Numero 44 - Ricreatorio San Michele

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Numero 44 - Ricreatorio San Michele
ALTA UOTA
Anno 9 Numero 44 edizione Gennaio-Febbraio 2013
Periodico bimestrale gratuito - Tiratura 1.000 copie - Registrazione Tribunale di Udine n. 15 del 15 marzo 2005
Il Ricreatorio San Michele è iscritto nel Registro
Regionale delle Associazioni di Promozione Sociale al n. 121
www. fvgsolidale.regione.fvg.it
Segreteria telefonica e fax: 0431 35233 Sito internet: www.ricre.org
Direttore responsabile: Andrea Doncovio Redattori: Simone Bearzot, Norman Rusin, Giuseppe Ancona, don Moris Tonso,
Sandro Campisi, Vanni Veronesi, Sofia Balducci, Christian Franetovich, Marco Simeon, Alessandro Morlacco, Manuela
Fraioli, Giulia Bonifacio, Cinzia Borsatti, Marco Giovanetti.
Responsabile web: Riccardo Rigonat Responsabile marketing: Alex Zanetti Stampa: Goliardica Editrice, Bagnaria Arsa
Centro Giovanile di Cultura e Ricreazione “Ricreatorio San Michele” via Mercato, 1 - 33052 Cervignano del Friuli (UD) www.ricre.org
GLI EVENTI DEL
28 FEBBRAIO
in occasione dei 70 anni
di sacerdozio di don Giovanni
Ore 19.00: Santa Messa Solenne in
Duomo presieduta da don Giovanni
Trevisan con la presenza dell’Arci-
vescovo mons. Carlo Roberto
Maria Redaelli e di altri sacerdo-
ti della Diocesi. La celebrazione sarà
accompagnata dal Coro Parrocchiale
‘Leo Mastrototaro’.
IL PERCHÉ DI UN ARGOMENTO
Quando ci siamo ritrovati in redazione, lo scorso gennaio,
per imbastire questo numero sui settant'anni di sacerdozio
di don Giovanni e, come controcanto, sulla crisi delle vocazioni, papa Benedetto XVI aveva già maturato la sua decisione, ma il mondo interno non ne era a conoscenza. Se
avevamo bisogno di una conferma della crisi della Chiesa,
in questi giorni ne abbiamo avute fin troppe. Ma non è certo la prima volta che l'istituzione più vecchia del mondo si
trova a fronteggiare un travaglio pericoloso: ha superato
la cattività di Avignone, Lutero, la Riforma e l'attentato a
Woityla, dunque supererà anche questo shock.
Nel suo piccolo, la comunità di Cervignano festeggia don
Giovanni Trevisan, che da settant'anni è lì a testimoniare
che una fede profonda e delicata come la sua può fronteggiare la Seconda Guerra Mondiale, la guerra civile, la
Guerra Fredda, gli anni di piombo, gli sconvolgimenti del
nuovo millennio: una lezione che può tornare utile in questo momento di disorientamento della Chiesa.
Vanni Veronesi
«Ad multos annos» don Giovanni, anzi, monsignor Giovanni!
DON DARIO FRANCO
CARLO MARIA REDAELLI p. 5
In don Giovanni io vedo anzitutto l’uomo sorridente,
schivo, timoroso di sbagliare o di far restare male qualcuno, rispettoso dell’autorità. Era anche assiduo nella
visita alle famiglie, sia per la benedizione delle case sia
per portare l’Eucaristia agli ammalati: ora con rammarico
ha dovuto lasciare quasi completamente questo servizio
perché le sue forze si sono ridotte.
Don Giovanni è sempre desideroso di rendersi utile. In
casa si è preso come compito per la cena di preparare la
tavola per noi tutti e non c’è verso di fargli capire che non
serve preparare per don Moris perché non è quasi mai
presente, ma lui ha sempre paura che dopo, se viene, resti
male. Finito il pranzo vorrebbe sollecitamente salire in
camera per il riposino, ma si sforza di restare con noi per
farci compagnia e quando si alza striscia sul muro fino
alla porta per non voltarci le spalle.
In chiesa ci sta volentieri - non dimentichiamo che è ancora
lui il confessore principale della parrocchia -, fedelissimo
al sabato pomeriggio con qualsiasi clima. Apre e chiude le
porte, distribuisce la comunione, fa da chierichetto…
Quando passo per le case molti mi chiedono: «Come sta
don Giovanni?» e ricordano con simpatia e affetto tanti
fatti di lui: la visita alla mamma ammalata, il funerale del
papà, la benedizione della casa, un battesimo o matrimonio, la sua capacità di affascinare i bambini.
Don Giovanni sa conservare la memoria del passato: mitici sono i suoi quaderni sui quali da settant’anni scrive le
prediche e altri appunti interessanti. Una vera miniera di
notizie e riflessioni sul tempo che fu.
Infine don Giovanni è un esempio per noi di fedeltà alla
preghiera: oltre a quella personale, è sempre presente alla
recita comunitaria dell’Ufficio, a tutte le messe e funzioni
che si celebrano in chiesa. Ha saputo resistere al logorio del tempo e rimane per noi tutti una presenza umile e
grande per le sue qualità umane e spirituali e la sua ricchissima esperienza.
NICOLA ZIGNIN p. 6
Prima non lo conoscevo, se non di vista o per quello che
mi raccontava don Mirko su di lui quand’ero a Monfalcone, ma appena arrivato qui come parroco nell’ottobre
2008 compresi che don Giovanni, al di là dell’età anagrafica - aveva all’epoca 88 anni - avrebbe continuato a essere ancora per lungo tempo un presbitero preziosissimo
per la vita in canonica e per la pastorale.
Una delle cose che ricorda più volentieri don Giovanni è
la storia della sua vocazione sacerdotale. Proveniente da
povera famiglia, perse presto la madre, il padre si risposò
e non era certo entusiasta che il figlio andasse in seminario («Cui croditu di iessi, il fi di Lovisoni?» gli diceva per
scoraggiarlo), ma Giovanni era troppo sicuro della chiamata del Signore e superò questo ostacolo, non si lasciò
condizionare dagli amici che lo deridevano e più avanti
neppure dalla salute cagionevole. Anticiparono di qualche mese la sua Ordinazione, che fu fatta proprio qui nella
chiesa di San Michele, «par che rivi a dì qualchi messuta
prima di murì!»… ed è ancora qui, pronto per festeggiare
il 70° di sacerdozio in buona forma, mentre gli altri sono
già passati a miglior vita.
MATTEO LIUT p. 7
Al confratello maggiore don Giovanni Trevisan.
Tutta la popolazione è invitata a
partecipare per stringersi attorno
all’amato pastore cervignanese per la
lieta ricorrenza!
Sarà allestita
un’inedita mostra fotografica.
DAVIDE CICUTTIN p. 7
I 70 anni di sacerdozio di don Giovanni Trevisan
e le vocazioni di oggi: crisi o rinnovamento?
IVANO DIJUST p. 9
ESSERE PRETE
A seguire, momento conviviale
presso la ‘Sala Parrocchiale don Silvano Cocolin’.
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AUGURI A…
in
uotattualità
Carissimo Monsignore,
il prestigioso traguardo che Lei ha raggiunto di servizio alla Chiesa mi spinge a
dirLe il mio grazie personale e quello di diverse generazioni di fedeli.
Ora che gli anni sono ricchi di molti ricordi che hanno caratterizzato il suo
lunghissimo ministero pastorale, è giusto ripensare alla Sua persona con gratitudine.
Lei ha attraversato il secolo scorso, nel quale molti consideravano la Chiesa
come il rifugio dei potenti e dei ricchi, accanto alla gente più umile e più povera con grande generosità. Qualcuno ha anche approffittato della sua bontà che
molti giudicavano debolezza. Non Le sono mancati neppure attacchi ingiustificati, o quanto meno esagerati, che l’hanno sicuramente fatta molto soffrire. Ciò
non Le ha impedito di diventare testimone della misericordia di Dio, conscio
del fatto che, per primi, si è anche perdonati da Dio.
Sappiamo che la testimonianza della misericordia è l’unica lingua che l’uomo
post-moderno comprende. Testimonianza da porre non nell’ordine del dovere,
ma nell’ordine dell’essere.
Del Buon Pastore Gesù Lei ha messo in pratica il comandamento dell’amore
attraverso un amore concreto, non fatto solo di buoni sentimenti e di emozioni
intense, ma capace di piegarsi fino a terra per lavare i piedi ai discepoli. Soprattutto traducendolo in accoglienza e misericordia, senza cercare di emergere a
tutti i costi o di avere incombenze che potessero anche minimamente esaltarLa.
Si è preso su di sé carichi da cui ha liberato le spalle altrui, ponendosi al servizio di tutti e accettando di rinuciare a imporsi e piegare gli altri alla sua volontà.
Settanta anni di vita sacerdotale Le hanno insegnato che il male c’è, anche dentro la vita di un prete, ma il male non vincerà; Lei ha sperimentato che talvolta
dobbiamo attraversare le regioni impervie del sacrificio e della sofferenza, le
lande della solitudine e dell’abbandono senza venire meno o per lo meno rialzandosi.
Accanto a Lei molti hanno imparato che l’amore si deve trasformare in tolleranza, comprensione, perdono, solidarietà, operosità e impegno, delicatezza e
tenerezza.
Mi spiace di non poter festeggiare con Lei, con i confratelli, con i suoi parenti
e con i fedeli di Cervignano, questo anniversario.
Mi senta particolarmente vicino e accolga la mia benedizione.
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DINO DE ANTONI
Arcivescovo emerito
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DON GIOVANNI TREVISAN
Giovanni Trevisan, cervignanese doc, piazzaiolo di borgo
S.Girolamo, classe 1919, fu ordinato presbitero nel 1943
dall’arcivescovo Carlo Margotti: una vita pastorale nella
Bassa Friulana con una prima esperienza a Romans e Grado e poi, dal 1949 al 1952, parroco a Fogliano. Ritornò
nella Bassa dove è stato parroco a Saciletto (1952-1966),
Muscoli (1966-1982) e San Martino di Terzo (1982-89);
infine, cooperatore a Cervignano. Nel sessantesimo di
Messa ha avuto la nomina a canonico onorario del Capitolo metropolitano teresiano: monsignore a tutti gli effetti.
ALTA UOTA
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Un’esistenza di tutta semplicità, quella del sacerdote che
alla fine del mese sarà festeggiato dall’intera comunità
cervignanese e dalla diocesi, dove è il decano del clero.
Ѐ partito appunto dalla piazza della chiesa di San Girolamo, dove arteottica.pdf
un giorno15/02/2010
ebbe a 19.52.07
confidare ai suoi di casa «Voglio farmi prete!», e ha avuto la fortuna - ormai da quasi
venticinque anni - di ritornare a svolgere il suo ministero
per quello che gli è oggi possibile nella comunità di San
Michele. Cervignano è profondamente cambiata e cambia
continuamente, ma don Giovanni invecchiando appare
sempre se stesso. Un'anima gentile e capace di ascolto,
che si stupisce come i bambini per quello che gli succede accanto, offre serenità e rispetto: si può dire che non
c’è casa a Cervignano e nei paesi del mandamento che
non lo abbia sentito bussare ed entrare con il sorriso della
semplicità, che si fa anche ingenuità, e con una parola
di augurio, di conforto e di saluto. Poche parole e molto
ascolto per un ministero che nella lunga esistenza si è fatto essenziale e umile.
Don Giovanni, anzi il Monsignore, è fatto di questa semplicità che lascia anche interdetti, di una parola ricca di
poesia che utilizza nelle omelie per farsi intendere, as-
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PRETE DA SETTANT’ANNI
sicurandosi così un alto gradimento e confermando che
semplicità si accompagna a cultura e spiritualità.
Sempre presente alla vita del presbiterio con la sua bonaria arguzia e con l’interessamento alla vita di ogni presbitero; inserito in una classe numerosa di clero che ha avuto
grandi responsabilità e servizi nella diocesi, don Giovanni
ha fatto della fedeltà la sua arma e la sua testimonianza;
segue l’andamento della vita parrocchiale assicurando
il suo piccolo contributo e accompagnando tutta la vita
pastorale con il suo interessamento. La serenità d’animo
- insieme con la preghiera e la celebrazione eucaristica
- rende feconda la sua esistenza sacerdotale che, a settanta anni dalla ordinazione, profuma del buon odore della
consacrazione.
Felicitazioni e auguri!
