Bioenergetica - Filosofia Teoretica

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Bioenergetica - Filosofia Teoretica
Alexander Lowen
Bioenergetica
Feltrinelli Editore
Milano
Titolo dell'opera originale;
Bioenergetics
Copyright © 1975 by Alexander Lowen
(Coward, McCann & Geoghegan, Inc., New York)
Traduzione dall'inglese di
Lucia Cornalba
Supervisione di
Luigi De Marchi
Prima edizione italiana: ottobre 1983
Decima edizione: febbraio 1996
Copyright by
©
Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano
ISBN 88-07-60076-5
Indice
Pag.
7
Nota introduttiva all'edizione italiana
di Luigi de Marchi
Capitolo primo
9
Da Reich alla bioenergetica
Teoria reichianil, 1940·1945, 9. - 1945-1953: lavoro come !era­
pista reichiano, 19. - Sviluppo della bioenergetica, 28
Capitolo secondo
37
Il concetto di energia
Carica, scarica, flusso e movimento, 37. - Siete il vostro corpo,
44.
Mente, spirito e anima, 51. -La vita del corpo: l'esercizio
bioenergetico, 58
-
Capitolo terzo
70
Il
linguaggio del corpo
Il cuore della vita: il cuore della faccenda, 70.
la vita, 75. - Segni ed espressioni del corpo, 84
-
Interagire con
Capitolo quarto
90
Terapia bioenergetica
Viaggio alla scoperta di se stessi, 90. -Il nocciolo della terapia,
101.
Ansia, 107
-
Capitolo quinto
116
Il piacere: un orientamento primario
Il principio del piacere,
116. -L'io e il corpo, 122. - Una carat­
teriologia, 130. - La struttura del carattere schizoide, 131. - La
struttura del carattere orale, 135. -La struttura del carattere psi-
5
Bioenergetica
copatico� 138. - La struttura del carattere masochistico� 142. - La
struttura del carattere rigido, 145. - Gerarchia dei tipi caratte­
riali e dichiarazione di diritti� 148
Capitolo sesto
153
Realtà: un orientamento secondario
Realtà e illusione, 153. - Hang-ups (fissazioni), 160. - Il radica­
mento (grounding), 169
Capitolo settimo
175
Ansia di cadere
La paura dell'altezza, 175. - L'esercitazione a cadere, 179.- Le cau­
se dell'ansia di cadere, 188. - Innamoramento (falling in lave),
192
Capitolo ottavo
199
Stress e sesso
Gravità: una visione generale dello stress, 199. - Dolore alla
bassa schiena, 205. - La scarica sessuale, 216
Capitolo nono
231
Autoespressione e sopravvivenza
Autoespressione e spontaneità, 231. - Suono e personalità, 238. Gli occhi sono lo specchio dell'anima, 247. - Mal di testa, 265
Capitolo decimo
270
Coscienza: unità e dualità
Espansione della coscienza, 270. - Parole e accrescimento della
coscienza, 284. - Principi e carattere, 293
307
6
Indice analitico
Nota introduttiva all'edizione italiana
Bioenergetica, una delle opere più importanti di Alexander
Lowen, viene oggi ad aggiungersi alle altre già tradotte e disponi­
bili in Italia: Amore e orgasmo, Il linguaggio del corpo, Il tradi­
mento del corpo, La depressione e il corpo, Paura di vivere.
È ormai evidente che il mondo editoriale e il pubblico italiano
hanno dimostrato di apprezzare molto questo grande studioso e
terapista delle dinamiche psico-corporee che, muovendo dalle ge­
niali intuizioni di Wilhelm Reich, ha saputo sempre mantenere la
sua piena indipendenza intellettuale e scientifica e sviluppare, sul­
la base della propria esperienza professionale, una teoria e una me­
todologia di grande efficacia clinica.
Nel corso dell'ultimo decennio l'analisi bioenergetica ha riscos­
so in Europa un consenso crescente: e di tale consenso il successo
delle opere di Lowen è stato al tempo stesso causa e risultato.
La rapida diffusione della bioenergetica ha avuto anche i suoi
inconvenienti, perché una quantità di sedicenti terapisti bioener­
geti sono fioriti un po' dovunque.
Per questo è stato importante che in vari Paesi europei (Gran
Bretagna, Francia, Germania Federale, Belgio, Svizzera, Italia) si
formassero gruppi di analisti bioenergetici seriamente addestrati
e sorgessero scuole post-universitarie, riconosciute da Alexander
Lowen e dal suo International Institute far Bioenergetic Analysis
di New York, per la formazione professionale dei futuri analisti.
In Italia l'organizzazione che cura l'albo professionale e il train­
ing personale e tecnico degli analisti bioenergetici è la Società Ita­
liana di Analisi Bioenergetica (SIAB, Via Morgagni 2 b, Roma) ,
diretta dal dr. Tommaso Traetta e da me presieduta.
Confidiamo che la diffusione delle opere di Alexander Lowen
7
Bioenergetica
e il lavoro metodico della SIAB assicureranno anche in Italia uno
sviluppo creativo e professionalmente serio dell'analisi bioener­
getica.
Luglio
8
1983
Luigi de Marchi
Capitolo primo
Da Reich alla bioenergetica
Terapia reichiana, 1940-1945
La bioenergetica si basa sull'opera di Wilhelm Reich, che fu
mio maestro dal 1940 al 1952 e mio analista dal 1942 al 1945.
Conobbi Reich nel 1940 alla New School far Soda! Research di
New York, dove teneva un corso di analisi del carattere. Mi colpl
il programma del corso, che verteva sull'identità funzionale fra il
carattere di una persona e iL suo atteggiamento corporeo, o arma­
tura muscolare. Il termine " armatura " o " corazza " indica lo sche­
ma globale delle tensioni muscolari croniche del corpo. Vengono
definite cosl perché servono a proteggere l'individuo contro le espe­
rienze emotive dolorose e minacciose. Fungono da scherma tura con­
tro gli impulsi pericolosi della sua stessa personalità e contro gli
attacchi da parte degli altri.
Era già qualche anno, ancor prima di conoscere Reich, che mi
occupavo del rapporto fra mente e corpo, un interesse che era na­
to dall'esperienza personale nell'ambito dell'attività fisica, nello
sport e nella ginnastica ritmica. Nel decennio fra il 1 9 30 e il 1940
ero stato direttore atletico di vari campi estivi e avevo notato che
un programma regolare di attività fisica non solo migliorava la mia
salute fisica, ma aveva anche un effetto positivo sul mio stato men­
tale. Nel corso delle mie indagini studiai l'euritmica di Émile Jac­
ques Dalcroze e gli scritti di Edmund Jacobson sul rilassamento
progressivo e sullo yoga. Questi studi confermarono la mia idea
che fosse possibile influenzare gli atteggiamenti mentali lavorando
sul corpo: ma il loro approccio non mi soddisfaceva fino in fondo.
Già alla prima lezione Reich mi affascinò. Introdusse il corso
con una discussione del problema dell'isteria. La psicoanalisi, os­
servò, era riuscita a mettere in luce il fattore storico nella sindro9
Bioenergetica
me della conversione isterica: un trauma sessuale vissuto dal sog­
getto nella prima infanzia e in seguito completamente rimosso e
dimenticato. La rimozione e la successiva conversione delle idee e
delle emozioni rimosse nel sintomo costituiva il fattore dinamico
della malattia. Benché a quel tempo i concetti di rimozione e di
conversione fossero ormai dei punti fermi della teoria psicoanali­
tica, non era affatto chiaro il processo con cui un'idea repressa
veniva convertita in un sintomo fisico. Secondo Reich, quello che
mancava alla teoria analitica era la comprensione del fattore tem­
porale. " Perché ", domandava Reich, "il sintomo si sviluppava in
quel dato momento, e non prima o dopo ? " Per rispondere a que­
sta domanda occorreva sapere che cosa fosse successo nella vita
del paziente in questi anni di transizione. Come egli si poneva in
questo periodo nei confronti dei suoi sentimenti sessuali? Reich
riteneva che la rimozione del trauma originario venisse mantenuta
dalla repressione delle emozioni sessuali. Questa repressione co­
stituiva la predisposizione al sintomo isterico, che veniva scatena­
to da un successivo incidente sessuale. Secondo Reich la repressio­
ne delle emozioni sessuali unita all'atteggiamento caratterologico
che l'accompagnava costituiva la vera nevrosi; il sintomo ne era
solo l'espressione evidente. La considerazione di questo elemento
- cioè del comportamento e dell'atteggiamento del paziente nei
confronti della sessualità - introduceva nel problema della ne­
vrosi un fattore " economico " . Il termine " economico " si riferisce
alle forze che predispongono un individuo a sviluppare sintomi
nevrotici.
L'acume di Reich mi aveva molto colpito. Avendo letto un cer­
to numero di testi di Freud, avevo una certa familiarità con il pen­
siero psicoanalitico, ma mi pareva che da nessuna parte si trattasse
di questo fattore. Sentivo che Reich mi stava introducendo a un
nuovo modo di pensare i problemi umani: ne fui subito entusiasta.
Il pieno significato di questo nuovo approccio mi divenne chiaro
per gradi, a mano a mano che, durante il corso, Reich ampliava
l'esposizione delle sue idee: Mi resi conto che il fattore economico
era un'importante chiave di comprensione della personalità, per­
ché riguardava il modo. in cui una persona manovra la propria
energia sessuale o la propria energia in generale. Quanta energia
ha una persona, e quanta ne scarica nell'attività sessuale? L'eco­
nomia energetica o sessuale di un individuo riguarda l'equilibrio
che egli mantiene fra carica e scarica energetica o fra eccitamento
e scarica sessuale. Il sintomo della conversione isterica si svilupIO
Da Reich alla bioenergetica
pa solo quando questa economia o questo equilibrio vengono scon­
volti. L'armatura muscolare - le tensioni muscolari croniche serve a mantenere l'equilibrio vincolando l'energia che non può es­
sere scaricata.
Il mio interesse per Reich continuava a crescere, via via che
egli esponeva il suo pensiero e le sue osservazioni. La differenza
fra un'economia sessuale sana e una nevrotica non stava nella que·
stione dell'equilibrio. A quei tempi Reich parlava, più che di eco­
nomia energetica, di economia sessuale; ma nella sua mente i due
termini erano sinonimi. Un individuo nevrotico mantiene un certo
equilibrio vincolando la propria energia mediante le tensioni musco­
lari e limitando il proprio eccitamento sessuale. Un individuo sano
non ha limitazioni e la sua energia non è vincolata in un'armatura
muscolare. Perciò tutta la sua energia è disponibile per il piacere
sessuale o per qualsiasi altra espressione creativa. La sua economia
energetica funziona a un alto livello. Molta gente è caratterizzata
da un'economia energetica di basso livello, che è responsabile della
tendenza alla depressione, male endemico della nostra cultura.'
Benché Reich presentasse le sue idee in modo chiaro e logico,
per la prima metà del corso rimasi leggermente scettico. Da allora
ho imparato che è un mio atteggiamento tipico. fl ad esso che devo
in gran parte la mia capacità di pensare autonomamente. Il mio
scetticismo riguardava soprattutto l'importanza, a mio parere ec­
cessiva, che Reich attribuiva al ruolo del sesso nei problemi emo­
tivi. Il sesso non è l'unica risposta, pensavo. Poi, senza che me
ne rendessi conto, all'improvviso questo scetticismo svanl. Per il
resto del corso fui pienamente convinto della validità della posi­
zione reichiana.
La ragione di questo cambiamento mi divenne chiara circa due
anni dopo mentre ero, da non molto tempo, in terapia con Reich.
Mi venne in mente che non avevo finito di leggere uno dei testi
che Reich citava nella bibliografia del corso : i Tre saggi sulla teoria
della sessualità di Freud. Ero arrivato a metà del secondo saggio,
intitolato Sessualità infantile, poi mi ero fermato. Solo allora mi
resi conto che questo saggio aveva toccato la mia ansia inconscia
rispetto alla mia stessa sessualità infantile e che, finché non ero
preparato ad affrontare questa ansia, non potevo continuare a man­
tenermi scettico sull'importanza della sessualità.
·
1 ALEXANDER LowEN, Depression and tbe Body, Coward-McCann & Geoghegan Inc.,
New York, 1972.
Il
Bioenergetica
Il corso di Reich sull'analisi del carattere finì nel gennaio 1 9 4 1 .
Nell'intervallo fra l a fine del corso e il momento in cui entrai in
terapia mi tenni in contatto con lui. Partecipai a una serie di in­
contri nella sua casa di Forest Hills, dove parlammo delle implica­
zioni sociali delle sue idee sull'economia sessuale e sviluppammo
un progetto che si proponeva di metterle in pratica in un program­
ma di salute mentale sul territorio. In questo campo, in Europa,
Reich era stato un pioniere. (Parlerò in modo più particolareggiato
di questo aspetto del suo lavoro e del mio rapporto con lui in un
prossimo libro su Reich.)
Cominciai la terapia personale con Reich nella primavera del
1942 . Nell'anno precedente avevo frequentato con una certa assi­
duità il suo laboratorio. Mi mostrò alcuni dei lavori che stava svol­
gendo sui biopreparati e sui tessuti cancerosi. Poi, un giorno, mi
disse: "Lowen, se ti interessa questo lavoro c'è un solo modo di
entrarci: iniziare la terapia" . Rimasi sorpreso: era una mossa che
non avevo previsto. Gli dissi: "Mi interessa, ma quello che voglio
è diventare famoso " . Reich mi prese sul serio, perché rispose :
"Ti renderò famoso " . L'ho sempre considerata una profezia. Era
la spinta di cui avevo bisogno per superare la mia resistenza e
!andarmi nel lavoro che avrebbe segnato tutta la mia vita.
La mia prima seduta terapeutica con Reich fu un'esperienza
indimenticabile. Vi andai dando ingenuamente per scontato che
in me non ci fosse niente che non andava. Sarebbe stata solo
un'analisi didattica. Mi sdraiai sul letto con indosso un paio di
pantaloncini da bagno. Reich non usava il lettino, perché la sua
era una terapia orientata sul corpo. Mi disse di flettere le ginoc­
chia, rilassarmi e respirare con la bocca aperta e la mandibola rilas­
sata. Seguii le istruzioni e rimasi ad aspettare quello che sarebbe
successo. Dopo un po', Reich disse: "Lowen, lei non sta respi­
rando " . "Ma certo che sto respirando " , risposi, "se no sarei
morto " . " Il petto non si muove " , disse. "Senta il mio . " Gli misi
la mano sul petto e notai che saliva e scendeva ad ogni respiro.
Era evidente che il mio non faceva altrettanto.
Mi adagiai di nuovo all'indietro e ripresi a respirare, questa
volta mandando il petto in fuori quando inspiravo e tirandolo in
dentro quando espiravo. Non accadde niente. Il respiro continua­
va, facile e profondo. Dopo un po' Reich disse: "Lowen, lasci ca­
dere la testa all'indietro e spalanchi gli occhi " . Feci come mi di­
ceva e ... dalla gola mi esplose un grido.
Era uno splendido giorno di primavera e le finestre erano aper12
Da Reich alla bioenergetica
te sulla strada. Per evitare problemi coi vicini, Reich mi disse di
raddrizzare il capo: il grido cessò. Ripresi a respirare profonda­
mente. Stranamente, il grido non mi aveva disturbato. Non vi
ero legato emotivamente. Non avevo affatto paura. Dopo un po'
che respiravo, Reich mi invitò a ripetere la procedura: manda­
re il capo all'indietro e spalancare gli occhi. Di nuovo usd il
grido. Esito a dire che gridai perché non mi pareva di farlo.
Era una cosa che mi succedeva. Anche questa volta me ne sentivo
distaccato. Ma lasciai la seduta con la sensazione di non essere a
posto come pensavo. Nella mia personalità c'erano delle "cose"
(immagini, emozioni) che erano nascoste alla coscienza: sapevo che
dovevano venir fuori.
A quei tempi Reich chiamava la sua terapia Vegetoterapia ana­
litica del carattere. L'analisi del carattere era stata il suo grande
contributo alla teoria psicoanalitica, con cui si era meritato la con­
siderazione di tutti gli analisti. La vegetoterapia era la mobilita­
zione delle sensazioni attraverso la respirazione ed altre tecniche
corporee che attivavano i centri vegetativi (i gangli del sistema
nervoso autonomo) e liberavano energie " vegetative".
La vegetoterapia rappresentava una rottura, un passaggio dal­
l'analisi puramente verbale al lavoro diretto sul corpo. Questo pas­
saggio si era verificato circa nove anni prima nel corso di una
seduta analitica. Ecco come ne parla Reich:
" A Copenaghen, nel 1933, trattai un uomo che aveva svilup­
pato una resistenza particolarmente forte a svelare le proprie fan­
tasie di omosessualità passiva. La resistenza si manifestava in un
atteggiamento di estrema rigidità del collo ('collo rigido'). Dopo
un energico attacco la resistenza d'improvviso cedette, ma in ma­
niera allarmante. Il colore del suo viso continuava a cambiare rapi­
damente dal bianco al giallo o al blu; la pelle era a chiazze di varie
tinte; aveva forti dolori al collo e all'occipite; aveva diarrea, si
sentiva sfatto e pareva aver perso la presa. " 2
L"'energico attacco" era solo verbale, ma era diretto contro
l'atteggiamento a "collo rigido " del paziente. "Gli affetti erano
usciti con violenza a livello somatico dopo che il paziente aveva
abbandonato un atteggiamento psichico di difesa. " Reich allora si
rese conto che " l'energia può essere vincolata da una tensione mu­
scolare cronica " .' A partire da quel momento studiò gli atteggia2 WILHELM REICH, The Function oj the Orgasm, Orgone Institute Press, New York,
1942, pp. 239-40; trad. it.: LA funzione dell'orgasmo, Milano, Sugarco, 19773.
3 Ibid., p. 240.
13
Bioenergetica
menti corporei dei suoi pazienti. Osservò: "Non c'è individuo ne­
vrotico che non presenti una tensione all'addome " .4 Notò la ten­
denza comune a trattenere il respiro e a inibire l'espirazione come
mezzo per controllare i propri sentimenti. Concluse che il tratte­
nere il respiro serviva a diminuire l'energia dell'organismo ridu­
cendone le attività metaboliche, il che, a sua volta, riduceva la pro­
duzione di ansia.
Per Reich, allora, il primo passo della procedura terapeutica
consisteva nel far sl che il paziente respirasse con facilità e a fondo.
Poi si doveva mobilitare l'espressione emotiva, qualunque essa fos­
se, che era più evidente nel viso o nel modo di fare del paziente.
Nel mio caso quest'espressione era la paura. Abbiamo visto che
potente effetto ebbe la tecnica su di me.
Le sedute successive seguirono lo stesso schema generale. Mi
sdraiavo sul letto e respiravo più liberamente che potevo, cercando
di lasciar avvenire una profonda espirazione. Le istruzioni erano
di abbandonarmi al mio corpo senza controllare le espressioni o gli
impulsi che potevano emergere. Accaddero una serie di cose, che
gradualmente mi portarono a contatto con ricordi ed esperienze
precoci. Da principio la respirazione più profonda, a cui non ero
abituato, mi diede forti sensazioni di formicolio alle mani che, in
due occasioni, si trasformarono in un forte spasmo carpopedale,
che mi procurò un crampo alle mani. Quando il mio corpo si adattò
alla maggiore energia prodotta dalla respirazione profonda, questa
reazione scomparve. A volte, quando avvicinavo e scostavo lenta­
mente le ginocchia, mi tremavano le gambe, ed avevo un tremito
alle labbra quando seguivo l'impulso di mandarle in fuori.
Più volte emersero sentimenti e ricordi ad essi associati. Una
volta, mentre giacevo sul letto respirando, il mio corpo cominciò
involontariamente a dondolare. Il dondolio continuò ad aumen­
tare, finché mi misi a sedere. Poi, senza quasi rendermene conto,
scesi dal letto, mi girai in modo da averlo di fronte e cominciai a
batterci sopra con tutti e due i pugni. Mentre lo facevo, sul len­
zuolo comparve il viso di mio padre: d'un tratto seppi che lo stavo
picchiando per uno schiaffo che mi aveva dato da ragazzino. Qual­
che anno dopo domandai a mio padre di quell'incidente. Disse che
era l'unico schiaffo che mi avesse mai dato. Mi spiegò che quel
giorno ero tornato a casa molto tardi; mia madre era arrabbiata e
preoccupata. Mi aveva dato uno schiaffo perché non lo facessi più.
4
14
Ibid., p. 273.
Da Reich alta bioenergetica
Il lato interessante di questa esperienza, come del resto di quella
del grido, era la sua natura completamente spontanea e involon­
taria. Quello che mi aveva spinto a battere i pugni sul letto e a
gridare non era stato un pensiero cosciente, ma una forza interiore
che si era impossessata di me.
Un'altra volta, mentre respiravo steso sul letto, cominciai ad
avere un'erezione. Ebbi l'impulso di toccarmi il pene, ma lo re­
pressi. Poi ricordai un interessante episodio della mia infanzia.
Vidi me stesso a cinque anni : camminavo per casa orinando sul
pavimento. I miei genitori erano fuori. Sapevo che lo facevo per
ripicca nei confronti di mio padre, che il giorno prima mi aveva
sgridato perché mi toccavo il pene.
Ci vollero circa nove mesi di terapia perché scoprissi che cosa
aveva provocato il grido della prima seduta. A mano a mano che
passava il tempo, mi pareva di avere la netta impressione che ci
fosse un'immagine che mi faceva paura. Contemplando il soffitto
dalla mia posizione sul letto, sentivo che un giorno questa imma­
gine sarebbe apparsa. Finalmente apparve: era il viso di mia ma­
dre che abbassava gli occhi su di me con un'espressione fortemente
irata. Seppi immediatamente che era questo il viso che mi aveva
spaventato. Rivissi l'esperienza come se stesse accadendo nel pre­
sente. Avevo circa nove mesi, ero nella carrozzina fuori dalla porta
di casa. Piangevo forte, volevo mia madre. Evidentemente lei ave­
va da fare in casa e il mio pianto insistente l'aveva infastidita.
Uscì: era furiosa. Steso sul letto dello studio di Reich all'età di
trentatré anni, guardai la sua immagine e, usando parole che a nove
mesi non potevo conoscere, dissi: "Perché sei cosi arrabbiata con
me? Piango solo perché ti voglio " .
A quei tempi Reich adottava una tecnica terapeutica diversa.
All'inizio di ogni seduta chiedeva ai pazienti di dirgli tutti i loro
pensieri negativi nei suoi confronti. Riteneva che tutti i pazienti
avessero un transfert negativo oltre a quello positivo e non si fida­
va di quest'ultimo se prima tutte le idee e i pensieri negativi non
venivano espressi. Essendomi impegnato nei confronti di Reich e
della terapia, avevo bandito dalla mia mente tutti i pensieri nega­
tivi. Mi pareva di non avere niente di cui lamentarmi. Reich era
stato molto generoso con me e io non avevo dubbi sulla sua since­
rità e integrità, né sulla validità delle sue idee. Ero fermamente
deciso a far riuscire la terapia: solo quando quasi fallii mi aprii e
svelai a Reich i miei sentimenti.
Dopo l'esperienza paurosa in cui avevo visto il viso di mia
15
Bioenergetica
madre, per un periodo di parecchi mesi non feci progressi. Vedevo
Reich tre volte alla settimana, ma ero bloccato perché non riuscivo
a esprimergli i miei sentimenti nei suoi confronti. Volevo che aves­
se per me un interesse paterno, non solo terapeutico ma, sapendo
che era una richiesta irragionevole, non riuscivo ad esprimerla.
Arrovellandomi tra me e me non arrivavo a niente. Reich sem­
brava non rendersi conto del mio conflitto. Per quanto mi sfor­
zassi di ottenere una respirazione profonda e piena, le cose non
funzionavano.
Ero ormai in terapia da quasi un anno, quando l'impasse co­
minciò ad avviarsi a una soluzione. Pareva che le cose dovessero
continuare cosl all'infinito: Reich mi suggerì di smettere. " Lowen ",
disse, " sei incapace di abbandonarti ai tuoi sentimenti. Perché non
,,
rinunci? Per me era come una sentenza di morte. Una rinuncia
sarebbe equivalsa al fallimento di tutti i miei sogni. Crollai: piansi
amaramente. Era la prima volta da quando ero bambino. Non po­
tevo più trattenere i miei sentimenti. Dissi a Reich cosa volevo da
lui: mi ascoltò con comprensione.
Non so se Reich intendesse veramente por fine alla terapia o
se la sua proposta fosse una manovra per spezzare la mia resisten­
za, ma avevo la netta impressione che facesse sul serio. Comunque
sia, il suo gesto produsse il risultato voluto. Ricominciai a fare
progressi nella terapia.
Per Reich l'obiettivo della terapia era che il paziente svilup­
passe la capacità di abbandonarsi completamente ai movimenti
spontanei e involontari del corpo, che facevano parte del processo
respiratorio. Perciò dava particolare importanza alla necessità di
lasciare che la respirazione avvenisse piena e profonda. Facendo
questo, le onde respiratorie producevano un movimento ondula­
torio del corpo, che Reich chiamava riflesso orgasmico.
Nei primi tempi del suo lavoro psicoanalitico Reich era giunto
alla conclusione che la salute emotiva fosse legata alla capacità di
abbandono totale nell'atto sessuale: quella che lui chiamava po­
tenza orgasmica. Reich aveva notato che non esisteva individuo ne­
vrotico che avesse questa capacità. La nevrosi non solo bloccava
la capacità di abbandonarsi ma, vincolando l'energia in tensioni
muscolari croniche, impediva che fosse disponibile per la scarica
sessuale. Reich aveva anche scoperto che, quando raggiungevano la
capacità di un soddisfacimento orgasmico completo, i pazienti si
liberavano, e rimanevano liberi, da tutti gli atteggiamenti e com­
portamenti nevrotici. Secondo Reich l'orgasmo completo scaricava
16
Da Reich alla bioenergetica
tutta l'energia in eccesso dell'organismo: di conseguenza non c'era
più energia per sostenere o mantenere il sintomo o il comporta­
mento nevrotico.
È importante capire che la definizione reichiana di orgasmo
era diversa da quella di eiaculazione o di climax. L'orgasmo rap­
presenta una risposta involontaria della totalità del corpo, che si
manifesta in movimenti ritmici e convulsi. Lo stesso tipo di movi­
mento può verificarsi anche quando la respirazione è compléta­
mente libera e ci si abbandona al proprio corpo. In questo caso
non c'è climax né scarica dell'eccitamento sessuale, perché il pro­
cesso dell'eccitamento non c'è stato. Succede questo: ad ogni espi­
razione la pelvi si muove spontaneamente in ·avanti, e ad ogni inspi­
razione si sposta all'indietro. Questi movimenti sono prodotti dal­
l'onda respiratoria che, nell'espirazione e nell'inspirazione, percorre
il corpo verso il basso e verso l'alto. Nello stesso tempo il capo
esegue dei movimenti simili a quelli della pelvi, solo che nella fase
dell'espirazione si sposta all'indietro e in quella dell'inspirazione
in avanti. In teoria, un paziente il cui corpo sia abbastanza libero
da avere questo riflesso durante la seduta terapeutica dovrebbe an­
che essere in grado di provare l'orgasmo completo nell'atto ses­
suale. Lo si potrebbe considerare emotivamente sano.
È probabile che, leggendo La funzione dell'orgasmo 5 di Reich,
molti abbiano pensato che queste idee fossero fantasie di una mente
ossessionata dal sesso. Tuttavia, quando le espresse per la prima
volta, Reich era già uno stimatissimo psicoanalista didatta e la sua
formulazione della teoria e della tecnica dell'analisi del carattere
veniva considerata uno dei maggiori contributi alla teoria analitica.
La maggior parte degli psicoanalisti però non accettavano queste
idee e ancor oggi gli studiosi di problemi sessuali per lo più le
ignorano. Ma le idee di Reich diventano una realtà convincente
quando, come me, se ne sperimenta la validità sul proprio corpo.
Questa convinzione basata sull'esperienza personale spiega come
molti psichiatri e non psichiatri che lavorarono con Reich diven­
nero, almeno per un certo tempo, suoi entusiasti seguaci.
In seguito allo scoppio di pianto e alla rivelazione dei miei
sentimenti per Reich, la mia respirazione divenne più facile e li­
bera, la mia capacità di risposta sessuale più profonda e piena.
Nella mia vita si verificarono una serie di cambiamenti. Sposai la
' Queste idee vennero pubblicate per la prima volta in un libro precedente, Die
Funktion des Orgasmus, lnternationaler Psychoanalytischer Verlag, 1927.
17
Bioenergetica
ragazza di cui ero innamorato. Per me l'impegno del matrimonio
era un grosso passo. Mi stavo anche preparando per diventare un
terapista reichiano. In quell'anno frequentai un seminario clinico
sull'analisi del carattere, condotto dal dott. Theodore P. Wolfe,
che era il più stretto collaboratore di Reich in America ed aveva
tradotto le sue prime pubblicazioni in lingua inglese. Avevo da
poco terminato gli studi preparatori di medicina e, per la seconda
volta, stavo facendo domanda di ammissione presso una serie di
scuole mediche. La mia terapia faceva progressi continui ma lenti.
Benché nelle sedute non emergessero all'improvviso sentimenti o
ricordi particolarmente significativi, sentivo che non era lontano il
momento in cui avrei conquistato la capacità di abbandonarmi alle
sensazioni sessuali. Mi sentivo anche più vicino a Reich.
Era estate: Reich prese un lungo periodo di vacanza. Smise di
lavorare in giugno e riprese a metà settembre. Per quell'anno la
terapia stava per concludersi: Reich mi propose di interromperla
per un anno. Sapevo tuttav!a che non era ancora finita: benché
sapessi di esservi molto vicino, il riflesso orgasmico non si svilup­
pava in modo chiaro. Ci avevo messo molto impegno, ma era pro­
prio questo sforzo che impediva il successo. L'idea di prendermi
un po' di vacanza mi parve buona e accettai la proposta di Reich.
Avevo anche dei motivi personali per prendere questa decisione.
Non riuscendo a. entrare in una scuola di medicina, nell'autunno
del 1944 mi iscrissi a un corso di anatomia umana generale alla
New York University.
Ripresi la terapia con Reich nell'autunno del 1945, con la fre­
quenza di una seduta alla settimana. Nel giro di breve tempo il
riflesso orgasmico emerse con una certa continuità. I motivi di que­
sto sviluppo positivo erano molti. Nell'anno in cui mi ero concesso
una vacanza dalla terapia avevo sospeso gli sforzi di compiacere
Reich e di conquistare la salute sessuale: avevo così potuto assi­
milare e integrare il lavoro fatto in precedenza. Sempre in quel­
l'epoca ebbi in terapia il mio primo paziente, e questo rappresentò
per me uno stimolo enorme. Avevo la sensazione di avercela fatta
ed ero consapevole di avere acquistato una grande sicurezza riguar­
do alla mia vita. Abbandonarmi al mio corpo - che significava an­
che abbandonarmi a Reich - divenne molto facile. Nel giro di
pochi mesi fu chiaro a entrambi che, in base ai criteri reichiani,
la mia terapia si era ormai conclusa con successo. Alcuni anni più
tardi, tuttavia, mi resi conto di non aver risolto molti dei problemi
principali della mia personalità. Non avevamo discusso fino in fon18
Da Reich alla bioenergetica
do la mia paura - spesso irragionevole - di chiedere quello che
volevo. Non avevamo elaborato appieno la mia paura del falli­
mento e il mio bisogno di riuscire. Non avevamo analizzato la mia
incapacità di piangere, a meno che non fossi messo alle strette.
Risolsi questi problemi molti anni dopo grazie alla bioenergetica.
Non intendo dire che la terapia con Reich fu inefficace. Non
risolse fino in fondo tutti i miei problemi, d'accordo, ma me ne
rese più consapevole. E, quello che più conta, mi apri la strada
della realizzazione di me stesso e mi aiutò ad avanzare verso que­
sto obiettivo. Rinforzò e approfondì il mio impegno nei confronti
del corpo, che è la base della personalità. Infine, mi permise di
identificarmi positivamente con la mia sessualità, che si è rivelata
poi essere il punto nodale della mia vita.
1945-1953:
lavoro come terapista reichiano
Nell'autunno del 1945 ebbi il mio primo paziente. Non avevo
ancora frequentato la scuola medica, ma Reich caldeggiò l'inizia­
tiva: avrei così completato la mia preparazione e il training svolto
con lui, che comprendeva la terapia personale. Questo training
comportava l'assidua frequenza di seminari clinici sulla vegetote­
rapia, che si svolgevano sotto la direzione del dott. Theodore
Wolfe, e di seminari che Reich teneva a casa sua, in cui esponeva
le basi teoriche del suo approccio, ponendo l'accento sulle conce­
zioni biologiche ed energetiche che spiegavano il suo lavoro sul
corpo.
A mano a mano che le idee reichiane venivano divulgate l'in­
teresse per la sua terapia cresceva. Questo processo era stato acce­
lerato dalla pubblicazione nel 1941 della Funzione dell'orgasmo
(che tuttavia non era stato accolto con favore dalla critica e non
aveva avuto un'ampia diffusione) . Reich aveva creato una propria
casa editrice, la Orgone Institute Press, che non aveva venditori
e non faceva pubblicità, per cui la promozione delle sue idee e del
libro era affidata unicamente alla segnalazione dei singoli lettori.
Cionondimeno le sue idee, benché lentamente, si diffusero e la
richiesta di terapia reichiana aumentò. Ma gli analisti preparati a
praticare l'analisi del carattere erano pochi e fu questo, insieme
al fatto che mi sentivo ormai pronto, a determinare l'inizio della
mia attività di terapista.
Praticai la terapia reichiana per due anni, prima di partire per
19
Bioenergetica
la Svizzera. Nel settembre del 1947 lasciai New York insieme a
mia moglie per entrare nella scuola medica dell'Università di Gine­
vra, dove mi laureai in medicina nel giugno del 1 9 5 1 . Mentre mi
trovavo in Svizzera continuai, sebbene in misura limitata, a pra­
ticare la terapia reichiana con pazienti svizzeri che avevano sentito
parlare del lavoro di Reich e speravano di trarre vantaggio dal suo
nuovo approccio terapeutico. Come molti giovani terapisti, partii
dando ingenuamente per scontato di sapere qualcosa dei problemi
emotivi della gente, con una sicurezza che si basava più sull'entu­
siasmo che sull'esperienza. Ripensando a quegli anni mi rendo con­
to dei limiti della mia capacità di comprensione e della mia tecnica.
Ritengo comunque di aver aiutato qualcuno. Il mio entusiasmo
era una forza positiva e quella di insistere sulla respirazione e sul­
l'" abbandono" era una direttiva buona.
Prima della mia partenza per la Svizzera la terapia reichiana
aveva subito un importante sviluppo : il contatto diretto con il
corpo del paziente, che doveva servire a scaricare le tensioni mu­
scolari che bloccavano la sua capacità di abbandonarsi alle sensa­
zioni e di lasciar avvenire il riflesso orgasmico. Anche con me, a
volte, Reich aveva applicato una certa pressione delle mani su
alcuni muscoli tesi per aiutarli a rilassarsi. Di solito, sia con me
che con altri, faceva pressione sulla mascella. La maggior parte
delle persone ha i muscoli della mascella estremamente tesi: si tie­
ne la mascella contratta in un atteggiamento di determinazione
spesso quasi arcigno, oppure spinta in avanti a mo' di sfida, o ec­
cessivamente ritratta. In tutti questi casi la mandibola non è per­
fettamente mobile e questa posizione fissa denota un atteggiamento
strutturato. Sotto pressione, i muscoli della mandibola si affaticano
e "mollano " . Risultato, la respirazione diventa più libera e profon­
da e spesso nel corpo e nelle gambe compaiono dei tremiti invo­
lontari. Fra le altre zone di tensione muscolare a cui veniva ap­
plicata la pressione c'erano la nuca, la bassa schiena e i muscoli
adduttori delle cosce. Sempre, comunque, la pressione veniva ap­
plicata in modo selettivo solo nei punti in cui tastando si rilevava
la presenza di uno spasmo muscolare cronico.
L'imposizione delle mani costituiva una grossa deviazione dal­
la pratica analitica tradizionale. Nell'analisi freudiana qualsiasi con­
tatto fisico fra analista e paziente era rigorosamente proibito. L'ana­
lista sedeva dietro al paziente, senza che questi lo vedesse, e fun­
geva da schermo, su cui il paziente proiettava i propri pensieri.
Il terapista non era del tutto inattivo, perché i suoni che emetteva
20
Da Reich alla bioenergetica
e le interpretazioni delle idee espresse dal paziente influivano no­
tevolmente sul processo di pensiero. Con Reich l'analista divenne
una forza attiva nel processo terapeutico: sedeva di fronte al pa­
ziente, che dunque lo poteva vedere e, quando lo riteneva neces­
sario o opportuno, non evitava il contatto fisico con lui. Il ricordo
che ho di Reich nelle sedute è quello di un uomo massiccio con
dolci occhi marrone e delle mani forti e calde.
Oggi non ci rendiamo conto del progresso rivoluzionario che
rappresentò a quei tempi la sua terapia e dell'ostilità e dei sospetti
che suscitò . A causa del forte accento posto sulla sessualità e del­
l 'impiego del contatto fisico fra terapista e paziente, i terapisti rei­
chiani vennero accusati di ricorrere alla stimolazione sessuale per
favorire la potenza orgasmica.
Fu detto che Reich masturbava i suoi pazienti. Niente di più
lontano dal vero. Ma questa calunnia rivela quanto erano temute
a quei tempi la sessualità e il contatto fisico. Fortunatamente negli
ultimi trent'anni le cose sono molto cambiate. Si comincia a rico­
noscere l'importanza del toccare come forma primaria di contatto 6
e il suo valore nella situazione terapeutica è fuori questione. Natu­
ralmente il contatto fisico col paziente comporta una forte respon­
sabilità per il terapista, che deve rispettare il rapporto terapeutico
ed evitare qualsiasi forma di coinvolgimento sessuale.
Vorrei aggiungere che nella bioenergetica i terapisti vengono
preparati a usare le mani per palpare e sentire le spasticità o bloc­
chi muscolari, ad applicare la pressione necessaria a scaricare o ri­
durre la contrazione dei muscoli (essendo però sensibili alla tolle­
ranza del dolore da parte del paziente) e a stabilire un contatto me­
diante un tocco dolce e rassicurante che dia appoggio e calore.
E difficile oggi rendersi conto del grande passo fatto da Reich
nel 1943.
L'uso della pressione fisica facilitava la fuoriuscita dei senti­
menti e il corrispondente emergere dei ricordi. Serviva inoltre ad
accelerare il processo terapeutico : questo si rese necessario quando
le sedute vennero ridotte a una alla settimana. A quell'epoca Reich
aveva ormai sviluppato una grande abilità nel leggere il corpo :
sapeva come applicare una pressione tale da scaricare le tensioni
muscolari, facendo nascere nel corpo il flusso di sensazioni che
chiamava streamings [sensazioni di corrente ] . Già nel 1947,
6
AsHLEY MoNTAGU, Touching: The Human Significance of the Skin, Columbia Uni­
vetsity Press, New York, 197L
21
Bioenergetica
con alcuni pazienti Reich fu in grado di provocare il riflesso del­
l'orgasmo in sei mesi di terapia. Per comprendere l'importanza di
questo risultato si pensi che, prima di raggiungere stabilmente il
riflesso dell'orgasmo, io ero stato in terapia per quasi tre anni,
con una frequenza di tre sedute alla settimana.
Mi sia consentito sottolineare che il riflesso dell'orgasmo non
è un orgasmo. L'apparato genitale non vi è implicato. Non c'è ec­
citamento e, dunque, nessuna scarica dell'eccitamento sessuale. La
presenza di questo riflesso indica che il paziente è pronto per questa
scarica, se è in grado di trasportare l'abbandono nella situazione
sessuale. Ma non necessariamente questo trasferimento avviene.
Le due situazioni, quella sessuale e quella terapeutica, sono diver­
se; la prima è molto più carica, dal punto di vista sia emotivo che
energetico. Nella situazione terapeutica il paziente ha inoltre il
vantaggio di essere appoggiato dal terapista : se questi è un indi­
viduo dalla forte personalità come Reich, tale appoggio può essere
un fatto potente. Comunque in assenza del riflesso dell'orgasmo è
improbabile che un individuo consenta i movimenti involontari
della pelvi che si verificano al culmine dell'atto sessuale. Questi
movimenti sono la base di una risposta orgasmica completa. Non
dimentichiamo che nella teoria reichiana il criterio della salute
emotiva è la risposta orgasmica nell'atto sessuale, e non il riflesso
dell'orgasmo.
Ciò non toglie che il riflesso dell'orgasmo abbia di fatto alcuni
effetti positivi sulla personalità. Anche se si verifica nell'atmosfera
rassicurante della situazione terapeutica, viene vissuto come una
esperienza rinvigorente e liberatoria. L'individuo ha la percezione
di ciò che si prova ad essere liberi dalle inibizioni. Al tempo stesso
si sente collegato e integrato con il proprio corpo e, attraverso di
esso, con l'ambiente. Prova un senso di benessere e di pace inte­
riore. Comprende che la vita del corpo sta nel suo aspetto involon­
tario. Posso testimoniare di questa reazione in base alla mia espe­
rienza personale e ai commenti raccolti dai pazienti in tanti anni.
Purtroppo gli stress quotidiani a cui siamo sottoposti nella no­
stra civiltà non sempre permettono che queste belle sensazioni du­
rino. Il ritmo e la filosofia dei nostri tempi sono una negazione del­
la vita. Troppo spesso accade che il riflesso dell'orgasmo si perda,
se il paziente non ha imparato a far fronte agli stress della vita
senza ricorrere a schemi nevrotici di comportamento. Ìl quanto
accadde a due pazienti che Reich a quel tempo aveva in terapia.
Alcuni mesi dopo aver concluso il trattamento - apparentemente
22
Da Reich alla bioenergetica
con s.uccesso - vennero a chiedermi di riprendere la terapia, per­
ché non erano stati in grado di mantenere i benefici acquisiti con
Reich. Mi resi conto allora che non poteva esistere una scorciatoia
per la conquista della salute emotiva e che l'elaborazione continua
di tutti i problemi di un individuo era l'unica strada per garantire
l'optimum del funzionamento. Tuttavia ero ancora convinto che la
sessualità fosse la chiave per la soluzione dei problemi nevrotici
dell'individuo.
Sarebbe facile criticare Reich per l'accento posto sulla centra­
lità del sesso, ma personalmente non intendo farlo. La sessualità
era ed è la chiave di tutti i problemi emotivi; ma i disturbi del
funzionamento sessuale possono essere compresi solo nel contesto
globale della personalità da un lato e, dall'altro, delle condizioni
sociali in cui vive. Nel corso di questi anni, se pure con riluttanza,
sono giunto alla conclusione che non esiste una chiave unica in
grado di aprire le porte del mistero della condizione umana. La
mia riluttanza nasceva dal profondo desiderio di credere che esi­
stesse una risposta unica. Oggi penso in termini di polarità, con
gli inevitabili conflitti e le soluzioni temporanee che essa comporta.
Una concezione della personalità che consideri il sesso l'unica chia­
ve di comprensione è troppo limitata, ma ignorare il ruolo svolto
dalla pulsione sessuale nel dar forma alla personalità individuale
significa ignorare una delle più importanti forze esistenti in natura.
In una delle sue prime formulazioni, prima di enunciare il con­
cetto dell'istinto di morte, Freud aveva postulato l'esistenza di
un'antitesi fra istinti dell'io e istinto sessuale. Il primo ricerca la
conservazione dell'individuo, il secondo mira alla conservazione
della specie. Questo implica che fra individuo e società vi sia un
conflitto, che di fatto nella nostra civiltà esiste. Un altro conflitto
inerente a questa antitesi è quello fra ricerca del potere (che è una
pulsione dell'io) e ricerca del piacere (pulsione sessuale). Nella no­
stra civiltà, l'eccessiva accentuazione del potere mette l'io contro
il corpo e la sessualità, e crea un antagonismo fra impulsi che, in
linea ideale, dovrebbero sostenersi e rinforzarsi a vicenda. Tuttavia
non si può giungere all'estremo opposto dando importanza alla
sola sessualità. E quanto mi divenne chiaro dopo che per un certo
tempo avevo perseguito, senza successo, l'unico obiettivo della rea­
lizzazione sessuale dei miei pazienti, adeguandomi dunque a Reich.
Nell'uomo occidentale l'io è una forza potente che non può essere
liquidata o negata. L'obiettivo terapeutico è di integrare l'io con
il corpo e la sua ricerca del piacere e della realizzazione sessuale.
23
Bioenergetica
Sono arrivato a comprendere questa verità dopo anni di duro
lavoro e non senza aver fatto la mia parte di sbagli. Nessuno sfugge
alla regola che l'apprendimento avviene attraverso il riconoscimen­
to dei propri errori. Se non avessi perseguito con decisione l'obiet­
tivo del soddisfacimento sessuale e della potenza orgasmica, però,
non avrei capito la dinamica energetica della personalità. E senza
il criterio del riflesso orgasmico è impossibile comprendere i movi­
menti e le reazioni involontarie dell'organismo umano.
Nel comportamento e nel funzionamento dell'uomo vi sono
ancora molti elementi misteriosi che la ragione non riesce ad affer­
rare. Prima di lasciare New York, per esempio, per circa un anno
ebbi in trattamento un giovane che aveva molti gravi problemi.
Provava una fortissima ansia ogni volta che si avvicinava a una
ragazza. Si sentiva inferiore, inadeguato e aveva parecchie tendenze
masochistiche. A volte aveva l'allucinazione che il diavolo lo spias­
se da un angolo. Nel corso della terapia i suoi sintomi fecero qual­
che progresso, ma non si poteva assolutamente dire che fossero
risolti. Aveva sviluppato un rapporto stabile con una ragazza, ma
nel climax sessuale provava poco piacere.
Lo rividi cinque anni più tardi, dopo il mio ritorno in America.
Mi narrò una storia affascinante. Dopo la mia partenza era rimasto
senza terapista, per cui aveva deciso di continuare la terapia da·
solo, svolgendo fra l'altro gli esercizi fondamentali di respirazione
che avevamo usato nel corso della terapia. Ogni giorno, tornato a
casa dal lavoro, si sdraiava sul letto e si abbandonava, come aveva
fatto con me, a una respirazione profonda e rilassata. Un giorno
era accaduto il miracolo : l'ansia era scomparsa. Si sentiva sicuro
di sé, la tendenza all'autosvalutazione era scomparsa. Ma, fatto an­
cora più importante, nell'atto sessuale raggiunse un pieno grado di
potenza orgasmica. Aveva orgasmi completi e soddisfacenti. Era
una persona diversa.
"Durò solo un mese ", mi confessò con rammarico. All'improv­
viso, come si era verificato, il cambiamento· era svanito e si era
ritrovato di nuovo immerso nella vecchia sofferenza. Iniziò allora
una terapia con un altro terapista reichiano; andò avanti per pa­
recchi anni ma, di nuovo, con scarso successo. Quando ripresi a
praticare tornò in terapia da me. Lavorai con lui per altri tre anni
circa e lo aiutai a superare molti dei suoi problemi. Ma il miracolo
non accadde più. Non raggiunse mai, nel sesso o in altri settori,
i livelli del breve periodo successivo alla mia partenza.
Come spiegare lo scoppio inaspettato di salute che pareva av-
24
Da Reich alla bioenergetica
venire da sé, e la sua successiva scomparsa? L'esperienza del mio
paziente mi fece venire in mente Lost Horizon di James Hilton,
che a quell'epoca era molto in voga. L'eroe della storia, Conway,
viene sequestrato insieme ad altri passeggeri su di un aereo e por­
tato in una valle nascosta entro una remota fortezza situata nella
catena dell'Himalaya. Il nome della fortezza è Shangri-La, che let­
teralmente significa " fuori dal mondo " . Per coloro che vivono in
questa valle pare che la vecchiaia e la morte siano rimandate o
sospese. Il principio che li governa è la moderazione, anch'essa
una cosa che non è ·"di questo mondo " . Conway è tentato di re­
stare a Shangri-La; trova estremamente piacevole questo modo di
vivere sereno e ragionevole. Benché gli offrano di governare la co­
munità della vallata, si lascia convincere dal fratello che è tutta
una fantasia. Il fratello, che si è innamorato di una ragazza cinese,
induce Conway a fuggire e a tornare nella " realtà" . Partono; ma
appena fuori dalla valle Conway assiste con orrore alla trasforma­
zione della giovane cinese, che diventa una vecchia e muore. Quale
delle due realtà è più valida? Conway decide di tornare a Shangri­
La, ma, alla fine del racconto, lo troviamo che erra per le montagne
alla ricerca del suo "lost horizon" [orizzonte perduto].
Si può spiegare la trasformazione improvvisa verificatasi nel
mio paziente supponendo che ci fosse stato un cambiamento nel
suo senso della realtà. Per un mese anche il mio paziente era uscito
" fuori dal mondo " e, facendolo, si era lasciato dietro le spalle tutte
le ansie, i sensi di colpa e le inibizioni legate al fatto di vivere in
questo mondo. Indubbiamente molti fattori. avevano contribuito a
produrre questo effetto. A quei tempi fra coloro che erano coinvolti
con il lavoro di Reich, che fossero studenti o pazienti, era diffuso
un senso di euforia e di eccitazione. Si aveva la sensazione che
Reich avesse enunciato una verità fondamentale sugli esseri umani
e la loro sessualità. Le sue idee avevano un fascino rivoluzionario.
Sono certo che il mio paziente aveva assorbito questa atmosfera
che, insieme alla respirazione più profonda, poteva aver prodotto
il notevole effetto descritto sopra.
L'uscita dal proprio mondo o dal proprio sé abituale è una
esperienza trascendentale. Molti hanno avuto esperienze simili, di
durata più o meno breve. Comune a tutti è un senso di libera­
zione, di sollievo e la scoperta di un sé pienamente vivo e capace
di una risposta spontanea. Ma queste trasformazioni appaiono in
modo inaspettato e non possono essere pianificate. Purtroppo il
processo inverso avviene spesso con altrettanta rapidità e nel giro
25
Bioenergetica
di una notte il cocchio scintillante torna ad essere la zucca che era
in origine. Ci rimane allora un senso di stupore: qual è la vera
realtà del nostro essere? Perché non possiamo restare in quello
stato liberato?
La maggior parte dei miei pazienti ha avuto alcune esperienze
trascendentali nel corso della terapia. Ciascuna di esse dischiude
un orizzonte che prima era oscurato da una fitta nebbia e che,
d'improvviso, viene scorto con chiarezza. Anche se la nebbia cala
di nuovo, il ricordo resta e motiva l'individuo a continuare nell'im­
pegno del cambiamento e della crescita.
Se cerchiamo la trascendenza può accaderci di avere molte vi­
sioni, ma è certo che alla fine torneremo al punto da cui eravamo
partiti. Se optiamo per la crescita, invece, possiamo anche avere i
nostri momenti di trascendenza, che però saranno le esperienze
estreme lungo la via che con costanza ci porta verso un'individua­
lità più ricca e sicura.
La vita stessa è un processo di crescita che comincia con la
crescita del corpo e dei suoi organi, passa per lo sviluppo delle
abilità motorie, l 'acquisizione delle conoscenze, l'estensione dei
rapporti e finisce nella somma di esperienze che chiamiamo sag­
gezza. Questi aspetti della crescita si sovrappongono, perché la vita
e la crescita avvengono in un ambiente naturale, culturale e sociale.
E questo processo, pur essendo continuo, non è mai uniforme. Ci
sono periodi di livellamento in cui si assimilano le esperienze e
l'organismo si prepara per una nuova ascesa. Ogni ascesa porta a
un nuovo culmine e crea quella che chiamiamo esperienza estrema.
Ogni esperienza estrema, a sua volta, deve essere integrata nella
personalità: solo cosl potrà esserci una nuova crescita e l'individuo
giungerà alla fine a una condizione di saggezza. Una volta dissi a
Reich che avevo una definizione della felicità. Sollevò le sopracci­
glia e, guardandomi con aria interrogativa, mi domandò quale fos­
se. " La felicità è la consapevolezza della crescita " , risposi. Il suo
viso si spianò: "Non male ", fu il commento.
Se la mia definizione ha una sua validità, allora possiamo dire
che la maggior parte della gente che viene in terapia lo fa perché
ha la sensazione che il processo di crescita si sia arrestato e spera
di poterlo reinstaurare. La terapia può farlo se fornisce nuove espe­
rienze e aiuta a rimuovere o a ridurre i blocchi e gli ostacoli che
ne impediscono l'assimilazione. Questi blocchi sono schemi strut­
turati di comportamento che rappresentano una soluzione insoddi­
sfacente, di compromesso, di conflitti infantili. Creano il sé nevro-
26
Da Reich alla bioenergetica
tico e limitato da cui il soggetto cerca di sfuggire, di liberarsi.
Ripercorrendo il suo passato, nella terapia il paziente porta allo
scoperto i conflitti originari e trova nuovi modi di affrontare le
situazioni che negavano o minacciavano la vita costringendolo, per
sopravvivere, a crearsi una "corazza " . Solo facendo rivivere il pas­
sato di una persona se ne favorisce un'autentica crescita nel pre­
sente. Se il passato viene escluso, il futuro non esiste.
La crescita è un processo naturale; non possiamo costringerla
a verificarsi. La sua legge è comune a tutti gli esseri viventi. Un
albero, per esempio, cresce verso l'alto solo se le sue radici scen­
dono sempre più in profondità nella terra. Impariamo studiando
il passato. Allo stesso modo una persona può crescere solo raffor­
zando le proprie radici nel suo stesso passato. E il passato di una
persona è il suo corpo.
Riandando col pensiero a quegli anni entusiasmanti mi rendo
conto di quanto fosse ingenua la mia fiducia in una tecnica che
fosse in grado di risolvere con facilità i problemi profondamente
strutturati dell'individuo moderno. Non voglio con questo dire che
Reich si facesse delle illusioni sull'immenso compito che lo aspet­
tava. Era perfettamente consapevole della situazione. La sua ricerca
di mezzi più efficaci per trattare questi problemi derivava proprio
da questa consapevolezza.
Gli rimaneva da indagare la natura dell'energia che opera negli
organismi viventi. Come è noto, sosteneva di aver scoperto una
nuova energia che chiamò orgone, termine che derivava da orga­
nico e organismo. Inventò un apparecchio che poteva accumulare
questa energia e caricarne il corpo di chiunque vi si sedesse dentro.
lo stesso ho costruito di questi " accumulatori" e li ho usati perso­
nalmente. In alcuni casi si sono rivelati utili, ma non hanno nessun
effetto sui problemi della personalità. A livello individuale, per
risolvere questi problemi occorre ancora una combinazione di ac­
curato lavoro analitico e di un approccio fisico che aiuti l'individuo
a scaricare le spasticità muscolari croniche che inibiscono la sua
libertà e creano delle costrizioni alla sua vita. A livello sociale è
necessario che cambino e si evolvano gli atteggiamenti dell'uomo
verso se stesso, verso l'ambiente e verso il genere umano nel suo
complesso.
Reich portò grossi contributi a entrambi i livelli. Il suo ap­
porto alla spiegazione della struttura del carattere e la sua dimo­
strazione dell'identità funzionale di quest'ultima con l'atteggia­
mento corporeo rappresentarono degli importanti passi avanti nella
27
Bioenergetica
comprensione del comportamento umano. Introdusse il concetto
di potenza orgasmica come criterio di salute emotiva (e certamente
lo è) e mostrò che la sua base fisica era il riflesso orgasmico del
corpo. Ampliò la nostra conoscenza dei processi corporei scoprendo
il significato e l'importanza delle reazioni involontarie del corpo.
E sviluppò una tecnica relativamente efficace per trattare i disturbi
della vita emotiva (involontaria) dell'individuo.
Reich sottolineò con chiarezza come la struttura della società
si rifletta nella struttura caratteriale dei suoi membri, intuizione
questa che contribuì a chiarire gli aspetti irrazionali della politica.
Vide la possibilità di un'esistenza libera dalle inibizioni e dalle re·
pressioni che strangolano l'impulso vitale. Se mai questa visione
dovrà realizzarsi, credo che lo farà seguendo la direzione indicataci
da Reich.
Per il nostro scopo presente, il più grande contributo di Reich
è stata la sua definizione del ruolo centrale che deve svolgere il
corpo in una teoria della personalità. Il suo lavoro ha fornito le
basi su cui è stato costruito l'edificio della bioenergetica.
Sviluppo della bioenergetica
Spesso mi sento chiedere: " Che differenza c'è fra la bioenerge­
tica e la terapia reichiana? " Il modo migliore di rispondere a que­
sta domanda è di continuare a tracciare la storia dello sviluppo del­
la bioenergetica .
Nel 1952, un anno dopo il mio ritorno dall'Europa, terminai
il periodo di internato. Venni a sapere allora che nell'atteggiamento
di Reich e dei suoi seguaci si era verificata una serie di cambia­
menti. L'entusiasmo e l'eccitazione, così evidenti negli anni dal
1945 al 1947, avevano ceduto il posto allo scoraggiamento e a un
senso di persecuzione. Reich aveva smesso ogni terapia personale
e si era trasferito a Rangeley, nel Maine, dove si dedicava intera­
mente alla fisica organica. Il termine " vegetoterapia analitica del
carattere " era stato abbandonato a favore di un altro, " terapia
organica " . Ne era risultata una diminuzione dell'interesse per l'arte
dell'analisi del carattere e una maggiore accentuazione dell'applica­
zione dell'energia organica mediante l'impiego dell'accumulatore.
Il senso di persecuzione era generato in parte dall'atteggia·
mento cdtico assunto dall'ambiente medico-scientifico nei confronti
delle idee di Reich, in parte dall'aperta ostilità di molti psicoanalisti
28
Da Reich alla bioenergetica
e in parte da angosce endogene di Reich e dei suoi seguaci. Lo
scoraggiamento derivava dal fallimento di un esperimento condotto
da Reich nel suo laboratorio del Maine, che riguardava l'interazione
fra energia organica e radioattività. L'esperimento ebbe un effetto
negativo: Reich e i suoi assistenti si ammalarono e dovettero ab­
bandonare il laboratorio per un certo periodo. Contribuiva inoltre
a creare scoraggiamento il fatto che fosse crollata la speranza di
trovare una terapia relativamente rapida ed efficace per la cura delle
nevrosi.
Io non condividevo questi sentimenti. Il fatto di essere rimasto
per cinque anni lontano da Reich e dai suoi problemi mi consen­
tiva di conservare l'eccitazione e l'entusiasmo dei primi anni. Inol­
tre gli studi fatti alla scuola medica e l'esperienza dell'internato mi
avevano più che mai convinto della validità generale delle idee di
Reich. Per questo motivo ero riluttante a identificarmi interamente
con il gruppo dei terapisti organici : una riluttanza ulteriormente
aumentata dalla consapevolezza che i seguaci di Reich avevano or­
mai una devozione fanatica per lui e per la sua opera. Si riteneva
che fosse presuntuoso, se non eretico, mettere in dubbio qualcuna
delle sue affermazioni o modificare le sue idee alla luce dell'espe­
rienza personale. Mi era chiaro che un atteggiamento del genere
avrebbe soffocato qualsiasi lavoro originale e creativo. Furono que­
ste le considerazioni che mi indussero a mantenere una posizione
indipendente.
Ero in questa disposizione di spirito quando una discussione
con un altro terapista reichiano, il dott. Pelletier, che era all'esterno
degli ambienti ufficiali, mi fece intravedere la possibilità di modifi­
care e di ampliare i procedimenti della tecnica reichiana. Per tutta
la durata del mio lavoro con lui, Reich aveva sottolineato che la
mia mandibola doveva cadere, sciolta, in un atteggiamento di ab­
bandono o di resa al corpo. Anch'io negli anni in cui avevo pra­
ticato come terapista reichiano avevo dato importanza a questa po­
sizione. Il dott. Louis G. Pelletier osservò che aveva trovato van­
taggioso indurre i pazienti a protendere la mandibola in avanti in
atteggiamento di sfida. Il fatto di mobilitare questa espressione ag­
gressiva rilasciava parte della tensione dei muscoli contratti della
mandibola. Naturalmente, pensai, può funzionare in tutti e due i
modi: d'un tratto mi sentii libero di mettere in dubbio e di cam­
biare quello che aveva fatto Reich. Risultò che entrambe le posi­
zioni funzionavano meglio se venivano alternate. Mobilitare e inco­
raggiare l'aggressività del paziente favorisce il suo " abbandono "
29
Bioenergetica
o la sua resa a tènere sensazioni sessuali. D'altra parte, se si inizia
con un atteggiamento di " abbandono" spesso accade che il dolore
e la frustrazione provati a livello corporeo diano origine a senti­
menti ed espressioni di tristezza e di rabbia.
Nel 1953 ebbe inizio la mia collaborazione con il dott. John
C. Pierrakos, che aveva appena terminato il tirocinio psichiatrico
al Kings County Hospital. Anche il dott. Pierrakos era stato in
terapia reichiana ed era un seguace di Reich. A quell'epoca ci con­
sideravamo ancora dei terapisti reichiani, benché non fossimo più
collegati ufficialmente all'associazione. Un anno dopo si unì a noi
il dott. William B. Walling, che aveva una formazione simile a
quella del dott. Pierrakos. Avevano frequentato insieme la scuola
medica. Il risultato iniziale di questa collaborazione fu un pro­
gramma di seminari clinici in cui avremmo presentato personal­
mente i nostri pazienti con l'obiettivo di comprendere più a fondo
i loro problemi e, al tempo stesso, di insegnare ad altri terapisti le
concezioni fondamentali del sistema basato sul corpo. A questo sco­
po nel 1956 venne fondato l'Institute for Bioenergetic Analysis,
sotto forma di associazione senza fini di lucro.
Nel frattempo Reich aveva dei fastidi con la legge. Quasi a
sancire la sua sensazione di essere perseguitato, la Food and Drug
Administration gli aveva fatto causa alla Corte Federale accusan·
dolo di vendere e di spedire nei diversi Stati gli accumulatori orgo­
nici: l'imputazione, partendo dall'assunto che l'energia orgonica
non esisteva, concludeva che la vendita degli accumulatori era una
frode. Reich si rifiutò di contestare l'accusa e di difendersi, affer­
mando che le sue teorie scientifiche non potevano essere discusse
in un tribunale. L'FDA vinse la causa per mancata comparizione
dell'imputato. Vi fu chi consigliò a Reich di ignorare l'ingiunzione
e presto gli agenti dell'FDA scoprirono che ne aveva violato i ter­
mini. Reich venne processato per " disprezzo della Corte ", giudi­
cato colpevole e condannato a scontare due anni in un penitenziario
federale. Morì nella prigione di Lewisburg nel novembre del 1957.
La tragedia della morte di Reich valse a dimostrarmi che non
è possibile salvare un uomo contro la sua stessa volontà. Ma se un
individuo si impegna seriamente per la propria salvezza? Se per
" salvezza" si intende la libertà dalle inibizioni e dalle costrizioni
imposte dall'educazione, non potevo affermare di avere raggiunto
questo stato di grazia. Benché avessi concluso con successo la te­
rapia reichiana, sapevo che nel mio corpo permanevano molte ten·
sioni muscolari che mi impedivano di provare la pienezza di gioia
30
Da Reich alla bioenergetica
che desideravo. Ne sentivo l'influenza limitante sulla mia persona­
lità. Inoltre volevo un'esperienza sessuale ancora più ricca e piena
- e sapevo che era possibile.
Decisi di riprendere la terapia. Ma non potevo tornare da
Reich e non avevo fiducia negli altri terapisti reichiani. Ero con­
vinto che dovesse essere una terapia basata sul corpo, per cui decisi
di lavorare con il mio socio John Pierrakos, di cui ero maggiore sia
per anni che per esperienza. Fu da questo lavoro comune sul mio
stesso corpo che nacque la bioenergetica. Gli esercizi di base che
usiamo oggi vennero prima provati e verificati su di me: sapevo
dunque per esperienza personale come. funzionavano e che effetti
potevano produrre. Da allora ho sempre adottato il sistema di pro­
vare prima su di me tutto quello che facevo fare ai miei pazienti:
non credo infatti che si abbia il diritto di pretendere da altri quello
che non si è disposti a chiedere a se stessi. E, d'altra parte, non
credo che si possa fare per altri quello che non si può fare per se
stessi.
La mia terapia con Pierrakos durò circa tre anni. Era di qualità
totalmente diversa da quella svolta con Reich. C'erano meno espe­
rienze spontanee del tipo descritto sopra, in gran parte perché io
stesso dirigevo il lavoro, ma in parte anche perché ci concentra­
vamo più sulla scarica della tensione muscolare che sull'abbandono
alle sensazioni sessuali. Mi rendevo conto di non voler continuare
a provare. Volevo che qualcuno prendesse il mio posto e lo facesse
per me. Provare e controllare sono aspetti del mio carattere nevro­
tico, cosicché non mi era facile abbandonarmi. Ero riuscito a farlo
con Reich perché provavo grande rispetto per le sue conoscenze
e per la sua autorità, ma il mio abbandono era limitato a quel rap­
porto. Risolvemmo il conflitto con un compromesso. Nella prima
metà della seduta lavoravo su me stesso, descrivendo a Pierrakos
le sensazioni che provava il mio corpo. Nella seconda metà egli mi
lavorava i muscoli contratti con le mani calde e forti, massaggian­
doli e rilassandoli per far sl che si sviluppassero le " sensazioni di
corrente " .
Lavorando su me stesso, sviluppai le posizioni e gli esercizi di
base che oggi sono quelli classici della bioenergetica. Sentivo il bi­
sogno di un lavoro più radicale sulle gambe : cominciai ad adottare
la posizione in piedi invece di quella sdraiata usata da Reich. Allar­
gavo le gambe, voltavo le punte dei piedi verso l'interno, piegavo
le ginocchia e arcuavo la schiena, nel tentativo di mobilitare la metà
inferiore del corpo. Mantenevo per parecchi minuti questa posi-
31
Bioenergetica
zione che mi consentiva di sentirmi più v1cmo al suolo: inoltre
essa aveva l'effetto di rendere più profonda la respirazione addo­
minale. Poiché questa posizione produceva una certa tensione nella
parte inferiore della schiena, pensai di invertirla piegandomi in
avanti e sfiorando il pavimento con la punta delle dita, sempre te­
nendo le ginocchia leggermente flesse. La sensazione che provavo
nelle gambe crebbe; le gambe cominciarono a vibrare.
Questi due semplici esercizi vennero a formare il concetto di
grounding [radicamento], concetto che appartiene esclusivamen­
te alla bioenergetica. Si sviluppò lentamente negli anni, via via
che risultava evidente che a tutti i pazienti mancava il senso di
avere i piedi saldamente piantati a terra. Questa mancanza corri­
spondeva al fatto che fossero " tra le nuvole " , privi di contatto con
la realtà.
Mettere il paziente in contatto con la realtà, con il suolo che lo
sostiene, con il suo corpo e la sua sessualità è diventato uno degli
elementi essenziali della bioenergetica. Nel capitolo sesto svolgerò
un'elaborazione completa del concetto di grounding ponendolo in
relazione con la realtà e l'illusione. Sempre nel capitolo sesto sono
descritti molti degli esercizi impiegati per ottenere il grounding.
Un'altra innovazione sviluppata nel corso di questo lavoro fu
l'impiego di uno sgabello per la respirazione. La respirazione è es­
senziale per la bioenergetica come lo è per la terapia reichiana, ma
è sempre stato un problema ottenere che i pazienti respirassero in
modo profondo e pieno. È ancora più difficile fare in modo che la
respirazione diventi libera e spontanea. Ebbi l'idea dello sgabello
respiratorio osservando la tendenza comune ad arcuare la schiena
all'indietro sulla spalliera della sedia quando, dopo essere stati se­
duti a una scrivania per un certo tempo, si sente il bisogno di sti­
rarsi e di respirare. Io stesso, quando lavoravo con i miei pazienti,
avevo l'abitudine di farlo. Lo stare seduto in poltrona tendeva a
deprimere la mia respirazione ed ero solito arcuarmi all'indietro e
stirarmi in modo che la respirazione ridiventasse più profonda. Il
nostro primo sgabello fu una scala a libro in legno, alta circa ses­
santa centimetri, con legata sopra una coperta strettamente arroto­
lata.' Star sdraiati con la schiena su questo sgabello ebbe su tutti i
pazienti l'effetto di stimolare la respirazione senza bisogno di fare
gli esercizi appositi. Durante la mia terapia con Pierrakos verificai
1
32
ALEXANDER LoWEN, Pleasure, Coward-McCann, Inc., New York, 1970.
Da Reich alla bioenergetica
personalmente l'utilità dello sgabello e da allora ho continuato a
usarlo regolarmente.
I risultati del mio secondo periodo di terapia furono notevol­
mente diversi. Entrai in contatto con una tristezza e una rabbia
maggiori di quelle che avevo provato in precedenza, soprattutto
riguardo a mia madre. La scarica di questi sentimenti ebbe un ef­
fetto liberatorio. A volte mi si apriva il cuore e mi sentivo rag­
giante e pieno di entusiasmo. Ma il fatto più significativo era il mio
frequente e persistente senso di benessere. Gradualmente il mio
corpo divenne più rilassato e più forte. Ricordo che persi la sensa­
zione di fragilità. Sentivo che, se anche potevo essere ferito, non
mi sarei spezzato. Scomparve anche la mia paura irrazionale del
dolore. Il dolore, imparai, era tensione e scoprii che quando cedevo
al dolore ero in grado di capire la tensione che lo produceva e pro­
vavo invariabilmente sollievo.
Durante questa terapia il riflesso dell'orgasmo comparve solo
occasionalmente. Ma il fatto non mi preoccupava, perché mi stavo
concentrando sulle tensioni muscolari e questo lavoro intensivo di­
stoglieva l'attenzione dall'abbandono alle sensazioni sessuali. Di­
minuì considerevolmente la mia tendenza all'eiaculazione precoce
che, malgrado l'apparente successo della terapia con Reich, non
era scomparsa e la mia risposta orgasmica divenne più soddisfa­
cente. Questo sviluppo mi portò a capire che l'approccio più effi­
cace alle difficoltà sessuali di un paziente consiste nell'elaborazione
dei problemi della personalità, che comprendono necessariamente
l'ansia e i sensi di colpa legati al sesso. La posizione di Reich, che
assegnava alla sessualità un posto centrale, pur essendo valida in
teoria, in genere dava risultati che nelle condizioni di vita moderne
era impossibile mantenere.
Reich, come analista, aveva sottolineato l'importanza dell'ana­
lisi del carattere. Nella mia terapia questo aspetto era stato un po'
ridotto e venne ulteriormente diminuito quando la vegetoterapia
analitica del carattere divenne terapia organica. L'analisi del carat­
tere, benché richieda molto tempo e pazienza, mi pareva indispen­
sabile per ottenere un risultato stabile. Decisi allora che, indipen­
dentemente dall'importanza che davamo al lavoro sulle tensioni
muscolari, l'analisi accurata del modo di essere e del comporta­
mento abituale di una persona meritava uguale attenzione. Feci
uno studio approfondito sui tipi caratteriali, mettendo in relazione
le dinamiche psicologiche e le dinamiche fisiche degli schemi di
comportamento. I risultati di questo studio vennero pubblicati nel
33
Bioenergetica
1958 in un libro intitolato The Physical Dynamics of Character
Structure [Dinamiche fisiche della struttura del carattere l 8 Benché
come compendio dei tipi caratteriali non sia del tutto completo, è
la base di tutto il lavoro sul carattere svolto nella bioenergetica.
Alcuni anni prima avevo concluso la terapia con Pierrakos ed
ero molto soddisfatto dei risultati raggiunti. Ma se qualcuno mi
avesse domandato: "hai risolto tutti i tuoi problemi, completato la
tua crescita, realizzato il tuo pieno potenziale di individuo, scari­
cato tutte le tensioni muscolari? " , la mia risposta sarebbe ancora
stata: "No',. Arriva un momento in cui non si ritiene più neces­
sario o desiderabile continuare la terapia, e si smette. Se la terapia
è riuscita, ci si sente in grado di prendersi carico della responsa­
bilità del proprio benessere e della propria crescita. Qualcosa della
mia personalità mi ha sempre fatto propendere, comunque, per
questa direzione. Smettere la terapia non significava abbandonare
il lavoro sul mio corpo. Ho continuato, da solo o in gruppo, a fare
gli esercizi bioenergetici che uso con i miei pazienti. Sono convinto
che a questo impegno rispetto al mio corpo sia dovuto in parte il
fatto che nella mia personalità hanno continuato a verificarsi molti
cambiamenti positivi. In genere questi cambiamenti sono stati pre­
ceduti da una più profonda comprensione di me stesso, del mio
passato e del mio corpo.
Sono ormai passati più di trentaquattro anni da quando conobbi
Reich e più di trentadue dal giorno in cui iniziai la terapia con lui.
Ho alle spalle più di ventisette anni di lavoro con i pazienti. Lavo­
rando, pensando e scrivendo sulle mie esperienze personali e su
quelle dei miei pazienti, sono giunto a una conclusione: La vita di
un individuo è la vita del suo corpo. Poiché il corpo vivente com­
prende la mente, lo spirito e l'anima, vivere la vita del corpo si­
gnifica avere una vita mentale, spirituale e sentimentale piena. Se
questi aspetti della nostra natura sono carenti, è perché non viviamo
interamente dentro o con il nostro corpo. Lo trattiamo come uno
strumento o come una macchina. Sappiamo che, se si guasta, siamo
nei guai: ma potremmo dire lo stesso dell'automobile, da cui siamo
tanto dipendenti. Non ci identifichiamo con il nostro corpo, anzi,
come ho già sottolineato in un libro precedente,' lo tradiamo. Tutte
le nostre difficoltà personali derivano da questo tradimento e sono
8 ALEXANDER LOWEN, The Physical Dynamics of Character Structure, Grone & Strat·
ton, New York, 1958. Disponibile in paperback con il titolo The Language of the Body,
Macmillan, New York, 1971.
9 ALEXANDER LowEN, The Betrayal of the Body, Macmillan, New York, 1967.
34
Da Reich alla bioenergetica
anche convinto che la maggior parte dei nostri problemi sociali ab­
biano un'origine analoga.
La bioenergetica è una tecnica terapeutica che si propone di
aiutare l'individuo a tornare ad essere con ìl proprio corpo e a
goderne la vita con quanta pienezza possibile. Questo risalto dato
al corpo comprende la sessualità, che ne è una delle funzioni fon­
damentali. Ma comprende anche funzioni ancor più basilari come
quelle di respirare, muoversi, sentire ed esprimere se stessi. Una
persona che non respira a fondo riduce la vita del corpo. Se non si
muove liberamente, limita la vita del corpo. Se non sente piena­
mente, restringe la vita del corpo. E se reprime la propria autò­
espressione, limita la vita del corpo.
È vero, queste restrizioni alla nostra vita non ce le autoimpo­
niamo volontariamente: si sviluppano come strumenti di sopravvi­
venza in un ambiente e in una cultura che negano i valori del corpo
a favore del potere, del prestigio e del possesso. Tuttavia non con­
testando queste restrizioni le accettiamo e così tradiamo il nostro
corpo. In questo processo sovvertiamo anche l'ambiente naturale
da cui il benessere del nostro corpo dipende. È vero anche che la
gente in genere è inconsapevole degli handicap còrporei che la tor­
mentano - che per loro sono diventati una seconda natura, sono
ormai parte del loro modo abituale di essere nel mondo. In realtà
molta gente attraversa la vita con un budget di energie e di sensa­
zioni limitato.
La bioenergetica si propone l'obiettivo di aiutare la gente a
riconquistare la sua natura primaria - la condizione di libertà, lo
stato di grazia e la qualità della bellezza. Libertà, grazia e bellezza
sono gli attributi naturali di ogni organismo animale. La libertà è
l'assenza di repressione interiore del flusso delle sensazioni, la grazia
è l'espressione di questo flusso nel movimento e la bellezza è una
manifestazione dell'armonia interiore generata dal flusso. Sono in­
dice di un corpo sano e, perciò, di una mente sana.
La natura primaria di tutti gli esseri umani è di essere aperti
alla vita e all'amore. Nella nostra cultura l'atteggiamento di difesa,
la corazza, la diffidenza e la chiusura sono diventati una seconda
natura. Sono i mezzi che adottiamo per proteggerei dalle offese; ma,
quando diventano caratteriologici o strutturati nella personalità,
questi atteggiamenti costituiscono un'offesa più grave e una muti­
lazione maggiore di quelle sofferte in origine.
