scarica pagine saggio

Transcript

scarica pagine saggio
.
冟
A
冟
Parte seconda Le funzioni dell’ONU
p.
100
S.
3. Azioni rispetto a una minaccia alla pace, a una violazione della pace,
a un atto di aggressione (cap. VII)
br
i
Il Consiglio di Sicurezza, che abbiamo visto non essere l’unico organo a cui la Carta
attribuisce una funzione conciliativa, è, invece, il protagonista indiscusso del Cap. VII,
che istituisce il cosiddetto sistema di sicurezza collettivo delle Nazioni Unite. Tale
sistema, nell’idea dei redattori della Carta doveva costituire il fulcro dell’azione dell’ONU, essendo volto a garantire la pace e la sicurezza internazionale. L’effettivo funzionamento del sistema è strettamente legato all’efficienza del Consiglio di Sicurezza e soprattutto all’accordo tra i membri dotati di diritto di veto.
se
li
L’art. 39 che apre il capitolo stabilisce che l’azione del Consiglio potrà essere avviata
ogni qualvolta esso ravvisi l’esistenza di:
— una minaccia alla pace;
— una violazione della pace;
— un atto di aggressione.
C
op
yr
ig
ht
©
Es
Le nozioni di minaccia alla pace e di aggressione non trovano una specificazione, una
definizione precisa nella Carta. Ciò perché i redattori dello Statuto hanno voluto lasciare al Consiglio un margine discrezionale nella valutazione di situazioni che possono ricadere in questa categoria.
Una definizione di aggressione è stata data dall’Assemblea generale nella risoluzione
n. 3314 del 14 dicembre 1974.. In questa nozione sono comprese una serie di ipotesi
che vanno dall’invasione o attacco contro il territorio di uno Stato da parte delle forze
armate di un altro Stato, al bombardamento, al blocco dei porti, fino alla messa a
disposizione del proprio territorio per il compimento di atti di aggressione da parte di
un altro Stato e all’invio o al sostanziale coinvolgimento nelle operazioni di bande o
gruppi armati, forze irregolari o mercenari. La risoluzione non esclude che il Consiglio
possa considerare come aggressione atti non elencati nel documento.
È opportuno precisare che il Consiglio di Sicurezza, nelle delibere adottate fino ad
oggi ai sensi del cap. VII della Carta, non ha mai qualificato una situazione come
aggressione, preferendo piuttosto ricorrere, nelle ipotesi di maggiore gravità, alla nozione di violazione (o rottura) della pace: così come ha fatto nella risoluzione n. 660
del 2 agosto 1990 con riguardo all’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq.
La nozione di minaccia alla pace è, tuttavia, quella che più spesso ricorre nelle delibere adottate dal Consiglio di Sicurezza ai sensi del cap. VII della Carta. La dottrina ha
evidenziato come essa abbia il vantaggio di non comportare necessariamente l’attribuzione di specifiche responsabilità ad una determinata parte, cosa che può rivelarsi politicamente delicata; si tratta, inoltre, di una nozione dai contorni sfumati che consente
al Consiglio un margine di discrezionalità molto ampio.
La dottrina si è interrogata circa la discrezionalità del Consiglio riguardo alla definizione di minaccia alla pace, chiedendosi se sia illimitata o se al contrario possano
individuarsi dei limiti. Potrà definirsi, con certezza, minaccia alla pace qualsiasi azio-
.
冟 101
A
冟
p.
Capitolo 1 Il mantenimento della pace
se
li
br
i
S.
ne bellica sia interna che esterna ad uno Stato. Unica eccezione: l’esercizio del diritto
alla legittima difesa previsto dall’art. 51 (v. par. 6). Il Consiglio non potrà, infatti,
intervenire contro lo Stato che usi la forza solo per difendersi da un attacco.
In più di una situazione l’ONU si è servita della nozione di minaccia alla pace per sanzionare condotte meramente interne e nelle quali non era insito l’uso della violenza bellica,
come nel caso delle politiche di discriminazione razziale portate avanti dalla Rodhesia
del Sud e dal Sud Africa (DRAETTA). Al riguardo ricordiamo che l’art. 2 della Carta pur
sancendo il principio del rispetto della domestic jurisdiction afferma che esso viene meno
di fronte a quelle azioni dell’ONU intraprese sulla base del capitolo VII.
In merito alla discrezionalità del Consiglio, riprendendo il parere del Conforti, riteniamo che « il comportamento di uno Stato non possa essere condannato dal Consiglio e
assoggettato a misure coercitive allorché la condanna non corrisponda all’opinione
della più gran parte degli Stati e dei loro popoli». Limite deducibile, secondo l’internazionalista, dall’art 34 par. 1 della Carta
Alla difficoltà dell’accertamento previsto dall’art. 39, molto spesso ostacolato anche
da ragioni procedurali, quali l’esercizio del diritto di veto, si cerca di ovviare aprendo
un’inchiesta, possibilità riconosciuta al Consiglio dall’art 34.