RENZO BOSCAROL
DON GIOVANNI TREVISAN
TU ES SACERDOS IN ÆTERNUM
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Intervista inedita di Alta Quota a don Giovanni Trevisan
In occasione dei 70 anni di sacerdozio
 Didascalie alle fotografie nella pagina precedente:
1. 28 febbraio 2003, don Giovanni Trevisan viene nominato “Monsignore” dall’arcivescovo di Gorizia, Dino De Antoni
2. Don Giovanni durante una celebrazione nella chiesa di Muscoli,
nel 1968
3. Don Giovanni in sella a una vespa nei pressi di Forni di Sopra durante un campo estivo degli anni ’50 con l’Azione cattolica
4. 10 giugno 1928, don Giovanni all’età di 8 anni
5. 15 maggio 1949, l’ingresso di don Giovanni come parroco a Fogliano
6. 1981, l’ingresso di don Giovanni come parroco a San Martino di
Terzo d’Aquileia
7. 1981, a Muscoli don Giovanni accoglie il vescovo monsignor Antonio Vitale Bommarco in occasione delle cresime
8. 1966, l’ingresso di don Giovanni a Muscoli come parroco
9. 1980, don Giovanni celebra nella chiesa di Muscoli la “Festa del
Ciao”. Alla sua sinistra il chierichetto Massimo Cantarin
In questi ultimi anni lei ha avuto un rapporto speciale con la
comunità di Scodovacca. Come lo descriverebbe?
«Rispondo con un ricordo: un giorno una persona mi disse “Anche se non vivo a Scodovacca, ci vengo sempre a
messa perché come prego qui non riesco a pregare altrove. Qui siamo davvero un cuor solo e un’anima sola”».
Un pensiero ai giovani sacerdoti: che consiglio si sente di
dare loro?
 7 giugno 1999, Abbazia di Rosazzo: don Giovanni assieme
a don Silvano Cocolin, il parroco di Strassoldo, don Luciano
Moschion, e don Paolo Nutarelli.
«Mai. Avevo il timore che potessero farmi domande a cui
non avrei saputo rispondere o chiedermi di fare cose che
non sarei stato in grado di compiere, ma il mio desiderio
di divenire sacerdote mi ha aiutato a sconfiggere anche
queste paure».
«Venni ordinato dall’allora vescovo monsignor Carlo
Margotti. Ricordo la processione a piedi per raggiungere
la chiesa assieme alla mia famiglia: mancava solo mia zia
che rimase a casa per preparare il rinfresco per tutti gli
invitati…».
E l’indomani la prima messa.
Don Giovanni, partiamo proprio da qui: quando è nata la sua
vocazione?
«Da bambino. Ricordo ancora il giorno in cui, avrò avuto
8 anni, stavo giocando assieme a degli amici fuori dalla
chiesa di San Girolamo. Osservandola dissi: “Quella è la
mia chiesa”».
E dopo cosa successe?
«Nei giorni seguenti tornammo più volte a pregare nel
cortile esterno e i miei compagni, giocando a celebrare la
messa, mi chiedevano sempre di fare la predica».
Un segno del destino… I suoi genitori cosa dicevano?
«Mia mamma mi raccomandava solo di stare attento
quando andavo là: aveva paura che potessi essere investito da qualche automobile. Anche se all’epoca correva a
malapena una vettura per tutta Cervignano…»
Il passaggio dal gioco alla realtà com’è avvenuto?
«Un giorno mi avvicinai al mio catechista, don Angelo
Molaro, e gli confessai il desiderio di diventare sacerdote.
Lui mi portò subito in San Michele (la chiesa madre, all’epoca il duomo non era ancora stato costruito) dal parroco,
monsignor Giuseppe Camuffo, originario di Grado».
E lui cosa le disse?
«Ricordo ancora le sue parole: “Per diventare sacerdote bisogna essere sempre buoni e comportarsi in modo
esemplare. E bisogna studiare molto”».
Aveva ragione?
(Sorride). «Terminate le scuole mi fecero sostenere gli
esami di ammissione al seminario. Superai le prove e da
lì iniziò il mio cammino sacerdotale».
«Avevo paura. Ero abituato alla piccola casa dei miei genitori, trovarmi nei grandi stanzoni del seminario di Gorizia mi incuteva
timore».
capocasale.pdf 15/02/2010 19.42.54
In quei momenti ha mai avuto un ripensamento?
Il giorno seguente, invece, toccò a lei portare a compimento il
sogno che aveva a 8 anni…
«Celebrai la messa nella chiesa di San Girolamo; e nella
“mia” chiesa, quella al cui esterno da piccolo giocavo a
predicare, feci la mia prima omelia. Ancora oggi, ripensandoci, mi emoziono».
Restiamo in tema di emozioni: qual è il ricordo più bello di
questi 70 anni di sacerdozio?
«Non dimenticherò mai il giorno in cui, durante una delle
mie prime messe, mia nonna, che aveva grosse difficoltà
a camminare, venne a piedi a pochi passi dall’altare per
ricevere la comunione “dal me nevôt” (in friulano, “dal
mio nipote”)».
Da allora fino a oggi ha conosciuto numerosi sacerdoti: ce n’è
uno di cui conserva un ricordo speciale?
«Cito ancora don Marcosig. All’epoca era parroco di Muscoli e mi è sempre stato vicino. Andavo spesso a trovarlo, fermandomi talvolta a dormire da lui, anche se la
canonica non aveva nulla a che vedere con quella di oggi.
Allora era pericolante e temevo ogni volta che potesse
cadermi il soffitto in testa…».
A proposito di paragoni, in questi 70 anni com’è cambiata la
sua Cervignano?
«A livello urbanistico si è ingrandita tantissimo: quando
andavo a Muscoli c’erano solo campi, ora ci sono tanti
palazzi. Ma anche a livello religioso la nostra comunità
è cresciuta: me ne accorgo dalla partecipazione sempre
numerosa alle confessioni e ai momenti di preghiera».
Qual è a suo avviso il punto di forza della comunità cervignanese?
seidonna.pdf 1 11/10/2012
«La semplicità. Il non credersi chissà chi: nella mia vita
«Augurerei alla mia comunità di vivere ogni giorno nella
fede, accettando e accogliendo sempre ciò che il Signore
ha in mente per ciascuno di noi».
ANDREA DONCOVIO
IL SALUTO
DEL SINDACO
Ci sono uomini che più di altri riescono a rappresentare, con la semplicità di un sorriso, il proprio mondo di
esperienze e di valori.
Sono uomini solitamente riconosciuti da tutti, ai quali
la Comunità intera si sente vicina.
Don Giovanni è uno di questi uomini. Inossidabile,
presente, disponibile, per certi versi schivo nel modo
di interpretare il proprio ruolo, ma protagonista solenne nel rappresentare il proprio mondo di religiosità e
di fede.
La sua incapacità di invecchiare e la dolcezza nell'approccio lo rendono una persona cara, un parente importante che anch'io, fin da bambino, sento di avere.
La nostra gente lo apprezza da sempre per la serenità
che riesce a trasmettere anche nei momenti più brutti
nei quali si cerca, talvolta disperatamente, un aiuto, un
conforto.
Questa ricorrenza è dunque una meravigliosa occasione che dobbiamo saper cogliere per stringerci tutti
attorno a don Giovanni e dimostrargli il nostro affetto
e la riconoscenza per un lungo e preziosissimo apostolato.
La nostra Comunità gli deve tanto, ma ha ancora bisogno della sua paterna presenza per cui, a Dio piacendo,
i cervignanesi che mi onoro di rappresentare gli augurano di continuare a servire la nostra Chiesa e la nostra
Comunità ancora per tanti anni.
Oggi più che mai abbiamo bisogno di punti di riferimento e di esempi importanti come il suo.
Sono sicuro, conoscendolo, che dopo aver letto queste
sentite parole e questo augurio, don Giovanni sorriderà.
16:12:21
IL SINDACO
GIANLUIGI SAVINO
ABBIGLIAMENTO ACCESSORI
ALTA UOTA
Cosa ricorda del suo primo giorno in seminario?
«La celebrai proprio nella chiesa di San Michele, alla presenza di don Giuseppe Marcosig che all’epoca era la mia
guida spirituale. Fu lui a tenere l’omelia».
Don Giovanni, in questi giorni riceverà tanti messaggi di auguri. Se chiedessi a lei un augurio per la nostra comunità,
quale sceglierebbe?
uotattualità
28 febbraio 1943: nel pieno della Seconda Guerra Mondiale,
Giovanni Trevisan da Cervignano del Friuli viene ordinato sacerdote.
«Quello di vivere la vita del sacerdote. Ovvero di pensare
al nostro rapporto con il Signore sia quando lo abbiamo
tra le mani in chiesa durante la comunione, sia quando
siamo da soli o nei momenti difficili, quando si può essere calunniati dalla gente solo per il fatto di essere prete.
Sempre, anche se impegnati su mille fronti, dobbiamo
vivere nel Signore».
in
Seduto sul divano del soggiorno della canonica, don Giovanni Trevisan osserva spesso il suo orologio da polso.
«Alle 15.30 arrivano i fedeli per le confessioni e io devo
aprire il duomo: non vorrei farli attendere», sussurra con
il sorriso sulle labbra.
È sabato pomeriggio e nei suoi occhi è evidente la fibrillazione per la grande festa in arrivo. Ma non si pensi ad
anniversari o ricorrenze speciali. Perché per monsignor
Trevisan (il titolo mi è concesso utilizzarlo una sola volta
per dovere di cronaca, poiché lui resta per tutti don Giovanni) ogni domenica è la Festa con la F maiuscola, in
cui ringraziare il Signore.
Potrebbe apparire un’affermazione ovvia e banale se
proferita da un prete. E invece, in queste semplici parole,
risiede l’essenza stessa di settant’anni di sacerdozio. Una
storia intensa, vissuta con passione in un territorio che
don Giovanni ha visto mutare radicalmente nel tempo,
ma nel quale ha sempre professato con ferma dolcezza la
propria vocazione.
ho incontrato tanta gente umile che, senza accorgersi, con
il suo modo di essere ha rappresentato per me un esempio
straordinario».
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L’OCCASIONE DEI 70 ANNI DI SACERDOZIO DI GIOVANNI TREVISAN
CI HA SPINTI, PER CONVERSO, AD ANALIZZARE L’ATTUALE CRISI
DELLE VOCAZIONI: NE ABBIAMO PARLATO CON VOCI AUTOREVOLI
DELLA CHIESA LOCALE.
UNA CRISI CHE PRELUDE A TEMPI NUOVI
GABRIELLA BURBA, sociologa e volto conosciuto della
comunità cervignanese, ci aiuta a comprendere il fenomeno del calo delle vocazioni nella realtà europea.
slam. Sicuramente la società si è laicizzata, per molti è
possibile vivere senza Dio o con Dio fai-da-te, quindi non
più a livello comunitario. Un altro aspetto significativo è
che l’ordinazione avviene a un’età media più elevata, ci
sono molte più vocazioni adulte. Le scelte di vita sono in
generale posticipate e quella del sacerdozio segue questa
linea. Non ci sono più seminari minori, ma molti non decidono di diventare preti neanche a diciannove anni, bensì
dopo aver concluso un percorso di studio e lavoro. Tutto
si inserisce in un percorso culturale differenziato: a parte
la certezza che il numero diminuirà ancora, in un futuro
più lontano non si può avventurarsi».
ALTA UOTA
in
uotattualità
- Quali osservazioni introduttive si possono fare sulla cosiddetta crisi delle vocazioni?
«Il tema è molto complesso e partirei con alcuni concetti
importanti. Innanzitutto si deve tenere presente che c’è
una base demografica ridotta in cui possono nascere le
vocazioni: il numero di giovani maschi si è dimezzato
rispetto agli anni ‘60/’70 (periodo del cosiddetto baby
boom), per cui ci sono minori leve su cui avere nuovi
sacerdoti. In realtà, il numero minimo di vocazioni si è
registrato negli anni ‘80/’90: dopo questo periodo i numeri sono risaliti e si sono stabilizzati, ma in ogni caso
non sono sufficienti per coprire tutte le parrocchie. Altri
dati interessanti: all’inizio del ‘900, in Italia, la densità
del clero era superiore al 2 per mille; cinquant’anni dopo,
nel censimento del 1951, la densità si era già dimezzata,
registrandone quindi uno su mille abitanti, già in tempi
in cui nessuno di certo avvertiva crisi vocazionale. Nel
2003 questo dato era pari a 0,58 ogni mille abitanti; è importante notare però che la situazione italiana è piuttosto
differenziata. Per esempio, nel Triveneto c’è una percentuale di preti più elevata, però con un’alta età media; al
contrario, nel Lazio il numero è minore, ma ci sono più
sacerdoti giovani. Il Triveneto, in più, non ha una capacità
di reclutamento, ha meno nuove ordinazioni rispetto alla
media, ma non ricorre al clero straniero, mentre alcune
regioni centrali ricorrono sistematicamente all’ordinazione di clero straniero. Inoltre, per quanto noi sentiamo
molto il problema, dobbiamo ricordare che l’Italia ha una
densità del clero molto più elevata rispetto ad altri paesi
cattolici come Austria, Belgio e Spagna».
- Un tempo la scelta del sacerdozio era talvolta, se non spesso, una scelta ‘di comodo’, una strada che dava sicurezza e
possibilità di avere un lavoro sicuro o un percorso di studi
assicurato. La fine di questo meccanismo può essere uno dei
motivi del fenomeno?