La bioenergetica vuole aiutare gìi individui ad aprire il cuore
alla vita e all'amore. Non è un compito facile. Il cuore è ben pro-
35
Bioenergetica
tetto nella sua gabbia di ossa e le vie di accesso sono guardate da
potenti difese fisiologiche e fisiche. Per raggiungere il nostro obiet­
tivo bisogna capire ed elaborare queste difese. Ma se non si rag­
giunge lo scopo, il risultato è tragico. Attraversare la vita con il
cuore chiuso è come fare un viaggio attraverso l'oceano chiusi nella
prigione della nave. Il senso, l'avventura, l'eccitazione e la gloria
della vita non possono essere visti, sono fuori portata.
La bioenergetica è l'avventura della scoperta di se stessi. Diffe­
risce da forme analoghe di esplorazione della propria natura perché
cerca di capire la personalità umana dal punto di vista del corpo.
La maggior parte dei metodi precedenti hanno centrato l 'attenzione
sulla mente; ci hanno portato molte informazioni preziose, ma mi
pare che non abbiano toccato il settore più importante della per­
sonalità, la sua base, che si situa nei processi corporei. Non esi­
tiamo a riconoscere che quello che succede nel corpo influenza ne­
cessariamente la mente: ma in questa affermazione non c'è niente
di nuovo. La mia convinzione è che i processi energetici del corpo
determinino ciò che succede nella mente esattamente come deter­
minano ciò che succede nel corpo.
36
Capitolo secondo
Il concetto di energia
Carica, scarica, flusso e movimento
Come ho già sottolineato, la bioenergetica è lo studio della per­
sonalità umana dal punto di vista dei processi energetici del corpo.
Questo termine viene impiegato anche in biochimica per definire
un settore di ricerca che si occupa dei processi energetici a livello
molecolare e submolecolare. Come ha notato Albert Szent Gyorgyi/
per muovere la macchina della vita occorre energia. L'energia, in­
fatti, entra in gioco nel movimento di tutte le cose viventi e inani­
mate. La scienza odierna ritiene che questa energia sia di natura
elettrica. Ma a questo riguardo, specialmente rispetto agli organismi
viventi, ci sono anche altri punti di vista. Reich postulò l'esistenza
di un'energia cosmica di base, che chiamò orgone, la cui natura non
era elettrica. La filosofia cinese postula l'esistenza di due energie,
lo yin e lo yang, che hanno un rapporto reciproco di polarità. Que­
ste energie stanno alla base dell'agopuntura cinese, che spesso ha
sbalordito i medici occidentali con i suoi risultati.
Non ritengo che ai fini di questo studio sia importante deter­
minare che cosa sia in realtà l'energia della vita. Tutti questi punti
di vista hanno una loro parte di validità e confesso di non essere
riuscito a conciliarne le differenze. Possiamo però accettare la pro­
posizione fondamentale secondo cui l'energia è implicata in tutti i
processi della vita - nel movimento, nel sentire e nel pensare e che questi processi si arresterebbero se ci fosse una grossa interru­
zione nel rifornimento di energia all'organismo. La mancanza di
cibo, per esempio, esaurirebbe a tal punto l'energia dell'organismo
che sopraggiungerebbe la morte; lo stesso accadrebbe privando l'or­
ganismo dell'ossigeno necessario alla respirazione o somministran1
ALBERT SzENT-GYORGYI, Bioenergetics, Academic Press, New York, 1957.
37
Bioenergetica
dogli dei veleni che bloccano le attività metaboliche del corpo, ridu­
cendone l'energia.
E comunemente riconosciuto che l'energia dell'organismo ani­
male deriva dalla combustione del cibo. Le piante, per i loro pro­
cessi vitali, hanno la capacità di catturare e di utilizzare l'energia
del sole, che legano e trasformano nei tessuti, rendendola così di­
sponibile come cibo per gli animali erbivori. La ritrasformazione
del cibo in energia libera che l'animale può utilizzare per i propri
bisogni vitali è un complesso processo chimico che richiede l'utiliz­
zazione di ossigeno. La combustione del cibo non è diversa dalla
combustione del legno : in entrambe, per mantenere il processo, oc­
corre ossigeno. In tutti e due i casi il ritmo della combustione è
legato alla quantità di ossigeno disponibile.
Questa semplice analogia non spiega il complicato fenomeno
della vita. Quando il combustibile è esaurito, un semplice fuoco
si esaurisce; inoltre il fuoco brucia in modo indiscriminato, indi­
pendentemente dall'energia liberata dalla combustione. L'organi­
smo vivente invece è un fuoco che si autocontiene, si autoregola e
si autoperpetua. Come possa compiere questo miracolo - cioè bru­
ciare senza divampare e senza esaurirsi - è ancora un grande mi­
stero. Se non siamo ancora in grado di risolvere l'enigma, è però
importante cercare di capire alcuni dei fattori che entrano in gioco,
perché tutti noi vogliamo far sì che la fiamma della vita, in noi,
sia vivace e continui a bruciare.
Non siamo abituati a pensare alla personalità in termini di ener­
gia: ma le due cose non possono essere disgiunte. La quantità di
energia che un individuo impiega e il modo in cui la impiega deter­
mina necessariamente la sua personalità e si riflette in essa. Alcuni
hanno più energia di altri; altri ancora sono controllati. Una per­
sona impulsiva, per esempio, non è in grado di controllare un
aumento del proprio livello di eccitamento o di energia; deve scari­
care il più rapidamente possibile la maggiore eccitazione. L'osses­
sivo impiega la sua energia in modo diverso; anch'egli deve scari­
care l'eccitamento, ma lo fa secondo schemi motori e di comporta­
mento rigidamente strutturati.
Il rapporto esistente fra energia e personalità si manifesta con
estrema chiarezza nel depresso. La reazione depressiva e la ten­
denza alla depressione risultano dal gioco di complessi fattori psico­
logici e fisici.' Ma una cosa è ben chiara: l'individuo depresso è
2
38
ALEXANDER LOWEN, Depression and the Body, cit.
Il concetto di energia
depresso a livello energetico. Studi cinematici dimostrano che fa
solo la metà dei movimenti spontanei eseguiti normalmente dall'in­
dividuo non depresso. Nei casi gravi può starsene seduto tranquillo,
quasi senza muoversi, come se non avesse l'energia di muoversi in
modo attivo. Il suo stato soggettivo spesso corrisponde all'imma­
gine oggettiva che dà. In genere ha la sensazione che gli manchi
l'energia per muoversi. Spesso si lamenta di sentirsi privo di forze
senza tuttavia essere stanco. La depressione del suo livello di ener­
gia si manifesta nella diminuzione di tutte le funzioni energetiche.
Sono depressi la respirazione, l'appetito, la pulsione sessuale. In
questo stato, è impossibile che risponda positivamente all'esorta­
zione di interessarsi a qualcosa: non ha, letteralmente, l'energia per
sviluppare un interesse.
Ho trattato molti pazienti depressi: è proprio questo, infatti,
uno dei problemi più comuni che spingono la gente a iniziare una
terapia. Dopo aver ascoltato il racconto del paziente, esaminato la
sua storia precedente e valutato la sua condizione, cerco di aiutarlo
a crearsi la propria energia. Il sistema più immediato per raggiun­
gere questo scopo è quello di far aumentare l'assunzione di ossi­
geno - farlo cioè respirare più a fondo e con maggiore pienezza.
Ci sono molti modi per aiutare una persona a mobilitare la respi­
razione; li descriverò nei capitoli successivi. Parto dal presupposto
che il paziente non possa farlo da sé: altrimenti non avrebbe cer­
cato il mio aiuto. Questo significa che per farlo partire devo usare
la mia energia. Lo guido a svolgere alcune semplici attività che pian
piano lo portano a respirare più a fondo e, per stimolarlo, uso la
pressione e il contatto fisico. Il dato importante è che a mano a
mano che la respirazione diventa più attiva, il livello di energia
aumenta. Quando un individuo è carico, nelle gambe può compa­
rire una vibrazione o un tremore leggero e involontario. È il segno
che nel corpo, e più precisamente nella parte inferiore, c'è una
qualche corrente di eccitazione. Può accadere che la voce diventi
più sonora, perché attraverso la laringe passa più aria; a volte il
viso diventa più luminoso. A volte, perché si verifichi questo cam­
biamento e il paziente si senta " più su", bastano venti o trenta
minuti. Di fatto è stato temporaneamente tirato fuori dallo stato
depressivo.
Ma l'effetto della respirazione più profonda e più piena, pur
essendo immediatamente evidente e sentito, non è la cura della
condizione depressiva. Inoltre tale effetto non è destinato a durare,
perché il paziente non è in grado di mantenere spontaneamente la
39
Bioenergetica
respirazione più profonda. Proprio questa incapacità è il problema
centrale della depressione, che può essere elaborato solo attraverso
un'analisi approfondita di tutti i fattori che hanno contribuito a
produrre un corpo relativamente morto e una personalità depressa.
Ma l'analisi da sola non può essere di grande aiuto se non è ac­
compagnata da uno sforzo coerente inteso ad aumentare il livello
energetico del soggetto caricando il suo corpo di energia.
Non si può parlare di carica energetica senza considerare anche
la scarica di energia. L'organismo vivente può funzionare solo se
fra carica e scarica energetica c'è equilibrio. Mantiene un livello di
energia adeguato ai propri bisogni e alle proprie condizioni. Nel
periodo dello sviluppo un bambino assume più energia di quanta
ne scarica, e quella in sovrappiù la impiega per crescere. Lo stesso
vale per la convalescenza e per la crescita della personalità. La cre­
scita richiede energia. A parte questo, è generalmente vero che la
quantità di energia che un individuo assume corrisponde alla quan­
tità che può scaricare attraverso l'attività.
Ogni tipo di attività richiede e impiega energia - dal battito
cardiaco ai movimenti peristaltici dell'intestino, al camminare, par­
lare, lavorare e al rapporto sessuale. Ma nessun organismo vivente
è una macchina. Le attività fondamentali non vengono svolte in
maniera meccanica, ma sono espressione della natura di chi le svol­
ge. Una persona si esprime nelle azioni e nei movimenti; quando
l'espressione di sé è libera e adeguata alla realtà della situazione,
il fatto di scaricare la propria energia gli procura un senso di sod­
disfazione e di piacere. A loro volta, questa soddisfazione e questo
piacere stimolano nell'organismo una maggiore attività metabolica,
che si riflette immediatamente in una respirazione più profonda e
piena: Quando c'è piacere, le attività ritmiche e involontarie della
vita funzionano a livello ottimale.
Come ho già detto, il piacere e la soddisfazione sono il vissuto
immediato delle attività di autoespressione. Limitando il diritto a
esprimersi si limitano le possibilità di provare piacere e di vivere
in modo creativo. Per la stessa ragione, se la capacità di una per­
sona di esprimere se stessa, le sue idee e sensazioni è limitata da
forze interne (inibizioni o tensioni muscolari croniche) , la sua ca­
pacità di provare piacere è ridotta. In questo caso l'individuo ridur­
rà (ovviamente a livello inconscio) la propria assunzione di energia
per mantenere l'equilibrio energetico del corpo.
Non è possibile aumentare il livello energetico di un individuo
solo caricandolo attraverso la respirazione. Bisogna aprire le vie
40
Il concetto di energia
dell'autoespressione, che sono il movimento, la voce e gli occhi:
potrà così esserci "una maggiore scarica energetica. Non è infrequen­
te che questo avvenga spontaneamente mentre il paziente viene cari­
cato. Può accadere che, mentre è sdraiato sullo sgabello da respira­
zione, cominci spontaneamente a respirare più a fondo. Improvvi­
samente, senza intenzione cosciente, può cominciare a piangere.
Magari in quel momento non sa perché piange. La respirazione più
profonda ha aperto la sua gola, caricato il suo corpo e attivato emo­
zioni represse, con il risultato di far erompere e scorrer fuori un
senso di tristezza. A volte si tratta di uno scoppio di rabbia. Ma
spesso non succede niente perché il paziente ha troppa paura di
aprirsi e di lasciar emergere i sentimenti. In questo caso, tuttavia,
si renderà conto del fatto di "trattenersi" e delle tensioni muscolari
del collo e del petto che bloccano l'espressione dei sentimenti. Può
rendersi necessario, allora, svolgere un lavoro fisico diretto sulla
tensione muscolare cronica per far sì che questa costrizione si
sciolga.
Poiché la carica e la scarica funzionano come unità, la bioener­
getica lavora simultaneamente su entrambi i membri dell'equazione
per elevare il livello energetico, aprire la strada all'autoespressione
e reinstaurare nel corpo il flusso delle sensazioni. L'accento dunque
viene sempre posto sulla respirazione, sulle sensazioni e sul movi­
mento; al tempo stesso si cerca di collegare il funzionamento ener­
getico attuale dell'individuo con la sua storia precedente. Questo
approccio combinato mette gradualmente a nudo le forze interiori
(conflitti) che impediscono all'individuo di funzionare con il suo
pieno potenziale energetico. Ogni volta che uno di questi conflitti
interiori si risolve, il livello dell'energia aumenta. Questo significa
che l'individuo assume più energia e ne scarica di più in attività
creative, che sono fonte di piacere e di soddisfazione.
Non voglio si creda che la bioenergetica possa risolvere tutti i
conflitti sepolti, rimuovere tutte le tensioni croniche e reinstaurare
nel corpo di un individuo il fluire pieno e libero delle sensazioni.
Può accadere che questo obiettivo non venga raggiunto fino in fon­
do; comunque, si instaura un processo di crescita che porta in que­
sta direzione. Qualsiasi tipo di terapia è ostacolato dalla cultura in
cui viviamo, che non è orientata verso il piacere e l'attività creativa.
Come ho già notato altrove,' questa società non è sintonizzata sui
valori e sui ritmi del corpo vivente, ma su quelli delle macchine e
3 ALEXANDER LowEN, The Physical Dynamics o/ Character Structure, cit.
41
Bioenergetica
della produttività materiale. Ìl inevitabile concludere che le forze
che inibiscono l'autoespressione, riducendo cosi il nostro funziona­
mento energetico, derivano da questa cultura e ne sono parte. Tutti
gli individui sensibili sanno quante energie accorrano per evitare di
lasciarsi trascinare dal ritmo frenetico della vita moderna, con le sue
pressioni e le sue tensioni, la sua violenza e le sue incertezze.
Il concetto di flusso necessita di una certa elaborazione. Il ter­
mine flusso indica un movimento all'interno dell'organismo, il cui
esempio migliore è il flusso del sangue. Scorrendo per il corpo, il
sangue porta metaboliti e ossigeno ai tessuti fornendo loro energia
e porta via i prodotti di scarto della combustione. Ma il sangue è
qualcosa di più di un semplice mezzo; è il fluido carico di energia
che percorre il corpo. Quando giunge in un qualsiasi punto del
corpo vi porta vita, calore ed eccitamento. Ìl il rappresentante e il
corriere di Eros. Consideriamo quello che succede nelle zone ero­
gene: labbra, capezzoli e genitali. Quando vi aumenta l'irrorazione
di sangue (ciascuno di questi organi possiede una fitta rete vasco­
late), ci eccitiamo, ci sentiamo caldi e pieni d'amore e cerchiamo il
contatto con un'altra persona. L'eccitamento sessuale avviene in sin­
cronia con l'aumento del flusso sanguigno alla periferia del corpo,
specialmente nelle zone erogene. Se sia l'eccitamento che porta il
sangue o il sangue che trasporta l'eccitamento è irrilevante. Sono
due cose che vanno sempre insieme.
Oltre al sangue, nel corpo vi sono altri fluidi carichi di ener­
gia - linfa, fluidi interstiziali e fluidi intracellulari. Il flusso del­
l'eccitamento non è limitato al sangue, ma viaggia attraverso tutti
i fluidi corporei. Dal punto di vista energetico tutto il corpo può
essere considerato come un'unica cellula, la cui membrana è la pelle.
All'interno di questa cellula l'eccitazione può diffondersi in tutte
le direzioni oppure fluire in direzioni specifiche, a seconda della
natura della reazione a uno stimolo. Questa visione del corpo come
una singola cellula non nega il fatto che al suo interno vi siano mol­
tissimi tessuti specializzati, nervi, vasi sanguigni, mucose, muscoli,
ghiandole, ecc. che collaborano tutti, come parti, a promuovere la
vita del tutto.
Il flusso dell'eccitazione può essere vissuto come un sentimento
o una sensazione che spesso sfida i limiti anatomici. Chi non ha mai
provato un'ondata di rabbia alla parte superiore del corpo, che ca­
rica braccia, viso e occhi? La sensazione può variare: dal sentirsi
ribollire di rabbia alla congestione apoplettica del capo e della nuca.
Ritengo che, quando una persona è tanto arrabbiata da vedere ros-
42
Il concetto di energia
so, questo significhi che la retina degli occhi è stata inondata dal
sangue. La sensazione di rabbia, d'altra parte, può avere aspetto e
qualità bianca, fredda, a causa di una vasocostrizione periferica che
impedisce al sangue di raggiungere la superficie. C'è anche una rab­
bia nera, avvolta da una scura nube di odio.
Il flusso verso l'alto di sangue e di eccitazione può produrre
emozioni totalmente diverse a seconda dei canali che segue e degli
organi che eccita. Il flusso di eccitazione che scorre lungo la parte
anteriore del corpo, dal cuore alla bocca, agli occhi e alle mani dà
origine a un sentimento di desiderio, che si esprime in un atteggia­
mento di apertura e aspirazione a qualcosa. Il flusso della collera
scorre prevalentemente lungo la parte posteriore del corpo. Il flusso
di sangue e di eccitazione diretto verso il basso produce alcune sen­
sazioni degne di nota, simili a quelle che si provano sulle montagne
russe o su di un ascensore molto veloce, sensazioni che ai bambini
piacciono molto: si pensi all'altalena. Il massimo di intensità e di
piacere lo raggiungono quando compaiono come uno " sciogliersi"
nell'addome, che accompagna una forte carica sessuale. Lo stesso
flusso, però, può comparire unito all'ansia: in questo caso viene
percepito come una sensazione di vuoto allo stomaco.
Se pensiamo che il 99 per cento del corpo è composto di acqua,
in parte strutturata, ma per lo più allo stato fluido, possiamo descri­
vere le sensazioni, i sentimenti e le emozioni come correnti od onde
che scorrono per questo corpo liquido. Le sensazioni, i sentimenti e
le emozioni sono la percezione di movimenti che avvengono all'in­
terno di un corpo relativamente fluido. I nervi mediano queste per­
cezioni e coordinano le reazioni, ma gli impulsi e i movimenti che
le sottendono sono inerenti alla carica energetica del corpo, ai suoi
ritmi e pulsazioni naturali. Questi movimenti interni rappresentano
la motilità del corpo, in quanto distinta dai moti volontari che sono
soggetti al controllo cosciente. Sono evidentissimi nei neonati.
Guardando il corpo di un bambino si può vedere il gioco continuo
dei movimenti: sono simili alle onde di un lago, solo che sono pro­
dotti da forze interiori. Con la vecchiaia la motilità tende a dimi­
nuire. Si diventa più strutturati e rigidi finché, con la morte, ogni
movimento cessa.
In tutti i nostri movimenti volontari c'è anche una componente
involontaria, che rappresenta la motilità essenziale dell'organismo.
Questa componente involontaria, che si integra con l'azione volon­
taria, rende conto della vivacità e della spontaneità delle nostre
azioni e movimenti. Quando è assente o ridotta, i movimenti del
43
Bioenergetica
corpo suscitano, oltre a quella del senso cinestetico di spostamento
nello spazio, poche altre sensazioni. Il tono affettivo del movimento
espressivo proviene dalla componente involontaria - la compo­
nente non soggetta a controllo cosciente. La fusione di elementi
consci e inconsci o di componenti volontarie e involontarie dà ori­
gine a movimenti dotati di una risonanza emotiva, e che tuttavia
sono azioni coordinate ed efficaci.
La vita emotiva di una persona dipende dalla motilità del corpo,
che a sua volta è funzione del flusso di eccitazione che lo pervade.
I disturbi di questo flusso compaiono come dei blocchi che si mani­
festano in zone in cui la motilità del corpo è ridotta. In queste zone
si può anche facilmente palpare o sentire con le dita la spasticità
della muscolatura. I termini "blocco " , " inanimato " e " tensione mu­
scqlare cronica " si riferiscono allo stesso fenomeno. In generale si
può individuare la presenza di un blocco vedendo una zona inani­
mata e sentendo o palpando la contrazione muscolare che la man­
tiene tale.
Il corpo, essendo un sistema energetico, è in costante intera­
zione energetica con l'ambiente che lo circonda. A parte l'energia
che deriva dalla combustione del cibo, l'individuo si eccita o si ca­
rica a contatto con forze positive. Un giorno chiaro e luminoso, un
bel paesaggio, una persona felice hanno un effetto stimolante. I gior­
ni brutti e bui, il brutto e le persone depresse hanno un impatto
negativo sulle nostre energie, pare che esercitino un'influenza depri­
mente. Siamo tutti sensibili alle forze o energie che ci circondano:
ma queste forze non hanno su tutti lo stesso effetto. Una persona
più carica è più resistente alle influenze negative e, allo stesso tem­
po, ha un'influenza positiva sugli altri, specialmente quando il flus­
so di eccitazione che percorre il suo corpo è libero e pieno. Tutti
lo sentono intuitivamente e stare con questi individui è una gioia.
Siete il vostro corpo
La bioenergetica si basa sulla semplice propos!zwne che ogni
persona è il proprio corpo. Nessuno è nulla al di là del corpo vi­
vente in cui ha la propria esistenza e attraverso il quale si esprime
e si pone in relazione con il mondo che lo circonda. Sarebbe assurdo
negare la verità di questa affermazione : sfido chiunque a citare una
parte di se stesso che non faccia parte del suo corpo. La mente, lo
spirito e l'anima sono aspetti di ogni corpo vivente. Un corpo morto
44
Il concetto di energia
non ha mente, ha perduto lo spirito ed è stato abbandonato dal­
l'anima.
Se voi siete il vostro corpo e il vostro corpo è voi, allora il corpo
esprime chi voi siete. Ìl il vostro modo di essere nel mondo. Più il
vostro corpo è vivo, più siete nel mondo. Quando il corpo perde
parte della sua vivacità, ad esempio quando siete esausti, tendete
a ritirarvi dal mondo. La malattia ha lo stesso effetto, induce l'indi­
viduo a ritrarsi in se stesso. Può persino accadervi di sentire il
mondo lontano o di vederlo come attraverso un velo di foschia.
D'altra parte, ci sono giorni in cui siete raggianti e vitali e il mondo
intorno a voi sembra più luminoso, più vicino, più reale. Tutti vor­
remmo essere e sentirei più vivi : la bioenergetica ci aiuta a realiz­
zare questo obiettivo.
Poiché il corpo esprime chi siete, imprime negli altri l'imma­
gine di quanto siete nel mondo. Non è un caso che usiamo l'espres­
sione " non è nessuno " per indicare una persona la cui presenza non
lascia un'impronta e l'espressione " è qualcuno " per indicare una
forte impressione. Questo è linguaggio del corpo. Nemmeno quando
siete lontani dal mondo il vostro stato passa inosservato. Gli altri
lo sentono, come sentono in voi la stanchezza o la malattia. La vo­
stra stanchezza si esprime in molti segni percepibili mediante la vi­
sta o l'udito - le spalle incurvate, una certa lentezza o pesantezza
di movimenti, la pelle del viso afflosciata, gli occhi privi di luce,
la voce piatta o priva di risonanza. Perfìno lo sforzo di mascherare
questa condizione ci tradisce, perché rivela la tensione derivante
dalla forzatura.
I sentimenti e le sensazioni di una persona possono anche es­
sere letti nell'espressione del corpo. Le emozioni sono avvenimenti
corporei; letteralmente, sono movimenti o moti interni del corpo
che in genere sfociano in un'azione esterna. L'ira produce tensione
e, come abbiamo già visto, genera una carica nella metà superiore
del corpo, dove si trovano gli organi principali dell'attacco: i denti
e le braccia. Riconosciamo l'individuo adirato dal viso arrossato,
dai pugni serrati e dalla bocca ringhiosa. In alcuni animali questa
emozione si manifesta anche col rizzarsi dei peli del dorso e della
nuca. L'affetto e l'amore ammorbidiscono i tratti e pervadono la
pelle e gli occhi di un calore diffuso. La tristezza ha un aspetto li­
quido, come se si stesse per scoppiare in lacrime.
Ma il corpo rivela molto più di questo. L'atteggiamento di una
persona verso la vita o il suo stile personale si riflettono nel modo
in cui si tiene, nel portamento e nel modo di muoversi. L'individuo
45
Bioenergetica
con un portamento " nobile" o " regale " si distingue da un indi­
viduo in cui la schiena curva, le spalle cadenti e il capo leggermente
inclinato indicano la rassegnazione a sopportare i gravi fardelli della
vita. Qualche tempo fa ebbi in terapia un giovane dal corpo grosso,
grasso e informe. Confessò di vergognarsene talmente da non osare
esporlo in piscina o sulla spiaggia. Si sentiva anche sessualmente ina­
deguato. Lottò per molti anni per superare questi handicap fisici,
stando a dieta e correndo : ma senza successo. Nel corso della te­
rapia si rese conto che l'aspetto fisico esprimeva un lato della sua
personalità che prima era incapace di accettare - cioè che una
parte di lui si identificava con un individuo rozzo e grasso , più bam­
bino che uomo. Questo aspetto si esprimeva anche nel modo in cui
stava sprofondato in poltrona e nella trasandatezza dell'abbiglia­
mento. Poi capì che quello del bambino grosso, grasso e trasandato
era un atteggiamento inconscio che aveva adottato per opporsi ai
genitori che continuavano a chiedergli di crescere, di diventare un
uomo e di eccellere. In realtà i suoi conflitti erano più profondi, ma
si riassumevano tutti in questo atteggiamento del corpo. A livello
cosciente, sul piano dell'io, accettava le richieste dei genitori, ma la
resistenza inconscia, o corporea, non era dovuta a nessuno sforzo
volontario. Non si può riuscire nella vita combattendo se stessi.
Lo sforzo di superare il corpo è votato al fallimento.
È necessario individuare sia l'identità dell'individuo che la dif­
ferenza fra processi psichici e fisici. Il mio paziente non era solo
uno zoticone grosso, grasso e infantile. Era anche un uomo che si
sforzava seriamente di funzionare a questo livello. Ma non era del
tutto un uomo, perché il suo inconscio e il suo corpo lo tenevano
fissato a un livello infantile. Era un uomo che cercava di realizzare
il proprio potenziale senza riuscirei. Il corpo rivelava drammatica­
mente entrambi questi suoi lati, perché era grande come quello di
un uomo ma pieno di rotoli di grasso che gli davano un aspetto
infantile.
Molte persone sono handicappate da un conflitto inconscio fra
diversi aspetti della loro personalità. Il conflitto più comune è quel­
lo fra i bisogni e le esigenze non realizzate del bambino che c'è in
loro e i bisogni e le aspirazioni dell'adulto. Per essere adulti bisogna
essere indipendenti {stare in piedi da soli) ed assumersi la respon­
sabilità della realizzazione dei propri bisogni e desideri. Ma, negli
individui che presentano questo conflitto, lo sforzo di essere indi­
pendenti e responsabili è insidiato da desideri inconsci di avere
qualcuno che li appoggi e si prenda cura di loro. Il risultato, dal
46
Il concetto di energia
punto di vista sia psicologico sia fisico, è un quadro misto. Nel com­
portamento una persona di questo genere può manifestare un'indi­
pendenza esagerata, unita alla paura della solitudine e all'incapacità
di prendere decisioni. La stessa immagine mista può essere indivi­
duata nel corpo. Gli aspetti infantili della personalità possono ma­
nifestarsi nella piccolezza dei piedi e delle mani, nelle gambe lunghe
e magre, che danno l'impressione di essere supporti inadeguati o in
un sistema muscolare poco sviluppato, privo del potenziale aggres­
sivo per prendere quello che si vuole o di cui si ha bisogno.
In altri casi c'è un conflitto fra la giocosità del bambino e il rea­
lismo della parte adulta della personalità. Alla superficie la persona
appare seria, spesso severa, rigida, dedita al lavoro e moralistica.
Poi, quando cerca di lasciarsi andare, diventa infantile. La cosa è
particolarmente evidente quando una persona di questo tipo beve.
Il bambino emerge anche in birichinate o scherzi fuori luogo. Il viso
e il corpo di questo individuo hanno una qualità stretta, dura e con­
tratta che lo fanno sembrare vecchio. Ma spesso si scorge sul viso
un'espressione da ragazzo, accompagnata da un sorriso o una smor�
fia che palesa un senso di immaturità.
Questo conflitto sorge quando non si consente allà naturale gio­
cosità del bambino di esprimersi appieno e liberamente. La repres­
sione della curiosità sessuale del bambino e della sua propensione
al gioco amoroso non elimina queste tendenze. Vengono sepolte e
allontanate dalla coscienza, ma rimangono vive negli strati sotter­
ranei della personalità per emergere, quando una persona si lascia
andare, come perversioni delle tendenze naturali. Le qualità del bam­
bino non sono state integrate nella personalità: ne sono staccate,
incapsulate come corpi estranei all'io.
Una persona è la somma delle sue esperienze di vita, ciascuna
delle quali è registrata nella personalità e strutturata nel corpo.
Come il boscaiolo può leggere la storia della vita di un albero dalla
sezione trasversale del tronco, in cui sono evidenti gli anelli della
crescita annuale, così il terapista bioenergetico può leggere la storia
della vita di una persona dal suo corpo . Entrambe le cose richiedono
parecchie nozioni ed esperienza, ma si basano sugli stessi princìpi.
A mano a mano che cresce, l'organismo umano aggiunge strati
di personalità, ciascuno dei quali continua a vivere e a funzionare
nell'adulto. Quando lo stesso soggetto può accedere a questi strati,
essi formano una personalità integrata e scevra da conflitti. Se qual­
che strato o esperienza è represso e non accessibile, la personalità
41
Bioenergetica
è in conflitto e perciò limitata. La figura che segue mostra un dia­
gramma schematico di questa stratificazione :
Possiamo riassumere come segue le qualità che ogni strato ag­
giunge alla vita:
- amore e piacere
Neonato
creatività e immaginazione
Bambino
giocosità e divertimento
Ragazzo o ragazza
storia d'amore e avventura
Giovane adulto
realtà e responsabilità
Adulto
Sarebbe forse meglio dire, parlando di qualità, che la crescita
che stiamo considerando è lo sviluppo e l'espansione della coscien­
za. Ogni strato, allora, rappresenta un nuovo senso del sé e delle
su.e potenzialità, una nuova consapevolezza del sé e della sua rela­
zione con il mondo. La coscienza, tuttavia, non è un elemento stac�
cato o isolato della personalità. È una funzione dell'organismo, un
aspetto del corpo vivente. Si sviluppa, dal punto di vista fisico,
emotivo e psicologico, in rapporto con la crescita del corpo. Dipende
dall'esperienza; acquista profondità attraverso l'acquisizione di nuo­
ve abilità; si conferma nell'attività.
48
Il concetto di energia
Ponendo gli strati come equivalenti alle qualità della coscienza
non intendo dire che ogni nuova dimensione del sé nasca, già pie­
namente formata, con ogni nuova età della vita. E vero che il gioco
comincia nell'infanzia, ma giunge a pieno sviluppo quando quest'età
è già passata. La consapevolezza del gioco e la gioia sono, ritengo,
caratteristiche del ragazzo e della ragazza piuttosto che del bambino.
Un'esposizione più completa delle qualità e degli strati corrispon­
denti renderà più significativa l'equivalenza postulata fra di essi:
Il neonato è caratterizzato dal desiderio di contatto, soprattutto
con la madre. Vuole essere tenuto, accarezzato, accolto con gioia e
accettato. L'amore, come ho già sottolineato in un libro precedente,
può essere definito come desiderio di vicinanza e di intimità. Quan­
do il desiderio di contatto è soddisfatto il bambino si trova in uno
stato di piacere. La deprivazione della vicinanza, di cui ha bisogno,
genera uno stato di sofferenza.
Ogni sentimento di amore dell'adulto ha origine in questo strato
della personalità. Benché possa variare la forma in cui si esprime,
la natura del sentimento d'amore, nell'adulto e nel bambino, non è
diversa. Alla base di tutti i sentimenti amorosi vi è il desiderio di
contatto e di intimità. L'individuo che è ancora in contatto con il
bambino che è stato - e che fa ancora parte di lui - conosce il
sentimento dell'amore. E in contatto anche con il proprio cuore.
Quanto più una persona è staccata dal proprio cuore o dalla propria
infanzia, tanto più è bloccata la sua capacità di provare la pienezza
dell'amore.
L'infanzia aggiunge alla vita una nuova dimensione e una nuova
qualità. Il bisogno continuo di contatto cede il posto al nuovo bi­
sogno di esplorare il mondo - bisogno la cui espressione viene
favorita dalla maggiore coordinazione motoria. Attraverso questa
esplorazione delle persone e delle cose, dello spazio e del tempo,
il bambino crea il mondo nella propria mente. Non essendo ancora
impedita da un senso strutturato della realtà, la sua immaginazione
è libera. Durante questa fase il bambino crea anche il proprio senso
di se stesso a livello cosciente : nel corso di questo processo esplora
con l'immaginazione la possibilità di essere altri individui, ad esem­
pio la madre.
Credo si possa affermare che l'infanzia finisce quando il sog­
getto giunge ad avere un'immagine coerente del suo mondo e del
suo sé personale. Terminata questa fase, il ragazzo e la ragazza sfi­
dano, nel gioco, il loro mondo personale. La maggiore padronanza
della capacità motoria e i giochi con gli altri danno vita a una forma
49
Bioenergetica
di gioco che è gwwso perché libero e altamente gratificante. Nel
gioco dei ragazzi e delle ragazze c'è un grado di eccitamento mag­
giore che non in quello dei bambini più piccoli: questo spiega an­
che i sentimenti di gioia che si provano in questa fase della vita.
C'è anche un maggiore senso di libertà, che deriva dal possedere
un'indipendenza non ancora gravata dalla responsabilità.
La giovinezza è contrassegnata da un ulteriore aumento del li­
vello possibile di eccitamento, legato all'emergere dell'interesse per
il sesso opposto e alla crescente intensità dell'istinto sessuale. Ideal­
mente la giovinezza è l'epoca delle storie d'amore e dell'avventura,
in cui il piacere profondo dell'intimità si combina a un altro, quello
dell'immaginazione e della creatività mentale del bambino e quello
della sfida e della giocosità dell'adolescente. Quando le possibili
conseguenze di tutto questo rappresentano una seria realtà di cui
l'individuo si assume la responsabilità, ecco raggiunto lo stadio
adulto .
L'adulto è consapevole delle conseguenze del suo comport;­
mento e se ne assume le responsabilità. Ma se perde il contatto
con i sentimenti di amore e di intimità che conosceva da piccolo,
con l'immaginazione creativa del bambino, con la giocosità e la gioia
del ragazzo e con lo spirito d'avventura e di romanticismo che han­
no caratterizzato la sua adolescenza, sarà una persona sterile, gretta
e rigida. L'adulto sano è un neonato, un bambino, un ragazzo o una ragazza - e un adolescente. Il suo senso della realtà e della
responsabilità comprende il bisogno e il desiderio di intimità e di
amore, la capacità di essere creativo, la libertà di essere gioioso e
Io spirito di avventura. E un essere umano integrato e pienamente
cosciente.
Per comprendere il corpo vivente dobbiamo scartare le idee di
tipo meccanico. I meccanismi sono importanti, ma non spiegano il
funzionamento del corpo. Un occhio, per esempio, non è solo un
apparecchio fotografico: è un organo dei sensi atto a percepire e un
organo espressivo atto a reagire. Il cuore non è solo una pompa:
è un organo capace di sentire (cosa che una pompa non può fare) .
Siamo esseri dotati di sensibilità, il che significa che abbiamo la ca­
pacità di sentire o percepire e di provare sensazioni e sentimenti.
La percezione è una funzione della mente, che a sua volta è un
aspetto del corpo. Il corpo vivente ha una mente, possiede uno spi­
rito e contiene un'anima. Come vengono intesi questi concetti dal
punto di vista bioenergetico?
50
Il concetto di energia
Mènte, spirito e anima
Oggi piace dire che la dicotomia fra mente e corpo è un prodotto
del pensiero umano e che in realtà mente e corpo sono tutt'uno.
Troppo a lungo li abbiamo considerati due entità separate, che si
influenzano a vicenda ma non sono direttamente collegate. Questo
atteggiamento non è cambiato del tutto. L'istruzione è ancora spac­
cata in due: l'educazione della mente da un lato e l'educazione fisica
dall'altro, senza nessun rapporto fra loro. Sono pochi gli insegnanti
di educazione fisica che credono di poter modificare con la ginna­
stica o con i programmi atletici la capacità di apprendimento del
ragazzo. E, di fatto, è raro che lo facciano. Ma se mente e corpo
sono tutt'uno, un'autentica educazione fisica dovrebbe essere al
tempo stesso un'adeguata educazione mentale, e viceversa.
Il problema sta, credo, nel fatto che riconosciamo a parole il
concetto di unità, ma non lo applichiamo nella vita quotidiana. As­
sumiamo che si possa educare la mente di un ragazzo senza preoc­
cuparsi del corpo. Con la minaccia della bocciatura o della punizione
riusciamo a inculcargli nella testa qualche informazione. Purtroppo, ·
però, se non è rilevante in rapporto all'esperienza l'informazione
non diventa conoscenza. Trascuriamo costantemente il fatto che
l'esperienza è un fenomeno corporeo. Si fa esperienza solo di ciò
che avviene nel corpo e l'esperienza è vivida o spenta a seconda
della vitalità del corpo . Quando gli eventi esterni influenzano il cor­
po, ne facciamo esperienza: ma ciò di cui effettivamente facciamo
esperienza è il loro effetto sul corpo.
Il punto debole della tecnica psicoanalitica sta nel fatto che il
suo tentativo di aiutare il paziente a elaborare i conflitti emotivi
ignora il corpo. Non fornisce esperienze corporee significative, e
dunque le idee che emergono nel corso del trattamento restano im­
potenti a produrre cambiamenti di rilievo nella personalità. Ho co­
nosciuto pazienti che in anni di psicoanalisi avevano acquisito molte
informazioni e una certa conoscenza della propria condizione, ma i
cui problemi di fondo erano rimasti tali e quali. La conoscenza di­
venta comprensione quando si unisce al sentimento. Solo una com­
prensione profonda, dotata di una forte carica affettiva, è in grado
di modificare gli schemi strutturati di comportamento.
Nei miei libri precedenti ho svolto un esame abbastanza appro­
fondito del problema mente-corpo. Qui vorrei evidenziare alcune
funzioni mentali che hanno notevole attinenza con la bioenergetica.
In primo luogo, rispetto al corpo la mente ha una funzione direttiva.
51
Bioenergetica
Attraverso la mente l'individuo può dirigere l'attenzione su diverse
parti del corpo, mettendo a fuoco certe zone. Vorrei proporre un
semplice esperimento. Tendete la mano dritta davanti a voi, col
braccio rilassato, e focalizzate l'attenzione sulla mano. Mantenetela
così per circa un minuto, respirando tranquillamente: è possibile
che sentiate la mano in modo diverso. Sarà percorsa da una cor­
rente, la sentirete carica e formicolante. Magari comincerà a vibrare
o a tremare leggermente. Se provate queste sensazioni vi accorgerete
di aver diretto sulla mano una corrente di eccitazione e di energia.
Nelle esercitazioni di bioenergetica utilizzo una variante di que­
sto esperimento per ottenere un'eSperienza più intensa.
Invito il paziente a premere le dita allargate di una mano contro
quelle dell'altra, tenendo le palme il più possibile scostate, poi fac­
cio voltare le mani all'interno, sempre mantenendo il contatto, in
modo da puntare le dita al petto e, sempre senza staccarle, le faccio
52
Il concetto di energia
spostare in avanti. Devono essere tenute in questa posizione di iper­
tensione per un minuto, mentre il soggetto respira tranquillamente.
Alla fine del minuto si rilassano e si stendono con scioltezza le mani.
Anche in questo caso può succedere di provare la corrente, la carica,
il formicolio e la vibrazione. Se fate questo esercizio di esperienza
corporea, potete anche notare che la vostra attenzione è focalizzata
sulle mani, perché sono più cariche. Le vostre mani sono in uno
stato di maggior tensione o carica. Se le avvicinate lentamente fino
ad avere le palme distanti cinque o sei centimetri (sono completa­
mente rilassate ma ancora cariche), potrete sentir passare fra di esse
una carica, che parrà quasi avere sostanza e corpo.
La mente può dirigere l'attenzione sia verso l'interno che verso
l'esterno, sul corpo e sugli oggetti. L'energia viene focalizzata su se
stessi o sugli oggetti esterni. Un individuo sano può alternare con
rapidità e facilità questi due punti di messa a fuoco, in modo da
essere consapevole quasi contemporaneamente del proprio sé cor­
poreo e dell'ambiente. Questo individuo ha la mente attenta a ciò
che accade sia a se stesso sia agli altri. Ma non tutti hanno questa
capacità. Alcune persone sono troppo attente, troppo presenti a se
stesse, fino ad esserne quasi imbarazzate e inibite. Altre sono tal­
mente attente a quello che accade intorno da perdere la consape­
volezza di sé, come accade di frequente agli individui ipersensibili.
Por mente al corpo : ecco uno dei cardini della bioenergetica:
solo così possiamo sapere chi siamo - cioè conoscere la nostra stes­
sa mente. In connessione col corpo la mente funziona come organo
percettivo e riflessivo, che sente e definisce gli umori, i sentimenti,
i desideri del soggetto. Conoscere davvero la propria mente significa
sapere quello che si vuole e quello che si sente. Se una persona non
ha sentimenti, non ha niente a cui por mente (a cui fare attenzione),
dunque non ha una mente. Chi si lascia influenzare nelle sue azioni
dagli altri e non dai suoi stessi sentimenti non ha una mente propria.
Quando una persona non riesce a prendere una decisione (make
up his mind), significa che è consapevole di due sentimenti opposti,
entrambi ugualmente forti. In genere in questi casi è impossibile
decidere, fino a che uno dei due sentimenti diventa più forte e pre­
vale. Perdere la testa (mind) - nella pazzia per esempio - è non
sapere quello che si sente. Questo succede quando la mente è som­
mersa da sentimenti che non può accettare e non osa mettere a
fuoco. Allora l'individuo stacca o dissocia dal corpo la percezione
cosciente. Può diventare spersonalizzato oppure cadere in preda alla
53
Bioenergetica
follia, abbandonando tutti i tentativi di riprendere la padronanza
di sé.
Se una persona non è attenta (mindful) al proprio corpo, è per­
ché ha paura di percepire o sentire i propri sentimenti. Quando i
sentimenti hanno una qualità minacciosa, in genere vengono sop­
pressi: per far questo si sviluppano delle tensioni muscolari cro­
niche che non consentono lo sviluppo di nessun flusso di eccitazione
e di nessun movimento spontaneo nelle zone interessate. Spesso si
reprime la paura perché ha un effetto paralizzante, la collera perché
è troppo pericolosa e la disperazione perché è troppo demoraliz­
zante. Si sopprime anche la coscienza del dolore, ad esempio quello
causato dalla mancata realizzazione di un desiderio, perché non si è
in grado di sopportarlo. La soppressione dei sentimenti diminuisce
lo stato di eccitazione del corpo e la capacità della mente di mettere
a fuoco determinati aspetti. È la causa primaria della perdita di po­
tere mentale. In genere la nostra mente è tutta presa dal bisogno
di controllarsi, a spese dell'esigenza di essere e sentirsi più viva.
Mente e spirito sono anch'essi collegati. Una persona ha tanto
più spirito quanto più è viva e vibrante: letteralmente, insomma,
quanta più energia possiede. Il legame fra energia e spirito è im­
mediato. Quando una persona si eccita, quando la sua energia au­
menta, il suo morale (spirits) si alza. In questo senso gli inglesi
parlano di spirited person o di spirited horse [ persona impetuosa,
cavallo focoso ] . Perciò definirei lo spirito come la forza vitale del­
l'organismo, che si manifesta nell'autoespressione dell'individuo.'
La qualità dello spirito caratterizza l'individuo in quanto tale: quan­
do lo spirito è vigoroso l'individuo emerge sui propri simili.
La forza vitale - o spirito - di un individuo è stata spesso
associata con il respiro. La Bibbia dice che Dio soffiò il suo spirito
in un pezzo di creta, dandogli la vita. In teologia lo spirito di Dio
o dello Spirito Santo viene chiamato pneuma, che il dizionario defi­
nisce come "l'anima vitale dello spirito " . Pneuma è un termine
greco che significa vento, respiro o spirito: è affine all'altro termine
greco phein, che significa soffiare, respirare. Molte religioni orientali
danno particolare importanza alla respirazione come mezzo per rag­
giungere la comunione con l'universo. La respirazione svolge un
ruolo importante anche in bioenergetica; perché solo una respira4
Per una più completa esposizione di questo concetto vedi ALEXANDER LowEN, De­
pression and the Body, cit.
54
Il concetto di energia
zione piena e profonda permette di trovare le energie per una vita
più ricca e spirituale.
Il concetto di anima è più difficile da definire . Il suo significato
primario è quello di " principio vitale, per cui gli uomini sentono,
pensano e operano, visto come entità distinta e separata dal corpo" .5
Il concetto di anima è associato con l'idea di una vita dopo la morte,
con il paradiso e l'inferno : tutte idee che gli individui sofisticati
oggi rifiutano. Ad alcuni . anzi può dare fastidio il solo fatto che in
un libro come questo, che pretende di avere una validità oggettiva,
si citi la parola anima. Non riescono a conciliare l'idea di un'entità
separata dal corpo con il concetto di unità sostenuto dalla bioener­
getica. A dire il vero neanch'io sono in grado di conciliare le due
cose. Fortunatamente tutti pensano che l'anima stia nel corpo fino
alla morte. Quello che le succede al momento della morte e dopo,
non lo so. Né il problema mi turba, perché il mio interesse princi­
pale va al corpo durante la vita, insomma al corpo vivente.
Il corpo vivente ha un'anima? Dipende da come si definisce il
termine " anima " . Il Random House Dictionary ne dà anche un al­
tro significato : " La parte emotiva della natura umana: sede delle
sensazioni e dei sentimenti)). I sinonimi sono spirito e cuore. Non
che aiuti molto, perché allora potremmo semplicemente tralasciare
questo termine. Per me la parola ha un significato totalmente diver­
so, che mi aiuta nella comprensione degli esseri umani.
Vedo l'anima di una persona come il senso, o sentimento, di far
parte di un ordine più vasto, universale. Un sentimento del genere
deve nascere dall'effettiva esperienza di far parte dell'universo o di
esservi collegati in qualche modo, a livello vitale o spirituale. Non
uso il termine " spirituale " nella sua connotazione astratta o men­
tale, ma come spirito, pneuma o energia. Ritengo che l'energia dei
nostri corpi sia in contatto e interagisca con l'energia che ci circonda
nel mondo e nell'universo. Non siamo un fenomeno isolato. Non
tutti, però, sentono questa connessione, questo contatto. A mio av­
viso la persona isolata, alienata e slegata manca della qualità di
" pienezza d'anima " che io percepisco in coloro che si sentono parte
di qualcosa di più grande di loro stessi.
Siamo nati connessi a qualcosa, anche se alla nascita la connes­
sione più visibile, il cordone ombelicale, viene tagli�to: ma finché
questo era intatto, il bambino, in un certo senso, faceva ancora parte
della madre. Anche se dopo la nascita comincia a condurre un'esi5
The Randmn House Dictionary of the English Language, New York, 1970.
55
Bioenergetica
stenza totalmente indipendente, dal punto di vista energetico ed
emotivo è ancora legato alla madre; reagisce alla sua eccitazione ed
è influenzato dal suo umore. Non ho dubbi che il bambino abbia il
senso di questa connessione e di questa appartenenza alla madre.
Ha un'anima; i suoi occhi spesso hanno uno sguardo profondo,
animato.
La crescita è espansione su molti livelli. Vengono stabilite e
vissute nuove connessioni, di cui la prima è quella che si crea con
gli altri membri della famiglia. Una volta stabilita questa connes­
sione, fra il bambino e tutti i componenti della famiglia e fra il
bambino e la famiglia come gruppo c'è interscambio energetico.
Gli altri entrano a far parte del suo mondo, come lui entra a far
parte del loro.
STELLE E COSMO
UN IVERSO
56
Il concetto di energia
Con il crescere della consapevolezza e dei contatti, la persona
allarga la cerchia dei suoi rapporti. Include in sé anche il mondo
delle piante e degli animali e si identifica con esso. Poi c'è la comu­
nità in cui vive, che diventa la sua comunità e di cui egli diventa
membro. E così via, a mano a mano che l'individuo cresce. Se non
viene escluso, sentirà di appartenere al grande ordine naturale della
Terra. Come egli appartiene a questo ordine, così questo ordine fa
parte di lui. A un altro livello di pensiero, la piccola comunità si
estende fino a comprendere la nazione e il mondo intero. Più in là
ci sono le stelle e l'universo. Gli occhi degli anziani hanno a volte
uno sguardo distante, come se la loro visione fosse concentrata sul
cielo. Parrebbe quasi che, verso la fine della vita, l'anima entri in
contatto con la regione dell'ultimo riposo.
Il diagramma di p. 56 mostra l'espansione dei rapporti stabiliti
da un individuo sotto forma di cerchi concentrici. È simile al dia­
gramma del paragrafo precedente che illustrava, in un contesto di­
verso, i livelli di sviluppo della coscienza individuale. La coscienza
espandendosi incorpora nella psiche e nella personalità individuale
una porzione sempre maggiore del mondo esterno. Dal punto di
vista energetico e psichico l'organismo appena nato è come un fiore,
che lentamente sboccia e si apre al mondo. In questo senso l'anima
è presente fin dalla nascita, ma in modo confuso e incompleto. An­
ch'essa, in quanto aspetto dell'organismo, subisce il naturale pro­
cesso di crescita e di maturazione, alla fine del quale diviene piena­
mente identificata con il cosmo e perde la qualità individuale. Pos­
siamo concepire la possibilità che alla morte l'energia libera dell'or­
ganismo lasci il corpo per fondersi con l'energia universale o co­
smica. Diciamo che a1la morte l'anima si stacca dal corpo.
La vita viene nel mondo come essere ( = be-ing), ma il solo
essere non basta per sentirsi realizzati. Un mio paziente espresse
così questa idea: " Essere (being) non è abbastanza. Voglio appar­
tenere (be-long) e non mi sembra che sia cosi " . L'estensione del­
l 'essere nel mondo attraverso le identificazioni e le relazioni dà ori­
gine al senso di appartenenza. L'essere anela (longs) alla propria
estensione, ad appartenere (belong). Il senso di aspirare a qual­
cosa, uno dei più importanti dell'organismo, riflette il bisogno di
contatto con l'ambiente e con il mondo. Attraverso l'appartenenza
l'anima sfugge ai limiti ristretti del sé, senza però perdere il senso
di sé, il senso di essere (being) che è la nostra esistenza individuale .
57
Bioenergetica
La vita del corpo: l'esercizio bioenergetico
Nel primo capitolo ho ricordato che prima di conoscere Reich
mi occupavo di sport e di calistenica. La vita del corpo mi ha sem­
pre attratto in modo particolare, al punto che avrebbe potuto por­
tarmi a condurre una vita all'aria aperta. Ma la mente mi interes­
sava altrettanto: non potevo dunque dedicarmi interamente a uno
o all'altro aspetto della mia personalità. Mi sentivo spaccato in due
e mi dibattevo fra queste esigenze in conflitto, sperando di trovare
una soluzione.
Non sono l'unico, naturalmente, ad avere questo problema. La
maggior parte degli individui che vivono in una cultura civilizzata
soffrono a causa della stessa dicotomia. E la maggior parte delle cul­
ture hanno dovuto sviluppare un modo per mantenere il flusso
vibrante della vita del corpo, contrastando le esigenze opposte della
vita intellettuale. Una delle vie principali adottate dalle culture oc­
cidentali per mobilitare e lanciare una sfida al corpo è stata quella
dello sport. I Greci, che furono tra i primi a capire l'importanza
della vita del corpo, davano un'importanza enorme allo sport.
In diretta proporzione con il ritiro (o l'allontanamento) di una
civiltà dalla natura e dalla vita del corpo, aumenta il bisogno di
attività speciali che lo impegnino e lo mobilitino. Oggi c'è un sem­
pre maggiore interesse per lo sport, unito a una crescente consa­
pevolezza dell'importanza dell'esercizio regolare per la salute fisica.
Nell'ultimo decennio vari programmi di esercizio hanno acquistato
ampia popolarità : fra questi citeremo quelli della Royal Canadian
Airforce 6 e l'aerobica, che si basa essenzialmente sul jogging. Pur­
troppo l'atteggiamento americano nei confronti del corpo è pesan­
temente incrostato di considerazioni legate all'io. La soddisfazione
dello sport passa in secondo piano rispetto alla soddisfazione che
l'io trae dalla vittoria. Spesso il posto centrale dato alla vittoria ag­
giunge all'attività un grado di tensione che ne nega direttamente il
valore di stimolazione e liberazione del corpo. Un colpo scadente,
e tutta la mattinata del giocatore di golf è rovinata. La pulsione
dell'io al successo e il bisogno di stare al passo con la moda per­
meano i programmi di esercizio sportivo. Li facciamo per miglio­
rare il nostro aspetto, per dare un'immagine di salute e per svilup­
pare i muscoli. Il nostro corpo ideale ha le qualità di un cavallo da
corsa: scattante, in perfetta forma - e pronto a vincere.
6
58
Trad. it.: Sentirsi in forma, Feltrinelli, Milano, 1973.
Il concetto di energia
La vita del corpo è il sentire: sentirsi vivo, vibrante, buono,
eccitato, irato, triste, gioioso e finalmente soddisfatto. È la man­
canza di sentire o la confusione riguardo a questo aspetto che porta
la gente in terapia. Ho scoperto che gli atleti, i ballerini e i maniaci
dell'esercizio fisico soffrono di questa mancanza e confusione esat­
tamente quanto gli altri. E ne soffrivo anch'io, nonostante il mio
impegno nello sport e nella ginnastica. Attraverso la terapia riuscii
a raggiungere e a schiudere i miei sentimenti, riconquistando così
parte della vita del mio corpo. La terapia reichiana e la bioenerge­
tica mirano entrambe al raggiungimento di questo obiettivo.
Ma i problemi restavano. Come si fa a mantenere fluente e vi­
brante la vita del corpo dopo la fine della terapia? La nostra cul­
tura, che nega la vita, non ci aiuta a rispondere a questo bisogno.
Ecco una questione che Reich non prese mai in considerazione.
Credeva che una persona si realizzi dirigendo le proprie energie
verso l'esterno. La sua filosofia si esprimeva nella massima: " Amo­
re, lavoro e conoscenza sono le sorgenti della vita. Dovrebbero an­
che governarla " . È chiaro, da questa affermazione, che l'unica via
maestra per giungere all'espressione della vita del corpo sarebbe
l'attività sessuale: ma è invece un sentiero, troppo angusto e re�
strittivo.
La mia soluzione fu di usare con regolarità a casa gli esercizi
bioenergetici che erano stati sviluppati per favorire la terapia. Or­
mai sono circa vent'anni che li faccio. Non solo mi hanno permesso
di mantenermi in contatto col mio corpo e di mantenere la vita,
ma hanno anche portato avanti la crescita messa in moto dalla
terapia. Li trovai talmente utili che invitai i miei pazienti a farli
a casa come completamento della terapia. Tutti quelli che li svol­
gono me ne hanno confermato l'efficacia. Ora abbiamo istituito dei
corsi regolari di esercizio bioenergetico per i pazienti e per chi si
vuole occupare della vita del corpo. Poiché l'impegno nei confronti
del proprio corpo dura tutta la vita, riteniamo che una persona
debba assumersi lo stesso impegno nei confronti degli esercizi.
Il rifiuto dell'atteggiamento antivitale della civiltà occidentale
ha spinto molti a interessarsi alle religioni e alle filosofie orientali,
che per Io più riconoscono che una qualche forma di esercizio fisico
è essenziale ai fini dello sviluppo spirituale. Il diffusissimo inte­
resse per lo yoga ne è una dimostrazione lampante. Prima di incon­
trare Reich mi ero interessato allo yoga: ma la mia mentalità occi­
dentale non ne era aitratta. Mentre lavoravo con Reich, però, mi
rendevo conto che fra la pratica dello yoga e la terapia reichiana
59
Bioenergetica
c'era una certa somiglianza. Entrambi i sistemi mettono l'accen­
to soprattutto sull'importanza della respirazione. La differenza fra
le due scuole di pensiero stava nella loro direzione. La direzione
dello yoga è verso l'interno, verso lo sviluppo spirituale, mentre
la terapia reichiana è diretta verso l'esterno, verso la creatività e
la gioia. È necessario riconciliare queste due visioni e spero che
la bioenergetica possa portare un contributo in questo senso. Molti
eminenti insegnanti dello yoga in America hanno espresso il loro
personale apprezzamento della comprensione del corpo che si rag­
giunge con la bioenergetica - una comprensione che li ha messi
in grado di adattare le tecniche dello yoga alle esigenze occidentali.
Recentemente si sono diffuse in America altre discipline orien­
tali, fra cui la principale è di origine cinese, il t'ai chi ch'uan. Sia
lo yoga sia il t'ai chi sottolineano l'importanza di sentire il corpo,
di acquisire coordinazione e grazia e di raggiungere una sensibilità
spirituale attraverso l'identificazione con il corpo. Si contrappon­
gono dunque alla ginnastica e agli sport occidentali, che mirano al
raggiungimento del potere e dell'autocontrollo.
In questo quadro, qual è il posto degli esercizi bioenergetici?
Questi esercizi rappresentano un'integrazione di atteggiamenti
orientali e occidentali. Come le discipline orientali, rifuggono il
potere e il controllo a favore della grazia, della coordinazione e
della spiritualità del corpo. Ma mirano anche a promuovere l'espres­
sione di sé e la sessualità. Servono dunque a schiudere la vita inte­
riore del corpo e al tempo stesso contribuiscono alla sua estensione
nel mondo. Vogliono aiutare le persone a entrare in contatto con le
tensioni che inibiscono la vita corporea. Ma, come le pratiche orien­
tali, funzionano solo se diventano una disciplina, da svolgersi non
in modo meccanico od ossessivo, ma traendone piacere e percepen­
done il significato.
Non posso presentare qui tutto il repertorio degli esercizi che
impieghiamo nella bioenergetica. Spero di poterlo fare in un altro
libro. Vorrei aggiungere anche che i nostri esercizi non sono forma­
lizzati e possono essere improvvisati per adattarli alla situazione e
ai bisogni di ciascuno. Tuttavia, per illustrare che cosa si propon­
gono i principi della bioenergetica, nel corso dell'esposizione de­
scriverò un buon numero di esercizi. Uno degli esercizi fondamen­
tali lo sviluppai all'inizio per aiutarmi a stare meglio sulle gambe
e sui piedi e ad essere più radicato. Si chiama arco; a volte mi rife­
rirò ad esso anche come posizione fondamentale di sforzo.
60
Il concetto di energia
Bioenergetica
La linea tracciata lungo la figura indica l'arcuatura corretta del
corpo. Il punto centrale delle spalle è direttamente sopra al punto
centrale dei piedi e la linea che collega questi punti è un arco quasi
perfetto che passa per il punto centrale dell'articolazione delle
anche.
Quando il corpo è in questa posizione le sue parti sono perfet­
tamente equilibrate. Dal punto di vista dinamico l'arco è teso e
pronto all'azione. Dal punto di vista energetico il corpo è carico
dalla testa ai piedi. Questo significa che c'è un flusso di eccitazione
che attraversa il corpo. Ci si sente coi piedi al suolo e la testa in
aria, pienamente connessi e integrati. Trattandosi di una posizione
di sforzo, energeticamente carica, le gambe cominceranno a vibrare.
Usiamo questa posizione per dare al soggetto il senso di essere
connesso e integrato, di essere saldamente piantato al suolo coi pie­
di, a testa alta. Ma la impieghiamo anche a scopo diagnostico, per­
ché rivela immediatamente l'eventuale mancanza di integrazione del
corpo, indicando la natura e l'ubicazione delle principali tensioni
muscolari. Dirò tra breve come queste tensioni influenzano l'arco.
Utilizzavamo l'arco da ormai più di diciotto anni. Immaginate
la mia sorpresa quando un paziente mi mostrò una foto AP che
riprendeva dei Cinesi nell'atto di eseguire esattamente lo stesso
esercizio. (Venne pubblicata il 4 marzo del 1972.)
La didascalia e il commento in essa contenuto suscitarono in me
un notevole interesse. Tao significa via. La via del tao è quella del­
l'armonia sia all'interno del sé che con l'ambiente e l'universo. Anzi,
l'armonia esterna dipende dall'armonia interna che può essere rag­
giunta attraverso la " combinazione di movimento corporeo e tecnica
della respirazione ''. La bioenergetica mira al raggiungimento della
stessa armonia con gli stessi mezzi. Molti nostri pazienti hanno
usato, in concomitanza con la bioenergetica, vari esercizi t'ai chi.
I Cinesi, tuttavia, partono dal presupposto che il loro popolo
non abbia grossi disturbi corporei che impediscano loro di svolgere
correttamente l'esercizio. Non si può presupporre lo stesso per gli
occidentali. È anche opinabile che sia vero per i Cinesi contem­
poranei.
Un problema che incontro di frequente è quello di una rigidità
diffusa che non permette al soggetto di arcuare il corpo. La linea
che congiunge il punto in mezzo alle spalle con il punto che sta in
mezzo ai piedi è una linea retta (vedi illustrazione a p. 64). Le gam­
be mancano notevolmente di flessibilità. L'individuo non è in grado
62
Il concetto di energia
Questo disegno è tratto da una foto dell'Associated Press e mostra dei ci­
nesi che eseguono un cosiddetto ''arco taoista)}. La didascalia che accom­
pagna la foto dice: ((Tre cittadini di Shanghai mentre eseguono la calistenica
cinese di t'ai chi ch'uan. L'esercizio si radica nella filosofia taoista e mira a rag­
giungere farmonia con funiverso grazie a una combinazione di movimenti
corporei e tecnica respiratoria'' .
63
Bioenergetica
Il concetto di energia
di flettere per intero la caviglia. La tensione alla parte inferiore del­
la schiena impedisce di arcuarla. La pelvi è leggermente ritratta.
Esiste anche la situazione opposta, caratterizzata da iperflessi­
bilità della schiena, che denota una certa debolezza dei muscoli del
dorso, che io ricollego a una mancanza del senso della spina dorsale.
Il corpo e la personalità rigidi sono inflessibili; in questo caso in­
vece il corpo e la personalità sono troppo malleabili. In entrambi i
casi l'arco viene eseguito scorrettamente: mancano il senso dell'in­
tegrazione e del flusso, la sensazione di armonia interiore o esterna.
La linea dell'arco è piegata al limite della rottura. La parte infe­
riore del dorso non serve da supporto al corpo; questa funzione
viene svolta invece dai muscoli addominali, che sono molto contratti
(vedi sotto).
Un altro disturbo comune è la presenza di una rottura nella
linea dell'arco, dovuta a una grave ritrazione della pelvi. È una con­
dizione opposta alla precedente, in cui la pelvi era spinta troppo
in avanti (vedi illustrazione a p . 66).
In questa condizione, se la persona spinge in avanti la pelvi,
le ginocchia si raddrizzano. Può piegare le ginocchia solo tirando
in fuori il sedere. Nella bassa schiena e lungo la parte posteriore
delle gambe c'è una notevole tensione.
Bioenergetica
Il concetto di energia
Quando si guarda il corpo di fronte, a volte si nota una fram­
mentazione dei suoi segmenti. Le parti principali del corpo, testa e
collo, tronco, gambe, non sono allineate. La testa e il collo sono
inclinati verso sinistra o verso destra. Il tronco è inclinato ad angolo
nella direzione opposta, e lo stesso dicasi per le gambe rispetto al
tronco. Alla pagina seguente c'è uno schizzo di questa posizione,
in cui la linea indica le angolazioni.
Queste angolazioni rivelano che il flusso del corpo è spezzato.
Rappresentano una frammentazione dell'integrità della personalità,
tipica dello schizoide o dello schizofrenico. Schizoide significa spac­
cato in due. Se c'è una spaccatura nella personalità, deve esserci
anche, a livello energetico, nel corpo. Una persona è il suo corpo.
Alcuni anni fa i miei soci e io fummo invitati a tenere un di­
scorso e a dare una dimostrazione di bioenergetica davanti a un
gruppo di medici e di studenti del National Institute of Menta!
Health. Il mio discorso verteva sull'intimo rapporto fra corpo e
personalità. Dopo il discorso ci fu chiesto di dare una dimostrazione
della nostra capacità di fare una diagnosi psichiatrica solo interpre­
tando il corpo, senza sapere niente del soggetto. Ci presentarono in
successione una serie di soggetti che erano in osservazione al NIMH.
Chiesi a ciascuno di essi di assumere la posizione di sforzo descritta
sopra, per vedere l'allineamento del corpo. Dopo aver osservato il
corpo per breve tempo, io e i miei soci fummo mandati in stanze
separate e chiamati fuori uno alla volta, in modo che non ci potes­
simo consultare : ci venne richiesta una diagnosi.
Facemmo tutti le stesse diagnosi, che concordavano con i dati
del NIMH. In due casi la spaccatura delle linee del corpo era tal­
mente chiara che fu semplice diagnosticare una personalità schi­
zoide. Nel terzo caso la caratteristica dominante era la rigidità ec­
cessiva. Uno dei soggetti schizoidi presentava una condizione inso­
lita: aveva gli occhi di colore diverso. Quando sottolineai questo
fatto, scoprii con stupore che nessuno dei presenti l'aveva notato.
Come molti psicologi e psichiatri anche loro erano abituati ad ascol­
tare, e non a guardare. Erano interessati alla mente e alla storia del
paziente, non al suo corpo e alla sua espressione. Non avevano an­
cora imparato a leggere il linguaggio del corpo.
Sotto ai sintomi che spingono una persona a cercare la terapia
vi sono disturbi corporei del tipo di quelli che ho descritto sopra.
La persona rigida nelle situazioni che richiedono morbidezza e tene­
rezza sarà incapace di cedere e di dare. L'individuo con il dorso
troppo morbido e malleabile mancherà di aggressività nei casi in
67
Il concetto di energia
cui è opportuno averla. I pazienti non si sentono in armonia con se
stessi e con il mondo. L'esecuzione dell'esercizio dell'arco non ren·
derà loro questa armonia, perché non sono in grado di eseguirlo in
maniera corretta. Tuttavia li aiuterà a sentire le tensioni del loro
corpo che ne impediscono la corretta esecuzione. Queste tensioni
possono essere allentate mediante altri esercizi bioenergetici, alcuni
dei quali verranno descritti nei capitoli successivi.
Mi sento di affermare senza esitazione né riserve che chi esegue
correttamente l'arco è in armonia con l'universo, perché non ho
mai visto una persona con un grosso problema emotivo che fosse
in grado di compierlo correttamente. Non è una questione di pra­
tica: è una posizione che non si può imparare. Non è una posizione
statica. Mentre la si esegue, bisogna respirare pienamente e a fondo.
Bisogna essere in grado di mantenere il funzionamento e l'integrità
del corpo mentre si è sotto sforzo. Comunque l'esecuzione regolare
dell'esercizio aiuta molto. Aiuta a mettersi in contatto con il pro­
prio corpo, a sentirne i disturbi e le tensioni e a comprenderne il
significato. Aiuta anche a mantenere, una volta raggiuntolo, il senso
di armonia con l'universo. E in una cultura tecnologica non è una
sfida da poco.
69
Capitolo terzo
Il linguaggio del corpo
Il
cuore della vita: il cuore della faccenda
Il linguaggio del corpo comprende due parti. Una ha a che fare
con i segni e le espressioni che trasmettono informazioni su di una
persona; la seconda con le espressioni verbali il cui significato si ri­
ferisce a funzioni corporee. In questo capitolo tratterò entrambe le
parti di quello che viene chiamato linguaggio del corpo, comincian­
do dalla seconda. L'espressione " stare in piedi da soli" , per esem­
pio, è linguaggio del corpo. Significa essere indipendenti e deriva
dall'esperienza comune. Quando eravamo piccoli e dipendenti, c'era
qualcuno che ci teneva e ci portava in braccio. Crescendo impariamo
a stare in piedi da soli e a essere indipendenti. Nel linguaggio di
tutti i giorni ci sono molte espressioni di questo tipo. Una persona
con la " testa dura " è cocciuta, uno con le " mani bucate " è prodigo
e dà molto, chi ha la "bocca cucita" è uno che dice poco. Parliamo
di " prenderei sulle spalle le nostre responsabilità " , " restare fermi
sulle nostre posizioni" e " andare a testa alta" : sono tutte espres­
sioni che indicano degli atteggiamenti psicologici.
Sandor Rado ha ipotizzato che il linguaggio abbia avuto origine
dalle sensazioni propriocettive - che equivale a dire che la base
di ogni linguaggio è il linguaggio del corpo. Ritengo che sia un'af­
fermazione fondata, perché la comunicazione è in primo luogo un
far partecipi gli altri delle proprie esperienze, che a loro volta sono
una reazione corporea a situazioni ed eventi. Ma, in un mondo in
cui ci sono altre griglie di riferimento rilevanti, il linguaggio deve
incorporare anche termini provenienti da questi sistemi. L'espres­
sione " essere su di giri " , per esempio, deriva dall'esperienza rela­
tiva alle macchine e ha un senso solo per chi ha familiarità con
questo ambiente. Un secondo esempio è l'espressione " partire in
70
Il linguaggio del corpo
quarta", che si riferisce alla guida dell'automobile. Espressioni di
questo genere potrebbero essere chiamate linguaggio delle macchi­
ne. Quante di queste espressioni sono entrate a far parte del nostro
modo di parlare e, dunque, di pensare? Non lo sappiamo. Possiamo
immaginare che il progresso tecnologico introdurrà nel nostro voca­
bolario molti nuovi termini ben lontani dal linguaggio del corpo.
In un certo senso tutte le macchine sono estensioni del corpo
umano e funzionano secondo princìpi che operano all'interno del
corpo. Lo si vede facilmente nel forcone, che è un'estensione della
mano e delle dita, nella pala che estende la mano a coppa e nella
mazza che estende il pugno. Ma anche le macchine più complicate
hanno questo tipo di rapporto con il corpo; il telescopio è un'esten­
sione degli occhi, il computer del cervello. Spesso però perdiamo
di vista questo fatto e tendiamo a pensare che sia il corpo a operare
con i prindpi della macchina, piuttosto che l'inverso. Ci identifi­
chiamo con la macchina che, all'interno della sua funzione limitata,
è uno strumento più potente del corpo. Finiamo per vedere il corpo
come una macchina e perdiamo il contatto con i suoi aspetti vitali,
legati alle sensazioni.
La bioenergetica non vede il corpo come una macchina, nem­
meno come la macchina più complessa e più bella che sia mai stata
creata. È vero che certi aspetti del funzionamento corporeo possono
essere paragonati a una macchina; il cuore, per esempio, può essere
visto come una pompa. Isolato dal corpo è una pompa. O, in altri
termini : se il cuore non fosse coinvolto nel complesso della vita
del corpo, sarebbe solo una pompa. Ma lo è, ed è questo che ne fa
un cuore, e non una pompa. La differenza fra una macchina e il
cuore è che la macchina ha una funzione limitata. Una pompa pom­
pa e basta. Anche un cuore pompa, e in questa operazione limitata
funziona come una macchina; ma fa anche parte integrante del cor­
po e in questo aspetto del suo funzionamento fa qualcosa di più
che pompare sangue. Partecipa e contribuisce alla vita del corpo.
Il linguaggio del corpo riconosce questa differenza e per questo è
cosl importante.
La ricchezza di espressioni in cui compare la parola cuore di­
mostra quanto siano importanti i suoi aspetti non meccanici. Nel­
l'espressione " arrivare al cuore della questione " , il cuore è l'es­
senza. È anche il centro, il nucleo, come nell'espressione " mi è arri­
vato al cuore ", che dunque ammettiamo sia l'aspetto più profondo,
più centrale di una persona. L'espressione " con tutto il cuore" in-
71
Bioenergetica
dica un impegno totale, perché coinvolge la parte più profonda
dell'individuo.
Tutti sanno che l'amore viene associato con il cuore. L'innamo­
rato abbandonato e deluso ha il "cuore spezzato " ; c'è chi fa strage
di cuori, chi dà il proprio cuore all'amato. Del resto si sa che
"cuore " fa rima con " amore " . Questi sono usi simbolici. Ma il
cuore non è solo associato ai sentimenti; secondo il nostro linguag­
gio è un organo che sente. Quando diciamo: "ho provato una stretta
al cuore " , comunichiamo una sensazione propriocettiva che anche
un altro può sentire in sé e denota pena o ansia estrema. Il cuore
può anche allargarsi per la gioia e questa è una constatazione lette­
rale, non solo figurata. Se è così, allora l'espressione " mi hai spez­
zato il cuore " indica un trauma reale, fisico? Penso di sì, ma credo
anche che spesso i cuori spezzati si aggiustino da soli. Il termine
" spezzare" non significa necessariamente " spezzare in due o più
pezzi " . Potrebbe indicare una rottura della connessione fra il cuore
e la periferia del corpo. Il sentimento di amore non fluisce più libe­
ramente dal cuore al mondo.
La bioenergetica si occupa del modo in cui una persona tratta
il sentimento di amore. Ha il cuore chiuso o aperto? Aperto al
mondo o chiuso, distante da esso? L'atteggiamento può essere de­
terminato in base all'espressione del corpo: ma per farlo occorre
comprendere il linguaggio del corpo.
Il cuore _è racchiuso in una gabbia di ossa, la gabbia toracica;
questa cassa può essere rigida o morbida, immobile o capace di rea­
zione. Se ne può accertare la qualità palpandola, osservando se i
muscoli sono saldi e se la parete toracica cede o meno a una lieve
pressione. La mobilità del torace può essere notata nella respira­
zione : sono moltissime le persone la cui gabbia toracica non si
muove quando respirano. In queste persone i movimenti della re­
spirazione sono prevalentemente diaframmatici, con un leggero im­
pegno addominale. Il petto è gonfio e viene mantenuto nella posi­
zione dell'inspirazione. In alcuni lo sterno forma una protuberanza,
quasi servisse a tener lontani gli altri dal cuore. Protendere il petto
in fuori è una forma di sfida. Se lo fate deliberatamente vi accor­
gerete che equivale a dire: "Non ti lascerò avvicinare a me".
Il primo canale di comunicazione per arrivare al cuore è quello
della bocca e della gola. E il primo canale che usa il neonato quan­
do con le labbra cerca il seno della madre. Ma un bambino non
cerca solo con le labbra e con la bocca, cerca anche col cuore. Il
bacio conserva la consapevolezza che questo movimento è un:espres-
72
Il linguaggio del corpo
sione di amore. Ma il bacio può essere un gesto di amore o una
espressione di amore; la differenza sta nel fatto che ci sia o meno
dentro il cuore, e questo dipende dal fatto che sia aperto o chiuso
il canale di comunicazione fra bocca e cuore. Una gola stretta e un
collo contratto possono effettivamente bloccare il passaggio di qual­
siasi sentimento. In questi casi il cuore è relativamente isolato, chiu­
so alla comunicazione.
Il secondo canale di comunicazione del cuore è quello delle
mani e delle braccia che si protendono per toccare. In questo caso
l'immagine di amore è il tocco dolce, tenero e carezzevole della
mano materna. Anche in questo caso se l'azione deve essere un'e­
spressione di amore il sentimento deve venire dal cuore e fluire
nelle mani. Le mani che amano davvero sono fortemente cariche
di energia. Il tocco di queste mani ha la capacità di dare conforto.
Il flusso di sentimento o di energia diretto alle mani può essere
bloccato da teQsioni alle spalle o da spasticità dei muscoli delle
mani. Le tensioni alle spalle si sviluppano quando il soggetto ha
paura di protendersi in cerca di qualcosa o di " buttarsi " . Le ten­
sioni ai piccoli muscoli della mano derivano dalla repressione del­
l'impulso di afferrare o di prendere, di graffiare o di strangolare.
Sono convinto che a queste tensioni siano dovute le artriti reuma­
toidi alle mani. In alcuni casi ho visto che l'esecuzione dell'esercizio
descritto nel primo capitolo, in cui le marii vengono premute l'una
contro l'altra in uno stato di ipertensione, poteva aiutare a superare
un attacco di artrite reumatoide alle mani.