Es
Una volta che il Consiglio abbia accertato l’esistenza di uno dei presupposti sopra
citati, potrà agire:
— raccomandando misure provvisorie (art. 40);
— adottando misure non implicanti l’uso della forza armata (art. 41);
— intraprendendo azioni militari (art. 42).
ht
©
Nelle pagine che seguono oltre ad analizzare in maniera più dettagliata gli appena menzionati
articoli della Carta, ci occuperemo delle operazioni di peace-keeping, misure adottate dal Consiglio ma non direttamente riconducibili ad un preciso articolo dello Statuto, il tutto corredato dei più
recenti sviluppi della prassi dell’organizzazione.
A) Le misure provvisorie
C
op
yr
ig
In base all’art. 40 il Consiglio di Sicurezza può adottare quelle misure provvisorie che
giudica necessarie ad impedire che una situazione internazionale si aggravi, mettendo,
di conseguenza, in pericolo la pace e l’ordine mondiale.
Il Consiglio non può che invitare le parti interessate a conformarsi a tali misure; utilizzando questi termini l’art. 40 indica chiaramente che il Consiglio ha in queste circostanze solo il diritto di emettere delle raccomandazioni.
La competenza del Consiglio in base all’art. 40 ha una portata limitata: infatti, sebbene
si ricorra spesso a perentori inviti, le misure provvisorie non comportano alcuna condanna, ed esse non possono pregiudicare i diritti e le pretese delle parti in conflitto.
La tipica misura provvisoria è il cessate il fuoco; ma possono essere considerate tali la
richiesta a Stati terzi di non appoggiare le parti in lotta in una guerra civile o internazionale o quelle che chiedono il ritiro di truppe straniere da un territorio dove è in atto
una guerra civile.
.
冟
A
冟
Parte seconda Le funzioni dell’ONU
p.
102
se
li
br
i
S.
Altri esempi sono rappresentati dagli appelli alla conclusione di convenzioni militari,
quali tregue o armistizi, dal rilascio dei prigionieri di guerra, dal ritiro di truppe regolari, forze paramilitari o mercenari dalla frontiera o dal territorio straniero o illegalmente occupato, o da zone di sicurezza, fino alla smilitarizzazione di alcune zone.
Per l’attuazione di queste misure provvisorie può essere necessario istituire meccanismi e organi di controllo, generalmente missioni o gruppi di osservatori, con il compito di monitorare il rispetto del cessate il fuoco e delle tregue o di controllare le zone
smilitarizzate.
L’art. 40 sembra presupporre una gradualità di interventi da parte del Consiglio di
sicurezza, poiché prevede che questo faccia ricorso alle misure provvisorie prima di
adottare altre raccomandazioni o di decidere misure non implicanti l’uso della forza.
Nella prassi, tale regola non è interpretata rigidamente: misure provvisorie possono
anche essere oggetto di una delibera che contemporaneamente adotti altre misure previste dal cap. VII, o possono essere raccomandate dal Consiglio dopo che esso abbia
già adottato altre risoluzioni in conformità a questo capitolo.
Es
Un esempio di quanto sopra detto si può individuare nelle risoluzioni adottate dal Consiglio nel
corso della crisi in Kosovo. Con la risoluzione n. 1199 del 23 settembre 1998, il Consiglio di sicurezza ha chiesto il cessate il fuoco, dopo che con la risoluzione n. 1160 del 31 marzo 1998 aveva
già rivolto alle parti raccomandazioni basate sull’art. 39 della Carta ed aveva deciso un embargo di
armi e materiale bellico ex art. 41.
B) Le misure non implicanti l’uso della forza
a) Le misure adottabili
ig
ht
©
L’art. 41 conferisce al Consiglio il potere di decidere o raccomandare agli Stati
membri tutta una serie di misure che non implicano l’uso della forza bellica. Le
misure così previste possono essere adottate con raccomandazione, che lasciano gli
Stati liberi di decidere se applicarle o meno, oppure con decisione che invece obbligano i membri dell’ONU ad adottarle. Spesso però, gli Stati, per motivi politici o economici disattendono tale obbligo giuridico ed aggirano senza difficoltà i Comitati di controllo che il Consiglio può istituire per controllare che le sanzioni siano eseguite.
C
op
yr
Le risoluzioni adottate sulla base dell’art. 41 possono prevedere:
— sanzioni economiche, come il blocco dei porti o l’embargo. Il blocco consiste in
un’azione di pressione su uno Stato, realizzata a mezzo del divieto, coercitivamente imposto, di ogni comunicazione o scambio commerciale-economico con l’estero. L’embargo consiste invece, nel divieto di esportare specifiche merci verso uno
Stato determinato e/o di importare merci in provenienza da quest’ultimo. A partire
dagli anni novanta, le sanzioni economiche comprendono l’embargo generale e
completo sul commercio di armi, materie prime, petrolio e prodotti petroliferi; la
sospensione o restrizione dei rapporti commerciali, il congelamento dei beni o valori
patrimoniali posseduti dallo Stato oggetto di misure e dai suoi governanti; la sospensione dei servizi internazionali di trasporto;
.
冟 103
A
冟
p.