«Sicuramente oggi il fenomeno è meno presente. Tuttavia
possiamo dire così per quanto riguarda il nord, mentre in
zone in cui il tasso di disoccupazione è alto, per esempio in alcune regioni meridionali, la scelta del sacerdozio
può ancora essere influenzata da fattori di convenienza.
Inoltre, un tempo non c’erano problemi di scarsità e ci si
poteva permettere un atteggiamento intransigente e selettivo, mentre oggi una conseguenza del drastico calo delle
vocazioni può essere, appunto, una minore selettività nella scelta dei futuri sacerdoti: si rischia quindi di approvare
persone fragili dal punto di vista caratteriale e psicologi-
- Qual è lo scenario possibile per il futuro? Bisogna aspettarsi
una collaborazione maggiore da parte dei laici?
co. Alcuni sociologi ritengono che possa essere un rischio
anche l’importazione di preti da altri stati, che potrebbero
avere più difficoltà a entrare in contatto con persone del
territorio, essendo la realtà diversa».
- In che modo influisce, invece, l’aspetto culturale?
«Senz’altro bisogna tenere presente che ai giorni nostri
tutti i tipi di impegni a lungo termine, le scelte di vita
irreversibili, non sono incoraggiate. Così come il numero
di matrimoni è in diminuzione, le vocazioni lo sono allo
stesso modo. Anche i futuri sacerdoti appartengono a questa generazione, non possono essere diversi radicalmente,
si portano dietro modelli culturali in netta contrapposizione con l’immagine tradizionale del prete. Un sociologo francese descrive la società odierna come “ambiente
iper-sessualizzato, edonista e individualista” e quindi in
netto contrasto con i valori richiesti a un sacerdote. La
cultura sociale dominante e quella che richiede la Chiesa,
in generale ma ancor di più ai preti, non sono due concezioni coerenti: anche il tasso di abbandono non è un dato
insignificante. In effetti, c’è una critica radicale e alcuni
preti reputano la Chiesa troppo conservatrice e autoritaria; vivono male e alcuni di loro abbandonano per questi
motivi, altri invece per questioni affettive».
- In che modo la presunta chiusura della Chiesa può contribuire al periodo di crisi vocazionale? Al di là dei valori proposti,
come si collocano questioni come il celibato dei sacerdoti?
«C’è da notare che ci sono difficoltà anche in Chiese che
si sono aperte, permettendo il matrimonio per i sacerdoti
e concedendo alle donne di celebrare. Esiste una nuova
religiosità new-age non molto radicata e comunque i fenomeni di secolarizzazione sono presenti anche nell’I-
«Senz’altro i laici avranno un ruolo maggiore: nel nostro
territorio, nelle valli del Natisone, è già prassi che il prete
non ci sia e che ci siano invece dei laici che celebrano la
liturgia della parola. Un altro esempio: un tempo quasi tutti
i catechisti erano sacerdoti, ora sono quasi tutti laici. Per
quanto riguarda lo scenario futuro, è difficile fare previsioni a lungo termine. In occasione del convegno Aquileia 2,
il dott. Castegnaro ha commentato i dati di una ricerca condotta nel Triveneto e ha drasticamente dichiarato che se la
Chiesa non cambierà, si troverà effettivamente coinvolta in
un processo di emarginazione dalla società. Secondo lui o
essa sarà in grado, nel giro di un decennio, di recuperare un
rapporto diverso con le varie istanze presenti nella società o
assisteremo al suo tracollo. Le richieste della società, infatti, sono diverse dalle offerte proposte dalla Chiesa, che in
molti aspetti è troppo condizionata da una cultura legata al
passato. In effetti, è anche difficile chiedere a sacerdoti che
hanno superato una certa età di cambiare il proprio modo
di pensare. In realtà non sembra nemmeno che i giovani
preti (molte ricerche lo dimostrano) siano più progressisti
di quelli anziani: i preti giovani hanno avuto un’impronta
più conservatrice, essendo stati educati quando il vento del
concilio si era ormai calmato».
- Qualche osservazione, in conclusione?
«Posso dire che a me sarebbe piaciuto avere un figlio prete, non per motivazioni religiose, bensì perché ho sempre
pensato che il sacerdozio implica una scelta radicale, un
impegno umano e una fede nell’uomo che altre professioni non richiedono. Un prete secondo me deve avere una
forte motivazione verso un ideale religioso e umano. Se
fosse solo religioso farebbe il monaco, ma il sacerdote ha
una forte spinta a condividere scelte di vita con le persone
e quindi dovrebbe avere anche caratteristiche caratteriali, umane, e psicologiche particolari, che non sono molto
diffuse. Sono un universo interessante da esplorare».
SOFIA BALDUCCI
VOCAZIONI E PRETI NEL MONDO: I dati del sito di Propaganda Fide
QUANTI SACERDOTI NEL MONDO?
QUANTI SACERDOTI NELLA NOSTRA DIOCESI?
Nel 2012, il numero totale dei sacerdoti nel mondo è aumentato di 1.643 unità rispetto all’anno precedente, raggiungendo quota 412.236. In questo dato si registra:
•una netta diminuzione in Europa (- 905)
•forti aumenti in Africa (+ 761) e Asia (+ 1.695)
•un limitato incremento in America (+ 40) e Oceania
(+ 52).
Il grafico illustra chiaramente la diminuzione dei sacerdoti incardinati nella diocesi: i dati sono aggiornati al gennaio 2013.
Nello stesso 2012, i sacerdoti diocesani nel mondo sono
aumentati di 1.467 unità, raggiungendo il numero di
277.009,
•con aumenti inAfrica (+ 571), America (+ 502), Asia (+
801) e Oceania (+ 53) rispetto al 2011
•e ancora una diminuzione in Europa (- 460).
Anche i sacerdoti religiosi sono aumentati in complesso
di 176 unità e sono 135.227,
•con un aumento in Africa (+ 190) e Asia (+ 894),
•mentre le diminuzioni interessano America (- 462), Europa (-445) e Oceania (- 1).
QUANTI SEMINARISTI NEL MONDO?
Nel 2012 il numero dei seminaristi maggiori è aumentato
rispetto al 2011: globalmente sono 1.012 in più i candidati al sacerdozio, che hanno così raggiunto il numero di
118.990, divisi in 71.974 seminaristi maggiori diocesani
e 47.016 seminaristi religiosi. Questi i dati nel dettaglio:
•Africa: + 752
•Asia: + 513
•America: + 29
•Europa: -282.
•L’Oceania non registra variazioni.
200
180
160
140
120
100
80
60
40
20
0
anni di rilevamento
unità
1950
195
1956
188
1965
168
1950
179
1956
165
1965
157
peterpan.pdf 15/02/2010 13.47.50
1950
143
1950
136
1956
118
1965
100
1950
92
INTERVISTA ALL’ARCIVESCOVO S.E. MONS. CARLO REDAELLI
L’esperienza del sacerdozio consacrato non può prescindere da un percorso di orientamento vocazionale, che affida allo Spirito il compito di illuminare le coscienze ed
allo Spirito si affida nel dare risposta.
È uno dei grandi compiti che la Chiesa cattolica esercita
nel mondo attraverso i suoi Pastori. Oggi, come in passato, è nella Chiesa locale che si formano i sacerdoti ed
in questa vivono il proprio impegno anche missionario.
Ci siamo rivolti a Mons. Carlo Maria Radaelli per conoscere cià che accade nella nostra chiesa diocesana, comprendere l’importanza della vocazione sacerdotale ed il
suo pensiero personale.
- Da cosa dipende, oggi, la mancanza di nuove vocazioni al
sacerdozio?
- Cosa direbbe a un giovane per incoraggiare una scelta così
importante?
Le vocazioni non mancano perché i ragazzi e le ragazze,
i giovani e le giovani di oggi sono meno generosi, meno
impegnati di quelli di una volta. Sono però inseriti in un
contesto così e “respirano” questa aria».
- Quali sono gli ambiti in cui agire per suscitare nuove vocazioni?
- Ritiene di sostenere l'orientamento vocazionale con una attività permanente?
«In queste settimane mi sto confrontando con diverse
persone, in particolare con qualche sacerdote che segue
i giovani, per vedere se è possibile far partire un’iniziativa, come quella descritta pocanzi, di un forte percorso
vocazionale con momenti residenziali e altri più quotidiani lungo tutto l’anno. Vedremo se l’idea potrà precisarsi
meglio, se si trova chi la porta avanti e se ci sono giovani
e ragazze che vogliano confrontarsi seriamente, almeno
una volta nella vita, con Gesù. Anche in questo caso sono
convinto che il resto viene da sé».
- Ha un desiderio che vorrebbe vedere realizzato, nella Chiesa
goriziana?
«Vorrei fosse una Chiesa che, consapevole dell’enorme e,
a volte, tragica ricchezza del suo passato, la impegnasse
sul futuro, guardando avanti con fiducia e speranza.
Vorrei che in questo i giovani si sentissero protagonisti,
non perché glielo ‘concediamo’ noi adulti, ma perché si
prendono con serietà le loro responsabilità e si giocano
per il Signore e la sua Chiesa.
Allora diventeremmo tutti, a prescindere dall’età, una comunità cristiana più giovane, più contenta, più sciolta. E
non è retorica dire che si può essere realmente giovani
dentro se si mantiene vivo l’entusiasmo per la vita e per
il Vangelo: in questi giorni, la figura di papa Benedetto
XVI, con la sua scelta impegnativa e coraggiosa, fatta
solo per fede e per il bene della Chiesa, è uno splendido
esempio di ’giovinezza’ evangelica».
GIUSEPPE ANCONA
DIVENTARE SACERDOTE: LA RESPONSABILITÀ DI UNA SCELTA
Coltivare la vera vocazione richiede libertà, pazienza,
attenzione. Ne è convinto don MAURIZIO ZENAROLA,
classe 1946, dal settembre 2012 Rettore del seminario interdiocesano ‘San Cromazio d’Aquileia’, più noto come
‘seminario di Castellerio’. Arrivando, su per la strada che
da Udine conduce a Pagnacco, è impossibile non rimanere
colpiti dall’ordine e dalla quiete che qui regnano sovrane.
glio rispetto a quanto avveniva qualche anno fa. Un tempo i parroci potevano permettersi di proporre il percorso
seminariale, scegliendo tra i ragazzi che apparivano più
portati: ‘essere mandati in seminario’ era un onore. Adesso, invece, bisogna faticare per trovare giovani vocati,
aiutarli a decidere, metterli di fronte alle loro responsabilità. Sai cosa penso? Che ci sia un gran bisogno di cattolici adulti in grado di motivare i giovani e di accompagnarli
nelle loro scelte. Pensando a Cervignano, non posso che
ricordare la grande figura di don Silvano Cocolin, che in
questo era formidabile».
- Don Maurizio, chi sono i ragazzi che al momento frequentano il seminario e qual è la vostra offerta formativa?
«Attualmente la nostra struttura ospita sedici seminaristi.
Il più giovane ha vent’anni, mentre il più grande ne ha
trentasei: si va infatti da chi ha appena concluso le scuole
superiori a persone che hanno già conseguito un dottorato
di ricerca e decidono di cambiare vita. C’è anche un seminarista proveniente dalla Colombia, la cui famiglia risiede
nel nostro paese. Dal punto di vista accademico, offriamo
la possibilità di frequentare il corso di laurea in teologia,
della Facoltà Teologica del Triveneto. Non di minore importanza è l’attività formativa: risiedendo in seminario, i
ragazzi conducono vita di comunità, scandita da momenti
dedicati alla preghiera e allo studio».
- Perché un giovane decide d’intraprendere questa strada, e
come lo aiutate nella scelta?
- È questo ciò che normalmente si definisce ‘vocazione’?
«Direi di sì. La vocazione è proprio quel sentire, nella
propria esperienza quotidiana, che il Signore ti chiama a
sé. È come se ti dicesse “ho bisogno di te, a tempo pieno”.
Ci si deve impegnare, però, per distinguere la vera vocazione da una suggestione passeggera o da un’emozione
del momento: il seminario non può certo essere un rifugio
dalle difficoltà della vita ‘di fuori’. Per questo, il discernimento vocazionale continua per tutti i primi due anni».
- Ci spieghi meglio…
«Da una vita di ‘credente’ che pratica la propria fede nella
liturgia domenicale e nella preghiera privata, non è facile
passare a un mondo spirituale segnato da diversi impegni
giornalieri. Per questo la vita di comunità che i ragazzi
conducono e il dialogo continuo con gli educatori sono
particolarmente importanti. Ci avvaliamo inoltre di diversi strumenti, tra i quali l’equipe dello psicologo. Nei primi
due anni, il sacerdozio non è l’obiettivo primario: dapprima cerchiamo di puntare sulla scoperta dell’uomo, poi del
credente, e solo alla fine si fa emergere l’uomo cristiano,
impegnato nella Chiesa. Ogni quindici giorni si tiene un
incontro dell’equipe educatori, formata dal vescovo, dal
rettore, dal vicerettore, dal padre spirituale e dal responsabile degli studi, nel corso della quale si fa il punto della
situazione. Due volte l’anno, inoltre, ogni seminarista ha
un incontro personale con il vescovo. Cerchiamo, insomma, di dare in mano ai nostri ragazzi gli strumenti per
capire quali sono le loro vere intenzioni».