Un altro canale di comunicazione fra il cuore e il mondo passa,
scendendo verso il basso, per la vita e la pelvi, per arrivare agli
organi genitali. Il sesso è un atto di amore ma, ancora una volta,
il suo essere un semplice gesto o espressione di un sentimento sin­
cero dipende dal fatto che ci sia dentro il cuore. Quando l'amore
che si prova per il partner è forte, l'esperienza sessuale ha un'inten­
sità e raggiunge un livello di eccitamento che fa dell'orgasmo un
momento di estasi. In precedenza avevo già osservato 1 che un or­
gasmo pieno e soddisfacente è possibile solo se c'è coinvolgimento
totale. Allora si sente davvero il cuore balzare (di gioia) al momento
del climax. Ma anche questo canale può essere interrotto o chiuso
in vario grado da tensioni della parte inferiore del corpo.
Il sesso senza sentimento è come un pasto mangiato senza ap3 ALEXANDER LoWEN, Love and Orgasm, New York, 1965; trad. it.: Amore e urg,l·
smo, Feltrinelli, Milano, 19682•
73
Bioenergetica
petito. Certo, la maggior parte delle persone provano qualcosa; ma
bisogna vedere quanto e come è aperto il canale di comunicazione.
Uno dei disturbi più comuni dell'essere umano è la dissociazione
della parte superiore dalla parte inferiore del corpo. A volte, a giu­
dicare dall'aspetto, non sembra neanche che le due metà apparten­
gano alla stessa persona. In alcuni individui la parte superiore è
ben sviluppata, mentre la pelvi e le gambe sono piccoli e di aspetto
immaturo, come se appartenessero a un bambino. In altri la pelvi
è piena e rotonda, mentre la parte superiore è piccola, stretta, in­
fantile. In tutti questi casi i sentimenti di una parte non sono inte­
grati con i sentimenti dell'altra. A volte la parte superiore del corpo
ha una qualità stretta, rigida ed aggressiva, mentre la parte inferiore
appare morbida, passiva e masochistica. In tutti i casi in cui esiste
un certo grado di dissociazione i naturali movimenti respiratori non
fluiscono liberamente attraverso il corpo. La respirazione è tora­
dca, con scarso impegno addominale, o diaframmatica, con movi­
menti limitati del petto. Se si chiede al soggetto di piegare la
schiena come nell'arco t'ai chi descritto sopra, la linea del corpo
non forma un vero arco. La pelvi viene tenuta in fuori o ritratta
all'indietro, causando una rottura della linea e dell'unità del corpo.
La mancanza di unità indica che capo, cuore e genitali non sono
integrati.
Le tensioni muscolari croniche che bloccano il libero fluire del­
l'eccitazione e dei sentimenti si trovano spesso nel diaframma, nei
muscoli intorno alla pelvi e nella parte superiore delle gambe. Sca­
ricando queste tensioni con l'aiuto di un approccio sia fisico che
psicologico i soggetti cominciano a sentirsi " connessi" . È il termine
che usano loro stessi. Testa, cuore e genitali - o pensiero, senti­
mento e sesso - non sono più parti o funzioni separate. Il sesso
diventa sempre più espressione di amore : di pari passo cresce anche
il piacere. Invariabilmente cessa un eventuale precedente comporta­
mento di promiscuità.
Nelle donne il cuore ha una connessione diretta e immediata
con i seni, che rispondono a livello erotico o ghiandolare agli im­
pulsi che fluiscono dal cuore. Nell'eccitazione sessuale i capezzoli si
riempiono di sangue e diventano eretti; nell'allattamento la ghian­
dola secerne latte. Perciò, normalmente, l'allattamento è una delle
espressioni più chiare di amore materno. Per lo stesso motivo è
difficile immaginare che il latte di una madre non sia adatto al
bambino. Il bambino è stato concepito e si è sviluppato nello stesso
ambiente che produce il latte. Tuttavia alcuni pazienti hanno detto
74
Il linguaggio del corpo
di aver trovato acido il latte materno. Pur prendendo seriamente
affermazioni del genere, non credo che il difetto stesse nel latte.
È più probabile che la madre fosse amareggiata e piena di risenti­
mento perché il bambino era per lei un peso: il bambino lo sentiva
e reagiva. L'allattamento, come il sesso, è più di una reazione fisio­
logica. È una risposta emotiva e dunque anch'essa soggetta all'umo­
re e all'atteggiamento della madre. È possibile sia costruire sia ri­
durre il flusso di sentimenti che, dal cuore, giungono al seno.
Mi sono dilungato sul cuore perché è un elemento essenziale di
ogni terapia. La gente viene in terapia lamentandosi di varie cose:
depressione, ansia, senso di inadeguatezza, senso di fallimento, ecc.
Ma dietro a ciascuno di questi problemi c'è la mancanza di gioia e
di soddisfazione nel vivere. Oggi è di moda parlare di autorealizza­
zione e di potenziale umano: ma sono termini privi di senso a meno
che ci si chieda: potenziale di fare cosa? Chi vuole vivere in mo­
do piu pieno e piu ricco, può farlo solo se apre il proprio cuore
alla vita e all'amore. Senza amore - per se stessi, per il prossimo,
per la natura e per l'universo, l'individuo è freddo, staccato e inu­
mano. Dal nostro cuore fluisce il calore che ci unisce al mondo in
cui viviamo. Questo calore è l'amore. L'obiettivo di ogni terapia
è di aiutare una persona ad accrescere la propria capacità di dare
e ricevere amore - di espandere il suo cuore, e non solo la sua
mente.
·Jnteragire con la vita
Spostandoci dal cuore verso la periferia del corpo, prenderemo
in considerazione gli organi che interagiscono· con l'ambiente. Il lin­
guaggio del nostro corpo è pieno di espressioni derivanti dalla con­
sapevolezza propriocettiva delle loro funzioni. Queste espressioni
sono così ricche di immaginazione e di significato che nessuno stu­
dioso della personalità umana può permettersi di ignorarle.
Dovremmo partire dal viso, la parte del corpo che viene pre­
sentata apertamente al mondo ed è anche la prima parte che si esa­
mina guardando un'altra persona. Come il termine "cuore" è venu­
to a significare centro o nucleo, il termine " faccia" è stato esteso
fino a includere l'aspetto esteriore degli oggetti e delle situazioni.
Per esempio parliamo della facciata di un edificio. Nell'espressione
" sono vecchi problemi con un volto nuovo " ci riferiamo al cambia-
75
Bioenergetica
mento dell'aspetto esteriore di una situazione, a cui !lon si accom�
pagna un corrispondente cambiamento dell'essenza delle cose.
La parola " faccia" viene anche usata per riferirsi all'immagine
di una persona, collegando così il concetto di faccia all'io: l'io in­
fatti, in una delle sue funzioni, ha a che fare con l'immagine proiet­
tata da una persona. " Perdere la faccia " significa che l'io ha subìto
un'umiliazione; per questo la gente in genere si sforza di " salvare
la faccia ". " Nascondere la faccia " implica un senso di vergogna,
di umiliazione dell'io. La persona con un forte io " affronta" le
situazioni mentre dal debole, dall'insicuro ci possiamo aspettare un
" voltafaccia " . L'autoespressione coinvolge la faccia, e il tipo di fac­
cia che indossiamo dice molto su chi siamo e su come ci sentiamo.
C'è la faccia sorridente, quella depressa, quella luminosa, triste,
eccetera. Purtroppo la maggior parte delle persone non sono consa­
pevoli dell'espressione del loro viso e non sono dunque in contatto
con quello che sono e che sentono.
Queste considerazioni ci consentono di valutare l'io di una per­
sona a partire dal volto. Il viso di uno schizoide ha in genere la
qualità di una maschera, che indica il basso stato del suo io; que­
sto è uno dei segni che permettono di diagnosticare questa condi­
zione. A mano a mano che, con il trattamento, le condizioni del
soggetto migliorano, il viso diventa più espressivo. Un viso largo,
pieno, è indice di un io forte (questo è linguaggio del corpo); ma
a volte si vede una grossa testa e una faccia grande su di un piccolo
corpo o, viceversa, un grande corpo con testa e faccia piccole. In
questi casi si può supporre che fra l'io e il corpo ci sia un certo
grado di dissociazione.
Un'altra cosa interessante da osservare è la tendenza di molti
ragazzi e ragazze coi capelli lunghi a nascondersi il viso dietro ai
capelli. Mi sembra che questo esprima la loro indisponibilità ad
affrontare il mondo. Il gesto può anche essere interpretato come
rifiuto della tendenza, propria della nostra cultura, a sopravvalutare
l'immagine. Nella personalità di molti giovani è presente una ten­
denza contraria all'io: provano ripugnanza per il prestigio, per lo
status sociale, per la mostra di sé e per i segni materiali della posi­
zione e del potere. Possiamo interpretare questo atteggiamento co­
me reazione esagerata all'eccessivo valore attribuito dai genitori al­
l'apparenza esteriore, spesso a spese della verità e dei valori in­
teriori.
Ogni organo e ogni tratto del viso ha il proprio linguaggio del
corpo. Le sopracciglia, gli occhi, le guance, la bocca e il mento ven76
Il linguaggio del corpo
gono usati per contrassegnare varie qualità o tratti. Consideriamo
alcune espressioni che riguardano queste parti anatomiche. Le so­
pracciglia alte indicano una persona di raffinata intellettualità. L'op­
posto, le sopracciglia basse, appartengono a un tipo rozzo. Si dice
che una persona è " accigliata" (browbeaten) quando è contrariata
dall'espressione o dalle parole intimidatorie di qualcun altro. Le
sue sopracciglia si abbassano e si aggrottano effettivamente. Quando
una persona è impertinente, si dice che ha " faccia tosta" (a lot of
cheek, " fior di guance " ) : ed effettivamente spesso le sue guance
sono arrossate e gonfie d'aggressività.
La funzione della vista è cosl importante per la consapevolezza,
che assimiliamo il " vedere " al comprendere. La persona " lungimi­
rante" non solo vede lontano, ma anticipa il futuro col pensiero.
Gli occhi luminosi sono segno e simbolo di esuberanza. In quanto
organi espressivi, gli occhi hanno un ruolo importante nel linguag­
gio del corpo. Uno sguardo è in grado di comunicare tanto signifi­
cato che spesso giudichiamo le reazioni di una persona dagli occhi.
Parliamo di " bocca della verità " , accusiamo una persona di essere
una " linguaccia" . La funzione dei denti è ricca di metafore. " Mo­
strare i denti" è espressione più efficace per minacciare. Una spie­
gazione " tirata coi denti" è una spiegazione stiracchiata. Una cosa
che difficilmente una persona potrà raggiungere " non è cibo per i
suoi denti" . Infine vorrei citare l'espressione inglese chin up
[ mento in alto ] , un invito a star su di morale nelle avversità. Ab­
bassare il mento è il primo movimento che si fa quando ci si ab­
bandona ai singhiozzi. Lo si può osservare nei bambini piccoli che
lasciano cadere il mento e cominciano a tremare prima di mettersi
a piangere. Nella terapia bioenergetica è a volte necessario ottenere
che un paziente abbassi il mento perché riesca ad abbandonarsi
alle lacrime.
La voce è il più ricco mezzo espressivo dell'uomo. Pau! J. Mo­
ses, nel libro The Voice of Neurosis [La voce della nevrosi] , de­
scrive gli elementi acustici della voce e ne evidenzia il rapporto con
la personalità. In un capitolo successivo parlerò dei princìpi che
permettono di leggere la personalità dalla voce. Il linguaggio del
corpo riconosce l'importanza della voce. Una persona che " non ha
voce in capitolo" non conta. La perdita della voce, perciò, potrebbe
significare la perdita di una posizione.
Anche le funzioni delle spalle, delle braccia e delle mani entrano
nel linguaggio del corpo. Una persona " si prende sulle spalle le
proprie responsabilità quando se le assume in prima persona. L'ag77
Bioenergetica
gressivo " si fa strada a gomitate " . Chi (( abbraccia una causa" si
impegna a fondo in essa, per aiutare qualcuno " gli si dà una mano " .
Chi " prende in mano una situazione " vi si impegna a fondo per
risolverla.
La mano è lo strumento primario del tatto. Contiene più corpu­
scoli tattili di qualsiasi altra parte del corpo. Toccare perciò è in
gran parte una funzione della mano, ma non è un'operazione mec­
canica. Dal punto di vista umano toccare una persona è sentirsi in
contatto con lei. Cosl l'espressione " mi hai toccato " è un altro
modo per dire che hai evocato in me una reazione - un modo più
bello di dirlo, perché implica anche un'idea di vicinanza. " Toccare
con mano" significa rendersi conto personalmente: è dunque un'e­
spressione che indica l'intimo rapporto fra toccare e conoscere.
I bambini imparano a conoscere le qualità degli oggetti mettendo­
seli in bocca, usando quindi la modalità sensoria del gusto. Comun­
que i bambini imparano toccando.
Il rapporto fra toccare e conoscere pone una questione che è
di una certa importanza per la terapia. Ìì possibile conoscere dav­
vero un'altra persona senza toccarla? Come si fa a sentire un altro
se non lo si tocca? La psicoanalisi tradizionale con il suo rifiuto
di ogni contatto fisico fra paziente e analista - per paura, credo,
che un simile contatto possa suscitare sentimenti sessuali - ha
eretto una barriera fra due persone che avevano bisogno di entrare
in un contatto più immediato che non fosse quello delle sole parole.
Toccando il corpo del paziente il terapista può sentire molte cose
di lui: i muscoli duri o molli; la pelle secca; la vitalità dei tessuti.
Toccandolo può trasmettere al paziente l'idea che lo sente e lo
accetta come essere corporeo e che il toccare è un modo naturale
di stabilire un contatto.
Per il paziente il fatto che il terapista lo tocchi è un segno che
si cura di lui. Si crea un'associazione con i tempi in cui la madre,
tenendolo in braccio e toccandolo, gli esprimeva il suo affetto, la
tenerezza, il desiderio di prendersi cura di lui. Nella nostra cultura
sono in molti a soffrire di una deprivazione di contatto fisico che
risale all'infanzia. Il risultato di questa deprivazione è che, pur vo­
lendo essere toccati e tenuti, hanno paura di chiederlo o di fare il
gesto. Hanno il tabù del contatto fisico, perché nella loro mente e
nel loro corpo è strettamente associato alla sessualità. Ma un tabù
di questo tipo rende difficile stabilire un vero contatto con gli altri 2 :
2 AsHLEY MONTAGU, Touching, dt., opera nella quale è investigata appieno l'impor­
tanza del contatto fisico.
78
Il linguaggio del corpo
per questo, dal punto di vista terapeutico, è importante eliminarlo.
Il terapista perciò ha il dovere di mostrare che non ha paura di toc­
care il paziente o di stabilire un contatto con lui. Ma se il terapista
mette le mani sul paziente, sorge la questione della qualità del tocco.
Si può toccare una persona, specialmente del sesso opposto, con un
tocco di tipo sessuale o creando un contatto erotico. Questo modo
di toccare rinsalda la profondissima ansia che suscita nel paziente
il contatto fisico e rinforza il tabù a livello profondo, a dispetto del
fatto che il terapista lo rassicuri che va tutto bene. Non va tutto
bene. Qualsiasi coinvolgimento sessuale del terapista è un tradi­
mento della fiducia nel rapporto terapeutico, che sottopone il pa­
ziente allo stesso trauma da lui vissuto nel rapporto coi genitori.
Se il tradimento viene accettato come normale, conduce a uno sche­
ma di agire sessuale che nasconde l'incapacità di stabilire un con­
tatto reale tramite il toccare.
Il tocco del terapista deve essere caldo, amichevole, dare fiducia
ed essere libero da qualsiasi interesse personale, se toccando si vuole
ispirare fiducia. Ma dato che anche il terapista è un essere umano,
a volte possono intervenire anche i suoi sentimenti personali. Se
questo succede, non deve toccare il paziente. Per questo un terapista
deve conoscere se stesso, essere in contatto con se stesso prima di
poter entrare in contatto con il paziente. La terapia personale è la
condizione essenziale per poter svolgere la terapia sugli altri. Il te­
rapista dovrebbe conoscere la qualità di un tocco, riconoscere la
differenza fra un tocco sensuale e un tocco di sostegno, fra uno
fermo e uno duro e fra un modo di toccare meccanico e uno che
contiene del sentimento.
Il paziente ha un gran bisogno di toccare il terapista, perché è
il tabù del contatto fisico la causa del suo senso di isolamento.
Per superare questo tabù spesso chiedo al paziente, mentre è sdraia­
to sul letto, di toccarmi la faccia. Uso questo sistema dopo aver por­
tato alla luce alcune delle paure del paziente. Chinandomi su di lui,
sono nella stessa posizione di una madre o di un padre che guarda
il paziente bambino. All'inizio l'esitazione, i gesti titubanti; l'ansia
evocata dalla cosa mi sorpresero. Molti pazienti mi toccavano il viso
solo con la punta delle dita, come se avessero paura di un contatto
pieno di tutta la mano. Alcuni dissero che avevano paura di essere
rifiutati; altri che pensavano di non avere il diritto di toccarmi. Se
non li incoraggiavo a farlo, pochi riuscivano ad avvicinare il mio
viso al loro, benché fosse proprio quello che avevano voglia di fare.
79
.
Bioenergetica
In tutt1 1 casi questo procedimento si spinse in profondità in un
problema che le sole parole non potevano raggiungere.
In alcuni casi il tocco del paziente è esplorativo. Mi passa le
dita sul viso, come fa un bambino quando esplora i tratti del viso
dei genitori. A volte c'è un paziente che mi spinge via il viso, ren­
dendomi il rifiuto di cui un tempo aveva fatto esperienza. Ma se il
paziente cede al desiderio del contatto fisico mi trae a sé, mi tiene
stretto e mi tocca il corpo con le mani. Io sento questo desiderio
e lui sente che io lo accetto. Entrando in contatto con me il paziente
riesce a entrare più in contatto con se stesso, che è poi l'obiettivo
dello sforzo terapeutico.
Una terza importante area di interazione è il rapporto con il
suolo. Tutte le posizioni che assumiamo, tutti i passi che facciamo
implicano questo rapporto. A differenza degli uccelli e dei pesci,
ci sentiamo più a nostro agio sulla terraferma. E, a differenza degli
altri mammiferi, stiamo in piedi e ci muoviamo su due gambe.
Questa postura rende libere le braccia, spostando la funzione di sop­
portare il peso sulla colonna vertebrale e sulle gambe. Il passaggio
alla posizione eretta richiede uno sforzo ai muscoli del dorso, sforzo
che si concentra nella regione lombosacrale. Parlerò della natura di
questo sforzo e del suo rapporto con i disturbi alla bassa schiena
in un capitolo successivo. Qui ci interessa il rapporto fra persona­
lità ed estremità inferiori, e il modo in cui tale rapporto si riflette
nel linguaggio del corpo.
D'una persona possiamo, ad esempio, dire che ha una " buona
posizione " o, viceversa, non ha " nessuna presa" in un dato am­
biente: e in quest'ultimo caso ciò significa che non conta affatto.'
Possiamo anche domandare a qualcuno: "Da che parte stai? " La
nostra " posizione ", infatti, indica anche il nostro atteggiamento:
possiamo per esempio sostenere (stand far) una proposta od op­
porci (stand against). Se qualcuno " non prende posizione", diremo
che " mantiene le distanze " (stand o/f). Se la prende, potremo dire
che " ha puntato i piedi " (stand firm) o " non ha ceduto un pollice
di terreno " (stand bis ground). Nel concetto di " standing" [tenersi
in piedi, reggere ) c'è una nota di forza, come emerge dalle espres­
sioni " reggere le critiche " (standing criticism) o " reggere bene gli
attacchi " o " reggere bene la vecchiaia" (standing up well against
criticism or decay).
3 Tutto questo paragrafo e il successivo wno traducibili solo parzialmente, perché
si basano su espressioni idiomatiche americane che non hanno corrispondenti in italiano.
[N.d.T.]
80
Il linguaggio del corpo
L'opposto del verbo " to stand" [ tenersi in piedi, reggere ] non
è il verbo " to sit " [ sedersi] ma " to slouch " [ pencolare ] , " to slump "
[piegarsi] o " to shift" [ spostarsi ] . Una persona "shifty " [penco­
lante] non prende posizione, una persona "slumping " non sa " man­
tenere la sua posizione" e così via. Questi termini sono metafore
quando si riferiscono a comportamenti sociali. Ma quando sono rife­
riti alla personalità hanno anche un significato letterale. Ci sono
persone il cui corpo dà segni evidenti di collasso o d'insicurezza.
Altre non riescono a stare in piedi senza continuamente spostare il
loro peso da un piede all'altro. Quando descrivono un tipico atteg­
giamento corporeo, questi termini descrivono anche un tratto della
personalità.
Il modo in cui una persona sta nella vita - cioè la sua posi­
zione di fondo in quanto essere umano - si rivela con evidenza
estrema nel corpo. Consideriamo ad esempio la tendenza di molta
gente a tenere le ginocchia rigide quando sta in piedi. Questa po­
stura ha l'effetto di trasformare la gamba in un supporto rigido,
a spese della flessibilità (azione del ginocchio). Non è la postura
naturale: l'individuo che la assume ha bisogno di appoggio. Dunque
questa posizione ci informa che nella personalità c'è upa certa insi­
curezza (altrimenti perché avrebbe bisogno di appoggio? ) , che può
essere cosciente o inconscia. Se si chiede a questa persona di flettere
leggermente le ginocchia, spesso subentrerà una vibrazione alle
gambe che può evocare la sensazione che le gambe non la reggano.
Per avere una buona posizione bisogna essere piantati al suolo.
I piedi dovrebbero essere abbastanza piatti sul suolo, con le arcate
plantari rilassate ma non " accasciate " . Quelli che chiamiamo comu­
nemente piedi piatti sono piedi in cui le arcate plantari sono crol­
late, con il risultato che il peso viene spostato verso l'interno del
piede. Un arco alto, d'altra parte, è segno di spasticità o di contra­
zione dei muscoli del piede. L'arcata alta diminuisce il contatto fra
piede e terreno e indica che i piedi non sono ben piantati. È inte­
ressante notare che l'arcata alta è stata considerata a lungo indice
di salute e di superiorità. I poliziotti vengono chiamati piedipiatti,
forse perché si immaginava che, a furia di camminare nei loro giri
d'ispezione, alla fine dovessero avere i piedi piatti. " Piedipiatti" è
un'espressione sprezzante, che indica una posizione inferiore nella
scala sociale.
Quando ero giovane mia madre era sempre preoccupata per i
miei piedi piatti. Aveva una forte resistenza al fatto che portassi le
scarpe da tennis perché temeva che peggiorassero la mia tendenza
81
Bioenergetica
ai piedi piatti. Io volevo le scarpe da tennis a tutti i costi, perché
erano l'ideale per correre e per giocare a pallone. Tutti gli altri
bambini le portavano . Dopo una dura lotta, finalmente ottenni le
scarpe da tennis. Tuttavia mia madre insisteva perché almeno por­
tassi una soletta: era una tortura, e mi ci volle un certo tempo
per liberarmi da questa afflizione. Era una tortura reale: per tutta
l'infanzia soffersi infatti di calli per colpa delle scarpe troppo strette
e dure. In realtà non ho mai avuto i piedi piatti, anche se forse
non avevo l'arco alto che avrebbe fatto felice mia madre. Anzi, non
avevo la pianta abbastanza piatta e per tutti gli anni in cui ho svolto
il lavoro bioenergetico su me stesso ho cercato di appiattirla in
modo che i miei piedi avessero un contatto più completo con il ter­
reno. Sono certo che è grazie a questo lavoro che da allora non ho
mai più avuto calli, duroni o altri disturbi ai piedi.
Il rapporto fra piedi e posizione sociale è evidente nell'antica
tradizione cinese di bendare i piedi delle bambine per far si che
restassero piccoli e relativamente inutilizzabili. Le ragioni di questa
pratica erano due. I piedi piccoli erano indice di rango sociale
elevato; tutte le donne della nobiltà cinese avevano i piedini. Indi­
cavano che non avevano bisogno di fare lavori pesanti o di cammi­
nare a lungo, perché venivano portate in portantina. Le donne con­
tadine, che non potevano permettersi questo lusso, si tenevano i
loro grossi e larghi piedi piatti. I piedi delle donne venivano stor­
piati anche allo scopo di legarle a casa privandole dell'indipendenza.
Ma era una pratica limitata a una certa classe, e dunque deve essere
vista come il riflesso delle idee culturali e sociali dei Cinesi. Lo stu­
dio del modo in cui gli atteggiamenti culturali si manifestano nel­
l'espressione corporea si chiama cinesica. Nella bioenergetica stu­
diamo l'effetto della cultura sul corpo.
Per anni nella bacheca dell'Istituto di analisi bioenergetica è
stata esposta una vignetta in cui compariva un professore di ana­
tomia in piedi davanti a uno schema del piede umano, in mano una
bacchetta, il viso rivolto verso la classe. La didascalia dice: " Sono
certo che quelli di voi che intendono fare gli psichiatri non sono
minimamente interessati a quello che sto per dire " . Forse quello
che stava per dire sul piede sarebbe stato irrilevante per la psichia­
tria. Ma in bioenergetica abbiamo sempre pensato che i piedi di
una persona parlino quanto la testa della sua personalità. Prima di
emettere una diagnosi di un problema della personalità voglio ve­
dere come sta in piedi il soggetto. Per farlo gli guardo i piedi.
Una persona equilibrata sta bene in equilibrio sui piedi, con
82
Il linguaggio del corpo
il peso uniformemente distribuito fra il tallone e la parte anteriore.
Quando il peso è sui talloni, il che si verifica quando il soggetto
ha le ginocchia bloccate, è squilibrato. Con una leggera spinta al
petto lo si può facilmente far vacillare all'indietro, specialmente se
non è preparato a resistere. L'ho dimostrato più volte durante i no·
stri seminari. Di questa persona possiamo dire che è un pushover
[un sempliciotto] . La posizione è passiva. Spostando il peso verso
la parte anteriore del piede ci si prepara a muoversi in avanti: è una
posizione aggressiva. Dato che l'equilibrio non è un fenomeno sta·
tico, richiede un costante aggiustamento della propria posizione e la
consapevolezza dei propri piedi.
L'osservazione che " una persona ha i piedi per terra" può es­
sere presa alla lettera solo nel senso che c'è contatto fra i piedi e
il terreno. Questo contatto ha luogo quando nei piedi fluiscono
eccitazione o energia, creando una condizione di vibrante tensione
simile a quella descritta per le mani, quando si focalizza l'atten­
zione o si dirige la propria energia su di esse. Allora si è consapevoli
dei propri piedi e in grado di stare in equilibrio correttamente.
Si afferma spesso che l'individuo moderno è alienato o isolato.
È meno frequente sentirlo definire uno sradicato, un essere senza
radici. James Michener, riferendosi a una parte della gioventù con­
temporanea, l'ha definita " alla deriva" (The Drifters). Come feno­
meno culturale è oggetto della ricerca sociologica. Ma è anche un
fenomeno bioenergetico: la mancanza del senso delle proprie radici
deriva da un disturbo del funzionamento corporeo. È un disturbo
localizzato nelle gambe, che sono le nostre radici mobili. Come le
radici di una pianta, le gambe e i piedi sono in continua interazione
energetica con il terreno. Capita, camminando a piedi nudi sull'erba
bagnata o sulla sabbia calda, di sentire i piedi diventare carichi e
vivi. Si può provare la stessa sensazione eseguendo un esercizio bio·
energetico di esperienza corporea: invito il soggetto a curvarsi in
avanti e a toccare leggermente il suolo con la punta delle dita.
I piedi sono distanti circa trenta centimetri, con la punta legger·
mente rivolta verso l'interno. All'inizio le ginocchia sono piegate,
poi il soggetto le raddrizza finché sente tirare i muscoli posteriori
della gamba. Comunque non si dovrebbero mai tendere completa­
mente le ginocchia. La posizione viene tenuta per circa un minuto
o più, mentre il soggetto respira tranquillamente e a fondo. Se la
sensazione fluisce nelle gambe, cominciano a vibrare. Se arriva ai
piedi, è possibile che comincino a formicolare. A volte i pazienti
che eseguono questo esercizio riferiscono che, quando questo ac83
Bioenergetica
cade, si sentono " radicati " . Possono perfino sentire i piedi esten­
dersi nel pavimento.
Essere " radicati" o " grounded " , avere fermezza (standing) o
battersi (standing for) per valori umani importanti, sono oggi qua­
lità rare, a mio giudizio. La macchina ci ha privati dell'uso pieno
delle gambe e dei piedi e i viaggi aerei ci hanno completamente
staccati dal suolo. Ma il loro effetto principale sul funzionamento
del corpo è più indiretto che diretto. Dal punto di vista culturale,
quello che ci influenza di più è il cambiamento del rapporto fra
madre e figlio, caratterizzato da un sempre minore contatto fisico
intimo. Ho trattato abbastanza ampiamente questo argomento nel
mio ultimo libro.' La madre è il primo terreno del neonato o, in
altri termini, il neonato si radica attraverso il corpo della madre.
La terra e il terreno vengono identificati simbolicamente con la ma­
dre, che rappresenta anche la casa. È interessante notare che in in­
glese il verbo " rooting" [ mettere radici] descrive anche i movi­
menti istintivi del bambino che cerca il capezzolo. I miei pazienti
non avevano sviluppato il senso di avere delle radici, un fonda­
mento, perché non avevano avuto in misura sufficiente un contatto
piacevole con il corpo della madre. Senza dubbio le stesse madri
non erano persone pienamente radicate. Una madre sradicata non
può dare al bambino il senso di sicurezza e di fondamento di cui
ha bisogno. Se non ci rendiamo conto di questi fatti bioenergetici,
saremo incapaci di impedire che l'attuale cultura tecnologica alta­
mente meccanizzata eserciti degli effetti disastrosi sulla nostra vita
di uomini.
Segni ed espressioni del corpo
Il linguaggio del corpo viene chiamato comunicazione non ver­
bale. Oggi c'è notevole interesse per l'argomento, perché ci si rende
conto che l'espressione corporea permette di raccogliere o di tra­
smettere una grande quantità di informazioni. Spesso il tono di
voce o lo sguardo di una persona hanno un impatto maggiore delle
parole che pronuncia. Quando ero ragazzo tra i bambini era in
voga questo ritornello: " Sticks and stones can break my bones,
but names can never hurt me" [ Botte e pietre possono rompermi
le ossa, ma i nomi non possono farmi niente l , intendendo dire che
4
84
ALEXANDER LowEN, Depression and the Body, cit.
Il linguaggio del corpo
lo scherno verbale non li toccava. Ma si dice anche "uno sguardo
assassino " . Se la madre lancia un'occhiata assassina al figlio è dif­
ficile far finta di niente. I bambini sono consci del linguaggio del
corpo più degli adulti, a cui lunghi anni di scuola hanno insegnato
a prestare attenzione alle parole e a ignorare l'espressione corporea.
Qualsiasi intelligente studioso del comportamento umano sa
che le parole possono essere usate per mentire. Spesso le sole pa­
role non permettono di capire se l'informazione trasmessa è vera
o falsa. Questo è vero soprattutto per le affermazioni di carattere
personale. Quando, per esempio, un paziente dice: " Sto bene " , op­
pure: "Ho una vita sessuale fantastica, non ho problemi sessuali",
dalle sole parole non si può sapere se dice la verità o no. Spesso
diciamo ciò che vogliamo che gli altri credano. Il linguaggio del
corpo invece, se l'osservatore lo sa leggere, non può ingannare. Se
il mio paziente sta davvero bene, il suo corpo deve riflettere questo
stato. Deve avere un'espressione vivace, gli occhi luminosi, la voce
vibrante, i movimenti animati. In assenza di questi segni fisici io
sono portato a mettere in dubbio quanto ha detto. Una considera­
zione analoga vale anche per le affermazioni sulla propria capacità
di risposta erotica. Quando dallo schema delle tensioni muscolari
è evidente che una persona tiene dentro i suoi sentimenti - natiche
strette e nuca bloccata - è impossibile che abbia una vita sessuale
" fantastica ", perché è incapace di lasciarsi andare a una forte ecci­
tazione sessuale.
Il corpo non mente. Anche quando una persona cerca di na­
scondere i suoi veri sentimenti con un atteggiamento posturale
artificiale, il corpo smentisce la posa con lo stato di tensione che
si viene a creare. Nessuno è pienamente padrone del proprio corpo,
che dunque può essere utilizzato come rivelatore di bugie per di­
stinguere il vero dal falso. Il fatto di dire una bugia crea uno stato
di tensione corporea che si riflette nella pressione sanguigna, nel
ritmo delle pulsazioni e nella conduttanza elettrica della pelle. Una
tecnica più recente è quella dell'analisi della voce:. il tono della
voce e la sua sonorità riflettono tutti i sentimenti e le sensazioni
provate da una persona. E logico perciò che possa essere utilizzata
come rivelatore di bugie.
L'analisi della scrittura è un sistema ormai familiare per deter­
minare i tratti della personalità. C'è addirittura chi asserisce di
saper leggere il carattere da come uno cammina. Se ogni aspetto
dell'espressione corporea rivela chi siamo, senza dubbio il corpo
85
Bioenergetica
intero deve raccontare la nostra storia in modo ancora più com­
pleto e più chiaro.
Di fatto, reagiamo agli altri in base alla loro espressione cor­
porea. Ci valutiamo l'un l'altro, continuamente, in quanto corpi,
soppesando rapidamente la forza o la debolezza di una persona, il
suo aspetto vitale o spento, l'età, la carica sessuale, eccetera. Spesso
in base all'espressione corporea di una persona decidiamo se ce ne
possiamo fidare, di che umore è e quali sono i suoi atteggiamenti
di fondo verso la vita. I giovani oggi parlano delle vibes, delle
vibrazioni di una persona, che definiscono buone o cattive a seconda
dell'impressione che il suo corpo fa su chi lo osserva. Ma è soprat­
tutto in psichiatria che le impressioni soggettive ricavate dall'espres­
sione corporea di un paziente costituiscono i dati più importanti su
cui lavorare; quasi tutti i terapisti utilizzano costantemente questa
fonte d'informazione. Ma nella psichiatria, e nell'opinione pubblica
in generale, c'è una certa riluttanza a considerare valida e attendibile
questa fonte di informazioni, perché non è facile farne una verifica
oggettiva. Penso che sia questione di quanto uno si fida della pro­
pria sensibilità e dei propri sensi. I bambini, che hanno poco mo­
tivo di dubitare dei propri sensi, si fidano di queste informazioni
piu degli adulti. È la storia del re nudo. In un'epoca come la no­
stra, in cui c'è una fortissima tendenza a manipolare il comporta­
mento e il modo di pensare della gente con le parole e con le im­
magini, questa fonte d'informazione è di fondamentale importanza.
Quando presento le concezioni bioenergetiche alla gente del
mestiere mi sento spesso richiedere statistiche, cifre, fatti. Capisco
il desiderio di questo tipo di informazioni, che però non dovrebbe
indurci a trascurare, giudicandola non significante, l'evidenza dei
sensi. Dal punto di vista biologico siamo provvisti di recettori a
distanza - orecchie, occhi e naso - che ci permettono di valutare
una situazione prima di andarci a sbattere col naso. Se non ci fidia­
mo dei nostri sensi, miniamo la nostra capacità di sentire e di fare
senso. Sentendo un'altra persona, possiamo dare un senso alla sto­
ria che ci racconta sulla sua vita, le sue lotte e le sue disavventure.
Solo così possiamo capirla in quanto essere umano, che è la condi­
zione fondamentale per riuscire ad aiutarla.
Sentire un'altra persona è un processo empatico. L'empatia è
una funzione dell'identificazione: vale a dire che, identificandosi
con l'espressione corporea di una persona, è possibile sentirne il
significato. Si può anche sentire che effetto fa essere quest'altra
86
Il linguaggio del corpo
persona, benché ovviamente sia impossibile sentire quello che sente
un altro. I sentimenti e le sensazioni di ciascuno sono privati, sog·
gettivi. L'altro sente quello che succede nel suo corpo: voi sentite
quello che succede nel vostro. Ma, dato che tutti i corpi umani sono
simili nelle funzioni fondamentali, quando sono sulla stessa lun­
ghezza d'onda possono entrare in risonanza. Quando succede, le
sensazioni di un corpo sono simili a quelle dell'altro.
In pratica questo significa che, se si assume l'atteggiamento
corporeo di un'altra persona, si può sentire quell'espressione cor­
porea, percepirne il significato. Immaginate di vedere una persona
che ha il petto gonfio, alza le spalle e inarca le sopracciglia, e sup­
ponete di voler sapere cosa significa questo atteggiamento. Assu­
mete lo stesso atteggiamento: trattenete il respiro, alzate le spalle
e sollevate le sopracciglia. Se siete in contatto con il vostro corpo
vi accorgerete immediatamente di aver assunto un'espressione di
paura. Potrete anche sentirvi impauriti, o magari no: questo di­
pende dal fatto che l'atteggiamento evochi o meno una paura che è
già in voi. Ma comunque identificherete l'espressione in modo cor­
retto. Allora capirete che, nel linguaggio del corpo, l'altra persona
sta dicendo: " Ho paura " .
Può anche darsi che, nonostante l'espressione di paura, l'altro
non sia spaventato. Se non lo è, vuoi dire che non è in contatto
con l'espressione del suo corpo. Questo in genere succede quando
un atteggiamento è stato mantenuto a lungo e si è ormai struttu­
rato nel corpo. Gli schemi cronici di autocontrollo e di tensione per­
dono la loro carica energetica e vengono rimossi dalla coscienza.
Il soggetto non li percepisce, non rientrano nel suo vissuto. L'at­
teggiamento del corpo diventa una " seconda natura" dell'individuo:
allora diciamo che fa parte del suo carattere. In seguito lo si rico­
noscerà dalla posa assunta, anche se a prima vista può apparire
strana. Le nostre prime impressioni sono reazioni corporee che,
centrando l'attenzione sulle parole e sulle azioni degli altri, ten­
diamo poi a ignorare.
Parole e azioni sono soggette in larga misura al controllo volon­
tario. Possono essere usate per trasmettere impressioni che contrad­
dicono l'espressione del corpo. Così un individuo la cui espressione
corporea è di paura può agire e parlare da gradasso, atteggiamento
con cui a livello dell'io si identifica di più che non con la paura
manifestata dal corpo. In questo caso diciamo che quello cosciente è
un atteggiamento di compensazione, cioè uno sforzo per superare
la paura sottostante. Quando un individuo esagera nella negazione
87
Bioenergetica
della paura manifestata dal corpo parliamo di comportamento con­
trofobico. Il linguaggio del corpo non mente, ma parla una lingua
che può essere compresa solo da un altro corpo.
L'imitazione dell'espressione corporea di un altro è necessaria
solo all'inizio, per capirne il significato. Una volta determinatone
il significato, lo si associa con quella data espressione ogni volta
che la si incontra. Così sappiamo che le labbra strette, premute l'una
contro l'altra esprimono disapprovazione, la mascella protesa in
avanti sfida e gli occhi spalancati paura. Per convincerci della vali­
dità delle nostre interpretazioni possiamo comunque provare ad as­
sumere queste espressioni. A questo punto vorrei invitare il lettore
ad assumere la posizione che descriverò tra breve provando a se­
guire le mie interpretazioni. Stando in piedi, portate in avanti le
natiche e contraetene i muscoli. Potete notare due effetti: uno, che
la parte superiore del corpo tende ad accasciarsi intorno al diafram­
ma e due, che nell'area pelvica lo schema della tensione è di conte­
nimento, di " trattenere dentro " . Il crollo è una perdita di statura
corporea e perciò di autoaffermazione. Se fosse possibile visualizzare
un essere umano con la coda, questo individuo avrebbe la coda tra
le gambe. Un cane bastonato assume questo atteggiamento. Penso
che sia giustificato, allora, interpretare questa pastura corporea co­
me segno che il soggetto è stato picchiato, sconfitto o umiliato.
L'atteggiamento di " tener dentro" viene sentito sotto forma di
strettezza e costrizione delle aperture pelviche : anale, urinaria e
genitale. Molti studi psicologici hanno dimostrato che il crollo del­
l'io, accompagnato da un senso di umiliazione e di sconfitta, cui si
aggiunge inoltre la tendenza a tener dentro i propri sentimenti, è
tipico degli individui con tendenze masochistiche. Il passo succes­
sivo consiste nel porre in correlazione questa costellazione di tratti
psicologici con un certo atteggiamento fisico. Una volta stabilita
questa correlazione, la si verifica più volte con l'osservazione di
altri pazienti. Infine, la struttura del carattere viene identificata con
una determinata pastura corporea. Quando vedo una persona con
il bacino in avanti e le natiche contratte, deduco che nella sua per­
sonalità è presente un elemento masochistico.
Spesso la lettura dell'espressione corporea è complicata dalla
presenza di quelli che vengono definiti atteggiamenti corporei di
compensazione. Un individuo che a livello corporeo rivela delle
tendenze masochistiche - ad esempio le natiche contratte - può
invece adottare, nella parte superiore del corpo, un atteggiamento
di sfida - mascella protesa in avanti, petto in fuori - per cercare
88
Il linguaggio del corpo
di superare la remissività masochistica espressa nella parte inferiore.
Analogamente un'aggressività esagerata potrebbe servire a co­
prire un'arrendevolezza e una passività di fondo. La crudeltà po­
trebbe nascondere la sensazione di essere stati bastonati, un atteg­
giamento indifferente, insensibile potrebbe nascondere il tentativo
di negare l'umiliazione subita. In questi casi parliamo di sadoma­
sochismo, perché il comportamento compensatorio richiama l'atten­
zione sulla debolezza che è destinato a nascondere.
Per poter leggere il linguaggio del corpo è indispensabile essere
in contatto con il proprio corpo e avere sensibilità per le sue espres­
sioni. Perciò gli stessi terapisti bioenergetici si sottopongono a un
corso di trattamento che ha lo scopo di metterli in contatto con il
loro corpo. Non sono molte, nella nostra cultura, le persone libere
dalle tensioni muscolari, che strutturano le loro reazioni e defini­
scono i ruoli che assumeranno nella vita. Questi schemi di tensioni
riflettono i traumi subiti durante lo sviluppo - rifiuto, depriva­
zione, seduzione, repressione e frustrazione - traumi che non tutti
hanno provato con la stessa intensità. Se per esempio l'esperienza
infantile di un individuo è stata dominata dal rifiuto, egli svilup­
perà uno schema di comportamento schizoide, che sarà strutturato
nella sua personalità a livello sia fisico che psicologico. Per l'indi­
viduo questo schema diventa una seconda natura: non può cam­
biarlo, a meno che non recuperi la sua prima natura. Lo stesso vale
per tutti gli altri modelli di comportamento.
L'espressione " seconda natura" viene spesso usata per descri­
vere atteggiamenti psicologici e fisici che, benché " innaturali " , sono
entrati talmente a far parte della persona da sembrare naturali. Il
termine implica l'esistenza di una "prima natura " libera da questi
atteggiamenti strutturati. Questa prima natura può essere definita
sia negativamente che positivamente. Possiamo dire che è, a livello
corporeo, l'assenza di tensioni muscolari croniche che limitano il
sentire e il movimento e, a livello psicologico, di razionalizzazioni,
negazioni e proiezioni. Definendola positivamente diremo che con­
serva la bellezza e la grazia di cui normalmente tutti gli animali sono
dotati alla nascita. Ìl importante riconoscere la distinzione fra se­
conqa e prima natura, perché troppe persone accettano come " natu­
rali" le proprie tensioni corporee e le proprie distorsioni, non ve­
dendo che appartengono all'ordine di una " seconda natura ", che
pare naturale solo a causa della lunga abitudine. Ìl mia profonda
convinzione che una vita sana e una cultura umana possano essere
costruite solo sulla base della prima natura dell'uomo.
89
Capitolo quarto
Terapia bioenergetica
Viaggio alla scoperta di se stessi
La bioenergetica non si occupa solo di terapia, come del resto
la psicoanalisi non si limita esclusivamente al trattamento analitico
dei disturbi emotivi. Entrambe le discipline si occupano dello svi­
luppo della personalità umana e cercano di capire tale sviluppo al­
l'interno della situazione sociale in cui si verifica. Cionondimeno la
terapia e l'analisi sono le basi su cui poggia questa comprensione,
perché proprio attraverso l'accurata elaborazione dei problemi indi­
viduali si acquisiscono insights nello sviluppo della personalità.
Inoltre la terapia fornisce un efficace terreno per la verifica della
validità degli insights che altrimenti potrebbero essere niente di più
che pura speculazione. Perciò la bioenergetica non può essere disso­
ciata dalla terapia bioenergetica.
Sono convinto che la terapia sia un viaggio alla scoperta di se
stessi. Non è un viaggio breve né facile, e non è privo di dolore
e di sofferenza. Vi sono pericoli e rischi : ma la vita stessa non è
scevra di rischi, perché è essa stessa un viaggio nel futuro ignoto.
La terapia ci riporta indietro in un passato dimenticato: ma questo
passato non era un periodo tranquillo e sicuro, altrimenti non ne
saremmo emersi pieni di cicatrici delle battaglie trascorse e chiusi
nella corazza dell'autodifesa. Non è un viaggio che consiglierei di
fare da soli, anche se sono convinto che alcuni coraggiosi ne ab­
biano percorso le tappe senza nessun aiuto. Il terapista funge da
guida o da navigatore. Ha imparato a riconoscere i pericoli e sa
come affrontarli; è anche un amico che, quando la strada si fa dif­
ficile, offrirà sostegno e farà coraggio.
È necessario che il terapista bioenergetico abbia già concluso
questo viaggio o sia comunque giunto a uno stadio avanzato, in
90
. Terapia bioenergetica
modo da possedere un solido senso di sé. Deve essere, diciamo noi,
abbastanza fondato nella realtà del proprio essere, in modo da poter
servire da ancoraggio al suo paziente quando le acque si agitano.
La persona che desidera operare efficacemente come terapista deve
soddisfare alcuni requisiti di fondo. Deve avere una buona base di
teoria della personalità e saper trattare problemi come la resistenza
e il transfert. Inoltre deve avere sensibilità per il corpo, in modo
da paterne leggere correttamente il linguaggio. Ma non è un essere
umano perfetto (e chi lo è ? ) , e sarebbe poco realistico pretendere
che fosse privo di problemi personali. Questa considerazione apre
un punto importante.
Il viaggio alla scoperta di sé non è mai concluso e non c'è terra
promessa dove alla fine approdare. La nostra prima natura non
smetterà di eluderci, anche se continuiamo ad avvicinarla sempre
di più. Uno dei motivi di questo paradosso è che viviamo in una
società altamente tecnica e civilizzata, che sempre più rapidamente
ci allontana da quello stato di vita in cui la nostra prima natura
si era evoluta. Anche se la terapia riesce, non arriviamo a liberarci
da tutte le tensioni muscolari, perché le condizioni della vita mo­
derna ci impongono costantemente uno stato di tensione. Dubito
che esistano terapie capaci di eliminare totalmente gli effetti di tutti
i traumi vissuti nel corso della crescita e dello sviluppo. Anche se
le ferite sono completamente guarite, spesso ne rimangono gli effetti
permanenti, le cicatrici.
Si potrebbe domandare, allora, che cosa ci si guadagni sotto­
ponendosi alla terapia se la tensione non scompare totalmente e se
il viaggio in realtà non finisce mai. Per fortuna, chi entra in terapia
in genere non è alla ricerca del Nirvana o del giardino dell'Eden.
È una persona disturbata, spesso disperata, che ha bisogno di aiuto
per proseguire il viaggio attraverso la vita. Un cammino a ritroso
può aiutarla se riesce ad accrescere la consapevolezza di sé, a
promuovere l' autoespressione e a migliorare la padronanza di se
stessa. Provviste di un più forte senso di sé, queste persone sono
meglio attrezzate per farcela. La terapia può essere di aiuto in que­
sto senso perché libera l'individuo dalle restrizioni e dalle distor­
sioni di una seconda natura nevrotica e lo porta più vicino a quella
prima natura che è la fonte della forza e della fede.
Se non può renderei la nostra prima natura, che è lo stato di
grazia, la terapia può però riportarci piu vicino ad essa, diminuendo
cosl l'alienazione di cui soffre la maggior parte di noi. Il termine
alienazione descrive meglio di qualunque altro la condizione del-
91
Bioenergetica
l'uomo moderno : è come uno "straniero in terra straniera", mai
libero da interrogativi del tipo " perché vivo? Che senso ha tutto
questo? " Lotta contro la mancanza di senso, una sensazione vaga
ma persistente di irrealtà, un senso diffuso di solitudine che si
sforza di superare o di negare e contro una profonda paura che la
vita gli sfugga prima che abbia potuto viverla. Benché, nella mia
funzione di psichiatra, io concentri la mia attenzione sui sintomi
e sui disturbi lamentati dal paziente, non ritengo che l'obiettivo del­
la terapia sia limitato a questo problema specifico. Se non posso
aiutare il paziente a entrare maggiormente in contatto con se stesso
(che per me significa con il suo corpo e, attraverso di esso, con il
mondo che lo circonda), penso che il mio sforzo di aiutarlo a supe­
rare l'alienazione sia fallito e giudico la terapia non riuscita.
Per alienazione intendiamo l'estraniazione dell'uomo dalla na­
tura e dai suoi simili : ma alla sua base sta l'estraniazione dell'indi­
viduo dal proprio corpo. Ho già trattato esaurientemente questo
argomento altrove 1 : se lo reintroduco qui, è perché costituisce un
punto centrale della bioenergetica. Solo attraverso il corpo infatti
si fa esperienza della vita e del proprio essere nel mondo. Ma en­
trare in contatto col corpo non basta: bisogna anche mantenere que­
sto contatto, e questo significa assumersi un impegno nei confronti
della vita del corpo. Questo impegno non esclude la mente, ma
esclude l'impegno verso un intelletto dissociato, verso una mente
non attenta al corpo. L'impegno nei confronti della vita del corpo
è l'unica garanzia che il viaggio abbia successo e si concluda con la
scoperta di se stessi.
Questo modo di concepire la terapia come un processo che non
finisce mai solleva una questione pratica: " Per quanto tempo" , mi
domandano i pazienti, " dovrò venire da lei ? " La mia risposta è
d'ordine pratico: " Rimarrà in terapia finché ritiene che valga il
tempo, lo sforzo e il denaro che ci investe " . È opportuno anche
sottolineare che molte terapie finiscono per motivi che si sottrag­
gono al controllo del terapista e del cliente, ad esempio un cambia­
mento di residenza o di città. Posso anche por termine a una terapia
quando mi accorgo che non porta da nessuna parte, oppure per evi­
tare che il paziente se ne serva come di una gruccia. Il cliente con­
clude il rapporto terapeutico quando si sente in grado di assumersi
da solo la responsabilità della sua ulteriore crescita, in altri termini
quando ritiene di poter proseguire il viaggio senza aiuto.
1
92
ALEXANDER LowEN, The Betrayal of the Body, cit.
Terapia bioenergetica
Il movimento è l'essenza della vita; i suoi due aspetti sono la
crescita e il declino. Nella realtà mai nulla sta fermo. Se la crescita,
intesa come sviluppo della personalità, si arresta, inizia un declino
che, se all'inizio può essere impercettibile, prima o poi diventa però
evidente. Il criterio che permette davvero di valutare il successo
di una terapia è che questa metta in moto e promuova nel paziente
un processo di crescita che possa poi continuare senza l'aiuto del
terapista.
Nel primo capitolo ho parlato di alcune esperienze personali du­
rante · la terapia con Wilhelm Reich e della successiva terapia con
John Pierrakos, in cui furono poste le basi del metodo bioenerge·
tico. Pur avendo enormemente incrementato il mio senso del sé
(autocoscienza, autoespressione e padronanza di me stesso) , sentivo
di non essere giunto alla fine del viaggio. Per il momento la mia
barca navigava in acque tranquille e non avevo nessun presagio di
problemi o difficoltà : ma è una condizione che non può durare per
un tempo indefinito. Negli anni successivi attraversai alcune crisi
personali che, grazie alla terapia, fui in grado di affrontare. Una
crisi personale ha luogo solo quando un aspetto di rigidità della
personalità è sottoposto a una grossa tensione. È dunque un peri­
colo, ma anche un'occasione per eliminare la tensione e crescere.
Fortunatamente, via via che la mia vita si sviluppava, presi la dire­
zione della crescita. Senza addentrarmi nel contenuto delle crisi,
descriverò una serie di esperienze personali che hanno attinenza con
la terapia.
Circa cinque anni fa mi resi conto di provare un dolore al collo.
All'inizio lo provavo solo occasionalmente, ma poi divenne più
netto ogni volta che voltavo la testa di scatto. Negli anni trascorsi
da quando avevo smesso la terapia attiva non avevo ignorato il mio
corpo. Avevo continuato a praticare abbastanza regolarmente gli
esercizi bioenergetici che uso con i pazienti. Pur essendomi di gran­
de aiuto, non avevano effetto sul dolore al collo, che sospetto fosse
artrite cervicale. Non ho mai fatto una radiografia per confermare
questo sospetto, che rimane dunque solo un'ipotesi.
Che il dolore fosse dovuto o meno a una forma di artrite, pal­
pandomi il collo sentivo che alcuni muscoli erano tesi. Avevo anche
altre tensioni muscolari alla parte superiore della schiena e alle
spalle. In alcuni film ripresi mentre lavoravo con dei pazienti notai
che a volte tendevo a tenere la testa curva in avanti. Questa pastura
creava un leggero arrotondamento della schiena fra le scapole.
Per circa un anno e mezzo eseguii con regolarità alcuni esercizi
93
Bioenergetica
per cercare di alleviare il dolore e di raddrizzare la schiena. Mi fa­
cevo anche massaggiare regolarmente da un terapista bioenergetico,
che sentiva la tensione dei muscoli, su cui lavorava con energia per
produrre un certo rilassamento. Gli esercizi e il massaggio mi pro­
curavano un sollievo temporaneo. Dopo averli fatti mi sentivo me­
glio, ma il dolore persisteva e la tensione continuava a tornare.
In questo periodo ebbi un'altra esperienza che, credo, ebbe un
certo ruolo nella soluzione del problema. Alla fine di un gruppo
di lavoro due dei partecipanti, anch'essi terapisti bioenergetici, si
offrirono di lavorare su di me. Non è una pratica che seguo normal­
mente, ma quella volta acconsentii. Uno dei due lavorò sulla ten­
sione alla gola. L'altro lavorava sui piedi. A un tratto sentii un
dolore acuto, come se qualcuno mi avesse tagliato la gola con un
coltello. Ebbi immediatamente la sensazione che fosse stata mia
madre a farlo (a livello psicologico, non nella realtà). Mi resi conto
che l'effetto era di farmi smettere di parlare o di gridare. Ho sem­
pre avuto una certa difficoltà a esprimere i miei sentimenti, anche
se era un problema che con l'andare del tempo stavo pian piano
superando. In alcune situazioni l'incapacità di esprimermi mi aveva
causato un dolore alla gola, soprattutto quando ero stanco. Quando
sentii male spinsi via il terapista e gridai di rabbia. Poi sentii un
profondo sollievo.
Poco dopo questo incidente feci due sogni che portarono il pro­
blema a un " climax " . Li feci in due notti consecutive. Nel primo
ero convinto che stavo per morire d'infarto; pensavo che andava
bene così, perché sarei morto con dignità. Stranamente non provai
ansia né durante il sogno né al mattino, quando lo ricordai.
La notte successiva sognai di essere il consigliere intimo di un
re bambino, che era convinto che l'avessi tradito. Aveva ordinato
che mi mozzassero la testa. Nel sogno sapevo di non averlo tradito
e avevo fiducia che scoprisse l'errore, riabilitandomi e riammetten­
domi alla mia posizione. Il momento dell'esecuzione si avvicinava,
ma io ero sempre fiducioso che sarebbe stata sospesa. Ed ero an­
cora sicuro che la grazia sarebbe arrivata, magari all'ultimo minuto,
quando finalmente, giunto il giorno dell'esecuzione, venni portato
al patibolo. Nel sogno sentivo il boia che stava accanto a me impu­
gnare una grossa mannaia. La sua figura non era chiara. Ma aspet­
tavo ancora la grazia. Poi il carnefice si chinò per togliermi la ca­
tena che mi legava le gambe. Lo fece con le mani, perché era fatta
di un filo metallico inconsistente. D'un tratto capii: " Ma avrei
94
Terapia bioenergetica
potuto farlo io stesso ", e mi svegliai. Anche in questo sogno non
avevo provato ansia per l'approssimarsi della morte.
L'assenza di angoscia mi fece pensare che i due sogni avessero
un significato positivo. Perciò non feci un particolare sforzo per
interpretarli. Per il primo quasi non occorreva interpretazione. Pri­
ma di fare quel sogno mi aveva preoccupato la possibilità di avere
un infarto. Mi avvicinavo ai sessant'anfli, un'età in cui gli infarti
non sono infrequenti e sapevo che questo era il mio aspetto più
vulnerabile. Fin dalla prima seduta con Reich sono stato consape­
vole di una mia certa rigidità al petto, rigidità che non ho mai eli­
minato del tutto. Ero inoltre un inveterato fumatore di pipa, anche
se non aspiravo il fumo. Il sogno non mi rassicurava, non diceva
che non avrei avuto un infarto; piuttosto faceva apparire questa
eventualità un fatto di secondaria importanza. L'importante era
morire con dignità: ma, mi resi subito conto, questo significava
anche vivere con dignità. Questa presa di coscienza parve cancellare
in me la paura della morte.
Dapprima non parlai a nessuno dei due sogni. Ma alcuni mesi
dopo li raccontai a un gruppo di terapisti bioenergetici riuniti per
un seminario in California. Avevamo dedicato una seduta serale ai
sogni. Non approfondimmo l'interpretazione del secondo sogno.
Avevo la sensazione che mi dicesse che troppo a lungo mi ero te­
nuto in secondo piano nei confronti di un aspetto infantile della
mia personalità, a qualcosa che non poteva procurarmi che guai.
Dovevo prendere il posto che mi spettava alla testa del mio regno
(la mia personalità, il mio lavoro), poiché ero io che ne portavo
la responsabilità. Fui contento di questa decisione.
Circa un mese e mezzo dopo mi incontrai sulla East Coast con
un altro gruppo di terapisti bioenergetici e anche a loro narrai i due
sogni. Nel frattempo avevo avuto qualche altra idea sul secondo.
Sentivo che era connesso con il dolore al collo. Nel sogno stavano
per tagliarmi la testa; la mannaia mi sarebbe calata sul collo. Co­
minciai dunque descrivendo il dolore cronico al collo, che adesso
ritenevo fosse collegato alla mia abitudine di non tenere la testa
dritta. Infatti quando raddrizzavo il capo il dolore scompariva. Sa­
pevo però di non poterlo fare coscientemente con la forza di vo­
lontà: ne sarebbe risultato un atteggiamento artificiale che non sarei
stato in grado di mantenere. La testa alta doveva essere un'espres­
sione di dignità, in armonia con il significato del primo sogno.
Dopo aver riferito i sogni parlai anche di alcune impressioni in­
fantili. Ero il primogenito della famiglia, e rimasi figlio unico. Mia
95
·
Bioenergetica
madre era tutta dedita a me, ero la pupilla dei suoi occhi. Per molti
versi mi considerava un giovane principe. D'altra parte insisteva
sempre di saperne di più di me e, quando ero indisciplinato, era spes­
so crudele. Era ambiziosa e trasferiva su di me la sua ambizione. An­
che mio padre mi era molto affezionato. La sua personalità era quasi
l'opposto di quella di mia madre. Era tollerante e amante del pia­
cere. Lavorava sodo nella sua piccola azienda, ma non aveva molto
successo. Io lo aiutavo a tenere l'archivio perché ero svelto con i
numeri. Durante la mia infanzia mio padre e mia madre litigavano
di .continuo, in genere per questioni di soldi, e mi mettevano sempre
in mezzo. Da un lato mi sentivo superiore a mio padre, ma dall'altro
avevo paura di lui, perché era più grosso e più forte. Non credo
che fosse stato lui a provocarmi questa paura. Non era severo e in
tutta la sua vita mi diede un solo schiaffo. Ma mia madre mi aveva
messo in competizione con lui: è impossibile che un ragazzino la
spunti.
Mi resi conto di non aver mai risolto fino in fondo questa situa­
zione edipica: perché è chiaro che di questo si trattava. Mio padre
era il re bambino che non riuscivo a detronizzare: cosi io ero co­
stretto a restare il giovane principe, pieno di promesse ma relegato
in un ruolo secondario.
Quando riferii questa situazione e parlai di me stesso in questi
termini, seppi d'un tratto che l'avevo superata. Era il passato. Per
liberarmi bastava che rompessi la catena inconsistente che mi legava
le caviglie. Mio padre era morto molti anni prima, ma non contava.
Seppi che adesso ero io il re e come tale potevo camminare con
naturalezza a testa alta.
L'interpretazione terminò su questa nota. Non ci pensai più,
ormai avevo capito. Un giorno scoprii che il dolore al collo era
scomparso senza che me ne rendessi conto. Non è più riapparso.
Da allora mi sono reso conto che il mio atteggiamento nei con­
fronti degli altri è cambiato. Molti lo hanno notato : dicono che
sono diventato più dolce, più tollerante, che ho attenuato il mio
atteggiamento di sfida e insisto meno perché gli altri accettino le
mie opinioni. Prima lottavo per ottenere il riconoscimento degli
altri - perché mi riconoscessero in quanto uomo e non come ra­
gazzo, come re e non come principe. Ma nessuno poteva concedermi
un riconoscimento che io stesso mi negavo. Ora non c'era più bi­
sogno di lottare.
Ero molto soddisfatto di questo risultato: ma il viaggio non
era finito. Dopo aver eliminato la tensione al collo mi resi maggior-
96
Terapia bioenergetica
mente conto della tensione alle spalle e al petto, che tuttavia non
raggiungeva il livello del dolore. Cionondimeno continuai gli eser­
cizi bioenergetici, lavorando sulla respirazione, sul grounding ed
esercitandomi a colpire un sacco pieno di sabbia per liberarmi le
spalle. Il grounding implica tra l'altro il far giungere le sensazioni
nei piedi. Nel sogno avevo le caviglie legate.
Un'altra esperienza è importante ai fini di questa storia. Circa
due anni fa conobbi un'insegnante di canto che aveva una certa
familiarità con la bioenergetica e conosceva il ruolo svolto dalla
voce nell'autoespressione. Ho parlato prima della sensazione che
mia madre mi avesse tagliato la gola. Questo mi ha procurato una
certa difficoltà a parlare, a gridare, ma soprattutto a cantare. Ho
sempre desiderato cantare, ma raramente l'ho fatto. Avevo paura
che mi si spezzasse la voce, che avrei cominciato a piangere. Nella
mia famiglia, quando ero piccolo, nessuno cantava. Decisi dunque
di prendere qualche lezione di canto e di vedere cosa sarebbe suc­
cesso. L'insegnante mi assicurò che capiva il mio problema e che,
dato che era una lezione privata, se ne avevo voglia potevo anche
mettermi a piangere.
Quando andai alla prima lezione ero molto eccitato. Cominciò
invitandomi a emettere un suono, uno qualsiasi purché fosse libero
e spontaneo. Poi cantai una parola, " diabolo ", che mi permetteva
di aprire la gola e di fare un vocalizzo pieno. Mi lasciai andare.
Mi muovevo in giro per la stanza facendo il gigione. La mia voce
divenne più libera. A un certo punto emisi un suono che uscì tal­
mente senza sforzo, talmente pieno, che parve che io fossi quel suo­
no e il suono fosse me. Rimbombò in tutto il mio essere. Il mio
corpo era in uno stato di vibrazione costante.
Con mia grande sorpresa, non mi venne mai voglia di piangere.
Mi aprivo e lasciavo che le cose uscissero : tutto qui. Allora seppi
che sapevo cantare, perché alcuni dei suoni che emettevo avevano
una splendida musicalità. Alla fine della lezione me ne andai colmo
di una gioia quale poche volte ho provato. Naturalmente continuai
le lezioni. Parlo di questa esperienza perché sono certo che abbia
in qualche modo influito sul passo successivo. Per tutto l'anno che
seguì non pensai molto ai sogni, benché non fossero lontani dalla
mia coscienza. Di tanto in tanto mi venivano in mente, sia i sogni
sia i miei genitori. Poi un giorno accadde. Sapevo chi era il re bam­
bino. Era il mio cuore. Il secondo sogno assunse un significato com­
pletamente diverso: avevo tradito il mio cuore. Non fidandomi di
lui, l'avevo tenuto rinchiuso in una rigida gabbia toracica. L'" io"
97
Bioenergetica
del sogno era il mio io, la mia mente cosciente, il mio intelletto.
Questo "io " , l'intelletto, era il consigliere di fiducia incaricato di
condurre le cose a beneficio del re bambino imprigionato.
Quando capii chi era il re non ebbi dubbi sull'esattezza del­
l'interpretazione. È naturale, il cuore è il re, o almeno dovrebbe
esserlo. Per anni avevo sostenuto che bisogna ascoltare il proprio
cuore e seguirlo. Il cuore è il centro, il nucleo della vita e la sua
legge è l'amore. È anche un bambino, perché il cuore non invecchia
mai. I sentimenti del cuore di un bambino e di un vecchio sono gli
stessi - l'amore, o il dolore di non saper amare. Ma, mentre pro­
clamavo questo principio, io stesso non lo seguivo fino in fondo.
AVevo usato l'espressione 'ere bambino " che conteneva una nota di
scherno, come se la maturità fosse una funzione dell'intelletto. Inol­
tre non avevo perdonato mia madre per il dolore che mi aveva
causato e il mio cuore sarebbe stato certo d'accordo. Oh si: avevo
tradito il re, e lui aveva riaffermato la sua autorità. " Via la testa " ,
aveva ordinato, " non ho bisogno di questi falsi consigli. "
Ma anch'io, in un certo senso, avevo ragione. Non l'avevo ve­
ramente tradito, perché lo proteggevo e agivo nel suo interesse.
Come mi sembra tipico di mia madre, adesso, tutto questo. Ma c'è
qualcosa di vero. Da piccolo avevo conosciuto il tradimento che
spezza il cuore. Avevo visto mia madre guardarmi infuriata quando
tutto quello che chiedevo era di starle vicino. Proteggevo il mio
cuore perché non ricevesse più una ferita tanto crudele. Purtroppo
lo protessi imprigionandolo, chiudendo il canale della comunica­
zione fra il mio cuore e il mondo; e il mio povero cuore languiva,
rischiava di morire. Ero votato all'infarto.
Non mi venne mozzata la testa e non ebbi nessun infarto. Fui
finalmente libero quando, nel sogno, capii che la catena non era
d'acciaio, che era solo un'illusione a tenermi legato. Potevo libe­
rarmi in qualsiasi momento. Ma finché non sappiamo che cosa è
illusione e cosa realtà, quella ha la stessa forza di questa.
Tutti i re hanno bisogno di un consigliere. Ogni cuore ha bi­
sogno di una testa che gli dia occhi e orecchie per tenersi in con­
tatto con la realtà. Ma non bisogna permettere che la testa prenda
a comandare: sarebbe tradire il proprio cuore.
Questa nuova interpretazione dei miei sogni può essere conside­
rata di tipo bioenergetico perché si riferisce all'interazione dinamica
fra le parti del corpo, che sono aspetti della personalità. L'interpre­
tazione precedente era più di tipo freudiano. Ritengo che entrambe
le interpretazioni siano corrette, solo che la seconda va più in pto-
98
Terapia bioenergetica
fondità della prima. Ho capito che i sogni sono passibili di diverse
interpretazioni e che ogni interpretazione è valida nella misura in
cui fa luce sul comportamento e sugli atteggiamenti del soggetto.
Gli insights fornitimi dai sogni lasciarono irrisolto il problema
della rigidità al petto. Per allentare queste tensioni muscolari do­
vevo liberare il cuore. Gli insights acquisiti grazie ai sogni non mi
avevano aperto il cuore, però avevano preparato la strada per que­
sto cambiamento.
Una delle tesi importanti della bioenergetica è che i cambia­
menti della personalità siano condizionati da cambiamenti delle fun­
zioni corporee, e più precisamente: respirazione più profonda, mag­
giore motilità, espressione di sé più piena e libera. Da questi punti
di vista la mia rigidità al petto rappresentava una limitazione al
mio essere. Già in passato ero consapevole di questa rigidità e avevo
lavorato per eliminarla. Inoltre il mio massaggiatore, che aveva una
preparazione bioenergetica, aveva cercato di rilassare i muscoli del­
la gabbia toracica: purtroppo con risultati trascurabili. Ad ogni
pressione il petto mi si irrigidiva e, per quanto desiderassi cedere,
ne ero incapace. Durante lo scorso anno questa situazio�e ha comin­
ciato a cambiare.
Il cambiamento è iniziato con la consapevolezza che la resi­
stenza era diminuita. Sentivo che ora se veniva applicata una certa
pressione potevo cedere. Chiesi dunque a un terapista bioenerge­
tico di applicare alla parete toracica una pressione lieve e ritmata,
mentre io ero sdraiato sullo sgabello da respirazione. Lo fece, e io
mi misi a gridare; poi gradualmente il grido divenne più profondo
fino a diventare un suono di dolore, a piena gola. Sentivo che pro­
veniva dal dolore che avevo al cuore, da un desiderio di amare e
di essere amato che per tutti quegli anni avevo tenuto saldamente
sotto controllo. Con mia sorpresa il singhiozzo non durò a lungo.
D'improvviso mi misi a ridere e tutto il mio corpo fu invaso da
una sensazione di gioia. Grazie a questa esperienza capii quanto le
lacrime siano vicine al riso. La gioia era dovuta al fatto che, per il
momento, avevo il petto sciolto e il cuore aperto.
Ma, come una rondine non fa primavera, cosi un'esperienza
non fa una persona nuova. Il processo doveva essere ripetuto, forse
molte volte. Poco dopo questa esperienza reagii in modo analogo
a un trattamento di diverso tipo. Era domenica pomeriggio, mia
moglie ed io stavamo facendo degli esercizi bioenergetici. Mi sen­
tivo le spalle contratte e le chiesi di massaggiarmele. La zona più
dolente era all'angolo fra collo e spalle, vicino al punto in cui i mu-
99
Bioenergetzca
scoli scaleni si inseriscono sulle costole superiori. Mi sedetti sul
pavimento; mia moglie era in piedi sopra di me. Fece pressione con
i pugni su questa zona: il dolore era lancinante. Proruppi in sin­
ghiozzi, che venivano dal profondo della gola. E anche questa volta
dopo circa un minuto mi scoppiò fuori quella risata di sollievo e
tornò la sensazione di gioia.
Riassumendo le esperienze degli ultimi cinque anni giunsi ad
alcune conclusioni. La prima conferma l'idea espressa sopra secondo
cui la terapia, vista come processo di crescita e di sviluppo, non
finisce mai. Il lavoro con un terapista pone le basi di questo proces­
so e mette in azione delle forze che operano all'interno della perso­
nalità per allargare ed espandere tutti gli aspetti del sé - consape­
volezza, espressione e padronanza di sé - forze che funzionano a
livello sia cosciente che inconscio. I sogni sono una manifestazione
dell'azione di queste forze a livello inconscio. A livello cosciente
l'individuo deve prendersi l'impegno del cambiamento, che è cre­
scita e sviluppo continui.
Una seconda conclusione è che l'impegno della crescita implica
un impegno nei confronti del corpo. Molti oggi sono affascinati dal­
l'idea della crescita - il movimento potenziale dell'umanità si basa
su questa idea - e si dedicano a varie attività che mirano a pro­
muovere la crescita della personalità. Queste attività possono recare
vantaggio: ma se ignorano il corpo possono anche diventare giochi
interessanti, magari divertenti, ma mai seri processi di crescita.
Il sé non può essere disgiunto dal corpo e la coscienza di sé non
può essere separata dalla consapevolezza del corpo. Per me, almeno,
la via della crescita è quella del contatto con il mio corpo e della
comprensione del suo linguaggio.
La terza conclusione introduce nella discussione una nota di
umiltà. Non possiamo cambiarci mediante uno sforzo di volontà.
Sarebbe come cercare di sollevarsi da terra tirandosi per le stringhe
delle scarpe. Il cambiamento avviene quando il soggetto è pronto,
disponibile e capace di cambiare. Non può essere forzato. Comincia
con l'accettazione di se stessi 2 e con la consapevolezza di sé e, na­
turalmente, con il desiderio di cambiare. Ma la paura del cambia­
mento è grande. La mia paura di morire d'infarto ne è un esempio.
Bisogna imparare la pazienza e la tolleranza, che sono un fenomeno
corporeo. Gradualmente il corpo sviluppa la capacità di tollerare
2 Lowen (Pleasure, cit.) spiega l'importanza dell'accettazione di se stessi nel processo
terapeutico.
100
Terapia bioenergetica
una vita p1u ricca di energia, un sentire più intenso e un'espres­
sione di sé più libera e piena.
Il
nocciolo della terapia
Il mio viaggio personale alla scoperta di me stesso, dalla prima
seduta terapeutica con Reich ad oggi, si è protratto per un periodo
di trent'anni. Considerando le esperienze descritte nel paragrafo
precedente potrei dire che ci ho messo trent'anni per arrivare al
mio cuore. Ma non è del tutto vero. In tutto quel tempo vi arrivai
più volte. Sono stato profondamente innamorato e lo sono ancora.
Anche prima avevo provato la gioia dell'amore. Ma adesso c'era
una differenza. In passato era qualcuno o qualcosa di esterno a me
a raggiungermi il cuore: una persona, una canzone, un racconto,
la Nona Sinfonia di Beethoven e così via. Il mio cuore si apriva
ma poi si richiudeva, perché avevo paura e pensavo di doverlo pro­
teggere. Ora la paura è scomparsa e il mio cuore rimane relativa­
mente aperto.
I trent'anni in cui ho praticato come terapista bioenergetico mi
hanno anche insegnato molto sugli altri. Lavorando con le persone
ho imparato da loro. In un certo senso le loro lotte erano parallele
alla mia e, aiutandoli, aiutavo anche me stesso. Tutti lottavamo per
raggiungere lo stesso obiettivo, benché solo pochi lo sapessero. Par,
lavamo delle nostre paure, dei nostri problemi e dei nostri limiti
sessuali, ma non facevamo menzione della paura di aprire il cuore
e di tenerlo aperto. La mia formazione reichiana mi aveva orientato
verso l'obiettivo della potenza orgasmica - un obiettivo senz'altro
valido, che però non metteva in luce la connessione fra cuore aperto,
capacità di amare in modo pieno e potenza orgasmica.
Per molti anni non mi resi conto di questa connessione. La tesi
di Lave and Orgasm, pubblicato nel 1965,3 è che l'amore sia la con­
dizione della piena risposta orgasmica. Amore e sesso venivano as­
similati, perché il sesso veniva visto come un'espressione di amore.
Tuttavia il libro si occupava specificamente di problemi sessuali e
solo incidentalmente toccava il problema della paura e dell'incapa­
cità di aprire il cuore all'amore. Non dubito che fosse la mia stessa
paura a impedirmi di approfondire questo aspetto dell'argomento.
3 Trad. it.: Amore e orgasmo, Feltrinelli, Milano,
19682.
101
Bioenergetica
Solo dopo aver superato questa paura potei giungere al nucleo del
problema terapeutico.
Il nucleo è il cuore.
Il cuore è probabilmente l'organo più sensibile del corpo. La
nostra esistenza dipende dalla sua attività costante e ritmica. Quan­
do questo ritmo si altera anche solo momentaneamente, ad esempio
quando il cuore perde un colpo o si mette a battere all'impazzata,
proviamo un senso di ansia nel più profondo del nostro essere. Chi
abbia provato questa ansia precocemente svilupperà molte difese
per proteggere il cuore dai pericoli che ne possono disturbare il
funzionamento. Non permetterà facilmente che il suo cuore venga
toccato e le sue reazioni al mondo non verranno dal cuore. Queste
difese vengono elaborate nel corso della vita e infine formano una
potente barriera contro qualsiasi tentativo di raggiungere il cuore.
TENSIONE
MUSCOLARE;
C RONICA
102
Terapia bioenergetica
Una terapia valida studia queste difese, le analizza in relazione al­
l'esperienza di vita del soggetto e le elabora accuratamente fino a
raggiungere il cuore.
Ma perché questo sia possibile le difese devono essere comprese
come processo evolutivo. Per spiegare questo punto ho impiegato
un diagramma in cui le stratificazioni difensive sono visualizzate
sotto forma di centri concentrici (vedi diagramma a p. 102).