Capitolo 1 Il mantenimento della pace
S.
— il non riconoscimento di situazioni illegittime. Si tratta di una misura a cui le NU
fanno ricorso nell’impossibilità di adottare sanzioni economiche. La finalità perseguita è quella di isolare lo Stato autore dell’illecito, al fine di indurlo alla cessazione del comportamento incriminato.
br
i
La dottrina del non-riconoscimento, cd. dottrina Stimson, risale al 1932, anno in cui il segretario di Stato statunitense (Stimson appunto) dichiarò di non poter ammettere la legittimità (e
quindi riconoscere) delle situazioni e degli accordi contrari al diritto sancito dal Patto della
Società delle Nazioni (si trattava, nel caso specifico, della conquista giapponese della Manciuria, provincia cinese). In epoca più recente, si ricorderanno le risoluzioni 276 del 1970, con cui
il Consiglio dichiarava invalida e illegale la presenza delle autorità sudafricane sul territorio
della Namibia, e la 662 del 1990, che dichiarava nulla e non avvenuta l’annessione del Kuwait
da parte dell’Iraq.
Es
se
li
L’obbligo per gli Stati — contrariamente al principio dell’effettività — di non procedere ad alcun riconoscimento dell’azione illecita si esplicita:
a) nell’inefficacia, davanti ai tribunali nazionali di ogni Stato, degli atti compiuti
dallo Stato autore dell’illecito al di fuori del legittimo territorio;
b) nell’astensione da qualsiasi atto che sul piano internazionale possa legittimare
anche de facto l’atto illecito;
— la condanna morale della Comunità Internazionale. Si tratta di risoluzioni che
intervengono soprattutto nel caso di violazioni dei diritti umani o di principi fondamentali dell’organizzazione.
ht
©
Al fine di garantire l’effettività delle risoluzioni che impongono misure non implicanti
l’uso della forza, la Carta prevede:
— un obbligo di assistenza reciproca fra i membri delle NU (art. 49) quando essi
siano chiamati ad eseguire misure decise dal Consiglio;
— la possibilità per ogni Stato membro o non membro delle Nazioni Unite di chiedere
l’aiuto del Consiglio, qualora si trovi in difficoltà economiche per avere ottemperato ad una decisione del Consiglio stesso (art. 50).
ig
b) I Tribunali penali ad hoc per la ex Jugoslavia e per il Ruanda
C
op
yr
L’origine del Tribunale per la ex Jugoslavia risale alla risoluzione 827 del 1993 del Consiglio di
Sicurezza, che, nel quadro del cap.VII della Carta, ha istituito il tribunale per giudicare i presunti
responsabili di violazioni gravi del diritto internazionale umanitario (compresi il genocidio e i crimini contro l’umanità) commesse a partire dal 1° gennaio 1991 nel territorio della ex Jugoslavia. La
ris. 827 fa esplicito riferimento all’obbligo di tutti gli Stati di cooperare pienamente con il Tribunale
e di adottare tutte le misure di diritto interno necessarie a dare esecuzione alla risoluzione e allo
Statuto, compreso l’obbligo di adempiere alle richieste di assistenza o alle ordinanze adottate
dalle Camere di prima istanza del Tribunale. Il Tribunale comprende tre Camere di prima istanza e
una Camera d’appello, l’Ufficio del Procuratore e la Cancelleria.
Le Camere sono composte da sedici giudici permanenti indipendenti, tutti cittadini di Stati diversi.
Sette fra i giudici permanenti sono membri della Camera d’Appello, che giudica con cinque membri.
L’attività delle Camere concerne l’attività istruttoria del processo, il giudizio, l’appello e le questioni
di giurisdizione del Tribunale. Esse provvedono, inoltre, all’attività di regolamentazione del Tribuna-
.
冟
A
冟
Parte seconda Le funzioni dell’ONU
p.
104
C
op
yr
ig
ht
©
Es
se
li
br
i
S.
le come, ad esempio, il miglioramento delle procedure per garantire l’equità e la rapidità del processo, le modifiche al regolamento di procedura e di prova, etc.
L’Ufficio del Procuratore si compone del Procuratore e del personale necessario. Esso svolge
due funzioni principali: compiere le indagini, istruendo i fascicoli, ed incriminare gli autori dei crimini, in particolare quelli in posizione di comando o direzione, responsabili della pianificazione e
dell’esecuzione delle più gravi violazioni del diritto internazionale umanitario. Il Procuratore agisce
in piena autonomia e indipendenza; non sollecita né riceve alcuna istruzione da alcun Governo né
da altra fonte. Egli è nominato dal Consiglio di Sicurezza su proposta del Segretario Generale
dell’ONU, ha un mandato di quattro anni ed è rieleggibile.
