I controllori mediatici

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I controllori mediatici
CAPITOLO XXI
I controllori mediatici
Una delle definizioni più azzeccate che ho trovato in merito ai massmedia è senz’altro quella di Noam Chomsky, l’illustre intellettuale
americano professore di linguistica al M.I.T., che li ha paragonati
senza mezzi termini a «grandi aziende possedute da società ancora
più grandi».1
Una realtà di fondamentale importanza per il nostro studio, poiché, se
è vero che i mass-media sono delle imprese, è altresì vero che oltre ai
“semplici” dipendenti hanno anche dirigenti incaricati della gestione
e della produzione di utili. Non esiste una sola azienda che lavori per
non produrre. Per raggiungere questi utili sono necessari fondi d’investimento, in una parola: azionisti. Data la consistenza di questi fondi,
si tratta spesso di istituti di credito, banche e/o gruppi assicurativi che,
mettendo a disposizione il capitale, entrano a pieno titolo in queste società e partecipano alla loro gestione. Avete capito qual è il punto?
Un’azienda, proprio in quanto azienda, è sempre controllata!
«I mass media – continua Chomsky – sono solo uno degli elementi
di un più vasto sistema dottrinale in cui rientrano i giornali d’opinione, le scuole, le università, gli studi accademici ecc.».2 In tale sistema, per completezza, andrebbero aggiunte pure la politica e soprattutto le religioni!
La stragrande maggioranza, per non dire la totalità, delle aziende che
«producono e vendono informazione, cultura e spettacolo», essendo
aziende, sono in mano a una ristrettissima cerchia di corporazioni e/o
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banche, i famosi azionisti a cui accennavo prima. In definitiva, pochissimi personaggi della finanza – non esagero dicendo che si possono contare sulle dita di una mano – controllano e gestiscono questo sistema dottrinale. «Un sistema che è diviso in due gruppi: la
classe politica e i semplici spettatori. La classe politica rappresenta
circa il 20 per cento della popolazione relativamente istruita che
svolge un qualche ruolo nella macchina decisionale, mentre i semplici spettatori, chiamati anche il gregge disorientato, rappresentano il
restante 80 per cento. Da questi ultimi ci si aspetta solo che obbediscano alle leggi e agli ordini, e sono il vero e unico bersaglio dei
mass-media. Non è molto importante che si preoccupino di quel che
accade nel mondo, anzi, se dovessero vedere troppo della realtà, potrebbero farsi venire in mente di cambiarla».3
Una realtà confusa, volutamente confusa, direbbe George Orwell,
che nel suo capolavoro 1984 profetizzò in maniera perfetta questa situazione: «Tale processo di trasformazione (correzione e modificazione delle informazioni) era applicato non solo ai giornali, ma ai libri, ai periodici, agli opuscoli, ai manifesti, alle circolari, ai film, alle
colonne sonore, alle vignette, alle fotografie… a qualsiasi genere di
roba stampata e comunque documentata che potesse avere un significato politico o ideologico».
Ma come nascono, oggi, le notizie?
Cominciamo descrivendo come giornali e telegiornali acquisiscono,
scusate, volevo dire acquistano, le notizie dalle agenzie di stampa.
Ogni agenzia di stampa fornisce, mediante canoni di abbonamento,
un numero di articoli per un numero variabile di giornali, riviste, siti
Internet, televisioni ecc. In Italia ne esistono diverse, ma le più importanti sono: la AdnKronos, l’Agi, l’Asca e l’Ansa. Quest’ultima, per
esempio, “offre” ogni giorno circa 2000 notizie di attualità, politica,
economica, società e cultura.4 Non solo, ma essendo presenti sui principali portali Internet, le notizie Ansa raggiungono un target vicino al
100 per cento dei navigatori del web. Avete capito bene? Una singola agenzia “informa” la totalità delle persone che usano la rete delle
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reti! Una bella responsabilità. Responsabilità che aumentano esponenzialmente se si considera la situazione su scala mondiale: l’Associated
Press, per esempio, una delle più potenti agenzie statunitensi, fornisce
notizie a circa 3500 radio, 800 televisioni e oltre 1500 giornali in più
di 121 paesi.5
Cosa dire dell’onnipresente Reuters, che con un corredo di 2157 giornalisti prepara le notizie in 23 lingue diverse per 151 paesi.6 Apro una
parentesi per dire che la Reuters, fondata da Paul Josaphat, figlio di
ebrei tedeschi di Kassel, che assunse successivamente il titolo di barone Reuter7, nonostante la sede più conosciuta sia quella tedesca, è
nata in un ufficio della City di Londra.
La City, per coloro che non ne avessero mai sentito parlare, non appartiene all’Inghilterra, è come il Vaticano per l’Italia. «La City è il
più ricco miglio quadrato del mondo perché in soli 2,7 chilometri
quadrati nel cuore di Londra, si dice che abbia 4600 abitanti e circa
mezzo milione di posti di lavoro. Il governo è la Corona, che comprende “13” membri ed è guidato dal Re della City».8 13 membri!