Gli strati, a partire dal più esterno, possono essere descritti nel
modo seguente: strato dell'io, che contiene le difese psichiche ed è
il più esterno della personalità. Le difese tipiche dell'io sono:
A.
B.
C.
D.
E.
Negazione
Proiezione
Colpa
Sfiducia
Razionalizzazioni e intellettualizzazioni.
Lo strato muscolare in cui si trovano le tensioni muscolari cro­
niche che sostengono e giustificano le difese dell'io e al tempo stesso
proteggono l'individuo dallo strato sottostante di sentimenti repres­
si, che non osa esprimere.
Lo strato emotivo, quello dei sentimenti, che comprende i sen­
timenti repressi di rabbia, panico o terrore, disperazione, tristezza
e dolore.
Il nucleo o cuore, da cui deriva il sentimento di amore (amare
ed essere amati).
L'approccio terapeutico non può essere limitato al primo strato,
per importante che esso sia. Se è vero che possiamo aiutare una
persona a prendere coscienza delle proprie tendenze a negare, proiet­
tare, colpevolizzarsi o razionalizzare, è raro che questa coscienza in­
fluisca sulle tensioni muscolari o lasci uscire i sentimenti repressi.
In ciò risiede la debolezza dell'approccio puramente verbale, che è
necessariamente limitato al primo strato. Se le tensioni muscolari
non vengono toccate, la consapevolezza cosciente può facilmente
degenerare in un diverso tipo di razionalizzazione con una forma
concomitante, ma alterata, di negazione e di proiezione.
L'incapacità delle terapie verbali di produrre cambiamenti signi­
ficativi della personalità ha fatto nascere un crescente interesse per
gli approcci non verbali, centrati sul corpo. Molte di queste nuove
tecniche terapeutiche tendono a evocare e a far emergere i senti­
menti repressi. Spesso si sottolinea l'importanza di gridare. Non è
103
Bioenergetica
infrequente che il paziente viva la propria rabbia e la propria tri­
stezza e riesca ad esprimere i propri desideri.
Di fatto, il gridare ha un potente effetto catartico sulla perso­
nalità. La bioenergetica si è servita a lungo di questa tecnica. Il
grido è come un'esplosione all'interno della personalità, che distrug­
ge temporaneamente la rigidità creata dalla tensione muscolare cro­
nica e mina alla base le difese dell'io, quelle del primo strato. Il
pianto e i singhiozzi profondi producono un effetto simile, ammor­
bidendo e sciogliendo le rigidità del corpo. Ha un effetto benefico
anche scaricare la rabbia, purché questa venga espressa sotto con­
trollo, all'interno della situazione terapeutica. In queste condizioni
la rabbia non è una reazione distruttiva e può essere integrata nell'io
della persona - può cioè essere resa ego-sintonica. La paura è più
difficile da evocare: ma è anche più importante riuscire a farla emer­
gere. Se non si portano in superficie e non si elaborano il panico e
il terrore, l'effetto catartico delle grida, dell'esplosione di rabbia e
di tristezza è di breve durata. Finché il paziente non affronta la
propria paura e non ne comprende le ragioni continuerà a gridare,
a piangere e a infuriarsi senza che la sua personalità nel complesso
subisca cambiamenti di rilievo. Avrà sostituito un processo inibente
con un processo catartico, ma la sua direzione di crescita non cam­
bierà in maniera significativa. Rimarrà impigliato fra le forze ini­
benti che non ha compreso ed elaborato e il desiderio di ottenere
un momentaneo sollievo catartico.
Tuttavia ai fini terapeutici è importante che questi sentimenti
repressi si possano esprimere. I lettori che conoscono le mie opere
precedenti sulla bioenergetica sanno che ci sforziamo sempre di
permettere lo sfogo di questi sentimenti, perché scaricandoli si ren­
de disponibile l'energia necessaria per il processo di cambiamento.
Bisogna far sgorgare più e più volte questi sentimenti per poter
disporre dell'energia necessaria per la crescita.
A mio avviso un lavoro svolto solo sul terzo strato non può
produrre i risultati desiderati. Semplicemente scavalcandoli non si
eliminano i primi due strati. Sono temporaneamente inattivi, finché
dura l'effetto catartico: ma quando l'individuo deve uscire nel mon­
do e funzionare come adulto responsabile le difese tornano ad es­
sere operanti. E non può essere altrimenti, perché al di fuori della
situazione terapeutica il metodo catartico o regressivo è inadeguato.
Parrebbe logico lavorare insieme sul primo e sul terzo strato, dato
che, avendo a che fare l'uno con le difese intellettuali e l'altro con
le difese emotive, sono complementari. Ma è difficile riuscire ad
104
Terapia bioenergetica
amalgamare le due cose, perché l'unica connessione diretta fra que­
sti strati passa per lo strato delle tensioni muscolari.
Lavorando direttamente sul secondo strato si può passare al
primo e al terzo ogni volta che sia necessario. Così, lavorando sulle
tensioni muscolari, si può aiutare il soggetto a capire come il suo
atteggiamento psicologico sia condizionato dall'armatura o rigidità
del corpo. Quando lo si ritiene opportuno si può attingere ai senti­
menti repressi facendoli emergere tramite la mobilitazione dei mu­
scoli contratti che ne limitano e ne bloccano l'espressione. Le grida,
per esempio, sono bloccate dalle tensioni muscolari della gola. Se si
applica con le dita una ferma pressione sui muscoli scaleni anteriori
lungo il lato del collo, mentre il soggetto emette un suono forte,
spesso il suono si trasforma in un grido. In genere il grido continua
anche quando si smette di premere, specialmente se il soggetto ha
bisogno di gridare. Si passa poi al primo strato per determinare che
cosa abbia provocato il grido e perché fosse necessario reprimerlo.
In questo modo l'analisi e l'elaborazione della posizione difensiva
coinvolgono tutti e tre gli strati. Mantenendo a fuoco il problema
corporeo, in questo caso la gola stretta e serrata, da manovra pura­
mente catartica il procedimento si trasforma in un processo di aper­
tura, orientato alla crescita.
E superfluo sottolineare che il lavoro svolto solo sulle tensioni
muscolari, senza analizzare le difese psichiche o evocare i sentimenti
repressi, non è un processo terapeutico. Il lavoro sul corpo, come
ad esempio il massaggio o lo yoga, ha un valore positivo, ma di
per sé non è terapeutico. Ma siamo convinti che sia talmente impor­
tante mantenersi in contatto con il proprio corpo e ridurne lo stato
di tensione, che invitiamo tutti i pazienti a eseguire gli esercizi bio­
energetici da soli o in gruppo e a sottoporsi a un regolare massaggio.
Ai fini della discussione, proviamo a supporre che sia possibile
eliminare tutte le posizioni difensive della personalità. Come fun­
zionerebbe una persona sana? Come si presenterebbe il nostro dia­
gramma?
I quattro strati esisterebbero ancora, ma adesso sarebbero strati
di coordinazione e di espressione, piuttosto che di difesa. Tutti gli
impulsi fluirebbero dal cuore, dunque questa persona metterebbe il
cuore in tutto quello che fa. Questo significa che ama fare tutto
quello che fa, che sia lavoro, gioco o sesso. In tutte le situazioni
sarebbe capace di partecipazione emotiva, le sue risposte avrebbero
sempre una base di sentimento. Potrebbe essere arrabbiato, triste,
spavPntato o felice, a seconda della situazione. Questi sentimenti
105
Bioenergetica
rappresenterebbero delle reazioni genuine, perché non sarebbero
contaminati da emozioni represse derivanti da esperienze infantili.
Dato che il livello muscolare sarebbe libero da tensioni croniche,
le azioni e i movimenti sarebbero aggraziati ed efficaci. Da un lato
rifletterebbero i sentimenti e dall'altro sarebbero soggetti al con­
trollo dell'io. Dunque sarebbero adeguati e coordinati. La qualità
fondamentale della persona sarebbe l'agio, in quanto opposto al
l STRATO DELL"IO-COSCIENTE
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1. CONSAPEVOLEZZA DI- SE
2. AUTOAFFERMAZIONE
3. PADRONANZA DI SE
dis-agio; l'umore fondamentale sarebbe il benessere. Sarebbe felice
o triste a seconda delle circostanze, ma in tutte le sue risposte sa­
rebbe una persona spontanea e ricca di calore.
Ìl chiaro che sto parlando di un ideale. Se è vero che nessuno
può raggiungere questo ideale, però nessuno ha il cuore talmente
106
Terapia bioenergetica
chiuso da non poterlo aprire provando almeno alcuni momenti di
gioia. Quando il cuore è completamente chiuso al mondo smette di
battere e la persona muore. È triste però dover constatare quante
sono le persone più morte che vive.
Ansia
Le difese, sia psichiche sia somatiche, di cui abbiamo parlato
nel paragrafo precedente, hanno oggi la funzione di proteggere dal­
l'ansia. L'ansia più grave è associata con un disturbo del funzio­
namento del cuore. In precedenza ho ricordato che in genere una
qualsiasi irregolarità del ritmo cardiaco ha questo effetto. Ma è an­
che vero che una qualsiasi ostruzione del processo respiratorio pro­
duce ansia. Chi abbia osservato un paziente asmatico che respira a
fatica può intuire l'intenso stato di ansia provocato da una difficoltà
respiratoria. In senso lato, possiamo postulare che qualsiasi gruppo
di circostanze che interferisca con l'attività delle funzioni vitali del­
l 'organismo produce ansia. La respirazione non è meno importante
della circolazione per vivere.
Freud era a conoscenza della connessione esistente fra difficoltà
respiratorie e ansia. Nel mio ultimo libro Depression and the Body 4
citavo un'osservazione di Ernest Jones, il biografo di Freud, da cui
emerge questa consapevolezza. " In una lettera scritta un anno dopo,
egli [ Freud] notava anche che l'ansia con cui si reagisce a delle
difficoltà nella respirazione - attività che non ha elaborazione fi­
sica - potrebbe diventare espressione di un accumulo di tensione. "
Nel linguaggio tecnico della psicoanalisi questo significa che l'accu­
mulo di tensione produrrebbe una difficoltà respiratoria e genere­
rebbe ansia. Purtroppo né Freud né la psicoanalisi tradizionale se­
guirono questo filone, che avrebbe aperto la strada della compren­
sione biologica dei disturbi della personalità. Reich poi scoprì auto­
nomamente ed esplorò questa connessione, che divenne la base del
suo approccio terapeutico e portò in seguito alla creazione della
bioenergetica.
Un'altra traccia per la comprensione della natura dell'ansia ven­
ne fornita da Rollo May, che ricollegò il termine alla radice tedesca
di Angst, che significa " soffocare nelle strettoie " . La strettoia può
essere per esempio il canale della nascita, attraverso cui ciascuno
�
Trad. it.: La depressione
e
il corpo, Astrolabio, Roma, 1981.
107
Bioenergetica
passa nel suo cammino verso un'esistenza indipendente. Questo
passaggio può essere carico di ansia, perché rappresenta per l'orga­
nismo il momento di transizione che lo porterà a respirare in ma­
niera indipendente. Qualsiasi difficoltà incontrata dall'organismo dei
mammiferi nello stabilire la propria respirazione indipendente ne
minaccerebbe la vita e produrrebbe uno stato fisiologico di ansia.
Ma la strettoia può anche essere il collo, una via angusta fra la testa
e il resto del corpo attraverso cui l'aria passa ai polmoni e il sangue
fluisce alla testa. Il soffocamento in questa regione costituisce an­
eh' esso una minaccia diretta alla vita e provoca ansia.
Ho avuto occasione di osservare un drammatico incidente di
soffocamento spontaneo che provocò nel soggetto un'ansia intensa.
Accadde durante la prima seduta con una paziente: era sdraiata
sullo sgabello respiratorio e stava lasciando che la sua respirazione
diventasse più profonda e più piena. Tutt'a un tratto balzò a sedere
in preda al panico, dicendo con voce soffocata: "Non riesco a re­
spirare, non riesco a respirare " . Le assicurai che non sarebbe succes­
so niente. Dopo meno di un minuto scoppiò in singhiozzi profondi,
rotti. Appena cominciò a piangere la respirazione riprese con faci­
lità. Era chiaro cos'era successo. Non prevedendo una scarica emo­
tiva, la donna aveva rilassato il petto e aperto la gola, con il risultato
di far montare un potente impulso di piangere. Questo impulso pro­
veniva da una tristezza profonda, bloccata e rinchiusa nel petto.
La reazione inconscia di soffocare l'impulso ebbe invece il risultato
di soffocare ihespiro.
Nel primo capitolo ho narrato che in circostanze analoghe du­
rante la terapia personale con Reich avevo emesso un grido . Se
avessi cercato di bloccarlo, sono sicuro che avrei provato un senso
di soffocamento, sviluppando un'ansia profonda. In seguito allo
scoppio, di pianto, che durò abbastanza a lungo, la respirazione del­
la paziente divenne più profonda e libera che non prima dell'inci­
dente. Ho visto molti pazienti restare senza fiato per il prorompere
dei sentimenti quando la gola si apre e il respiro diventa più pro­
fondo. Il senso di soffocamento è sempre accompagnato da ansia.
Queste osservazioni confermano la definizione dell'ansia data da
May e mostrano il meccanismo per cui le tensioni al collo e alla gola
ostacolano la respirazione producendo appunto ansia.
Un insieme analogo di tensioni muscolari localizzate nel dia­
framma e tutt'intorno alla vita può ostacolare notevolmente la re·
spirazione limitando il movimento del diaframma. Questo fenomeno
108
Terapia bioenergetica
è ampiamente documentato da studi radiologici.' Il diaframma è il
principale muscolo respiratorio e la sua azione è notevolmente sog·
getta agli stress emotivi. Reagisce a situazioni di paura contraen­
dosi. Se la contrazione diventa cronica si crea una predisposizione
all'ansia. Ho identificato quest'ansia come ansia di caduta: ne par­
lerò più avanti.
Il diaframma è situato appena sopra un'altra strettoia: la vita,
che collega il torace con l'addome e con la pelvi. Attraverso di essa
gli impulsi passano alla parte inferiore del corpo. Un'ostruzione in
questa regione strozza il flusso del sangue e delle sensazioni dirette
all'apparato genitale e alle gambe e produce ansia creando la paura
di cadere, con conseguente reazione di trattenere il fiato.
Sorge ora una questione: quali impulsi vengono strozzati nella
regione della vita? La risposta, naturalmente, è: gli impulsi sessuali.
I bambini imparano a controllare i propri impulsi sessuali tirando
in dentro la pancia e sollevando il diaframma. Le donne dell'epoca
vittoriana raggiungevano lo stesso scopo indossando dei corsetti che
serravano la vita e impedivano i movimenti diaframmatici. Così
l'ansia sessuale è intimamente collegata a un'ostruzione della respi­
razione o, per usare le parole di Rollo May, a un " soffocamento nel­
le strettoie" .
Una delle affermazioni fondamentali di Reich fu che l'ansia è
presente in tutti i problemi nevrotici. In bioenergetica ne abbiamo
avuto continue conferme. In quest'epoca di sofisticazione sessuale
non sono molti i pazienti che vengono in terapia accusando un'ansia
di tipo sessuale. Tuttavia è frequente che i pazienti lamentino dei
disturbi sessuali. Sotto questi problemi c'è un'ansia profonda che
non diventa cosciente finché non si sia ridotta la tensione intorno
alla regione della vita. Analogamente la maggior parte dei pazienti
non sono consapevoli della propria ansia respiratoria. La paziente
che ho descritto sopra non si rendeva conto di essere ansiosa ri­
guardo alla respirazione. Era riuscita a impedire che l'ansia affio­
rasse in superficie non aprendo completamente la gola e non respi­
rando a fondo. Solo quando cercò di farlo si manifestò l'ansia. Allo
stesso modo le persone possono difendersi dall'ansia sessuale, non
consentendo ai sentimenti sessuali di inondare la pelvi. Creando
una costrizione a livello della vita, possono escludere il sentimento
d'amore che provano nel cuore da ogni connessione diretta con
5 CARL STROUGH, Breflth, Williarn Morrow, New York, 1970. Contiene un'ampia di­
scussione del ruolo della tensione del diaframma nei disturbi respiratori .
109
Bioenergetica
l'eccitazione dell:apparato genitale. I loro sentimenti sessuali ven­
gono limitati ai genitali. Questa disso�iazione viene poi razionaliz­
zata dall'io nell'affermazione che il sesso dovrebbe essere disgiunto
dall'amore.
A volte accade che, mentre le difese sono ancora apparente­
mente intatte, si sviluppino spontaneamente dei forti sentimenti
sessuali che hanno origine nel cuore. Questo può accadere sia al­
l'interno che al di fuori della terapia. Nel primo capitolo ho notato
che in circostanze non abituali un individuo può uscire " dal pro­
prio mondo" o " da se stesso " . Questa esplosione di energia e di
sentimenti produce un'esperienza trascendentale. Le difese cedono
temporaneamente consentendo ai sentimenti sessuali di fluire libe­
ramente, dando origine a una piena scarica orgasmica accompagnata
da piacere e soddisfazione intensi. Tuttavia nella maggior parte dei
casi il soggetto cerca di escludere questi sentimenti soffocandoli,
perché non è in grado di abbandonare le proprie difese. Se questo
accade il soggetto sviluppa una grave ansia, che Reich definiva ansia
del!'orgasmo.
All'inizio del capitolo ho detto che le difese servono a proteg­
gere l'individuo dall'ansia. Poi ho parlato della natura dell'ansia
e l'ho messa in relazione con la percezione di qualche disturbo nel
funzionamento normale del corpo: il fenomeno più tipico è quello
di un'ostruzione del processo respiratorio, un "soffocamento nelle
strettoie " o la paura di cadere. Ma abbiamo visto poi che quando
le difese sono assénti o cedono non c'è ansia, solo piacere. Perciò
dobbiamo concludere che la presenza di difese predispone l'indi­
viduo all'ansia o, in altri termini, ne crea le condizioni.
Come possono le difese operare in questi due modi apparente­
mente contraddittori, difendendo dall'ansia eppure, allo stesso tem­
po, creandone le condizioni? Per rispondere a questo interrogativo
dobbiamo comprendere che una posizione o pastura difensiva non
si è sviluppata per proteggere il soggetto dall'ansia - che è la sua
funzione attuale - ma piuttosto per proteggerlo da una ferita pro­
vocata da un'aggressione o da un rifiuto. La persona che ha subìto
ripetuti attacchi erigerà delle difese per evitare questo pericolo in
futuro. È quello che fanno le nazioni quando si creano un apparato
militare. Con l'andare del tempo, sia a livello della persona sia della
nazione, il mantenimento delle difese diviene parte del modo di
vivere. Ma l'esistenza di difese tien viva la paura dell'aggressione
e cosl ci si sente giustificati a rafforzare ulteriormente la posizione
difensiva. Le difese però implicano anche una chiusura verso l'ester-
110
Terapia bioenergetica
no: il risultato finale è che l'individuo diventa prigioniero della sua
stessa struttura difensiva. Se non fa sforzi per uscirne rimarrà rela­
tivamente libero dall'ansia, ben protetto dalle sue fortificazioni.
Il pericolo insorge - e l'ansia è un segnale di pericolo - solo
quando il soggetto cerca di aprirsi, di uscire o di lasciar cadere le
difese. Il pericolo può non essere reale, e a livello cosciente il sog­
getto può anche saperlo, ma sembra reale. Tutti i pazienti che si
aprono o lasciano cadere una difesa affermano : " Mi sento vulne­
rabile " . E, certo, sono vulnerabili, tutti lo siamo, è la natura della
vita; ma non ci sentiamo vulnerabili se non abbiamo paura di es­
sere aggrediti. Siamo tutti mortali, ma non sentiamo di dover mo­
rire a meno che percepiamo che nel nostro corpo c'è qualcosa di
seriamente sbagliato. Nel momento della vulnerabilità può insor­
gere l'ansia. Se il soggetto cade in preda al panico, si chiude e cerca
di ristabilire le difese, proverà un'ansia fortissima.
Consideriamo ora questo processo da un punto di vista bioener­
getico. I principali canali di comunicazione che partono dal cuore
passano per la strettoia del collo e della vita per giungere alla peri­
feria, ai punti di contatto col mondo. Se questi canali sono aperti
la persona è aperta e il suo cuore è aperto al mondo. Le difese
vengono erette intorno a queste vie di passaggio: non escludono
del tutto la comunicazione e il contatto, perché questo significhe­
rebbe la morte, ma consentono una corrispondenza e un accesso
limitati. Finché l'individuo si mantiene entro questi limiti resta
libero dall'ansia. Ma è un modo di vivere limitante, ristretto. Tutti
vogliamo essere più aperti alla vita.
Stiamo parlando di livelli o intensità del sentimento. Fintanto­
ché la quantità di sentimenti che fluiscono verso l'esterno si man­
tiene entro i limiti stabiliti dalle tensioni muscolari non c'è ansia.
L'ansia si sviluppa quando l'individuo, in preda al panico, soffoca
un sentimento più forte che cerca di emergere. Il panico fa sl che
l'individuo si chiuda quasi totalmente, mettendo a repentaglio la
vita dell'organismo.
È evidente allora che ogni manovra terapeutica efficace è desti­
nata all'inizio a provocare ansia. Questo spiega perché l'insorgere
dell'ansia durante la terapia viene in genere guardato come un segno
positivo. Costringe il soggetto a considerare con più obiettività le
sue difese e facilita l'elaborazione delle paure a livello sia psichico
che muscolare. Il progresso della terapia è segnato da un aumento
del sentire, dell'ansia e infine da un intensificarsi del piacere.
Queste idee sulla natura dell'ansia possono essere visualizzare
111
Bioenergetica
TERMINALE TESTA
1 . CERVELLO
2. OCCHI-ORECCH IE
3. BOCCA-NASO
4. BRACCIA
COLLO
DIAFRAMMA
VITA
TERMINALE TRONCO
1 . SISTEMA DIGESTIVO
2. ORGANI ESCRETORI
3. GEN ITALI
4. GAMBE
Terapia bioenergetica
in una figura che mostra il flusso delle sensazioni che, partendo dal
cuore, passa per le strettoie e giunge agli organi periferici del corpo.
Dalla figura a p. 1 12 si può vedere che il flusso delle sensazioni
è parallelo al flusso del sangue che porta a tutte le cellule del corpo
l'ossigeno e le sostanze necessarie alla vita.
I principali organi del capo sono il cervello, i recettori senso­
dali, il naso e la bocca. Ad eccezione del cervello, le funzioni prin­
cipali di questa parte del corpo sono di tipo ricettivo. L'ossigeno,
il cibo e gli stimoli sensoriali entrano attraverso il capo. La fun­
zione del basso addome e della pelvi è quella di emettere - eva­
cuazione e scarica sessuale. In bioenergetica anche le gambe ven­
gono considerate organi di scarica perché spostano o sorreggono
l'organismo. Questa polarità delle funzioni corporee sta alla base
dell'idea che il capo ha a che fare con processi che portano a un
aumento della carica di energia o dell'eccitazione, mentre la parte
terminale del tronco ha a che fare con processi che portano alla
scarica energetica.
La conservazione della vita dipende non solo da un apporto co­
stante di energia (cibo, ossigeno e stimoli), ma anche dalla scarica
di una quantità equivalente di essa. Mi si consenta di sottolineare
che la salute è una condizione di relativo equilibrio, con la dovuta
riserva di energia supplementare per la crescita e le funzioni ripro­
duttive. Un'assunzione insufficiente porta all'esaurimento delle ri­
serve energetiche e al rallentamento dei processi vitali. D'altra parte
quando il livello di scarica è inadeguato il primo risultato è la pro­
duzione di ansia. A volte questo accade in terapia quando, in con­
seguenza della respirazione più profonda, l'energia o eccitazione del­
l'organismo cresce e l'individuo non la può scaricare in una mani­
festazione emotiva a causa dell'inibizione dell'autoespressione. Il
soggetto diventa nervoso, si sente a disagio : questo stato scompare
non appena riesce a scaricarsi efficacemente nel pianto o nella col­
lera. Di fronte all'impossibilità di scaricarsi in uno di questi due
modi, il soggetto deve limitare la respirazione.
Per la maggior parte degli individui l'ansia è una condizione
temporanea prodotta da una situazione che eccita il corpo oltre il
normale. Tutti tendono a rimanere in uno stato di relativo equili­
brio energetico. Purtroppo il livello energetico di questo stato di
equilibrio è piuttosto basso, per cui moltissimi lamentano uno stato
cronico di stanchezza e affaticamento. Aumentando l'energia si ri­
schia di provocare un'ansia che l'individuo medio non può tollerare
113
Bioenergetica
senza una qualche forma di appoggio terapeutico. Questo supporto
viene fornito sotto forma di aiuto a comprendere l'ansia e a scari­
care l'eccitazione mediante l'espressione delle sensazioni. Negli indi­
vidui in cui l' autoespressione non è intralciata il livello energetico
può essere mantenuto abbastanza alto: il risultato è un corpo vi­
brante, vivo e capace di rispondere in modo ricco alla vita.
C'è un altro punto che va sottolineato. La vita non è un fatto
passivo. L'organismo deve aprirsi e tendere la mano verso l'esterno
per ottenere e prendere ciò di cui ha bisogno. Questo vale sia per
l'ossigeno che per il cibo. Per la respirazione e per l'assunzione del
cibo il neonato utilizza lo stesso meccanismo fisiologico : quello di
succhiare. Il neonato succhia aria nei polmoni come succhia il latte
per introdurlo nella bocca e nell'apparato digerente. Dato che le
due funzioni impiegano uno stesso meccanismo, se una delle due
attività è disturbata ne risulterà influenzata anche l'altra.
Consideriamo quello che succede a un neonato che viene svez­
zato molto precocemente. Molti neonati non accettano di buon gra­
do la perdita del loro primo oggetto d'amore. Piangono e cercano
il seno con la bocca e con le mani. È il loro modo di esprimere
amore. Siccome il loro tentativo viene frustrato, diventano irrequieti
e agitati e piangono di rabbia. Questo comportamento spesso suscita
una reazione ostile della madre: ben presto il neonato (o il bam­
bino) capisce che deve limitare il proprio desiderio. Lo fa soffocan­
do l'impulso di protendersi verso l'esterno e di piangere. I muscoli
del collo e della gola si contraggono per restringere l'apertura e
bloccare l'impulso. Questo influisce anche sulla respirazione, per­
ché la chiusura della gola blocca l'impulso di cercare e succhiar
dentro l'aria. Lo stretto legame tra disturbi dell'allattamento e del­
la respirazione è documentato nel libro di Margaret Ribble, The
Rights of Infants [ I diritti dei neonati ] .'
L'allattamento è un esempio del processo attivo di aprirsi e cer­
care per introdurre. L'aprirsi e il cercare sono moti di espansione
dell'organismo verso una fonte di energia o di piacere. È lo stesso
meccanismo che entra in azione sia che il bambino cerchi il contatto
con la madre, un giocattolo o ancora, da adulto, la persona amata.
Il bacio dato con affetto è un esempio di un'azione di questo tipo.
Quando deve bloccare questi atti il bambino costruisce, a livello sia
psichico sia muscolare, delle difese atte a inibire gli impulsi. Col
6 MARGARET RIBBLE, The Rights of lnfants, Columbia University Press, New York,
1948.
114
·
Terapia bioenergetica
tempo tali difese divengono strutturate nel corpo sotto forma di ten­
sioni muscolari croniche e nella psiche come atteggiamenti caratte­
riologici. Al tempo stesso viene represso il ricordo dell'esperienza
e viene creato un ideale dell'io che mette l'individuo al di sopra del
desiderio di contatto e di intimità, del desiderio di succhiare e di
amare.
In questo esempio possiamo vedere le connessioni fra i diversi
livelli della personalità. Alla superficie - cioè a livello dell'io la difesa prende la forma di un ideale dell'io che dice: " non è virile
piangere " , e di una negazione : " e in ogni caso non lo voglio " . Que�
sta difesa è strettamente legata alle tensioni muscolari della gola e
delle braccia, che bloccano l'impulso di aprirsi e di protendersi.
A livello corporeo la questione non è se sia o meno virile piangere :
quando le tensioni sono molto forti diventa quasi impossibile. Ten­
sioni analoghe si trovano nelle spalle, e sono tensioni che rendono
ugualmente difficile protendere liberamente le braccia. A livello più
profondo, sul piano emotivo, ci sono dei sentimenti repressi di tri­
stezza, disperazione, rabbia e collera, con degli impulsi di mordere
a cui si aggiungono la paura e il desiderio. Occorre elaborare tutto
questo prima che il cuore del soggetto possa aprirsi ancora piena­
mente.
Eppure l'individuo non è morto; il suo cuore anela all'amore,
i suoi sentimenti premono verso l'espressione, il suo corpo vuole
essere libero. Ma se fa una mossa decisa in questa direzione le sue
difese soffocano l'impulso e lo gettano nell'ansia. Nella maggior
parte dei casi l'ansia è tanto forte che il soggetto si ritrae e si chiude,
anche se questo significa mantenere basso il livello energetico, ri­
durre i desideri al minimo e lasciare che la propria vita si areni a
un punto morto. La maggior parte della gente vive con la paura di
essere pienamente viva.
115
Capitolo quinto
Il piacere: un orientamento primario
Il
principio del piacere
L'orientamento primario della vita è quello di cercare il piacere
e sfuggire il dolore. È un orientamento biologico, perché a livello
corporeo il piacere promuove la vita e il benessere dell'organismo.
Il dolore, come tutti sappiamo, viene vissuto come una minaccia
all'integrità dell'organismo. Ci apriamo e cerchiamo spontaneamen­
te il piacere e ci contraiamo, ritraendoci, davanti a una situazione
dolorosa. Ma quando una situazione contiene una promessa di pia­
cere unita alla minaccia di una sofferenza proviamo ansia.
Questo modo di vedere l'ansia non contraddice i concetti esposti
in precedenza. La promessa del piacere suscita nell'organismo un
impulso espansivo a protendersi verso la fonte del piacere, ma la
minaccia del dolore costringe l'organismo a soffocare questo im­
pulso, creando uno stato di ansia. Pavlov, studiando i riflessi con­
dizionati dei cani, dimostrò chiaramente che si può produrre ansia
combinando in una stessa situazione uno stimolo doloroso e uno
piacevole. L'esperimento di Pavlov era molto semplice. Prima con­
dizionava un cane a reagire al suono di un campanello offrendogli
del cibo subito dopo lo squillo. Nel giro di pochissimo tempo ba­
stava il suono del campanello a provocare eccitazione e salivazione
nel cane, che anticipava il piacere del cibo.
Quando questo riflesso si era consolidato, Pavlov cambiava la
situazione dando al cane uno shock elettrico ogni volta che suonava
il campanello. Nella mente del cane il suono del campanello veniva
associato con la promessa di cibo e con la minaccia del dolore. Il
cane era nei pasticci : voleva muoversi verso il cibo ma aveva paura
di farlo e cadeva dunque in un grave stato di ansia.
Questa situazione tipo, cioè il disagio generato da segnali con-
116
Il piacere: un orientamento primario
traddittori, è la causa dell'ansia che sta alla base di tutte le turbe
nevrotiche e psicotiche della personalità. Le situazioni che danno
origine al disagio si verificano nell'infanzia, nel rapporto fra genitori
e figli. I bambini, fin dalla prima infanzia, vedono i genitori come
una fonte di piacere e li cercano con amore. Questo è lo schema
biologico normale, dato che i genitori sono la fonte del cibo, del
contatto e della stimolazione sensoriale di cui i bambini hanno bi­
sogno. Finché non incontra la frustrazione e non soffre di una de­
privazione, il neonato è tutto .nucleo - cioè tutto cuore. Ma è uno
stato che non dura a lungo in una cultura come la nostra, in cui la
deprivazione del contatto emotivo e la frustrazione sono tanto fre­
quenti e in cui la crescita è in genere accompagnata da punizioni e
minacce. Purtroppo i genitori non sono solo fonte di piacere: ben
presto, nella mente del bambino, vengono associati con la possibi­
lità del dolore. L'ansia che ne risulta è, a mio avviso, responsabile
dell'irrequietezza e dell'iperattività di tanti bambini. Prima o poi
vengono erette delle difese atte a diminuire l'ansia; ma queste difese
diminuiscono anche la vita e la vitalità dell'organismo.
Questa sequenza - ricerca del piacere -> deprivazione, frustra­
zione o punizione -> ansia e poi -> difesa - è uno schema generale
che spiega tutti i problemi della personalità. Per la comprensione di
un caso individuale questo schema deve essere completato dalla co­
noscenza delle situazioni specifiche che hanno prodotto l'ansia e
delle difese che sono state erette per fronteggiarla. Un altro fattore
importante è il tempo: infatti, quanto più quest'ansia è precoce,
tanto più è diffusa e tanto più sono profondamente strutturate le
difese che la devono contrastare. La natura e l'intensità del dolore
temuto hanno un ruolo importante nel determinare la posizione
difensiva.
Nella nostra società quasi tutti gli individui sviluppano delle
difese contro questa aspirazione al piacere, che nel passato è stata
causa di una grave ansia. La difesa non blocca totalmente tutti gli
impulsi alla ricerca del piacere. Se lo facesse finirebbe per provocare
la morte. In ultima analisi. la morte è la difesa totale contro l'ansia.
Ma ogni difesa, ponendo un limite alla vita, è anche una morte
parziale. A certe condizioni e in grado limitato le difese lasciano
passare alcuni impulsi. Come ho già notato, le difese variano a se­
conda degli individui, che perciò possono essere raggruppati in vari
tipi.
In bioenergetica i vari tipi di difese sono sussunti sotto il titolo
di " strutture caratteriali " . Il carattere viene definito come uno
117
Bioenergetica
schema fisso di comportamento ed è il modo tipico in cui un indi­
viduo tratta la propria ricerca del piacere. Il carattere è strutturato
nel corpo sotto forma di tensioni muscolari croniche, e in genere
inconsce, che bloccano o limitano gli impulsi a protendersi per cer­
care qualcosa. Il carattere è anche un atteggiamento psichico soste­
nuto da un sistema di negazioni, razionalizzazioni e proiezioni e
regolato in base a un ideale dell'io che ne afferma il valore. L'iden­
tità funzionale di carattere psichico e struttura corporea (o atteggia­
mento muscolare) è la chiave della comprensione della personalità,
perché ci permette di leggere il carattere a partire dal corpo e di
spiegare un atteggiamento corporeo facendolo risalire alle sue rap­
presentazioni psichiche e viceversa.
Noi terapisti bioenergetici non avviciniamo un paziente guar­
dandolo come un tipo caratteriale. Lo consideriamo un individuo
unico la cui ricerca del piacere è impedita dall'ansia, ansia contro
cui egli ha eretto certe difese tipiche. La determinazione della strut­
tura del suo carattere ci consente di vedere i suoi problemi più
profondi e così di aiutarlo a liberarsi dai limiti impostigli dalla sua
esperienza di vita passata. Prima di descrivere i vari tipi di carat­
tere psicologico e fisico, però, vorrei prima impostare il discorso
parlando della natura del piacere.
Il piacere può essere definito in vari modi. Il funzionamento
regolare e normale dell'organismo dà origine a una sensazione di
piacere, mentre quando tale funzionamento è minacciato o distur­
bato si prova ansia o dolore. C'è un'altra situazione che ci dà un
senso di piacere, cioè quando ci protendiamo per prendere qualcosa.
Naturalmente ci protendiamo verso qualcosa che riteniamo debba
essere piacevole : tuttavia sono convinto che lo stesso atto di pro­
tendersi sia la base dell'esperienza del piacere. Questo atto rappre­
senta un'espansione di tutto l'organismo, un flusso di sensazioni e
di energia diretto verso la periferia dell'organismo e verso il mondo.
In ultima analisi le sensazioni sono percezioni di movimenti che
avvengono all'interno dell'organismo. Così, quando diciamo che
una persona si trova in uno stato di piacere, intendiamo dire che i
movimenti del suo corpo, specialmente quelli interni, sono ritmici,
non costretti ed espansivi.
Dunque possiamo definire la sensazione di piacere come la per­
cezione di un movimento espansivo del corpo - aprirsi, proten­
dersi, entrare in contatto. Gli atteggiamenti di chiudersi, ritrarsi,
controllarsi e trattenersi non vengono vissuti come piacere : anzi,
possono essere vissuti come ansia e dolore. Il dolore risulterebbe
118
Il piacere: un orientamento primario
dalla pressione che si genera quando l'energia di un impulso in­
contra un blocco. L'unico modo di evitare il dolore o l'ansia è quel­
lo di erigere una difesa contro tale impulso. Se l'impulso viene re­
presso l'individuo non proverà né ansia né dolore, ma nemmeno
piacere. Si può capire quello che sta succedendo leggendo l'espres­
sione del corpo .
Quando una persona s i trova in uno stato di piacere ha gli occhi
scintillanti, il colorito roseo e caldo, un modo di fare sciolto e vi­
vace, si muove con leggerezza, è a proprio agio. Questi segni visibili
sono la manifestazione del flusso di sensazioni, di sangue e di ener­
gia diretto alla periferia del corpo, che è il corrispondente fisiolo­
gico di un movimento o impulso corporeo espansivo, rivolto verso
l'esterno. L 'assenza di questi segni rivela che l'individuo non è in
uno stato di piacere, ma di dolore, che egli lo percepisca o meno.
In Pleasure [ Piacere ] facevo notare che il dolore è l'assenza di
piacere. Vi sono dei segni corporei che confermano questa inter­
pretazione. Gli occhi appannati indicano un ritrarsi delle sensazioni
da questa parte del corpo. La carnagione fredda, pallida, è dovuta
alla costrizione dei capillari e delle arteriole e indica che il sangue
viene trattenuto e non irrora la superficie del corpo. La rigidità,
la mancanza di spontaneità suggeriscono che la carica energetica non
fluisce liberamente nel sistema muscolare. Tutti questi segni si som­
mano a formare un'immagine di contrazione dell'organismo, che è
l'aspetto somatico del dolore.
È opportuno notare che il corpo di alcuni individui presenta
un'immagine mista: una parte calda, sciolta e vivace, l'altra fredda,
tesa e senza colore. Non sempre la linea di demarcazione è netta,
ma la differenza è ben visibile e percepibile. Una manifestazione
frequente di questo disturbo è quella in cui la parte superiore del
corpo ha un buon colore e un buon tono, mentre il resto, dalla vita
in giù, ha aspetto opposto: brutto colore (una sfumatura di un
marrone spentol , tono muscolare scadente e una pesantezza spro­
porzionata rispetto alla parte superiore, che è invece ben formata.
Questo aspetto corporeo indica che nella parte inferiore del corpo
c'è un blocco delle sensazioni - soprattutto sessuali - e che que­
sta parte del corpo è repressa, contratta. È anche abbastanza co­
mune osservare un corpo caldo con mani e piedi freddi. Questa
condizione indica la tensione o il controllo delle strutture perife­
riche, quelle che stabiliscono il contatto con l'ambiente. Il deito
" mani fredde, cuore caldo " conferma questa interpretazione.
Quando osserviamo un corpo, il primo obiettivo che ci propo
119
Bioenergetica
2
3
/
4
niamo è di determinare fino a che punto l'organismo sia capace di
espandersi o di rispondere con piacere all'ambiente che lo circonda.
Come ho già detto, questa risposta implica un flusso di sensazioni,
di eccitazione o di energia dal nucleo - o cuore - della persona
alle strutture e agli organi periferici. La risposta piacevole è anche
una risposta calda e ricca d'amore, perché in questo caso il cuore
è in comunicazione diretta con il mondo esterno. L'individuo im­
pacciato da tensioni muscolari croniche che bloccano i canali di
comunicazione del cuore e limitano il flusso di energia diretto alla
periferia del corpo può soffrire da molti punti di vista. Può pro­
vare un senso di frustrazione e di insoddisfazione per la propria
vita, può essere ansioso e depresso, può sentirsi lontano dal mondo
120
Il piacere: un orientamento primario
e alienato e infine può sviluppare dei disturbi somatici. Questi sono
i principali disturbi di cui si lamenta chi va dallo psichiatra: è im­
portante allora capire che è possibile eliminarli solo reinstaurando
in pieno la capacità di provare piacere.
Nel corpo umano le principali zone di contatto con il mondo
esterno sono sei: il viso, con i suoi organi sensoriali; le mani; l'ap­
parato genitale; i piedi. Altre zone di contatto di minore impor­
tanza sono il seno nelle donne, la pelle in generale e quando si è
seduti le natiche. Le sei zone principali formano un'interessante
configurazione, che è evidente quando il soggetto è in piedi con
gambe e piedi divaricati, braccia e mani allargate. Il corpo appare
come nella figura riportata sopra, in cui sono state indicate le sei
zone.
Se convertiamo questa figura in un diagramma dinamico (illu­
strato qui di seguito) le sei zone rappresentano, dal punto di
vista energetico, le parti più estese del corpo.
In questo diagramma il punto l rappresenta il capo, che è il
luogo delle funzioni dell'io e comprende gli organi sensoriali del1
CAPO
3
2
MANO
MANO
5
4
PIEDE
PIEDE
6
GENITALI
121
Bioenergetica
l'udito, del gusto, della vista e dell'olfatto; i punti 2 e 3 rappre­
sentano le mani, che toccano e manipolano l'ambiente; i punti 4 e 5
rappresentano i piedi, che forniscono il contatto essenziale con il
suolo; il punto 6 l'apparato genitale, che è il principale organo di
contatto e di rapporto con il sesso opposto.
Una risposta espansiva, o piacevole, implica il fluire della carica
dal centro a tutti i sei punti, che possono essere considerati esten­
sioni dell'organismo, come gli pseudopodi fissi dell'ameba. Pur trat­
tandosi di strutture fisse, è tuttavia possibile un certo grado di
estensione. Le labbra possono essere protese o ritratte, le braccia
possono allungarsi o accorciarsi a seconda di ciò che si vuole rag­
giungere e infine i genitali (sia maschili che femminili) quando ven­
gono irrorati di sangue, caricati di sensazioni e protesi funzionano
come veri e propri pseudopodi. Gli arti inferiori sono più fissi e
presentano variazioni relativamente limitate. Il collo è un organo
flessibile: dunque il capo può essere teso in avanti, tenuto alto o
incassato fra le spalle. Quando si stabilisce un forte contatto con
l'ambiente in questi punti vi è un intenso interscambio energetico.
Quando ad esempio gli occhi di due individui eccitati entrano in
contatto si può percepire la carica che passa attraverso di essi. Ana­
logamente quando si viene toccati da mani cariche di energia la
sensazione che si prova è ben diversa da quella trasmessa da un
paio di mani fredde, secche o contratte. Ovviamente l'interazione
energetica del rapporto sessuale rappresenta il contatto più in­
tenso in assoluto: ma anche qui la qualità e il grado dell'inter­
scambio dipende dalla quantità di carica che fluisce in quest'area
di contatto.
L'io e il corpo
L'individuo adulto funziona simultaneamente su due livelli.
Uno è il livello psichico o mentale; l'altro è il livello fisico o soma­
tico. Affermare questo non equivale a negare l'unità dell'organismo.
Una delle tesi basilari della bioenergetica, tratta dalle concezioni
reichiane, sostiene che antitesi e unità sono i due aspetti che carat­
terizzano tutti i processi biologici. Unità e dualità si integrano in
modo dialettico, come mostra il diagramma di p. 1 2 3 .
Nella personalità sana il livello mentale e quello fisico coope­
rano per promuovere il benessere. Nella personalità disturbata ci
122
Il piacere: un orientamento primario
sono zone di sensazioni e di comportamento in cui questi livelli di
funzionamento (o aspetti della personalità) sono in conflitto. Un'area
di conflitto crea un blocco all'espressione libera degli impulsi e dei
sentimenti. Non mi riferisco a un'inibizione cosciente dell'espres­
sione. I blocchi di cui parlo sono restrizioni inconsce del movimento
e dell'espressione : limitano la capacità dell'individuo di cercare nel
mondo la soddisfazione dei propri bisogni e perciò rappresentano
una riduzione della sua capacità di provare piacere.
MENTALE
FISICO
PSICHE
SOMA
IO
CORPO
PROCESSI ENERGETICI
Vedere l'antitesi in termini di io e di corpo piuttosto che in
termini mentali e fisici ci consente di introdurre il concetto di ideale
dell'io e di immagine di sé come forze che possono opporsi all'aspi­
razione del corpo al piacere. Questi concetti derivano dal ruolo di
agente sintetizzante dell'io. L'io è il mediatore fra mondo interno
ed esterno, fra se stessi e gli altri. Questa funzione deriva dalla sua
posizione alla superficie del corpo e alla superficie della mente.'
L'io forma un'immagine del mondo esterno a cui ogni organismo
si deve conformare: nel farlo, plasma l'immagine di sé dell'indi·
viduo. A sua volta l'immagine di sé decide quali sono i sentimenti
e gli impulsi che possono giungere ad espressione. All'interno della
personalità l'io è il rappresentante della realtà.
Ma cos'è la realtà? L'immagine che ne abbiamo nella mente
1
LoWEN, The Physical Dynamics of Character Structure, cit.
123
Bioenergetica
non sempre concorda con la situazione reale. Questa immagine si
forma nel corso dello sviluppo; riflette, più che il mondo dell'età
adulta e la società, quello dell'infanzia e della famiglia. Questi due
mondi non sono totalmente diversi, perché il mondo della famiglia
riflette quello più ampio formato dalla società. La differenza sta
nel fatto che il mondo, più vasto, offre una scelta di rapporti che
il limitato mondo della famiglia non offriva. Nell'infanzia per esem­
pio un individuo può aver imparato che chiedere aiuto è segno di
debolezza e di dipendenza. Se insieme a questo insegnamento gli
è stata inculcata l'idea che è ridicolo essere dipendenti e aver bi­
sogno dell'aiuto degli altri, il soggetto avrà difficoltà a chiederlo
anche nelle situazioni in cui è facilmente ottenibile. L'individuo
sviluppa un'immagine dell'io per la quale deve essere indipendente
e cavarsela da sé: se tradisce questa immagine si sentirà ridicolo e
umiliato. Inconsciamente sceglierà rapporti in cui la sua pseudo­
indipendenza viene ammirata e incoraggiata, rinforzando così un'im­
magine di sé in fondo poco realistica.
Per capire una formazione caratteriologica dobbiamo sapere che
nell'interazione fra io e corpo opera un processo dialettico. L'imma­
gine dell'io plasma il corpo attraverso il controllo che esercita sulla
muscolatura volontaria. Si inibisce l'impulso di piangere irrigidendo
la mandibola, restringendo la gola, trattenendo il fiato e ritenendo
l'addome. La collera, nella sua manifestazione di colpire qualcosa,
può essere inibita con la contrazione dei muscoli del cinto scapo­
lare, che porta a spingere indietro le spalle. All'inizio l'inibizione
è cosciente e serve ad evitare altri conflitti e altro dolore. Ma la
contrazione cosciente e volontaria dei muscoli richiede un investi­
mento di energia e dunque non può essere mantenuta indefinita­
mente. Quando l'espressione di un sentimento non viene accettata
nel mondo del bambino e dunque la sua inibizione deve essere
mantenuta per un tempo indefinito, l'io abbandona il controllo sul­
l'azione proibita e ritira la propria energia dall'impulso . Il controllo
dell'impulso allora diventa inconscio e il muscolo - o i muscoli ­
rimane contratto perché gli manca l'energia per rilassarsi ed espan­
dersi. Tale energia può ora essere investita in altre azioni accet­
tabili: questo processo dà origine all'immagine dell'io.
Dalla resa dell'io derivano due conseguenze. Una è che la mu­
scolatura da cui è stata ritirata l'energia entra in uno stato di con­
trazione o spasticità cronica che rende impossibile l'espressione del
sentimento inibito. L'impulso è dunque efficacemente soppresso e
l'individuo non sente più il desiderio inibito. Un impulso soppresso
124
Il piacere: un orientamento primario
non è perso. Rimane latente sotto la superficie del corpo, senza
influenzare la coscienza. In seguito ad un forte stress o a uno sti·
molo adeguato l'impulso può caricarsi al punto da infrangere l'ini·
bizione o il blocco. E ciò che accade in un'esplosione di isterismo
o di rabbia omicida. La seconda conseguenza è una diminuzione del
metabolismo energetico dell'organismo. La tensioni muscolari ero- ·
niche impediscono di respirare a fondo in modo naturale, abbas­
sando così il livello energetico. Magari l'ossigeno è sufficiente per
le attività ordinarie, in modo che il metabolismo basale sembra nor­
male. Ma nelle situazioni di stress la difficoltà respiratoria emerge
come incapacità di assumere aria in quantità sufficiente o, più facil­
mente, come incapacità di far fronte allo stress.
Ora la condizione del corpo costringe la dialettica a lavorare al
rovescio. La situazione fisica plasma il pensiero e l'immagine di sé
dell'individuo. Il basso livello energetico lo costringe a operare
certi aggiustamenti nel suo stile di vita. Deve necessariamente evi­
tare situazioni che possono evocare i sentimenti repressi. Il soggetto
giustificherà questo comportamento sviluppando delle razionalizza­
zioni sulla natura della realtà. Queste manovre sono organizzate dal­
l'io per impedire che il conflitto emotivo diventi cosciente. Perciò
vengono chiamate difese dell'io. Altre difese dell'io sono la nega­
zione, la proiezione, la provocazione e la creazione di sensi di colpa.
Queste difese sono sostenute dall'energia ritirata dal conflitto. Ora
l'individuo si è costruito una corazza caratteriale contro gli impulsi
repressi. A livello fisico, è protetto dalle tensioni muscolari cro­
niche. Pur così imprigionato, può tuttavia funzionare in maniera
limitata o in aree ristrette.
Avendo raggiunto una certa misura di stabilità e di sicurezza,
l'io si fa vanto della sua realizzazione, trae soddisfazione dalle com­
pensazioni e dagli aggiustamenti operati. L'uomo incapace di pian­
gere guarda questa incapacità come un segno di forza e di coraggio.
Anzi, può addirittura deridere gli uomini o i ragazzi che piangono
facilmente, facendo passare per virtù il suo tratto nevrotico. L'indi­
viduo incapace di arrabbiarsi o di buttarsi a capofitto in qualcosa
trasforma il suo handicap in virtù sostenendo che la capacità di
vedere l'altro lato delle cose è indice di ragionevolezza. La donna
che non sa aprirsi all'amore userà il sesso e la sottomissione come
mezzo per ottenere il contatto di cui ha bisogno e si considererà
particolarmente sensuale e femminile.
Le tensioni muscolari bloccano la capacità di prendersi diretta­
mente dal mondo il piacere. Di fronte a queste restrizioni l'io ma-
125
Bioenergetica
nipolerà l'ambiente per soddisfare il bisogno di contatto e di pia­
cere del corpo. Giustificherà questa manipolazione come necessaria
e normale, perché ha perso contatto con il conflitto emotivo che lo
ha costretto ad assumere questa posizione. Il conflitto è ormai strut­
turato nel corpo ed è fuori dalla portata dell'io. L'individuo può
PENSIERO
EMOZIONI
SENTIMENTI
PROCESSI CORPOREI
AMBIENTE NATURALE
accettare a parole l'idea del cambiamento, ma finché non affronta
il problema a livello corporeo un cambiamento reale è altamente
improbabile.
Per comprendere il complesso rapporto fra io e corpo dobbia­
mo integrare due modi opposti di vedere la personalità umana.'
Il primo punto di osservazione è il terreno. In questa visione la
gerarchia delle funzioni della personalità appare come la piramide
illustrata nella figura riportata sopra.
La base della piramide è costituita dai processi corporei che
mantengono la vita e sostengono la personalità. Poggiano sulla ter­
ra - o sull'ambiente naturale - e sono in contatto con essa. Dan­
no origine a sentimenti ed emozioni che a loro volta portano a
processi di pensiero. Alla sommità della piramide c'è l'io, che in
bioenergetica viene identificato con il capo. Le linee tratteggiate
2 Una più completa discussione di questa relazione è contenuta nel mio libro The
Physical Dynamics of Cbaracter Structure, cit.
126
Il piacere: un orientamento primario
indicano che tutte le funzioni sono connesse e dipendenti l'una
dall'altra.
Il rapporto fra io e corpo può essere paragonato al rapporto
fra il generale e le sue truppe. Senza generale o comandante le
truppe non costituiscono un esercito, ma una massa. Senza le trup­
pe un generale è un uomo di paglia. Quando il comando supremo
e le truppe funzionano come un tutto armonioso e sono in contatto
con la realtà abbiamo un esercito ordinato ed efficiente. Quando
sono in conflitto c'è confusione e disordine, come può accadere ad
esempio quando il generale considera le truppe solo dei numeri o
delle pedine da manovrare a piacere nel suo gioco della guerra.
A volte il generale dimentica che una guerra viene combattuta non
solo dalle truppe ma per le truppe, e non per la sua gloria perso­
nale. Allo stesso modo l'io può perdere di vista il fatto che è il
corpo che conta, non l'immagine che cerca di presentare.
I M MAGINE DI SIO DELL'IO
PENSIERO
Considerata dal punto di vista del generale la normale gerarchia
di autorità all'interno dell'esercito sarebbe rovesciata. Nessun ge­
nerale può funzionare se non ritiene di essere estremamente impor­
tante. Lo stesso vale per l'io e per il corpo. Vista dall'alto, cioè
dalla posizione dell'io, la piramide delle funzioni della personalità
sarebbe invertita. La visione dall'alto misura il grado di coscienza
o di controllo. Nell'io è investita più coscienza che in qualsiasi
altra funzione. Di conseguenza siamo più coscienti dei nostri pen-
127
Bioenergetica
sieri che dei sentimenti, e più di questi che dei processi corporei.
Questa è la visione che il generale ha della gerarchia dell'esercito
in termini di potere, che può essere assimilata a una visione delle
funzioni della personalità in termini di conoscenza (che è un'opera­
zione dell'io). D'altra parte, il corpo ha una propria saggezza, che
precede l'acquisizione delle conoscenze.
Queste due visioni della personalità umana possono essere inte­
grate sovrapponendo i due triangoli. Ne risulta la stella a sei punte
già impiegata nel capitolo precedente per rappresentare tutto il cor­
po. La linea tratteggiata indica i punti in cui il conflitto è più in­
tenso - la regione del diaframma o della vita, dove si incontrano
le due metà del corpo.
I due triangoli possono anche rappresentare molte altre polarità
della vita - cielo e terra, giorno e notte, maschio e femmina, fuoco
e acqua . È interessante notare che per raffigurare la dualità delle
forze vitali (che nella filosofia cinese vengono chiamate yin e yang)
i cinesi usano uno schema diverso. La diversità dei due schemi ri­
manda a due diversi stili di vita. Il diagramma cinese, circolare,
pone l'accento sull'equilibrio; la figura a sei punte, nota anche
come stella di David, mette l'accento sull'interazione.
Queste forze non solo interagiscono all'interno dell'organismo
per produrre l'impulso che caratterizza l'attività tipica occidentale,
ma spingono anche l'organismo a interagire in maniera aggressiva
con l'ambiente. Non uso qui il termine " aggressivo " nell'accezione
di distruttivo, ma in contrapposizione a " passivo " . L'aggressività
occidentale ha aspetti positivi e negativi. Ma, positiva o negativa
che sia, mira a un cambiamento, in contrasto con l'atteggiamento
128
Il piacere: un orientamento primario
orientale che mira alla stabilità. Per semplicità dividerò le attività
umane in quattro gruppi : intellettuali, sociali, creative e fisiche
(in queste ultime è compresa l'attività sessuale) . Il concetto di in­
terazione si chiarisce se disponiamo questi gruppi ai quattro lati
della figura, come è indicato qui sotto.
INTELLETTUALE
AMBIENTE FISICO
Ora, se combiniamo questo diagramma con quello simile ripor­
tato nel paragrafo precedente avremo un'immagine delle forze dina­
miche che entrano in gioco nella personalità umana (vedi l'illu­
strazione a p. 1 3 0 ) .
L a forza degli impulsi - forze espansive su cui poggia l'intera­
zione dell'individuo con il mondo - dipende dalla forza dei pro­
cessi bioenergetici del corpo e la loro efficacia ai fini della soddi­
sfazione dei bisogni dipende dalla libertà con cui l'individuo li
esprime. Gli atteggiamenti controllati o le tensioni muscolari cro­
niche che bloccano il flusso degli impulsi e dei sentimenti non solo
minano la forza e l'incisività di un individuo, ma ne limitano anche
il contatto e l'interazione con il mondo. Riducono il senso di appar­
tenenza, di esser parte del mondo e limitano la ricchezza dei sen­
timenti.
In questa sede non intendo schierarmi a favore o contro lo stile
129
Bioenergetica
di vita occidentale. La nostra aggressività, che di fatto implica una
tendenza allo sfruttamento e alla manipolazione, ci ha privati di un
elemento importante: il senso dell'equilibrio. Abbiamo permesso
che l'io corrompesse il corpo e abbiamo usato la conoscenza per
rigettarne la saggezza. Dobbiamo recuperare un giusto equilibrio
sia al nostro interno che nel rapporto con il mondo in cui viviamo.
Dubito però che questo equilibrio possa essere ritrovato rifiutando
CAPO-IO
PIEDE
PIEDE
GENETICO
FISICO
gli atteggiamenti occidentali a favore degli orientali. Tra l'altro,
oggi l'oriente si sforza di adottare proprio i sistemi occidentali.
Una caratteriologia
In bioenergetica le diverse strutture caratteriali sono classificate
in cinque tipi fondamentali. Ogni tipo ha, a livello sia psicologico
sia muscolare, un particolare schema di difesa che lo distingue dagli
altri. È importante notare che non si tratta di una classificazione
di persone, ma di posizioni difensive. Nessun individuo è un tipo
puro; nella nostra cultura ciascuno combina in gradi diversi, all'in­
terno della propria personalità, alcuni o tutti gli schemi difensivi.
La personalità di un individuo, in quanto distinta dalla sua strut-
130
Il piacere: un orientamento primario
tura caratteriale, è determinata dalla sua vitalità - cioè dalla forza
degli impulsi e dalle difese erette per controllarli. Non esistono due
individui uguali per vitalità intrinseca o negli schemi di difesa ori­
ginati dalla loro esperienza di vita. Ma per motivi di chiarezza e
di semplicità di esposizione riteniamo comunque necessario parlare
in termini di tipi.
I tipi sono cinque: " schizoide " , " orale " , " psicopatico " , " maso­
chista" e " rigido " . Abbiamo usato questi termini perché corrispon­
dono a definizioni di turbe della personalità ben note e accettate
in campo psichiatrico. La nostra classificazione non viola criteri già
consolidati.
In questa sede la descrizione dei tipi deve essere necessaria­
mente schematica in quanto, volendo fornire un quadro generale
della bioenergetica, ci è impossibile trattare nel dettaglio ogni sin­
golo disturbo. I tipi caratteriologici sono molto ·complessi: ne de­
scriveremo dunque solo gli aspetti generali.
La struttura del carattere schizoide
Descrizione
Il termine " schizoide " deriva da " schizofrenia" e indica la
presenza nella personalità di tendenze di tipo schizofrenico. Si trat­
ta più precisamente della tendenza l ) a spaccare in due il funzio­
namento unitario della personalità; per esempio il pensiero tende
a essere dissociato dal sentire; quello che l'individuo pensa sembra
avere poca connessione apparente con i sentimenti e con il compor­
tamento; 2 ) a ritirarsi verso l'interno, rompendo o perdendo il con­
tatto con il mondo e con la realtà esterna. L'individuo schizoide non
è schizofrenico e forse non lo diventerà mai: ma queste tendenze,
di solito ben compensate, sono presenti nella sua personalità.
Il termine " schizoide" definisce una persona con un senso di
sé ridotto, un io debole e un contatto notevolmente limitato con il
corpo e le sue sensazioni.
Condizione bioenergetica
L'energia viene trattenuta e non fluisce nelle strutture perife­
riche del corpo - cioè negli organi che stabiliscono il contatto con
131
Bioenergetica
il mondo esterno: viso, mani, genitali e piedi. Questi organi non
sono pienamente connessi a livello energetico con il nucleo - vale
a dire che l'eccitazione del nucleo non fluisce liberamente verso di
essi ma è bloccata da tensioni muscolari croniche localizzate alla
base del capo, alle spalle, alla pelvi e alle articolazioni delle anche.
Le funzioni svolte da questi organi sono perciò dissociate dai sen­
timenti presenti nel nucleo dell'individuo.
La carica interiore tende a congelarsi nella regione del nucleo
e di conseguenza la formazione di impulsi è debole. La carica tut­
tavia, essendo compressa, è esplosiva e può esplodere nella violenza
o nell'omicidio. Questo accade quando la difesa cede e l'organismo
viene inondato da una quantità di energia che non è in grado di
controllare. La personalità si spacca in due e si sviluppa uno stato
schizofrenico. In questa situazione l'omicidio non è infrequente.
La difesa consiste di uno schema di tensioni muscolari che ten­
gono insieme la personalità impedendo che le strutture periferiche
vengano inondate di sentimenti e di energia. Queste tensioni mu­
scolari sono uguali a quelle descritte sopra come responsabili del­
l'esclusione degli organi periferici dal contatto con il nucleo. Il problema dunque è la difesa.
.
Dal punto di vista energetico il corpo è spaccato in due alla vita,
con il risultato che manca l'integrazione fra la parte superiore e
quella inferiore.
Questa analisi bioenergetica è illustrata nel diagramma ripor­
tato qui sotto.
Le linee doppie delimitano l'ambi­
to di azione ridotto dell'energia nel
carattere schizoide. Le linee trat­
teggiate indicano che gli organi pe­
riferici non sono carichi e non sono
connessi con il nucleo. La linea trat­
teggiata centrale indica la spaccatu­
ra delle due metà del corpo.
132
Il piacere: un orientamento primario ·
Aspetti fisici
Nella maggioranza dei casi il corpo è stnmmzito e contratto,
mentre se nella personalità sono presenti degli elementi paranoici
ha un aspetto più pieno e atletico.
Le principali aree di tensione sono situate alla base del cranio,
alle articolazioni delle spalle, delle gambe, della pelvi e intorno al
diaframma. In quest'ultima regione la tensione in genere è tanto
forte che tende a spaccare in due il corpo. Le spasticità dominanti
sono situate nei piccoli muscoli intorno alle articolazioni. Perciò
questo tipo può presentare un'estrema mancanza di flessibilità op­
pure un'iperflessibilità delle articolazioni.
Il viso è simile a una maschera. Gli occhi, pur non essendo privi
di espressione come negli schizofrenici, sono privi di vita e di co­
municativa. Le braccia pendono come appendici piuttosto che come
estensioni del corpo. I piedi sono contratti e freddi; spesso sono
all'infuori; il peso del corpo viene sopportato dalla parte esterna.
Spesso c'è fra le due metà del corpo una discrepanza marcata.
In molti casi non sembra nemmeno che appartengano alla stessa
persona.
Sotto sforzo, per esempio quando l'individuo assume la posi­
zione ad arco, spesso la linea del corpo appare spezzata. Capo, tron­
co e gambe formano degli angoli ai rispettivi punti d'incontro. Que­
sta condizione è illustrata al secondo capitolo.
Correlati psicologici
C'è un senso inadeguato di sé dovuto alla mancata identifica­
zione con il corpo. Il soggetto non si sente connesso e integrato.'
La tendenza alla dissociazione, rappresentata a jivello corporeo
dalla mancanza di connessione energetica fra il capo e il resto del
corpo, produce una spaccatura della personalità in atteggiamenti
opposti. Si può trovare un atteggiamento arrogante unito a uno di
avvilimento, un atteggiamento da vergine unito a un atteggiamento
da puttana. Quest'ultima divisione riflette anche la spaccatura delle
due parti, quella superiore e quella inferiore del corpo.
Il carattere schizoide è ipersensibile a causa della debolezza dei
confini dell'io, che sono l'equivalente psicologico della mancanza
3 R.D. LAING, The Divised Sel/, Pantheon, New Yotk, 1969; trad. it.: L'Io diviso, Ei­
naudi, Torino 1970.
133
Bioenergetica
di carica periferica. Questa debolezza riduce la resistenza alle pres­
sioni esterne e costringe l'individuo a ritrarsi nell'autodifesa.
Nel carattere schizoide c'è una forte tendenza a evitare le rela­
zioni intime, sentimentali. Questi rapporti sono di fatto molto dif­
ficili da stabilire per via della mancanza di carica nelle strutture
periferiche.
L'impiego della volontà per motivare le azioni dà al comporta­
mento schizoide un carattere di insincerità. È stato definito un com­
portamento " come se" - cioè come se fosse basato sui sentimenti,
mentre in realtà le azioni non sono espressione di sentimenti.
Fattori eziologici e storici
È importante a questo punto fornire alcuni dati storici sull'ori­
gine di questa struttura. Le considerazioni che seguono riassumono
le osservazioni degli studiosi di questo problema, che hanno trat­
tato e analizzato molti individui affetti da questo disturbo.
In tutti i casi è chiaramente evidente che vi fu nella prima
infanzia un rifiuto da parte della madre, vissuto dal paziente come
minaccia alla propria esistenza. Il rifiuto era accompagnato da una
ostilità coperta, ma a volte anche manifesta.
Il rifiuto e l'ostilità crearono nel paziente la paura che qualun­
que gesto di prendere, qualunque richiesta o tentativo di autoaffer­
mazione avrebbero portato all'annullamento.
La storia del pazi�nte rivela la mancanza di forti sentimenti
positivi di sicurezza o di gioia. Nell'infanzia era frequente il ter­
rore notturno.
Tipico, sempre durante l'infanzia, un comportamento privo di
emotività, di ritiro dal mondo esterno, con occasionali esplosioni
di rabbia: il cosiddetto comportamento autistico.
Se durante il periodo edipico era accaduto che, per motivi ses­
suali, uno dei due genitori facesse un investimento secondario sul
bambino - fenomeno abbastanza comune -, alla personalità si
aggiunge un elemento paranoide. Questo consentirebbe una certa
misura di comportamento agito nella tarda infanzia e nell'età adulta.
Questo tipo di storia non lascia scelta al bambino: non può
far altro che dissociarsi dalla realtà (intensa vita fantastica) e dal
proprio corpo (intelligenza astratta) per sopravvivere. Poiché i sen­
timenti dominanti erano il terrore e la furia omicida, il bambino
per difendersi ha eretto un muro che esclude tutti i sentimenti.
134
Il piacere: un orientamento primario
La struttura del carattere orale
Descrizione
Diciamo che una personalità ha una struttura orale quando con­
tiene molti tratti tipici del periodo orale - cioè della prima in­
fanzia. Questi tratti sono uno scarso senso di indipendenza, la ten­
denza ad aggrapparsi agli altri, un basso livello di aggressività e un
profondo bisogno interiore di essere tenuti, appoggiati e curati.
Questi tratti rimandano a una situazione infantile di insoddisfa­
zione e rappresentano un certo grado di fissazione ai primi stadi
dello sviluppo. In alcuni questi tratti sono mascherati da atteggia­
menti di compensazione a livello cosciente. Alcune personalità ca­
ratterizzate da questa struttura manifestano un'indipendenza esa­
gerata che però nelle situazioni di stress non regge. Il vissuto di
fondo del carattere orale è quello della deprivazione, mentre nel
carattere schizoide era quello del rifiuto.
Condizione bioenergetica
Dal punto di vista energetico la struttura orale è caratterizzata
da una carica ridotta. L'energia non è congelata nel nucleo come
135
Bioenergetica
nella condizione schizoide: fluisce verso la periferia del corpo, ma
debolmente.
Per motivi che non sono del tutto chiari risulta accentuata la
crescita lineare, dando origine a un corpo lungo e sottile. Questo
fenomeno potrebbe essere spiegato dal ritardo nella maturazione,
che consentirebbe alle ossa lunghe di crescere più del dovuto. Un
altro fattore può essere l'incapacità dei muscoli sottosviluppati di
trattenere la crescita delle ossa.
La mancanza di energia e di forza è più evidente nella parte
inferiore del corpo, perché lo sviluppo del corpo del bambino pro­
cede dalla testa in giù.
Tutti i punti di contatto con l'ambiente hanno una carica de­
bole. Gli occhi sono deboli con tendenza alla miopia e il livello
di eccitazione genitale è ridotto.
Questa condizione bioenergetica è illustrata nel diagramma di
p. 1 3 5 .
Caratteristiche fisiche
Il corpo tende ad essere lungo e sottile, a corrispondere dun­
que al tipo ectomorfico di Sheldon. Differisce dal corpo schizoide
in quanto, contrariamente ad esso, non è smilzo e contratto.
La muscolatura è sottosviluppata ma non sottile come nel tipo
schizoide. Lo scarso sviluppo muscolare è particolarmente evidente
nelle braccia e nelle gambe. Spesso le gambe lunghe ed esili sono
indice di carattere orale. Anche ì piedi sono esili e stretti. Le gam­
be danno l'impressione di non essere in grado di sostenere il corpo.
In genere le ginocchia sono bloccate, rigide, proprio per sorreg­
gerlo meglio.
Il corpo tende ad accasciarsi, in parte a causa della debolezza
del sistema muscolare.
Vi sono spesso segni di immaturità fisica. Sia negli uomini sia
nelle donne la pelvi può essere più piccola del normale. La peluria
del corpo è spesso ridotta. In alcune donne l'intero processo della
crescita è ritardato, dando loro un corpo infantile.
La respirazione del carattere orale è poco profonda e dà conto
del basso livello energetico della personalità. La deprivazione a li­
vello orale ha ridotto la forza dell'impulso di succhiare. La buona
respirazione dipende dalla capacità di succhiare dentro l'aria.
136
Il piacere: un orientamento primario
Correlati psicologici
Il carattere orale ha, in senso sia letterale sia figurato, difficoltà
a stare in piedi da solo. Tende ad appoggiarsi o ad aggrapparsi agli
altri. Ma, come ho già osservato, questa tendenza può essere ma­
scherata da un atteggiamento esagerato di indipendenza. Il bisogno
di aggrapparsi si riflette anche nell'incapacità di stare solo. C'è un
bisogno esagerato di contatto con gli altri, per averne il calore e
l'appoggio.
Il carattere orale è affiitto da un senso di vuoto interiore. Aspet­
ta costantemente che qualcuno lo riempia, anche se a volte si com­
porta come se fosse lui quello che dà il suo appoggio agli altri.
Il vuoto interiore riflette la soppressione di intensi sentimenti di
desiderio che, se espressi, genererebbero un pianto profondo e una
respirazione più piena.
Il basso livello energetico fa sl che l'umore del carattere orale
oscilli fra depressione ed esaltazione. La tendenza alla depressione
è patognomonica dei tratti orali di una personalità.
Un altro tipico tratto dell'individuo orale è quello di ritenere
che tutto gli sia dovuto, che si può esprimere nell'idea che il mondo
è tenuto a mantenerlo. Questo atteggiamento deriva direttamente
dall'esperienza precoce di deprivazione.
Fattori eziologici e storici
La deprivazione precoce può essere dovuta alla perdita effettiva
del calore e dell'appoggio materno in seguito a morte, malattia o
all'assenza per lavoro. La madre che soffre essa stessa di depres­
sione non è disponibile per il figlio.
La storia di questo soggetto è spesso caratterizzata da uno svi­
luppo precoce: non è infrequente che da bambino abbia imparato
a parlare e a camminare prima del normale. Ciò può derivare, a
mio avviso, dallo sforzo di superare il senso di perdita diventando
indipendente.
Spesso vi sono state altre delusioni nei primi anni di vita,
quando il bambino cercava il contatto, il calore e l'appoggio del
padre o dei fratelli. Queste delusioni possono lasciare nella perso­
nalità un senso di amarezza.
Nella tarda infanzia e nell'adolescenza sono tipici gli episodi
depressivi, ma il bambino orale non presenta il comportamento
autistico dello schizoide. Tuttavia nella personalità orale ci pos-
137
Bioenergetica
sono essere elementi schizoidi, come del resto nella struttura schi­
zoide vi possono essere elementi orali.
La struttura del carattere psicopatico
Descrizione
Sono indispensabili innanzitutto alcune parole d'introduzione.
Questo è l'unico tipo di carattere che non sia ancora stato descritto
o analizzato nei miei studi precedenti. Benché possa trattarsi di una
struttura molto complessa, per brevità e chiarezza mi limiterò a
descrivere una forma semplice di questo disturbo della personalità.
L'essenza dell'atteggiamento psicopatico è la negazione dei sen­
timenti, atteggiamento che contrasta con quello del carattere schi­
zoide, che invece si dissocia dai suoi sentimenti. Nella personalità
psicopatica l'io, o la mente, diventa ostile al corpo e alle sue sen­
sazioni, in specie quelle sessuali. Ecco perché è stato coniato il ter­
mine di " psicopatologia " . La funzione normale dell'io è quella di
appoggiare il corpo nella sua ricerca del piacere, non di sovvertirla
a favore di un'immagine dell'io. In tutti i caratteri psicopatici c'è
un grande investimento di energia nella propria immagine. Un altro
aspetto di questa personalità è il bisogno di potere, di dominio e
di controllo.
La complessità di questo tipo caratteriologico è dovuta al fatto
che il dominio sugli altri può essere raggiunto in due modi. Uno è
la prepotenza e la sopraffazione: in questo caso se l'altro non si
ribella diviene in un certo senso vittima del prepotente. Il secondo
modo consiste nell'insidiare l'altro attraverso un approccio sedut­
tivo: questo tipo di approccio è molto efficace con gli individui
ingenui, che cadono in potere dello psicopatico.
Condizione bioenergetica
Come due sono le strutture psicopatiche, duè sono i tipi cor­
porei ad esse corrispondenti. Per illustrare il tipo prepotente, più
facile da spiegare in termini bioenergetici, utilizzerò la solita figura.
Per dominare l'altro bisogna innalzarsi al di sopra di lui. Lo psico­
patico presenta un marcato spostamento dell'energia verso l'estre­
mità superiore del corpo, quella del capo, con una concomitante
riduzione della carica nella parte inferiore. Le due parti del corpo
138
Il piacere: un orientamento primario
sono notevolmente sproporzionate: quella superiore è di dimen­
sioni maggiori e di aspetto più dominante.
In generale c'è una netta costrizione nella zona del diaframma
e della vita, che blocca il flusso dell'energia e delle sensazioni verso
il basso.
Il capo è sovraccarico di energia: c'è dunque un'ipereccitazione
dell'apparato mentale, che dà origine a una continua preoccupa­
zione sul modo di conquistare il controllo e il dominio delle si­
tuazioni.
Gli occhi sono guardinghi o diffidenti. Non sono aperti per
vedere i rapporti di interrelazione. Questa chiusura degli occhi alla
visione e alla comprensione è caratteristica di tutte le personalità
psicopatiche.
Il bisogno di controllo è diretto anche contro il proprio sé.
Il capo è molto contratto (non bisogna mai perdere la testa) e a
sua volta tiene strettamente in pugno il corpo.
Queste relazioni energetiche sono illustrate nel diagramma ri­
portato sopra.
Caratteristiche fisiche
Nel corpo il tipo del sopraffattore presenta uno sviluppo spro­
porzionato della parte superiore, che sembra gonfia e corrisponde
139
Bioenergetica
all'immagine gonfiata dell'io del soggetto. Si potrebbe dire che la
struttura è sbilanciata verso l'alto. :È anche rigida. La parte infe­
riore del corpo è più stretta e può presentare la debolezza tipica
della struttura del carattere orale.
La struttura del secondo tipo, che ho chiamato seduttivo o ac­
cattivante, è più regolare e non ha un aspetto gonfiato. In genere
il dorso è iperflessibile.
In entrambi i casi il flusso che passa da una parte all'altra del
corpo è disturbato. Nel primo tipo la pelvi è debolmente carica e
rigida; nel secondo tipo è sovraccaricata ma non connessa con la
parte superiore del corpo. Entrambi i tipi presentano anche una
decisa spasticità del diaframma.
Vi sono tensioni marcate nella regione oculare, che comprende
gli occhi e la regione occipitale. Forti tensioni muscolari sono per­
cepibili al tatto anche alla base del cranio, in quella che può essere
chiamata regione orale. Queste tensioni rappresentano un'inibizione
dell'impulso di succhiare.
Correlati psicologici
La personalità psicopatica ha bisogno di qualcuno da tenere
sotto controllo e da cui però, malgrado le apparenze, è anche di­
pendente. In tutti gli individui psicopatici c'è dunque un certo
grado di oralità. Nella letteratura psichiatrica si parla a loro riguar­
do di fissazione orale.
Il bisogno di controllare è strettamente collegato alla paura di
essere controllati. Essere controllati significa essere usati. Vedremo
che nella storia degli individui che presentano questa struttura del
carattere c'è stata fra genitore e figlio una lotta per il predominio
e per il potere.