La Cancelleria, che è comune per le Camere e per l’ufficio del Procuratore, è incaricata di assicurare l’amministrazione e i servizi del Tribunale. Essa si compone di un Cancelliere e del personale
necessario. Il Cancelliere è designato dal Segretario Generale, dopo una consultazione con il
Presidente del Tribunale, per un mandato di quattro anni rinnovabile. La Cancelleria si occupa,
altresì, di informare i media e il pubblico, di amministrare il sistema di assistenza giudiziaria agli
accusati indigenti, di supervisionare il Quartier penitenziario delle Nazioni Unite, di gestire l’utilizzazione delle sale di udienza e di intrattenere delle relazioni diplomatiche con gli Stati ed i loro
rappresentanti.
Le spese sono comprese nel bilancio ordinario dell’ONU in base all’art. 17 della Carta e sono
quindi ripartite obbligatoriamente fra gli Stati membri.
Tratti ed organizzazione simile presenta il Tribunale internazionale per il Ruanda, istituito dal
Consiglio di Sicurezza con la risoluzione 955 del 1994, per giudicare circa le violazioni dei diritti
umani consumatesi tra il 1 gennaio ed il 31 dicembre del 1994 in Ruanda
La scelta operata dal Consiglio di Sicurezza di istituire dei Tribunali penali ad hoc ha sollevato forti
critiche da parte dei giuristi, che sottolineano in particolare l’assenza nella Carta ONU di una
disposizione che autorizzi il Consiglio «ad istituire organi giudicanti destinati a incidere con la loro
attività sull’esercizio dei poteri sovrani degli Stati» (SAPIENZA) e, qualora tale base si volesse
rinvenire nell’art. 41 della Carta, le misure adottate dovrebbero essere applicate dagli Stati membri e non direttamente dal Consiglio tramite l’istituzione di Tribunali internazionali.
La questione è stata affrontata dallo stesso Tribunale per i crimini nella ex Jugoslavia nella decisione
resa il 2 ottobre 1995 dalla Camera d’Appello in merito a delle questioni pregiudiziali sollevate dall’imputato Dusko Tadic. Al punto 33 la Corte osservava che «è chiaro che l’istituzione di un Tribunale
internazionale non è una misura adottata in virtù dell’articolo 42, dal momento che quest’ultimo fa
riferimento a misure di natura militare che implicano l’uso della forza armata. Né può essere considerata una «misura provvisoria» a norma dell’art. 40. Queste misure, come indica la loro denominazione, hanno lo scopo di funzionare come «operazione difensiva», producendo un effetto di «blocco» o
un «raffreddamento» della situazione, senza per questo pregiudicare i diritti, le pretese o la posizione delle parti interessate… A prima vista, il Tribunale internazionale corrisponde perfettamente alla
descrizione di cui all’art. 41 riguardante «misure non implicanti l’uso della forza».
La stessa Corte precisava, in risposta alle obiezioni dell’imputato, secondo il quale tale articolo
non prevedeva misure volte ad istituire Tribunali internazionali (si parla solo di misure di carattere
economico e politico), né tantomeno legittimava il Consiglio ad agire direttamente, che «è evidente che le misure previste dall’articolo 41 costituiscono semplicemente degli esempi illustrativi che
chiaramente non escludono altre misure. L’articolo richiede solamente che esse non implichino «il
ricorso alla forza armata». È una definizione in negativo.
Il fatto che gli esempi non menzionino misure giudiziarie si ricollega all’altro argomento, e cioè che
l’articolo non prevede l’applicazione di misure istituzionali direttamente da parte delle Nazioni
Unite attraverso un loro organo, ma, come suggeriscono gli esempi riportati, solamente azioni
intraprese dagli Stati membri, come sanzioni economiche (coordinate eventualmente da un organo dell’istituzione). Tuttavia, come già detto, nulla nell’articolo implica che le misure siano limitate
a quelle applicate dagli Stati. L’articolo indica solamente le caratteristiche che queste misure non
possono avere. Non dice né suggerisce ciò che esse devono essere».
.
冟 105
A
冟
p.
Capitolo 1 Il mantenimento della pace
c) Le misure adottate dal Consiglio di Sicurezza
S.
Durante il periodo della guerra fredda, il Consiglio, paralizzato dal c.d. diritto di veto, emise raramente
decisioni vincolanti per gli Stati ai sensi dell’art. 41, limitandosi a raccomandare misure inquadrabili
nell’art. 41 e lasciando, quindi, gli Stati liberi di adottarle o meno. Le uniche risoluzioni con le quali il
Consiglio vincolò espressamente gli Stati — adottate attraverso una decisione e non una mera raccomandazione — furono le risoluzioni n. 232, del 16 dicembre 1966 e n. 253 del 29 maggio 1968 contro
la Rhodesia del Sud, e la risoluzione n. 418 del 4 novembre 1977 contro il Sud Africa, oggi abrogate.