- Cosa succede se il giovane comprende di voler proseguire?
«Alla fine dei due anni si formula la domanda di ammissione agli ordini. Gli anni successivi sono scanditi dai
diversi ministeri ai quali i seminaristi accedono: dapprima c’è il lettorato, poi l’accolitato, ancora in seguito il
diaconato. Al sesto anno, infine, si accede al presbiteriato
e si viene ordinati sacerdoti. Nel frattempo, proseguono
gli studi teologici e, prima della conclusione dei sei anni
di permanenza, i seminaristi avranno conseguito il baccalaureato, equivalente della laurea triennale. Per chi abbia intenzione di proseguire gli studi teologici, esistono
diversi corsi specialistici presso le università pontificie».
- Esiste una crisi delle vocazioni al sacerdozio, secondo lei? E
quali possono essere le ragioni?
«Certamente non viviamo tempi facili per le vocazioni,
tuttavia ho l’impressione che le cose stiano andando me-
«Il seminario, oggi, non è percepito da chi lo vive come
un collegio, né come un luogo di clausura: è piuttosto
come un’università. Certo, la formazione che vi si riceve
è improntata all’impegno e al rigore, tuttavia la libertà di
aderire a questo percorso o di scegliere un’altra strada è
sempre salvaguardata come elemento primario. Se ti riferisci a descrizioni come quella de La fabbrica dei preti
(titolo di un noto scritto del sacerdote friulano Antonio
Bellina, ndr), ti posso dire che oggi non esiste più nessuna fabbrica, se non altro per il profondo cambiamento
nel numero dei seminaristi: i nostri allievi sono ragazzi
maturi, capaci di scegliere autonomamente».
- Cosa prevede che accadrà in futuro? La selezione e la formazione rimarranno le stesse, o ci sarà posto per nuove
istanze, come quelle dell’abbandono del celibato e del sacerdozio femminile?
«Trovo che il problema non sia tanto quello del celibato
di per sé, quanto quello dell’entusiasmo per una scelta di
fondo, che ti cambia la vita. Anche i pastori protestanti, pur
potendosi sposare, hanno problemi di vocazione. Se la decisione è consapevole, per me la risposta alla questione del
celibato è già implicita: si tratta di dedicarsi al tempo pieno al Signore. Non credo che ciò possa essere compatibile
con un’impegno costante come quello richiesto dalla vita
matrimoniale. Quanto al sacerdozio femminile, una voce
autorevole come quella di Giovanni Paolo II ha già risposto
di no, spiegandone le ragioni, per cui non vedo il motivo di
parlarne. Forse, quando i tempi saranno maturi, se ne potrà
discutere. Credo invece moltissimo nel servizio dei laici
nella Chiesa, purché ci si guardi dalla tentazione di mettersi
in mostra: si rischia di cadere in un attivismo sterile, svuotato del suo profondo senso cristiano. La responsabilità è
anche dei preti: sta a noi far comprendere che c’è tanto bisogno di spiritualità, piuttosto che di devozione».
ALESSANDRO MORLACCO
ALTA UOTA
«I nostri sono ragazzi normali, molti di essi hanno fatto
un cammino di impegno parrocchiale e con l’andar del
tempo si accorgono di volersi dedicare a tempo pieno al
Signore. Il momento della decisione è tra i più critici: per
questo prima dell’ingresso in seminario viene condotto
un percorso di discernimento. Ci sono diverse figure, sia
esterne alla struttura (il parroco, la famiglia, gli amici),
sia interne (il padre spirituale), che possono aiutare il ragazzo in questa fase. Ci sono anche persone che, durante
un percorso lavorativo ‘normale’, percepiscono di aver
bisogno di qualcosa d’altro, e si rivolgono a noi».
- Veniamo a questioni più spinose: le voci critiche nei confronti dell’istituzione seminariale non sono mancate, sia dentro sia al di fuori della Chiesa…
uotattualità
«A noi (intendo dire a noi comunità cristiana) non interessa anzitutto avere tanti seminaristi e sacerdoti (o tanti religiosi e religiose). A noi interessa che il Signore, anche per
mezzo nostro, offra la possibilità a tutti i nostri giovani
di avere l’opportunità di confrontarsi seriamente con Lui,
vedendo in Gesù qualcuno che può dare senso compiuto
alla loro vita, qualunque sia poi la strada sulla quale si
incamminerà. Paradossalmente potremmo dire che, anche
se nessun giovane e nessuna ragazza della nostra Diocesi, dopo aver avuto questo incontro vero con il Signore,
decidesse di fare il prete o la suora, ci andrebbe bene comunque: ciò che conta è che abbia incontrato realmente
il Signore e abbia messo in gioco in questo rapporto la
propria libertà.
A noi spetta creare, per quanto possibile, le condizioni
perché questo rapporto con il Signore avvenga. Ciò deve
realizzarsi attraverso molti modi: la catechesi; l’esperienza dell’oratorio e dei vari campi scuola e centri estivi; la
partecipazione all’Azione Cattolica, agli Scout o ad altri
gruppi e associazioni, oppure le diverse iniziative della
pastorale giovanile parrocchiale, decanale e diocesana.
Conta poi molto anche l’esempio e la testimonianza di
adulti significativi – a cominciare dagli stessi preti – che
facciano vedere quanto seguire il Signore sia bello e dia
senso e pienezza alla vita. Poi potranno esserci anche iniziative specifiche: penso ad alcuni momenti nei quali proporre a giovani e ragazze esperienze di vita comune per
alcuni giorni presso un’apposita casa, intrecciando i loro
impegni ordinari di studio o di lavoro con una proposta
«Gli direi di non aver paura, che la vita va vissuta e che
quindi non bisogna semplicemente ‘lasciarsi vivere’. Gli
direi che il futuro non è qualcosa di oscuro e di spaventoso, ma è fatto di tanti ‘oggi’ che si susseguono, in cui
giocarsi nella libertà e nel desiderio di amare perché si è
amati.
Gli direi poi di non lasciar mai passare un giorno senza
leggere e pregare il Vangelo, sentendosi ‘dentro’ il Vangelo: perché sono io Pietro, Matteo, Giovanni, Maria, la
Maddalena, la Cananea, il lebbroso, il giovane ricco, ecc.
le persone alle quali Gesù si rivolge. Il resto viene da sé».
in
«Il punto è: oggi sono in crisi solo le vocazioni sacerdotali e religiose o anche quelle matrimoniali? Se si osserva
il calo del numero dei matrimoni celebrati nelle nostre
parrocchie, ci si rende conto che ad essere in crisi è la
concezione della vita come vocazione, a prescindere da
quella che concretamente viene assunta da ciascuno.
Da cosa dipende questo? Da un punto di vista umano,
dalla frammentarietà e provvisorietà della vita; frammentarietà perché difficilmente un giovane (e ormai anche un
adulto) vede la propria vita come un tutto unitario con
un orientamento, una direzione, un senso. La vita sta diventando sempre più un susseguirsi discontinuo e spesso disordinato di esperienze (passeggere), avvenimenti
(puntuali), emozioni (immediate), sentimenti (mutevoli),
legami (provvisori), impegni (precari)…Si assiste quindi
al paradosso che una vita generalmente più lunga e più
sana rispetto al passato, venga percepita come più provvisoria e precaria di quando c’era il problema di mangiare
almeno una volta al giorno, di sopravvivere a un’influenza o a una polmonite, di sperare di arrivare a 40/50 anni.
Il senso della provvisorietà – a volte percepito come un
peso, altre come stimolante nella sensazione (falsa) di
poter sempre ricominciare – porta a escludere di poter
prendere una decisione per tutta la vita nei vari ambiti,
in particolare nell’impegno lavorativo (qui, però, è anche
l’attuale mondo del lavoro a impedirtelo) e negli affetti.
Da un punto di vista religioso, la frammentarietà della
vita e la convinzione dell’impossibilità di impegnarsi per
sempre si intrecciano con una fede sentita e vissuta più
come un insieme di emozioni, esperienze e sentimenti che
come un rapporto profondo e autentico con Qualcuno che
“ti chiama”, ti fa comprendere che la vita è dono e che va
spesa per Lui e per gli altri.
significativa di vita comune, di preghiera, di ‘lectio’ della
Parola di Dio, di riflessione, di servizio, di condivisione.
Esperienze che poi, rientrando nella vita ‘normale’, potrebbero richiedere la disponibilità a mantenere un impegno di accompagnamento e confronto con un sacerdote o
con qualche persona ‘spirituale’».
5
6
LA VOCE DEI PROTAGONISTI
«IL PROBLEMA NON È TANTO NELLA VOCAZIONE, MA NELLA FEDE»
DON NICOLA BAN è il responsabile per la pastorale
vocazionale della diocesi da cinque anni. Il suo ruolo è
quello di riuscire a infondere e mantenere viva nella comunità cristiana l’attenzione necessaria affinché ciascuno possa vivere la propria vita come una vocazione.
rare e se una persona ha difficoltà nel farlo difficilmente
riesce a impegnarsi in un tipo di vita esigente come quello
di seguire il Signore. Indubbiamente le cambiate situazioni
socio-economiche influiscono sulla capacità di sperare, e di
conseguenza di scegliere che tipo di vita seguire. Un altro
aspetto è quello della difficoltà di impegnarsi in qualcosa
che può essere assoluto e definitivo: al giorno d’oggi si vorrebbe che tutte le scelte fossero reversibili. Qualcuno che
prima fa una scelta e poi cambia idea è già coraggioso. Il
problema è che la paura di sbagliare porta a non prendere
decisioni impegnative, come anche nella vocazione al matrimonio e di conseguenza nella famiglia».
«Ciò che faccio è di animare la comunità cristiana affinché
si preghi per le vocazioni. Per chi volesse compiere
una ricerca più esplicita riguardo alla propria fede, un
gruppetto di persone si ritrova una volta al mese presso
il monastero di Gorizia e lì si svolge una lectio divina.
Durante questo incontro c’è un tempo dedicato a se stessi e un tempo dedicato a una testimonianza vocazionale.
Nell’ascoltare il racconto dell’altra persona che ci sta di
fronte si possono ricevere degli strumenti con cui poter
leggere la propria storia».
- Cosa vuol dire ‘ricerca più esplicita’?
in
uotattualità
«Vocazione significa guardare alla propria identità e alla
propria missione nel mondo non solo come frutto del
nostro desiderio, ma anche come risposta a una chiamata
di Dio a collaborare con la sua opera di salvezza. Vivere
la vita come vocazione vuol dire dialogare col Signore
nelle scelte dell’esistenza».
- Quante sono le persone che frequentano il gruppo? È cambiato qualcosa rispetto a quando hai iniziato a fare il responsabile delle vocazioni?
«Una decina tra maschi e femmine. In cinque anni non è
cambiato molto, i numeri sono sempre gli stessi».
- E rispetto ai tempi di don Giovanni invece? Cos’è cambiato?
«Il modo in cui si affrontava la fede stessa. A quei tempi
non c’era bisogno di una guida vocazionale, molto spesso
erano le famiglie il terreno adatto ad alimentare il desiderio
di vocazione. C’era una stima del fatto che uno dei figli
potesse diventare prete. Inoltre credo che il numero di
vocazioni all’interno di una comunità sia proporzionale
al numero di praticanti. Una volta la religione si praticava
molto più che adesso, e di conseguenza le vocazioni erano
maggiori. Ma le proporzioni tra il numero di vocazioni
rispetto ai praticanti di allora e quello di adesso, messe a
confronto, non penso siano molto diverse».
- Perché pensi ci sia stata questa diminuizione?
«Il problema non è tanto nella vocazione, ma nella fede.
C’è stata una trasformazione delle famiglie: basti pensare
al numero di figli di una volta e di oggi. Ciò dimostra come
si stia verificando un calo di speranza. Si fa difficoltà a spe-
«Ci si pone di fronte a un problema. C’è ancora una
richiesta di svolgimento di servizi religiosi (battesimi,
funerali, prime comunioni) come se tutti fossero ancora
praticanti come una volta. Ma c’è una sproporzione tra
numeri di servizi richiesti e di chi può offrirli, perché per
l’appunto i praticanti sono diminuiti e in base ai praticanti sorgono vocazioni al servizio della comunità cristiana.
Questo problema tocca le vocazioni in generale, non solo
quelle legate al sacerdozio».
- Cosa pensi si possa fare a proposito?
«Ognuno dovrebbe sognare di trovare il proprio posto
nel mondo, vivere la vita come una missione e donare
la propria esistenza. L’unica strada che abbiamo a
disposizione è la testimonianza di speranza e gioia da parte
delle comunità cristiane, che stanno già facendo tanto da
questo punto di vista. C’è poi l’impegno a pregare perché
i nostri giovani vivano la vita come vocazione. Per questo
conto anche sui lettori di Alta Quota».