La spinta ad essere il primo, a riuscire è talmente forte che il
soggetto non può accettare la sconfitta. La sconfitta lo mette nella
condizione di vittima: ecco perché deve essere vincente in tutte
le sitùazioni.
In questo gioco di potere viene sempre usata la sessualità. Nel
potere o nel suo fascino morbido, accattivante il tipo psicopatico
è sempre seduttivo. Nel sesso il piacere è secondario alla perfor­
mance e alla conquista.
La negazione dei sentimenti è essenzialmente una negazione del
bisogno. La manovra dello psicopatico consiste nel far sl che gli
altri abbiano bisogno di lui, in modo da non dover esprimere il
140
Il piacere: un orientamento primario
proprio bisogno. Nel mondo dunque questo individuo ha sempre
una posizione elevata.
Fattori eziologici e storici
Anche in questo caso la storia del soggetto serve a spiegarne
il comportamento . Affermerei anzi in generale che nessuno è in
grado di capire il proprio comportamento se non conosce la pro­
pria storia. Dunque uno dei compiti principali di ogni terapia è
quello di chiarire l'esperienza di vita del paziente. Nel caso di
questa personalità si tratta spesso di un compito molto difficile,
perché la tendenza psicopatica a negare i sentimenti comprende
anche la negazione del vissuto. Nonostante ciò, la bioenergetica è
riuscita ad apprendere molto sul retroterra di questo problema.
Il fattore più importante dell'eziologia di questa condizione è
un genitore sessualmente seduttivo. La seduzione è coperta e viene
messa in atto per soddisfare i bisogni narcisistici dello stesso geni­
tore, che mira a legare a sé il bambino.
A livello del bisogno infantile di appoggio e di contatto fisico
il genitore seduttivo rifiuta sempre il figlio. La mancanza del con­
tatto e dell'appoggio necessari spiega l'elemento orale presente in
questa struttura.
Il rapporto seduttivo fa nascere un triangolo che porta il bam­
bino a sfidare il genitore dello stesso sesso. Si crea cosi una bar­
riera alla necessaria identificazione con quest'ultimo e ne risulta
favorita l'identificazione con il genitore seduttivo.
In questa situazione qualsiasi ricerca di contatto lascerebbe il
bambino estremamente vulnerabile. Allora egli si eleva al di sopra
del bisogno (spostamento verso l'alto) o lo soddisfa manipolando
i genitori (tipo seduttivo) .
Nella personalità psicopatica c'è anche un elemento masochi­
stico, che ha origine dalla sottomissione al genitore seduttivo. Il
bambino non poteva ribellarsi o sfuggire alla situazione; la sua
unica difesa era interiore. La sottomissione c'è solo in superficie;
ma nella misura in cui si sottomette apertamente il bambino con­
quista una certa intimità con il genitore.
L'elemento masochistico è più forte nella varietà accattivante
o seduttiva di questa struttura caratteriale. La prima mossa consiste
nell'iniziare un rapporto assumendo un ruolo di sottomissione ma­
sochistica. Poi, quando l'allettamento ha funzionato e l'attaccamen-
141
Bioenergetica
to dell'altro è sicuro, il ruolo viene rovesciato ed emerge una qua­
lità sadica.
La
struttura del carattere masochistico
Descrizione
Generalmente il masochismo viene assimilato al desiderio di
soffrire. Per l'individuo con questa struttura di carattere non riten­
go che ciò sia vero. Di fatto egli soffre e, dato che è incapace di
cambiare la situazione, se ne deduce che desideri mantenerla. Non
parlo dell'individuo con una perversione masochistica, che vuole
essere picchiato per poter godere del sesso. La struttura del carat­
tere masochistico è quella dell'individuo che soffre e si lamenta,
ma rimane remissivo. La remissività è la tendenza dominante del
masochismo.
Se il carattere masochista mostra nel comportamento esterno
un atteggiamento sottomesso, all'interno è esattamente l'opposto.
Al livello emotivo più profondo ha forti sentimenti di astio, nega­
tività, ostilità e superiorità. Ma questi sentimenti sono fortemente
bloccati per paura che esplodano in un comportamento violento.
Il soggetto contrasta la paura di esplodere con uno schema musco­
lare di trattenimento. Dei muscoli grossi e potenti limitano qual­
siasi affermazione diretta e lasciano passare solo il piagnisteo e il
lamento.
Condizione bioenergetica
In contrasto con la struttura orale, la struttura masochistica è
tutta carica di energia. Tuttavia questa carica viene costretta den­
tro, benché non sia congelata.
A causa di questa forte ritenzione gli organi periferici sono
debolmente carichi e dunque non c'è scarica e liberazione - l'azio­
ne espressiva di conseguenza è limitata.
La ritenzione è talmente forte da causare una compressione e
un crollo dell'organismo. Il crollo avviene alla vita, quando il corpo
si piega sotto il peso delle tensioni.'
4 Un'altra veduta dell'effetto di queste energie nella struttura masochista si può tro­
vare nel mio libro The Physical Dynamics o/ Character Structure, cit.
142
Il piacere: un orientamento primario
Gli impulsi diretti verso il basso e verso l'alto vengono soffo­
cati nel collo e alla vita; si spiega così la forte tendenza all'ansia
tipica di questa personalità.
È gravemente limitata l'estensione del corpo, che non sa ten­
dersi o protendersi verso l'esterno. La minore estensione è causa
dell'accorciamento della struttura, che è stato descritto sopra.
Ecco la rappresentazione diagrammatica del corpo masochistico:
•
'
\ ........
.. __
W
�---'
'----�
Caratteristiche fisiche
Un corpo basso, tarchiato, muscoloso, è tipico della struttura
masochistica.
Per motivi che non ci sono noti c'è in genere un'abbondante
crescita del pelo corporeo.
Particolarmente caratteristico è il collo corto e grosso, perché
questo soggetto tiene il capo incassato. Anche la vita è corta e
grossa.
Un'altra importante caratteristica è l'avanzamento della pelvi,
o meglio il sedere tenuto in dentro, appiattito. È un atteggiamento
che richiama l'immagine di un cane con la coda tra le gambe. Te­
nendo in dentro il sedere il corpo si piega a livello della vita e si
accascia.
143
Bioenergetica
Alcune donne presentano una combinazione di rigidità nella
metà superiore del corpo e di masochismo nella metà inferiore;
quest'ultimo carattere si rivela nella pesantezza delle natiche e del­
le cosce, nell'elevazione del pavimento pelvico e nel colore scuro
della pelle causato dal ristagno della carica.
La pelle di tutti i caratteri masochistici tende ad avere una
sfumatura bruna dovuta al ristagno dell'energia.
Correlati psicologici
A causa del forte controllo l'aggressione è notevolmente ridotta.
Analogamente anche l'autoaffermazione è limitata.
Al posto dell'autoaffermazione c'è il piagnisteo e il lamento.
Il gemito è l'unica espressione vocale che esce con facilità dalla gola
soffocata. Al posto dell'aggressività c'è un comportamento provo­
catorio che mira a provocare una risposta forzata da parte dell'altra
persona, che sia abbastanza forte da consentire al masochista di·
reagire in modo violento ed esplosivo nel sesso o in altri ambiti.
Il ristagno della carica dovuto al forte controllo crea la sensa­
zione di essere " impantanati " , incapaci di muoversi liberamente.
Caratteristico del comportamento masochistico è l'atteggiamen­
to di sottomissione e di compiacenza. A livello cosciente il maso­
chista si identifica con il tentativo di compiacere, ma a livello in­
conscio questo atteggiamento è contraddetto dalla presenza di astio,
negatività e ostilità. Perché l'individuo masochista possa rispondere
liberamente alle situazioni della vita è necessario che questi senti­
menti repressi vengano liberati.
Fattori eziologici e storici
La struttura masochistica si sviluppa in una famiglia dove
l'amore e l'accettazione sono combinati con una forte pressione.
La madre è dominante e si autosacrifica; il padre è passivo e sotto­
messo.
La madre dominante con tendenza all'autosacrificio asfissia let­
teralmente il figlio, che viene gravemente colpevolizzato ogni volta
che cerca di dichiarare la propria libertà o di affermare un atteg­
giamento negativo.
Un fatto tipico è la grande importanza attribuita al cibo e al­
l'evacuazione. Questo indica pressione dall'alto e dal basso. " Fai il
144
Il piacere: un orientamento primario
bravo bambino. Fai contenta la mamma. Mangia tutta la pappa . . .
E fai popò regolarmente. Fa' vedere alla mamma " , e così via.
Tutti i tentativi di resistenza, accessi di collera compresi, veni­
vano schiacciati. Da bambini tutti gli individui con struttura maso­
chistica hanno avuto degli accessi di rabbia che sono stati costretti
a far rientrare.
Un'esperienza frequente era la sensazione di essere intrappolati,
con l'unico scampo di una reazione di dispetto che finiva nella
sconfitta. Il bambino non vedeva via d'uscita.
Doveva lottare con forti sensi di umiliazione ogni volta che
" lasciava uscire le cose liberamente " - vomitando, sporcandosi o
assumendo un atteggiamento di sfida.
Il masochista ha paura di esporsi ai rischi o di metter fuori il
collo (lo stesso vale per i genitali) per timore di essere lui stesso
tagliato fuori o che gli venga mozzata la parte del corpo esposta.
Nel suo carattere è presente una forte ansia di castrazione. L'ele­
mento più significativo è la paura di essere tagliato fuori, escluso
dal rapporto con i genitori che fornisce amore - ma a certe condi­
zioni. Ne vedremo meglio l'importanza nel capitolo seguente.
La struttura del carattere rigido
Descrizione
L'idea della rigidità deriva dal fatto che questi soggetti tendono
ad avere un carattere inflessibile e orgoglioso. Portano il capo ab­
bastanza alto, la spina dorsale eretta. Tutti tratti tendenzialmente
positivi se l'orgoglio non fosse una difesa e la rigidità non fosse
inflessibile. Il carattere rigido ha paura di cedere perché per lui
ciò equivarrebbe alla sottomissione e al crollo. La rigidità diventa
una difesa contro una tendenza masochistica di fondo.
Il carattere masochistico è in guardia contro il pericolo di es­
sere sfruttato, usato o preso in trappola. La sua circospezione si
manifesta nell'abitudine di frenare, di tenere indietro qualsiasi im­
pulso di aprirsi e protendetsi verso l'esterno. Trattenersi significa
anche tener controllata la schiena: dunque rigidità. La capacità di
frenarsi è dovuta alla forte posizione dell'io, che esercita un alto
grado di controllo sul comportamento. Tale capacità è sostenuta
anche da una posizione genitale altrettanto forte; ne risulta una
personalità ancorata alle due estremità del corpo e dotata di un
145
Bioenergetica
buon contatto con la realtà. Purtroppo l'accento posto sulla realtà
viene usato come difesa contro l'aspirazione al piacere, all'ab­
bandono : è questo il conflitto di fondo di tale personalità.
Condizione bioenergetica
In questa struttura tutti i punti periferici di contatto con l'am­
biente sono abbastanza carichi, il che favorisce la capacità di verifi­
care la realtà prima di agire.
Il controllo è periferico: consente dunque il flusso dei senti­
menti ma ne limita l'espressione.
Le principali aree di tensione sono i muscoli lunghi del corpo.
Le spasticità dei muscoli estensori e flessori si combinano per pro­
durre la rigidità.
Naturalmente ci sono vari gradi di rigidità. Quando il controllo
è leggero la personalità è viva e vibrante.
Questa condizione bioenergetica è illustrata nel diagramma che
segue:
Caratteristiche fisiche
Il corpo del carattere rigido è proporzionato e armonioso; ap­
pare integrato e connesso. E tuttavia possibile individuare anche
in esso alcuni elementi dei disturbi e delle distorsioni già descritti
parlando degli altri tipi.
Una caratteristica importante è la vitalità del corpo : occhi bril­
lanti, buon colorito cutaneo, gesti e movimenti vivaci.
146
Il piacere: un orientamento primario
Se la rigidità è grave c'è una corrispondente riduzione degli
elementi positivi appena descritti: diminuisce la coordinazione e la
grazia dei movimenti, gli occhi perdono parte del loro splendore e
la pelle può assumere una sfumatura pallida o grigiastra.
Correlati psicologici
Gli individui con questa struttura caratteriale sono in genere
orientati verso il mondo, ambiziosi, competitivi e aggressivi. La
passività viene vissuta come vulnerabilità.
Il carattere rigido può essere ostinato, ma è raro che sia ma­
ligno. In parte l'ostinazione deriva dall'orgoglio : se si lascia andare
ha paura di apparire stupido e così si controlla. Ma ha anche paura
che la sottomissione comporti la perdita della libertà.
In bioenergetica con l'espressione " carattere rigido " ci si rife­
risce all'elemento comune a molte petsonalità per altro assai di­
verse. Rientrano in questa categoria il maschio fallico e narcisista
che attribuisce un'importanza estrema alla potenza erettiva, ma an­
che il carattere femminile isterico di stampo vittoriano descritto
da Reich in Character Analysis, che usa il sesso come difesa contro
la sessualità. Anche il carattere ossessivo di vecchio stile rientra in
quest'ampia categoria.
Questo carattere è rigido come l'acciaio. La rigidità è indivi­
duabile anche nella struttura schizoide che, dato lo stato di con­
gelamento del sistema energetico, è invece simile al ghiaccio e al­
trettanto fragile. In genere il carattere rigido interagisce efficace­
mente con il suo mondo.
Fattori eziologici e storici
Ìl interessante notare che nella sua storia di vita questo tipo
caratteriologico non ha sublto i forti traumi che negli altri caratteri
hanno dato origine a posizioni difensive più gravi.
Il trauma rilevante qui è la frustrazione vissuta nella ricerca
di gratificazione erotica, soprattutto a livello genitale. All'origine
c'è la proibizione della masturbazione durante l'infanzia e il rap­
porto con il genitore di sesso opposto.
Da bambino il soggetto ha vissuto il rifiuto della sua ricerca di
piacere erotico e sessuale come un tradimento del suo protendersi
verso l'amore. Nella mente di un bambino piacere erotico, sessua­
lità e amore sono sinonimi.
147
Bioenergetica
Dato il forte sviluppo dell'io, il carattere rigido non ha abban­
donato questa consapevolezza. Come illustra il diagramma, il suo
cuore non è escluso dalla periferia. È un individuo che agisce con
cuore, ma in modo contenuto e sotto il controllo dell'io. È questo
controllo che dovrebbe abbandonare, lasciando che il cuore prenda
il sopravvento.
La manifestazione aperta di amore come desiderio di intimità
fisica e di piacere erotico aveva incontrato il rifiuto dei genitori;
ecco allora che il carattere rigido, per raggiungere il proprio scopo,
agisce con prudenza e in modo indiretto. Non manipola come fa il
carattere psicopatico; manovra per conquistare l'intimità.
L'importanza dell'orgoglio sta nel fatto che è legato al senti­
mento d'amore. Il rifiuto del suo amore sessuale è un'offesa al suo
orgoglio. E analogamente un insulto al suo orgoglio è un rifiuto
del suo amore.
Desidero fare un ultimo commento. Non ho parlato del tratta­
mento di questi problemi perché i terapisti non trattano tipi ma
persone. La terapia si concentra sull'individuo nei suoi rapporti im­
mediati con il corpo, con il suolo che lo sostiene, con le persone
che gli sono vicine e con il terapista. In primo piano, nell'approccio
terapeutico, ci sono questi aspetti. Ma dietro c'è la conoscenza del
carattere, perché senza di essa il terapista non sarebbe in grado di
capire il paziente e i suoi problemi. Un terapista esperto può spo­
starsi agevolmente da un terreno all'altro senza perdere di vista
nessuno dei due.
Gerarchia dei tipi caratteriali e dichiarazione di diritti
La struttura del carattere definisce il modo in cui un individuo
tratta il proprio bisogno di amare, la sua ricerca di intimità e il suo
desiderio di piacere. Da questo punto di vista le varie strutture
caratteriali formano uno spettro o una gerarchia: a una estremità
c'è la posizione schizoide - che è un ritiro dall'intimità e dalla
vicinanza in quanto troppo minacciose; all'altra estremità c'è la
salute emotiva - in cui l'impulso di protendersi apertamente verso
l'esterno per ottenere intimità e contatto non viene frenato. I vari
tipi di carattere si inseriscono in questo spettro o gerarchia a se­
conda del livello consentito di intimità e di contatto. L'ordine se­
condo cui si dispongono è parallelo a quello usato nel presentare
i tipi di carattere.
148
Il piacere: un orientamento primario
Il carattere schizoide evita il contatto intimo.
Il carattere orale può stabilire l'intimità solo sulla base del suo
bisogno di calore e di appoggio - cioè su di una base infantile.
Il carattere psicopatico può avere rapporti solo con quelli che
hanno bisogno di lui. Purché l'altro abbia bisogno di lui e finché
è in grado di controllare il rapporto può permettere che si sviluppi
una misura limitata di intimità.
Il carattere masochista, singolarmente, è capace di stabilire un
rapporto intimo sulla base di un atteggiamento di sottomissione.
Naturalmente questo rapporto può solo essere descritto come un
rapporto incompleto - ma è comunque più intimo di quelli che
sono in grado di sviluppare i tre tipi precedenti. L'ansia della strut­
tura masochistica è dovuta alla paura che l'espressione di un sen­
timento negativo o l'affermazione della propria libertà implichino la
perdita del rapporto o l'esclusione dall'intimità.
Il carattere rigido stabilisce rapporti abbastanza intimi. Dico
" abbastanza" perché, malgrado l'intimità e il coinvolgimento appa­
renti, rimane sulle difensive.
In ognuna di queste strutture è insito un conflitto: il bisogno
di intimità e di autoespressione convive con la paura che le due
cose si escludano a vicenda. La struttura del carattere è il miglior
compromesso che nei primi anni di vita l'individuo sia stato capace
di raggiungere. Purtroppo ora egli è fermo a questo compromesso,
ma con l'età adulta la situazione che lo circonda è cambiata. Consi­
derando più da vicino questi conflitti vedremo anche come ogni
struttura del carattere rappresenti una difesa contro la struttura
situata al gradino immediatamente inferiore nella gerarchia.
Schizoide: se esprimo il mio bisogno di contatto la mia esi­
stenza è minacciata. O, invertendo l'ordine delle proposizioni:
" Posso esistere solo se non ho bisogno d'intimità." Perciò lo schi­
zoide deve rimanere in uno stato di isolamento.
Orale : il conflitto può essere espresso in questi termini: " Se
sono indipendente devo rinunciare ad aver bisogno di appoggio e
di calore. " Ma questa affermazione lo costringe a restare in una
posizione dipendente. Perciò la modifica è: " Posso esprimere il
mio bisogno in quanto non sono indipendente " . Rinunciare al bi­
sogno di amore e di contatto significherebbe cadere in uno stato
schizoide, condizione ben più grave in quanto rappresenta una ri­
nuncia alla vita.
Psicopatico: in questa struttura c'è un conflitto fra indipen­
denza o autonomia e intimità, che potrebbe esprimersi cosl: " Posso
149
Bioenergetica
esserti vicino se accetto che tu mi controlli o mi usi . " Ma non può
accettarlo perché implicherebbe una resa totale del sentimento di sé.
D'altra parte egli non può rinunciare al bisogno di intimità come
ha fatto lo schizoide, né può rischiare di diventare dipendente come
il carattere orale. Trovandosi in questo vicolo cieco, da bambino
è stato costretto a invertire i ruoli. Nei rapporti attuali è lui il
genitore dominante e seduttivo nei confronti dell'altro che viene
ridotto in una posizione orale. Così, avendo il controllo sull'altro,
può consentire una certa misura di intimità. Questa situazione si
potrebbe esprimere così: " Puoi essermi vicino fintantoché mi con­
sideri superiore". L'elemento psicopatico sta nell'inversione dei
,,
ruoli: " Puoi starmi vicino" anziché "ho bisogno di starti vicino .
Masochista : qui il conflitto è fra amore o intimità e libertà.
In parole povere: " Se sono libero non mi amerai " . Trovandosi di
fronte a questo conflitto il masochista dice : " Sarò il tuo bambino
bravo e tu mi amerai " .
Rigido: il carattere rigido è relativamente libero. Relativamente
perché fa continuamente la guardia a questa libertà - la difende
non consentendo che il desiderio del cuore gli faccia girare troppo
la testa. Il conflitto potrebbe essere espresso così: " Posso essere
libero se non perdo la testa e non mi arrendo del tutto all'amore."
Nella sua mente la resa ha i connotati della sottomissione, che ri­
tiene lo ridurrebbe al livello del carattere masochistico. Di conse­
guenza in lui il desiderio e l'amore sono sempre cauti.
Possiamo semplificare ulteriormente quanto è stato detto sopra.
Il conflitto diventa più aspro.
Schizoide
- esistenza/bisogno
Orale
bisogno/indipendenza
Psicopatico
indipendenza/intimità
Masochista - intimità/libertà
Rigido
- libertà/resa all'amore
Questi conflitti si risolvono quando scompare l'antagonismo
fra i due gruppi di valori. L'individuo schizoide scopre che esistenza
e bisogno non si escludono a vicenda e che è possibile averli en­
trambi. Il carattere orale scopre che si può aver bisogno e al tempo
stesso essere indipendenti (stare in piedi da soli) e così via.
La crescita e lo sviluppo della personalità sono un processo in
cui il bambino diviene progressivamente cosciente dei propri diritti
umani, che sono: il diritto di esistere - cioè di essere nel mondo
150
Il piacere: un orientamento primario
come organismo individuale. Questo diritto in genere si afferma
durante i primi mesi di vita. Se si stabilisce in maniera precaria
viene a crearsi una predisposizione alla struttura schizoide. Comun­
que ogni volta che questo diritto viene seriamente minacciato, al
punto che l'individuo sia incerto del suo diritto ad esistere, emer­
gerà una tendenza schizoide.
Il diritto di essere al sicuro nella propria condizione di bisogno,
che deriva dalla funzione di dare appoggio e nutrimento assolta
dalla madre durante i primi anni di vita. Un'insicurezza di fondo
a questo livello dà origine a una struttura ·orale.
Il diritto all'autonomia e all'indipendenza
cioè il diritto di
non essere soggetti ai bisogni di altri. Questo diritto viene perduto
o addirittura non si stabilisce se il genitore di sesso opposto è se­
duttivo. Cedendo alla seduzione il bambino si troverebbe in balia
del genitore: contrasta allora questa minaccia essendo egli stesso
seduttivo per acquistare potere sul genitore. In genere questa si­
tuazione sfocia in una struttura psicopatica.
Il diritto all'indipendenza, che il bambino ha stabilito mediante
l'affermazione di sé e l'opposizione al genitore. Se l'autoafferma­
zione e l'opposizione vengono schiacciate l'individuo sviluppa una
personalità masochistica. In genere l'autoaffermazione comincia al­
l'età di diciotto mesi quando il bambino impara a dire di no e
continua a svilupparsi nell'anno successivo. È il periodo in cui si
impara l'igiene personale : i problemi legati all'apprendimento for­
zato vengono associati con gli aspetti dell'autoaffermazione e del­
l'opposizione.
-
Il diritto di desiderare e di muoversi direttamente e aperta­
mente verso la soddisfazione di questi bisogni. In questo diritto
la componente dell'io è forte. Fra i diritti naturali è l'ultimo ad
affermarsi. Situerei il suo emergere e il suo sviluppo approssimati­
vamente nel periodo fra i tre e i sei anni di età. È fortemente asso­
ciato ai primi sentimenti sessuali del bambino.
Se questi diritti fondamentali ed essenziali non si stabiliscono,
ne consegue una fissazione all'età e nella situazione che ha causato
l'arresto del pieno sviluppo.
Poiché ciascuno ha un certo grado di fissazione a ciascuno di
questi stadi o livelli, ciascuno di questi conflitti richiederà una certa
elaborazione. A questo punto non so se un tale processo terapeutico
debba seguire un ordine preciso. Il procedimento migliore sembre­
rebbe quello di seguire il paziente man mano che, nella vita, si trova
151
Bioenergetica
ad affrontare i singoli conflitti. Se questo viene fatto correttamente
il paziente dovrebbe concludere la terapia con il fortissimo senti­
mento di avere il diritto di essere nel mondo, bisognoso ma anche
indipendente, libero ma anche capace di amore e di coinvolgimento.
!52
Capitolo sesto
Realtà: u n orientamento secondario
Realtà e illusione
Alla fine del capitolo sui tipi di carattere ho detto che, quando
il terapista si avvicina al paziente, questi tipi rimangono sullo sfon­
do della sua mente. In primo piano c'è la specifica situazione di
vita del paziente, che comprende i problemi con cui si presenta
in terapia, il modo in cui vede se stesso all'interno del suo mon­
do (come vede il rapporto fra la sua personalità e le difficoltà
che incontra); il grado di rapporto che ha con il suo corpo (fino a
che punto è consapevole delle tensioni muscolari che possono con­
tribuire a creare i suoi problemi); quello che si aspetta dalla terapia
e, sempre e comunque, il modo in cui si rapporta al terapista in
quanto essere umano. All'inizio si mette a fuoco l'orientamento
dell'individuo nella realtà. Vorrei aggiungere che nel corso della
terapia l'attenzione a questo aspetto non viene mai abbandonata,
ma viene continuamente ampliata man mano che emergono ulteriori
aspetti della vita e della storia del paziente.
Benché all'inizio l'attenzione venga concentrata sulla realtà,
ritengo che si tratti comunque di un orientamento secondario. Ma
è secondario solo in termini di tempo - vale a dire che l'orienta­
mento dell'individuo nella realtà si sviluppa gradualmente man
mano che egli cresce e diventa adulto, mentre il suo orientamento
verso il piacere è presente fin dall'inizio della vita. La qualità del­
l'orientamento individuale nella realtà determina la maggiore o mi­
nore efficacia con cui le azioni riescono a soddisfare il desiderio
di piacere. Non ritengo concepibile che un individuo non realistico
rispetto alla propria vita sia capace di ottenere il piacere, la soddi­
sfazione e la realizzazione che desidera tanto seriamente.
Ma cos'è la realtà? E come possiamo dire se una persona è
153
Bioenergetica
realistica o meno rispetto alla propria vita? Alla prima domanda
non sono sicuro di saper rispondere. Vi sono certe verità che ri­
tengo siano fondate nella realtà, come l'importanza di una buona
respirazione, il valore della libertà dalle tensioni muscolari croni­
che, il bisogno di identificarsi con il proprio corpo, il potenziale
creativo del piacere e così via. Su certe questioni io stesso sono
stato e sono poco realistico. Pensando di riuscire a guadagnarmi
da vivere senza fatica ho perso soldi investendo in azioni. E ci
sono problemi su cui ho le idee confuse. Fino a che punto è reali­
stico che io veda così tanti pazienti? Che sopporti una pesante
responsabilità? Credo che nessuno conosca fino in fondo la risposta
alla prima domanda. Passiamo dunque alla seconda.
Fortunatamente chi viene in terapia ammette di avere dei pro­
blemi, riconosce che in qualche modo la sua vita non funziona
come sperava e di non sapere fino a che punto le sue aspettative
siano realistiche. Data questa consapevolezza e il fatto che essere
realistici riguardo a un altro è più facile, in genere il terapista è
in grado di discernere gli aspetti del pensiero e del comportamento
del paziente che sembrano poco realistici. Può dire ad esempio che
un dato modo di pensare e un dato comportamento sono basati più
sull'illusione che sulla realtà.
Io per esempio venni consultato da una giovane che era de­
pressa per il fallimento del suo matrimonio. Aveva scoperto che
il marito aveva un'altra donna e questa scoperta aveva fatto crol­
lare l'immagine di " perfetta mogliettina " che aveva di se stessa.
L'espressione da lei stessa usata era molto adeguata: era una donna
piccola e vivace, convinta della propria devozione al marito e di
essere indispensabile al suo suècesso. È facile immaginare che colpo
fu per lei scoprire che lui si interessava a un'altra donna. Come era
possibile che un'altra gli desse di più?
È abbastanza chiaro che la mia paziente non vedeva la vita in
modo realistico. L'idea di poter essere una " moglie perfetta" è sen­
z'altro un'illusione, dato che la natura umana è quello che è - ben
!ungi dall'essere perfetta. L'idea che un uomo possa essere grato
alla moglie perché lo aiuta ad avere successo non era fondata nella
realtà, perché un atteggiamento del genere ha l'effetto di castrare
e negare l'uomo. Il crollo delle illusioni sfocia sempre nella depres­
sione,' che dà al soggetto la possibilità di portare allo scoperto le
1 LoWEN, Depression and the Body, cit.
154
Realtà: un orientamento secondario
proprie illusioni e di rifondare il suo modo di pensare e il suo
comportamento su di una base più solida.
Cominciai a interessarmi al ruolo delle illusioni studiando la
personalità schizoide.2 La condizione disperata dello schizoide lo
costringe a creare delle illusioni che lo sostengano nella sua lotta
per la sopravvivenza. In una situazione in cui ci si sente incapaci
di cambiare o di sfuggire a una realtà minacciosa, il ricorso alle
illusioni impedisce all'individuo di abbandonarsi alla disperazione
totale. Ogni individuo schizoide ha le proprie illusioni segrete, che
culla nella speranza di realizzarle. Avendo la sensazione che la sua
natura umana sia stata rifiutata egli svilupperà l 'illusione di essere
superiore agli esseri umani normali in virtù di qualche qualità spe­
ciale. È più nobile degli altri uomini; lei è più pura delle altre
donne. Spesso queste illusioni sono contraddette dalla reale espe­
rienza di vita. Per esempio conobbi una giovane donna dal compor­
tamento sessuale libero e promiscuo che credeva di essere pura e
virtuosa. Dietro a questa illusione c'era la speranza che un giorno
avrebbe incontrato un principe che avrebbe visto quello che c'era
dietro alla sregolatezza della sua vita scoprendo il suo cuore d'oro.
Ma l'illusione è pericolosa perché perpetua la disperazione, co­
me spiega questo brano tratto da Betrayal of the Body:
Quando l'illusione acquista potere esige di essere realizzata, costringen­
do l'individuo a entrare in conflitto con la realtà, conflitto che sfocia in un
comportamento disperato. Il perseguimento di un'illusione richiede il sacri­
ficio dei buoni sentimenti nel presente e la persona che vive nell'illusione
è per definizione incapace di avanzare pretese di piacere. Nella sua dispera­
zione è disposta a rinunciare al piacere e a tenere in sospeso la vita nella
speranza che l'avverarsi dell'illusione faccia scomparire la disperazione.3
Uno dei miei pazienti espresse perfettamente quest'idea dicen­
do: " Le persone fissano degli obiettivi non reali, poi tengono se
stesse in un costante stato di disperazione cercando di realizzarli." 4
L'argomento degli obiettivi non reali ricomparve nel mio studio
sulla depressione. Una delle scoperte fondamentali fu che tutti gli
individui depressi hanno illusioni che interpongono una nota di
irrealtà nelle loro azioni e nel loro comportamento. Da questo mi fu
chiaro che al crollo di un'illusione segue invariabilmente una rea­
zione depressiva. Nel mio libro Depression and the Body c'è un
paragrafo significativo che vorrei citare :
2 Vedi LowEN, The Betrayal of the Body, cit.
1 Ibid., p. 127.
155
Bioenergetica
Se nell'infanzia una persona ha subito una perdita o un trauma che mi­
na i suoi sentimenti di sicurezza e di accettazione di sé, proietterà nella sua
immagine del futuro l'esigenza di un rovesciamento delle esperienze del
passato. Così l'individuo che da bambino fa esperienza del rifiuto si imma­
gina il futuro come una promessa di accettazione e di approvazione. Se da
bambino ha dovuto combattere con un senso di impotenza sarà naturale
che la sua mente compensi questo insulto all'io immaginandosi un futuro in
cui egli sarà potente e capace di esercitare il controllo sugli altri. Nelle fan­
tasie e nei sogni ad occhi aperti la mente cerca di rovesciare la realtà sfa­
vorevole e inaccettabile creando immagini e sogni . Perde di vista la loro
origine, che si situa nell'esperienza infantile, e sacrifica il presente alla loro
realizzazione. Queste immagini sono scopi irreali e la loro realizzazione è
un obiettivo irraggiungibile.5
Questo paragrafo è significativo perché estende il ruolo dell'il­
lusione a tutti i tipi di carattere. Ogni struttura di carattere risulta
da esperienze infantili che, in una certa misura, hanno minato i
" sentimenti di sicurezza e di accettazione di sé" dell'individuo. In
ogni struttura di carattere troveremo perciò immagini, illusioni o
ideali dell'io che compensano questa offesa al sé. Quanto più il
trauma è grave tanto maggiore sarà l'investimento di energia nel­
l'immagine o nell'illusione, ma in tutti i casi si tratta di un inve­
stimento considerevole. Comunque, l'energia dirottata sull'illusione
o sullo scopo irreale non è disponibile per la vita quotidiana nel
presente. Risulta dunque menomata la capacità di far presa sulla
realtà della propria situazione.
L'illusione o ideale dell'io di una persona è unico quanto la
sua personalità. Tuttavia per approfondire la nostra comprensione
possiamo dare una descrizione approssimativa delle illusioni o ideali
dell'io tipici di ogni struttura di carattere.
Carattere schizoide: ho già detto che lo schizoide è un indi­
viduo che si è sentito rifiutato come essere umano. La sua risposta
a questo rifiuto è stata di considerarsi superiore. È un principe tra­
vestito e non appartiene davvero ai genitori. Alcuni immaginano
perfino di essere stati adottati. Ad esempio uno dei miei pazienti
mi disse: " All'improvviso mi resi conto di avere un'immagine idea­
lizzata di me stesso: mi vedevo come un principe in esilio. Misi
in relazione questa immagine con il mio sogno che un giorno o
l'altro mio padre, il re, sarebbe venuto a cercarmi e avrebbe pro­
clamato che ero il suo erede . . . Mi rendo conto di avere ancora
4
5
!56
lbid., p. 121.
Ibid., p. 25.
Realtà: un orientamento secondario
l'illusione che prima o poi verrò scoperto. Intanto devo mantenere
le mie 'pretese'. Un principe non può abbassarsi a fare un lavoro
normale. Devo dimostrare che sono speciale " .
Il punto estremo a cui una persona deve giungere per essere
speciale di fronte al rifiuto della propria umanità è ben visibile nella
schizofrenia, lo stato decompensato del carattere schizoide. È fre­
quente trovare schizofrenici che credono di essere Gesù Cristo,
Napoleone, la dea Iside e cosi via. Nello stesso stato schizofrenico
l'illusione diventa mania. L'individuo non è più in grado di distin­
guere la realtà dall'illusione.
Carattere orale: il trauma subito da questa personalità è stata
la perdita del diritto al bisogno, che ha dato origine allo stato di
insoddisfazione del corpo. L'illusione che si sviluppa per compen­
sare questa situazione è un'immagine di sé come individuo carico
e pieno di energia e di sentimento, che egli spende liberamente.
Quando, come è tipico di questa struttura, il carattere orale entra
in uno stato di esaltazione, l'illusione viene agita. Il soggetto di­
venta eccitato e volubile, riversa fuori pensieri e idee in una va­
langa di sentimenti. Questo è il suo ideale dell'io - essere il cen­
tro dell'attenzione, essere considerato uno che dà a piene mani.
Ma l'esaltazione non è più solida dell'immagine, che non può es­
sere sostenuta perché il carattere orale non ha l'energia necessaria
per farlo. Ambedue crollano e il carattere orale entra in uno dei
suoi altrettanto tipici stati depressivi.
Molti anni fa trattai per un certo tempo un paziente la cui
storia mi sembra significativa. Un giorno affermò che avrei dovuto
dare liberamente quello che avevo, perché lui era dispostissimo a
fare lo stesso. " Sono pronto a dividere con lei quello che ho,"
disse, " perché non fa lo stesso? " " Lei quanto ha? " gli chiesi.
" Due dollari" fu la risposta. Aveva molto di più, quindi ritenni
che non fosse una proposta realistica. Ma lui rimase convinto della
generosità della sua offerta.
Carattere psicopatico : l'illusione di questa persona riguarda il
potere: si illude segretamente di possederlo e di essere importan­
tissima. Questa illusione è il suo modo di compensare l'esperienza
di essere impotente e inerme nelle mani di un genitore seduttivo
e manipolativo. Ma per realizzare l'illusione nella propria mente
egli deve anche mostrare di essere una persona che dispone di ric­
chezza e di potere. Quando il carattere psicopatico raggiunge il
potere, come non è infrequente che accada, la situazione diventa
pericolosa, perché egli non è in grado di separare il potere reale
!57
Bioenergetica
dall'immagine dell'io, in cui egli vede se stesso come una persona
potente. Cosl il potere non viene usato in maniera costruttiva, ma
nell'interesse dell'immagine dell'io.
Un paziente mi disse che per anni aveva immaginato di portare
un sacco con dentro 8 .000.000 di dollari e che questa immagine
lo faceva sentire potente e importante. Quando lo vidi in terapia
aveva accumulato parecchi milioni di dollari e cominciava a realiz­
zare di non essere né potente né importante. " Realizzare" significa
affrontare la realtà. L'illusione del potere - di quello che può fare
per una persona - è molto comune nella nostra cultura. L'antitesi
di questa con il piacere è discussa in P/easure .'
Carattere masochista: il carattere masochista si sente sempre
inferiore. Da bambino è stato svergognato e umiliato, ma dentro
di sé si considera superiore agli altri. Questa immagine è appoggiata
da sentimenti repressi di disprezzo per il terapista, per il capo e
per chiunque nella realtà occupi una posizione superiore.
Uno dei motivi per cui è tanto difficile lavorare su questo tipo
di problema è che il paziente con questa struttura caratteriale non
può permettersi di lasciare che la terapia riesca. Il successo della
terapia dimostrerebbe che il terapista era migliore (più competente)
del paziente. Ecco un vicolo cieco. Questa illusione spiega in parte
il motivo per cui il carattere masochistico investe tanto nel falli­
mento. Il fallimento viene sempre spiegato e liquidato con la giu­
stificazione : " Non mi sono impegnato abbastanza " , dove è impli­
cito che, se volesse, potrebbe davvero riuscire. In maniera rove­
sciata il fallimento sostiene l'illusione della superiorità.
Carattere rigido : questa struttura ha origine dal rifiuto del­
l'amore del bambino da parte di uno dei genitori. Il bambino ha
provato un senso di tradimento, si è sentito il cuore spezzato. Per
difendersi si è corazzato, ha imparato a stare in guardia, a non
esprimere troppo apertamente il proprio amore per paura di essere
tradito. Il suo amore è cauto. Ma benché questa sia la realtà del
suo modo di essere nel mondo, egli non si vede in questa luce.
La sua illusione, la sua immagine di sé è quella della persona che
ama ma il cui amore non viene apprezzato.
L'analisi del carattere rigido solleva una questione importante.
Questo individuo è una persona che ama. Il suo cuore è aperto
all'amore, ma la comunicazione di questo amore è circospetta, non
è libera. Se si frena la manifestazione del proprio amore il valore
6 LOWEN, Pleasure, cit.
!58
Realtà: un orientamento secondario
ne risulta ridotto; così l'individuo rigido è una persona capace di
amare nei sentimenti, ma non nelle azioni. Il punto interessante
è che l'illusione non è del tutto falsa; c'è in essa un elemento di
realtà, che induce a chiedersi: " È così per tutte le illusioni? "
Senza avervi riflettuto fino in fondo la mia risposta immediata è sì.
Ci deve essere un nocciolo di verità o di realtà in ogni illusione,
che può aiutarci a capire perché una persona vi si tiene attaccata
con tanta tenacia. Ecco alcuni esempi:
C'è una certa parte di verità nell'immagine di sé dello schi­
zoide, che si considera un individuo fuori dell'ordinario. Alcuni
anzi diventano davvero speciali e riescono a emergere. Come tutti
sappiamo, il genio non è tanto lontano dalla pazzia. Possiamo con­
getturare che il rifiuto della madre fosse legato al fatto che ai suoi
occhi egli fosse speciale? Sono convinto che in questa supposizione
ci sia qualcosa di vero.
Il carattere orale è portato a dare. Purtroppo ha poco da dare.
Si può dire allora che la sua illusione è basata sul sentimento, non
sul comportamento. Ma nel mondo degli adulti l'unica moneta va­
lida è il comportamento.
Il carattere psicopatico aveva qualcosa che il genitore voleva;
altrimenti non sarebbe stato oggetto di seduzione e di manipola­
zione. Da bambino deve esserne stato consapevole, assaporando
per la prima volta il gusto del potere. Certo, era davvero inerme,
e dunque il potere era solo nella sua testa, ma ha imparato un fatto
della vita di cui poi si è servito: quando qualcuno ha bisogno di te
hai potere su di lui.
È difficile trovare una base all'illusione di superiorità del carat­
tere masochistico; tuttavia so che ne deve esistere una. L'unica idea
che mi viene in mente, e che propongo con la dovuta cautela, è che
egli sia superiore nella sua capacità di sopportare una situazione do­
lorosa. Non è infrequente sentir dire: " Solo un masochista riusci­
rebbe a sopportarlo " . Lui ce la fa e mantiene un rapporto che altri
avrebbero abbandonato da tempo. C'è della virtù in questo atteg­
giamento? In alcuni casi può darsi. Quando un individuo è total­
mente dipendente da un altro la capacità di quest'ultimo di soppor­
tare la situazione può avere un elemento di nobiltà. Probabilmente
nel rapporto del carattere masochistico con la madre c'era questo
tipo di vissuto, che ha lasciato in lui un senso interiore di valore.
Il rischio è che l'illusione - o immagine dell'io - accechi una
persona impedendole di vedere la realtà. Il carattere masochistico
non è in grado di distinguere quando è nobile sottostare a una
159
Bioenergetica
situazione dolorosa e quando invece è autodistruttive e masochi­
stico. Analogamente il carattere rigido non sa distinguere quando
il suo comportamento esprime amore e quando no. Non solo siamo
accecati dalle illusioni, ma siamo anche attaccati alle immagini del­
l'io che esse contengono. Essendovi aggrappati, non abbiamo i piedi
per terra e non possiamo scoprire la nostra vera identità.
Hang-ups (fissazioni) 7
Si dice che una persona è " fissata " quando è impigliata in un
conflitto emotivo che la immobilizza e impedisce qualsiasi azione
efficace per cambiare la situazione. In questo genere di conflitti ci
sono due sentimenti opposti, ciascuno dei quali blocca l'espressione
dell'altro. Un buon esempio è la ragazza che da una parte è attratta
da un ragazzo e sente di avere bisogno di lui; dall'altra ba paura
del suo rifiuto e percepisce che se si muove verso di lui si farà del
male. Incapace di fare un passo avanti, per paura, e di andarsene,
per desiderio, è in una situazione di impasse. Una persona può es­
sere fissata a un lavoro che non la coinvolge ma che ha paura di
lasciare perché rappresenta la sicurezza. Si è sospesi a mezz'aria,
bloccati, in tutte le situazioni in cui dei sentimenti conflittuali im­
pediscono qualsiasi movimento efficace.
Le fissazioni possono essere coscienti o inconsce. Se una per­
sona è consapevole del conflitto ma non lo sa risolvere, si sente
fissata, bloccata. Ma una persona può anche essere fissata a conflitti
che hanno avuto luogo nell'infanzia, il cui ricordo è stato a lungo
rimosso. In questo caso l'individuo non è consapevole della situa­
zione di fissazione in cui si trova.
Ogni fissazione, cosciente o inconscia, limita la libertà di muo­
versi in tutte le aree della vita, e non solo in quella del conflitto.
Una ragazza che ha una fissazione per un ragazzo troverà che ne
soffre anche il lavoro e lo studio e che ne sono influenzati anche
i rapporti con la famiglia e con gli amici. Ciò è vero, benché in
misura minore, anche per le fissazioni inconsce che, come tutti i
conflitti emotivi irrisolti, divengono strutturate nel corpo sotto for7 In queste pagine il termine "fissazione" non viene usato nel senso psicoanalitico
di investimento libidico inconscio e cristallizzato su fasi e oggetti pregenitali, ma nel sen­
so, appunto bioenergetico, di "inchiodatura" dell'energia bio-psichica su oggetti, conflitti o
atteggiamenti psicocorporei. Le fissazioni, in senso bioenergetico, possono essere consce
o inconsce e riferirsi a problematiche sia infantili che adulte, ma hanno sempre una con­
notazione anche somatica, oltre che psichica. [N.d.T.]
160
Realtà: un orientamento secondario
ma di tensioni muscolari croniche . Queste tensioni muscolari cro­
niche bloccano davvero il corpo in maniere che descriverò più
avanti.
Non sempre ci si rende ben conto che ogni illusione blocca la
persona perché la inchioda ad un conflitto insolubile fra le esigenze
della realtà da un lato e dall'altro il tentativo di realizzare l'illu­
sione. L'individuo non è disposto ad abbandonare le proprie illu­
sioni perché ciò equivarrebbe a una sconfitta dell'io. Allo stesso
tempo non può ignorare completamente le esigenze della realtà.
E siccome in una certa misura ha perso il contatto con la realtà,
spesso questa ha per lui un aspetto pauroso e minaccioso. Egli vede
ancora la realtà attraverso gli occhi di un bambino disperato.
Il problema è ulteriormente complicato dal fatto che le illu­
sioni hanno una vita segreta; o, per dirla in altri termini, che le
illusioni e i sogni a occhi aperti fanno parte della vita segreta della
maggior parte della gente. Forse sorprenderò i miei lettori dicendo
loro che raramente questa vita segreta viene rivelata spontanea­
mente allo psichiatra. O per lo meno questa è la mia esperienza
e non credo sia unica. Non credo che queste informazioni vengano
taciute deliberatamente; più semplicemente, i pazienti spessissimo
non ne vedono l'importanza. Concentrano l'attenzione sul proble­
ma immediato per cui cercano aiuto e non pensano che le loro
immagini, illusioni e fantasie siano importanti. Ovviamente sono
importanti e dobbiamo presupporre che nel fatto di tacere queste
informazioni operi una negazione inconscia. Ma prima o poi devono
venir fuori, e lo fanno.
Ho avuto in trattamento un giovane che soffriva da moltissimo
tempo di depressione. La terapia comprese un intenso lavoro sul
corpo, respirazione, movimento ed espressione di sensazione, la­
voro a cui il paziente rispose favorevolmente. Al tempo stesso rive­
lava una notevole mole di informazioni sulla sua infanzia, che pare­
vano spiegare il problema di cui soffriva. Ma la depressione conti­
nuava, anche se ad ogni seduta il suo atteggiamento migliorava leg­
germente. Le cose andarono avanti così per parecchi anni. Il pa­
ziente era fermamente convinto che la bioenergetica lo avrebbe
aiutato e io ero pronto a stare al suo fianco.
Uno degli avvenimenti significativi della sua infanzia era stata
la morte della madre, avvenuta quando lui aveva nove anni. Morì
di cancro dopo essere stata costretta a letto per un certo tempo.
Il paziente disse che quando era morta aveva provato pochissima
emozione, benché riferisse che la madre gli era molto affezionata.
161
Bioen11rgetica
Negò di aver provato dolore, cosa che trovavo molto diflìcile da
capire. Si potrebbe vedere in questa negazione la causa della suc­
cessiva depressione; ma era una barriera che non riuscivamo a
penetrare.
La breccia si aprì a un seminario clinico in cui presentai il gio­
vane ai miei colleghi. Analizzammo il suo problema corporeo me­
diante il linguaggio del corpo e ripercorremmo la sua storia. Am­
mise di essere ancora depresso. Poi una mia collega fece un'osser­
vazione sorprendente. " Credeva di poter riportare in vita sua ma­
dre " , notò. Il mio paziente la guardò con una smorfia di imbarazzo,
quasi volesse dire: " Come faceva a saperlo? " Poi disse: " Sl " .
Come facesse a saperlo non lo so. Fu un'intuizione splendida,
che mise a nudo un'illusione di cui il paziente era rimasto prigio­
niero per più di vent'anni. Non credo che l'avrebbe rivelata spon­
taneamente. Forse cercava di nasconderla a se stesso, magari per
vergogna. Il suo emergere segnò l'inizio di un nuovo corso della
terapia.
Ogni terapia richiede alcuni insighs intuitivi da parte del tera­
pista. Richiede anche che il terapista capisca a che punto è il pa­
ziente come persona. Se non è facile mettere a nudo le illusioni di
un paziente (benché alcune vengano esposte senza diflìcoltà) pos­
siamo stabilire che è vittima di una fissazione e individuare alcuni
dei meccanismi di questo fatto. Possiamo farlo perché la fissazione
si rivela nell'espressione fisica del corpo permettendoci di risalire
all'illusione, che se ne conosca o meno l'esatta natura.
Ci sono due modi di determinare in base all'espressione cor­
porea se una persona è, o non è, fissata e bloccata. Il primo modo
è quello di vedere se è ben radicata. Essere radicati è l'opposto di
essere fissati, " appesi " . Nel linguaggio del corpo avere i piedi per
terra significa essere in contatto con la realtà; significa che il sog­
getto non opera sotto l'influsso di un'illusione, cosciente o inconscia
che sia. In senso letterale tutti hanno i piedi per terra; in senso
energetico, però, le cose non sempre stanno cosl. Se l'energia di
una persona non fluisce con vigore nei piedi il suo contatto ener­
getico o sensitivo con il suolo è molto limitato. Un leggero con­
tatto, come in un circuito elettrico, non è sempre sufficiente ad as­
sicurare il flusso della corrente.
Per apprezzare la validità della concezione energetica proviamo
a considerare quello che succede quando una persona è su di giri
o in uno stato di esaltazione. Ci sono vari tipi di esaltazione, ma
la caratteristica di tutti è la sensazione di avere i piedi sollevati da
162
Realtà: un orientamento secondario
terra. Quando è su di giri (on a high) per l'alcol, ad esempio,
l'individuo ha molta difficoltà a sentire la terra sotto i piedi e il
suo contatto è incerto. Si potrebbe dare la colpa alla mancanza di
coordinazione indotta dall'alcol. Però si prova la stessa sensazione
quando l'eccitazione (high) è provocata da una notizia entusia­
smante. Ci si sente quasi fluttuare nell'aria. L'innamorato cammina
danzando, con i piedi che quasi non toccano terra. Nello high
della droga si ha la sensazione di fluttuare - sensazione che a
volte viene provata anche dagli individui schizoidi.. Quando un in­
dividuo si muove nel suo ambiente apparentemente senza contatto
con ciò che lo circonda diciamo che fluttua.
La spiegazione bioenergetica dello high è che l'energia viene
ritirata dai piedi e dalle gambe e si dirige verso l'alto. Quanto mag­
giore è il ritiro tanto più pare che l'individuo salga in alto, perché
dal punto di vista dell'energia e delle sensazioni è più lontano dal
suolo. In uno high provocato da un avvenimento .eccitante per esempio il raggiungimento di un obiettivo importante - il ri­
tiro dell'energia dalle gambe e dai piedi fa parte di un'ondata di
eccitazione e di energia verso l'alto, verso il capo. Questa ondata
è accompagnata da un flusso di sangue che dà colore al viso e anima
tutta la persona. In uno high causato dalla droga, invece, solo
in un primo tempo il flusso va verso l'alto; poi l'energia viene riti­
rata sia dal capo sia dalla parte inferiore del corpo. Il viso perde
colore, gli occhi diventano vuoti o lucidi, l'animazione diminuisce.
La sensazione di essere high tuttavia rimane ed è dovuta al ritiro
dell'energia dal suolo, verso l'alto. All'altra estremità del corpo il
ritiro di energia dal capo produce uno stato dissociato della mente,
che sembra galleggiare libera dai suoi confini corporei.
Il secondo sistema che permette di individuare a livello soma­
tico la presenza di una fissazione (hang-up) è l'osservazione del por­
tamento o della postura della metà superiore del corpo. Ce ne sono
molte e frequenti; la più comune è quella che ho definito il tipo
" appendiabiti" . È quasi esclusivamente maschile. Le spalle sono
sollevate e un po' squadrate, capo e collo sono inclinati in avanti.
Le braccia pendono sciolte dalle articolazioni e il mento è anch'esso
sollevato. Chiamo questo tipo " appendiabiti" perché pare che il
corpo sia tenuto su da un " ometto " invisibile (vedi p. 164).
Un'analisi dell'espressione corporea rivela la dinamica di questa
fissazione. Le spalle rialzate sono un'espressione di paura, come
possiamo verificare personalmente assumendo un atteggiamento di
paura. Noteremo che le spalle si sollevano automaticamente e che,
163
Bioenergetica
quando il petto si gonfia, si aspira affannosamente l'aria. Quando
la reazione è di amore in genere le spalle cadono. Le spalle tenute
abitualmente sollevate rivelano che il soggetto è incatenato in un
atteggiamento di paura che non sa scrollarsi di dosso perché non
si rende conto di essere spaventato. In genere la situazione che ha
generato la paura è ormai dimenticata e la stessa emozione è stata
repressa. Queste pasture abituali non si sviluppano da una singola
esperienza, ma dall'esposizione continua a una situazione paurosa.
Potrebbe trattarsi per esempio dell'esperienza di un bambino che
per lungo tempo ha avuto paura del padre.
Questo atteggiamento di paura viene còmpensato portando in
avanti il capo come per affrontare la minaccia o, almeno, per vedè!e
se la minaccia c'è davvero. Siccome nel confronto fisico con un
altro uomo tenere la testa in avanti è pericoloso, questo aspetto
della pastura è di fatto una negazione della paura. Pare dica: " Non
vedo di cosa dovrei aver paura " . Questa pastura influisce necessa­
riamente sulla parte inferiore del corpo. La persona spaventata
avanza con passo leggero. La paura solleva da terra.
Essere spaventati, e al tempo stesso negare di esserlo, crea una
fissazione. La persona non può avanzare perché ha paura, ma non
164
Realtà: un orientamento secondario
può nemmeno ritirarsi perché ha negato questa paura. Ìì emotiva·
mente immobilizzata - ed è proprio questa la caratteristica delle
fissazioni.
La soppressione della paura genera la soppressione della collera
ad essa collegata. Siccome non c'è niente da temere non c'è motivo
di essere arrabbiati. Ma i sentimenti repressi possono emergere in
maniera indiretta. Qualche tempo fa venne a consultarsi con me un
giovane leader di un movimento studentesco. Si lamentava di es­
sere insoddisfatto di se stesso. Non si sentiva a proprio agio con
le ragazze. In varie occasioni aveva perso l'erezione durante il rap·
porto sessuale e la cosa lo disturbava parecchio. Disse anche di ave­
re grosse difficoltà a decidere che carriera intraprendere.
Esaminando il corpo del giovane notai che aveva le spalle e il
petto sollevati e tirati verso l'alto, la pancia in dentro, la pelvi
inclinata in avantf e fortemente contratta e il capo piegato in avanti
su di un collo corto. Sembrava così che la parte superiore del corpo
pendesse in avanti. Aveva occhi guardinghi e la mascella dura,
risoluta.
Osservandogli le gambe vidi che erano molto salde e rigide e
che aveva qualche difficoltà a flettere le ginocchia. I piedi erano
freddi al tatto e apparentemente privi di sentimento o di carica.
Quando cercò di assumere la posizione dell'arco aveva la pelvi
ritratta, che spezzava la curva del corpo. Sentii che nella parte infe­
riore del corpo fluiva pochissima carica, pochissimo sentimento,
il che spiegava le difficoltà sessuali. Ammise di avere scarsa sensi­
bilità nelle gambe. Inoltre la respirazione era molto superficiale e
praticamente non interessava l'addome.
Considerati i problemi personali di cui si lamentava, il lettore
sarà forse sorpreso di sapere che il giovane decise di non entrare
in terapia . Discutendo con lui del suo problema capii che era trop­
po legato al movimento studentesco per lasciarsi andare abbastanza
da affrontare la realtà della sua situazione personale. Non seppi
mai che illusioni nutrisse sulla sua attività e sul fatto che potesse
aiutarlo a risolvere le sue difficoltà personali. Ma era evidente che
aveva trasferito la lotta per la dignità e la libertà personale sulla
scena sociale, dove poteva mantenere un'immagine di maschio ag­
gressivo malgrado la realtà del suo fallimento personale.
Nelle donne una comune fissazione è rappresentata dalla gobba
di bisonte, una massa di tessuto che si accumula appena sotto la
settima vertebra cervicale all'articolazione fra collo, spalle e tronco.
Il nome di questa protuberanza (in inglese " gobba della vedova " )
·
165
Bioenergetica
deriva dal fatto che è raro vederla nelle donne giovani, mentre
invece non è infrequente nelle anziane. La definisco una postura
tipo gancio da macellaio, perché mi sembra che un gancio da ma­
cellaio produrrebbe una configurazione simile (vedi sotto) .
La gobba è ubicata nel punto dove scorrerebbero i sentimenti
di collera diretti fuori, verso le braccia, e in alto nella testa. Negli
animali, nel gatto o nel cane, la collera si manifesta nel rizzarsi
del pelo lungo la spina dorsale e nell'arcuarsi della schiena. Darwin
lo fece notare in The Expression of the Emotions in Man and
Animals .' La mia lettura del corpo mi dice che la gobba è prodotta
da un accumulo di collera bloccata. Il fatto che compaia nelle don­
ne anziane indica che essa rappresenta il graduale accumularsi di
una collera inespressa, risultato delle frustrazioni di tutta una vita.
Molte donne anziane hanno tendenza ad abbassarsi di statura e ad
appesantirsi via via che, con l'avanzare degli anni, si ritraggono in
se stesse.
Vorrei sottolineare che è l'espressione fisica della rabbia che è
bloccata, non la sua espressione verbale. Alcune vedove sono famose
per la lingua biforcuta.
La mia analisi del problema rappresentato dalla gobba è la se8 CHARLES DARWIN, The Expression o/ the Emotions in Man and Animals, London,
Watts & Co., 1934; trad. it.: L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali, in Il
meglio di Cbarles Darwin, Longanesi, Milano, 1971.
166
Realtà: un orientamento secondario
guente: ritengo che implichi un conflitto fra un atteggiamento di
sottomissione - cioè fare la brava ragazza per compiacere il padre
e la famiglia - e violenti sentimenti di rabbia per la frustrazione
sessuale che un simile atteggiamento comporta. Il problema ha avu­
to origine nella situazione edipica, in cui le bambine sono prigio­
niere di sentimenti conflittuali nei confronti del padre - amore e
sentimenti sessuali da un lato, collera e frustrazione dall'altro. Ne
risulta un'impasse, perché una bambina non può esprimere la pro­
pria collera per paura di essere disapprovata e di perdere l'amore
del padre, e nemmeno può avvicinarsi al padre con un sentimento
sessuale perché questo comporterebbe il rifiuto e la farebbe cadere
in disgrazia. Non mi riferisco al contatto sessuale con un padre,
ma a un piacevole contatto erotico, che fa parte delle normali mani­
festazioni di affetto. Qui è in gioco l'accettazione da parte del padre
della sessualità della figlia. Sottomettersi alla richiesta di essere una
brava bambina, che naturalmente implica l'accettazione del doppio
criterio della morale sessuale, immobilizza una donna nella sua ri-
167
Bioenergetica
cerca del piacere sessuale, la costringe ad assumere un ruolo pas­
sivo. Possiamo immaginare le illusioni che vengono sviluppate da
una bambina per compensare la perdita di aggressività sessuale.
Sempre la morale sessuale può bloccare la donna in un altro
modo, mettendola su un piedestallo. Ho descritto un caso del ge­
nere ne La depressione e il corpo. La persona che viene elevata su
di un piedestallo si solleva da terra proprio come in qualsiasi altro
tipo di fissazione. Nel caso da me trattato il corpo della paziente
dalla pelvi in giù aveva l'aspetto di un piedestallo. Era rigido e
immobile e pareva servire solo da base per la parte superiore.
Ci sono due altre fissazioni che meritano di essere citate. Una è
associata con la struttura del carattere schizoide e viene chiamata
"il capestro " perché la postura del corpo assomiglia a quella di un
impiccato. Il capo pende leggermente di lato (vedi l'illustrazione che
segue) come se la connessione con il resto del corpo fosse inter-
rotta. Nella struttura schizoide c'è frattura fra le funzioni del capo,
o funzioni dell'io, e le funzioni corporee. L'individuo che è sospeso
per il collo viene sollevato da terra. La personalità schizoide non
è fondata e il contatto dell'individuo con la realtà è tenue. Ma il
fatto più significativo è che in questa struttura l'area chiave delle
tensioni sia alla base del cranio: è questa tensione che spacca in
168
Realtà: un orientamento secondario
due l'unità della personalità. Le tensioni muscolari presenti in que­
sta zona formano un anello al punto di congiunzione del capo e del
collo, che funziona come un cappio. In bioenergetica si lavora mol­
to su queste tensioni per ristabilire l'unità della personalità.
Infine negli schizofrenici borderline è osservabile a volte una
fissazione che io chiamo la croce. Quando si invitano questi sog­
getti a stendere le braccia in fuori, a volte si ha l'impressione net­
tissima che la pastura del corpo assomigli a un'immagine di Cristo
crocefisso o appena tolto dalla croce. Molti schizofrenici hanno una
forte identificazione con Gesù Cristo e alcuni sviluppano addirit­
tura la mania di essere Cristo. È sorprendente vedere questa iden­
tificazione agita a livello corporeo.
Questo non è un elenco completo degli atteggiamenti corporei
che rivelano le fissazioni di un individuo. Ho visto molte persone
che nel corpo e nell'espressione facciale avevano una sorprendente
somiglianza con l'immagine di Mosè che ci è familiare dalle sue rap­
presentazioni. Sono certo che ciò indichi la presenza di una fissazio­
ne nella personalità, ma non ho studiato abbastanza a fondo il pro­
blema per poter fare affermazioni definitive in proposito. È possi­
bile che in futuro vengano scoperte altre fissazioni a livello cor­
poreo.
Sapere, grazie alla lettura del corpo, in quale fissazione è intrap­
polata una persona è di grande aiuto per capirla. Ma se l'osserva­
zione del corpo non ci consente di descrivere le fissazioni del sog­
getto (perché non sempre esse sono evidenti), tuttavia possiamo
sapere con certezza che chiunque non abbia i piedi saldamente pian­
tati a terra, energeticamente parlando, è fissato o " appeso" e ha
problemi emotivi irrisolti. Nella misura in cui non è radicato, non
è pienamente a contatto con la realtà. Questa consapevolezza guida
il mio approccio a qualsiasi paziente, perché comincio con l'aiutarlo
ad essere più saldamente fondato e più a contatto con tutti gli
aspetti della sua realtà. In qualsiasi terapia, prima o poi i conflitti
di fondo vengono a galla e la natura della fissazione di cui soffre
il soggetto, insieme alle illusioni che ne sono la controparte fisica,
diviene evidente ad ambedue.
Il radicamento (grounding)
In bioenergetica il lavoro di grounding consiste nel tirar gm
un individuo sulla terra ferma. Essere radicati (grounded) è il con-
169
Bioenergetica
trario di essere fissati o " appesi" (hung up). Ma, come avviene così
spesso in bioenergetica, l'espressione ha anche un significato let­
terale - precisamente quello di stabilire un contatto adeguato con
il suolo che ci sostiene.
La maggior parte della gente pensa di avere i piedi per terra.
In senso meccanico è vero: possiamo dire che hanno un contatto
meccanico, ma non a livello di sensazioni e di energia. La diffe­
renza, però, non la si conosce finché non la si è provata di persona.
Alcuni anni fa, durante uno dei miei corsi semestrali di bioener­
getica a Esalen, mi si avvicinò una giovane che conduceva dei corsi
di t'ai chi per residenti e ospiti. Mi disse che, pur avendo provato
a fare gli esercizi bioenergetici, non era mai riuscita a sviluppare
le vibrazioni alle gambe. Aveva visto verificarsi il fenomeno in al­
cuni partecipanti al mio gruppo di lavoro e si chiedeva perché a
lei non accadesse. Aggiungo che prima di insegnare il t'ai chi la
donn·a era stata una ballerina. Mi offersi di lavorare con lei e ac­
cettò con entusiasmo. Usai tre esercizi. Il primo era la posizione
dell'arco descritta nel secondo capitolo, che doveva contribuire ad
allineare il corpo e rendere più profonda la respirazione. Alcuni
reagiscono allo sforzo di questo esercizio con una lieve vibrazione,
ma non lei. Aveva le gambe troppo salde e troppo rigide. Aveva
bisogno di uno sforzo più forte che spezzasse la rigidità e consen­
tisse la comparsa dei movimenti vibratori. A questo scopo le feci
fare un altro esercizio: doveva stare su una gamba sola con il gi­
nocchio piegato e tenersi in equilibrio toccando una sedia posta
al suo fianco. Tutto il peso del corpo era sulla gamba flessa. Le
dissi di mantenere questa posizione per tutto il tempo che poteva
e poi., quando il dolore diventava troppo forte, di lasciarsi cadere
su una coperta stesa sul pavimento di fronte a lei. Fece l'esercizio
due volte per gamba, alternandole. Nel terzo esercizio doveva chi­
narsi in avanti con le ginocchia leggermente flesse e toccare il pavi­
mento con la punta delle dita.
Il risultato dei primi due esercizi fu di farla respirare più pie,
namente e più a fondo. Al terzo, in cui lo sforzo si concentra sui
tendini del ginocchio (se sono contratti}, le gambe cominciarono a
vibrare. Rimase in questa posizione per un certo tempo, concen­
trandosi sulle sensazioni che provava. Poi si sollevò e disse: " Sono
stata sulle gambe per tutta la vita. È la prima volta che sono stata
nelle mie gambe " . Sono convinto che questa affermazione valga
per molti.
170
Realtà: un orientamento secondario
Gli individui molto disturbati possono non aver quasi sensa­
zioni nei piedi. Ricordo un'altra giovane donna non molto lontana
da uno stato schizofrenico. Era una giornata piovosa e fredda, ma
lei venne all'appuntamento in scarpe da tennis. Quando tolse le
scarpe vidi che aveva i piedi lividi dal freddo. Tuttavia quando
le chiesi se erano freddi rispose di no. Non li sentiva freddi - anzi,
proprio non li sentiva.
Per dimostrare alcune tecniche bioenergetiche ai professionisti,
dopo aver spiegato il concetto di radicamento faccio loro eseguire
alcuni semplici esercizi per sviluppare le vibrazioni nelle gambe.
Il fenomeno vibratorio aumenta la sensibilità alle gambe e ai piedi.
Molto spesso, quando questo accade, mi dicono: " Sento davvero
i piedi e le gambe. Non li avevo mai sentiti in questo modo prima
d'ora " . Questa esperienza dà una certa idea di cos'è il radicamento,
facendo anche capire che è possibile sentirsi più a contatto con la
propria base.
Tuttavia pochi esercizi non bastano a radicare pienamente una
persona. Bisogna eseguirli con regolarità per raggiungere e mante­
nere la sensazione di sicurezza e il senso di avere delle radici for·
171
Bioenergetica
nito da una posizione ben salda. Nel sogno narrato nel terzo capi­
tolo ho descritto come avessi le caviglie legate da un filo inconsi­
stente che avrei potuto facilmente togliere. Ma cosa significava
questo nella realtà? Recentemente, lavorando sulle mie gambe, mi
sono reso conto di avere le caviglie legate . Non sono certo con­
tratte come moltissime altre, ma nemmeno sciolte come dovrebbero
essere. So anche di avere delle tensioni ai piedi. Ad esempio per
me è molto doloroso stare seduto sui calcagni con i piedi ben stesi.
Mi fanno male le caviglie e si sviluppano degli spasmi alle arcate
dei piedi. Un giorno, durante una lezione di bioenergetica condotta
da mia moglie, cominciarono a tremarmi le gambe con tanta vio­
lenza che temevo non reggessero. Naturalmente ressero, ma per me
fu un'esperienza nuova. Potrei attribuire questi problemi all'età ­
ormai ho più di sessantatré anni - ma preferisco pensare di avere
ancora un potenziale di crescita che potrei realizzare se diventassi
più profondamente radicato e più pienamente saldo. E così con­
tinuo a lavorare su me stesso.
Bioenergeticamente parlando, nel sistema energetico di un or­
ganismo l'essere ben radicali ha la stessa funzione che svolge la
terra in un circuito elettrico ad alta tensione. Fornisce una valvola
di sicurezza per la scarica dell'eccitazione in eccesso. In un sistema
elettrico un accumulo improvviso di carica potrebbe far bruciare
una parte o provocare un incendio. Nella personalità umana l'ac­
cumulo di carica potrebbe essere altrettanto pericoloso se la per­
sona non fosse ben salda. L'individuo potrebbe scindersi, diventare
isterico, provare ansia o cadere in una crisi. Il pericolo è partico­
larmente grande negli individui poco fondati, come ad esempio gli
schizofrenici borderline. Con questi individui io e i miei colleghi
alterniamo gli esercizi che accumulano la carica (respirazione) con
esercizi che fondano la persona. Quando il soggetto lascia la seduta
sentendosi molto su, ci sono buone probabilità che cada a pezzi.
La cosa non è grave se prevede ed è in grado di affrontare la crisi.
Ma quando il paziente se ne va sentendosi bene, solido, ci sono
buone probabilità che mantenga questo stato d'animo.
Allo stato attuale delle conoscenze non siamo in grado di com­
prendere fino in fondo la connessione energetica fra piedi e terreno.
Ma sono certo che questa connessione esiste e so con sicurezza che,
quanto più un individuo sente il contatto con il suolo, tanto più
può mantenere la propria posizione, tollerare un livello maggiore di
carica e affrontare più sensazioni. Per questo il radicamento è un
obiettivo primario del lavoro bioenergetico. Ciò significa che la
172
Realtà: un orientamento secondario
spinta principale del lavoro è verso il basso - è volta dunque a
riportare il soggetto nelle gambe e nei piedi.
Ci si potrebbe chiedere perché sia così difficile. È chiaro che
il movimento verso il basso fa sempre più paura del movimento
verso l'alto. L'atterraggio, ad esempio, spaventa di più del decollo.
La discesa risveglia in molti una paura di cadere che normalmente
è repressa. Nel prossimo capitolo parlerò dell'ansia associata all'idea
di cadere, che ho scoperto essere una delle più profonde ansie pre­
senti nella personalità umana. Qui vorrei descrivere alcuni dei pro­
blemi che si incontrano quando si lascia che l'energia e le emozioni
fluiscano nel corpo verso il basso.
In genere il primo sentimento che si prova quando " ci si la­
scia andar giù" è un sentimento di tristezza. Se l'individuo è in
grado di accettare il sentimento e di abbandonarvisi, comincerà a
piangere. L'espressione inglese è " break down " in to tears [ crol­
lare in lacrime ] . In tutti gli individui fissati o " appesi" (hung up)
c'è una tristezza profonda, e molti preferirebbero rimanere fissati
piuttosto di affrontare la tristezza, che in molti rasenta la dispe­
razione. Si può affrontare la disperazione e attraversare la tristezza
con l'aiuto di un terapista comprensivo, ma mi si lasci dire che
non è un'impresa da poco. La tristezza e il pianto vengono tratte­
nuti nell'addome, che è anche la cavità in cui si accumula la carica
che poi esplode nella scarica e nella soddisfazione sessuale. La via
della gioia passa invariabilmente attraverso la disperazione.'
Per molte persone anche le profonde sensazioni sessuali a li­
vello della pelvi sono terrificanti. Possono tollerare l'eccitazione li­
mitata di una carica genitale, che è superficiale, si scarica facil­
mente e non esige la resa alle convulsioni orgasmiche. Le sensa­
zioni dolci, tenere della sessualità pelvica portano a questa resa
ed evocano la paura di perdere il controllo, che è uno degli aspetti
dell'ansia di cadere. Il problema che incontriamo in terapia non
riguarda la genitalità, ma la sessualità - la paura di sciogliersi o
di lasciarsi cadere nel fuoco della passione che brucia nell'addome
e nella pelvi.
C'è infine l'ansia di stare in piedi da sé, cioè da soli. Da adulti
siamo tutti soli; è la realtà dell'esistenza. Però ho scoperto che
molti sono riluttanti ad accettare questa realtà, perché per loro
stare in piedi da soli significa essere soli. Dietro una facciata di
indipendenza, si aggrappano ai rapporti e sviluppano delle fissa9
LowEN, Pleasure, cit.
173
Bioenergetica
zioni. Aggrappandosi a un rapporto ne distruggono il valore, ep­
pure hanno paura di !asciarlo e di stare in piedi da soli. Quando
lo fanno scoprono con sorpresa di non essere soli, perché il rap­
porto migliora, diventando fonte di piacere per ambedue i partner.
È la transizione che è difficile, perché nell'intervallo fra il momento
in cui ci si lascia andare e quello in cui ci si sente con i piedi
saldamente piantati per terra si prova la sensazione di cadere, con
l'ansia ad essa associata.
174
Capitolo settimo
Ansia di cadere
La paura dell'altezza
L'ansia di cadere viene comunemente associata con la paura
dell'altezza; molti la provano quando si trovano sull'orlo di uno
strapiombo. Non importa se poggiano i piedi sul terreno solido
e se non c'è nessun reale pericolo di cadere. Provano le vertigini,
hanno la sensazione di perdere l'equilibrio. L'ansia di cadere deve
essere un'esperienza esclusivamente umana, perché in una situazione
analoga i quadrupedi si sentono al sicuro. In alcuni quest'ansia è
talmente grave che l'attraversamento di un ponte in macchina basta
a scatenare la reazione; è chiaro che in questi casi si tratta di un
fenomeno patologico.
Altri invece paiono singolarmente immuni da questa forma di
ansia. Mi è capitato di osservare con ammirazione e sgomento degli
operai che si muovevano perfettamente a loro agio sulle strette
impalcature tese altissime sopra il caos della città. Non riuscivo a
immaginarmi lassù; avrei provato un'ansia troppo grande, io che
ho avuto a lungo paura dell'altezza. Ricordo che quando avevo otto
anni mio padre mi aveva sollevato sulle spalle per farmi vedere una
parata: ero terrorizzato. Sempre a quell'epoca provavo una paura
enorme quando mio padre mi portava sulle montagne russe. In
seguito superai questa paura andandoci una volta al giorno nel pe­
riodo in cui lavoravo in un luna-park. Col passare degli anni la mia
paura dell'altezza è molto diminuita, cosa che attribuisco al lavoro
svolto sulle gambe per diventare radicato e saldo. Adesso posso
lavorare su un'alta scala a pioli o guardar giù da un punto elevato
senza provare troppa ansia.
L'apparente sicurezza delle persone che non mostrano nessuna
ansia di cadere ha due ragioni. Alcuni, come ad esempio gli indiani
175
Bioenergetica
americani, hanno il piede decisamente fermo. Furono fra i primi a
essere impiegati in edilizia per lavori a notevole altezza. Altri in­
vece hanno negato inconsciamente questa paura. In The Betrayal
of the Body ho riportato il caso di un giovane schizoide che aveva
le gambe estremamente rigide, contratte, pochissimo sensibili. Sof­
friva di una grave forma di depressione associata con la sensazione
che " non gli succedeva niente " , niente che fosse rilevante a livello
emotivo. Ma non conosceva l'ansia di cadere.
Bill era uno scalatore, uno dei migliori, diceva . Aveva fatto molte ascen­
sioni difficili senza provare paura e senza alcuna esitazione. Non aveva pau­
ra dell'altezza e nemmeno di cadere. Non aveva paura perché in una parte
della sua personalità non gli importava di cadere. Mi riferì un incidente:
una volta, mentre scalava da solo, i piedi avevano perso l'appoggio sulla roc­
cia. Per qualche attimo era rimasto appeso, aggrappato con le mani a una
piccola sporgenza. Mentre brancolava coi piedi in cerca di un appoggio, la
sua mente era distaccata. Si chiedeva : " Che cosa proverei se cadessi? " Non
provava panico.1
Bill non provava paura perché aveva escluso ogni sentimento
e questo era anche il motivo per cui, a livello emotivo, nella sua
vita non succedeva niente. Ma al tempo stesso cercava disperata­
mente qualcosa che abbattesse o aprisse una breccia nella volontà
gelida e impersonale che lo avvolgeva come una crisalide. Deside­
rava che qualcosa raggiungesse il suo cuore, ma prima bisognava
infrangere la crisalide. Era tentato di farlo; a volte aveva l'impulso
di toccare i fili della corrente ad alta tensione o di buttarsi sotto
una macchina. Disse che gli sarebbe piaciuto saltar giù da una roc­
cia se avesse potuto farlo senza correre rischi. Voleva cadere per
fare in modo che il guscio si rompesse, ma aveva paura che ciò
significasse la fine.
Bill era come appeso a un dirupo, con tutte le implicazioni che
comporta questa posizione. Pareva avesse due sole scelte - stare
appeso o lasciarsi andare. Lasciarsi andare significava cadere e mo­
rire, e questo Bill non era disposto a farlo; ma finché stava appeso
non succedeva niente.