br
i
Con la fine della guerra fredda, il Consiglio, liberato dai veti incrociati dei due blocchi e dominato
dagli Stati Uniti, ha potuto intensificare la sua azione in base all’art. 41 della Carta. Tra le numerose decisioni vincolanti adottate negli ultimi tempi possiamo ricordare:
Es
se
li
— la risoluzione n. 661 del 6-8-1990, che obbliga gli Stati ad interrompere le esportazioni e le
importazioni (embargo) con l’Iraq;
— la risoluzione n. 757 del 3-5-1992 che, dopo aver condannato gli interventi della Repubblica
Jugoslava (Serbia e Montenegro) in Bosnia-Erzegovina, impegnò tutti gli Stati a adottare una
serie di sanzioni economiche contro la Repubblica Jugoslava, dall’embargo sulle esportazioni
ed importazioni al blocco delle operazioni finanziarie;
— la risoluzione n. 1267 del 15-10-1999 relativa all’organizzazione terroristica Al Qaeda, che
impegnava gli Stati ad una serie di sanzioni contro la fazione afgana detta i Talebani, per la
mancata consegna di Bin Laden agli Stati Uniti e l’aiuto fornito ai terroristi;
— le risoluzioni n. 1368 del 12-9-2001 e n. 1373 del 28-9-2001, emesse dopo l’attacco al World
Trade Center di New York, che hanno imposto agli Stati una serie di misure per sconfiggere il
terrorismo internazionale;
— le risoluzioni n. 1455 del 17.01.2003 e n. 1456 del 20.01.2003, adottate per la prevenzione del
terrorismo.
Le ultime risoluzioni confermano la prassi più recente dell’ONU: l’adozione di misure contro taluni
individui o gruppi di individui piuttosto che contro Stati.
©
C) Misure implicanti l’uso della forza
ht
L’art. 42 prevede il ricorso da parte del Consiglio di Sicurezza ad azioni di polizia
internazionale, implicanti l’uso della forza, al fine di mantenere o ristabilire la pace.
yr
ig
Queste azioni possono:
— essere dirette contro uno Stato, che abbia, ad esempio, violato la sovranità territoriale di un altro Stato (Iraq-Kuwait);
— essere esercitate all’interno di uno Stato, laddove il Consiglio decida di intervenire
in una guerra civile la cui gravità minacci la pace e la sicurezza internazionale.
Il carattere vincolante o meno delle risoluzioni adottate divide la dottrina:
C
op
— CONFORTI esclude che le decisioni adottate a norma dell’art. 42 possano essere inquadrate
in una delle due categorie di decisione o raccomandazione. Si tratta — afferma l’autore — di
«delibere operative, attraverso le quali l’organizzazione non ordina o raccomanda qualcosa
agli Stati, ma direttamente agisce»;
— altri autori, invece, sottolineano la discrezionalità del Consiglio, libero di adottare mere raccomandazioni sprovviste del carattere dell’obbligatorietà o al contrario decisioni vincolanti.
L’interpretazione sarebbe confermata dalla disposizione di cui all’art. 48, secondo il quale il
CdS può designare soltanto alcuni degli Stati membri ad eseguire le misure adottate (QUOC
DINH - DAILLIER - PELLET).
.
冟
A
冟
Parte seconda Le funzioni dell’ONU
p.
106
br
i
S.
Le azioni ex art. 42 — secondo la previsione della Carta — avrebbero dovuto essere
poste in essere da un «braccio armato» del Consiglio, ossia da un esercito da esso
dipendente. Per la costituzione di detto esercito gli articoli 43 e 47 prescrivono:
— un obbligo de contrahendo a carico degli Stati membri, tenuti a concludere degli
accordi speciali relativi alla messa a disposizione del Consiglio delle forze armate
necessarie a costituire una forza armata internazionale di cui il Consiglio possa
servirsi autonomamente;
— la creazione di un Comitato di Stato Maggiore, composto dai Capi di Stato Maggiore dei cinque membri permanenti e sottoposto al controllo del Consiglio, al fine
di assisterlo nelle questioni militari.
se
li
Gli accordi specifici, tuttavia non sono mai stati conclusi, sebbene già nel 1946 il
Consiglio affidasse ad un Comitato di Stato maggiore il compito di predisporre un
progetto di accordo tipo tra il Consiglio e gli Stati membri, a causa del disaccordo fra
i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. Tale disaccordo riguardava:
— i contributi militari di ciascuno degli Stati membri;
— i luoghi in cui sarebbero state poste le basi aeree, terrestri e navali;
— il diritto di passaggio negli Stati e quello di uso delle basi per le forze ONU.
ht
©
Es
Il Comitato non è stato consultato, in particolare, sulle questioni attinenti le operazioni di
peace-keeping, rispetto alle quali avrebbe potuto svolgere la funzione consultiva affidatagli dall’art. 47, par. 1, nel campo del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Ma come pensare che le potenze piccole e medie che forniscono truppe per il
peace-keeping avrebbero accettato di porre i propri contingenti sotto l’autorità del Comitato, formato esclusivamente dai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza?
La questione della mancata attuazione degli artt. 43 e seguenti della Carta ha costituito
oggetto di riflessione nell’Agenda per la pace del 1992, in cui si raccomandava di dare
finalmente attuazione all’art. 43, mediante la conclusione di accordi speciali, con cui
mettere a disposizione del Consiglio le forze armate e le facilitazioni da utilizzare nelle
operazioni coercitive di peace-keeping e peace-enforcement.
yr
ig
La mancata applicazione di tali articoli — che induce più di un autore a sancirne la desuetudine
(SAULLE, CONFORTI) — ha fortemente mutilato il potere affidato al Consiglio. L’assenza di una
forza internazionale, suscettibile di svolgere anche una funzione deterrente dei conflitti, ha decretato il frequente insuccesso delle azioni per il mantenimento o il ristabilimento della pace svolte dal
Consiglio, e ne ha esposto il fianco alle critiche di parzialità e asservimento ad interessi soggettivi.