GIULIA BONIFACIO
«SPERAVO CHE LA CHIAMATA NON CI FOSSE E INVECE C’ERA…»
ma nonostante cercassi la felicità attraverso le più svariate maniere non la raggiungevo. Da qui arriviamo alla
confessione sopra citata all’inizio del 2010, che per me
era l’ultima spiaggia: invece è diventata un nuovo inizio,
praticamente insperato».
- Da quel momento fino all’ingresso in seminario... che strada
hai seguito?
NICOLA ZIGNIN (nella foto, a sinistra), giovane di Teor,
ci racconta la sua storia: un tempo ragazzo lontano dalla
chiesa e dal mondo parrocchiale, ora seminarista presso
il seminario interdiocesano di Castellerio dal mese di ottobre 2012.
Il destino ogni tanto è veramente buffo e imprevedibile.
Conosco Nicola da poco meno di un decennio, ci siamo
conosciuti presso la facoltà di giurisprudenza a Udine
nella sede di via Caccia, insieme ad altri amici abbiamo
frequentato numerosi corsi, affrontato tanti esami, organizzato cene e feste di laurea. Come dice il proverbio,
ogni frutto ha la sua stagione, il periodo universitario
termina, le cose inevitabilmente cambiano e per un periodo non ci siamo più visti; alcuni mesi dopo vengo a
sapere che Zinho (così lo avevamo battezzato anni fa al
torneo di Vernasso) è entrato in seminario..
- Nicola, racconta come ha avuto inizio questo percorso.
ALTA UOTA
- La vedi come una cosa negativa?
«Il tutto è iniziato con una confessione che attendeva da
qualche anno. Diciamo che in principio ho cominciato a
partecipare regolarmente alla messa della domenica, a
fare la confessione una volta al mese e inoltre iniziare e
terminare una giornata con una preghiera. Quindi l’inizio
è stato da buon cristiano, visto che prima di tutto ciò non
ero assolutamente un frequentatore della chiesa, sebbene
non sono mai stato ateo».
- Qual’era il tuo pensiero sulla chiesa e sulla religione?
«Avevo una concezione della fede fai da te, costruita su
misura diciamo, pensavo che Dio ti togliesse qualcosa,
«Non è stato un percorso semplice da intraprendere: come
una riabilitazione dopo un infortunio, anche una riabilitazione dell’anima ha bisogno dei suoi tempi e delle sue
tappe. Nel mio cammino mi hanno aiutato due sacerdoti
della mia parrocchia, Monsignor Paolo Brida e don Simone Vigutto, i quali dopo alcuni mesi mi hanno proposto
di fare il catechista a una quinta elementare: ho accettato
senza avere ancora la più pallida intenzione di entrare in
seminario. Andando avanti nella catechesi, l’avere una
sola classe mi sembrava poca cosa e così ho cominciato a
interrogarmi sul perché non mi bastasse».
- Immagino che tu abbia intensificato l’attività e l’esperienza
in parrocchia.
«Entrando con regolarità e continuità nelle varie attività
parrocchiali, tra cui anche diversi campi scuola in montagna, notavo che gli stimoli e gli interessi ad approfondire
queste esperienze aumentavano. Ho iniziato a chiedermi
perché facessi questo: la risposta che mi sono dato è per
amore del Signore».
- In questa fase è scattato qualcosa dentro di te che ti ha
spinto a prendere la decisione di entrare in seminario?
«Da quel periodo di interrogativi, ho avuto l’intuizione
che la strada del seminario poteva essere la mia e questo
mi riempiva di gioia, ma allo stesso tempo mi impauriva.
E la paura superava la gioia perché mi si prospettava una
rinuncia a tutti i miei progetti, soprattutto quello di farmi
una famiglia. A questo punto sono andato a confidarmi
con Monsignor Brida, il quale mi disse di prendere la
cosa con calma, terminare i miei studi di giurisprudenza, dicendomi testuali parole: se il Signore chiama, non
ti molla più. Ho seguito il suo consiglio sperando che la
chiamata non ci fosse!»
- Invece la chiamata c’era...
«Esatto, il tutto è stato confermato dalla pratica di avvocatura iniziata immediatamente dopo la laurea, nel mese
di maggio 2012. Nonostante un più che positivo approccio iniziale alla professione, la chiamata invece di allontanarsi si faceva più insistente, e mi sono reso conto
che facevo quel lavoro per dovere, ma non per passione
o convinzione, poiché il mio cuore era in parrocchia. A
fine settembre dello scorso anno, ho fatto due colloqui
con l’arcivescovo Mazzocato, il quale, sentito il parere
del mio parrocco, ha concordato sul fatto che c’erano i
presupposti per una chiamata».
- Quindi sei entrato nel seminario interdiocesano di Castellerio.
«Precisamente, ma quello è stato un ulteriore punto di
partenza, il seminario aiuta sia a fare emergere le tue potenzialità, sia a guarire le ferite che ci si porta dal passato.
Contrariamente a quanto pensa molta gente, il seminario
non è una fabbrica di preti, ma un luogo dove prima di tutto si mira a formare delle persone: poi bisogna verificare
se c’è una chiamata autentica, e in questo vieni accompagnato senza pressioni. Io ho la certezza che chi entra in
seminario con cuore sincero scopre realmente chi è e cosa
il Signore vuole da lui, indipendentemente dal fatto che si
diventi sacerdote o che invece si esca durante il percorso.
Anche se non tutti poi diventano sacerdoti, sicuramente
saranno persone migliori sia dal punto di vista umano sia
dal punto di vista spirituale».
- Ora hai quasi 29 anni: se guardi dietro di te, che giudizio
daresti al tuo percorso umano/formativo?
«Delle cose buone che ho fatto non rimpiango nulla, né
gli studi né gli svariati lavori estivi che ho fatto, compreso
il breve periodo di pratica fortense: l’unica cosa di cui ho
rimpianto è il lungo periodo lontano dalla Chiesa. Sebbene
non auguro a nessuno di allontanarsi da Cristo e dalla Chiesa, neppure un solo istante, questa parentesi oscura ma affascinante della mia vita mi aiuta e mi aiuterà a capire cosa
passa nel cuore e nella testa delle “pecorelle smarrite”».
- Visto che ora sei nell’ambiente, cosa mi puoi dire riguardo
le poche vocazioni del giorno d’oggi?
«Le vocazioni sono poche in tutti gli ambiti della vita,
non solo in quello presbiterale: c’è poca gente che si sposa, poca gente che entra in seminario. La scelta maggiore
è la non scelta, è quella che da meno responsabilità, ma
parallelamente dà meno soddisfazioni nella vita».
SANDRO CAMPISI
crogiolo.pdf 15/02/2010 13.47.03
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LA VOCE DEI PROTAGONISTI
Dal seminario al giornalismo:
“Ho capito di essere chiamato ad altro”
troppe volte si tende a ridurre il problema a un dato sociologico o a un effetto della castità richiesta a sacerdoti e
consacrati. Il problema è serio, esiste, ma paradossalmente non riguarda lo ‘status’ dei sacerdoti, quanto lo ‘stile’
dell’intera comunità cristiana. Alle volte, infatti, si pensa
che il problema riguardi solo preti e vescovi, in realtà ad
essere in crisi è proprio il concetto di vocazione: quanti
laici oggi vivono la loro esistenza come una chiamata a
rendere Dio presente tra gli uomini? La questione, insomma, nasce dalla fragilità della testimonianza di tutti noi
cristiani».
- So che anche tu sei stato in seminario, ma poi ne sei uscito:
come mai?
MATTEO LIUT, ex seminarista e ora giornalista di Avvenire, ci racconta la sua esperienza di vita, nonché la
questione della crisi delle vocazioni vista all’interno del
principale quotidiano cattolico italiano..
- Matteo, la tua è una voce che parla dall’interno del mondo
cattolico. Nell’ambiente che frequenti nel corso del tuo lavoro, la crisi delle vocazioni è un tema sentito?
«Tutte le diocesi d’Italia stanno mettendo a punto progetti pastorali a partire dal calo della presenza dei preti
sul territorio. Sono convinto, però, anche del fatto che
«Si tratta di una semplificazione del problema. Basti citare il fatto che la Chiesa protestante tedesca si trova nella situazione di dover ridurre il numero di comunità per
carenza di pastori, ai quali non è imposto il celibato. La
verità è che la vita del prete e del pastore - con o senza celibato - è difficile: richiede radicalità, impegno costante,
responsabilità gravose, una testimonianza di fede cristallina. Le ragioni, a mio parere, vanno ricercate principalmente nella difficoltà di proporre la santità come scelta
di vita di fondo per tutti. In una comunità di santi, a chi
- D’altra parte, lo status celibe dei sacerdoti è lo stesso da
sempre. Perché oggi sembra più difficile fare la scelta del sacerdozio?
«In realtà il celibato obbligatorio per i preti è diventata
legge nella Chiesa solo nel XII secolo e poi più volte ribadito. Si tratta di una scelta storica nata anche da ragioni
teologiche, ma non si tratta di una legge di origine divina.
Nella Chiesa cattolica, d’altra parte, esistono i preti sposati
nelle diocesi di rito orientale. E il dibattito tra favorevoli e
contrari al celibato c’è sempre stato. Semplicemente, oggi
chi guida l’opinione pubblica preferisce ridurre a questo
tema la questione delle vocazioni perché la sfera sessuale
sembra essere diventata l’unica a dominare la vita delle
persone. Inoltre si intendono i diritti personali (in questo
caso di farsi una famiglia) come un dovere per gli altri».
- Dunque il problema della castità non è l’unico.
«La castità è di certo difficile da vivere, ma molti dimenticano che ai preti è chiesto di vivere anche una sobrietà
economica, cosa forse ancora più complicata da attuare
oggi. Compito dei sacerdoti, però, è quello di mostrare
che oltre a queste richieste impegnative da vivere con rigore c’è una gioia nella vita presbiterale che può donare
un senso pieno all’esistenza».
- Pensi che la Chiesa dovrebbe concedere delle aperture in
questo senso?
«A chi sceglie il sacerdozio la Chiesa oggi chiede la ‘doppia vocazione’ al celibato (che può essere una vocazione
anche fuori dalla vita ministeriale) e al sacerdozio. Più
volte i Papi hanno chiarito che il tema non è materia di
discussione e non penso che la posizione verrà rivista in
questi anni. Se la norma è difficile che venga cambiata, la
Chiesa però può ‘aprirsi’ concretamente facendo sentire
tutta la propria vicinanza umana a chi vive situazioni di
difficoltà o a coloro che decidono di lasciare il sacerdozio
per farsi una famiglia. Anche queste persone devono continuare a far parte della comunità e spendere i loro talenti
nel far sì che l’uomo incontri Cristo».
MARCO SIMEON
L’ESPERIENZA DI UN EX PRETE
La scelta di Davide Cicuttin: l’abbandono del sacerdozio
mentre si faceva strada in me la sempre più stabile convinzione che stavo viaggiando su un tracciato che non
mi permetteva di obbedire pienamente alla mia realizzazione, chiarivo ogni giorno meglio che la contraddizione dell’abbandono era in realtà la risposta più coerente al mio percorso di vita.
In profondità non ho mai dubitato del fatto che non è
mai venuta meno la continuità all’interno di una sola
ed unica storia di vita, rispondente ad una progettualità
alla quale ho sempre cercato di aderire in modo coerente, anche se in modo non convenzionale nét istituzionalmente esemplare. Dentro di me non avvertivo alcuno
stravolgimento, anzi mi rasserenava la consapevolezza
crescente di essere all’interno di un processo di chiarifi-
cazione su quale fosse la mia strada. Tuttavia non posso
dire che il cambiamento sia avvenuto in modo facile né
sereno. Si trattava di dire la verità prima di tutto a me
stesso, affrontando le conseguenze di un gesto pubblico
contraddicente le promesse fatte davanti alla comunità.
In secondo luogo dovevo conciliare il mio crescente
senso di raggiungere una maggiore verifica e di liberazione con la comprensibile difficoltà a comprendere di
molte persone, soprattutto le più vicine. E tutto questo,
di cui ora parlo con apparente facilità, non è avvenuto
senza fratture. Non è stato facile affrontare il senso di
disillusione nei confronti di un sogno precedentemente
idealizzato per molto tempo, né la percezione di deludere molte persone, né il senso di fallimento o i sensi
di colpa, né il distanziamento di molti che si dicevano
vicini. Non è stato facile neppure iniziare tutto da zero,
dovendo in poco tempo trovare casa e lavoro, affrontare nuove tappe di una maturazione affettiva, ricostruire
l’immagine di me e i rapporti con gli altri e contemporaneamente decostruire il ruolo nel quale, senza pormi
troppe domande, mi ero trovato e dietro al quale mi ero
a volte nascosto.
Nel tempo, a distanza di anni, le rotture si sono ricucite,
anche per aver mantenuto lo sforzo di una ricerca costante
su quale fosse la direzione verso la quale camminare. Non
mi sento arrivato da nessuna parte, ma continuamente in
ricerca, e in questo percorso due sono i pilastri sui quali
poggia la continuità della mia storia: il mio percorso di
fede, con tutti i dubbi e le domande che lo caratterizzano
da sempre, ed il rapporto delle mie scelte di vita con la
storia del Dio di Gesù di Nazareth.
