Universita riforma Gelmini
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Universita riforma Gelmini
L’Università che vogliamo Per una lettura della Riforma Gelmini Il disegno di legge Gelmini sull’Università si avvia al primo mese di vita. “Non dividiamoci sull’Università”, intitola Ernesto Galli Della Loggia sul “Corriere della Sera” in prima colonna, venerdì 30 ottobre, temendo gli effetti disastrosi del dibattito a senso unico che in passato altre proposte di riassetto generale avevano suscitato. Un primo miracolo è accaduto. Salvo sporadiche prese di posizione, ad oggi tutti sono in posizione di riflessione e di attesa. Ma è un silenzio poco produttivo. Dobbiamo, Società, Università e Politica, approfondire e discutere, per giungere finalmente a una riforma sistemica, che era ed è urgentissima. Il Presidente della Conferenza dei Rettori Enrico Decleva è chiarissimo: “Un’occasione fondamentale e irripetibile”. Allora rimbocchiamoci le maniche, discutiamo, diamo il nostro contributo, per giungere a un testo riformatore condiviso, al passo con i tempi, che dia all’Università italiana l’energia di cui da decenni ha bisogno, ora più che mai essenziale per un rilancio. Tutti abbiamo preso visione delle classifiche nazionali e internazionali. Abbiamo giustamente protestato, anche su questo giornale, di fronte a un sistema di valutazione tutto finanziario, che penalizza fortemente le Università del Sud. Basti pensare che la controclasifica di Parma – dunque di una Università del Nord –, che utilizza tutti i parametri ministeriali, escludendo soltanto quello finanziario – colloca l’Università di Napoli Federico II al 5° posto e quella di Bari al 12°, seguita da Catania. Ribadito che i riconoscimenti premiali devono essere fondati su criteri condivisi, tenendo conto dei contesti territoriali, guardiamo da vicino il disegno di legge Gelmini. Dirò subito che l’impianto generale è condivisibile e riformatore. Per la prima volta si affronta la questione Università nella sua totalità, mettendo al centro la governance, il merito, l’efficienza, la qualità e la trasparenza. Si tratta di una proposta di forte razionalizzazione del sistema, in chiave moderna, che risponde alla maggior parte dei mille problemi che si sono accumulati negli ultimi decenni e anni, dalla gestione agli scandali, dalla formazione al passo con la modernità che avanza alla velocità della luce ad esamopoli, dal reclutamento al ruolo centrale degli studenti nella programmazione e nella valutazione. 1 Mi pare molto equilibrato anche il apporto tra ruolo del Ministero di competenza e periferia, Stato e Sistema Universitario radicato sul territorio, soprattutto sul piano del controllo della spesa e del reclutamento della nuova docenza. Si introducono principi di mobilità, di flessibilità, di crescita trasparente, sulla base della meritocrazia, per esempio per la figura dei ricercatori a contratto per un massimo di due trienni. Anche la premialità stipendiale in base al merito, per i docenti di ruolo, è un elemento sacrosanto, come quello degli obblighi didattici, scientifici e formativi. 1 Si tratta dunque di un provvedimento destinato a rapidamente mutare il quadro del Sistema Universitario nazionale, ora di ben 88 Università, oltre le centinaia di sedi gemmate, grandi e piccole e talvolta piccolissime. La vita delle università italiane dovrà cambiar pelle. Non c’è tempo per ripicche e per vecchi problemi, di Dipartimenti, Facoltà, Dottorati, Master. Tutto andrà rapidamente riorganizzato: Dipartimenti con un minimo di 45 o di 40 unità, un massimo di 12, 9 o 6 Facoltà per ogni Universtà, secondo il numero di docenti – l’Università di Bari dovrà ridurle da 15 a 9, cioè di più di un terzo –, impegno complessivo intra moenia dei professori di 1500 ore annue, tipologia delle valutazioni comparative, riordino e riduzione del Senato Accademico e del Consiglio di Amministrazione, per questo con apertura a soggetti esterni e quindi alla società, rafforzamento della figura del Rettore, un Direttore Generale al posto del Direttore Amministrativo, programmazione triennale, nuovo senso di responsabilità collettiva e individuale, federazione di Atenei, abilitazione scientifica nazionale con verifica e chiamata locale, drastica revisione dei settori scientifico-disciplinari, fine del sistema di finanziamento cosiddetto a pioggia, prestito d’onore per gli studenti, accreditamento dei corsi universitari. Mettiamo dunque da parte le polemiche e cerchiamo, tutti insieme, ciascuno facendo la propria parte, in una osmosi positiva tra Società e Università, di migliorare il testo del disegno di legge. Ne va del futuro del nostro paese e dei nostri figli. Ci sono punti che vanno modificati, altri da migliorare. Un disegno “perfettibile”, annota correttamente Galli della Loggia. Lo stesso Ministro si è Pr ora l’ unica “premialità” riscontrata è una diminuzione di 200 euro netti sullo stopendio (v. cedolino allegato) rispetto all’ anno precedente, la totale eliminazioni dei fondi per il finanziamento delle ricerche personali (acquisto di libri e materiali), l’ abrogazione di moltii fringe benefits (ad es. diritto del lavoratore ad un bagno pulito e dotato di carta igienica) La progressiva aniticipazione unilaterale dell’ orario di chiusura a discrezione del custode con conseguente discesa (di chi rimane il pomeriggio) della scala nella totale oscurità e minaccia presidenziale e rettoriale di chiamata immediata dell’a rimozione se il docente, preso dall’ entusiasmo per aver scoperto in quel momento la relatività, non si avvede che sono le 20.30 mezzo e nell’ entusiasmo di annotare la gfeniale intuizione si dimentica che deve togliere l’ automobile dal garage. La relatività la scoprirà qualcun altro, possibilmente di mattina. 1 2 dichiarato disponibile al confronto a 360 gradi, purché l’impianto generale della legge resti immutato. Quali i punti assolutamente da modificare? Ne elencherei pochi, ma sostanziali: scorrimento tra Università e Società – un ricercatore dopo sei anni non può tornare a casa, e rimanere senza lavoro, se non supera l’abilitazione nazionale, occorre assicuragli una via di uscita –, riduzione della presenza esterna nella governance, pur indispensabile, non limitarsi alla modica dell’impianto generale ma aumentare i fondi per la ricerca e l’innovazione con nuovi criteri distributivi, assicurare la certezza dell’Università pubblica, aumentare la premialità stipendiale non riducendola alla sola revisione degli scatti triennali. Quali i punti da migliorare? Mi limito a: meglio calibrare il potere dei Rettori, rendere più chiari alcuni punti del reclutamento, dare maggiori poteri al CUN e alla CRUI, chiarire il passaggio al nuovo sistema del personale attualmente in servizio, garantire che ricercatori e assegnisti di ricerca facciano la ricerca e non i tappabuchi delle carenze di personale, assicurare l’equilibrio tra tecnologia e umanesimo, fondare la valutazione su elementi che non penalizzino a priori le Università delle aree più disagiate, uscire dalla logica della sola riduzione dei costi, dare un giusto ruolo al contributo indispensabile del personale tecnico amministrativo. Approfittiamo della minore tensione e del nuovo clima etico che si registrano. Non si tratta di fare appello a uno spirito bipartisan, ma di lavorare per il buon funzionamento di una struttura cruciale per lo sviluppo, l’Università, da cui in larga parte dipende la crescita in conoscenza, nel modello globalizzato che ci sta togliendo identità e sogni. GIOVANI DOTOLI Delegato dell’Università di Bari alla Ricerca di base e al Coordinamento delle Sedi gemmate 3