C
op
La mancata attuazione del sistema previsto dagli artt. 43-47 non ha comunque impedito del tutto al Consiglio di agire. Esso l’ha fatto autorizzando gli Stati membri all’uso
della forza contro un determinato paese. Gli Stati possono rifiutare di partecipare a tali
operazioni, trattandosi non di un obbligo a loro carico bensì di azioni che il Consiglio
può delegare ad essi.
Prima della fine della guerra fredda, il Consiglio ha autorizzato solo in un caso questo
tipo di intervento; lo fece nel 1950 in seguito all’invasione della Corea del Sud da parte
della Corea del Nord. Il Consiglio adottò le risoluzioni 83 e 84 con le quali invitò gli
.
冟 107
A
冟
p.
Capitolo 1 Il mantenimento della pace
br
i
S.
Stati membri a soccorrere la Corea del Sud e accettò che il controllo della forza multinazionale creata fosse affidata agli Usa. Solo fattori contingenti permisero al Consiglio
di adottare tali risoluzioni senza che esse fossero bloccate dal veto di un membro permanente: infatti in quei mesi l’Unione Sovietica non era presente alle sedute del Consiglio, per protestare contro la mancata ammissione del governo della Cina Popolare
all’ONU, assenza che venne equiparata — non senza proteste — ad una astensione.
Le altre risoluzioni invece, sono state tutte adottate nel periodo successivo alla fine del
sistema bipolare conseguente alla disgregazione dell’impero sovietico, periodo, come
si diceva in precedenza, caratterizzato da una ripresa dell’attività del Consiglio di Sicurezza (non più bloccato dall’esercizio del diritto di veto) ma anche da aspre polemiche circa il ruolo dell’intera organizzazione nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.
yr
ig
ht
©
Es
se
li
Dopo la fine della guerra fredda la prima delega dell’uso della forza dal Consiglio agli
Stati membri ha riguardato l’invasione del Kuwait. Nel 1990, infatti, il Consiglio di
Sicurezza con la risoluzione 678 autorizzava gli Stati membri a far uso di ogni misura
necessaria — compreso l’uso della forza — a garantire il ritiro della truppe irachene
dal territorio kuwaitiano. Ad essa seguirono:
— nel 1992 la risoluzione n. 794 con la quale il Consiglio autorizzava l’intervento
militare in Somalia, delegando il comando dell’operazione «Restore Hope» agli
Stati Uniti; nel maggio dell’anno successivo l’ONU subentrò agli USA (con l’operazione di peace-keeping a mandato ampliato UNOSOM II);
— nel 1993 le risoluzioni nn. 826, 836 e 844 con le quali si autorizzavano gli Stati
membri, a titolo individuale o nel quadro di organizzazioni regionali, all’uso della
forza per garantire il rispetto di zone di interdizione aerea in Bosnia. Nel caso della
ex-Jugoslavia, l’uso della forza è stato autorizzato per la difesa delle cosiddette
zone protette istituite nel 1993. Con la ris. 836 il Consiglio di Sicurezza ha deciso
che gli Stati membri potevano adottare, sotto la sua autorità e in stretto coordinamento con il Segretario Generale e la Forza di Protezione delle NU nella ex-Jugoslavia (UNPROFOR), tutte le misure necessarie nelle sei città musulmane della
Bosnia-Erzegovina dichiarate protette.
— nel 1999 la risoluzione n. 1264 con la quale si autorizzava si autorizzava una forza
multinazionale diretta dall’Australia di ristabilire la pace in Timor Est. In questo i
contingenti erano chiamati ad intervenire in una crisi interna.
C
op
Di recente si è fatto ricorso allo stesso meccanismo allo scopo di contribuire al mantenimento della pace e della sicurezza in situazioni post-conflittuali particolarmente instabili, come in Kossovo (1999), in Afghanistan e in Iraq, in seguito ad azioni militari
condotte nel primo caso dalla NATO, negli altri due paesi da coalizioni a guida USA
(DRAETTA). In questi casi particolarmente accese sono state le critiche alla politica
dell’ONU da parte di tutta la comunità internazionale, giacché gli interventi armati nei
menzionati Paesi non erano stati autorizzati dall’organizzazione che è tornata a mostrare la sua fragilità dinanzi alle decisioni dei grandi della terra.
.
冟
A
冟
Parte seconda Le funzioni dell’ONU
p.
108
se
li
br
i
S.