Recentemente una giovane paziente mi ha raccontato che, men­
tre quando era bambina l'ansia di cadere era del tutto assente,
in seguito era comparsa diventando un vero e proprio terrore. Ave­
va delle fantasie ossessive di cadere. Questo sviluppo aveva coinciso
con un cambiamento avvenuto nella sua vita. Aveva sciolto un
1
176
LowEN, The Betrayal o/ the Body, cit., p. 107.
Ansia di cadere
matrimonio non riuscito e stava lavorando sodo per tornare coi
piedi per terra, sia nella vita che nella terapia. Non capiva perché
le fosse venuta quest'ansia di cadere e mi chiese delucidazioni. Le
spiegai che aveva cominciato · a " mollare " , che non stava più ag­
grappata a niente e di conseguenza la paura repressa di cadere era
affiorata in superficie in maniera drammatica .
La paura di cadere è una fase di transizione fra l'impasse di
essere sospesi a mezz'aria e la nuova condizione di avere i piedi
saldamente piantati per terra. In quest'ultima situazione la paura
di cadere non esiste, mentre nel primo caso viene negata mediante
un'illusione. Se si accetta quest'analisi è chiaro che quando comin­
cia ad abbandonare le illusioni e cerca di scendere a terra il pa­
ziente deve provare inevitabilmente una certa ansia di cadere. Lo
stesso vale per l'ansia di soffocare, che insorge solo quando si sof­
foca o si frena un impulso di protendersi verso l'esterno. Finché
si permette a questo impulso di esprimersi solo entro i limiti im­
posti dalla struttura del carattere non si prova ansia. La trasgres­
sione di questi limiti dà origine all'ansia.
Nella discussione generale sull'ansia svolta nel capitolo quarto
ho osservato che il grado complessivo di ansia in una persona è
equivalente al grado di ansia di soffocare. Ciò significa che una
persona che soffre di ansia di soffocare avrà un'uguale proporzione
di ansia di cadere, e viceversa. Ciò è dovuto al fatto che il flusso
di eccitazione diretto a tutti i punti od organi periferici del corpo
è all'incirca uguale.
Nel nostro studio delle diverse strutture caratteriali abbiamo
visto che ogni tipo di carattere è legato a un certo tipo di ansia
di cadere, anche se non era questo il termine usato in quella sede . .
La struttura del carattere schizoide rappresentava un tenersi insie­
me per paura che l'abbandonarsi significasse cadere a pezzi. Presa
·alla lettera, l'espressione " cadere a pezzi" implica che per il carat­
tere schizoide la caduta lo porterebbe a frantumarsi. Perciò in que­
sto carattere ci aspetteremo di trovare un'intensa ansia di cadere.
Infatti a volte l'ansia affiora, ad esempio nei sogni.
Un paziente schizoide mi disse: " Sognavo sempre di cadere c'era un sogno particolarmente brutto. Sognavo che, dovunque mi
trovassi, il pavimento cedeva . Cambiavo posto, e cominciava a ce­
dere. Salivo le scale, ma anche le scale crollavano . Decidevo allora
di andare da mio padre per farmi prendere in braccio, perché sa­
pevo che lui non poteva cadere . Ma era una posizione incerta. Era
177
Bioenergetica
meglio che essere solo, ma non ero del tutto al sicuro. Era ter­
rificante " .
Non è difficile capire perché questo sogno fosse terrificante.
E lo stesso terrore che si prova durante un terremoto, quando il
terreno diventa instabile. La sensazione che manchi una base so­
lida è disorientante. L'essere umano in quanto tale si sente " spiaz­
zato" , ed è un'esperienza terrificante se non si ha alle spalle un
allenamento rigoroso. I sensi vacillano e l'integrità più profonda
della personalità è temporaneamente minacciata.
Anche negli altri tipi di carattere la paura di cadere è legata
alla struttura specific a. Per il carattere orale la paura di cadere
porta con sé l'ansia di essere solo; trovandosi solo cadrebbe al­
l'indietro. Se la gambe si lasciano andare sarà come un bambino pic­
colo che, quando le gambe non lo sostengono più, si lascia cadere
di colpo per terra e scopre che i genitori sono andati avanti e che
non c'è nessuno a sorreggerlo.
.
Nel carattere psicopatico la paura di cadere è paura di fallire.
Finché sta su è su anche nel mondo. Cadere significa essere scon­
fitto e quindi poter essere usato.
Per il carattere masochistico cadere significa che il sedere sta
sfuggendo al controllo (falling out). Questo potrebbe significare la
fine del suo mondo o del rapporto. In questo atteggiamento c'è an­
che un elemento anale. Se permette che il sedere si lasci andare
(defecazione) lui stesso andrebbe a monte, il che significherebbe la
fine del suo ruolo di bravo bambino.
Per il carattere rigido la caduta è perdita dell'orgoglio. Cadreb­
be in avanti sbattendo la faccia e il suo io potrebbe frantumarsi,
e non è cosa da poco per una personalità fortemente legata a senti­
menti di indipendenza e di libertà.
Per ogni paziente, dunque, la caduta rappresenta la resa o la
rinuncia ai propri schemi di controllo - cioè alla posizione ,difen­
siva. Ma siccome questa posizione è stata sviluppata come mecca­
nismo di difesa e al fine di assicurare un certo contatto, un certo
grado di indipendenza e di libertà, abbandonandola si evoca tutta
l'ansia che in origine ne aveva imposto lo sviluppo. Si può chie­
dere a un paziente di correre questo rischio perché la sua situazione
di adulto è diversa da quella dell'infanzia. Guardando le cose in
modo realistico è evidente che Io schizoide non andrà in pezzi se si
lascerà andare, e nemmeno verrà annientato se affermerà se stesso.
Se, nella nostra funzione di terapisti, riusciamo ad aiutarlo a supe­
rare l'ansia dello stadio di transizione, scoprirà che il terreno sotto
178
Ansia di cadere
i suoi piedi è solido e che è in grado di reggersi da solo. Uno dei
procedimenti che uso per raggiungere questo scopo è l'esercizio del­
la caduta.
L'esercitazione a cadere
Prima di tutto vorrei dire che questo esercizio, che trovo molto
efficace, è solo uno dei molti procedimenti di mobilitazione del
corpo impiegati in bioenergetica.
Si stende sul pavimento, davanti al paziente, .una pesante co­
perta ripiegata o un materasso in modo che, se il paziente cade,
atterrerà sulla coperta. È impossibile farsi male eseguendo questo
esercizio e infatti non è mai successo. Quando ho di fronte il sog­
getto cerco di farmi un'idea del suo atteggiamento, del modo in cui
si tiene e del modo in cui sta nel mondo. Per fare questa valuta­
zione occorre una certa capacità di leggere il linguaggio del corpo,
una certa esperienza acquisita con molte persone diverse e una buo­
na dose di immaginazione. A questo punto in genere possiedo già
una certa conoscenza della persona - dei suoi problemi e della sua
storia. Ma se non riesco a farmi un'idea chiara del suo atteggia­
mento conto sul fatto che l'esercizio mi riveli l'impasse in cui è
impigliato.
Gli chiedo di spostare tutto il peso su una gamba e di flettere
completamente il ginocchio caricato. L'altro piede tocca legger­
mente il suolo e serve solo per l'equilibrio. Le istruzioni sono molto
semplici. Il soggetto deve stare in questa posizione finché cade, ma
non deve lasciarsi cadere. Lasciarsi andare coscientemente non equi­
vale a cadere, perché l'individuo controlla la discesa. Per essere ef­
ficace la caduta deve avere una qualità involontaria. Se la mente è
attenta a mantenere la posizione, allora la caduta rappresenterà la
liberazione del corpo dal controllo cosciente : ma la maggior parte
delle persone hanno paura di perdere il controllo del proprio corpo,
dunque questo fatto è già di per sé tale da provocare ansia.
Da un certo punto di vista questo esercizio assomiglia a un koan
Zen: anche qui c'è una sfida all'io o alla volontà, che tuttavia ven­
gono privati del loro potere. Non si può stare indefinitamente in
questa posizione, però si è obbligati a usare la propria volontà per
non lasciarsi cadere. Alla fine la volontà deve cedere, non per un
atto volontario ma per la forza superiore della natura, in questo
caso la forza di gravità. Si impara che l'atto di cedere alle forze
179
Bioenergetica
superiori della natura non ha un effetto distruttivo e che non è ne­
cessario usare costantemente la volontà per combattere queste for­
ze. Qualunque ne sia l'origine, ogni modello di controllo rappre­
senta nel presente l'uso inconscio della volontà contro le forze na­
turali della vita .
Scopo d i questo esercizio è di mettere a nudo le fissazioni che
tengono sospesa una persona e creano l'ansia di cadere. È un eser­
cizio che saggia il contatto dell'individuo con la realtà. Una volta,
per esempio, stando davanti alla coperta e guardandola, una gio­
vane donna mi disse che si sentiva sospesa in aria a un chilometro
da terra e le pareva di vedere, in basso, una pianura. Cadere da
una simile altezza sarebbe stata un'esperienza spaventosa: aveva
paura. Quando finalmente, lanciando un grido, cadde e si trovò
sdraiata sulla coperta, provò un grande senso di sollievo. Il suolo
era molto più vicino. Le feci ripetere l'esercizio con l'altra gamba:
questa volta non si sentiva così lontana da terra.
Guardando la coperta i pazienti hanno diverse visioni. Alcuni
vedono un terreno roccioso contro cui cadendo si schianteranno.
Altri vedono una massa d'acqua in cui si immergeranno. La caduta
e l'acqua sono simboli sessuali di cui esaminerò più avanti il si­
gnificato. Altri ancora vedono delle facce, quella del padre o quella
della madre. Per questi individui cadere equivale ad arrendersi o
cedere ai genitori.
L'esercizio è più efficace se il soggetto si appoggia su una gamba
sola. Viene invitato a rilasciare il petto e a respirare con facilità
in modo da permettere che si sviluppino le sensazioni. Gli chiedo
anche di continuare a dire: " Sto per cadere " , perché è proprio
questo che sta per succedere. All'inizio, dicendo queste parole la
voce è priva di emozione. Ma, via via che il dolore aumenta e la
prospettiva di cadere si avvicina, la voce può salire di tono e assu­
mere una nota di paura.
Non è infrequente che il soggetto esclami spontaneamente: .
"N on sto per cadere , . La frase viene pronunciata con determina­
zione, a volte a pugni chiusi. Adesso la battaglia è cominciata dav­
vero. Allora chiedo: " Che cosa significa per lei cadere? " Spesso
la risposta è : " Fallire " . E "Non sto per fallire " . Per una giovane
paziente, che ripeté l'esercizio quattro volte, due per gamba, la lotta
fu drammatica. Ecco le sue parole :
Prima volta: " Non sto per cadere " .
" Non sto per fallire. "
180
Ansia di cadere
"Ho sempre fallito " e su questa frase cadde e si mise a piangere a dirotto.
Seconda volta: "Non sto per cadere " .
"Non sto per fallire. "
" Fallisco sempre. Fallirò sempre. " Di nuovo cade e piange.
Terza volta: "Ma noh voglio fallire. Non dovevo cadere. Avrei
potuto star su per sempre " .
"Non sto per cadere. " Ma, man mano che il dolore aumentava,
aumentava la consapevolezza che sarebbe caduta.
" Non posso stare su per sempre·. Non posso. " Con questa osservazione cadde e si mise a piangere .
Quarta volta: " Non sto per cadere " .
" Tutte le volte che provo fallisco. "
"Non voglio provare. "
"Ma devo provare. " Poi la caduta e la presa di coscrenza che
deve finire col fallimento .
Perché deve finire col fallimento? Le chiesi che cosa stesse cer­
cando di realizzare. " Essere quello che gli altri si aspettano che ,
io sia . " Ma questo è un compito impossibile, come quello di stare
su per sempre. Se ci si pone un obiettivo del genere si è destinati
a fallire, perché nessuno può essere diverso da quello che è. Nes­
sun corpo (no body) continuerebbe in un simile sforzo insensato ­
che consuma tanta energia vitale - a meno che l'io (in termini
freudiani il superio) non ce lo costringa. Per scrollarsi di dosso
questa tirannia, per liberarsi dall'irrealtà dello scopo e dall'illusione
che possa esser realizzato, bisogna prendere dolorosamente coscien­
za della sua impossibilità. Questo è ciò che l'esercizio si propone
di raggiungere e che in questo caso poi accadde.
Ogni paziente è impegnato in una battaglia nevrotica per es­
sere diverso da quello che è, perché quello che è si è rivelato inac­
cettabile per i genitori. Quando una persona inizia la terapia la
sua speranza è che il terapista la aiuti a realizzare questo obiettivo .
È vero che ha bisogno d i operare qualche cambiamento nella sua
personalità, ma il cambiamento va nella direzione della presa di
coscienza e dell'accettazione di se stesso, non verso la realizzazione
di un'immagine. È una strada che va verso il basso, verso il suolo
e la realtà. Ma finché il soggetto è impegnato in questo sforzo
nevrotico di soddisfare le richieste degli altri, rimane sospeso ai
conflitti dell'infanzia. Questa lotta non ha via d'uscita che non sia
quella della resa.
Il caso che segue illustra in modo chiarissimo questo problema
181
Bioenergetica
della lotta nevrotica. Durante una seduta Jim mi raccontò il sogno
seguente: "La scorsa notte ho sognato che cercavo di trascinarmi
per terra e avevo le gambe avvizzite, morte. Per muovermi dovevo
usare la parte superiore del corpo " . Poi aggiunse: " In passato a
volte ho sognato di fluttuare " . La parte inferiore del corpo di Jim
era molto rigida e contratta. Aveva subìto un delicato intervento
chirurgico alla colonna vertebrale. Il sogno ritraeva puntualmente
la sua condizione energetica.
Subito dopo aver narrato il sogno Jim osservò: " Questa mat­
tina ho avuto una fantasia su mia madre: mi appariva come un
serpente. Vedevo la sua faccia come quella di un serpente . Era un
boa constrictor, mi si avvolgeva intorno alla vita e mi stringeva.
Aveva la testa sul mio pene e me lo succhiava. Mia madre mi ha
detto che quando ero piccolo ero talmente grazioso che mi baciava
dappertutto, anche sul pene. A dirle questo mi sento confuso, diso­
rientato e comincio a sudare " .
Poi passò all'esercizio della caduta, che rivelò l'intensità del
suo conflitto. " Ho la sensazione di cedere, ma non cado. Resisterò
per sempre . Non cadrà."
Poi diceva a se stesso: "Jim, resisterai per sempre " .
E, rivolto a me: " Se cado precipiterò in un buco senza fondo.
Sa, la sensazione di cadere, quando lo stomaco si stringe e non
riesci a respirare. Da bambino avevo fantasie di volare. Ci provai
anche, ma caddi. Arrivarono i miei genitori e mi diedero uno
schiaffo perché li avevo spaventati.
" Dovrei riuscire a resistere. Ho quest'idea molto forte. Mi ar­
rabbio con me stesso quando mi lascio andare. Rinuncio troppo
presto. Sono un vigliacco, un tagliato fuori, un frignone. Mia ma­
dre mi faceva sentire un fallito se non riuscivo a reggere e a sop­
portare. Il suo motto era: 'Le cose difficili le facciamo subito;
per l'impossibile ci vuole un po' più di tempo."'
A quell'epoca Jim non era pronto ad abbandonare la lotta. La
sua paura di cadere em troppo grande. Dovemmo entrambi accet­
tare la situazione e continuare a lavorare sul problema. Gli diedi
una salvietta di spugna, che cominciò a torcere con le mani. Intanto
diceva: "È un serpente. Devo resistergli oppure " - e sapeva di
riferirsi a sua madre - "mi avrà
Jim era egli stesso uno psicoterapista, dunque non occorreva
che gli proponessi delle interpretazioni delle sue fantasie. Sapeva
che sua madre era seduttiva e che cedere significava abbandonarsi
ai suoi sentimenti sessuali per lei. Se l'avesse fatto quando era pie11•
182
Ansia di cadere
colo lei lo avrebbe inghiottito, non letteralmente, ma nel senso che
la sua passione per lei l'avrebbe consumato e avrebbe perso ogni
senso di indipendenza. La difesa che aveva adottato era quella di
stringersi la cintola ed eliminare i sentimenti sessuali. E una difesa
psicopatica, ma Jim non aveva alternative. Anche adesso non poteva
arrischiarsi ad abbandonare la sua posizione. Quando si elaborano
questi conflitti profondissimamente strutturati bisogna resistere in­
sieme al paziente.
In una delle sedute successive Jim ritornò sulla paura di cadere.
Entrando mi disse: " Guidando la macchina mi sono trovato a pic­
chiare le mani sul volante. Ho espresso l'azione in parole ed è ve­
nuto fuori: 'Ti ucciderò' " .
Ricominciammo con l'esercizio della caduta e Jim disse: " Quan­
do lei mi invitò a dire: 'Sto per cadere', la sensazione che avevo
era che stavo per morire. Mi sembrava una lotta per la vita o per
la morte. Se mi lascio andare verrò ucciso. Se li uccido, poi verrò
ucciso anch'io.
" Il mio modo di procedere è molto scaltro. Non riesco a resi­
stere molto a lungo in una situazione intensa, ma posso indugiarci
dentro all'infinito. Quando tutti gli altri hanno abbandonato io
continuo ad aspettare finché vinco o porto a termine l'impresa."
Dicendo questo serrò i pugni. "E un lungo viaggio e io mi limito
a mettere un piede davanti all'altro e avanzo arrancando.
" Mia madre mi punzecchiava, era una specie di lavoro da certo­
sino contro di me. Io faccio lo stesso con me e con altri. Spingo,
spingo e lotto. Eppure sono convinto di essere un rinunciatario.
Dico a me stesso: Jim, se tu non fossi uno che si arrende facil­
mente lavoreresti più sodo. "
Ora questa lotta viene trasferita sull'esercizio della caduta che
Jim sta eseguendo. Dice: " Cadrò, fallirò. Ma devo vincere, devo
riuscire " . Poi la realtà si afferma. Allora osserva: " Certo, ho già
fallito " .
Ma Jim non può ancora accettare questa realtà. Si batte i pugni
sulle cosce e dice: "Mi ucciderò se non resisto. Ma se resisto mo­
rirò. Ho paura che mi venga il cancro ai polmoni. Cerco di non
fumare, ma più ci provo più fumo" .
Nel corso di questo monologo Jim cadde e scoppiò a piangere.
Fu una scarica di lieve entità. Poi ripeté l'esercizio sull'altra gamba
continuando a esprimere le sue paure. Questo sistema di dar sfogo
all'ansia caricando l'esercizio di una forte emotività è terapeutica-
183
·
Bioenergetica
mente molto utile. Finito l'esercizio della caduta Jim ricordò un
episodio significativo della sua infanzia.
"Ho paura che appena tutto va bene morirò. Sopravvivo solo
lottando. Se smetto di lottare morirò. Da bambino ebbi la setti­
cernia con febbre molto alta; per un anno continuai a entrare e
uscire dall'ospedale. A volte entravo in coma. Dovevano farmi il
drenaggio e delle trasfusioni. Fui lì lì per morire. Ma riuscii a re­
sistere usando tutta la mia forza di volontà per vivere. So come
esistere quando è dura. Non so come fare a esistere quando le cose
vanno bene. "
Considerando questa esperienza non è difficile capire perché
Jim associasse la caduta con la morte. Gli pareva che entrambe
implicassero una resa della volontà. Ma sarebbe stato assurdo pen­
sare che Jim potesse scegliere coscientemente di arrendersi e di
fidarsi del proprio corpo. Fare una simile scelta significa usare la
volontà per negare una volontà fine a se stessa. Jim deve vivere
ed analizzare fino in fondo la sua paura della morte, la morte dello
spirito se cede alla madre e la morte del corpo se smette di spro­
narlo. Allo stesso tempo deve imparare a fidarsi del proprio corpo
e dei propri sentimenti sessuali. A livello cosciente Jim è disposto
ad accettare la realtà del suo corpo e i suoi sentimenti sessuali,
ma la conquista della fiducia in essi dipenderà da tutta una serie
di esperienze corporee che dovrebbero essergli fornite dalla terapia.
Questo esercizio specifico aiuta anche a fornire queste espe­
rienze. Stando in piedi con tutto il peso su una gamba sola si eser­
cita sui muscoli una pressione che è sufficiente a stancarli. Quando
sono esausti non possono più rimaner tesi o contratti: devono rilas­
sarsi. Allora, gradualmente, inizia una forte vibrazione che fa au­
mentare la sensibilità nelle gambe: non paiono più " raggrinzite,
morte " . Nel contempo la respirazione diventa più profonda. Il cor­
po può essere percorso da tremiti ma il soggetto non cade e si ac­
corge con stupore che la gamba continua a reggerlo anche se ha
allentato il controllo cosciente sul corpo. Poi, quando finalmente
la gamba cede e avviene la caduta, è un grande sollievo scoprire
di non esser fatti di acciaio, scoprire che quando non è più in grado
di reggersi in piedi il corpo cade. Infine si prende coscienza che la
caduta non è la fine - non si viene distrutti, il corpo può rialzarsi.
Merita dire qualche parola sul simbolismo che sta dietro al­
l'esercizio della caduta. La terra è simbolo della madre, che a sua
volta rappresenta la terra. Madre e madre terra sono la fonte della
nostra forza. In una delle sue battaglie Ercole lottò contro Anteo.
184
Ansia di cadere
Nel corso del combattimento lo abbatté più volte; ma, invece di
vincere la battaglia, stava per perderla. Cominciava a essere stanco,
mentre Anteo si rialzava più forte di prima da ogni nuovo contatto
con la terra. Poi Ercole capl che Anteo era figlio della madre terra
e che ogni volta che ritornava alla terra ne riceveva nuovo vigore .
Allora sollevò Anteo e Io tenne sollevato finché morì.
Siamo tutti figli della madre terra e di madri che dovrebbero
essere per noi fonte di forza. Purtroppo, come nel caso di Jim,
una madre può invece essere una minaccia per il bambino, a cui
egli deve resistere piuttosto che cedere. Allora non si può lasciarsi
andare (/et down) senza provare una forte ansia. A causa dei pro­
cessi energetici del corpo, il rimanere sospesi a mezz'aria costituisce
una vera e propria minaccia all'esistenza dell'individuo mentre la
caduta, se anche può evocare la paura di morire, non presenta nes­
sun pericolo reale. L'esecuzione dell'esercizio della caduta fa rie­
mergere il conflitto con la madre, che può dunque essere analizzato
ed elaborato consentendo al soggetto di lasciarsi andare, o di cadere
con un senso di sicurezza. Perché la terra è Il per noi.
Di recente ho ricevuto una lettera da un uomo che avevo rac­
comandato a un collega, il dott. Fred Sypher di Toronto, per il
trattamento di un forte dolore alla schiena che si irradiava alla
gamba destra. " Uno degli aspetti interessantissimi del trattamento
con il dott. Sypher " , scriveva, " è il contatto con il pavimento. Il
pavimento diventa un amico, un solido conforto che è sempre Il,
che ti può impedire di ferirti anche se sei già tutto pesto. Non
puoi cadere se sei già n e quando sei lì puoi maneggiare un sacco
di cose che forse sarebbe difficile maneggiare se avessi la sensa­
zione di poter cadere. Questo mi ha consentito di scaricare gran
parte del terrore che c'era in me."
In molti casi dopo l'esercizio di cadere si fa eseguire anche
quello di alzarsi. Ho sentito molti pazienti esprimere il timore di
non riuscire a rialzarsi se fossero caduti. Naturalmente sanno che
con uno sforzo di volontà possono tirarsi su. Ciò di cui non sono
sicuri è di potersi alzare.
Alzarsi è come crescere. Una pianta, per esempio, si alza da
terra, non si tira su. Quando ci si alza, la forza viene dal basso;
quando si viene tirati su la forza viene dall'alto. L'esempio classico
è quello del missile che si alza in proporzione alla quantità di ener­
gia che scarica in basso. Il normale camminare appartiene a questa
categoria di movimento, perché ad ogni passo avanti che facciamo
185
Bioenergetica
premiamo sul suolo che di rimando ci spinge in avanti. Il principio
fisico operante è quello di azione e reazione.
Nell'esercizio di alzarsi il soggetto sta in ginocchio su una co­
perta ripiegata stesa sul pavimento. I piedi sono tesi all'indietro.
Poi il soggetto avanza un piede e si piega in avanti in modo da
spostare parte del peso sul piede avanzato. Lo invito ad ascoltarsi
il piede sul pavimento e ad oscillare avanti e indietro per rendere
più intensa la sensazione. Poi si solleva leggermente e mette tutto
il peso sulla gamba avanzata. Adesso se preme verso il basso con
sufficiente forza si troverà ad alzarsi. Se l'esercizio viene eseguito
correttamente si sente proprio una forza che dal pavimento sale
attraverso il corpo, raddrizzandolo dal basso. Non è tuttavia un
esercizio facile da eseguire e molti si devono sollevare un po' per
aiutare il processo. Con la pratica diventa più facile e si impara
a dirigere l'energia verso il basso, nella gamba, per alzarsi. In ge­
nere l'esercizio viene eseguito due volte per gamba in modo da svi­
luppare la sensazione della pressione sul suolo e del corpo che si
solleva.
Gli individui grassi, pesanti, hanno particolare difficoltà ad ese­
guire questo esercizio. Li ho visti alzarsi ma poi ricadere come dei
bambini. E come se avessero perso la capacità di alzarsi e perciò
si fossero rassegnati psicologicamente a un livello infantile in cui
il cibo, e non le corse e il gioco, era l'interesse e la soddisfazione
principale della vita. Ritengo che queste persone funzionino simul­
taneamente a due livelli : un livello adulto in cui la volontà è la
forza che permette loro di tirarsi su e di muoversi, e un livello in­
fantile in cui gli aspetti caratteristici sono quelli di cadere e sentirsi
impotenti (specialmente rispetto al mangiare) .
Alzarsi e cadere costituiscono una coppia di funzioni antitetiche,
ciascuna delle quali non può esistere senza l'altra. Se uno non può
cadere non può nemmeno alzarsi. Questo fatto è chiaro nel feno­
meno del sonno, in cui parliamo di cadere nel sonno e di alzarsi
al mattino. Al posto delle funzioni naturali di cadere e alzarsi, chi
usa la volontà si mette giù e si tira su o si sdraia e si risolleva.
Se la volontà non è mobilitata - e al mattino appena svegli non
lo è - questi individui avranno grandi difficoltà a tirarsi su dal
letto. Sotto a questo problema c'è l'ansia di cadere, l'incapacità di
andare a letto presto e di lasciarsi cadere facilmente nel sonno. Il
risultato è che queste persone al mattino sono stanche e mancano
dell'energia necessaria per alzarsi con facilità.
Dopo l'esecuzione dell'esercizio di cadere il corpo del paziente
186
Ansia di cadere
è molto più sciolto. In genere a questo punto lo faccio lavorare
sulla respirazione adoperando lo sgabello apposito. Spesso dopo
questi esercizi la respirazione assume un carattere più involontario,
con la produzione di tremiti corporei che possono sfociare in sin­
ghiozzi e pianto. Il soggetto viene sempre incoraggiato a seguire
questi movimenti corporei perché rappresentano uno sforzo spon­
taneo fatto dal corpo per liberarsi della tensione.
Prima di passare alla questione di come sorga l'ansia di cadere
vorrei presentare un altro caso: Mark era un omosessuale che ave­
va passato la quarantina, il cui problema essenziale era quello di
sentirsi isolato e solo perché era incapace di esprimere apertamente
i propri sentimenti. Il suo corpo aveva un aspetto legnoso, pe­
sante: dentro ci si poteva sentire il bambino spaventato incapace
di venir fuori. In una seduta Mark mi raccontò questo sogno: " La
notte scorsa ho sognato di aver gente a cena. Gli ospiti erano il
signor Testa e il signor Corpo. Probabilmente era in previsione
della mia venuta qui oggi. Erano tutti e due piccoli, avevano i mu­
scoli rigidi, il cuore duro, il torace ben sviluppato ed erano, fiera­
mente indipendenti. Pareva che non potessero fondersi (fluire in­
sieme). La cena era troppo importante. Volevo trovare un punto
d'incontro, ma per tutta la serata non andarono d'accordo. La cena
era stata un fallimento " .
Poi Mark si mise in posizione per l'esercizio di cadere. Quando
fu in piedi davanti alla coperta disse: "Vedo un buco. Mi sembra
di essere trascinato dentro a quel buco. È profondissimo, come un
pozzo. Una delle mie fantasie si affanna senza fine per uscirne. Mi
sembra di riuscire a vedere l'uscita, ma la volta dopo mi ritrovo a
cercare di uscire.
"Ho avuto per tutta la vita dei sogni in cui cadevo. Sognavo
di cadere giù da rampe e rampe di scale. Adesso nei sogni cado da
molto più in alto. In Europa quest'estate ero in una stanza d'al­
bergo a un piano alto: perfettamente sveglio, fantasticavo che mi
avrebbero tirato giù dal letto, mi avrebbero portato sul balcone e
gettato nello spazio.
" Da bambino riuscivo a salire sugli alberi fin dove ci fosse un
ramo da afferrare. Pareva che non avessi paura dell'altezza, se avevo
qualcosa a cui aggrapparmi. A otto anni qualcuno mi sfidò a cam­
minare lungo una passerella in cima a una torre alta trenta metri.
Era lunga circa sessanta metri. Lo feci. Ma poi quando ero in col­
legio non osavo nemmeno avvicinarmi alla torre.
" Sempre intorno all'età di sei, sette od otto anni sognavo di
187
Bioenergetica
poter volare. Sembrava talmente reale che ero convinto che potesse
succedere davvero. Ci provai anche, con della gente che guardava.
Provavo a decollare e atterravo sulla faccia. "
Dopo essere caduto, sdraiato sulla coperta mi disse: " Provo
un senso di sollievo a cadere. Mi sembra di essere costruito con dei
mattoni molto instabili . Mi sento in cima a qualcosa di mobilis­
simo, sto meglio (sdraiato) per terra " .
Le cause dell'ansia di cadere
In precedenza ho ipotizzato che gli esseri umani siano gli unici
animali che provano l'ansia di cadere. Naturalmente tutti gli ani­
mali provano ansia quando cadono. Ho visto il mio pappagallo di­
ventare ansioso quando, nel sonno, perse l'equilibrio e rischiò di
cadere dal trampolo. Si svegliò di soprassalto, per un attimo fu
tutto agitato, poi ritrovò la presa. Ma gli esseri umani vengono
presi dall'ansia di cadere anche quando stanno su una base solida.
Probabilmente ciò può essere fatto risalire a un periodo della storia
evolutiva in cui i nostri antenati vivevano sugli alberi come alcune
scimmie.
Pare un'acquisizione antropologica ben certa che gli avi del­
l'uomo, prima di avventurarsi nelle pianure in cerca di cibo, abitas­
sero le foreste. In The Emergence of Man John E. Pfeiffer descrive
cosa significava vivere sugli alberi : " Fatto ancora più significativo,
la vita sugli alberi introdusse un tratto unico, un'insicurezza o in­
certezza psicologica nuova e cronica" .2 L'insicurezza era legata al
pericolo di cadere. E le cadute erano frequenti. Pfeiffer fa notare
che esaminando il gibbone, un primate che abitava sugli alberi, si
scopre che circa un adulto su quattro si era spezzato almeno una
volta un osso. Ma la vita sugli alberi presentava dei vantaggi. C'era
abbondanza di cibo, si era relativamente al sicuro dai predatori ed
era stimolato lo sviluppo della mano per tenere e maneggiare.
Il pericolo di cadere è notevolmente diminuito dalla capacità di
tenersi a una sporgenza o al ramo di un albero. I piccoli delle
scimmie si avvolgono intorno al corpo della madre con gambe e
braccia e stanno aggrappati a lei quando si muove sugli alberi. Se
lo ha libero, la madre li sostiene anche con un braccio. Dunque per
il piccolo della scimmia la perdita di contatto con il corpo della
2
188
]OHN E. PFEIFFER, The Emergence o/ Man, Harper & Son, New York, 1969, p. 2 1 .
Ansia di cadere
madre suscita la prospettiva immediata di cadere e di farsi male o
di morire. I roditori, ad esempio gli scoiattoli, anch'essi abitanti
degli alberi, allevano i piccoli in nidi costruiti nella cavità di una
pianta dove sono al sicuro anche quando la madre è lontana. Ma le
scimmie che vivono sugli alberi portano con sé i piccoli la cui unica
sicurezza sta nel tenersi aggrappati al corpo della madre.
Nel neonato umano l'istinto di aggrapparsi e tenersi attaccato
con la mano è presente alla nascita come residuo della storia filo­
genetica. Sospesi, alcuni neonati riescono a sostenere il proprio peso
aggrappandosi con le mani. Ma è solo una capacità rudimentale e i
neonati umani hanno bisogno di essere tenuti per sentirsi sicuri.
Se questo supporto viene a mancare all'improvviso e il bambino
viene lasciato cadere per un istante si spaventa e diventa ansioso.
Solo due altre condizioni sembrano minacciare il neonato: l'inca­
pacità di respirare produce l'ansia di soffocamento e una voce alta
improvvisa produce quella che è nota come reazione di soprassalto.
La storia filogenetica dell'animale umano riflessa nel bisogno ·
del neonato di essere tenuto per sentirsi sicuro è la causa che pre­
dispone all'ansia di cadere. La causa efficiente è il non essere te­
nuto a sufficienza e la mancanza di un contatto adeguato con la
madre.
Nel 1945 Reich pubblicò uno studio sull'ansia di cadere in un
bambino di tre settimane. Quest'analisi faceva parte di uno studio
sulla paura di cadere in pazienti affetti da cancro, che la presentano
in forma molto grave e profondamente strutturata. L'articolo mi
fece una grandissima impressione, ma mi sono occorsi venticinque
anni prima che potessi affrontare la questione nel mio lavoro.
Riguardo al neonato Reich scrive:
Alla fine della terza settimana c'era un'acuta ansia di cadere, che com­
pariva quando ) veniva estratto dal bagno e appoggiato di schiena sul tavolo.
Non fu immediatamente chiaro se il gesto di metterlo giù fosse troppo bru­
sco o se fosse il raffreddamento della pelle a precipitare l'ansia di cadere.
Comunque il bambino cominciò a piangere violentemente, spinse indietro
le braccia come per cercare appoggio, cercò di spingere in avanti la testa;
aveva negli occhi un'ansia intensa ed era impossibile calmarlo. Fu necessa­
rio riprenderlo in braccio. Al tentativo successivo di metterlo giù l'ansia di
cadere ricomparve con la stessa intensità. Solo quando venne preso in brac­
cio si calmò.3
3 WILHELM REICH, The Cancer Biopathy, The Orgone Institute Press, New York,
1949, p. 329.
189
·
Bioenergetica
In seguito a questo incidente Reich notò che il bambino teneva
la spalla destra arretrata. "Durante l'attacco di ansia aveva tirato
indietro ambedue le spalle, come se cercasse un appoggio." Questo
atteggiamento pareva persistere anche quando l'ansia era assente.'
Per Reich era evidente che il bambino non aveva un'ansia co­
sciente di cadere. L'attacco di ansia poteva essere spiegato solo in
base al ritiro della carica dalla periferia del corpo, seguito da una
perdita di senso dell'equilibrio. Era come se il bambino fosse en­
trato in un leggero stato di shock che Reich chiamava anorgonia.
In stato di shock il sangue e la carica vengono ritirati dalla peri­
feria del corpo, il soggetto perde il senso dell'equilibrio, sente che
sta per cadere o cade. Le stesse reazioni comparirebbero in qualsiasi
organismo animale in stato di shock. Finché lo stato di shock per­
siste il soggetto ha difficoltà a reggersi sulle gambe e a contrastare
la forza di gravità. A Reich interessava sapere perché il bambino
provasse quello che pareva essere uno shock.
Reich sapeva che fra il bambino e la madre c'era stata una certa
mancanza di contatto. Il bambino veniva allattato quando lo ri­
chiedeva e il suo contatto con la madre era piacevole e soddisfa­
cente. Ma quando non veniva allattato stava nella culla o nella
carrozzina accanto alla madre che batteva a macchina. Reich era
convinto che il suo bisogno di contatto fisico non fosse soddisfatto.
Non veniva tenuto in braccio abbastanza. Prima dell'attacco il neo­
nato aveva avuto una reazione particolarmente violenta durante
l'allattamento, quello che Reich chiamava orgasmo della bocca, che
si manifestò in tremito e contrazioni della bocca e del viso. Ecco
le parole di Reich : " Ciò aumentò ulteriormente il bisogno di con­
tatto " . Quando il contatto non era imminente e il bambino veniva
messo giù, entrava in uno stato di contrazione.
Per superare la tendenza all'ansia di cadere manifestata dal
bambino Reich usò tre approci: "Il bambino doveva essere preso
in braccio quando piangeva. Servì ". Penso che sarebbe stato meglio
tenerlo in braccio più spesso come fanno le donne primitive, usan­
do una fascia. "Le spalle dovevano essere portate dolcemente in
avanti per toglierle dalla fissazione all'indietro " , in modo da evi­
tare che si sviluppasse una corazza caratteriologica. Reich lo fece
in modo giocoso per circa due mesi. ((Era necessario 'lasciar cadere,
davvero il bambino per abituarlo a sensazioni di caduta. Anche que­
sto ebbe successo. " Anche questo venne fatto in maniera molto
4
190
Ibid., p. 330.
Ansia di cadere
dolce e scherzosa, che il bambino imparò ad apprezzare come un
gwco.
Perché in alcuni individui quest'ansia persiste per tutta la vita?
La risposta è che i genitori non capiscono il problema e di conse·
guenza non fanno nessun passo per modificare la situazione. Il bi­
sogno del bambino di essere tenuto viene trascurato per ignoranza.
L'impulso di protendersi per cercare il contatto continua a sussi·
stere ma viene associato con una crescente paura che non ci sia
motivo di aspettarsi una risposta, nessuna certezza del proprio stato
di organismo bisognoso e, infine, nessuna ragione di insistere.
Reich studiò il caso di un altro neonato i cui progressi vennero
seguiti aii'Orgone Infant Research Center.' Dopo essere stato bene
per due settimane, alla terza il bambino si ammalò di bronchite. Il
torace divenne sensibile, la respirazione difficile e il bambino sem­
brava irrequieto, nervoso e infelice. Le ricerche fatte rivelarono
che il contatto emotivo fra madre e figlio era disturbato. "Pareva
che la madre si ritenesse colpevole di non essere una madre 'sana"'
e di non soddisfare tutte le proprie aspettative. Ammise che le
pesava dover dedicare tanto tempo ed energia al bambino, era sor­
presa e schiacciata da tutte le sue esigenze. Il bambino rispose al
disagio e all'ansia della madre diventando a sua volta ansioso.
La relazione su questo caso è interessante per vari motivi. In
primo luogo Reich osservò che la regione diaframmatica " sembrava
rispondere per prima e più gravemente al disagio emotivo bioener­
getico " . Secondo Reich altri blocchi si sarebbero estesi in entrambe
le direzioni a partire da questa regione. La tensione diaframmatica
è strettamente collegata all'ansia di cadere, perché riduce il flusso
di eccitazione diretto alla parte inferiore del corpo. In secondo
luogo è evidente che un buon contatto implica qualcosa di più del
semplice tenere e toccare. La qualità del tenere e del toccare è
importante. Perché il bambino tragga beneficio dal contatto, il cor­
po della madre deve essere caldo, sciolto e vivo. Le tensioni del suo
corpo si comunicano al bambino. In terzo luogo Reich descrisse
quello che ritengo essere l'elemento essenziale nel rapporto fra ma­
dre e figlio : " Lasciamo semplicemente che le madri godano dei
propri figli e il contatto si svilupperà spontaneamente " .
L'ansia di cadere e i disturbi della respirazione sono due aspetti
di un solo processo. Nel paragrafo precedente Jim aveva descritto
s WILHELM REICH, Armoring in a Newborn lnfant, in "Orgone Energy Bulletin ",
vol. 8, n. 3, pp. 120-38, Orgone Institute Press, New York, 1951.
191
Bioenergetica
la sensazione di cadere "in cui Io stomaco si stringe e non riesci a
respirare" . Secondo Reich l'ansia di cadere " è connessa con delle
rapide contrazioni dell'apparato vitale, anzi, è da esse che è pro­
dotta. Come la caduta vera e propria causa una contrazione biolo­
gica, così la contrazione, reciprocamente, causa la sensazione di
cadere " .6 Il ritiro di energia dalle gambe e dai piedi produce una
perdita di contatto con il suolo: si prova una sensazione come se
venisse a mancare la terra sotto i piedi .
Innamoramento (falling in lave)
L'ansia di cadere non genera solo la paura dell'altezza, ma an­
che di qualsiasi situazione che possa evocare nel corpo la sensazione
della caduta. La lingua inglese identifica due situazioni del genere :
falling asleep [ cadere nel sonno] e falling in lave [ " cadere " inna­
morati, innamorarsi ] . Ma, ci si può chiedere, non si tratta sempli­
cemente di espressioni letterarie? In che modo il passaggio dalla
veglia al sonno assomiglia all'atto di cadere? Se c'è un parallelo
fra le due cose a livello corporeo, allora possiamo capire perché
tanta gente abbia difficoltà ad addormentarsi e abbia bisogno di un
sedativo per smorzare l'ansia e facilitare il passaggio dalla coscienza
allo stato incosciente.
Questo passaggio è stato visto per molto tempo come un movi­
mento verso il basso. Infatti se una persona dovesse addormentarsi
in piedi cadrebbe : come quando si sviene e si perde conoscenza .
M a è rarissimo che capiti di addormentarsi in piedi. Ci addormen­
tiamo sdraiati, senza dunque spostamento del corpo nello spazio.
Perciò la sensazione di cadere deve derivare da un movimento in­
terno, qualcosa che avviene nel corpo quando si è vinti dal sonno.
L 'espressione " sprofondare nel sonno " ci fornisce una chiave :
nel processo di addormentarsi è presente una sensazione di sprofon­
damento, che comincia con un senso di sonnolenza . Improvvisa­
mente il corpo diventa pesante: si prova un senso di pesantezza
agli occhi, al capo e agli arti inferiori. Bisogna fare uno sforzo per
tener gli occhi aperti e per tener su la testa. Se ci si appisola la
testa cade: Si ha l'impressione che gli arti inferiori non possano
sostenere il corpo. Sprofondare nel sonno è come sprofondare nel
6 W. REICH, Anorgonia in the Carcinomatous Shrinking Biopathy o/ Sex and Orgone
Research, Orgone Institute Press, New York, 1955, vol. IV, p. 32.
192
Ansia di cadere
terreno. Si prova un forte desiderio di sdraiarsi e di abbandonare
la lotta contro la forza di gravità.
A volte il sonno arriva in fretta. Adesso sei sveglio e un istante
dopo hai perso coscienza. A volte, se il sonno compare gradual­
mente, si riesce a percepire la perdita della sensibilità in alcune
parti del corpo. Stando a letto accanto a mia moglie con la mano
appoggiata su di lei ho notato che prima perdo la coscienza del
suo corpo e poi della mia mano. Se presto troppa attenzione alle
mie sensazioni mi sveglio di nuovo. L'attenzione è una funzione
della coscienza e l'accresce. In genere per me è un intervallo bre­
vissimo e prima di rendermene ben conto sono profondamente ad­
dormentato. Naturalmente non si sa di dormire: è una funzione
che viene spenta dal sonno.
Nella fase di addormentamento c'è un ritrarsi dell'eccitazione
e dell'energia dalla superficie del corpo e della mente. Lo stesso
ritrarsi dell'energia è presente nel processo del cadere, dunque dal
punto di vista energetico le due situazioni sono equivalenti. In pra­
tica naturalmente sono diverse, perché cadendo per terra si rischia
di farsi male mentre l'addormentarsi in un letto non presenta peri­
coli. Tuttavia l'ansia associata con la caduta può estendersi al sonno
a causa del meccanismo dinamico comune. È in gioco la capacità
dell'individuo di abbandonare il controllo dell'io, perché è proprio
questo che comporta il ritiro di energia dalla superficie della mente
e del corpo. Se il controllo dell'io è identificato con la sopravvi­
venza, come avviene nel caso degli individui che funzionano essen­
zialmente tramite l'esercizio della volontà, l'abbandono di questo
controllo viene inconsciamente combattuto e le situazioni che lo
richiedono producono una forte ansia.
L'ansia nevrotica ha origine da un conflitto interno fra un mo­
vimento energetico nel corpo e un controllo o blocco inconscio
eretto per limitare o arrestare tale movimento. I blocchi sono le
tensioni muscolari croniche che per lo più compaiono nella musco­
latura striata o volontaria che normalmente è soggetta al controllo
dell'io. Il controllo cosciente dell'io viene a mancare quando la
tensione presente in un gruppo di muscoli diventa cronica. QuestO
non significa che il controllo venga abbandonato, ma che è diventato
esso stesso inconscio. Il controllo inconscio dell'io è come una sen­
tinella o una guardia su cui l'io, o personalità, non ha più autorità.
Funziona come un'entità indipendente all'interno della personalità
e acquista potere in proporzione diretta all'ammontare delle ten­
sioni croniche del corpo. Carica, scarica, flusso e movimento sono
193
Bioenergetica
la vita del corpo, vita che queste sentinelle devono costringere e
limitare nell'interesse della sopravvivenza. L'individuo vuole la­
sciarsi andare e lasciar fluire, ma la sentinella dice: "No, è troppo
pericoloso " . Da piccoli venivamo limitati in maniera analoga quan­
do ci minacciavano o ci punivano perché eravamo troppo rumorosi,
troppo attivi, troppo vivi.
Sappiamo tutti che cadere è meno pericoloso se ci si " lascia
andare " o si abbandona qualsiasi tentativo di controllo da parte
dell'io. Infatti se una persona cerca ansiosamente di controllare la
caduta può rompersi un osso perfino prima di toccare il suolo. La
frattura è causata da una contrazione muscolare improvvisa. I bam­
bini, in cui il controllo dell'io è debole, e gli ubriachi, in cui è stato
scalzato, in genere cadono senza farsi troppo male. Il segreto è di
accompagnare la caduta, lasciando che le correnti fluiscano libera­
mente nel corpo e non avendo paura della sensazione che si prova.
Per questo motivo alcuni atleti, come ad esempio i calciatori, si
esercitano a cadere per evitare i gravi pericoli che altrimenti po­
trebbero correre.
Non tutti i nevrotici soffrono di ansia di cadere. Ho detto prima
che se la sensazione può essere bloccata ed esclusa non si prova
ansia. Era cosi nel caso di Bill, il rocciatore. È la sensazione che fa
paura. Se si riesce ad arrestare il flusso di eccitazione o a evitare
di percepirlo, la paura scompare. Questo spiega tra l'altro perché
non tutti i nevrotici abbiano difficoltà ad addormentarsi: è un
processo che genera ansia e paura solo quando si percepisce il ri­
tiro di energia dalla superficie. Se non c'è nessuna sensazione con­
nessa con la transizione dalla coscienza al sonno l'ansia non com­
pare.
Questa sensazione non è di per sé paurosa; può anche essere
vissuta come piacevole. Ma se è spaventosa, è perché il ritrarsi
dell'energia dalla superficie del corpo e il conseguente dissolversi
della coscienza sono simili alla morte. Nella morte c'è lo stesso
ritrarsi, che però non è più reversibile. Se a qualche livello dovesse
accadere di rendersi conto della connessione fra sonno e morte,
diventerebbe impossibile abbandonare il controllo dell'io e arren­
dersi al processo naturale.
In The Betrayal of the Body ho riportato il caso di una giovane
donna afflitta da questo tipo di ansia. Mi descrisse un sogno in cui
diceva : "Ho provato l'esperienza vivida della realtà della morte ­
cosa significa scendere nella terra e restarci finché il corpo si di­
sintegra" .
194
Ansia di cadere
Poi aggiunse: "Mi sono resa conto che succederà anche a me,
come succede a tutti. Da bambina non riuscivo ad addormentarmi
per l'angoscia di morire durante il sonno e di svegliarmi in una
bara. Sarei stata in trappola, senza via di scampo" .7
Questa frase contiene una strana contraddizione. Se si muore
durante il sonno non ci si sveglia in una bara. La donna ha paura
di morire ma ha altrettanta paura di essere in trappola, situazione
che viene assimilata alla morte perché la vita è movimento. Morire
è essere in trappola, incapaci di muoversi, ma è anche vero che
essere in trappola equivale a morire. Per questa paziente la co­
scienza è qualcosa di più della consapevolezza: è essere ben
attenti e vigili contro la possibilità di essere intrappolati. L'addor­
mentarsi implica l'abbandono di questa vigilanza e dà perciò spazio
al pericolo di essere presi in trappola o di morire.
Proseguendo nell'interpretazione della frase, direi che la bara
equivale al corpo. Normalmente quando ci si sveglia la prima cosa
di cui si è coscienti è il corpo. La coscienza ritorna nello stesso
ordine in cui se n'è andata - prima la coscienza del proprio corpo,
poi del mondo esterno. Perciò molto dipende da come si vive il
proprio corpo. Se è privo cii vita sembrerà una bara che imprigiona
lo spirito. Sarà anche soggetto alla decadenza e alla decomposi­
zione, che colpiscono solo i corpi morti. Svegliarsi in un corpo
vivo in cui si sentono tutte le emozioni della vita è piacevole quanto
abbandonarsi a un corpo stanco che ha bisogno di dormire.
Qualcosa di molto piacevole accade al corpo quando ci si ab­
bandona ad esso nel sonno. Si spoglia delle preoccupazioni della
giornata e si ritira dal mondo in uno stato di calma, riposo e pace.
Questo passaggio dalla veglia al sonno è evidentissimo nel respiro.
Spesso riusciamo a capire se chi ci sta vicino si addormenta perché
cambia la qualità e il ritmo della respirazione. La qualità diventa
più profonda e più udibile, il ritmo più lento e regolare. Questo
cambiamento risulta dal fatto che il diaframma si rilassa dallo stato
di tensione in cui viene tenuto durante le attività della giornata.
Nel sonno ci si abbandona ai centri di energia inferiore. Lo stesso
processo di rilassamento del diaframma si verifica nell'innamora­
mento e nell'orgasmo.
Nella filosofia antica il diaframma - il muscolo a cupola che
richiama il contorno del cuore - divideva il corpo in due zone.
La zona al di sopra del diaframma era collegata alla coscienza e al
1
LOWEN, Tbe Betrayal of tbe Body, cit., p. 185.
195
Bioenergetica
giorno - cioè alla regione della luce. La zona sottostante apparte­
neva all'inconscio e alla notte: era considerata la regione del buio.
La coscienza veniva assimilata al sole. Il sorgere del sole sopra
all'orizzonte della terra, che porta la luce del giorno, corrispondeva
al sorgere dell'eccitazione nel corpo, un'eccitazione che parte dai
centri addominali per dirigersi ai centri del torace e del capo.
Questo fluire verso l'alto delle sensazioni aveva come risultato un
indebolimento della coscienza. Nel sonno accadeva l'inverso. Il tra­
monto del sole o, come Io vedevano i primitivi, la sua caduta nel­
l'oceano, corrispondeva all'interno del corpo al flusso dell'eccita­
zione verso il basso, nelle regioni sotto al diaframma.
Simbolicamente l'addome equivale alla terra e al mare, che sono
regioni di buio. Ma è da queste zone, e dall'addome, che nasce la
vita. Sono la dimora delle forze misteriose implicate nei processi
della vita e della morte. Sono anche la sede degli spiriti del buio
che abitano negli inferi. Quando queste idee primitive si combina­
rono con la moralità cristiana gli inferi vennero assegnati al diavolo,
il principe delle tenebre, che adescava gli uomini con la tentazione
sessuale facendoli precipitare. Il diavolo abita nelle viscere della
terra, ma anche nelle viscere dell'add01ne, dove brucia il fuoco del
sesso. Una resa a queste passioni potrebbe portare all'orgasmo, in
cui la coscienza si offusca e l'io si dissolve in un fenomeno chia­
mato " morte dell'io " . Anche l'acqua è associata al sesso, probabil­
mente perché la vita cominciò nel mare. La paura di annegare che
molti pazienti collegano con la paura di cadere può essere messa in
connessione con la paura di arrendersi alle sensazioni sessuali.
Abbiamo talmente idealizzato l'amore da perdere di vista il suo
rapporto stretto e intimo con il sesso, specialmente con gli aspetti
erotici e sensuali di esso. Ho definito l'amore come l'anticipazione
del piacere,' ma è soprattutto il piacere sessuale che adesca e spinge
a innamorarsi. Psicologicamente implica la resa dell'io all'oggetto
amato, che per il sé diventa più importante dell'io. Ma la capitola­
zione dell'io comporta una discesa di sensazioni all'interno del
corpo, un flusso di eccitazione verso il basso nelle profondità del­
l' addome e della pelvi. Questo fluire verso il basso produce deli­
ziose sensazioni di qualcosa che scorre, che si scioglie. Ci si scioglie
letteralmente d'amore. Compaiono le stesse sensazioni piacevoli
quando l'eccitamento sessuale è molto forte e non limitato all'area
genitale. Precedono ogni scarica orgasmica completa.
8
196
LOWEN, Pleasure, cit.
Ansia di cadere
Stranamente l'atto di cadere dà origine a sensazioni simili ed è
per questo, ad esempio, che ai bambini piace tanto andare in alta­
lena. La caduta dell'altalena fa scorrere deliziose correnti di sensa­
zioni per tutto il corpo. Alcuni di noi forse se ne ricordano ancora.
Le stesse sensazioni possono essere provate sulle montagne russe
e sono convinto che sia per questo che è un divertimento così po­
polare. Molte attività che implicano una caduta producono un pia­
cere analogo, come le immersioni, i tuffi dal trampolino e così via.
La chiave di questo fenomeno è il rilassamento del diaframma,
che fa sì che un forte flusso di eccitazione possa fluire nella parte
inferiore del corpo. Se si trattiene il fiato durante queste attività
compare l'ansia e il piacere viene distrutto. Lo stesso succede nel
sesso. Se si ha paura di accompagnare la caduta e si trattiene il fiato
la sensazione di sciogliersi non compare e l'orgasmo è soddisfacente
solo in parte.
Apparentemente l'espressione " falling in lo ve" [ cadere inna­
morati ] contiene una contraddizione, perché la sensazione di essere
innamorati è uno " high " . Come è possibile cadere "in alto " ? Ma
la caduta è l'unico modo di raggiungere un alto stato di eccitamento
biologico. Chi si tuffa dal trampolino deve cadere per poter poi
risalire; preme verso il basso per avere la spinta per il salto. Il balzo
in alto a sua volta dà origine a un'altra caduta, che poi si conclude
con un'altra ascesa. Se l'orgasmo è la grande caduta, allora lo " high"
che si prova dopo un atto sessuale molto soddisfacente è il normale
rimbalzo della scarica. In amore camminiamo su di una nuvola,
ma solo perché prima ci siamo lasciati cadere.
Per capire perché la cadùta abbia un effetto tanto potente dob­
biamo pensare la vita come movimento. L'assenza di movimento è
morte. Ma questo movimento non è essenzialmente lo spostamento
orizzontale nello spazio in cui impieghiamo tanto del nostro tempo.
È l'ascesa e la caduta dell'eccitamento che pulsa nel corpo, che si
manifesta nelle azioni di balzare e saltare, alzarsi e sdraiarsi, aspi­
rare continuamente alle grandi altezze ma aver poi sempre bisogno
di tornare al suolo solido, alla terra e alla realtà della nostra esi­
stenza terrena. Dedichiamo tanto della nostra energia allo sforzo
di salire più in alto e di ottenere di più che spesso troviamo dif­
ficile scendere e !asciarci andare {let down). Rimaniamo bloccati,
sospesi a mezz'aria, e abbiamo paura di cadere. Allora ci sforziamo
continuamente di salire più in alto, come se in questo modo potes­
simo conquistare una maggiore sicurezza. I bambini che nella vita
neonatale sviluppano l'ansia di cadere inevitabilmente da adulti
197
Bioenergetica
avranno come obiettivo della propria vita quello di salire sempre
più in alto. Chi va tanto lontano nell'immaginazione da raggiun­
gere la luna corre il rischio della pazzia (lunacy)
un'esistenza
brulla, vuota, isolata. Trascendere l'atmosfera della terra è fonte
di disorientamento. L'effetto salutare della gravità, l'attrazione che
la terra esercita sul nostro corpo, va perduta : è facile allora trovarsi
disorientati.
Il sonno e il sesso sono intimamente connessi perché il sonno
migliore è quello che segue un atto sessuale soddisfacente. Analo­
gamente, come tutti sanno, il sesso è il migliore antidoto contro
l'ansia. Ma perché il sesso abbia questo effetto bisogna essere ca·
paci di abbandonarsi alle sensazioni sessuali. Purtroppo l'ansia di
cadere colpisce anche il sesso e ne limita la funzione naturale di via
principale di scarica della tensione e dell'eccitazione. Possiamo
ugualmente compiere l'atto sessuale, ma lo facciamo (parlando in
termini energetici) su di un livello orizzontale : non c'è la caduta
che scarica né l'ascesa che esalta. Dobbiamo aiutare i nostri pazienti
a superare l'ansia di cadere se vogliamo che gioiscano appieno del
sesso e del sonno e si rialzino da entrambi rinnovati e ristorati per
effetto dell'abbandono.
-
198
Capitolo ottavo
Stress e sesso
Gravità: una visione generale dello stress
Il fatto che stress e sesso vengano trattati in uno stesso capi­
tolo non dovrebbe sorprendere se si pensa che la scarica sessuale,
come tutti sanno, ha la funzione di liberare la tensione. Perciò
una discussione dello stress dovrebbe includere sempre un'analisi
dell'orgasmo sessuale. Prima di tutto però voglio pre�entare una
visione generale della natura dello stress.
Lo stress risulta dall'imposizione di una forza o di una pres­
sione, che l'organismo contrasta mobilitando la propria energia. Se
l'organismo riesce a sfuggire a questa forza ovviamente non subi­
rà lo stress. Esistono stress naturali che fanno parte della vita e
a cui nessun organismo può sottrarsi: ma normalmente è anche ben
attrezzato per affrontarli. Poi ci sono le pressioni originate dalle
condizioni della vita sociale, che variano con la situazione cultu­
rale dell'individuo. Un esempio è la guida nel traffico di un'auto­
strada, dove è necessario essere costantemente vigili per evitare
pericolosi incidenti. In una società altamente competitiva come
la nostra pressioni del genere sono quasi troppo numerose per
elencarle tutte. I rapporti interpersonali sono spesso carichi di
tensione per via delle richieste a cui si viene sottoposti. Ogni vol­
ta che c'è una minaccia di violenza l'individuo è sotto stress. Ci
sono infine gli stress delle costrizioni autoimposte che agiscono
sul corpo allo stesso modo delle forze esterne.
Fra le forze naturali che creano stress la più universale è la
gravità. Possiamo sottrarci temporaneamente alla sua pressione
sdraiandoci, ma ogni volta che ci alziamo o ci muoviamo siamo
soggetti ad essa. Le azioni di stare in piedi e di muoversi richiedo­
no una mobilitazione di energia per contrastare la forza di gravità.
199
Bioenergetica
Stare in piedi non è un processo meccanico. Benché siamo aiutati
dall'allineamento strutturale delle ossa, i nostri muscoli devono
svolgere un lavoro considerevole per mantenere questa pastura.
Quando siamo stanchi o ci manca l'energia diventa difficile, se non
impossibile, stare in piedi. I soldati che sono costretti a stare in
piedi immobili per lunghi periodi a volte, quando le energie si
esauriscono, si accasciano a terra. Il crollo si verifica anche quando
si riceve uno shock, psicologico o fisico, che provoca un ritiro di
energia dalla periferia del corpo.
Quella di cadere o di accasciarsi è una difesa naturale contro
il pericolo rappresentato da uno stress continuo. C'è una misura
esatta di stress che un corpo può reggere prima di crollare. Si sa
di soldati che sono morti per essere rimasti in piedi oltre questo li­
mite. Sappiamo anche di morti dovute al caldo, che si verificano
quando il corpo non riesce più a contrastare lo stress della tempe­
ratura elevata. Ma anche in questa situazione il fatto di cadere o
di sdraiarsi riduce il rischio perché elimina lo stress della gravità.
In generale lo stress può essere visto come una forza che pre­
me l'individuo dall'alto o lo tira giù dal basso. I carichi pesano su
di noi, premendoci verso il basso; la gravità agisce tirandoci giù.
Per contrastare queste pressioni impieghiamo energia, esercitan­
do una pressione contraria sul suolo. In base al principio fisico
che l'azione è uguale alla reazione, se premiamo sul suolo esso pre­
me di rimando tenendoci su. Cosi diciamo che una persona sostie­
ne o affronta (stands up) una situazione stressante o difficile.
La posizione eretta è tipica dell'uomo : è l'unico animale per
cui sia naturale. Tuttavia richiede un notevole dispendio di ener­
gia. Benché il corpo umano sia anatomicamente predisposto per
questa posizione, non credo che lo stare su due gambe possa es­
sere spiegato in modo puramente meccanico. Dobbiamo ricono­
scere che l'organismo umano è un sistema energetico più carico
di quello di altri animali e che è stata la maggiore energia, o il li­
vello più elevato di eccitazione, che gli ha permesso di raggiunge­
re e di mantenere la pastura eretta.
Non occorre certo dimostrare che l'organismo umano è un si­
stema energetico più carico di altri. L'elenco delle attività e delle
realizzazioni umane è una prova sufficiente. Nemmeno occorre de­
cidere qui se, come riteneva Reich, questa energia sia caratteriz­
zata dal suo contrapporsi alla gravità o se venga solo impiegata a
questo scopo. Il dato importante è che fluisce lungo l'asse del
corpo, salendo e scendendo all'interno dell'organismo umano. L'ef-
200
Stress e sesso
fetto di questa forte pulsazione è che ambedue i poli del corpo so­
no altamente eccitati e diventano centri di attività intensa.
Siamo abituati a pensare che il dominio dell'uomo sulla ter­
ra sia dovuto in ultima analisi allo sviluppo superiore del suo cer­
vello. È senz'altro vero. Ma è altrettanto vero, come hanno nota­
to molti antropologi, che ai fini della conquista del predominio è
stato importante lo sviluppo della cooperazione nella caccia, il rap­
porto di partecipazione in una società e il forte legame di coppia
fra maschio e femmina. In ultima analisi la socialità umana è un
riflesso della sessualità.1 Il fatto che la sessualità della femmina
umana si sottraesse ai limiti imposti dal ciclo di estro ha avuto
un ruolo importante nel consolidare la stabilità della società umana,
perché ha reso possibile trovare continuamente il piacere e la sod­
disfazione sessuale all'interno della situazione familiare. Ciò con­
sentì al maschio di assumere nei confronti della femmina e della
prole l'impegno che è essenziale per la sicurezza dei bambini.
È mia convinzione che lo sviluppo di un cervello di maggiori
dimensioni, l'interesse e l'attività sessuale più intensi e la postura
eretta siano un risultato della maggiore carica energetica dell'orga­
nismo umano. Naturalmente l'aumento della carica energetica fu
accompagnato da cambiamenti anatomici e fisiologici. Non cre­
do che l'abbiano preceduta perché tutte queste attività speciali del­
l'uomo richiedono un grado di eccitazione, o una quantità di enet­
gia, di cui altri animali non dispongono.
Sono molte le attività umane significative che sono state attri'
buite direttamente alla postura eretta. Il fatto più importante è
che essa libera gli arti superiori dalla funzione di sostegno e di
locomozione consentendone l'evoluzione in braccia e mani. Pos­
siamo maneggiare e manipolare gli oggetti, che siano attrezzi o armi,
abbiamo una sensibilità elevatissima nella punta delle dita, che ci
consente di toccare le cose per distinguerle. Le nostre braccia e le
nostre mani sono capaci di una gamma di movimenti che, attraverso
i gesti, hanno arricchito la nostra capacità di autoespressione. Ma
c'è anche un risultato secondario: l'uomo affronta il mondo con
l'aspetto più vulnerabile del suo corpo, il lato ventrale, esposto.
Il petto, il cuore, l'addome sono più accessibili e meno protetti
dagli attacchi. È possibile che la qualità della tenerezza sia colle­
gata a questo modo di essere nel mondo. In terzo luogo il fatto
1 WESTON LABARRE, The Human Animai, The University of Chicago Press, Chicago,
1954. Questo libro contiene un'eccellente discussione dell'importanza del corpo umano e
della sessualità nelle relazioni sociali.
201
Bioenergetica
che nell'uomo il capo stia al di sopra del resto del corpo è in parte
responsabile, credo, del fatto che nel suo pensiero si sia introdotta
e affermata una gerarchia di valori.
Freud sosteneva che il disgusto ebbe origine quando l'uomo sol­
levò il capo da terra. Nella maggior parte degli altri mammiferi il
naso è allo stesso livello degli sbocchi escretori e sessuali: non pro­
vano per queste funzioni la repulsione che è tipica invece dell'uomo.
Non intendo addentrarmi in questo aspetto, che Freud era convinto
contribuisse in qualche modo alla predisposizione umana alla ne­
vrosi. E indubbio tuttavia che abbiamo attribuito un più alto valore
alle funzioni della parte del corpo che comprende il capo che non
a quella del sedere. Non è logico dire " posteriore " perché di fatto
il sedere è la parte inferiore del corpo. Essendo un essere umano
civilizzato io ho accettato questo sistema di valori, che ritengo ab­
bia i suoi meriti purché non induca a rifiutare la propria fondamen­
tale natura umana che è così strettamente identificata con le fun­
zioni della parte inferiore del corpo.
Ma se vogliamo capire i problemi che possono derivare dalla
postura eretta quando è sottoposta a stress dobbiamo considerarne
la meccanica. Sotto questo aspetto l'umile sedere ha un ruolo im­
portante. Dal punto di vista anatomico sono d'accordo con Robert
Ardrey nel ritenere che lo sviluppo delle natiche sia stato il cam­
biamento decisivo che ha portato alla stabilizzazione . della postura
eretta. Queste due grandi masse muscolari, agendo insieme al mo­
vimento della pelvi, forniscono il supporto strutturale al corpo
eretto.
Il motivo per cui concordo con Ardrey deriva da una semplice
osservazione : quando le natiche sono contratte e la pelvi è incli­
nata in avanti il corpo entra in uno stato di parziale accasciamento,
quale si può osservare nella struttura del carattere masochistico che
è stata descritta sopra. E interessante notare che nel carattere ma­
sochistico il corpo assume un aspetto quasi da scimmia, in parte
dovuto alla postura accasciata e in parte a una condizione di irsu­
tismo che a volte si sviluppa. La struttura masochistica è causata
da uno stress incessante - pressione dall'alto e dal basso - a cui
il bambino non è riuscito a sottrarsi o che non poteva sostenere.
La sua unica alternativa era la sottomissione. Per tollerare il con­
tinuo stress c'è stato uno sviluppo abnorme della muscolatura, che
è uno dei segni fisici di questa struttura.
Il masochismo è un terzo modo di affrontare lo stress. Inca­
pace di sfuggirvi uscendo dalla situazione stressante o di affrontarla
202
Stress e sesso
sopportando la pressione, il masochista si sottomette e si piega
sotto lo stress. Questo schema di personalità si sviluppa in una
situazione in cui non è possibile né sfuggire né reggere la forza
che genera tensione.
Purtroppo lo schema si stabilisce nella prima infanzia, quando
il soggetto cerca di venire a capo delle pressioni dei genitori e delle
autorità scolastiche. Questo schema determina il modo in cui l'in­
dividuo si comporterà da adulto nei confronti dello stress. Nella
struttura masochistica abbiamo visto che lo schema è di sottomis­
sione, con la creazione di una muscolatura ipersviluppata per tolle­
rare lo stress. Ma se la pressione viene applicata presto, nel primo
anno di vita, la sottomissione è impossibile perché il bambino non
può costruire la muscolatura necessaria a sviluppare la capacità di
tolleranza. È impossibile anche il ritiro fisico dalla situazione. E na­
turalmente sopportare lo stress è fuori questione a questa età. Il
ritiro psicologico diventa un modus vivendi. Il neonato o il bam­
bino si dissocia dalla situazione e dalla realtà. Abita un mondo di
fantasia, sogna di volare - negazione della pressione della gra­
vità - o sfugge nell'autismo. Più avanti nella vita l'individuo farà
ricorso a questo schema ogni volta che deve affrontare uno stress
troppo forte. Quando la pressione viene esercitata in una fase più
avanzata dell'infanzia, come nel caso del carattere rigido, il bam­
bino regge lo stress. Ma se lo stress è continuato la resistenza di­
venta un atteggiamento caratteriologico e porta alla rigidità del
corpo e della mente. La persona con struttura rigida resiste a tutti
gli stress, anche quando non è necessario e può anzi essere dan­
noso. Dato che questo atteggiamento è ormai cosl strutturato, ad­
dirittura cercherà gli stress per dimostrare quanto è bravo a resi­
stervi.
A questo punto dovrebbe esser chiaro al lettore che questi
schemi di reazione allo stress sono strutturati nel corpo e fanno
parte di un atteggiamento del carattere dell'individuo, che reagisce
allo stress anche quando non viene esercitata su di lui nessuna
pressione esterna. In questo caso possiamo parlare di pressioni auto­
imposte. L'io (o ciò che Freud chiamò super-io) incorpora la pres­
sione come una condizione necessaria di vita.
Prendiamo il caso di una persona le cui spalle sollevate e squa­
drate esprimono la convinzione che sia virile portare sulle spalle i
propri fardelli. Egli può non essere consapevole di questo senti­
mento né del suo atteggiamento, ma è questo che dice il suo corpo .
Se assumiamo in via d'ipotesi che la quantità di tensione museo-
203
Bioenergetica
!are alle spalle sia equivalente a quella richiesta per portare un peso
di 50 chili, è logico dedurre che egli è sottoposto ad altrettanta
pressione. Agisce, a livello corporeo, come se fosse oppresso da
tutto quel peso. Starebbe meglio se il peso lo portasse davvero,
perché in questo caso ne sarebbe consapevole e prima o poi lo mol­
lerebbe. Ma cosl è sottoposto a uno stress costante senza render­
sene conto e perciò senza essere capace di farvi fronte.
Ogni tensione muscolare cronica è uno stress continuo che si
esercita sul corpo. Fa paura pensarvi. Lo stress continuo, come ha
osservato Hans Selye,2 ha un effetto deleterio sul corpo. Poco im­
porta qual è la natura dello stress; il corpo vi reagisce sempre con
una sindrome generale di adattamento. Questa sindrome consiste
di tre fasi. La fase l viene chiamata reazione di allarme. Il corpo
reagisce a uno stress acuto con uno sfogo di ormoni surrenali midol­
lari che mobilitano l'energia fisica necessaria ad affrontarlo. Quan­
do lo stress è un insulto fisico al corpo la reazione di allarme as­
sume la forma di processo infiammatorio. Se questa reazione riesce
a superare con successo l'offesa e ad eliminare lo stress, il corpo
si calma e ritorna alla sua condizione omeostatica naturale. Ma se
lo stress continua comincia la fase 2 . In questa fase il corpo cerca
di adattarsi allo stress, con uno sforzo che coinvolge gli ormoni
corticosteroidi surrenali, che hanno un'azione antiinfiammatoria.
Ma anche il processo di adattamento richiede energia, che deve
essere mobilitata dalle riserve corporee. La fase 2 è come una guer­
ra fredda, in cui il corpo cerca di contenere l'agente portatore di
stress perché non è capace di eliminarlo. La fase 2 può andare
avanti per molto tempo, ma a lungo andare il corpo si indebolisce.
La fase 3 viene chiamata stadio di esaurimento. Il corpo non ha
più l'energia per contenere lo stress e comincia a crollare.
Questa breve esposizione della concezione di Selye sulle rea­
zioni allo stress non rende pienamente conto dell'importanza del
suo contributo alla comprensione del corpo. Ma l'ampiezza del no­
stro argomento non ci consente di dare al suo lavoro tutta l'atten­
zione che merita. D'altra parte però in una discussione sullo stress
non è consentito ignorarla. Per noi qui è particolarmente rilevante
lo stadio dell'esaurimento. Se traduciamo questa con­
la fase 3
dizione in termini di affaticamento e stanchezza cronica, vedremo
che probabilmente è il problema di cui nella nostra cultura ci si
lamenta di più. A mio avviso è indice che molti sono sull'orlo del-
2 HANS SELYE, The Stress of Li/e, McGraw·Hill, New York, 1956.
204
Stress e sesso
l'esaurimento per colpa degli stress continui dovuti alle tensioni
muscolari croniche.
L'esistenza di queste tensioni corporee limita l'energia altri·
menti disponibile per affrontare gli stress della vita quotidiana. Ri­
ducendo le tensioni muscolari grazie alla terapia bioenergetica il
soggetto scopre di poter far fronte con un'efficacia ben maggiore
agli stress della sua situazione personale. Il segreto è semplice: si
tratta solo di avere l'energia sufficiente ad affrontare lo stress, ma
questo è possibile solo se il corpo è relativamente libero da tensioni.
Riassumendo, ecco come descriverei la situazione di molti indi·
vidui: faticano sotto il peso di un grande stress, ma ciononostante
sentono che non andare avanti equivarrebbe ad ammettere la pro­
pria debolezza, la sconfitta, il fallimento in quanto esseri umani.
Trovandosi in un simile vicolo cieco serrano forte le mascelle, itri·
gidiscono le gambe, bloccano le ginocchia e continuano ad arran­
care con una volontà che a volte ha dell'incredibile. Come diceva
Jim: " Non puoi essere uno che si arrende " . Da molti punti di vista
questa volontà di andare avanti è una qualità da ammirare, ma può
avere ed ha alcuni effetti disastrosi sul corpo.
Dolore alla bassa schiena
Un dolore acuto alla bassa schiena, tale da immobilizzare una
persona e a volte costringerla a letto per un certo periodo, è spesso
la conseguenza diretta e immediata dello stress. Si solleva un og·
getto pesante e tutt'a un tratto ecco un dolore acuto nella regione
lombosacrale: impossibile raddrizzarsi. Diciamo che la schiena ha
avuto uno spasmo. Uno o più muscoli, in genere da un solo lato,
entrano in una grave condizione spastica che provoca un dolore
quasi insopportabile ogni volta che si fa un movimento con la
schiena. A volte compare l'ernia di un disco intervertebrale che
schiaccia le radici di un nervo, causando un dolore che si irradia
a una gamba. L'ernia del disco non è frequente - la pressione sul
nervo può essere esercitata dallo stesso muscolo spastico.
Pur essendo uno psichiatra ho trattato parecchi individui affetti
da questo male. Alcuni erano pazienti che si stavano sottoponendo
alla terapia bioenergetica, che presentavano una tendenza ai di­
sturbi alla bassa schiena e una condizione spastica. Altri mi con­
sultarono perché la terapia bioenergetica tratta le tensioni museo·
lari. Vorrei puntualizzare innanzitutto che non ho nessun metodo
205
Bioenergetica
rapido e facile per curare questo disturbo. Se una persona è immo­
bilizzata dal dolore il riposo a letto è necessario finché il dolore
scompare. Il riposo a letto serve a eliminare lo stress della gravità:
gradualmente il muscolo comincia a rilassarsi. A questo punto sta­
bilisco un programma di esercizi bioenergetici che si propongono
di rilassare ulteriormente i muscoli tesi e di impedire il ritorno
dello spasmo.
Per capire questi esercizi occorre sapere perché si verifica lo
spasmo. Quale atteggiamento posturale o schema di tenuta rende
un individuo vulnerabile ai disturbi della bassa schiena? È sba­
gliato pensare che sia la pastura eretta a rendere suscettibili a questi
disturbi. È sbagliato anche credere che sia normale soffrirne. È un
disturbo molto diffuso nella nostra cultura, ma si può dire altret­
tanto per le malattie cardiache e per la miopia. Dovremmo dire al­
lora che la gente è soggetta alle malattie cardiache perché ha un
cuore e alla miopia perché ha gli occhi? Ci sono culture in cui i
disturbi alla bassa schiena sono sconosciuti, le malattie cardiache
rare e la miopia inesistente. Non è la gente a essere diversa. Anche
loro camminano eretti, anche loro hanno un cuore e degli occhi.
Ma non sono sottoposti al tipo e alla quantità di stress che grava
sull'uomo occidentale.