Qui hanno sede le istituzioni economiche più ricche e potenti del
mondo, come la Banca d’Inghilterra, i Lloyds e la Borsa di Londra,
la Barclays e moltissime altre. La Barclays, come abbiamo già avuto modo di vedere, è una delle banche più potenti. Guarda caso è
anche uno dei maggiori azionisti della Reuters9, ma questo, forse,
non è così importante! Che ne dite?
In definitiva, la situazione odierna è questa: pochissime agenzie di
stampa forniscono “notizie” in ogni angolo del pianeta. Se questo non
è una specie di monopolio, quanto ci manca?
Quindi, potete immaginare quanto difficile e delicato sia questo
viaggio, perché trattiamo un tema veramente da Grande Fratello: se
qualcuno (per caso) dovesse controllare le agenzie di stampa, controllerebbe una buona fetta dell’informazione, o no?
Per occuparsi dell’altra parte di questa informazione, e cioè della televisione e degli spettacoli in genere, è obbligatorio far conoscenza con
gli effettivi proprietari di questi mezzi di massa. Non ci vorrà molto,
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perché, come dicevo prima, il loro numero è esiguo per via di una certa tendenza a raggrupparsi e/o fondersi in gruppi più grandi e potenti
con a capo sempre meno persone. Un esempio è l’azienda francese
Vivendi Universal, un gruppo nato come compagnia per la fornitura
d’acqua a Lione. Nel giro di 150 anni si è trasformata in un’azienda
che controlla centinaia di televisioni, radio, giornali, riviste, mezzi di
telecomunicazione, case discografiche e cinematografiche, portali
Internet (Universal Studios, PolyGram, MCA, Sci-Fi Channel, Express, Vodafone [Omnitel], Monaco Telecom e moltissimi altri).
Anche se ultimamente non stanno passando un periodo florido, vediamo chi sono i principali investitori di questa corporazione.
Dietro le quinte troviamo una certa Liberty Media Corporation che
gestisce: Discovery Channel, USA Network, Telemundo, oltre cento
riviste, case di produzione come la USA Films, otto canali digitali, 70
radio e ben 19 milioni di persone cablate in Europa.
E dietro la Liberty chi si nasconde?
Spuntano nomi familiari come la londinese Barclays, la francese AXA
(assicurazioni), la newyorkese Citigroup Inc. (assicurazioni), la FMR
Corporation di Boston (fondiaria) ecc.
Quindi, dietro alle corporazioni multimediali spuntano sempre e solo quelle finanziarie.
Lo scenario, finalmente, inizia a delinearsi.
Oltre alla Vivendi è bene ricordare la News Corporation, della famiglia Murdoch, che ha le mani in pasta, come si suol dire, nel gruppo
Fox Entertainment, National Geographics Channel, 20th Century Fox,
e giornali come: Weekly Standard, TV Guide, New York Post, The Sun
(UK), The Times (UK), Daily Telegraph, The Herald Sun, The Sunday
Telegraph, Independent Newspapers, e nelle televisioni via cavo e/o
via satellite come: Bskyb (UK) con circa sei milioni di abbonati, Star
TV (Asia) e molti altri. Aggiungiamoci anche Tele+, acquisita per un
miliardo di euro.
Con quest’ultima mega-acquisizione Murdoch diventa il signore incontrastato della televisione a pagamento in Italia (controllando l’80
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per cento di Sky Italia). Questa nuova piattaforma unica, chiamata appunto Sky Italia, nascerà dalla fusione di Tele+ e Stream, l’altra pay tv
è controllata per il 50 per cento a testa da News Corp. e Telecom Italia.
Quindi, entro giugno 2003 la televisione a pagamento in Italia sarà
controllata dall’australiano per l’80 per cento e in minima parte da Telecom Italia per il restante 20 per cento.
Il lavoro di Murdoch, nella gestione di tutto questo bendidio è alleggerito dalla Liberty Media Corporation, sua partner. Sì, ancora quella.
Strano questo sodalizio? Assolutamente no, e lo vedremo più avanti!
Un altro impero è rappresentato da AOL/Time Warner, una megafusione che ha permesso di generare un colosso che “controlla le azioni” di circa 64 tra riviste e giornali, incluso Time, Life and People,
oppure case cinematografiche come la Columbia, Warner Bros. e
Castle Rock, Netscape, American Online e perfino la CNN.
A questo punto non sapere chi c’è dietro è un delitto, anche se la risposta la conosciamo già: AXA, Barclays, Citigroup, FMR Co., JP Morgan & Co., e poche altre sorelle.
Gli stessi cartelli, più o meno, che stanno dietro le quinte di quasi tutti i megaimperi transnazionali come Vivendi, Viacom, Liberty Media
Corporation, AOL/Time Warner, AT&T, Walt Disney Company, General Electric ecc.