La delega dell’uso della forza che il Consiglio ha fatto agli Stati membri è stata sottoposta a diverse polemiche:
— una parte della dottrina ammette la legittimità di tali deleghe, ben potendo il Consiglio delegare i poteri di cui è titolare (GIULIANO - SCOVAZZI - TREVES). Tale
potere di delega sarebbe implicitamente previsto dal carattere generale e discrezionale dei compiti affidati al Consiglio, limitati solo dal rispetto della funzione e
degli scopi della Carta (CIG parere consultivo del 1962 nell’affare relativo ad alcune spese delle NU);
— CONFORTI esclude che le delibere di delega possano essere validamente inquadrate nell’art. 42, che imporrebbe al Consiglio di assumersi la responsabilità delle
azioni decise, laddove un atto di delega equivale comunque ad un abbandono di
responsabilità.
Recentemente, peraltro, l’autore, partendo dalla constatazione che il Consiglio sempre più frequentemente delega l’uso della forza agli Stati, ha considerato «la delega
come prevista da una norma non scritta che si va formando, in base alla quale il
Consiglio assume sempre più funzioni direttive anziché operative».
ht
©
Es
La conclusione circa il pieno fondamento nella Carta delle autorizzazioni consiliari
sembra tanto più valida ove si consideri che nella fase attuale di sviluppo dell’ordinamento internazionale, proprio per l’assenza di un’autorità istituzionalizzata cui demandare le reazioni collettive agli illeciti più gravi, l’azione decisa o autorizzata dal
Consiglio di Sicurezza resta l’unico strumento ammissibile nel diritto delle Nazioni
Unite, che non sia la reazione in legittima difesa, per consentire il ricorso alla forza
armata da parte degli Stati membri (MARCHISIO).
Qualunque sia la nostra opinione è opportuno sapere, come ci ricorda il CONFORTI,
che l’autorizzazioni all’uso della forza dal Consiglio agli Stati membri deve essere
enunciata in termini espressi; nessun atto dell’ONU può essere interpretato come un’autorizzazione implicita, contrariamente a quanto hanno sostenuto gli USA per giustificare l’attacco sferrato all’Iraq.
ig
D) I caschi blu e le operazioni di peace-keeping
L’azione di tutela della pace e della sicurezza è stata esercitata dal Consiglio di Sicurezza
anche attraverso l’invio di corpi particolari di forze armate con compiti specifici.
C
op
yr
Queste forze di peace-keeping, note come caschi blu, presentano le seguenti caratteristiche:
— sono forze realmente internazionali, integrate alle NU e sottoposte alla direzione
del Segretario Generale, sotto il controllo dell’organo che ne ha disposto la creazione, ovvero il Consiglio di Sicurezza e l’Assemblea Generale;
— sono inviate sul territorio teatro di un conflitto col consenso dello Stato territoriale;
— le forze non possono svolgere azioni belliche ma limitarsi all’uso della forza armata solo in legittima difesa (poche le eccezioni: nel 1961 al contingente inviato nel
.
冟 109
A
冟
p.
Capitolo 1 Il mantenimento della pace
i
S.
Congo fu riconosciuta la facoltà di far uso della forza armata «in ultima istanza» al
fine di prevenire «il verificarsi di guerre civili», mentre nel 1993 si autorizzava il
contingente inviato in Somalia a prendere «tutte le misure necessarie per ristabilire
l’effettiva autorità» delle forze ONU nel Paese);
— il sostegno finanziario è fornito per la gran parte da contributi volontari, sebbene la
CIG si sia espressa in favore (parere consultivo del 1962 reso nell’affare relativo
alle spese delle NU) del finanziamento di tali forze a carico del bilancio ordinario
delle NU (come avvenuto per le forze inviate a Suez).
○
○
yr
ig
ht
©
Es
se
li
br
Ciò premesso, è opportuno, in questa sede, sottolineare che negli ultimi anni, complici
i mass media, la definizione di peace-keeping è stata usata erroneamente per definire
varie tipologie di interventi a supporto della pace, mentre il peace-keeping è solo una
delle tipologie di azioni appartenenti alla più vasta categoria delle Peace support operations (PSO, operazioni in supporto della pace). L’espressione peace-keeping in senso stretto indica le operazioni di mantenimento della pace, finalizzate a far rispettare
gli accordi, le tregue, a moderare o a porre fine alle ostilità. Per non creare confusione,
di seguito forniamo, brevemente, un elenco delle altre tipologia di azioni — che spesso
non si distinguono nettamente le une dalle altre — che rientrano nella categoria delle
Peace support operations:
— conflict prevention. Questo tipo di operazioni è finalizzata a scongiurare l’avvio di
una crisi, anche attraverso lo schieramento preventivo delle forze armate;
— peacemaking, operazioni di pacificazioni intraprese dopo l’inizio delle ostilità per
far si che tramite azioni diplomatiche, di mediazione o anche di imposizione di
sanzioni si arrivi alla pacificazione;
— peacebuilding, operazioni di costruzione della pace, attuate alla fine di un conflitto
per sostenere la stabilità, ricostruire le istituzioni di uno Stato ed evitare le riprese
delle ostilità;
— humanitarian aid, missioni di aiuto umanitario, finalizzate ad alleviare le sofferenze delle popolazioni locali. Non sono condotte solo in contesti di crisi belliche ma
spesso vi rappresentano un corollario ineludibile degli sforzi di pacificazione;
— peace enforcement, operazioni di imposizione della pace. Mentre le operazioni precedentemente citate prevedono la presenza delle «forze di pace» sul campo in seguito alla richiesta delle parti in conflitto, le operazioni di Peace enforcement vengono promosse anche senza il consenso delle parti — in sostituzione delle istituzioni nazionali quando queste si rivelano incapaci di controllare il territorio — allo
scopo di imporre la pace.