È vero che lo stress è responsabile dei problemi alla bassa
schiena? Finora ho individuato il nesso solo nel caso di chi solleva
un oggetto pesante. Ma in molti casi lo spasmo alla bassa schiena
compare durante attività apparentemente innocue. Ci si china per
raccogliere un piccolo oggetto, ed ecco che compare lo spasmo alla
schiena. Non è un fenomeno infrequente. So di un caso in cui com­
parve mentre il soggetto dormiva. Si girò nel letto e il lieve movi­
mento fu sufficiente a far comparire lo spasmo. Ovviamente lo stress
non è sempre collegato all'azione che provoca lo spasmo. Ma è co­
munque presente in tutti i casi.
Nel caso di un giovane lo spasmo alla schiena comparve mentre
stava per andare a vivere con la sua ragazza. Era stato occupato col
trasloco per due giorni e ormai aveva quasi finito, quando si chinò
per raccogliere un libro e finì in ospedale. La realtà che emerse
quando lo vidi era che il trasloco aveva creatò in lui un conflitto.
Il suo rapporto con la ragazza era intenso, ma raramente scevro
da litigi, gelosie e incertezze. Aveva gravi dubbi sul passo che stava
per compiere e si sentiva sotto pressione, costretto a farlo per con­
servare il rapporto. La natura intervenne e il trasloco non fu mai
fatto. Aveva sentito di non poter voltare la schiena al rapporto,
206
Stress
'!
sesso
ed era stata invece la schiena ad essere messa fuori combattimento.
Sono convinto che fosse tutto Il. Lo stress era diventato intollera­
bile e la schiena era crollata.
Ci fu anche il caso di un'attrice che lavorava in uno show che
da tempo desiderava abbandonare. Non andava molto d'accordo
con il regista e con alcuni membri del cast. Inoltre le troppe prove
e le ore piccole l'avevano portata al limite dell'esaurimento. Voleva
abbandonare ma non poteva. Poi fece quella che si potrebbe chia­
mare una " mossa falsa" e fu fuori combattimento. Lasciò lo show,
ma fini in un letto d'ospedale. Il corpo l'aveva abbandonata. Anche
in questo caso lo stress era intollerabile.
La donna che ebbe lo spasmo alla schiena mentre dormiva stava
attraversando un periodo di forte tensione. Il giorno prima aveva
cominciato ad accusare disturbi alla schiena. Aveva trafficato in
casa tutto il giorno ma barcollava, non riusciva a star dritta. In
precedenza aveva avuto un attacco che l'aveva costretta a letto per
una settimana: i sintomi erano gli stessi. Eppure pensava: " Ap­
pena ho finito vado a casa e mi riposo, mi metto un po' giù " . Fini,
andò a casa e riposò un po', ma ovviamente non bastava. Quando
arrivò lo spasmo dovette stare a riposo per una settimana.
Perché è proprio la bassa schiena a dare forfait? Perché questa
regione è particolarmente vulnerabile allo stress? Perché nella bas­
sa schiena si incontrano due forze opposte che creano stress. Una
è la gravità - e tutte le pressioni che agiscono dall'alto, le esigenze
dell'autorità, del dovere, della colpa e i fardelli fisici e psicologici.
L'altra forza va verso l'alto, attraverso le gambe che sostengono
l'individuo nella sua postura eretta e nel suo sforzo di sostenere
le richieste e i pesi che lo opprimono. Queste due forze si incon­
trano nella regione lombosacrale. .
Per chiarire il concetto può essere utile analizzare lo stress del­
la gravità, che diventa insostenibile se si è costretti a stare in piedi
a lungo nella stessa posizione. La domanda allora è: " Per quanto
tempo possono reggerei le gambe? " Prima o poi devono crollare,
e in questo caso la schiena viene risparmiata. Il pericolo per la
schiena nasce quando le gambe non cedono. Allora cede la schiena.
Esiste uno stato particolare in cui il soggetto può stare immo­
bile per un tempo incredibile - un giorno, due o anche di più.
Fatto curioso, in questa condizione non cedono né le gambe né la
schiena. Mi riferisco alla catatonia, che è una modalità schizofre­
nica. Se si pensa alla catatonia ci si rende conto che è l'individuo
che ha ceduto - che cioè se n'è andato. Ho detto sopra che la
207
Bioenergetica
dissociazione è una delle possibili risposte a uno stress soverchiante.
Il catatonico è un essere dissociato. Lo spirito, o la mente, e il
corpo non sono più unificati. Il corpo si è trasformato in una sta­
tua. I catatonici assumono pose statuarie.
Le gambe sono naturalmente strutturate per affrontare lo stess,
non per venirne a capo ma per reagirvi. Questa capacità è una fun·
zione del ginocchio, la cui azione dà flessibilità al corpo. Il ginoc­
chio è deputato ad assorbire gli shock dell'organismo. Se la pres­
sione dall'alto è grande il ginocchio si flette; e quando la pressione
è insopportabile si piega e il soggetto cade.
Quando nella personalità è presente l'ansia di cadere le ginoc­
chia perdono questa funzione. L'individuo sta in piedi con le gi­
nocchia bloccate per rinforzarsi contro la pressione e tende i mu­
scoli delle gambe per farli funzionare come supporti rigidi. Ha
paura della flessibilità perché implica la capacità di cedere.
Se le gambe sono sciolte e flessibili la pressione dall'alto si tra­
smette alle gambe e si scarica al suolo. Ma quando una persona
blocca le ginocchia e irrigidisce le gambe contro la pressione, la
rigidità si estende verso l'alto e coinvolge l'osso sacro e la pelvi.
Tutta la pressione si localizza sull'articolazione lombosacrale, che
diventa vulnerabile alle offese.
Per illustrare quanto è stato detto userò tre figure semplificate
del corpo umano (vedi illustrazione a p . 209).
La figura sulla destra illustra una pastura abbastanza normale.
Le ginocchia sono piegate e la pelvi è libera - cioè non bloccata
in una posizione fissa. Questa pastura del corpo consente che la
pressione si trasmetta alle ginocchia, che assorbono lo stress. Se la
pressione è eccessiva le ginocchia cedono. Ma è raro che questo
accada. Chi assume questa pastura non ha paura di cadere, dunque
non ha nemmeno paura di mollare. Quando la pressione diventa
insopportabile abbandona la situazione. Lascia che crolli il rap·
porto prima che sia il suo corpo a crollare.
Il soggetto schematizzato nella figura centrale sta in piedi con
le ginocchia bloccate. In questo caso la parte inferiore del corpo,
pelvi compresa, funziona come una base rigida. Questa posizione
rivela che l'individuo è molto insicuro e ha bisogno del supporto
di una base rigida. Il risultato è che tutto Io stress si concentra
nella regione lombosacrale, costringendo i muscoli di questa zona
a diventare estremamente tesi. Siccome l'individuo è continuamen­
te sotto stress, qualsiasi tensione aggiuntiva di un certo rilievo può
sfociare nel crollo della schiena in questa regione. Un'altra cense-
208
Stress e sesso
guenza dello stato di contrazione dei muscoli lombosacrali è il lo­
gorio e lo sforzo eccessivo a cui sono sottoposti i legamenti e le
ossa delle articolazioni intravertebrali: a lungo andare ne può con­
seguire una condizione artritica.
Nella figura di destra la parte superiore della schiena è arcuata,
come per la necessità di portare continuamente un pesante fardello.
Le ginocchia sono flesse, ma ciò è compensato dall'avanzamento
STRESS
STRESS
STRESS
A
B
c
209
Bioenergetica
della pelvi. In questa postura tutta la schiena è crollata sotto lo
stress, che risparmia la regione lombosacrale. È la postura tipica
del carattere masochistico, che piuttosto di resistere alla pressione
vi si sottomette. In questo caso la bassa schiena viene protetta a
spese dell'intera personalità. Se l'individuo fa un violento sforzo
per resistere e reagire, la protezione vien meno. Quando questo
avviene (ad esempio nel corso della terapia) il soggetto prova ten­
sione alla bassa schiena. Avverto sempre i pazienti di questa even­
tualità. Tuttavia non si ha mai un disturbo acuto perché il paziente
è già impegnato negli esercizi bioenergetici intesi a liberare la pelvi
e a ridurre la tensione della regione lombosacrale.
È significativo che le ghiandole surrenali, che secernono gli or­
moni che mobilitano l'energia del corpo per reagire alle situazioni
di tensione, siano situate nella regione lombare, cioè sopra i reni,
contro la parete posteriore del corpo. Ciò consente loro di accer­
tare il grado di stress a cui è sottoposto il corpo. Non so come si
svolga questo processo: tuttavia sono convinto che non si tratti
di un'ubicazione puramente accidentale.
Ritengo che questa osservazione sia significativa perché dimo­
stra come il corpo sia organizzato in base a principi bioenergetici,
fatto che è confermato dall'ubicazione di un'altra importante ghian­
dola endocrina, la tiroide.
La tiroide regola il metabolismo, il processo mediante cui il
cibo viene ossidato per produrre energia. Si potrebbe dire che la
ghiandola tiroidea regola la produzione di energia e lo fa secernendo
un ormone, la tirossina, che circola nel sangue stimolando l'ossida­
zione dei metaboliti delle cellule del corpo. Una mancanza di tiros­
sina fa sentire pigri perché manca energia; un eccesso porta a
un'iperattività nervosa. L'ormone di per sé non produce energia,
che invece è determinata direttamente dalla quantità e dal tipo di
cibo che mangiamo, dalla quantità di aria che respiriamo e dai bi­
sogni energetici del corpo. L'ormone coordina produzione ed esi­
genze energetiche.
La ghiandola tiroidea circonda la trachea su tre lati appena
sotto la cartilagine tiroidea. È situata nella strettoia del collo, pro­
. prio come le ghiandole surrenali sono ubicate nella strettoia della
vita. E, come le ghiandole surrenali sono ubicate in modo da es­
sere sensibili allo stress, cosl la ghiandola tiroidea è ubicata in modo
da essere sensibile alla respirazione. Embriologicamente si sviluppa,
come i polmoni, come una tasca che fuoriesce dalla faringe. Que210
Stress e sesso
sto suggerisce che la secrezione di tirossina sia direttamente colle­
gata alla quantità di aria che viene respirata. La medicina conosce
da lungo tempo questa correlazione e se ne serve per misurare il
tasso di metabolismo basale. La misura della respirazione di una
persona per unità di tempo in stato di riposo fornisce un'indica­
zione della secrezione di tirossina. La medicina tuttavia non ha mai
pensato che la posizione della ghiandola avesse qualcosa a che fare
con questo rapporto. Io ritengo invece che questa posizione non
sia fortuita, ma che proprio grazie ad essa e alla sua origine em­
briologica la ghiandola partecipi e reagisca alla leggera espansione
e contrazione della trachea durante la respirazione e sia dunque
in grado di coordinare le attività metaboliche del corpo con la
quantità di ossigeno immessa.
Torniamo allo stress, alla regione lombosacrale e alla ghiandola
surrenale. È noto a tutti che John F . Kennedy soffriva di gravi
disturbi alla bassa schiena. Forse si ricorderà che aveva le spalle
squadrate e tenute molto alte, il che suggeriva che sù di esse por­
tasse pesanti responsabilità. Ma questo atteggiamento corporeo si
era sviluppato ben prima che entrasse nella vita pubblica. La sua
origine va ricercata nelle esperienze infantili. Una volta che l'atteg­
giamento divenne strutturato nel corpo, lo predisponeva ad accet­
tare delle grosse responsabilità, al di là di quanto potessero co­
stargli in termini personali. Kennedy era un uomo di questo tipo.
Era anche affetto dal morbo di Addison, che consiste nella perdita
quasi completa del funzionamento della ghiandola surrenale dovuto
all'esaurimento della ghiandola stessa. A mio avviso questo può
verificarsi se una persona è stata sottoposta a uno sttess continuo,
che prima ha dato origine a un'iperattività della ghiandola e in
seguito al suo esaurimento.
Lo stress ha un'influenza negativa sulla salute fisica ed emotiva
di una persona. Siccome viviamo in tempi estremamente carichi di
tensioni, dobbiamo imparare a proteggere il nostro corpo e la no­
stra mente dai suoi effetti nocivi. Per ridurre la vulnerabilità allo
stress occorre lavorare sulle difese fisiche e psichiche contro l"' ab­
bandono" e scioglierle. Non è certo un compito facile in una cul­
tura che valuta straordinariamente il successo e la riuscita, la capa­
cità di arrivare in cima e di rimanerci. Il nostro io non è abbastanza
forte per accettare il fallimento, cosl costringiamo il corpo a sop­
portare situazioni dannose per la salute. Alla fine il successo è tem­
poraneo e vacuo, perché il corpo crolla per azione dello stress con­
tinuo. Ma la paura del fallimento è tale che, fino al crollo finale,
211
Bioenergetica
l'io resiste e rifiuta di arrendersi al corpo. A livello profondo il
fallimento viene identificato con questa capitolazione. In tutti i casi
la terapia deve analizzare accuratamente le difese dell'io.
Inoltre, gli elementi fisici o strutturali del corpo che bloccano
la capacità di abbandono devono essere lavorati in maniera coe­
rente. La terapia bioenergetica impiega due gruppi di esercizi per
aiutare il soggetto a entrare in contatto e a diminuire le tensioni
muscolari che impediscono la scarica dell'eccitazione o dello stress.
Il primo gruppo comprende tutti gli esercizi che mirano a fondare
l'individuo tramite le gambe e a fargli superare l'ansia di cadere
o di fallire. Ho descritto sopra alcuni di questi esercizi e ne ripar­
lerò. Il secondo gruppo ha lo scopo specifico di liberare la pelvi
e di aprire i sentimenti sessuali. Alcuni di questi verranno descritti
nel paragrafo seguente che tratta della scarica sessuale. Da quanto
ho detto sopra dovrebbe essere chiaro che se la pelvi è immobile
e viene tenuta in una posizione rigida e fissa la pressione prove­
niente dall'alto non può scendere e scaricarsi nelle gambe. Allora
lo stress si concentrerà nella regione lombosacrale, con le conse­
guenze che abbiamo visto.
L'elemento fondamentale perché sia possibile svolgere un la­
voro efficace sulla parte inferiore del corpo è la flessibilità del gi­
nocchio. Le ginocchia bloccate impediscono all'eccitazione e ai sen­
timenti di fluire attraverso le gambe e nei piedi. Uno dei primi
ordini che vengono impartiti nella terapia bioenergetica è perciò :
" Tenga sempre le ginocchia flesse" . Ci sono pochi altri imperativi
simili, ad esempio quello di lasciar cadere le spalle e di non tirare
in dentro o contrarre i muscoli dell'addome. Questi semplici ac­
corgimenti possono fare molto per promuovere una migliore respi­
razione e incrementare il flusso delle sensazioni: li raccomandiamo
a tutti coloro che desiderano avere un corpo più vivo e più pronto
a reagire. Sono necessari per contrastare i dettami della nostra
cultura: " Spalle indietro, petto in fuori, pancia in dentro " . L'obiet­
tivo è chiaramente quello di aiutare a star dritti, ma di fatto co­
stringe ad assumere un atteggiamento rigido.
È noto che quando si solleva un oggetto pesante è importante
tenere le ginocchia flesse. Altrimenti si rischia uno spasmo alla
bassa schiena. Ho sentito gridare " ginocchia flesse ! " durante una
partita di calcio fra professionisti; tra l'altro chi corre ali 'indietro
con le ginocchia rigide perde potenza e può farsi male seriamente.
Bene, perché allora lo stesso non dovrebbe valere per tutti quando
212
Stress e sesso
stiamo m piedi, dato che si tratta di una posizione che provoca
stress?
I pazienti che normalmente tengono le ginocchia bloccate rife­
riscono che all'inizio la posizione pare innaturale e dà a volte un
senso di insicurezza. Ma le ginocchia bloccate creano solo un'illu­
sione di sicurezza, e flettendo le ginocchia è proprio l'illusione che
svanisce. Dapprima per sviluppare l'abitudine di tenere le ginocchia
flesse bisogna applicare un'attenzione cosciente. Ci si può eserci­
tare sotto la doccia, lavando i piatti o mentre si aspetta che il sema­
foro diventi verde. Dopo un po' ci si sente rilassati nella nuova
posizione: pare addirittura innaturale e goffo stare in piedi con le
ginocchia bloccate. Si acquisisce consapevolezza delle gambe e del
proprio modo di stare in piedi. Magari si sente di più la stan­
chezza: ma, invece di combatterla, la si accetta e si riposa.
Il passo successivo prevede che si ottenga una certa vibrazione
nelle gambe, intesa a ridurre la rigidità. La vibrazione è il modo
naturale di scaricare la tensione muscolare. Quando ci si lascia
andare il corpo vibra come una molla non più tesa. Le gambe sono
simili a delle molle: quando le teniamo tese troppo a lungo si irri­
gidiscono e si induriscono, perdendo la loro elasticità.
Ci sono vari modi di far vibrare le gambe. L'esercizio usato più
comunemente in bioenergetica è la posizione china in avanti con
le mani che toccano il suolo e le ginocchia leggermente flesse. Ho
già descritto questo esercizio parlando del grounding. Viene sem­
pre usato dopo che il soggetto è stato sullo sgabello da respirazione
e dopo che ha eseguito la posizione dell'arco.
Nel trattamento dei disturbi alla bassa schiena faccio alternare
la posizione dell'arco e la posizione china in avanti, lasciando che
il paziente si fletta all'indietro o in avanti quanto più gli è possibile
senza provare troppo dolore. Questa alternanza aiuta a sciogliere
la muscolatura della bassa schiena: se però il soggetto si sta ripren­
dendo da un episodio acuto alla schiena l 'esercizio dovrebbe essere
graduale. Poi, quando la schiena è relativamente libera dal dolore,
consiglio di farlo sdraiare sul pavimento con le reni appoggiate a
una coperta arrotolata. Può essere una posizione dolorosa. Si invita
il soggetto ad abbandonarsi al dolore e a non irrigidirsi per con­
trastarlo. Se riesce a farlo i muscoli della schiena si lasciano andare.
Ma non bisogna forzare o spingere troppo né questo né nessun
altro esercizio, perché si finirebbe col creare proprio la tensione
che si sta cercando di ridurre. Quando il paziente riesce ad eseguire
questo esercizio con facilità, dopo averlo fatto si sdraia sullo sga-
213
Bioenergetica
bello da respirazione con la pressione applicata alla bassa schiena.
Lo sgabello viene posto accanto al letto, in modo che il paziente
vi possa appoggiare il capo. Anche in questo caso lo si invita ad
abbandonarsi al dolore, a rilassarsi. Appena si lascia andare sco·
prirà che il dolore sparisce.
L'ostacolo maggiore al superamento di un disturbo alla bassa
schiena è la paura, la paura del dolore. Dobbiamo aiutare i pazienti
a superare questa paura se vogliamo che si liberino completamente
dal dolore. La paura crea tensione e la tensione genera dolore. Può
formarsi un circolo vizioso che non ha altra via d'uscita che l'inter­
vento chirurgico, che per parte mia non consiglio mai perché non
agisce sulla tensione muscolare che è alla radice del disturbo. Stec­
care la schiena può servire a eliminare il dolore riducendo la moti­
lità della parte, ma conosco persone che hanno sublto più opera­
zioni di questo tipo senza trarne vantaggi significativi. Queste stes­
se persone hanno fatto progressi notevoli con la terapia bioener­
getica.
Reinstaurando la motilità della bassa schiena si può eliminare
il dolore. Ma per poterlo fare bisogna prima lavorare sulla paura.
Questi pazienti non hanno solo paura del dolore fisico; hanno
paura anche di ciò che esso comporta - perché il dolore è un
segnale di pericolo. Temono che la schiena si spezzi per davvero,
come emerge quando si sdraiano appoggiando la parte bassa della
schiena allo sgabello. Se chiedo di che cosa hanno paura quando
cominciano a provare dolore, la risposta è invariabilmente questa:
"Ho paura che mi si spezzi la schiena " .
Nella mia lunga esperienza non è mai successo che qualcuno
si facesse male alla schiena durante gli esercizi bioenergetici, se li
eseguiva correttamente. Eseguirli .correttamente significa non usarli
per forzare una breccia in un problema ma per entrare in contatto
con esso a livello corporeo. Non bisogna mai spingere un esércizio
oltre il punto di pericolo, che viene raggiunto quando il soggetto
ha paura. Quando ciò avviene occorre analizzare la paura. Si pos­
sono fare domande del tipo: " Come le è venuta l'idea che la sua
schiena possa spezzarsi? " , e " Che cosa potrebbe causare la rottura
della schiena? " Prima o poi il paziente riesce ad associare questa
paura con una situazione infantile. Per esempio può ricordare le
parole di un genitore: " Se ti prendo ti spezzo la schiena " . È la
minaccia che si rivolge a un bambino ribelle: significa che il padre
o la madre vuole spezzare lo spirito del bambino o la spina dorsale
della sua resistenza. Il bambino può reagire alla minaccia irrigi-
214
Stress e sesso
dendo la schiena come a dire: " Non puoi spezzarmi " . Ma una volta
che la rigidità della schiena è diventata cronica la paura di rompersi
si struttura nel corpo ed entra a far parte delle sue difese.
Non sempre occorre una minaccia verbale esplicita per dar ori­
gine a una schiena rigida. È più frequente che, in presenza di un
aperto conflitto di volontà, il bambino irrigidisca coscientemente
la schiena per mantenere la propria integrità. In ogni caso comun­
que l'irrigidimento della schiena denota una resistenza inconscia,
il tentativo di trattenersi dal cedere o dall'abbandonarsi. Se è vero
che questo controllo ha un aspetto positivo, cioè la conservazione
dell'integrità, significa però anche trattenersi dal bisogno, dal desi­
derio e dall'amore. La rigidità blocca la capacità di cedere al pianto
e l'abbandono al desiderio sessuale. Quando una persona piange
diciamo anche che prorompe in lacrime o in singhiozzi. La paura
di rompersi è fondamentalmente una paura di crollare, di cedere e
di arrendersi. Solo per mezzo delle associazioni il paziente arriverà
a capire da dove proviene la paura.
Una persona non può rompersi a meno che non sia in trappola,
come lo sono i bambini nel rapporto con i genitori. I pazienti non
sono in questa posizione. A ogni paziente vien detto che è libero
di fare o di non fare un esercizio e che può desistere in qualsiasi
momento. Ma i pazienti - e in genere la maggior parte delle per­
sone - si sentono presi nella trappola della rigidità e delle tensioni
muscolari croniche e proiettano questo sentimento nei rapporti. Gli
esercizi non vanno mai fatti in modo coatto, per evitare che la sen­
sazione di essere in trappola aumenti. Andrebbero visti come un
mezzo per sentire che cosa succede nel proprio corpo e perché suc­
cede. Non possiamo permetterei di vivere con la sensazione che se
non siamo prudenti la vita ci spezzerà, perché allora ciò accadrà
sicuramente.
Ho detto che ci sono vari modi per far sì che le gambe vibrino.
L'esercizio forse più semplice consiste nel far sdraiare il paziente
supino sul letto facendogli stendere in alto le gambe. Se le caviglie
sono flesse e i talloni spinti verso l'alto, la tensione esercitata sui
muscoli posteriori delle gambe in genere le fa vibrare.
La vibrazione del corpo ha un'altra importante funzione oltre
a quella di rilasciare la tensione. Consente di sentire e di apprez­
zare i movimenti involontari del corpo che sono un'espressione del­
la sua vita, della sua forza vibrante. Chi ne ha paura perché ri­
tiene di dover possedere ad ogni istante il pieno controllo di se
215
Bioenergetica
stesso è destinato a perdere la spontaneità e a diventare un automa,
un individuo rigido e legato.
Mi si consenta di essere ancora più esplicito. I movimenti invo­
lontari del corpo sono l'essenza della vita. Il battito del cuore, il
ciclo della respirazione, i movimenti peristaltici dell'intestino sono tutte azioni involontarie. Ma anche a livello del corpo nel
suo complesso questi movimenti sono i più significativi! Abbiamo
le convulsioni dal ridere, piangiamo di dolore o di tristezza, tre­
miamo di rabbia, saltiamo dalla gioia, balziamo per l'eccitazione e
sorridiamo di piacere. Queste azioni, poiché sono spontanee, non
volute o involontarie, ci muovono in maniera profonda, ricca di
significato. E la più piena, la più soddisfacente di queste risposte
involontarie è l'orgasmo in cui la pelvi si muove spontaneamente
e tutto il corpo si agita convulsamente nell'estasi della scarica .
La scarica sessuale
Una scarica sessuale soddisfacente scarica l'eccitazione in ecces­
so del corpo, riducendone notevolmente il livello complessivo di
tensione. Nel sesso l'eccesso di eccitazione si concentra sull'appa­
rato genitale e si scarica nel climax. L'esperienza di una scarica
sessuale soddisfacente lascia un senso di calma, di rilassamento,
e spesso sopraggiunge il sonno. L'esperienza di per sé è estrema­
mente piacevole e appagante. Può far pensare: "Ah! Allora è que­
sta la vita. Sembra così bello, così giusto " .
Questo implica che ci sono esperienze o incontri sessuali che
non sono soddisfacenti e che non portano a una simile conclusione.
Si può avere un contatto sessuale insoddisfacente in cui l'eccita­
zione cresce ma non raggiunge un climax e non viene scaricata.
Se ciò accade si genera spesso uno stato di frustrazione, di irre­
quietezza e di irritabilità. Ma l'assenza del climax non produce
necessariamente frustrazione. Quando il livello di eccitazione ses­
suale è basso, il mancato raggiungimento del climax non disturba
il corpo. Può creare infelicità a livello psichico se il fallimento viene
visto come un segno di impotenza. Ma si può evitare questo di­
sagio psichico riconoscendo che l'assenza del climax era dovuta al
basso livello di eccitazione sessuale; in questo caso il contatto ses­
suale, se avviene fra due persone che si vogliono bene, può essere
già di per sé piacevole.
Inoltre non tutti i climax sono pienamente soddisfacenti. Ci
216
Stress e sesso
sono scariche parziali in cui si sfoga solo una frazione di eccita­
zione. Si potrebbe parlare di soddisfazione parziale, se non fosse una
contraddizione in termini. Il termine " soddisfazione " denota com­
pletezza o pienezza. Ma nei sentimenti simili contraddizioni pos­
sono esistere e di .fatto esistono. Si può essere soddisfatti con un
80 per cento di scarica se è questo il meglio che si è stati in grado
di raggiungere: infatti nelle sensazioni entrano in gioco dei fattori
psichici, che le modificano. Una donna che non abbia mai avuto
il climax durante l'atto sessuale, quando lo raggiunge lo troverà
appagante e soddisfacente indipendentemente dal grado di scarica.
Possiamo descrivere una sensazione solo confrontandola con un'e­
sperienza precedente; in questo caso il paragone è molto favorevole.
Ho evitato fin qui la parola " orgasmo" perché è un termine
abusato e spesso malinteso. Dire, con Albert Ellis, che "un orga­
smo è un orgasmo" è un gioco di parole. Ellis assimila l'orgasmo
al climax : ma sbaglia, perché non fa distinzione fra i diversi gradi
di scarica e di soddisfazione. Come tutti dovrebbero sapere, a li­
vello di sentimenti e di vissuto non esistono due rapporti sessuali
identici. Nessun orgasmo è uguale a un altro. Le cose e gli avveni­
menti sono uguali solo quando l'affettività è assente. Là dove en­
trano in gioco i sentimenti ogni esperienza è unica.
Reich usava il termine " orgasmo" in un senso particolarissimo
per riferirsi al completo abbandono all'eccitazione sessuale, con il
coinvolgimento totale del corpo nei movimenti convulsi della sca­
rica. A volte questo orgasmo si verifica ed è un'esperienza estatica.
Ma, come riconosceva lo stesso Reich, è anche decisamente raro.
Una totalità di risposta a qualsiasi situazione è insolita nella nostra
cultura. Siamo tutti troppo carichi di conflitti per poterei abban­
donare pienamente a qualsiasi sensazione.
Penso che il termine " orgasmo" dovrebbe essere limitato allo
sfogo sessuale che è accompagnato da movimenti piacevoli, spon­
tanei, convulsi e involontari del corpo e della pelvi e che viene
vissuto come soddisfacente. Quando nella sensazione della scarica
e dello sfogo è coinvolto solo l'apparato genitale l'esperienza è
troppo limitata perché la si possa chiamare orgasmo . Dovrebbe es­
sere descritta nell'uomo come eiaculazione e nella donna come
climax. Per qualificarsi come orgasmo la scarica si deve estendere
ad altre parti del corpo - per lo meno alla pelvi e alle gambe e dovrebbero comparire dei movimenti piacevoli e involontari.
L'orgasmo dovrebbe essere un'esperienza che muove e commuove.
Se tutto il corpo e l'essere dell'individuo si muovono spontanea-
217
Bioenergetica
mente, e specialmente se il cuore risponde, allora si ha un orgasmo
completo. È quello che tutti speriamo di raggiungere nell'attività
sessuale.
Un orgasmo, che sia completo o parziale in termini di coinvol­
gimento fisico, scarica tensione nelle parti che reagiscono attiva­
mente. Ma la scarica non è permanente. Nella vita quotidiana siamo
continuamente sottoposti a stress, dunque le tensioni possono rifor­
marsi. Solo una vita sessuale soddisfacente - e non un'esperienza
isolata - può contribuire a tener basso il livello di tensione del
corpo.
Non voglio creare una mistica dell'orgasmo, anche se ritengo
che abbia un'importanza fondamentale. Ma non è l'unico modo di
scaricare la tensione e nemmeno dovrebbe essere usato cosciente­
mente a questo scopo. Non si piange per scaricare la tensione; si
piange perché si è tristi, e tuttavia il pianto è uno dei modi fonda­
mentali per liberare la tensione. Anche se l'orgasmo completo è il
meccanismo di scarica più soddisfacente ed efficace, ciò non significa
che il sesso senza un orgasmo di questo tipo o l'unione sessuale
senza climax sia vuota di significato e di piacere. Pratichiamo il
sesso per piacere e questo deve essere il criterio principale del no­
stro comportamento sessuale. Voglio solo sottolineare che l'orga­
smo pieno è più piacevole, al punto di poter raggiungere il livello
dell'estasi. Ma siccome il grado di piacere dipende dalla quantità
di eccitazione preliminare, che si sottrae al controllo e alla volontà,
dobbiamo essere felici di provarlo qualunque ne sia il livello.
Il problema di molti è che nel loro corpo le tensioni sono così
profondamente strutturate che è raro avvenga la scarica orgasmica.
Movimenti piacevoli e convulsi fanno troppa paura, l'abbandono è
una minaccia troppo grande. Checché ne dicano, molti hanno paura
e sono incapaci di abbandonarsi alle sensazioni sessuali intense.
Eppure molti pazienti all'inizio della terapia affermano di avere
una vita sessuale soddisfacente, di essere appagati e di non avere
problemi. In alcuni casi non hanno elementi di confronto e imma­
ginano che il sesso si esaurisca nel poco piacere che provano. In
altri casi ingannano se stessi. È soprattutto l'io maschile ad eri­
gere delle forti difese negando qualsiasi sentimento di inadegua­
tezza sessuale. Con il progredire della terapia ambedue i tipi de­
scritti prendono coscienza dell'inadeguatezza della propria vita ses­
suale. Ciò avviene grazie all'esperienza di una scarica sessuale più
appagante e soddisfacente.
In tutti i casi, comunque, il corpo del soggetto rivela il vero
218
L
Stress e sesso
stato del suo funzionamento sessuale. Chi ha il corpo relativamente
libero da grosse tensioni, respirando sul letto apposito manifesta
il riflesso orgasmico. Ho descritto questa reazione corporea nel
primo capitolo parlando della mia terapia personale con Reich.
Ma trattandosi di un punto importante, desidero comunque ripren·
derlo.
Il soggetto giace sul letto con le ginocchia piegate in modo che
la pianta dei piedi sia a contatto con il letto e piega il capo all'in­
dietro in modo, per così dire, da toglierlo di mezzo. Le braccia sono
appoggiate ai lati del corpo. Se la respirazione è agevole e profonda
e nessuna tensione muscolare blocca le onde respiratorie nel loro
passaggio attraverso il corpo, la pelvi si muove spontaneamente ad
ogni respiro. Si solleva con l'espirazione e cade all'indietro con
l'inspirazione. Il capo si muove nella direzione inversa, verso l'alto
con l'inspirazione e all'indietro con l'espirazione. La gola invece
con l'espirazione si sposta in avanti. Si vedano a questo proposito
le figure che seguono.
ESPIRAZIONE - MOVIMENTO IN AVANTI DELLA PELVI
i
INSPIRAZIONE - MOVIMENTO ALL'INDIETRO DELLA PELVI
Reich descrisse il riflesso come un movimento in cui le due
estremità del corpo si riuniscono. Il capo però non prende parte
a questo movimento in avanti, ma cade all'indietro (vedi figura a
p . 220) . Si osservi la figura e si immagini che anche le braccia siano
219
Bioenergetica
protese verso l'alto: il movimento può essere descritto come un'a­
zione di circondare o di racchiudere. Assomiglia all'azione di
un'ameba che fluttua intorno a una particella di cibo per circon­
darla e inglobarla. Il movimento è ben più primitivo di quello di
succhiare, in cui è la testa a svolgere il ruolo dominante. L'atto
SCARICA ==
RIFLESSO ORGASMICO
POSIZIONE
AD ARCO
RIFLESSO ORGASMICO = RILASSAMENTO DALLA POSIZIONE DELL'ARCO
di succhiare è collegato all'inspirazione. Quando si inala l'aria il
capo si sposta in avanti, la gola e la pelvi all'indietro.
Questo movimento viene chiamato riflesso orgasmico perché si
verifica in tutti i casi di orgasmo completo. Anche nell'orgasmo
parziale compaiono dei movimenti pelvici involontari, ma il corpo
non vi si abbandona per intero. Una cosa dovrebbe essere chiara:
il riflesso orgasmico non è un orgasmo. Si verifica quando il livello
dell'eccitazione è basso ed è un movimento leggero. Viene vissuto
come una piacevole sensazione di libertà e di sollievo interiore e
denota l'assenza di tensione nel corpo.
Lo sviluppo del riflesso orgasmico nella situazione terapeutica
non garantisce che il paziente abbia orgasmi completi nel rapporto
sessuale. Le due situazioni sono radicalmente diverse. Nel sesso il
livello di eccitazione è molto elevato, dunque l'abbandono è più
difficile. Il soggetto deve imparare a tollerare questo livello elevato
di eccitazione senza diventare teso o ansioso. Un'altra differenza sta
in questo: la situazione terapeutica è studiata per dare appoggio
al paziente: il terapista è lì per lui. Invece nell'atto sessuale il
partner è coinvolto personalmente e ha delle esigenze rispetto al
rapporto. Tuttavia è vero che chi è incapace di abbandonarsi al
riflesso nell'atmosfera protettiva della situazione terapeutica diffi­
cilmente riuscirà a farlo nel!'atmosfera più carica del! 'incontro ses­
suale.
Per questa ragione la terapia bioenergetica non dà al riflesso
orgasmico la stessa importanza che vi attribuiva Reich. Non che
non sia importante o che la terapia non miri a farlo sviluppare,
ma altrettanta importanza deve essere attribuita alla capacità del
220
Stress e sesso
paziente di trattare lo stress, in modo che il riflesso possa funzio­
nare anche nella situazione sessuale. A questo scopo si cerca di far
fluire la carica nelle gambe e nei piedi, facendo così assumere al
riflesso una qualità diversa.
La carica, salendo dal suolo alla pelvi, aggiunge un elemento
aggressivo a un'azione tenera. Desidero sottolineare immediata­
mente che aggressivo non significa sadico, duro o avido. Significa
forte, in un senso positivo. Nella teoria della personalità il termine
aggressività indica la capacità di perseguire i propri scopi. È l'op­
posto della passività, che indica l'attesa che altri soddisfi il bisogno.
Nel mio primo libro 3 postulavo due istinti, chiamati desiderio
e aggressione. Il desiderio è associato con l'Eros, l'amore e la te­
nerezza. È caratterizzato dal movimento di eccitazione lungo la
parte frontale del corpo che viene percepito come dotato di una
qualità tenera, erotica. L'aggressività risulta dal flusso di eccita­
zione che percorre il sistema muscolare, specialmente i grossi mu­
scoli della schiena, delle gambe e delle braccia. Questi muscoli
servono a stare in piedi e a muoversi. Il significato originario della
parola " aggressione" è " muoversi verso" , azione che dipende dal
funzionamento di questi muscoli.
Sia per l'uomo sia per la donna l'aggressione è una componente
essenziale dell'atto sessuale. In assenza di aggressione il sesso si
riduce a sensualità, a stimolazione erotica senza climax od orgasmo.
Non c'è aggressione se non c'è un oggetto verso cui muoversi:
un oggetto d'amore nel sesso, un oggetto fantasioso nella mastur­
bazione.
Vorrei sottolineare ancora che l'aggressione non ha necessaria­
mente un intento ostile. L'intenzione del movimento può essere
sia di amore sia di ostilità: è il movimento stesso ad essere ag­
gressivo.
L'aggressività è anche la forza che ci permette di affrontare lo
stress, di resistervi e di venirne a capo. Se ordinassimo le diverse
strutture caratteriologiche in base all'ammontare di aggressività
disponibile in ciascuna di esse avremmo una replica della gerarchia
dei tipi illustrata sopra. L'aggressività del carattere psicopatico, per
esempio, è una pseudoaggressività. Non è diretta verso ciò che
l'individuo vuole, ma verso la dominanza. Una volta raggiunto il
potere lo psicopatico diventa passivo. D'altra parte il masochista
3 LoWEN, The Physical Dynamics o/ Character Structure, cit.; trad. it. Il linguaggio
del corpo, Feltrinelli, Milano, 1978.
221
Bioenergetica
non è passivo come sembra. La sua aggressività è nascosta ed esce
allo scoperto solo nei piagnistei e nei lamenti. La passività del ca­
rattere orale è in gran parte dovuta allo scarso sviluppo muscolare.
Il carattere rigido è iperaggressivo per compensare il senso di fru­
strazione interiore.
Ora che possiede una base razionale per comprendere il feno­
meno dell'aggressività nel sesso, la terapia deve aiutare il paziente
a sviluppare la propria aggressività sessuale, che nell'uomo come
nella donna si esprime nella forte spinta della pelvi. Si noti che
uso l'espressione " spingere " al posto di quella di " protendersi"
usata per descrivere il riflesso.
Ci sono tre modi di muovere in avanti la pelvi. La si può tirare
in avanti contraendo i muscoli addominali, ma questo movimento
ha l'effetto di tendere la parte frontale del corpo e di escludere le
sensazioni tenere ed erotiche che scorrono nell'addome. Nel lin­
guaggio del corpo ciò rappresenta un protendersi senza sentimento.
La si può spingere in avanti da dietro contraendo i muscoli delle
natiche. Questa azione tende il pavimento pelvico e limita la sca­
rica all'apparato genitale. Sono questi i modi comuni di muovere
la pelvi nell'atto sessuale. I pazienti fanno lo stesso movimento in
terapia quando viene loro richiesto di spostarla in avanti.
Il terzo modo di muovere in avanti la pelvi è quello di premere
in giù sul suolo coi piedi. Questa azione fa muovere la pelvi in
avanti se le ginocchia sono flesse. Poi, quando si molla la pressione
sul suolo, la pelvi ricade all'indietro. Questa azione dipende dalla
capacità di dirigere l'energia nei piedi. In questo tipo di movimento
pelvico tutto lo sforzo è nelle gambe. La pelvi è libera da tensioni
e oscillazioni, non viene tirata né spinta.
La dinamica energetica di questo movimento è illustrata nelle
figure di p. 223, che raffigurano tre movimenti fondamentali del
corpo umano in relazione al terreno : camminare, alzarsi e spinta
pelvica. Il principio che sottostà a queste azioni è già stato espresso
in precedenza: si tratta del principio di azione e reazione. Se si
preme sul suolo, il suolo preme di rimando e il soggetto si muove.
Lo stesso principio opera nei missili. L'energia scaricata all'estre­
mità del missile lo spinge in avanti. Ecco come funziona questo
principio nelle tre azioni elencate sopra.
Camminare : i piedi sono divaricati (a uria distanza di circa
quindici centimetri), le ginocchia flesse e il corpo eretto. Si sposta
il peso sulla parte anteriore dei piedi. Si preme in giù il piede
destro, si solleva il sinistro e lo si sposta in avanti. Scaricando il
222
Stress e sesso
tallone destro si farà un passo avanti sul piede sinistro. Ripetere
questo processo un piede dopo l'altro è camminare.
A.
c.
B.
s
D
STAR FERMI
D
PREMERE IN Giù
MUOVERSI
IN AVANTI
Alzarsi: si assume la stessa posizione, ma con le ginocchia più
flesse. Si sposta il peso sulla punta dei piedi e si preme in giù.
Questa volta però non si solleva il piede sinistro e non si scarica
il peso dei talloni. Se i talloni mantengono il contatto con il suolo
ALZARSI
l
l
A. FERMI
GENUFLESSI
B. CHINARSI
IN AVANTI
C. ALZARSI
223
Bioenergetica
non si riesce a muoversi in avanti. Siccome la forza risultante
dall'azione di premere verso il basso deve avere un qualche effetto,
ci si troverà a raddrizzare le ginocchia e ad alzarsi in posizione ben
eretta.
Spinta pelvica : si assume la stessa posizione adottata per al­
zarsi. Si ripete lo stesso processo del secondo esercizio ma non si
lascia che le ginocchia si raddrizzino. Se si tengono le ginocchia
piegate non ci si alza e se i talloni rimangono attaccati al suolo non
si va avanti. L'unico movimento possibile è la spinta in avanti della
DINAMISMO PELVICO
A. STAR FERMI
PESO IN AVANTI
B. MOVIMENTO
IN AVANTI
DELLA PELVI
pelvi. Se si tiene la pelvi bloccata ci si troverà in una situazione
isometrica in cui la forza agisce sulla muscolatura senza che però
possa verificarsi nessun movimento. Se la tensione alle gambe im­
pedisce alla forza risultante di fluire verso l'alto e se vi sono delle
tensioni che bloccano la pelvi e le impediscono di muoversi libe­
ramente, il movimento non potrà verificarsi.
Le tensioni presenti nell'area pelvica possono essere liberate
mediante una serie di esercizi oppure massaggiando i muscoli te­
si. Palpando un muscolo teso si sente come un nodo o una corda
in tensione. Spero di poter presentare molti degli esercizi che usia­
mo in bioenergetica in uno studio separato, che sarà una specie di
manuale di esercizi bioenergetici. Questo libro si propone di for­
nire una visione del rapporto intimo che lega personalità e corpo.
224
Stress e sesso
Una variante dell'ultimo esercizio, che viene impiegato per li­
berare la pelvi, comprende anche la caduta. Lo descriverò qui, nel
caso che uno dei lettori desiderasse provarlo (figura sotto) .
SGABELLO O SEDIA
COPERTA
Si prende posizione davanti a uno sgabello o a una sedia, che
bisogna toccare appena, quel tanto che basta per tenersi in equili­
brio. I piedi sono a distanza di quindici centimetri e le ginocchia
quasi completamente flesse. Si butta il corpo in avanti fino ad
avere i talloni leggermente sollevati dal suolo. A questo punto il
peso dovrebbe essere sulla parte anteriore dei piedi, ma non in
punta. Il corpo dovrebbe essere arcuato all'indietro e la pelvi por­
tata in avanti senza sforzo a formare un arco continuo, senza frat­
ture. In questo esercizio è importante premere in giù ambedue
i talloni, ma senza lasciare che tocchino il pavimento. Per impe­
dire che ciò avvenga ci si inclina in avanti e si tengono le ginoc­
chia flesse. La pressione sui talloni arresta il movimento in avan­
ti; le ginocchia flesse impediscono di sollevarsi.
225
Bioenergetica
Si invita il soggetto a restare in questa posizione finché ci rie­
sce, senza che però diventi una prova di volontà o di resistenza.
La respirazione deve essere addominale ma non forzata. L'addo­
me viene tenuto all'infuori, la pelvi sciolta. Quando non si rie­
sce più a mantenere questa posizione si cade in avanti in ginoc­
chio sulla coperta.
In questo esercizio non è necessario applicare volontariamente
nessuna pressione, perché c'è già la forza di gravità ad applicare
una pressione verso il basso: essendo un'azione piuttosto forte i
muscoli delle cosce, se sono tesi, faranno male. Quando il dolo­
re diventa insopportabile si cade. In genere, prima di cadere, le
gambe cominciano a vibrare. Se la respirazione è profonda e ri­
lassata e ci si mantiene sciolti, la vibrazione si estende alla pelvi,
che si muoverà involontariamente avanti e indietro. Faccio esegui­
re questo esercizio due o tre volte e man mano i movimenti vibra­
tori si intensificano. Mi è stato anche detto che questo esercizio è
molto utile per chi pratica lo sci.
Gli esercizi sono importanti perché danno un diverso senso
del proprio corpo e aiutano a prendere coscienza dei blocchi e
delle tensioni, favorendo la comprensione delle proprie paure e
delle proprie ansie. La paura espressa più comunemente dai pa­
zienti è che, se si abbandonano alle sensazioni sessuali, rischiano
di essere usati. All'origine di questa paura c'è spesso un genitore
o una figura parentale, in genere del sesso opposto. L' " essere usa­
ti" può riferirsi a una gamma molto varia di peccati, che può an­
dare dal rapporto sessuale fra genitore e figlio al fatto che uno dei
genitori traesse semplicemente piacere o ricevesse una certa carica
dalla sessualità del bambino. È la paura specifica che va individua­
ta, con il metodo analitico o in altri modi. In alcuni casi l'impiego
dell'esercizio della caduta basta a farla emergere.
Una giovane donna stava in piedi su una sola gamba flessa e
guardava la coperta: quando pensò al fatto di cadere vide l'imma­
gine di un pene. La sua paura di cadere equivaleva alla paura del­
l'abbandono sessuale - alle sue stesse sensazioni. L'immagine del
pene le fece venire in mente il padre. Era sadico, disse. "Mi schiaf­
feggiava e mi umiliava. Girava per casa nudo senza nessun riguar­
do per i miei sentimenti. " La cosa che la disturbava di più, aggiun­
se, era il suo sguardo. "Mi spogliava con gli occhi. "
L'elaborazione era inutile. Capivo il suo problema e simpatiz­
zavo con lei. Non aveva altro modo di difendersi se non quello di
escludere le sensazioni sessuali. L'unico sistema per farlo era quel-
226
Stress e sesso
lo di ritrarsi nella parte superiore del corpo. Per farlo doveva con­
trarre il diaframma e tendere addome e pelvi. Il risultato fu lo svi­
lupparsi dell'ansia di cadere.
Ma l'ansia di cadere non era l'unica conseguenza di questa
azione difensiva. Quando una persona subisce un insulto o un'in­
giuria, la reazione naturale è di rabbia. Solo quando la rabbia è
bloccata o inibita dalla paura il soggetto assume una posizione di
difesa. La collera inibita si trasforma in ostilità e negatività. Ora
l'individuo si sente colpevole e la pastura difensiva finisce per es­
sere diretta contro i suoi stessi sentimenti negativi e ostili, come
contro ogni ulteriore insulto o ingiuria. Perciò non è sufficiente
che il soggetto realizzi e accetti il fatto c;li non essere più vulnera­
bile al tipo di insulto o di ingiuria di cui aveva fatto esperienza da
bambino. Questa presa di coscienza non avrà nessuna influenza
sostanziale sulla pastura difensiva, perché la difesa ha un'altra
funzione - cioè quella di nascondere l'ostilità.
Nel terzo pllpitolo ho osservato che i due strati esterni della
personalità, le difese dell'io e l'armatura muscolare, funzionano
da monitor e da controllo sullo strato emozionale, o Es. Tutti gli
individui nevrotici o psicotici hanno paura dell'intensità dei pro­
pri sentimenti, in specie di quelli negativi. Ho spiegato che occor­
re dar sfogo o espressione a questi sentimenti prima che il senti­
mento centrale di amore possa fluire liberamente e pienamente ver­
so il mondo. Ìl opportuno che lo sfogo avvenga nella situazione te­
rapeutica, per impedire che i sentimenti vengano agiti su una per­
sona innocente. Nella terapia bioenergetica si incoraggia sempre
l'espressione di tali sentimenti ogni volta che sono appropriati ri­
spetto alla situazione terapeutica immediata. Le cose stavano sen­
z'altro così per la paziente appena citata, che aveva descritto il pa­
dre come un individuo sadico che la umiliava. Prima che si possa
abbandonare positivamente ai sentimenti sessuali bisogna consen­
tirle di abbandonarsi al loro aspetto negativo.
Ci si renderà senz'altro conto che questa paziente, o qualun­
que altra donna che abbia subito un trauma simile, ha sentimenti
ambivalenti nei confronti degli uomini. La ragazza, la donna ama
gli uomini, padre compreso, ma la bambina che è stata ferita, umi­
liata da un uomo li odia tutti. In una parte della sua personalità
vorrebbe far loro quello che loro hanno fatto a lei - ferirli e umi­
liarli. Da bambina non osava esprimere questi sentimenti e non
osa farlo nemmeno adesso che è adulta. Sa anche che questi senti­
menti sono distruttivi per qualsiasi rapporto come lo sono stati
227
Bioenergetica
per lei. � un vicolo cieco, da cui la terapia deve aiutarla a uscire.
L'unico modo per farlo è di fornirle la possibilità di dar sfogo ai
sentimenti negativi.
Ci sono molti esercizi adeguati per questo scopo. Uno consi·
ste nel dare alla paziente una salvietta di spugna da torcere con le
mani. La salvietta può rappresentare una qualsiasi persona . In
questo caso poteva essere il padre, l'attuale boyfriend o io stesso,
comunque un rappresentante dell'odiato sesso maschile. Mentre
torce la salvietta la paziente può dire tutte le cose che le piacereb­
be o le sarebbe piaciuto dire al padre o a qualsiasi altro uomo.
" Sei un bastardo. Ti odio. Mi hai umiliata, ti disprezzo. Potrei tor­
certi la testa e staccartela dal corpo ; non potresti più guardarmi
con quegli occhi morbosi. " È ovvio che la salvietta può anche rap­
presentare il pene. Torcendolo la donna può scaricare una gran
parte della propria ostilità contro di esso.
Questo non è un esercizio di routine. Ha valore solo quando
segue la rivelazione di un'esperienza traumatica da parte del pa­
ziente. Tali esperienze non devono necessariamente essere sessua­
li. L'esercizio può essere usato per liberare qualsiasi sentimento di
ostilità o di rabbia provocato da un'ingiuria o da un insulto.
Un esercizio specificamente sessuale, e che dunque in questo
contesto sarebbe più appropriato, è il seguente: il paziente si met­
te sul letto sostenendosi con i gomiti e con le ginocchia e punta
i piedi sul materasso. È la posizione comune del maschio nell'atto
sessuale. Adesso il paziente, maschio o femmina, picchia la pelvi
contro il letto con una forte spinta. Eventualmente può anche
emettere dei suoni. Se vengono usate le parole saranno necessaria­
mente basse, sadiche, offensive e volgari.
Quando il paziente si lascia andare in questo esercizio prova un
gran senso di sollievo. Finalmente butta fuori il rospo, e in un
modo non distruttivo né per se stesso né per altri. La volgarità è
appropriata, perché l'azione mira a umiliare l'altro, ma il sogget­
to si sente pulito come se si fosse lavato le mani sporche. Il senti­
mento pulito che esce è la rabbia, una rabbia pulita contro la per­
sona che ha inflitto l'offesa. La rabbia può anche essere espressa
colpendo il letto con una racchetta da tennis . Il colpo non è umi­
liante né punitivo, ma afferma il diritto del paziente ad essere ri­
spettato come individuo e rafforza il suo rispetto per se stesso.
Nessuno può rispettare se stesso se non è capace di arrabbiarsi o
non si arrabbia per un insulto o un'offesa personale.
Ogni volta che si dà sfogo a un sentimento ostile o negativo
228
Stress e sesso
l'ansia di cadere diminuisce. Lo stesso si dica per ogni valida
espressione di collera. Tuttavia queste manovre non bastano per
eliminare l'ansia di cadere. Ora esiste a pieno diritto come una
paura che deve essere affrontata e presa di petto. Non è con le pa­
role che si impara a lasciarsi andare senza paura: si impara fa­
cendolo. In questo processo si impara anche a difendere il rispet­
to di se stessi e la propria sessualità contro tutti quanti, terapista
compreso.
Desidero aggiungere che gli esercizi non scaricano solo i sen­
timenti repressi, ma anche le tensioni muscolari. La caduta libera
le gambe dallo sforzo di doversi tener su per paura di cadere.
L'oscillaziòne della pelvi (il movimento all'indietro serve a libera­
re le tensioni muscolari associate a un sadismo anale represso) ri­
duce le tensioni muscolari ai fianchi e al cinto pelvico. Gli eser­
cizi di torcere la salvietta e di colpire il letto hanno effetti analoghi
su altre parti del corpo.
Questi sono esercizi tipici di autoespressione. Non sono gli
unici impiegati in bioenergetica e nemmeno sono limitati ai senti­
menti negativi, ostili, di collera. Le azioni di protendersi per cer­
care contatto, di toccare teneramente e di tenere vengono impie­
gate per esprimere affetto e desiderio. Nel prossimo capitolo par­
lerò della natura dell'autoespressione e descriverò alcuni dei meto­
di che usiamo per trattare i problemi ad essa collegati. Ma per
chiudere l'argomento sono necessarie ancora due considerazioni.
L'accento posto sulla necessità di buttar fuori i sentimenti ne­
gativi si basa sul fatto clinico che chi non sa dire di no non sa
neanche dire di sì. È importante perciò che, quando è opportuno,
una persona sappia esprimere un sentimento di ostilità o di rab­
bia. Nel mio libro Pleasure: A Creative Approach to Life ho ap­
profondito le implicazioni filosofiche di questo concetto. Sarebbe
poco realistico pensare che la personalità umana sia per natura sol­
tanto positiva. È positiva verso la vita, ma negativa verso ciò che
è contrario ad essa. Alcuni però confondono le due cose. Nel mon­
do esistono tutte e due le forze ed è ingenuo cercare di negarlo.
Se si è in grado di distinguerle si capirà che anche alla negatività
spetta un posto nel comportamento umano.
L'accento apparentemente esagerato posto sull'espressione cor­
porea può indurre il lettore a credere che nella terapia bioenergeti­
ca le parole siano prive d'importanza. Per il mio lavoro questo
certamente non è vero, ma mi riservo di parlarne nell'ultimo ca­
pitolo. Non credo sia vero che il nostro approccio attribuisca trop-
229
Bioenergetica
pa importanza all'espressione corporea: sono le altre terapie piut­
tosto che la ignorano. Se le parole non possono sostituire il movi­
mento corporeo, è però altrettanto vero che quest'ultimo non può
prendere il posto del linguaggio. Ambedue le cose hanno il pro­
prio posto nella terapia come nella vita. Molti miei pazienti incon­
trano difficoltà ad esprimersi in modo adeguato a livello verbale.
Come qualsiasi altro terapista, lavoro con loro su questo proble­
ma. Ma tutti i miei pazienti hanno difficoltà ad esprimersi piena­
mente a livello corporeo ed è su questo problema che si concen­
tra essenzialmente la bioenergetica. Ho anche scoperto che il pro­
blema corporeo sottende il problema verbale, pur non essendo
identico ad esso. E più facile parlare fluentemente del sesso che
fluire in esso.
230
Capitolo nono
Autoespressione e sopravvivenza
Autoespressione e spontaneità
L'autoespressione è costituita dalle attività libere, naturali e
spontanee del corpo e, come l'autoconservazione, è una qualità
inerente a tutti gli organismi viventi. Ogni attività del corpo, dal­
le più comuni come camminare e mangiare alle più sofisticate co­
me cantare e ballare, contribuisce all'autoespressione. Il modo di
camminare, per esempio, non solo definisce una persona come es­
sere umano (nessun altro animale cammina come l'uomo), ma ne
definisce anche il sesso, l'età approssimativa, la struttura del ca­
rattere e l'individualità. Non ci sono due persone che camminino
in modo esattamente uguale, abbiano esattamente lo stesso aspet­
to o si comportino esattamente allo stesso modo. Una persona
esprime se stessa in ogni azione e in ogni movimento del corpo.
Le azioni e i movimenti del corpo non sono le sole modalità
di autoespressione. La forma del corpo, i suoi colori, i capelli, gli
occhi, i suoni identificano la specie e l'individuo. Possiamo rico­
noscere un leone o un cavallo da una fotografia in cui non com­
paiono né azioni né movimenti. Anche i suoni e gli odori identifi­
cano sia la specie che l'individuo.
Dalla definizione risulta evidente che l'autoespressione non è
in genere un'attività cosciente. Possiamo esprimere noi stessi con­
sapevolmente o essere consapevoli della nostra autoespressione.
Ma, che ne siamo o meno coscienti, esprimiamo sempre noi stessi.
Da questo fatto conseguono due punti importanti. Uno è che il sé
non è limitato al sé cosciente e non è identico all'io. Il secondo è
che non dobbiamo far niente per esprimerci. Facciamo un'impres­
sione sugli altri con il semplice esserci, e a volte li colpiamo di più
231
Bioenergetica
non facendo niente che cercando di esprimerci. In quest'ultimo ca­
so rischiamo di dar l'impressione di avere un bisogno disperato di
essere riconosciuti. E l'autoespressione può essere inibita dalla
consapevolezza di noi stessi.
È la spontaneità, non la consapevolezza, la qualità essenziale
dell'autoespressione. In uno scritto non pubblicato, The Creative
Attitude [ L'atteggiamento creativo ] , Abraham Maslow scrive:
La piena spontaneità è una garanzia di espressione onesta della natura
e dello stile dell'organismo che funziona liberamente e della sua unicità. Le
due parole, spontaneità ed espressività, implicano onestà, naturalezza, since­
rità, assenza di scaltrezza, di imitazione, eccetera, perché implicano anche la
non strumentalità del comportamento, l'assenza di " tentativo " volontario,
di sforzo e tensione forzata, di interferenza con il fluire degli impulsi e la
libera espressione radioattiva del profondo della persona .
È interessante notare che la spontaneità deve essere definita in
termini negativi, come assenza di " sforzo volontario " , " mancanza
di scaltrezza'', " mancanza di interferenza " . La spontaneità non
può essere insegnata. Non si impara ad essere spontanei e perciò
la terapia non lo può insegnare. Siccome lo scopo della terapia è
di aiutare una persona a diventare più spontanea e più capace di
esprimere se stessa, il che a sua volta genera un maggiore senso
di sé, lo sforzo terapeutico dovrebbe proporsi di rimuovere le bar­
riere e i blocchi che ostacolano l'autoespressione. Ma per farlo ac­
corre conoscerli. È questo il significato dell'approccio bioenergeti­
co al problema dell'inibizione dell'autoespressione.
Un confronto fra comportamento spontaneo e comportamento
appreso chiarisce il rapporto del primo con l'autoespressione. In
genere il comportamento appreso riflette ciò che è stato insegnato
e dovrebbe perciò essere considerato un'espressione dell'io o del
super-io, ma non del sé. Questa distinzione tuttavia non può es­
sere applicata rigorosamente perché il comportamento in genere
contiene elementi sia appresi che spontanei. Il parlare è un buon
esempio. Le parole che usiamo sono risposte apprese; ma il discor­
so è qualcosa di più delle semplici parole e frasi: comprende l'in­
flessione, il tono, il ritmo e i gesti, che sono in gran parte sponta­
nei e unici, aggiungono colore al discorso e ricchezza all'espressio­
ne. D'altra parte nessuno si farebbe sostenitore di un modo di par­
lare che distorca il comune significato dei termini e ignori le re­
gole della grammatica per amore della spontaneità. La spontaneità
separata dal controllo dell'io è caos e disordine, anche se a volte si
232
Autoespressione e sopravvivenza
può trovare un senso nei balbettii dei bambini e nei borbottii de­
gli schizofrenici. Un equilibrio adeguato fra controllo dell'io e
spontaneità permette che un impulso venga espresso nella forma
più efficace e sia nel contempo tutto pervaso della vita dell'indi­
viduo.
Mentre un'azione spontanea è espressione diretta di un impul­
so e dunque manifestazi·one diretta del sé interiore, non sempre
l'agire impulsivo è autoespressione. Nel comportamento reattivo
c'è un aspetto che è solo apparentemente spontaneo, in quanto è
condizionato e predeterminato dalle esperienze precedenti. Chi va
su tutte le furie ogni volta che viene frustrato può dare un'impres­
sione di spontaneità: ma la qualità esplosiva della reazione lo
smentisce. L'esplosione deriva dal blocco degli impulsi, dietro a
cui si crea un accumulo di energia che una lieve provocazione ba­
sta a scatenare. Il comportamento reattivo deriva da un'" interfe­
renza con il fluire degli impulsi" ed è espressione di una situa­
zione di blocco all'interno dell'organismo. A volte tuttavia nella
situazione controllata della terapia può essere opportuno incorag­
giare simili reazioni esplosive al fine di rimuovere dei blocchi pro­
fondamente strutturati.
A volte la bioenergetica viene criticata proprio per questa po­
sizione. Molti terapisti assumono ingenuamente che la violenza
non possa trovare nessuna giustificazione razionale all'interno del
comportamento umano. Mi chiedo come si reagirebbe allora di
fronte a una minaccia alla propria vita. Molti miei pazienti negli
anni dell'infanzia avevano avuto una simile minaccia sospesa sul
capo. È irrilevante domandarsi se la minaccia sarebbe giunta o me­
no a compimento. l bambini non possono permettersi di fare si­
mili distinzioni. La loro risposta immediata e autenticamente spon­
tanea è violenta . Là dove questa reazione viene bloccata o inibita
per paura di una rappresaglia si costituisce la condizione interiore
del comportamento reattivo. Le rassicurazioni e l'amore non ba­
stano a sciogliere il blocco: possono farlo solo appoggiando il pa­
ziente nel suo diritto di scaricare la propria violenza nella situa­
zione controllata della terapia, senza che egli la agisca nella vita
quotidiana.
Il piacere è la chiave dell'autoespressione. Ogni volta che ci
esprimiamo in maniera autentica proviamo un piacere che può es­
sere lieve ma può anche giungere all'estasi nell'atto sessuale. Il
piacere dell'autoespressione non dipende dalla risposta dell'am­
biente; l'autoespressione è piacevole in sé. Vorrei che il lettore
233
Bioenerget;ca
pensasse al piacere che prova ballando: capirà quanto il piacere
di esprimersi sia indipendente dalle reazioni degli altri. Non voglio
con ciò dire che una risposta positiva da parte del prossimo sia
priva di valore: anzi, le reazioni altrui fanno diminuire o aumen­
tare il piacere che proviamo. Ma non lo creano. Non si pensa agli
altri quando si canta facendo la doccia, eppure è un'attività au­
toespressiva e piacevole.
Naturalmente, cantare come ballare, è un'azione autoespressi­
va. Ma perde parte di questa qualità quando diventa una perfor­
mance - cioè quando manca, anche solo in parte, l'impulso spon­
taneo. L'io può trarre piacere dalla performance, ma quando l'ele­
mento di spontaneità è basso diminuisce in proporzione anche il
piacere. Fortunatamente una performance di questo tipo esercite­
rebbe poca attrattiva sul pubblico e ci sarebbe perciò la tendenza
a non ripeterla. Lo stesso vale per qualsiasi altra attività: parlare,
ballare, scrivere, cucinare, eccetera. La sfida posta all'artista è co­
me mantenere un livello elevato di performance senza perdere la
spontaneità che dà vita e piacere alla sua attività.
Nelle situazioni in cui si può essere liberamente spontanei sen­
za pensare coscientemente all'espressione, l'esperienza del piacere
è molto elevata. Il gioco dei bambini ha questa qualità. Nella
maggior parte delle nostre azioni c'è un misto di spontaneità e di
controllo: il controllo conferisce più concentrazione, più effetto
alle azioni. Il piacere è al massimo quando controllo e spontaneità
si armonizzano in modo da completarsi a vicenda invece di ostaco­
larsi. L'io e il corpo collaborano per produrre una coordinazione
di movimento che non può che essere definita piena di grazia.
Il buon aspetto del nostro corpo ci dà piacere perché esprime
chi siamo. Invidiamo chi ha dei bei capelli, occhi luminosi, denti
bianchi, carnagione trasparente, buona postura, maniere aggrazia­
te e cosl via. Sentiamo che sono fonte di piacere per questa perso­
na e che lo sarebbero anche per noi. Una delle tesi della bioener­
getica sostiene che la salute e la vitalità del corpo si riflettono nel
suo aspetto esteriore. Buon aspetto e buoni sentimenti e sensa­
zioni vanno insieme.
La spontaneità è una funzione della motilità del corpo. Un
corpo vivente non è mai a riposo, nemmeno nel sonno. Ovviamen­
te le funzioni vitali non si arrestano mai, ma molti altri movimen­
ti involontari continuano nel sonno. Sono più frequenti quando
siamo svegli e attivi e variano di qualità e di intensità con il varia­
re del grado di eccitazione. È risaputo che i bambini si eccitano
234
Autoespressione e sopravvivenza
a tal punto da saltare letteralmente Negli adulti movimenti invo­
lontari costituiscono la base dei gesti, delle espressioni facciali e
di altre azioni corporee. In genere non siamo consci di questa atti­
vità che ci esprime anche di più delle nostre azioni coscienti. Ne
consegue che un organismo è tanto più capace di esprimere se stes­
so quanto maggiore è la sua motilità.
La motilità di un corpo è direttamente collegata al suo livello
energetico. Per muoversi occorre energia. Quando il livello di
energia è basso o depresso la motilità risulta necessariamente di­
minuita. Energia e autoespressione sono collegate da una linea di­
retta: energia -+ motilità -+ sentimenti -+ spontaneità -+ auto­
espressione. Questa sequenza opera anche all'inverso. Se la capa­
cità di autoespressione di un individuo è bloccata la sua sponta­
neità è ridotta. La riduzione della spontaneità abbassa il tono del­
le sensazioni, che a sua volta fa calare la motilità del corpo e ne
deprime il livello energetico. Adolf Portmann, un biologo di pri­
mo piano interessato all'autoespressione degli animali, è giunto nei
suoi studi a una conclusione analoga: " Una ricca vita interio­
re [ .. . ] dipende in gran parte da [ . . .] quel grado di individualità
che va di pari passo con una ricca modalità di autoespressione " .
La frase di Portmann suggerisce l'interrelazione fra tre elemen­
ti della personalità: vita interiore, espressione esteriore e indiviINDIVIDUALITÀ
PERSONALITÀ
VITA
INTERIORE
AUTOESPRESSIONE
235
Bioenergetica
dualità. Questi aspetti sono come gli angoli di un triangolo, tutti
e tre indispensabili perché la figura geometrica conservi la pro­
pria forma.
Quando l'autoespressione è limitata o bloccata la si può com­
pensare proiettando un'immagine dell'io. Il modo più comune di
farlo è il ricorso al potere e l'esempio migliore di questa proiezione
fu Napoleone. Invecchiando divenne anche più piccolo, il capo gli
si rattrappl incassandosi nelle spalle. Lo chiamavano il " piccolo
caporale " , ma la sua immagine giganteggiava sull'Europa. Fu un
imperatore e maneggiò un grande potere. Non posso far altro che
interpretare un tale bisogno di potere come il riflesso di un senso
di inferiorità a livello del sé e dell'espressione di sé. Se Napoleo­
ne avesse potuto cantare e ballare forse non avrebbe avuto biso­
gno di guidare eserciti attraverso paesi e paesi per conquistare un
senso di sé che dubito abbia mai raggiunto. Il potere crea solo
un'immagine più vasta, non un sé più grande.
Un altro esempio di compensazione è quello di chi ha biso­
gno di una casa grande, di una macchina costosa o di una barca
vistosa per superare un senso di piccolezza interiore. Ciò che è pic­
colo è la portata dell'autoespressione. Costui può essere ricco di
soldi - perché questa è la sua ambizione - ma resta povero
nella vita interiore (spirito) e nel modo di esprimere se stesso.
In bioenergetica ci concentriamo su tre principali aree di auto­
espressione: movimento, voce e occhi. Normalmente le persone si
esprimono simultaneamente attraverso tutti e tre i canali di co­
municazione. Se siamo tristi, per esempio, gli occhi piangono, la
voce singhiozza e il corpo può essere percorso da tremiti. Anche la
rabbia si esprime nel movimento del corpo, nella voce e nello
sguardo. Escludendo o bloccando anche uno solo di questi canali
indeboliamo e frammentiamo l'emozione e la sua espressione.
Nelle pagine precedenti ho descritto alcuni degli esercizi e dei
sistemi che impieghiamo per ridurre la tensione muscolare e li­
berare la motilità del corpo. Ora vorrei dire qualche parola su al­
cuni movimenti espressivi che vengono usati in terapia allo stesso
scopo. Invitiamo i pazienti a tirare calci, a colpire il lettino, a pro­
tendersi cercando contatto, a toccare, succhiare, mordere e cosl
via. Sono pochi i pazienti che sanno eseguire questi movimenti
con grazia e sentimento. Le loro azioni sono coordinate o esplo­
sive. È raro che sappiano combinare i movimenti con un'adegua­
ta espressione verbale e degli occhi per renderli più espressivi. I
blocchi che si oppongono a questi movimenti espressivi riducono
236
Autoespressione e sopravvivenza
la mobilità del corpo e la spontaneità della persona. Tali blocchi
possono essere sciolti solo lavorando su questi movimenti.
I calci sono un buon esempio . Scaldare significa protestare.
Siccome alla maggior parte degli individui da bambini è stato ne­
gato il diritto di protestare, da adulti non sanno tirare calci con
convinzione o sortendo un reale effetto. Hanno bisogno di essere
provocati e solo allora si scaricano, ma in maniera esplosiva. Se
non c'è provocazione scaldano a casaccio e in modo scoordinato.
A volte dicono: "Non ho nessun motivo di tirare calci " . Ma que­
sta è una negazione, perché nessuno sarebbe in terapia se ritenesse
che nella sua vita non c'è niente per cui protestare.
Scaldare stando sul letto, una gamba dopo l'altra, è un'azione
rapida a cui, se è ben fatta, partecipa tutto il corpo. Le tensioni
in una qualsiasi parte del corpo interferiscono con questa rapidi­
tà. Le gambe possono muoversi, per esempio, ma il capo e il tron­
co sono immobili. In questo caso il movimento delle gambe è for­
zato e non c'è spontaneità. Diciamo che il soggetto ha paura di
abbandonarsi all'azione. Benché l'azione venga iniziata volontaria­
mente, quando il soggetto vi si lascia andare essa assume una qua­
lità spontanea e involontaria e diventa piacevole e soddisfacente.
L'uso della voce mentre si scalda - ad esempio per dire di no accresce il coinvolgimento e la scarica. Lo stesso vale per gli al­
tri movimenti espressivi menzionati sopra.
Ho scoperto che per liberare il movimento e dunque far sì
che le sensazioni possano fluire uniformemente nell'azione è ne­
cessario che i pazienti ripetano più volte questi esercizi di scalda­
re, colpire, mordere, toccare. Ogni volta che scaldano o colpisco­
no il letto, per esempio, imparano ad abbandonarsi più pienamen­
te al movimento, permettendo che una porzione maggiore del cor­
po senta l'azione. Nella maggior parte dei casi è necessario far no­
tare al paziente come si freni dall'abbandonarsi al movimento. Ad
esempio un paziente tende le mani verso di me ma si trattiene con
le spalle, senza rendersi conto di inibire l'azione finché non glielo
faccio notare. Colpire il letto con i pugni o con una racchetta da
tennis è un'azione relativamente semplice, eppure sono pochi quel­
li che la sanno fare bene. Non si distendono abbastanza, non arcua­
no la schiena, bloccano le ginocchia, tutti movimenti che impedi­
scono loro di mettersi per intero nell'azione. Ovviamente l'atto
di colpire per la maggior parte dei bambini era tabù. L'eliminazio­
ne psicologica del tabù nel presente non aiuta molto, dato che es­
so è ormai strutturato nel corpo sotto forma di tensione cronica.
237
Bioenergetica
Ma con la pratica questa azione diventa più coordinata ed effica­
ce e i pazienti cominciano a provar piacere ad eseguire l'esercizio
- segno questo che hanno aperto una nuova area di autoespres­
swne.
Ho sempre ritenuto che la terapia richieda un doppio approc­
cio - uno focalizzato sul passato, l'altro sul presente. Il lavoro
sul passato è il lato analitico, che sottolinea il perché del compor­
tamento, delle azioni e dei movimenti di una persona. Il lavoro sul
presente accentua il come, come si agisce e ci si muove. Per la mag­
gior parte degli animali la coordinazione e l'efficacia di azione e
di movimento sono delle qualità apprese nel corso del gioco infan­
tile. Ma quando il bambino ha problemi emotivi questo appren­
dimento non avviene in modo completo e naturale. È per questo
che, in una certa misura, ogni terapia comprende un programma
di riapprendimento e di riabilitazione. A mio avviso la terapia non
dovrebbe essere un processo in cui i due aspetti - analisi e ap­
prendimento - si escludano l'un l'altro, ma una combinazione
razionale di ambedue.
Suono e personalità
La parola " personalità " ha due radici. La prima è persona,
cioè la maschera che l'attore portava sulla scena e che definiva il
suo ruolo. In un senso perciò la personalità è condizionata dal
ruolo che un individuo assume nella vita o dalla faccia che presen­
ta al mondo. Il secondo significato è l'esatto opposto del primo.
Se dividiamo la parola " persona " nelle parti che la compongono,
per sona, abbiamo un'espressione che significa " attraverso i suo­
ni " . In base a questo significato la personalità si riflette nel suono
di un individuo. Una maschera è una cosa inanimata e non può
trasmettere, come fa la voce, la qualità vibrante di un organismo
vivente.
Si potrebbe dire: " Non badate alla maschera, ma ascoltate il
suono se volete conoscere una persona " . In parte è un consiglio
saggio. Ma sarebbe un errore ignorare la maschera. Il suono non
ci dice sempre - benché in alcuni casi lo faccia - qual è il ruolo
adottato da una persona. C'è un particolare modo di parlare che
può essere identificato con i ruoli. I predicatori, gli insegnanti, i
servi e i sergenti hanno dei modi caratteristici di parlare che li
identificano con la loro professione. La maschera influenza e mo-
238
Autoespressione e sopravvivenza
difica la voce. Ma vi sono nella voce elementi che la maschera non
sempre tocca e che ci danno informazioni diverse sulla personalità.
Non ho dubbi che una voce ricca sia una ricca modalità di au­
toespressione e denoti una ricca vita interiore. Penso che a volte
tutti abbiamo questa sensazione riguardo a una persona: pur non
essendo supportata da studi obiettivi, è una sensazione valida.
Che cosa intendiamo per voce ricca? Il fattore essenziale è la pre­
senza di foni armonici alti e bassi che le conferiscono pienezza di
suono. Un altro fattore è la gamma. Una persona che parla su un
solo tono ha una gamma espressiva molto limitata, che tendiamo
a identificare con una personalità limitata. Una voce può essere
piatta, senza profondità o risonanza, può essere bassa quasi man­
casse di energia, oppure esile e senza corpo. Ciascuna di queste qua­
lità ha un certo rapporto con la personalità dell'individuo.
La voce è così strettamente legata alla personalità che è possi­
bile diagnosticare la nevrosi di una persona in base all'analisi del­
la sua voce. Raccomando un'attenta lettura del testo di Pau! Mo­
ses, The Voice of Neurosis [La voce della nevrosi ] / a chiunque
desideri capire il rapporto fra voce e personalità. Lo studio della
voce è progredito a tal punto da poter essere usato per scoprire
quando una persona mente. È un metodo più sottile della rileva­
zione di bugie basata sul riflesso psicogalvanico della pelle, ma il
principio è simile. Quando una persona dice una bugia la sua voce
ha una monotonia che può essere rilevata mediante uno strumen­
to. Questa monotonia, in quanto differenziata dalla voce normale
del soggetto, rivela che è stato bloccato o trattenuto l'impulso di
dire la verità.
Il nuovo rivelatore di bugie è noto come PSE, o Psychologi­
cal Stress Evaluator. Allan D. Beli, presidente della società che di­
stribuisce lo strumento, ne descrive come segue il funzionamento:
" Nei muscoli del corpo umano, mentre vengono usati, sono con­
tinuamente presenti dei tremiti fisiologici. Ma sotto stress il tre­
mito diminuisce. Anche i muscoli della voce presentano sia questi
tremiti, sia l'effetto di stress. Impiegando l'apparecchio elettroni­
co che abbiamo studiato potete esaminare una registrazione della
voce per osservare cosa succede a questi tremiti. La misura del
tremito è inversamente proporzionale alla quantità di stress psico­
logico a cui è sottoposto il soggetto ".