DAVIDE CICUTTIN
ARTICOLO a cura di Cinzia Borsatti
ALTA UOTA
Credo che l’unico modo che abbiamo per esprimere l’esperienza di un’esistenza intera sia quello di leggerla alla
luce del cammino vocazionale che l’ha caratterizzata.
Non può che essere così, se consideriamo quanta complessità c’è dietro ogni scelta che compiamo. Trovo difficile definire il termine ‘vocazione’, ogni vita ne esprime
una, e ogni vocazione esprime il senso di una vita intera.
Della parola abbiamo spesso abusato, l’abbiamo privata
di significato, trattandola come fosse un corollario della
vita, qualcosa che si ha o non si ha, o peggio ancora che
riguarda solo la parte di coloro che ricevono un sacramento. Oppure abbiamo elencato le ‘vocazioni’, come possibili scelte che si pongono davanti ad un adolescente che
vuole capire cosa fare da grande, quasi ci fossero scelte
privilegiate perché illuminate da un segno particolare,
contrapposte a scelte più comuni considerate un po’ meno
degne.
L’esperienza vocazionale è di tutti, ed è la ricerca costante
del filo rosso che ci compone come uomini e donne, per
questo definibile e comprensibile solo alla fine dell’intera
vita.
Nella mia vita mi sono trovato spesso a pensarci, sia
nel decidere, in modo piuttosto travagliato, di scegliere
di diventare prete, sia nel decidere, due anni dopo l’ordinazione, di abbandonare il ministero, in modo ancora più travagliato. Prima una scelta maturata e vissuta
come definitiva, riconosciuta come realizzazione di una
vocazione, poi un cambio di direzione forte e da molti
percepito come improvviso e incomprensibile. La provocazione che pongo è questa: quale dei due momenti
di scelta è quello più vocazionale? Le semplificazioni
non lasciano spazio a dubbi: il primo è la più alta realizzazione di una vocazione, il secondo è abbandono,
rinuncia, non-risposta, per alcuni tradimento. Invece,
uotattualità
- Secondo te è un fenomeno reale o si tratta solo dell’influsso
dei tempi, di una moda?
- Si dice spesso che se i sacerdoti potessero avere famiglia,
come i pastori protestanti, questo problema non esisterebbe.
Pensi sia vero?
si trova a fare da guida spirituale non è richiesto di farsi
carico per tutti della testimonianza di fede, perché tutti la
vivrebbero in ugual modo».
in
«Pur lavorando soprattutto in redazione, ogni giorno ho
l’opportunità di ascoltare voci e conoscere storie diversissime tra loro. La sfida maggiore è quella di fare una sintesi di questa enorme complessità e raccontarla ai lettori.
In questo orizzonte c’è posto anche per il tema delle vocazioni, che è tra le questioni principali di cui mi ritrovo
a parlare con i colleghi e con le persone che intervisto o
incontro, vescovi, sacerdoti, religiosi, giornalisti, responsabili di movimenti e associazioni. E ovviamente capita spesso di confrontarsi sulle difficoltà legate al mondo
della vita consacrata o del ministero sacerdotale. Si tratta
di un tema da cui non ci si può sottrarre, perché i numeri
parlano chiaro».
«Il mio percorso di vita mi ha portato per cinque anni in
Seminario. Ho capito di essere chiamato ad altro prima di
arrivare ai ‘passi ufficiali’, ma ho fatto tesoro di quanto ho
vissuto in quegli anni. Tra i miei amici c’è anche qualcuno
che è stato ordinato e poi ha deciso di non continuare con
la vita ministeriale. Io dall’esterno ho l’impressione che
la causa sia quella di trovarsi a vivere un’esistenza fatta
di eventi in agenda e quindi incapace di alimentare quella
sete dell’anima che sostiene ogni vocazione. Guardando
alla mia esperienza, mi sembra che la difficoltà più grande
legata ai cammini formativi per il sacerdozio sia proprio
quella di non riuscire sempre ad alimentare quel ‘fascino di
Dio’ che è alla base di ogni vocazione. Un fascino che deve
passare per forza anche attraverso un amore viscerale per
la vita in tutte le sue espressioni».
7
8
Semplici occhiate buttate qua e là
di Simone Bearzot
i più
uotati
SUL CIGLIO DELLA STORIA
rispetto alle premesse. Quando poi ci si
ritrova, da spettatori quantomai esterni,
impacciati, quasi a disagio, sul ciglio
della Storia – anche se non la nostra, ammesso che queste divisioni esistano – la
sensazione di stranezza prende il sopravvento su tutto.
In lontananza il fumo nero si vede eccome, una nube nera
che si alza tra le basse case in muratura bianca e i palazzi del centro città. All’interno della stanza d’hotel, la tv
trasmette le immagini di due automobili date alle fiamme dai manifestanti. Tunisi brucia, come duemila e passa
anni fa la sua diretta antenata Cartagine. Le equivalenze
finiscono qui.
Sarà capitato a tutti di trovarsi, per qualche bizzarro
scherzo di destino, caso, provvidenza a seconda delle
preferenze, in una situazione completamente ribaltata
tagonista. L’Attesa Continua. Del giorno
dopo, degli scontri, delle manifestazioni,
del funerale, dello sciopero. Di quello
che succederà.
La sera rientro al mio hotel, a poche centinaia di metri dal Ministero dell’Interno,
epicentro delle proteste. Si vedono cocci
e pietre sulla strada, cestini divelti, serrande abbassate. Per sicurezza consigliano di restare in albergo.
Le immagini alla CNN o su qualche canale arabo raccontano quello che succede in strada e così noi stranieri restiamo
all’interno di un ‘acquario’, a guardare
una Storia che non era nostra ma ora un
pochino lo è diventata, ingannando l’attesa – in questo caso, quella del volo di
ritorno – tra un pacco di patatine e un’aranciata presa dal minibar.
Mercoledì mattina mi raccontano di
qualche manifestazione in centro per
protesta contro la disoccupazione. Poco
male, succede dappertutto. A ora di pranzo le notizie iniziano a diffondersi meglio. Hanno ucciso un uomo. Un avvocato. Un leader politico. I tunisini che sono
con me si incupiscono, avvolti da quella
tensione che significa una cosa sola: che
la strada verso un Sistema nuovo sarà ancora lunga, difficile e dolorosa. Da quel
momento, il nome di Chokri Belaid, fino
ad allora a me totalmente sconosciuto, diventa il leitmotiv
della settimana, mentre l’attesa si ritaglia un ruolo da pro-
Simone Bearzot
LIMITI
ALTA UOTA
di Norman Rusin
Amo bere il caffè guardando fuori dalla finestra. Lo faccio qui a Philadelphia come l’ho sempre fatto a Cervignano. Dalla finestra della mia cucina, al terzo piano, in via
Matteotti, migliaia di volte il mio sguardo si è posato sugli orti, la piccola striscia verde che li divide dalle tribune
della Pro Cervignano, la palestra dell’ABC, il piazzale, il
cavalcavia. Nei giorni più chiari potevo vedere il monumento di Redipuglia e le montagne. Tutti questi luoghi
marcavano con precisione gli istanti della mia vita: scuola
e vacanze, lavoro e svago, famiglia e amici. Tanti luoghi,
tanti confini. Ma il tempo ha sfumato questi limiti, li ha
resi porosi. Me li ha fatti superare.
Lo sguardo sul limite è una condizione ineluttabile per
chi abita in via Matteotti; pervade l’area - fino a qualche
anno fa nemmeno contemplata dalle mappe della guida
telefonica - sempre in espansione, eppure sempre ai confini della cittadina. Chi abita lì si trova nella posizione
privilegiata di chi vive fuori dalla mappa e può osservare
comelli.pdf
15/02/2010
13.46.30
chi è dentro,
ma anche
tutto
il resto. E portandosi dentro
questo senso del limite, il residente di via Matteotti può
ricreare il proprio quartiere ovunque.
Così, mentre bevo il mio caffé alla finestra a Philadelphia, leggo la rubrica 10 domande che chiude il
numero di Time di questa settimana. A rispondere alle
domande della giornalista c’è Sonia Sotomayor, la prima donna ispanica a ricoprire la carica di giudice della
Corte Suprema. Nel suo My Beloved World - Il mio amato mondo, appena pubblicato negli USA e best-seller di
gennaio, Sotomayor c’insegna che i limiti si possono superare, i sogni coltivare, le mete raggiungere. Lei, come
donna, come ispanica, ricoprendo uno dei più prestigiosi
incarichi del paese, incarna appieno il proprio messaggio. La giudice parla di confini culturali, limiti spirituali
e psicologici.
Esiste allora un punto estremo oltre il quale non possiamo
andare? Un altro sorso di caffè e apro il Newyorker, dove
leggo che Philip Roth a 79 anni decide, dopo un silenzio
15/02/2010
di quasi tre anni, di ritirarsi dalla scrittura. credifriuli.pdf
Lo scrittore
ha
passato la propria vita appartato, immerso nella produzione di parole; che si trovasse nel Connecticut o in centro a
Manhattan, non faceva differenza. Ha scelto di vivere in
quello che Italo Calvino definiva “il mondo scritto,” cioè
il mondo delle parole opposto al “mondo non scritto” delle azioni. Ora Roth esce dal suo mondo perché, dichiara,
non ha più niente da dire.
Anche Benedetto XVI riconosce il valore del limite e
lo elude. Da consumato esegeta, esamina il problema,
lo scompone e lo appiana. Raggiunti gli ottantacinque
anni, non può supportare il peso fisico che il suo incarico comporta, e abdica. Così, rinuncia anche a un enorme potere. Una lezione di stile? Probabilmente. Certe
notizie però sono come il caffè: tonico quand’è ancora
caldo e fumante nella tazza; ma crea forte dipendenza
così che non ne hai mai abbastanza per tenerti sveglio.
A un passo dalle politiche, continuo a muovermi ai bordi della mappa e a sorbire il mio caffè guardando fuori
13.46.47
dalla finestra.
IT’S TIME TO ROCK AND ROLL
RIPARTE
FUOCO ALLE POLVERI!
a cura di Livio Nonis
Nuovo programma su Radio Presenza
Radio Presenza presenta un nuovo programma: It’s Time
To Rock and Roll. Questo programma è basato su un singolo genere: il rock in tutte le sue sfaccettature, da quello
classico degli anni 60 e 70 all’heavy metal, fino a quello
più moderno. «Questo programma - dice Alessandro Flora, conduttore del programma - vuole essere un qualcosa
in più per gli appassionati del rock in regione». Questo
non è un semplice programma musicale: Alessandro e la
sua partner Erica ogni settimana ospiteranno un gruppo
musicale emergente regionale. «La presenza di gruppi
in Regione - ci spiega Alessandro - è amplissima; basti
pensare ai Freedom Slaves o gli Ad Plenitatem Lunae
che hanno più di 800 fan a testa su Facebook. Il grande
problema è che non vengono valorizzati come si dovrebbe, in quanto i promotori locali molto spesso decidono di
chiamare soltanto cover band così da avere un riscontro
In alto: Alessandro ed Erica con
monetario certo alla fine della serata, cosa che un gruppo
«It’s time to Rock and Roll»
emergente non potrebbe garantire. Ed è proprio per questo motivo che esistono molti gruppi moderni che fanno
In basso: Luca & Bonny con
fatica a raggiungere un elevato numero di consensi po«Fuoco alle polveri!»
polari».
Alessandro ed Erica vogliono dare una mano a queste band emergenti: se vogliono
partecipare a una puntata, possono farlo mandando una mail a [email protected] e verranno contattati dai conduttori stessi.
Per chi invece volesse farsi un’idea del programma e dei gruppi emergenti può sintonizzarsi su Radio Presenza sui 99 Mhz, oppure tramite internet su www.radiopresenza.org (web radio), tutti i venerdì dalle 15:30 alle 17:30 per ascoltare due ore di puro
rock, non solo internazionale.
It’s Time To Rock and Roll viene integrato da due ore settimanali di solo rock emergente: il martedì e il venerdì dalle 14:30 alle 15:30. Per far conoscere le nuove band
anche al di fuori della cerchia ristretta delle amicizie dei singoli musicisti e, chissà,
magari farli conoscere anche a livello regionale.
La trasmissione radiofonica Fuoco alle Polveri è ripartita. Continua l’esperienza, nata quasi per caso lo scorso
anno, per il tentativo dei due conduttori, Luca & Bonny,
di esplorare un campo nuovo.
Il programma è basato essenzialmente sull’improvvisazione, l’irriverenza, e le opinioni del pubblico. La trasmissione va in onda ogni giovedì dalle 18.35 alle 19.35,
e nell’ora della diretta si trattano molteplici argomenti,
dall’attualità alla filosofia, dalla cronaca allo sport: poco,
perché i conduttori non seguono attivamente le discipline sportive, alle idee più strane, come i sondaggi sugli
oggetti più insoliti che si trovano in commercio, o alla
cucina negli aspetti meno consueti, per esempio come si
preferisce cucinare le coste a pasquetta. Quindi, di tutto.