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
op
Qual è il fondamento giuridico delle operazioni di peace keeping?
C
Questa domanda non ha una risposta certa ed effettiva dal momento che la Carta e gli altri strumenti giuridici, accordi e risoluzioni, applicabili a tali operazioni non si esprimono in merito. Esse sono diverse sia dalle
forze armate a disposizione del Consiglio, di cui parla l’art. 43 della Carta, sia dagli interventi militari
realizzati da coalizioni di Stati membri su autorizzazione del Consiglio di sicurezza.
.
冟
A
冟
Parte seconda Le funzioni dell’ONU
p.
110
i
S.
Da un lato vi è chi riconduce la base giuridica delle operazioni di peace-keeping al cap. VI della Carta, affermando che si tratta di operazioni funzionali al regolamento pacifico delle controversie. Dall’altro lato, si fa
invece riferimento all’art. 40, sulla scorta delle indicazioni del Segretario Generale nella crisi del Congo. Altri
sottolineano che siamo comunque in presenza di operazioni militari e che la base giuridica più idonea resta
l’art. 42. Non manca, poi, chi riconduce il fondamento ad una mera prassi delle Nazioni Unite, la quale si
colloca idealmente tra il Cap. VI ed il Cap. VII della Carta, il famoso capitolo «Six and half» al quale fece
riferimento il Segretario Hammarskjold in relazione all’ONUC. Data la natura ibrida delle operazioni di peacekeeping, queste diverse opinioni contengono tutte un elemento di verità, e tutte le loro incongruenze. Se al
Consiglio di Sicurezza spetta il potere di istituire forze per il mantenimento della pace, i principi applicabili al
peace-keeping si sono consolidati attraverso una pratica generalizzata dell’organizzazione, accettata dagli Stati
membri, che però non sembra aver tuttavia assunto il rango di una consuetudine vincolante.
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
br
○
○
○
○
○
○
○
○
○
○
LE OPERAZIONI DI PACE DEI CASCHI BLU IN CORSO
©
Es
se
li
MINURCAT, creata nel 2007 ed operante in Ciad e Repubblica Centroafricana; UNAMID,
creata nel 2007 ed operante in Sudan e Darfur; UNMIS, creata nel 2005 ed operante in Sudan; UNOCI, creata nel 2004 ed operante in Costa d’Avorio; UNMIL, creata nel 2003 ed
operante in Liberia; MONUC, creata nel 1999 ed operante in Congo; UNMEE, creata nel
2000 ed operante in Etiopia ed Eritrea; MINURSO, creata nel 1991 ed operante nella Repubblica Democratica del Congo; MINUSTAH, creata nel 2004 ed operante ad Haiti; UNMIT,
creta nel 2006 ed operante a Timor Leste; UNMOGIP, creata nel 1949 ed operante in India e
Pakistan; UNFICYP, creata nel1964 ed operante a Cipro; UNOMIG, creata nel 1993 ed operante in Georgia; UNMIK creata nel 1999 ed operante in Kossovo; UNDOF, creata nel 1974
ed operante sulle alture del Golan; UNIFIL, creata nel 1978 ed operante nel Libano meridionale; UNTSO, prima forza di peace-keeping, creata nel 1948 ed operante in Medio Oriente.
ht
4. Il ruolo dell’Assemblea Generale nel sistema di sicurezza delle
Nazioni Unite
yr
ig
La frequente inattività del Consiglio di Sicurezza, soprattutto nel primo quarantennio di
vita dell’ONU, ha indotto l’Assemblea Generale a ritagliarsi una propria competenza
concorrente con quella del Consiglio, per salvaguardare la sicurezza internazionale. Tale
competenza fu affermata per la prima volta nel 1950, quando l’Assemblea adottò la ris.
n. 377 (cd. risoluzione Uniting for Peace o risoluzione Acheson) con la quale stabiliva
la propria facoltà di intervenire (in caso d’inerzia del Consiglio) in ogni situazione
di minaccia della pace, al fine di adottare, mediante raccomandazione, le misure
collettive necessarie, ivi compreso l’invio di forze armate.
op
La dottrina nega, in via generale, che l’Assemblea Generale sia legittimata a svolgere questo
ruolo:
C
— CONFORTI ritiene che essa non è competente ad adottare misure collettive a carattere sanzionatorio in ragione dell’esclusività della competenza affidata al Consiglio dagli artt. 41 e 42.
L’autore riconosce all’organo plenario soltanto la facoltà di adottare misure provvisorie ex art.
40, ben potendo queste ultime essere inquadrate nella funzione conciliativa;