Per concludere, l’intero sistema delle telecomunicazioni, dell’informazione, dello svago e dello spettacolo, in due parole i mass media,
sono in mano a pochissime lobby della finanza strettamente ed economicamente interconnesse tra loro.
Ricordiamo, allora, che sfogliando un giornale, leggendo un libro o
guardando un bel film, dietro vi è sempre lo zampino di qualcuno che
decide cosa scrivere, cosa dire, registrare e proiettare.
Dietro costoro vi è sempre qualcun altro che decide se tutto quanto fatto è in linea con la politica dell’azienda: in editoria gli editor, nella televisione e nel cinema i produttori ecc. Questi, a loro volta, devono rispondere a chi mette i soldi: gli azionisti.
Un bella matrioska mediatica: apri, apri e alla fine cosa spunta?
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Il cuore, il fulcro… della finanza, purtroppo!
«Esisteva un intero sistema di reparti separati che si occupava di letteratura, di musica, di teatro e di ogni altro genere di svago. Vi si producevano stupidissimi giornaletti che non trattavano di nulla se non di
qualche avvenimento sportivo, di cronaca nera e d’astrologia, qualche
romanzetto da quattro soldi, certi filmetti pieni di cosce e seni nudi e
canzonette sentimentali…».10 Se accendete la tivù o andate in libreria
oppure al cinema, quanto distanti siamo da questa visione orwelliana?
E in Italia? Non vi preoccupate, non mi sono dimenticato.
Se consideriamo, infatti, che la totalità dell’informazione nostrana
è in mano a una singola famiglia, più correttamente a una singola
persona, che tra le altre cose è capo di governo, come possiamo essere tranquilli? In una situazione tale ha ancora senso parlare di democratica libertà d’informazione? Aziende collegate direttamente o
indirettamente con quote azionarie parziali o totali a svariate centinaia di sottoaziende e/o istituti che spaziano da quelli bancari e assicurativi a case editoriali e portali Internet, canali radiotelevisivi e
telegiornali, produzioni musicali, cinematografiche e d’intrattenimento… Insomma l’intero universo della multimedialità!
Un conflitto d’interessi la cui soluzione arriverà forse proprio dal continente australiano. Sembra, infatti, che Rupert Murdoch, oltre alla pay
tv, sia molto interessato anche al «monopolio televisivo di stato». Tanto
interessato da cenare almeno un paio di volte in privato con il nostro
Premier per proporgli uno scambio di quote.
Ma voi chi vorreste come gestore dell’informazione: il capo del governo in carica oppure un “Crocodile Dundee” australiano? Personalmente, se potessi scegliere, nessuno dei due.
In definitiva, se queste megafusioni associative non dovessero rallentare o invertire l’attuale tendenza, tra pochissimi anni avremo due, massimo tre mostri mediatici intercontinentali che controlleranno l’intera
informazione planetaria.
Una piccolissima manciata di personaggi avranno in mano un potere condizionante inaudito.
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Visto che stiamo parlando di potere mediatico, non è sbagliato ricordare pure la “Prelatura della Santa Croce e Opus Dei”, meglio conosciuto semplicemente come Opus Dei.
Lo avrete certamente sentito nominare, perché il 6 ottobre del 2002
è stato santificato il suo fondatore, Josemaria Escrivà de Balaguer.
Per quei fortunati ai quali è sfuggita questa santificazione molto, ma
molto discutibile, l’Opus Dei è l’organizzazione segreta che non risponde alla gerarchia religiosa ma solo al papa in persona. Il papa in
questione è il nostro amatissimo Giovanni Paolo II che il 28 novembre
1982 concesse il titolo di “prelatura personale”11, lo stesso anno che
l’Italia vinse il campionato mondiale di calcio in Spagna. Il paese che,
guarda caso, ha dato i natali a Escrivà e di conseguenza all’Opus Dei.
L’organizzazione ufficialmente è nata il 2 ottobre 1928 a Madrid, ed
è stata trasferita successivamente nella sede pontificia intorno agli
anni Quaranta.
L’Opus Dei oggi è indubbiamente una delle più potenti associazioni a livello mondiale che gestisce e quindi influenza «179 università, 630 quotidiani e riviste, 52 catene televisive».12
Un potere condizionante enorme che interessa quasi sessanta paesi
nel mondo.13
NOTE AL CAPITOLO XXI
1. I cortili dello zio Tom, di Noam Chomsky, tratto da www.transnational.org
2. Idem.
3. Idem.
4. Ansa: www.ansa.it
5. Associated Press: www.ap.org/pages/history/origins.htm
6. Reuters: http://about.reuters.com/companyinformation /editorial.asp
7. I Protocolli dei Savi anziani di Sion, Internazionale Ebraica, 1938.
8. Le società segrete e il loro potere nel Ventesimo secolo, di Jan Van Helsing, Edizioni
Andromeda.
9. Reuters: http://about.reuters.com
10. 1984, di George Orwell.
11. Opus Dei: www.opusdei.org
12. Idem.
13. Idem.
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