L’importante, per Luca & Bonny, è fare una buona oretta
di divertimento, incalzante, che attiri ascoltatori e soprattutto che li faccia interagire: una straordinaria esperienza
che siamo felici di riprendere. Per ascoltarli basta sintonizzarsi dalle 18.30 alle 19.30 su Radio Presenza (99.0 in
FM) o streaming al link http://www.radiopresenza.org ,
per un’ora di sano divertimento.
Qualcuno mi suggerisce di comprare un eReader e sopperire alla mancanza di spazio che mano a mano verrà a crearsi
nella mia stanza. L’idea è buona, avere un eReader e comprare ebook è un modo nuovo di vivere l’esperienza della
lettura che mi incuriosisce. Ma, ahimè, amo possedere libri
e non potrei fare a meno di comprarne. Il libro stimola la
maggior parte dei miei sensi e rappresenta il feticcio della
storia che racconta e che potrò conservare per sempre. Il
colore della copertina, lo spessore delle pagine, la forma rigonfia che prende dopo essere stato sfogliato innumerevoli
Alta ucina
i
(si fa sempre per dire)
di Alberto Landi
Ancora rovistando tra i ricordi di un
lontano viaggio in Sicilia:
il minestrone e le sarde
MINESTRONE ALLA RAGUSANA
Sembrerà strano che, pur in una terra ricca di primi piatti succulenti, raccontiamo di un minestrone. Ma bisogna pur provare.
La ricetta è tra quelle assaggiate e ritenuta degna di menzione,
ritrovata nell’agenda di un viaggio in Sicilia e decantata dal ‘trattore’ di San Leone Bagni, di cui abbiamo già parlato a proposito
di melanzane, di pasta alla Norma e di cannelloni.
Il minestrone di cui parlasi veniva citato dal ‘trattore’ (ma da
prendersi con le classiche molle, essendo un po’ contaballe) quale cibo, opportunamente corretto, tenuto conto degli alimenti
e dei tempi, preferito da Ercole durante i riposi tra una fatica
e l’altra delle sue celebri dodici avventure, in giro per il mondo
dell’epoca. In particolare, la quinta fatica mandava in brodo di
giuggiole il ristoratore anzidetto, quella nel corso della quale Ercole ripulì le stalle di Augia. E così ci fece ricordare antichi studi,
raccontando l’avvenuto.
Era Augia il re dell’Elide e nessun al mondo poteva vantare di
possedere tanto bestiame quanto quello di sua proprietà. In particolare, trecento selezionatissimi tori neri, dalle zampe candide
e duecento stalloni, altrettanto selezionati. E infine, come fiore
all’occhiello, dodici tori bianchi come quelli delle mandrie sacre
di Elio, supposto padre di Augia stesso. Ma ciò nonostante le
stalle non erano mai state ripulite e così Augia pattuì con Ercole
che, se le avesse pulite in una sola giornata, gli avrebbe ceduto un
decimo di tutto il bestiame. Il nostro eroe accettò e deviò il corso
di un fiume che scorreva in zona e, facendolo defluire attraverso
le stalle, portò a termine la fatica. Ma al momento di diventare proprietario di quanto patteggiato, Augia non tenne fede alla
promessa e lo scacciò dalla sua regione insieme a suo figlio Fileo
che aveva preso le parti di Ercole.
E visto che c’eravamo, una sera successiva raccontò anche la sesta, quella relativa agli uccelli del lago Stinfalo. Erano uccelli mostruosi, sacri ad Ares (Marte), con artigli, becchi, ali di bronzo,
causa di morte per uomini e animali, nonché di sterilità per la
terra, per i loro escrementi. Ercole, grazie a un suono spaventoso prodotto da un sonaglio di bronzo donatogli dalla dea Atena
(Minerva), li obbligò a levarsi in volo; alcuni li uccise, altri fuggirono sulle coste del Mar Nero.
E veniamo al minestrone!
MINESTRONE ALLA RAGUSANA
Preparate un po’ di brodo di carne e cuocetevi i fagioli freschi (se
non usate quelli in scatola, pur buoni), unitevi un cavolo bianco
sminuzzato (per le dimensioni basta il buon senso), due manciate di spinaci e altrettante di bietole. Aggiungete una carota, una
patata, una zucchina e una cipolla, il tutto tagliato a tocchetti.
Preparate un soffritto con olio, una fetta di prosciutto crudo e
un niente di aglio, e versate nel brodo; aggiustate di sale e pepe,
qualche cucchiaio di pomodoro. Fate bollire e unitevi dei sedanini o anche degli spaghetti spezzettati. Servire con una spolverata
di parmigiano.
Sito e shop a questo indirizzo:
http://sartoriautopia.freshcreator.com/
UNA COLLEZIONE
UNICA...
A CERVIGNANO!
Ivano Dijust, 54 anni, cervignanese, commerciante, colleziona maglie di calcio tutte originali. La collezione di
queste è nata per caso attraverso conoscenti o amici che
andando in giro per l’Italia o all’estero gli portano queste magliette come souvenir. Attualmente consta di 30
magliette, ma è destinata ad aumentare, anche in breve
tempo. Tra tutte, quella del Barcellona è la sua preferita
perché è un regalo di sua figlia Ambra andata in viaggio
in Spagna. Poi quella della Germania perché lo entusiasmano i colori, la forma e non solo… confessa di avere un
debole per questa Nazionale.
Se la sua passione vera e propria è collezionare e usare
biciclette di ogni tempo, dalla più antica alla più moderna
e stravagante, quella delle magliette sportive è una collezione a lui molto cara e a cui tiene molto.
ALTA UOTA
SARDE ALLA SICULA
Tipica ricetta siciliana (in verità una delle tante a seconda della
zona), ma facile da preparare anche qui dalla parte opposta, essendo le sarde un pesce largamente consumato anche in Friuli.
Comperate la quantità di sarde che ritenete necessaria a seconda
dei commensali che si siederanno a tavola e, dopo averle pulite,
lavate, aperte e asciugate, infarinatele appena appena e indoratele in una normale padella per fritti, scolandole appena pronte.
In precedenza avrete preparato un bel sughetto soffriggendo in
olio extra vergine tutto italiano, cipolla e aglio finemente tagliati,
ai quali aggiungerete appena pronto il soffritto, una o più (sempre a seconda dei commensali) scatole di pomodori pelati, e fate
cuocere alquanto. Unite delle olive nere tagliuzzate e dei pinoli
fatti rinvenire in un po’ d’acqua calda, unite il tutto al sugo con
una spruzzatina di vino bianco. A questo punto due opzioni: la
prima di incorporare le sarde al sugo ben caldo; la seconda di
sistemare le sarde in un capace piatto e di versarvi sopra il sugo
sempre ben caldo.
volte sono avvenimenti a cui è difficile rinunciare.
Io i libri li compro, ma conosco due ragazze che i libri
li cuciono. Manuela Dago e Francesca Genti, entrambe
poetesse, hanno fondato la piccola casa editrice Sartoria
Utopia, una capanna editrice di poesia contemporanea,
dove i libri sono realizzati e cuciti interamente a mano.
Questa avventura nasce dall’esigenza di dare una veste
nuova al libro. Ogni libro infatti è un pezzo unico, studiato e realizzato meticolosamente per rappresentare al
meglio lo spirito delle poesie che contiene. Con Sartoria
Utopia si ritorna a una vecchia forma di artigianato per
rappresentare il nuovo e il contemporaneo, realizzando un
libro-oggetto che non vuole essere solo motivo di lettura,
ma anche espressione del fare, punto per punto.
uotati
Il 2 novembre Ho una libreria dove i libri non ci stanno
più, ne ho un’altra altrettanto stracolma a Cervignano.
Quelli che leggo al momento
li tengo a terra a fianco del
letto; gli altri, orfani della
libreria, sono in pila in un angolo della stanza.
E
L’ESIGENZA DEI LIBRI
i più
OLTRE LO SPECCHIO
di Manuela Fraioli
9
10
IL VESCOVO CARLO ROBERTO MARIA REDAELLI
A CERVIGNANO DEL FRIULI
.: 24 GENNAIO 2013 :.
Alcune immagini dell’incontro con il vescovo di Gorizia, Carlo Roberto Maria
Redaelli, ospite lo scorso 24 gennaio negli studi di Radio Presenza.
i più
uotati
 Giovedì 24 gennaio, giorno di San Francesco di Sales patrono dei giornalisti e dei mezzi di comunicazione, Radio Presenza ha avuto un ospite d'eccezione: l'arcivescovo di Gorizia, monsignor Carlo Roberto Maria
Redaelli. Durante uno trasmissione speciale condotta dal direttore Andrea Doncovio e dal coordinatore della radio, Stefano Tomat, alla presenza del parroco di Cervignano, don Dario Franco, l’arcivescovo ha avuto
modo di interagire con i numerosi ascoltatori e di conoscere meglio sia le diverse realtà parrocchiali sia il mondo del volontariato cittadino. Al termine della trasmissione, monsignor Redaelli ha visitato gli studi
della radio e ha incontrato l’intero dell’emittente radiofonica e la redazione del periodico bimestrale Alta Quota, edito dal Ricreatorio San Michele. staff del bi-mensile parrocchiale “Alta Quota” che dal 2000 informa
su tutte le iniziative della parrocchia di San Michele.
Monsignor Redaelli si è compiaciuto della notevole professionalità riscontrata all'interno delle due realtà mediatiche.
I VETERANI IN GITA A SAPPADA
Come consuetudine i veterani dello sport di Cervignano del Friuli hanno organizzato una gita in
pullman in quel di Sappada. Accompagnati da alcuni dirigenti dei veterani, la comitiva era composta
di soci e simpatizzanti amanti dello sci e della montagna innevata. Accompagnati da uno splendido
sole in tutta la giornata, la comitiva ha potuto godere della sfilata del Carnevale Sappadino e gli
amanti dello sci hanno potuto sciare per tutta la giornata. Verso mezzogiorno i Veterani hanno avuto
un colloquio con l’assessore alla cultura di Sappada, e con un consigliere comunale. I veterani hanno
scambiato i regali e hanno auspicato un incontro a Cervignano del Friuli, per un’eventuale gita nella
laguna di Marano.
I partecipanti alla gita, dopo la prima sciata e la prima camminata nel centro, si sono ritrovati per il
pranzo che come il solito è stato offerto dai Veterani sportivi. I commensali hanno gradito molto il
minestrone e il Gulasch.
Il direttivo u.n.v.s.
OPERAZIONE UOMINI COME NOI,
SI INIZIA CON MUSICA E TEATRO!
ARCA THERAPEIA: UN MONDO
A MISURA D'UOMO
In attesa della raccolta dei materiali ferrosi e degli indumenti (in programma il 27 e il
28 aprile) e del mercatino dell’usato (25-28 aprile / 1-5 maggio), anche la 46ª edizione
dell’Operazione Uomini Come Noi avrà un ampio prologo culturale:
Venerdì 12 aprile alle ore 20.30 presso la Chiesa Madre di San Michele, concerto dei
cori Vincenzo Ruffo, Leo, Delle 9.30 e UTE.
Sabato 20 aprile alle ore 20.30 presso la Sala Aurora del Ricreatorio San Michele
(in replica domenica 21 aprile alle ore 17), spettacolo delle Briciole d’Arte tratto dal
musical Mamma mia!.
Le offerte raccolte in entrambi gli eventi (a ingresso libero) saranno devolute ai progetti
sostenuti dall’intera Operazione Uomini Come Noi, in favore delle missioni diocesane in
Costa d’Avorio e Burkina Faso in ambito sanitario, scolastico e agricolo. Per tutti i dettagli, appuntamento al prossimo
numero di Alta Quota in uscita il 20 e 21 aprile!
ArCa Therapeia deriva dall'esperienza professionale della dott.ssa Silvia Aronica e di Natascia Castignani che
propongono sul territorio una struttura innovativa dedicata a bambini e ad adulti per favorire l'integrazione in
diversi ambiti: da quello familiare a quello scolastico
come anche nel parascolastico e nel sanitario. La struttura si avvale attualmente di un team di 11 professionisti
che operano insieme n posizione centrale e facilmente
accessibile.
Gli accoglienti studi e un'area polivalente occupano una
superficie globale di 160mq che viene dedicata sia a plurime espressioni terapeutiche sia a incontri mirati per la
prevenzione e la consulenza individuale e di gruppo.
L'équipe di ArCa Therapeia si propone di adeguare una
progettualità specifica per ciascun individuo creando dei
percorsi adattabili dall'infanzia alla maturità attraverso
servizi ed esperienze acquisite da professionisti che già
operano in questo settore.
ALTA UOTA
DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE,
CONFERENZA A CERVIGNANO
Il tavolo dei relatori intervenuti lo scorso 19 gennaio presso il Teatro Pasolini al convegno La cura per i disturbi
del comportamento alimentare in Friuli Venezia Giulia, organizzato dall’associazione Fenice FVG. Sul palco sono
intervenuti i rappresentanti delle Aziende sanitarie regionali, del Veneto, del Burlo Garofolo di Trieste e dell’Istituto
Superiore della Sanità.
