2003 Anthony Genovese apre Il Pagliaccio a Roma. Fuochi d’artificio per la
Capitale: con il suo arrivo la cucina capitolina trova dunque nuova linfa speziata, novelli spunti
d’ispirazione, attuali contaminazioni dettati dalla globalizzazione, una palpabile modernità
di gusto che strizza l’occhio e il palato al globo terracqueo. Ma a volte, si sa, le novità non
vengono intuite subito e pertanto, all’inizio della sua carriera da solista nella città di Romolo
e Remo, lo chef si fa portavoce di una certa ribellione in cucina, utilizzando così tante spezie
per stupire i clienti fino a essere spesso annoverato dalla critica tra i ristoranti cinesi, indiani
o addirittura “etnici”. Ma lui va avanti, imperterrito come un’arma d’assedio, come un ariete
che deve sfondare i cancelli mentali della clientela romana: d’altronde l’Oriente o piace subito
o proprio per nulla. In Anthony tuttavia l’impatto con la cucina asiatica è stato fortissimo, gli
è piaciuta fin da subito: «In questo universo si possono miscelare gli ingredienti e le spezie
a proprio piacimento; le verdure poi possono essere malleate più ecletticamente, soprattutto
nelle diverse gradazioni di cottura: il broccolo ad esempio si può lasciare assai croccante, a
differenza della tradizione italiana che lo fa bollire il più possibile. Alcune spezie inoltre mi
hanno dato la possibilità di sperimentare nuove inclinazioni del gusto, come le foglie di kefir,
dal sapore finale aspro-dolciastro per le zuppe o le pietanze di carne in sostituzione dell’aceto,
oppure l’oyster sauce, che offre la sensazione di agrodolce nella laccatura…».
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IL PERCORSO DI
ANTHONY GENOVESE
1985 Ecole Hoteliére de Nice
1986 Dominique Le Stanc **, Eze Village
1987 Montecarlo Vista Palace*, Monaco
1998 Restaurant Le Petite Nice***, Marsiglia
1989 Auberge de la Belle Route**, Nizza
1991 Enoteca Pinchiorri, Firenze***
1992 Enoteca Pinchiorri, Ginza-Tokyo
1993 Enoteca Pinchiorri, Firenze***
1994 Regent Hotel, London
1995 Toto’s Restaurant, London
1996 Ristorante La Farfalla, Malesia
1997 Ristorante Rossellinis*, Ravello
Gennaro Buono e Matteo Zappile
LA CUCINA ALCHEMICA DI GENOVESE
Splendida splendente la cucina di Anthony Genovese, un’alchimia di graffianti e ammalianti spezie orientali si amalgama alla tecnica francese e agli
ingredienti italiani e mediterranei. La cura del dettaglio che piomba leggiadra
dal Giappone copula logisticamente con i gusti personali dello chef e del suo
background professionale e genetico. Lui non è un tradizionalista, segue le
sue origini e il suo percorso, è un cucinante autonomo, ribelle e testardo a cui
piace cucinare quello che gli piace. E per questo che piace. Nel 2006 arriva
infatti la prima stella Michelin, nel 2009 sopraggiunge la seconda: insieme
alla pasticciera alsaziana e gourmet Marion Lichtle e ai due fuoriclasse della
sala Gennaro Buono e Matteo Zappile, Il Pagliaccio sta entrando quatto quatto
nel soqquadro dell’Olimpo dei ristoranti più importanti del pianeta. In questo
luogo d’eccellenza tra i vicoli misteriosi della vecchia Roma si possono assaggiare piatti unici, dettati dalle regole organolettiche delle spezie asiatiche, ma
anche creazioni con la ‘nduja, lo stoccafisso, i famosi ziti imparati dal nonno,
i tortelli con il finto ragù calabrese, oppure anche il foie gras, le capesante e
le ostriche, la burrata, il gelato di scorzanera, l’alga kombu e il grano. «Ho
imparato diverse tecniche nella mia vita da cuoco: a Bangkok e in Malesia il
taglio del pesce; in Giappone l’eleganza nell’impiattamento, le cotture dashi,
la lavorazione delle alghe, del katsuobushi, della soia e del tofu, del miso,
le arti del tempura e della frittura; nell’Oriente tutto il concetto dello spicy
e del crunchy. La mia cucina è cosmopolita, aperta a tutte le influenze che
mi divertono. Io non faccio tradizione né “lavoro” solo le verdure: questi
obbiettivi di filosofia culinaria sono già prerogative di altri grandi cuochi,
come Massimo Bottura o Enrico Crippa, due illustri esponenti della cucina
italiana che hanno ormai incarnato questi due tipi di cucina». Il Pagliaccio
a Roma, in via dei Banchi Vecchi 129: un indirizzo prezioso dove scoprire
una piccola Babele cosmopolita di cucina d’autore.
2003 Ristorante Il Pagliaccio**, Roma
Ristorante Il Pagliaccio
Via dei Banchi Vecchi 129
00186 Roma
Tel. +39 06 6880 9595
[email protected]
www.ristoranteilpagliaccio.it
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