Anoressia e bulimia rappresentano la seconda causa di morte tra i giovani, dopo gli incidenti stradali. «Auspichiamo
che il risultato dell’incontro - affermano gli organizzatori - possa consentire lo sviluppo di una rete ambulatoriale
omogenea ed efficiente a copertura dell’intero territorio regionale per la gestione delle diverse fasi evolutive della
patologia».
Arca Therapeia è a Cervignano, in via Malignani, 6/1.
Da sinistra: Tania Cargnelutti, fisiochinesiterapista; Barbara Mastromarino, osteopata; Natascia Castignani, mediatrice Feuerstein; Debora Rossit, psicologa; Guido Cristofori, neuropsichiatra; Elisabetta
Bosco, psicologa; Silvia Aronica, neuropsicomotricista; Eleonora Cecchin, nutrizionista; Sabrina D'Alessio, psicomotricista. Nello staff ci
sono anche gli psicologi Michele Macoratti e Valentina Bossi.
IL CAFFETTIERE FILOSOFICO
11
VOCAZIONI E CONVERSIONI IN LETTERATURA
La storia della letteratura italiana comincia con una conversione: quella del giovane Francesco Giovanni di Pietro
di Bernardone, nato nel 1182 ad Assisi. Conversione eclatante dove il giovane Francesco, figlio di un ricco commerciante, rinuncia a tutto, si spoglia persino delle sue
vesti per darle a un mendicante.
L’agiografia racconta che Francesco, desideroso di unirsi alla Crociata, fu persuaso da due rivelazioni notturne:
nella prima egli scorse un castello pieno d’armi e udì una
voce promettergli che tutto quello sarebbe stato suo. Nella seconda sentì nuovamente la stessa voce chiedergli se
gli fosse stato «più utile seguire il servo o il padrone»;
alla risposta «Il padrone», la voce rispose: «Allora perché
hai abbandonato il padrone, per seguire il servo?». Ma è
nel 1205 che avvenne l’episodio più importante della sua
conversione: mentre pregava nella chiesa di San Damiano, raccontò di aver sentito parlare il Crocifisso, che per
tre volte gli disse: «Francesco, va’ e ripara la mia casa
che, come vedi, è tutta in rovina».
Francesco fonderà il movimento che prenderà il suo nome
e scriverà quello che è considerato il primo testo poetico della letteratura italiana: quel Cantico delle creature
(conosciuto anche con il nome di Cantico di Frate Sole)
scritto in volgare umbro, lode a Dio, alla vita e alla natura.
IN
Il perché di una rubrica
Duomo di Assisi: particolare della Storia di San Francesco di Giotto.
derano uno dei più importanti poeti italiani del Medioevo,
certamente fra i più celebri autori di laudi religiose della
letteratura italiana. Famoso il suo Stabat Mater.
Passiamo poi alla famosa conversione di Alessandro
Manzoni avvenuta nel 1811 grazie all’influenza della
moglie calvinista Enrichetta Blondel ma, soprattutto, del
sacerdote giansenista Eustachio Degola: egli portò l’una
all’abiura del calvinismo e l’altro a un riavvicinamento
alla pratica religiosa cattolica. Manzoni scriverà quei
Promessi Sposi che sono l’emblema della provvidenza e
creerà uno dei più famosi ‘preti di carta’:don Abbondio. E
proprio la scelta del sacerdozio viene descritta da Manzoni come una scelta obbligata per il non nobile, non ricco,
non coraggioso Abbondio. Niente illuminazione divina:
infatti il nostro curato «non aveva gran fatto pensato agli
obblighi e ai nobili fini del ministero al quale si dedicava.
Procacciarsi di che vivere con qualche agio, e mettersi in
una classe riverita e forte gli erano sembrate due ragioni
più che sufficienti per una tale scelta».
PRINCIPIO
Sono un filologo classico e ‘filologo’ significa ‘amante
della parola’. Il mio mestiere consiste nell’arrivare all’origine delle parole, delle idee filosofiche, delle opere letterarie: come, dove, quando, perché. Mestiere sempre
più periferico nel mondo d’oggi: persino a scuola ci sono
insegnanti che sconsigliano vivamente di iscriversi a Lettere (classiche soprattutto) perché «non si trova lavoro».
Sciocchezze, naturalmente: cari ragazzi, non ascoltateli e
proseguite per la vostra strada.
Essere ‘amante della parola’ significa combattere ogni
giorno perché sia data dignità non solo alla letteratura,
ma anche al semplice dialogo fra le persone. Da decenni
è in atto una distruzione sistematica della nostra lingua: è
un processo che coinvolge la politica in primis e il giornalismo in seconda battuta. Stritolati fra termini sorti unicamente per riempire il vuoto pneumatico di idee (penso
a ‘sinergia’, ‘ottimizzare’, ‘interfacciarsi’, fino all’abuso
dell’aggettivo ‘condiviso’), siamo arrivati alla «neolingua» profetizzata da George Orwell nel suo romanzo
1984:
IL
tati in qualcosa di diverso, ma trasformati in qualcosa di
opposto a ciò che erano prima. Anche la letteratura del
Partito cambierà, anche gli slogan cambieranno. Si potrà mai avere uno slogan come «La libertà è schiavitù»,
quando il concetto stesso di libertà sarà stato abolito?
Sarà diverso anche tutto ciò che si accompagna all’attività di pensiero. In effetti, il pensiero non esisterà più,
almeno non come lo intendiamo ora. Ortodossia e inconsapevolezza sono la stessa cosa».
Eppure, non è sempre stato così; anzi, la storia dell’Occidente inizia in modo esattamente contrario. «In principio
era il verbo, e il verbo era presso Dio, e il verbo era Dio»:
comincia così il Vangelo di Giovanni. Verbum, in latino,
significa ‘parola’: in questo incipit, così folgorante, Giovanni si riallaccia alla creazione raccontata nella Genesi,
il primo libro della Bibbia. Ricordate? «E Dio disse: “Sia
la luce”. E fu sera e fu mattina». La creazione, per Ebrei
e Cristiani, è un fatto linguistico: Dio parla e il cosmo si
materializza. Che ci crediate o no è secondario: questa è
l’identità che ha forgiato l’Occidente.
Lo scopo di questa nuova rubrica è dunque quello di
risalire all’origine delle parole, dei modi di dire e delle
espressioni della nostra lingua. Per capire meglio il presente e gettare uno sguardo sul futuro.
Cosa vuol dire il termine ‘crisi’?
Quand’ero alle superiori credevo che il mondo andasse
nella direzione della scienza e della tecnica: mi sbagliavo,
perché la vera moda è l’economia. Se accendete la tv, se
sintonizzate la radio, se aprite un quotidiano trovate ogni
minuto qualche santone che ci narra la sua «ricetta per
uscire dalla crisi». Crisi, in effetti, è il termine più ricorrente degli ultimi anni. Ma cosa vuol dire veramente?
Crisi è un sostantivo greco. Alla base c’è krínein, un verbo dai molteplici valori.
Primo significato: ‘distinguere, separare’. Ѐ il verbo che
esprime l’azione del separare la farina dalla crusca, già
nella più antica delle opere letterarie dell’Occidente: l’Iliade. Ma è anche una separazione metaforica: il bene e il
male, il giusto e l’ingiusto, l’utile e l’inutile.
VERBO
di Vanni Veronesi
Secondo significato: ‘giudicare’, ‘esaminare’. Una volta
portata a termine la separazione fra ciò che merita è ciò
che non merita, bisogna prendere in esame ciò che resta
e mettere in moto la propria capacità di giudizio. Cosa
fare? Che strada intraprendere? Dove sbattere la testa?
Da qui il terzo significato: ‘scegliere’. Che conduce immediatamente al quarto: ‘decidere’. Una volta scelta la
strada, la decisione è presa, con tutte le conseguenze del
caso: non a caso, la fase ‘decisiva’ viene appunto definita
‘fase critica’.
Viene da chiedersi cosa c’entri tutto questo con il significato odierno di ‘crisi’, legato all’economia: c’entra eccome. L’attuale recessione dell’Occidente è infatti una
scelta, precisa e meditata: per un decennio i governi, le
istituzioni, gli organi di vigilanza dei paesi sviluppati
hanno colpevolmente lasciato correre, quando non incentivato, pratiche finanziarie spericolate e dannose. Oggi si
corre ai ripari, ma il tempo perduto è enorme e le tante
vite distrutte non si ripagano con nessun bonus fiscale.
Crisi, tuttavia, è anche un’ottima occasione per ripensare la propria vita: come suggerisce la sua etimologia
greca, è discernimento, giudizio, esame della situazione,
valutazione, scelta, fino alla decisione conclusiva. Ѐ un
esame necessario, uno stimolo a cambiare abitudini ritenute legittime solo perché acquisite, un motivo per uscire
da schemi preconfezionati. Chissà che non ne usciremo
più umani, dopo tanti sacrifici. E più che dalla politica,
dipende da noi, come scriveva il filosofo Nicolas Gomez
Davila: «Le epoche non hanno una durata immutabile:
l’incontro con processi sorti da una maggiore profondità
le può interrompere, l’inerzia della volontà le può prolungare. La conversione è possibile, la passività consueta.
La storia è una necessità generata dalla libertà e strozzata
dalla causalità».
luilei 83x26.pdf 15/02/2010 13.45.19
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«Non capisci che lo scopo principale a cui tende la
neolingua è quello di restringere al massimo la sfera
d’azione del pensiero? Alla fine renderemo lo psicoreato
letteralmente impossibile, perché non ci saranno parole
con cui poterlo esprimere. Ogni concetto di cui si possa
aver bisogno sarà espresso da una sola parola, il cui
significato sarà stato rigidamente definito, priva di tutti
i suoi significati ausiliari, che saranno stati cancellati e
dimenticati. […] A ogni nuovo anno, una diminuzione
nel numero delle parole e una contrazione ulteriore della
coscienza. Anche ora, ovviamente, non esiste nulla che
possa spiegare o scusare lo psicoreato. Tutto ciò che si richiede è l’autodisciplina, il controllo della realtà, ma alla
fine del processo non ci sarà bisogno neanche di questo.
La Rivoluzione trionferà quando la lingua avrà raggiunto
la perfezione. […] Per l’anno 2050, forse anche prima,
ogni nozione reale dell’archelingua sarà scomparsa. Tutta la letteratura del passato sarà stata distrutta; Chaucer,
Shakespeare, Milton, Byron esisteranno solo nella loro
versione in neolingua, vale a dire non semplicemente mu-
ERA
Ma scorrendo velocemente le pagine della nostra storia
della letteratura, troviamo un altro prete che addirittura
parla con il crocefisso come San Francesco: Don Camillo Tarocci. Nato dalla penna dello scrittore e giornalista
italiano Giovannino Guareschi nel 1948, don Camillo
non ha l’aria del mite pretino appena uscito dal seminario: viene anzi descritto come un prete gigantesco, con le
mani grosse, i piedi taglia 45, un «tipo di diretto al mento
capace di abbattere un bue, ammesso che un bue abbia
un mento», e che spesso ricorre alla forza fisica per risolvere questioni che a prima vista parrebbero irrisolvibili.
Al centro dei pensieri di Don Camillo c’è il proverbiale
scontro con il sindaco del paese, il comunista Peppone.
Don Camillo diventerà anche protagonista sul grande
schermo grazie all’interpretazione di Fernandel.
Ma, per concludere, la vocazione può essere vista anche
come vocazione alla giustizia, alla ricerca della verità.
Questa può spingere un frate a risolvere un’intricata vicenda come quella descritta nel romanzo di Umberto
Eco, Il nome della rosa (1980), dove il francescano Guglielmo da Baskerville, accompagnato dal novizio Adso
da Melk si troverà a investigare su una serie di omicidi
avvenuti in un monastero benedettino di regola cluniacense sperduto sui monti dell’Italia settentrionale. Oppure le ricerche del famoso sacerdote e detective Padre
Brown, protagonista di diversi racconti gialli dello scrittore britannico Gilbert Keith Chesterton, in Italia noto
soprattutto attraverso l’interpretazione di Renato Rascel
nella miniserie televisiva I racconti di padre Brown.
t
ultura
Riprendendo in mano la nostra storia della letteratura e
scorrendo solo poche pagine ci troviamo davanti un’altra conversione celebre: quella di Jacopo De Benedictis,
detto Jacopone da Todi, nato appunto a Todi nel 1233
circa. Di famiglia nobile, Jacopo studiò legge probabilmente all’università di Bologna e intraprese la professione di notaio e procuratore legale, conducendo una vita
spensierata fino alla tragica morte della moglie Vanna nel
1268, sposata solamente un anno prima, e la scoperta sul
suo corpo di un cilicio. Jacopo si spoglia di tutti i suoi
averi ed entra nell’ordine francescano. I critici lo consi-
di Marco Giovanetti
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