1 PAUL M . MosEs, The Voice of Neurosis, Grune and Stratton, New York, 1954.
239
Bioenergetica
I tremiti sono ciò che io chiamo vibrazioni. L'assenza di vibra­
zioni indica la presenza di stress o di un freno, nel corpo o nella
voce. In quest'ultima provoca una perdita di risonanza. I rapporti
sono i seguenti : stress = freno = perdita di vibrazioni = mo­
notonia di affetti o sentimenti.
Non sono un'autorità nel campo della voce, ma come psi­
chiatra vi presto molta attenzione. La uso non solo - nei limiti
delle mie capacità - a scopo diagnostico, ma anche a scopo tera­
peutico. Se una persona deve recuperare il suo pieno potenziale
di autoespressione è importante che acquisisca il pieno uso della
voce in tutti i suoi registri e in tutte le sue sfumature affettive. Il
blocco di un qualsiasi sentimento influisce sull'espressione vocale.
Perciò è necessario sbloccare i sentimenti, che è poi quello di cui
abbiamo parlato finora ; ma è necessario anche lavorare specifica­
mente sulla produzione del suono per eliminare le tensioni presenti
nella regione dell'apparato vocale.
Per capire il ruolo della tensione dei disturbi della produzione
del suono dobbiamo considerare ognuno dei tre elementi che en­
trano in gioco ndla creazione del suono: il flusso d'aria sotto pres­
sione che agisce sulle corde vocali per produrre una vibrazione, le
corde vocali -che funzionano come strumenti vibratori e le cavità
di risonanza che aumentano il volume del suono. Le tensioni che
interferiscono con la respirazione, specialmente quelle presenti nel­
la regione del diaframma, si riflettono in qualche forma di distor­
sione della qualità della voce. In un grave stato di ansia, ad esem­
pio, in cui il diaframma vibra, la voce diventa molto incerta. In
genere le corde vocali di per sé sono prive di tensioni croniche,
ma una sollecitazione acuta influisce anche su di esse dando origine
alla raucedine. Le tensioni della muscolatura del collo e della gola,
che sono abbastanza comuni, influiscono sulla risonanza della voce,
producendo suoni di testa o di petto. La voce naturale è la risul­
tante di diverse combinazioni di questi toni, che variano a seconda
dell'emozione. Questa combinazione darebbe una voce equilibrata.
La mancanza di equilibrio nella voce indica chiaramente la pre­
senza di un problema della personalità. Moses, che è specialista in
otorinolaringoiatria, descrive due casi da lui trattati. Ecco le sue
parole:
Un paziente di venucmque anni aveva una voce acuta e infantile che
gli causava notevole imbarazzo. Le corde vocali erano del tutto normali,
adatte dunque a produrre una sana voce baritonale, e di fatto poteva can­
tare da baritono. Però parlava in falsetto. Un altro paziente, un giovane av-
240
Autoespressione e sopravvivenza
vocato, lamentava una raucedine cronica. Nella produzione della voce usava
una quantità esagerata di registri di petto. Aveva un padre illustre, che
svolgeva un ruolo di primo piano nella vita della contea, e quindi doveva
dimostrarsi all'altezza di un ideale elevato. Di conseguenza forzava il tono
della voce per creare un'illusione che mascherasse l'insuccesso nell'identifi­
cazione con l'immagine paterna. Analogamente, il falsetto persistente dell'al­
tro paziente poteva essere ricollegato al suo tenersi attaccato alle sottane
della madre. 2
Moses non descrive il trattamento di questi problemi, ma dal­
l' analisi riportata è evidente che tenne conto anche della storia dei
pazienti. " In ambedue i casi dovevano ritornare sui propri passi,
reimparare la lezione della loro giovane età adulta. " Sono certo che
tutti gli analisti o terapisti potrebbero riportare molti esempi della
loro attività in cui una riuscita elaborazione di un problema della
personalità diede come risultato anche un arricchimento della voce.
John Pierrakos ha descritto uno dei sistemi bioenergetici che
adotta nei casi di blocco vocale per aprire e liberare i sentimenti
repressi che vi stanno dietro.
Uno dei sistemi che usiamo per trattare direttamente questi problemi
consiste nel mettere il pollice della mano destra circa tre centimetri sotto
l'angolo della mascella, mentre il dito medio viene messo nella posizione
corrispondente dall'altro lato del collo. Si afferrano i muscoli scaleno e ster­
nocleidomastoideo e vi si applica una pressione costante mentre il paziente
vocalizza con note alte e tenute. Lo stesso processo viene ripetuto varie
volte al punto mediano e alla base del collo, con diversi registri di voce.
Spesso ne risulta un grido disperato che si sviluppa in profondi singhiozzi,
in cui si sentono un coinvolgimento e un abbandono autentici. La tristezza
si esprime in movimenti clonici e tutto il corpo vibra di emozione. La voce
diventa viva e pulsante e il blocco alla gola si apre. Colpisce scoprire che
cosa si cela dietro alla facciata della voce stereotipata. Una giovane donna
che affettava una voce acuta da adolescente, recitando con il padre il ruolo
della bambina, proruppe in una voce melodiosa e matura da donna. Dopo
la scarica, un uomo con una voce piatta e asciutta cambiò il registro per
assumere una profonda voce maschile, che era una sfida nei confronti del
" padre oppressivo " . Fui profondamente commosso quando una paziente
schizoide che si nascondeva dietro a una voce dal suono sinistro e secco,
dopo aver aperto i blocchi alla gola si mise a cantare un canto melodioso e
straziante come una bambina di sei annP
Poiché la voce è così strettamente legata ai sentimenti, la sua
liberazione comporta la mobilitazione di sentimenti repressi e la
1
Ibid., p. 47.
3 }OHN C. PIERRAKOS, The Voice and Feeling in Self-Expression, Institute for Bioener­
getic Analysis, New York, 1969, p. 1 1 .
241
Bioenergetica
loro espressione nel sonno. Ci sono diversi suoni per i diversi sen­
timenti. La paura e il terrore si esprimono in un grido, la collera
in un tono alto e acuto, la tristezza con una voce profonda e sin­
ghiozzante, il piacere e l'amore in suoni morbidi e tubanti. In ge­
nerale si può dire che una voce acuta indica la presenza di un
blocco delle note profonde che esprimono tristezza; una voce bassa,
di petto, indica la negazione del sentimento di paura e l'inibizione
della sua espressione in un grido. Tuttavia non si può assumere a
priori che chi parla con voce apparentemente equilibrata non limiti
la propria espressione vocale. Per questa persona l'equilibrio può
rappresentare una forma di controllo e di paura di lasciarsi andare
dando voce a emozioni intense.
Nella terapia bioenergetica si sottolinea continuamente l'impor­
tanza di lasciar uscire i suoni. Le parole hanno meno importanza
(pur non essendone del tutto prive). I suoni migliori sono quelli
che emergono spontaneamente. Descriverò due dei procedimenti
che permettono di evocarli.
Tutti i bambini nascono con la capacità di strillare. È l'atto
che dà inizio alla respirazione indipendente del neonato. Il vigore
di questo primo strillo dà in un certo senso la misura della vitalità
del bambino: alcuni strillano vigorosamente, altri debolmente. Ma
presto quasi tutti imparano a piangere forte. Non molto tempo
dopo la nascita imparano anche a strillare. Lo strillo è una delle
principali forme di scarica della tensione dovuta a paura, rabbia o
a una frustrazione intensa. Molti usano gli strilli a questo scopo.
Qualche anno fa, a Boston, partecipai a una trasmissione aperta
al pubblico. Un'ascoltatrice telefonò per chiedermi come poteva
fare per superare la sua difficoltà di parlare in pubblico. Pur non
conoscendo la causa del problema dovevo dare comunque qualche
consiglio: le suggerii di esercitarsi a strillare. Comunque, non po­
teva farle che bene. Il posto migliore per strillare è in macchina,
sull'autostrada, con i finestrini chiusi. Il rumore del traffico è tal­
mente intenso che nessuno può sentire. Quando ebbi finito di darle
questo suggerimento ricevetti un'altra telefonata, questa volta da
un uomo che stava ascoltando il programma. Disse che era un rap­
presentante e che alla fine della giornata si sentiva teso e contratto.
Non voleva tornare a casa in quello stato. Aveva scoperto che il
modo migliore per scaricarsi era di strillare in macchina. Gli era
di grande aiuto, disse, ed era sorpreso che qualcun altro ci avesse
pensato. Da allora sono stati in molti a riferirmi di aver usato
questa tecnica con risultati simili .
242
Autoespressione e sopravvivenza
Purtroppo molte persone sono incapaci di strillare. La gola è
troppo serrata e non lascia uscire il grido. Palpando i muscoli ai
lati della gola si sente che sono estremamente tesi. Si può scaricare
la tensione e provocare un grido applicando una pressione a questi
muscoli, più precisamente al muscolo scaleno anteriore ai due lati
del collo. È la tecnica che, come abbiamo visto, adottava Pierrakos;
ritengo tuttavia opportuno descrivere anche il mio metodo di ap·
plicazione. Chiedo al paziente, che è sdraiato sul letto, di emettere
un suono forte. Poi con il pollice e il medio applico una pressione
media sui muscoli citati sopra. All'inizio il dolore, in genere, è
abbastanza forte e inaspettato da far emettere un grido al paziente
(dato anche che sta già emettendo un suono forte). Il tono si alza
spontaneamente e il grido erompe. Il fatto sorprendente è che,
mentre grida, il paziente non sente dolore anche se la pressione
continua. Spesso il grido continua a lungo dopo che ho tolto le
dita. Se il paziente non grida smetto di premere perché l'inibizione
del grido non potrà che intensificarsi.
Questo sistema, che è efficacissimo per provocare uno strillo,
non libera tuttavia tutte le tensioni presenti intorno alla bocca e
alla gola e che influiscono sulla produzione della voce. La voce,
quando è libera, viene dal cuore: allora l'individuo parla col cuore.
Ciò significa che il canale di comunicazione fra il cuore e il mondo
è aperto e non ostruito. Se consideriamo questo canale dal punto
di vista anatomico troviamo tre aree in cui le tensioni croniche pos­
sono formare degli anelli di costrizione, restringendo il canale e
impedendo l'espressione piena dei sentimenti. L'anello più super­
ficiale può formarsi intorno alla bocca. Una bocca serrata o chiusa
può bloccare efficacemente ogni comunicazione di sentimenti. Pre­
mere le labbra e irrigidire la mascella: ecco uno dei modi di dare
un giro di vite e mettere a tacere i suoni che vorrebbero erompere
all'esterno. Della gente che assume questo atteggiamento diciamo
che ha le " labbra serrate " .
Il secondo anello di tensione si forma all'articolazione del capo
con il collo. È un'area critica, perché rappresenta la zona di transi­
zione dal controllo volontario al controllo involontario. La faringe
e la bocca sono sulla parte anteriore di questa zona, l'esofago e
la trachea sulla parte posteriore. L'organismo ha un controllo co­
sciente su tutto ciò che è in bocca o nella faringe; può scegliere
se ingoiarlo o sputarlo fuori. Non si ha più questa possibilità di
scelta quando la sostanza, ad esempio del cibo o dell'acqua, passa
attraverso questa regione ed entra nell'esofago. Da questo punto
243
Bioenergetica
in giù comanda il sistema involontario e il controllo cosciente scom­
pare. L'importanza biologica di questa zona di transizione è evi­
dente, perché permette all'organismo di saggiare e rigettare le so­
stanze inaccettabili o inadatte. Benché meno evidente, anche l'im­
portanza psicologica è chiara. Non ingoiando un elemento inaccet­
tabile od offensivo si può mantenere l'integrità psicologica dell'or­
ganismo.
Purtroppo l'integrità psicologica dei bambini viene spesso vio­
lata costringendoli ad ingoiare "cose" che altrimenti rifiuterebbero.
Con la parola "cose" ci riferiamo a cibi, medicine, osservazioni,
situazioni e così via. Sono certo che tutti quanti abbiamo avuto
esperienze di questo tipo. Mia madre mi faceva sempre bere del­
l'olio di castoro mescolato nella spremuta d'arancia. Il miscuglio
era estremamente sgradevole, tanto che per parecchi anni non ho
potuto nemmeno sopportare il gusto del succo d'arancia puro. Tutti
abbiamo dovuto ingoiare insulti o umiliazioni e molti sono stati
costretti a " rimangiarsi le loro parole " . Una mia paziente mi riferì
un'interessante storia che la madre le aveva raccontato con orgoglio.
Quando lei era piccola la madre le metteva in bocca dei cereali
e, prima che li potesse sputare fuori, le ficcava in bocca la mam­
mella in modo che, per non soffocare, lei era costretta a ingoiare
il cibo.'
Sistemi simili hanno l'effetto di creare un anello di tensione in
questo importante punto di congiunzione. La tensione restringe il
passaggio dal collo alla cavità orale e rappresenta una difesa in­
conscia contro la possibilità di essere costretti a ingoiare qualunque
"cosa" inaccettabile proveniente dall'esterno. È anche, al tempo
stesso, una difesa o un controllo inconscio contro l'espressione di
sentimenti che si teme possano essere inaccettabili per gli altri. La
costrizione interferisce necessariamente con la respirazione, in quan­
to restringe l'apertura per cui passa l'aria. Dunque contribuisce al­
l'insorgere dell'ansia. L'ubicazione di questo anello di tensione è
illustrata nella figura di p. 245.
Questo anello di tensione non è un'unità anatomica, bensì fun­
zionale. Molti muscoli partecipano alla sua formazione e molte
strutture, come la mascella e la lingua, al suo funzionamento. La
mascella inferiore ha un ruolo importante, perché irrigidendola si
4
merle
244
Quanti di noi sono stati costretti a trattenere le lacrime e le proteste perché espri­
era accettabile.
non
Autoespressione e sopravvivenza
riesce a rinserrare con efficacia la tensione sul posto. Serrare la
mascella, indipendentemente dalla posizione che le si fa assumere,
equivale a dire: " Non passeranno " . Sotto questo aspetto funziona
come la saracinesca di un castello che tiene fuori gli ospiti indesi­
derabili ma rinchiude dentro anche gli altri. Quando un organismo
ha bisogno di più energia, ad esempio quando è stanco o ha sonno,
il portale deve essere spalancato per consentire una respirazione
più profonda: è quello che facciamo sbadigliando. Nello sbadiglio
l'anello di tensione che include i muscoli che muovono la mascella
ANELLO
DI TENSIONE
viene temporaneamente rilassato con il risultato che bocca, faringe
e gola si spalancano per far entrare l'aria di cui l'organismo ha
bisogno.
Per la sua ubicazione strategica che ne fa il ponte levatoio
della personalità, la tensione dei muscoli che muovono la mascella
è la chiave di volta dello schema di controllo nella parte restante
del corpo. In bioenergetica si lavora .molto per rilasciare questa
tensione, che è presente in vario grado in tutte le persone. Fu la
prima area su cui Reich concentrò la sua attenzione quando mi ebbe
in terapia. Reich sottolineava continuamente la necessità di lasciar
cadere la mascella. Quando lo facevo, spalancando nel contempo
245
Bioenergetica
gli occhi, il grido poteva uscire. Ma è raro che l'azione volontaria
di lasciar cadere la mascella riduca in misura significativa la ten­
sione presente in quest'area. Come scoprì Reich, perché avvenisse
la scarica era necessario applicare una certa pressione ai muscoli
della mascella. È necessario anche elaborare gli impulsi repressi
di mordere che sono trattenuti nella tensione cronica dei muscoli
della mascella.
Vorrei descrivere una semplice manovra in cui entra in gioco
la voce e che impiego per ridurre questa tensione, Stando in piedi
sopra il paziente sdraiato sul letto, applico pressione ai masseteri
situati all'angolo della mascella. Fa male, dunque il paziente è sti­
molato a protestare. Gli suggerisco, quando io premo, di tirar calci
al letto e di strillare: "Mi lasci in pace! " Il dolore è reale, quindi
spesso la reazione è genuina, e il paziente è sorpreso nello scoprire
la veemenza della sua protesta. La maggior parte dei pazienti non
sono stati " lasciati in pace" a crescere in modo naturale ma sono
stati sottoposti a considerevoli pressioni. E non hanno potuto pro­
testare o dar voce alle loro obiezioni. Per molti pazienti quella di
lasciare che la voce e le azioni esprimano dei forti sentimenti è
un'esperienza nuova.
Non voglio si pensi che il dolore sia una parte essenziale del
lavoro bioenergetico. Molti dei procedimenti che usiamo sono pia­
cevolissimi, ma se ci si vuole liberare dalle tensioni croniche è im­
possibile evitare il dolore. Come sottolinea Arthur Janov in The
Prima! Scream, il dolore è già nel paziente. Il pianto e le grida
sono uno dei modi di scaricarlo. Di per sé la pressione che applico
a un muscolo teso non è poi tanto dolorosa: è di minore entità
rispetto alla tensione del muscolo e non verrebbe percepita come
dolorosa se il soggetto avesse i muscoli rilassati ma, aggiunta alla
tensione del muscolo, oltrepassa la soglia del dolore. Fa anche sì,
però, che il soggetto prenda coscienza della propria tensione e
riesca a scaricarla.
Ho detto prima che tre sono le aree in cui può svilupparsi un
anello di tensione che ostruisce o restringe il passaggio dal petto
al mondo esterno. La prima si situa intorno alla bocca; la seconda
all'articolazione del capo col collo. La terza è situata all'articola­
zione fra collo e torace. L'anello di tensione che si sviluppa in
questa regione è anche naturale e funzionale e riguarda essenzial­
mente i muscoli scaleni anteriore, mediano e posteriore. Questo
anello di tensione protegge l'apertura che porta alla cavità toracica
e dunque al cuore. Quando sono affetti da una contrazione cronica,
246
Autoespressionè e sopravvivenza
questi muscoli elevano e immobilizzano le costole supenon, re­
stringendo l'apertura che porta al petto. Ciò interferisce con i mo­
vimenti naturali della respirazione e dunque influenza fortemente
la produzione della voce, in particolare nel registro di petto. Nel
lavoro sulla voce è necessario conoscere l'esistenza di questa area
di tensione.
Vorrei aggiungere che ogni suono ha un posto nell'autoespres­
sione. Il riso è importante quanto il pianto, il canto quanto il
lamento. Spesso .invito i pazienti a emettere dei suoni particolari ­
fare le fusa, tubare, chiamare - per aiutarli a provare il piacere
dell'espressione vocale che qualche volta nella prima infanzia de­
vono certo aver provato. Ma per molti è difficilissimo identificarsi
con il bambino che sono stati e che in fondo al cuore continuano
ad essere.
Gli occhi sono lo specchio dell'anima
Contatto di occhi
Nella prima pagina del mio testo di oftalmologia della scuola
medica si leggeva questa frase: " Gli occhi sono lo specchio del­
l'anima " . Ero sconcertato: avevo già sentito la frase ed ero ansioso
di saperne di più sulla funzione espressiva degli occhi. Ma rimasi
deluso. Nel libro non c'erano altri riferimenti al rapporto fra occhi
e anima o fra occhi e sentimenti. L'anatomia, la fisiologia e la pa­
tologia degli occhi erano descritte a fondo in maniera meccanici­
stica, come se gli occhi fossero una macchina, una specie di cine­
presa, piuttosto che degli organi espressivi della personalità.
Suppongo che il motivo per cui l'oftalmologia ignori questo
aspetto stia nel fatto che, in quanto disciplina rigorosamente scien­
tifica, deve occuparsi di dati oggettivi. La funzione espressiva degli
occhi non è quantificabile né misurabile. Sorge però spontanea la
questione se una visione scientifica oggettiva sia in grado di com­
prendere appieno il funzionamento di un occhio o, più in generale,
di un essere umano. Gli psichiatri e gli altri studiosi della perso­
nalità non possono permettersi di pensare cosl. Dobbiamo vedere
la persona nella sua natura espressiva: il modo in cui la guardiamo
determina non solo come la comprendiamo, ma anche come essa ci
risponde.
Il linguaggio del corpo contiene la saggezza dei secoli. Non ho
247
Bioenergetica
dubbi sulla veridicità dell'affermazione che gli occhi sono lo spec­
chio dell'anima. È questa l'impressione soggettiva che abbiamo
guardando certi occhi, e credo corrisponda all'espressione che ve­
diamo. Questa ricchezza espressiva è particolarmente evidente negli
occhi di un cane o di una mucca. Quando sono rilassati i loro dolci
occhi marrone sono simili alla terra: la loro espressione piena di
sentimento è associata, nella mia mente, con il contatto, con il senso
di appartenere o far parte della vita, della natura e dell'universo,
che ho descritto nel secondo capitolo.
Ogni tipo di animale ha negli occhi uno sguardo particolare
che ne riflette le speciali caratteristiche. Gli occhi dei gatti per
esempio hanno una qualità di indipendenza e di distanza. Gli occhi
di un uccello sono diversi. Ma gli occhi di tutti gli animali sono
capaci di esprimere sentimenti. Chi ha vissuto con un gatto o con
un uccello per un certo periodo sa distinguere le diverse espressioni.
Si è in grado di capire quando gli occhi diventano pesanti di sonno
o splendenti per l'eccitazione. Se gli occhi sono lo specchio del­
l'anima allora la ricchezza di vita interiore di un organismo deve
riflettersi nella gamma di sentimenti visibili nei suoi occhi.
Più prosaicamente possiamo dire che gli occhi sono le finestre
del corpo, perché rivelano le sensazioni interiori. Ma, come tutte
le finestre, possono essere chiusi o aperti. Nel primo caso sono
impenetrabili; nel secondo possiamo vedere dentro alla persona.
Gli occhi possono avere uno sguardo vuoto e distante. Gli occhi
vuoti danno l'impressione che " non ci sia nessuno " . È lo sguardo
che vediamo in genere negli occhi degli schizoidi.' Guardando in
quegli occhi si ricava un'impressione di vuoto interiore. Gli occhi
distanti indicano che la persona è assente, se n'è andata chissà dove.
Possiamo farla tornare attirando la sua attenzione. Il momento del
suo ritorno coincide con il contatto che si stabilisce fra i suoi occhi
e i nostri quando ci guarda e ci mette a fuoco.
Gli occhi si illuminano quando una persona è eccitata e si spen­
gono quando l'eccitazione interiore svanisce. Concepire gli occhi
come delle finestre (ma vedremo che sono qualcosa di più) ci per­
mette di postulare che la luce di cui risplendono sia un bagliore
interiore che emana dai fuochi che bruciano nel corpo. Parliamo
di occhi brucianti per descrivere l'espressione di un fanatico che è
consumato da un fuoco interiore. Ci sono anche occhi ridenti, scin5
LowEN, The Betrayal o/ the Body, cit., contiene una più ampia descrizione degli
occhi dello schizoide.
248
Autoespressione e sopravvivenza
tillanti, sfavillanti; ho anche visto una persona con le stelle negli
occhi. Ma più spesso negli occhi della gente si vede la tristezza e
la paura - ammesso, e non è sempre così, che le persiane non
siano chiuse del tutto.
Mentre l'espressività dell'occhio non può essere dissociata dalla
regione circumoculare e dal complesso del viso, l'espressione è in
buona parte determinata da ciò che succede nello stesso occhio.
Per leggerla bisogna guardare con calma gli occhi di una persona,
non fissandoli nel tentativo di penetrarli ma lasciando che sia
l'espressione a emergere. Quando ciò accade si prova qualcosa,
si sente l'altra persona. Raramente dubito delle mie impressioni,
perché mi fido dei miei sensi.
Ecco alcuni dei sentimenti che ho visto espressi negli occhi
delle persone:
Supplichevole :
Desideroso:
Guardingo:
Diffidente:
Erotico :
Carico d'odio:
Confuso:
" Per favore, amami " .
" Voglio amarti" .
" Che cosa intendi fare? "
" Non posso aprirmi a te " .
" Mi , ecciti " .
" Ti odio " .
" Non capisco " .
Molti anni fa vidi due occhi che non dimenticherò mai. Ero in
metropolitana con mia moglie: lo sguardo ci cadde simultaneamen­
te sugli occhi di una donna seduta di fronte a noi. Il contatto con
quegli occhi mi diede uno shock. Avevano uno sguardo talmente
cattivo che quasi rabbrividii dall'orrore. Mia moglie ebbe una rea­
zione identica. Quando più tardi ne parlammo, riconoscemmo en­
trambi di non aver mai visto degli occhi dallo sguardo cosi mal­
vagio. Prima di quell'esperienza non credevo possibile che gli oc­
chi avessero uno sguardo cattivo. L'incidente mi fece ricordare le
storie che avevo sentito da bambino sull'" occhio diabolico " e sui
suoi strani e spaventosi poteri .
I processi fisiologici che determinano l'espressione degli occhi
ci sono ignoti. Sappiamo che la paura e il dolore fanno dilatare le
pupille e il piacere le fa restringere. La pupilla si restringe per met­
tere meglio a fuoco le cose. La dilatazione delle pupille allarga il
campo della visione periferica e riduce la nitidezza della messa a
fuoco. Queste reazioni sono mediate dal sistema nervoso autono­
mo, ma non spiegano i sottili fenomeni descritti sopra.
249
Bioenergettca
In realtà gli occhi hanno una doppia funzione: sono organi del­
Ia vista, ma servono anche a stabilire un contatto. Quando gli oc­
chi di due persone si incontrano c'è fra di esse una sensazione di
contatto fisico. La qualità di questo contatto dipende dallo sguardo
degli occhi. Può essere duro e forte, tanto da dare la sensazione di
uno schiaffo in viso, o talmente morbido da sembrare una carezza.
Può essere penetrante, sfuggente, e così via. Si può guardare dentro
una persona oppure attraverso di essa, sopra o intorno. L'atto di
guardare comprende una componente aggressiva o attiva che può
essere descritta come un "penetrare " con gli occhi. Il contatto è una
funzione del guardare. Il vedere invece è un processo più passivo in
cui si lascia che gli stimoli visivi entrino nell'occhio e di1mo �alo
origine a un'immagine. Nell'atto di guardare una persona esprime
attivamente se stessa attraverso gli occhi.
Il contatto degli occhi è una delle forme più forti e più intime
di contatto fra due persone. Coinvolge la comunicazione di senti­
menti a livello più profondo di quello verbale: è quasi un contatto
fisico, un toccarsi. Perciò può essere molto eccitante. Quando per
esempio gli occhi di un uomo e di una donna si incontrano, l'eccita­
zione può essere talmente forte da percorrere tutto il corpo raggiun­
gendo la cavità dell'addome e i genitali. Un'esperienza di questo
tipo viene definita " amore a prima vista " . Gli occhi sono aperti e
invitanti e lo sguardo ha una qualità erotica. Qualunque sia il sen­
timento trasmesso fra due paia di occhi, l'effetto del loro incon­
tro è la nascita di una comprensione fra due persone.
Il contatto degli occhi è probabilmente il fattore più impor­
tante del rapporto fra genitori e figli, specialmente nel rapporto
di una madre con il figlio neonato. Si può osservare come duran­
te l'allattamento il bambino alzi sempre gli occhi verso la madre
per stabilire un contatto con gli occhi di lei. Se la madre risponde
con amore, i due condividono il piacere dell'intimità fisica, che
rinforza il senso di sicurezza e di fiducia del neonato. Ma non è
l'unica situazione in cui i bambini cercano il contatto con gli oc­
chi della madre. Ogni volta che una madre entra nella stanza del
bambino gli occhi di questo si alzano per incontrare quelli di lei
nell'anticipazione piacevole o spaventata di ciò che porterà il con­
tatto. La mancanza di contatto dovuta al fatto che gli occhi del­
la madre non incontrano quelli del bambino viene vissuta come
rifiuto e porta a un senso di isolamento.
Qualunque sia il modo in cui un genitore guarda il figlio, Io
sguardo influisce sui sentimenti del bambino e può influenzare
250
Autoespressione e sopravvivenza
profondamente il suo comportamento. Gli sguardi, come ho g1a
detto, sono ben più potenti delle parole. Spesso le smentiscono.
Una madre può dire al figlio che lo ama, ma se il suo sguardo è
freddo e distante e la voce piatta o dura il bambino non ha la
sensazione di essere amato. Anzi, può avere esattamente la sensa­
zione opposta. Questo produce uno stato di confusione, che vie­
ne risolto in maniera nevrotica quando il bambino, nell'ansia di
credere alle parole, si rivolta contro le sue stesse sensazioni. Non
sono solo gli sguardi pieni d'odio a danneggiare la personalità di
un bambino; è ancor più difficile affrontare e farsi una ragione
degli sguardi seduttivi di un genitore. Non è facile per un bambi­
no arrabbiarsi per uno sguardo del genere perché il genitore può
giustificarlo definendolo un'espressione di affetto. Lo sguardo
seduttivo o erotico di un genitore eccita anche la sessualità del
bambino e porta alla formazione di un legame incestuoso fra i
due. Sono sicuro che la maggior parte delle relazioni incestuose
siano basate più sugli sguardi che sulle azioni.
Molte persone evitano il contatto degli occhi perché hanno
paura di ciò che i loro occhi possono rivelare. Li imbarazza la­
sciare che un altro veda i loro sentimenti, così distolgono lo sguar­
do oppure fissano. Fissando una persona si evita o si scoraggia
il contatto. Il punto importante è che non c'è contatto se non
c'è comunicazione o scambio di sentimenti fra le due parti. Il
sentimento può essere anche il semplice riconoscimento dell'altro
in quanto individuo. A questo proposito desidero rilevare che al­
cuni popoli primitivi usano l'espressione "Ti vedo" come forma
di saluto. Siccome il contatto degli occhi è una forma di intimità,
può avere implicazioni sessuali, in specie se le due parti sono di
sesso opposto. Non si " riconosce " un individuo se non se ne
identifica il sesso.
Poiché gli occhi sono una via di comunicazione tanto impor­
tante, molti recenti tipi di terapia di gruppo incoraggiano il con­
tatto fra gli occhi dei membri del gruppo mediante speciali eser­
cizi. Nella terapia di gruppo bioenergetica adottiamo esercizi ana­
loghi. Molti pazienti li trovano utilissimi perché, portando i sen­
timenti negli occhi, li fanno sentire più vivi. Quando una perso­
na è chiusa anche i suoi occhi sono chiusi e non accolgono con
sentimento ciò che li circonda. Naturalmente lo vedono, ma il
vedere è privo di eccitamento e di affettività.
Io mi sforzo sempre di stabilire un contatto con gli occhi del
paziente. Non solo mi aiuta a sapere di momento in momento co-
251
Bioenergetica
me vanno le cose, ma serve anche a rassicurare il paziente sul fat­
to che io sia con lui. Quando il contatto degli occhi viene usato
all'interno di un esercizio di gruppo o di una seduta di terapia
individuale deve avere una certa spontaneità, in modo da garan­
tire che si tratta di un'espressione onesta. Questo si può ottene­
re facendo in modo che il contatto sia breve - uno sguardo, un
ton-o, un lampo d'intesa e poi si distoglie lo sguardo. Mantene­
re il contatto degli occhi oltre un breve periodo è innaturale e ge­
nera tensione. Lo sguardo diventa forzato e meccanico.
Gli occhi e la personalità
Gli occhi sono lo specchio dell'anima perché riflettono diret­
tamente e immediatamente i processi energetici del corpo. Quan­
do una persona è carica energeticamente i suoi occhi sono brillan­
ti - buon segno questo del suo stato di salute. Qualsiasi depres­
sione del livello energetico smorza lo splendore degli occhi. Nel­
la morte gli occhi diventano vitrei. C'è anche un rapporto fra la
carica presente negli occhi e il livello di sessualità. Non mi riferi­
sco all'eccitazione sessuale, che pure ha anch'essa un effetto su­
gli occhi. La sessualità è un fenomeno corporeo totale e indica fi­
no a che punto una persona si identifica con il proprio funziona­
mento sessuale. In una persona con un alto grado di sessualità
il flusso energetico è pieno e i punti periferici di contatto con il
mondo sono in stato di carica. Come ho già detto sopra, questi
punti sono gli occhi, le mani, i genitali e i piedi. Questo non si­
gnifica che i genitali sono eccitati. Ciò accade quando le . sensa­
zioni o l'energia si focalizzano in questi organi.
Essere identificati con la propria sessualità è un aspetto del­
l'esser ben radicati. Qualsiasi attività o esercizio che accresca la
sensazione di essere radicati accresce anche la carica negli occhi.
Possiamo influenzare il funzionamento generale degli occhi raffor­
zando il contatto di una persona con le gambe e con il suolo. I
vari esercizi di radicamento sono utili a questo scopo. Molti pa­
zienti mi hanno riferito che dopo aver lavorato con impegno sul­
le gambe anche la vista era migliorata e gli oggetti che c'erano
nella stanza sembravano più chiari e luminosi. Quando una per­
sona non ha i piedi per terra non vede con chiarezza quello che
succede intorno a lei - è accecata dalle sue illusioni.
Queste considerazioni confermano l'idea che il grado di ca­
rica energetica degli occhi sia una misura della forza dell'io. L'in-
252
Autoespressione e sopravvivenza
dividuo con un forte io ha la capacità di guardare dritto negli oc­
chi di un altro. Può farlo con facilità perché è sicuro di se stesso.
Guardare un'altra persona è una forma di autoaffermazione, pro­
prio come il guardare in sé è una forma di autoespressione. Sia­
mo tutti naturalmente consapevoli di questi fatti ed è sorpren­
dente che in genere nelle discussioni sulla personalità si parli così
poco degli occhi.
Il passo successivo per la comprensione del rapporto fra oc­
chi e personalità è quello di mettere in relazione lo sguardo con
i diversi tipi di carattere. Ogni struttura di carattere ha uno sguar­
do tipico che può non venire sempre percepito dall'osservatore
ma che cionondimeno è abbastanza comune da servire come crite­
rio diagnostico. Questo è certamente vero per lo schizofrenico, i
cui occhi hanno uno sguardo " lontano " . Reich lo commentò e lo
descrissi in The Betrayal of the Body. Basta vedere questo sguar­
do negli occhi di una persona per sapere che è "via" o che può
" andare via" .
Delineando gli sguardi che associo con i diversi tipi di carat­
tere vorrei sottolineare che non sono continuamente presenti e
che uno sguardo occasionale non è significativo ai fini che ci in­
teressano. Quello che cerchiamo è lo sguardo tipico.
Carattere schizoide: lo sguardo tipico può venir descritto co­
me vuoto o inespressivo. È l'assenza di sentimenti negli occhi che
caratterizza questa personalità. Nello sguardo di un soggetto schi­
zoide si percepisce immediatamente la mancanza di contatto.
Carattere orale : lo sguardo tipico è supplichevole - una sup­
plica di amore e di appoggio. Può essere mascherato da un atteg­
giamento di pseudo-indipendenza, ma emerge abbastanza spesso
da distinguere questa personalità.
Carattere psicopatico: due sono gli sguardi tipici di questa
personalità, che corrispondono ai due approcci o atteggiamenti
psicopatici. Uno è lo sguardo esigente o penetrante osservabile
negli individui che hanno bisogno di controllare o dominare gli
altri. Gli occhi fissano le persone quasi a voler imporre la volon­
tà del loro possessore. L'altro è lo sguardo dolce, seduttivo o af­
fascinante che adesca la persona a cui è diretto e la induce ad ar­
rendersi all'individuo psicopatico.
Carattere masochistico : lo sguardo tipico è di sofferenza o di
dolore, che spesso però è mascherato da un'espressione di confu­
sione. Il masochista si sente in trappola ed è più a contatto con
questo sentimento che con il senso di sofferenza che lo sottende.
253
Bioenergetica
Nella personalità sadomasochistica - cioè in quegli individui che
hanno nella loro costituzione una forte componente sadica - gli
occhi sono piccoli e duri. Ciò può essere interpretato come un
rovesciamento dell'occhio masochistico normale, che è dolce e
triste.
Carattere rigido: in genere questa personalità ha degli occhi
piuttosto forti e brillanti. Tuttavia quando la rigidità è marcata
gli occhi diventano duri, pur senza perdere la luminosità. La du­
rezza è una difesa contro la tristezza che si cela sotto la superficie
del carattere rigido e che è legata al senso di frustrazione in amo­
re. A differenza del carattere masochistico, l'individuo rigido lo com­
pensa con un forte atteggiamento aggressivo che dà vivacità sia
alle sue maniere sia ai suoi occhi.
A questo punto vorrei aggiungere alcune osservazioni abba­
stanza rivelatrici sui miei stessi occhi. Avevo sempre pensato che
il mio occhio destro fosse il più forte. Ha uno sguardo più deci­
so, con il quale mi identificavo. Qualche anno fa, in occasione di
un esame di guida, scoprii con stupore che era invece il più de­
bole. Il mio occhio sinistro mi era sempre parso debole perché
in una situazione triste o con molto vento lacrimava prima e più
copiosamente. Adesso so che proprio questa caratteristica ne ha
conservato l'acutezza visiva; l'altro invece, apparentemente più
forte, era sottoposto allo sforzo di difendersi da un intimo sen­
timento di tristezza, che l'occhio sinistro poteva esprimere libe­
ramente. Grazie a questa esperienza personale ho capito come ne­
gli occhi l'espressione dei sentimenti sia strettamente legata alla
funzione visiva e la influenzi.
Non ho mai portato gli occhiali e tuttora non li porto, pur
avendo passato da tempo l'età in cui pare che gli occhiali per leg­
gere siano inevitabili. Tuttavia quando avevo quarant'anni mi pre­
scrissero l'uso degli occhiali.
Durante una visita oculistica a scuola sbagliai a leggere un
paio di lettere della riga inferiore del cartello. In clinica fui sot­
toposto a un esame più accurato e alla fine mi prescrissero di por­
tare gli occhiali. Mai nessuno mi disse di che disturbo soffrissi.
Non avevo mai avuto difficoltà né a scuola né altrove. Probabil­
mente ero presbite. Ciò concorda con quanto so della mia perso­
nalità; ma il disturbo non mi procurò mai problemi nel lavoro a
distanza ravvicinata.
Presi gli occhiali ma mi rifiutai di portarli se non per leggere.
Li portavo nella cartella. Ero fortemente contrario all'idea degli
254
Autoespressione e sopravvivenza
occhiali. Quando ero giovane avevano una connotazione negati­
va. Si diceva che la gente con gli occhiali aveva quattro occhi.
Forse fu proprio a causa di questo atteggiamento che li persi
subito. Mia madre, che era iperapprensiva riguardo alla mia sa­
lute, insistette perché andassi a prenderne un altro paio. A quei
tempi non ero capace di contestarla, così ci andai. Ma non riu­
sCii a tenere nemmeno il secondo paio di occhiali : anche questi
scomparvero nel giro di una settimana . I miei genitori non pote­
vano permettersi un'altra spesa e fu cosi che, malgrado la preoc­
cupazione, mia madre dovette rinunciare all'idea degli occhiali.
Attribuisco la buona vista di cui godo oggi alla mia abitudine
di leggere alla luce naturale, a cui si è aggiunta la terapia che mi
ha aiutato a imparare a piangere e ad esprimere più apertamente
i miei sentimenti. Amavo il sole e la luce chiara e radiosa di un
giorno assolato. Giocavo moltissimo a tennis su campi di terra
battuta, dove ero esposto alla luce forte del sole riflesso. Non ho
capito quanto questo fosse importante finché, alcuni anni fa, ho
appreso che fra le tecniche adottate da alcuni seguaci del meto­
do Bates per trattare la miopia c'è quella di guardare il sole e di
visualizzare se stessi (con gli occhi chiusi) in un'atmosfera pia­
cevole e assolata. Guardando in retrospettiva vedo che avevo bi­
sogno di vedere le cose nette e chiare. Per me vedere è credere;
descrivendo me stesso direi che ho un orientamento di tipo visivo,
il che può anche spiegare il mio interesse per l'espressione cor­
porea.
La bioenergetica e i disturbi alla testa e agli occhi
La miopia è il disturbo degli occhi più comune - cosi comu­
ne che statisticamente è quasi normale. Da questo punto di vista
può essere paragonato al dolore alla bassa schiena e alla depres­
sione che, quando non sono inabilitanti, molti eminenti studio­
si considerano normali per la nostra cultura. Stiamo diventando
così mutilati, sia emotivamente sia fisicamente, che tendiamo a
guardare la salute come uno stato anormale. Purtroppo sta dav­
vero diventando una rarità.
Molte persone che portano gli occhiali si rendono conto che,
se da un lato la vista in senso meccanico migliora, dall'altro però
essi interferiscono con l'espressione e con il contatto degli occhi
o addirittura li bloccano. Quando lavoro con i pazienti li invito
sempre a togliersi gli occhiali in modo da poter leggere l'espres-
255
Bioenergetica
sione che hanno negli occhi e dunque stabilire un contatto. Ma
in alcuni casi il paziente mi vede solo come una macchia confusa
e questo è un problema. Quando è necessario propongo un com­
promesso, lasciando che il paziente porti gli occhiali mentre par­
la ma facendoglieli togliere quando lavoriamo sul corpo. Le lenti
a contatto hanno lo stesso effetto degli occhiali, benché in manie­
ra meno evidente.
La miopia, ne sono convinto, è un disturbo funzionale degli
occhi che si è strutturato sotto forma di distorsione del globo
oculare. Non differisce da altre distorsioni corporee che scaturi­
scono da tensioni muscolari croniche. In molti casi queste di­
storsioni si riducono in misura significativa quando si scaricano le
tensioni. Ho visto prodursi notevoli cambiamenti nel corpo di
molti soggetti grazie agli esercizi e alla terapia bioenergetica. Co­
nosco anche una persona che superò completamente la miopia
grazie al metodo Bates. Una delle difficoltà che si incontrano in
questo tipo di disturbo è che è impossibile palpare e applicare
una pressione ai muscoli oculari tesi. La difficoltà del metodo Ba­
tes è dovuta al fatto che richiede l'impegno di svolgere un pro­
gramma intensivo di esercizi, impegno di cui molta gente sembra
incapace. Pur tenendo conto di queste difficoltà pratiche, resta il
fatto che la miopia può essere migliorata. Ho visto verificarsi un
miglioramento del genere nel corso di una drammatica seduta te­
rapeutica. Purtroppo fu temporaneo e il beneficio non si manten­
ne per intero. Tuttavia molti pazienti riferiscono di aver ottenuto
grazie alla terapia bioenergetica un miglioramento duraturo del­
la vista.
La bioenergetica si occupa della struttura del corpo e cerca
di comprenderla dinamicamente risalendo alle forze che la crea­
no. Reich ha detto che la struttura è movimento congelato: pur
trattandosi di un'affermazione di tipo generale e filosofico, trova
però applicazione pratica nei casi in cui la struttura si sviluppa in
conseguenza di quelli che vengono generalmente chiamati traumi
psicologici. Questo vale per l'occhio miope, che è spalancato e fis­
so. Nel globo oculare c'è poca mobilità. I muscoli dell'occhio so­
no contratti e tesi. Se riusciamo a far recuperare all'occhio la mo­
bilità possiamo ridurne in misura sostanziale la condizione di mio­
pia. Ma per poterlo fare bisogna prima capire l'espressione degli
occhi. Gli occhi spalancati e leggermente sporgenti tipici della
miopia sono un'espressione di paura. Una paura estrema dareb­
be a chiunque uno sguardo del genere. Però l'individuo affetto da
256
Autoespressione e sopravvivenza
miopia non prova affatto paura né è consapevole dell'esistenza
di una connessione fra i suoi occhi e quel sentimento. Motivo:
l'occhio mope è in un parziale stato di shock e dunque in esso la
registrazione di qualsiasi emozione è bloccata.
Non è difficile spiegare la paura. Quando un bambino incon­
tra uno sguardo di rabbia o di odio negli occhi della madre il suo
corpo prova uno shock, che si concentra in particolare negli oc­
chi. Sguardi del genere da parte dei genitori equivalgono a nn
pugno in faccia. Molte madri non si rendono nemmeno conto
delle occhiate che lanciano ai figli. Ho visto nel mio studio una
madre che guardava la figlia con una tale rabbia negli occhi che
io stesso ne fui spaventato. La figlia non vi prestava attenzione;
forse per lei era ordinaria amministrazione. La madre stessa ne
pareva ignara. Ma io immaginavo che il problema di personalità
della figlia dovesse essere collegato a quello sguardo. La ragazza
era miope. Da molto tempo aveva bloccato l'accesso alla consape­
volezza dell'espressione della madre, ma i suoi occhi erano spa­
lancati dalla paura.
La paura è sempre uno shock momentaneo per l'organismo.
Paura e shock producono una contrazione del corpo. In genere il
corpo reagisce a questo stato di contrazione con una qualche for­
ma di esplosione violenta - pianto, strilli o rabbia. Queste rea­
zioni scaricano il corpo dallo shock e dalla paura, e allora gli oc­
chi ritornano alla condizione normale. Ma cosa succede se la sca­
rica non si verifica? Ad esempio se il pianto, gli strilli o la colle­
ra del bambino non fanno che inasprire la rabbia o l'odio della
madre, oppure se il bambino fa ripetutamente esperienza dell'osti­
lità materna?
Io stesso, come ho narrato sopra, avevo provato uno shock
del genere all'età di nove anni che aveva avuto su di me un effet­
to duraturo. Fortunatamente il fatto non si ripeteva spesso. Per
lo più mia madre mi guardava con sguardo affettuoso, perché ero
"la pupilla dei suoi occhi " . Non tutti sono così fortunati. Se un
bambino prevede costantemente uno sguardo ostile da parte di
uno dei genitori, i suoi occhi tenderanno a restare spalancati per
la paura. Gli occhi spalancati, come ho detto sopra, allargano il
campo della visione periferica, ma riducono il fuoco. Per riacqui­
stare l'acutezza della vista il bambino è costretto a stringere gli
occhi; si viene a creare così una condizione di rigidità e di sforzo.
C'è un altro elemento. Gli occhi spaventati tendono a ruotare
all'insù. Anche questa tendenza deve essere superata con uno
257
Bioenergetica
sforzo di volontà se il bambino vuole mantenere la capacità di
messa a fuoco. Ma la tensione non può essere mantenuta per un
tempo indefinito. A un certo punto i muscoli degli occhi si stan­
cano e il bambino rinuncia allo sforzo di guardar fuori.
La miopia si instaura quando la compensazione viene a man­
care. Il verificarsi di questo evento dipende da molti fattori, fra
cui l'energia di cui dispone il bambino e la quantità di stress che
c'è in casa. In molti casi la decompensazione inizia fra i dieci e i
quattordici anni, quando lo sviluppo della sessualità del bambino
riattiva vecchi conflitti e ne crea di nuovi. Il tentativo di mante­
nere una vista acuta vien meno e gli occhi di nuovo si spalancano
per la paura, una paura che questa volta però non è di natura
specifica. Viene eretta una nuova difesa a livello inferiore. I mu­
scoli situati alla base del capo, in particolare quelli della regione
occipitale e quelli situati intorno alla mascella, si contraggono per
escludere il flusso di sensazioni dirette agli occhi. Questo anello
di tensione è riscontrabile in tutti i casi di miopia. Psicologica­
mente il bambino si ritira in uno spazio più piccolo e limitato,
chiudendo fuori gli elementi che disturbano il suo mondo.
Dato che l'occhio miope è in stato di shock, gli esercizi spe­
ciali per gli occhi, come quelli del metodo Bates, pur essendo uti­
li e necessari non rappresentano una risposta completa al proble­
ma. Il loro valore sarebbe notevolmente accresciuto se prima ve­
nissero sciolte le tensioni in modo che negli occhi fluisca più ener­
gia ed eccitazione. È importantissimo evocare la paura che sta al­
la base del problema, in modo che possa essere vissuta e liberata.
Questa è la base dell'approccio bioenergetico alla miopia. L'unico
limite è che in genere i pazienti hanno così tanti altri problemi e
tensioni che non possiamo dedicare agli occhi tutto il tempo di
cui avrebbero bisogno.
Da quanto ho detto sui vari atteggiamenti difensivi dovrebbe
essere chiaro che in alcuni casi, pur essendo presenti le condizio­
ni perché si verifichi, la miopia non si sviluppa. Ho visto pazienti
nella cui esperienza di vita c'era una quantità uguale se non mag­
giore di paura, ma che non svilupparono la miopia. Non credo che
la differenza vada ricollegata a fattori ereditari. Quando lo shock
provocato dall'ostilità o dal rifiuto parentale è ancora più grave,
è tutto il corpo che ne risente. Si sviluppa un certo grado di para­
lisi che riduce tutti i sentimenti a livello più profondo e limita tut­
te le forme di autoespressione. È il caso degli individui schizoidi.
Il loro livello energetico è diminuito, la respirazione gravemente
258
Autoespresst'one e sopravvivenza
ristretta e la motilità generale bassa. Dalla zona degli occhi il con­
flitto si è spostato a comprendere tutto il corpo. Gli occhi vengo­
no apparentemente risparmiati perché l'individuo ha chiuso fuo­
ri tutto il suo mondo interpersonale, non solo quello visivo. Ma,
se anche possono non essere miopi, gli occhi dello schizoide non
sono carichi né espressivi. La funzione visiva viene mantenuta
dissociandola dalla funzione di espressione emotiva.
La terapia bioenergetica per i disturbi agli occhi è generale e
specifica a un tempo. In generale, come nel caso dei disturbi della
motilità e dell'espressione vocale, occorre aumentare il livello ener­
getico del paziente con una respirazione più piena e profonda.
Questo non solo accresce le sensazioni e i sentimenti corporei,
ma fornisce anche l'energia supplementare necessaria per caricare
i punti di contatto periferici con il mondo, compresi gli occhi. La
respirazione ha un effetto positivo sugli occhi. Dopo vari eserci­
zi di respirazione profonda gli occhi diventano in genere molto
più luminosi. Spesso, come ho già detto, gli stessi pazienti notano
un miglioramento della vista. Anche gli esercizi di grounding so­
no utili in questo processo.
La terapia specifica dei disturbi degli occhi richiede la cono­
scenza delle vie seguite dal flusso di energia diretto a questi orga­
ni. Sono due vie, illustrate nella figura seguente. Una corre lungo
la parte frontale del corpo; dal cuore, attraverso la gola e il viso,
fino a giungere agli occhi. Il sentimento associato con questo flus­
so è il desiderio di contatto, un protendersi attraverso gli oc­
chi per sentire e per toccare, che dà vita a uno sguardo dolce,
supplichevole. La seconda corre lungo la schiena e sale, passan­
do per la sommità del capo, fino alla fronte e agli occhi. Questo
flusso dà allo sguardo una componente aggressiva, ben espressa
dalla frase " penetrare con gli occhi " . Nello sguardo normale
queste due componenti sono presenti in grado diverso. Se vie­
ne esclusa la componente tenera collegata al desiderio lo sguardo
sarà duro e perfino ostile, a volte al punto da respingere l'altro.
Se la componente aggressiva è debole il desiderio sarà suppliche­
vole ma non riuscirà a toccare l'altra persona. Per un buon con­
tatto oculare sono necessarie ambedue le componenti.
La figura di p. 260 illustra le due vie appena descritte, più
una terza alla base del cervello che connette direttamente i cen­
tri visivi con la retina. Benché per il momento non esistano pro­
ve oggettive dell'esistenza di queste vie, essa è confermata dal­
l'esperienza soggettiva e dall'osservazione clinica. Molti pazienti
259
Bioenergetica
riferiscono di aver sentito, dopo gli esercizi bioenergetici, un mo­
vimento di carica verso gli occhi lungo queste vie. Queste sensa­
zioni del soggetto sono corroborate dal fatto che oggettivamente
si vedono gli occhi diventare più brillanti, più carichi e più
in contatto. Quando le vie sono aperte e la carica fluisce libera-
AREA
OCCIPITALE
CENTRI
CEREBRALI
LEGATI
ALL'OCCHIO
VIE DELLA CARICA DI ENERGIA DIRETTA AGLI OCCHI
mente e pienamente, gli occhi sono rilassati. L'individuo è in uno
stato di piacere espresso dalla fronte liscia, dalle sopracciglia ab­
bassate, dalle pupille strette e da una visione nitida.
La figura di p. 261 illustra il ritrarsi dell'energia dagli occhi,
causato dalla paura. Questo ritiro energetico produce la tipica
espressione di paura. Quando la componente aggressiva viene ri­
tratta lungo il circuito suo proprio, le sopracciglia si sollevano e
gli occhi si spalancano. Se la paura è intensa si possono addirittu­
ra sentire i capelli rizzarsi e il retro del collo irrigidirsi. Quando
viene ritirata la componente tenera, la mascella cade e la bocca si
spalanca. Se l'esperienza è momentanea l'energia rifluisce verso
gli occhi e i tratti del viso si rilassano. Ma se la paura si struttu­
ra nel corpo trasformandosi in uno stato di apprensione cronica
l'energia viene incatenata nell'anello di tensione attorno alla ba­
se del capo. Adesso il soggetto deve fare uno sforzo cosciente per
mettere a fuoco gli occhi, affaticando gravemente il globo e i mu­
scoli oculari. Parte dello sforzo è costituita dalla necessità di irri­
gidire la mascella per superare la sensazione di spavento. Con
260
Autoespressione e sopravvivenza
questo atteggiamento l'individuo dice : "Non mi lascerò spaven­
tare " . Ma questo sforzo crea un conflitto interno fra il sentimen­
to e l'atteggiamento, conflitto che accresce la tensione muscolare.
Alcuni anni fa lavorai brevemente con un giovane strabico,
che vedeva solo con l'occhio sinistro. Benché l'occhio destro ci ve-
TENSIONE
OCCIPITALE
)lo
ANELLO
DI TENSIONE
TENSIONE
DELLA MASCELLA
desse normalmente, doveva escluderlo per evitare di vedere dop­
pio, perché non era in grado di mettere a fuoco ambedue gli oc­
chi. Da bambino aveva subito due operazioni per correggere que­
sta condizione, che però non avevano prodotto cambiamenti du­
revoli. Non solo l'occhio destro era rivolto all'esterno, ma anche
il lato destro del viso era leggermente storto. La palpazione rive­
lò la presenza di un grave spasmo muscolare al lato destro del­
l'area occipitale. Il giovane era figlio di uno psicologo che in quel
momento partecipava a un seminario di bioenergetica per specia­
listi. Era venuto per registrare al videotape i nostri procedimen­
ti. Il mio intervento fu di tipo sperimentale. Mi interessava sco­
prire se sarei riuscito a influire sullo strabismo scaricando la ten­
sione della parte posteriore del capo. Per circa trenta secondi ap­
plicai con le dita una pressione decisa ai muscoli spastici e sen­
tii che si rilassavano. Molti medici che osservavano l'esperimen­
to (il giovane era sdraiato sul letto) furono stupefatti nel vedere
che gli occhi diventavano dritti. Il giovane si voltò verso di me
e disse che vedeva con entrambi gli occhi immagini singole e an-
261
Bioenergetica
ch'io notai che erano ambedue a fuoco. Il cambiamento era spet­
tacolare, ma non durò. In seguito lo spasmo ritornò e l'occhio
destro ripartì per la tangente. Non so se una terapia continua­
ta avrebbe prodotto un miglioramento duraturo. Non vidi mai più
il ragazzo e non ho più trattato un caso analogo. Ma per me è di­
ventata una prassi normale ridurre la tensione nella regione occi­
pitale applicando una pressione selettiva sui muscoli mentre il
paziente concentra lo sguardo sul soffitto. Ho trovato che in ge­
nere questa manovra ha un effetto positivo sugli occhi.
Tuttavia nel lavoro sugli occhi il compito principale della te­
rapia è quello di liberare la paura bloccata in essi. Per raggiunge­
re questo scopo uso il sistema seguente: il paziente si sdraia sul
letto con le ginocchia flesse e il capo all'indietro. Lo invito ad
assumere un'espressione di spavento - sollevare le sopracciglia,
spalancare gli occhi e lasciar cadere la mascella. Le mani sono
davanti al viso, a circa venti centimetri di distanza, con le palme
all'infuori e le dita allargate in un atteggiamento di protezione.
Poi mi chino sul paziente e gli dico di guardarmi dritto negli oc­
chi, che sono a circa trenta centimetri dai suoi. Benché il pazien­
te sia in una posizione di vulnerabilità e abbia assunto un'espres­
sione di paura, sono pochi quelli che si concedono di sentirsi spa­
ventati. Spesso il paziente mi guarda con un sorriso, come per
dire: "Non c'è motivo di aver paura. Non mi farà male perché
sono un bravo ragazzo" . Per superare questa negazione difensiva
applico con i pollici una pressione sui muscoli situati ai lati delle
narici. Questo impedisce al paziente di ridere e fa cadere la ma­
schera dal viso.
Se la procedura viene eseguita correttamente (e vorrei sotto­
lineare che questa manovra richiede notevole abilità ed esperien­
za) spesso viene evocato un sentimento di paura che, quando la
difesa cede, può far scaturire un grido. Per aiutare la liberazione
del grido è utile far emettere un suono al paziente prima di appli­
care la pressione. Quando il grido inizia distolgo la pressione, ma
in molti casi il grido continua anche dopo, finché gli occhi ri­
mangono spalancati. Il lettore ricorderà ciò che mi accadde du­
rante la prima seduta con Reich. Non fu necessaria nessuna pres­
sione perché uscisse un grido. Tuttavia sono pochissimi i pazienti
che reagiscono spontaneamente, gridando, a un'espressione di pau­
ra. Alcuni non reagiscono nemmeno quando applico la pressio­
ne. Nel loro caso la difesa contro la paura è più profondamente
radicata.
262
Autoespressione e sopravvivenza
Immagino che al paziente, quando applico la pressione, i miei
occhi appaiano fermi e forse anche duri. Ma quando comincia a
gridare sento che si addolciscono, perché sono in empatia con
lui. Dopo il grido in genere chiedo al paziente di rendersi a toc·
carmi il viso con le mani. Ho scoperto che il grido scarica la pau­
ra e apre la strada a sentimenti teneri e affettuosi. Se ci guardia­
mo spesso gli occhi del paziente si sciolgono e si riempiono di la­
crime, mentre sale il desiderio di contatto con me (come surroga­
to della madre e del padre) . L'esercizio finisce spesso con uno
stretto abbraccio fra me e il paziente, che è scosso da profondi
singhiozzi.
Come ho già ricordato, non sempre questo sistema funziona.
Molti pazienti sono troppo spaventati dalla propria paura per per­
metterle di affiorare. Ma quando ciò avviene l'effetto è dramma­
tico. Una paziente mi disse che mentre gridava vide gli occhi del
padre che la guardavano adirati: stava per picchiarla. Un altro
disse di aver visto gli occhi furiosi della madre in un ricordo che
risaliva all'epoca in cui aveva un anno. Una donna si sentì così
liberata dall'aver scaricato la paura che balzò giù dal letto e corse
ad abbracciare il marito, che era nella stanza con lei. Un uomo
che era in terapia da un certo tempo fu talmente scosso dall'espe­
rienza del proprio terrore che lasciò il mio studio in uno stato di
accasciamento. Andò immediatamente a casa e dormì per due ore.
Appena si svegliò telefonò per dirmi che provava una gioia che
non aveva mai provato prima. Era un contraccolpo della libera­
zione del terrore.
Varie altre procedure possono essere impiegate per mobilita­
re i sentimenti negli occhi. È importante descriverne almeno una,
che rappresenta un tentativo di tirar fuori il paziente attraverso
gli occhi mediante il contatto con i miei. Anche in questo eserci­
zio il paziente è sdraiato nella stessa posizione sul letto. Mi chino
su di lui e gli dico di toccarmi la faccia con le mani. Appoggio i
pollici sulle sopracciglia e, con un movimento dolce, calmante,
cerco di eliminare ogni espressione di ansia o preoccupazione che
farebbe aggrottare le sopracciglia. Guardando il paziente negli
occhi con dolcezza, spesso vedo un bambino piccolo che mi guar­
da da dietro un muro o attraverso uno spiraglio, che vuole venir
fuori ma non osa farlo. È il bambino che viene tenuto nascosto
al mondo. A volte gli dico: " Vieni fuori a giocare con me. Va
tutto bene " . È affascinante osservare la reazione : gli occhi si ri­
lassano e si inondano di sentimenti che, attraverso di essi, fluisco-
263
Bioenergetica
no verso di me. Quel bambinetta desidera disperatamente venir
fuori e giocare ma ha il terrore di essere ferito, rifiutato o deriso.
Per avventurarsi fuori ha bisogno che io lo rassicuri, soprattutto
toccandolo affettuosamente. E come fa bene venir fuori e sentir­
si accettati!
Un'esperienza come quella appena descritta può rappresenta­
re per il paziente la prima volta in cui, da molto tempo, rivela e
riconosce il bambino che è nascosto in lui. Ma una volta che è av­
venuto il riconoscimento cosciente, la strada è aperta per l'analisi
e l'elaborazione di tutte le ansie e le paure che hanno costretto il
bambino a nascondersi e a seppellire il proprio amore. Perché il
bambino è pieno di amore ed è l'amore ciò che non osiamo espri­
mere nelle azioni attraverso gli occhi, la voce, il corpo.
Tutte queste reazioni sono note e studiate; sono il migliore
frumento per il mulino analitico, perché le esperienze sono im­
mediate e convincenti. Molto dipende naturalmente dalla sensibi­
lità del terapista e dalla sua libertà di stabilire un contatto, di
toccare e di essere toccato, in particolare dalla sua capacità di
mantenersi libero da qualsiasi coinvolgimento emotivo con il pa­
ziente. Una situazione di questo tipo può facilmente portare il
terapista a scaricare sul paziente il proprio bisogno di contatto.
Ma sarebbe un tragico errore. Il paziente deve già superare se
stesso per accettare e affrontare i propri bisogni e sentimenti. Do­
ver trattare anche con i sentimenti personali del terapista signi­
ficherebbe aggiungere un ostacolo invalicabile al recupero della
padronanza di se stesso. Il paziente risponderà ai sentimenti del
terapista per sfuggire ai propri; vedrà il bisogno del terapista co­
me più grande del suo e alla fine perderà il senso del proprio sé,
come fece quando da piccolo si trovò impigliato nel conflitto fra
i suoi bisogni e i suoi diritti e quelli dei genitori. Il paziente pa­
ga perché la seduta terapeutica sia orientata esclusivamente sui
suoi problemi: trarre vantaggio dalla situazione a proprio bene­
ficio personale significa tradire la sua fiducia.
A rischio di ripetermi, desidero tornare su un altro ounto.
Indipendentemente da quanto regredisce, durante la seduta, a uno
stadio infantile, il paziente è pur sempre un adulto ed è anche
pienamente consapevole di esserlo. Il toccarsi fra adulti ha una
connotazione erotica o sessuale. Non si tocca un corpo neutro: si
tocca un uomo o una donna. È una cosa assolutamente naturale.
Ma se si è consapevoli del sesso di una persona si è anche consa-
264
Autoespressione e sopravvivenza
pevoli della sua sessualità. Sessualità però non significa genitali­
tà. La maggior parte dei pazienti sono consci del fatto che sono
un uomo quando mi toccano. Possono ricacciare questa consape­
volezza in fondo alla mente, ma ciò non toglie che ci sia. Come ci
si deve comportare rispetto a questa situazione?
Per me è una questione di principio, oltre ad essere una rego­
la della terapia bioenergetica, che l'agire sessuale con i pazienti va
assolutamente evitato. Purtroppo è facilissimo che si verifichi, in
maniera sottile e a volte anche apertamente. Il terapista deve es­
sere costantemente in guardia contro questa eventualità. So che
molte pazienti hanno sviluppato dei sentimenti sessuali nei miei
confronti. Molte me lo hanno anche detto. Ma la cosa finisce lì.
I miei sentimenti non le riguardano e sarebbe un grave errore
lasciare che si intromettano nella situazione terapeutica. Possia­
mo parlarne, se lo riteniamo utile; ma se non me li so tenere per
me non posso fare una buona terapia. Il terapista deve essere ca­
pace di controllare i propri sentimenti, cioè deve essere padrone
di se stesso.
Ho parlato della capacità di lasciarsi andare. In bioenergetica
la capacità di contenersi è altrettanto importante e viene altret­
tanto sottolineata. Sarà uno dei temi del prossimo capitolo. La
capacità di contenersi è cosciente e volontaria e presuppone la
capacità di lasciarsi andare. Se non ci si sa abbandonare perché
il controllo è inconscio e strutturato nel corpo, non si può nem­
meno parlare di autocontrollo come espressione cosciente del sé.
In questo caso la persona non si contiene: è contenuta.
Mal di testa
Questo argomento rientra nel capitolo sull'Ìmtoespressione per­
ché a volte le cefalee sono causate dalla tensione oculare e riten­
go comunque che siano sempre collegate a blocchi dell'autoespres­
sione. Non sono un'autorità nel campo delle cefalee, ma ho una
notevole esperienza nel trattamento di questo disturbo. L'anali­
si bioenergetica della tensione fornisce una buona base per la com­
prensione di questo disturbo.
In varie occasioni ho dimostrato in pubblico come sia possi­
bile alleviare una cefalea sciogliendo la tensione muscolare. Spes­
so durante una conferenza ho chiesto se qualcuno nel pubblico
avesse mal di testa. Ìn genere ce n'era almeno uno: gli chiedevo
265
Bioenergetica
di avvtcmarsi e provavo a farglielo passare. Il procedimento è
molto semplice. Il soggetto si siede su una sedia e io comincio a
parlare cercando la tensione alla base del capo nella regione occi­
pitale, alla sommità del cranio e nell'area frontale. Poi, tenendo
la fronte con la mano sinistra, con la destra massaggio i muscoli
tesi sulla parte posteriore del capo e nella regione occipitale. Do­
po circa un minuto sposto le mani. Con la sinistra tengo il capo
da dietro e con la destra sciolgo la regione frontale. Poi circondo
il cuoio capelluto con ambedue le mani tenendo le dita sulla som­
mità del cranio e lo muovo leggermente da lato a lato. A questo
punto spiego al pubblico che sto svitando il coperchio chiuso ben
stretto che il soggetto ha sulla testa. Finora questo sistema ha
sempre funzionato: il soggetto ammette che il mal di testa è
sparito.
Tuttavia questo sistema funziona solo con le cefalee da ten­
sione. L'emicrania è diversa e richiede un altro approccio. Spie­
gherò la differenza tra breve.
Scoprii il sistema descritto sopra per caso. Molti anni fa ero
in visita da alcuni parenti che non vedevo da parecchio. Erano
curiosi di sapere in che cosa consistesse il mio lavoro psichiatrico.
Spiegai loro il ruolo della tensione muscolare nei problemi emo­
tivi, ma pensavo che una dimostrazione pratica sarebbe stata più
utile. Dopo aver spiegato loro che la maggior parte delle persone
hanno una tensione notevole sul retro del collo e alla base della
testa, mi avvicinai a mio cugino, gli misi le mani sul capo e presi
a massaggiare con delicatezza quella zona. C'era una certa ten­
sione, ma non lo dissi. Fu tutto. Quando tornammo a casa mia
moglie mandò un biglietto di ringraziamento alla padrona di ca­
sa. Due settimane dopo ricevetti la risposta: " Non so cos'hai
fatto a mio marito, ma gli hai fatto passare un mal di testa che
durava da quindici anni " .
La tensione alla base del capo è paragonabile alla tensione
della bassa schiena. In genere sono presenti insieme nella stessa
persona ed esprimono entrambe il bisogno di mantenere il con­
trollo. La tensione superiore è l'equivalente somatico del coman­
damento psicologico: " Non perdere la testa " , che significa: " Non
!asciarti mai sfuggire il controllo dei tuoi sentimenti " . La tensio­
ne inferiore ha lo stesso significato per la sessualità. Corrispon­
derebbe al comandamento: " Non lasciare che il tuo sedere ti
prenda la mano " . La maggior parte delle persone si sono impe­
gnate a controllarsi.
266
Autoespressione e sopravvivenza
Vorrei ora tornare alla figura del paragrafo precedente per
descrivere le mie idee sulla causa di alcune cefalee.
Questa figura mostra il tragitto seguito dal flusso di energia
o di eccitazione per salire alla nuca e, passando per la sommità
del capo, giungere agli occhi e all'arcata superiore dei denti. Que­
sto flusso trasporta la componente aggressiva di tutti i sentimen­
ti. È necessario in azioni come quelle di guardare e di parlare. Se
mettiamo un coperchio alla nostra aggressività, si crea inevitabil­
mente una pressione contro di esso, che dà origine a una cefalea.
Quello del coperchio è un concetto figurato: ma in alcuni casi
la cefalea comprende tutta la testa. In altri casi c'è una fascia di
tensione intorno al capo a livello della fronte, che blocca l'usci­
ta degli impulsi aggressivi. Intorno alla fascia si accumula della
pressione e in genere si sente dolore alla fronte e a volte sulla
parte posteriore del capo. Scaricando queste tensioni la cefalea
svanisce.
È possibile eliminare la cefalea anche mediante l'espressione
dei sentimenti bloccati. Ma è raro che una persona affetta da ce­
falea sappia che cosa la turba. Quando un conflitto è cosciente si
è consapevoli dei propri sentimenti, che dunque hanno raggiunto
la superficie della mente. Ci si può sentire la testa contratta, ma
267
Bioenergetica
non è la stessa cosa. La cefalea è dovuta a forze inconsce; il
sentimento e la tensione che lo blocca sono sotto al livello della
coscienza . Tutto quello che si sente è il dolore della pressione.
Questo spiega perché, come nel caso di mio cugino, un mal di te­
sta possa persistere molto a lungo.
In base alla mia esperienza l'emicrania è provocata dal bloc­
co del desiderio. Questo sentimento viene trasportato essenzial­
mente attraverso le arterie. Nel mio primo libro ho sottolineato
che Eros è collegato al flusso sanguigno che trasmette i sentimen­
ti provenienti dal cuore. È noto che nell'emicrania c'è una costri­
zione delle arterie della testa che provoca un aumento della pres­
sione sanguigna causando un dolore intenso e pulsante.
Ma se è vero che il desiderio erotico fluisce attraverso i va­
si sanguigni, non è tuttavia limitato ad essi. La carica di eccita­
zione, o carica energetica, sale passando per la parte frontale del
corpo (come illustra la figura) e cerca di esprimersi negli occhi,
nella bocca e nelle mani che si tendono per creare un contatto.
Ho rilevato che in questo disturbo c'è una zona di grave tensio­
ne muscolare a un lato del collo appena sotto l'angolo della ma­
scella. Una leggera pressione in questa regione provoca un dolo­
re lancinante dietro all'occhio. Questa tensione è sempre a lato
della cefalea, ma non conosco il motivo per cui si focalizza da una
parte sola.
È emerso che le emicranie rispondono bene alla psicoterapia.
Ho lavorato per molti anni con una paziente affetta da emicrania,
riuscendo prima a ridurre la frequenza e l'intensità degli episo­
di e infine a eliminarli. A volte riuscii a liberare la paziente da
un attacco fortissimo aiutandola a scaricare i sentimenti con gri­
da e pianto. Altre volte, quando l'episodio durava da molte ore,
questa procedura riduceva l'intensità dell'emicrania ma non l'eli­
minava. Tuttavia dopo una notte di sonno (in seguito alla sedu­
ta) l'emicrania spariva invariabilmente. Perché scomparisse il do­
lore dietro all'occhio il pianto doveva sempre essere accompagna­
to da lacrime.
Questa paziente aveva molta difficoltà ad esprimere qualsiasi
desiderio di intimità e di contatto. Provava imbarazzo e aveva
paura a toccarmi il viso con le mani in maniera dolce e carica di
sentimento. Era anche molto inibita sessualmente, come era lo­
gico aspettarsi visto il grave blocco di ogni espressione di deside­
rio. Se provava qualcosa per l'uomo che doveva incontrare, pri­
ma di uscire aveva sempre degli attacchi di emicrania. Erano più
268
Autoespressione e sopravvivenza
forti quando io ero via in viaggio o in vacanza. Parlare con me
l'aiutava e spesso mi fece telefonate interurbane. È evidente che
aveva operato nei miei confronti un forte transfert dei sentimenti
che aveva provato per il padre e di cui non poteva ammettere
l'esistenza. Per rimuovere la causa deli'emicrania era necessario
elaborare a livello analitico il problema del transfert e dar sfogo
al desiderio di contatto con il padre. Ma solo quando la paziente
fu in grado di esprimere questi sentimenti con gli occhi e con la
voce fui certo che il disturbo non l'avrebbe più tormentata.
Tutti gli individui affetti da emicrania soffrono di un blocco
sessuale che non ha niente a che fare con l'attività sessuale. Ho
conosciute molte persone che soffrivano di emicrania ed erano
sessualmente attive. Il mal di testa deriva da un blocco della com­
ponente tenera ed erotica della sessualità. Il sentimento va nella
testa invece che nell'apparato genitale, dove potrebbe essere trat­
tato e scaricato. La parte superiore del corpo, quella del capo, non
consente questo sbocco. Piangere e gridare serve a scaricare la
tensione immediata, ma non risolve il problema. La capacità di
avere un orgasmo lo risolve.
Un'inversione di direzione dell'energia dovrebbe essere di
qualche aiuto e può essere ottenuta mediante gli esercizi di groun­
ding, che non servono quando l'attacco è al culmine, ma, in base
a quanto ho osservato, sono molto utili quando si sente che l'at­
tacco sta per arrivare o quando è, appena cominciato.
La paura di lasciarsi andare giù nel terreno e nella propria
sessualità è collegata all'ansia di cadere. Ne parlo qui per via del­
la nausea che accompagna invariabilmente un forte attacco di emi­
crania, e che è prodotta da una contrazione del diaframma, lega­
ta alla paura di lasciarsi andar giù.
Per quanto efficace sia l'approccio fisico mio o di altri terapi­
sti bioenergetici, nessun problema emotivo o della personalità
può essere elaborato terapeuticamente senza che prima si sia am­
pliata la consapevolezza del paziente migliorando la sua compren­
sione del problema che lo turba. Ma la comprensione non è solo
un'operazione intellettuale. Per me comprendere (understand) si­
gnifica star sotto (stand under) o empatizzare dal basso, anda­
re alla radice della situazione e sentire le forze che influenzano e
plasmano i propri sentimenti e il proprio comportamento.
269
Capitolo decimo
Coscienza: unità e dualità
Espansione della coscienza
Nell'ultimo decennio si è sviluppato un interesse crescente
per ciò che viene chiamato espansione della coscienza. L'impor­
tanza attribuita a questo aspetto fa parte della nuova imposta­
zione umanistica della psicologia, scaturita dal sensitivity training,
dal movimento d'incontro, dalla terapia della gestalt, dalla bio­
energetica e da altri metodi intesi ad ampliare la consapevolezza
di se stessi e degli altri. La bioenergetica ha contribuito a questo
sviluppo e si inserisce nell'impostazione umanistica; è importante
perciò capire che ruolo svolga in essa la coscienza e come la terapia
bioenergetica contribuisca ad espanderla.
f: tuttavia necessario riconoscere che nella cultura dell'uomo
quest'idea non è nuova, poiché la cultura è il risultato del conti­
nuo sforzo fatto dall'umanità per espandere la propria coscien­
za. Ogni passo nella crescita della cultura - in religione, nelle
arti, nelle scienze naturali o nel governo degli stati - ha rap­
presentato un'espansione della coscienza. Ciò che è nuovo è la
concentrazione cosciente sul bisogno di espandere la coscienza.
Questo sviluppo mi suggerisce che molti vivono questa cultura
come confinante e costrittiva e si sentono soffocati psichicamente
dal suo crescente orientamento materialistico. La gente prova un
bisogno disperato di immettere aria fresca nella mente e nei
polmoni.
La disperazione è la motivazione più potente al cambiamen­
to, ma non la più aflidabile.1 Sappiamo pochissimo della natura
1 LowEN, The Betrayal of the Body, cit., contiene un'ampia discussione sulla psico­
logia della disperazione,
270
Coscienza: unità e dualità
della coscienza, e nella nostra disperata esigenza di cambiare è
facile che cambiamo nel modo sbagliato. Fin troppo spesso la
persona disperata cade dalla padella nella brace. E ingenuo dare per
scontato che il cambiamento sia sempre per il meglio. I popoli, co·
me le civiltà, possono prendere il cammino che scende o quello
che sale; il corso della storia registra periodi di involuzione e di
evoluzione. E quasi sempre vero che la reazione a una situazione
porta all'estremo opposto, dopo di che avviene un'integrazione
delle due posizioni e comincia un nuovo movimento verso l'alto.
Se la nostra cultura attuale e lo stato di coscienza che rappre·
senta possono essere definiti meccanicistici, la reazione contro di
essa porterà al misticismo. Occorre definire questi termini. La fi­
losofia del meccanicismo si basa sul presupposto che fra causa ed
effetto ci sia una connessione diretta e immediata. La nostra vi­
sione tecnologico-scientifica del mondo, che è sottesa da questo
assunto, può essere definita meccanicistica. Un semplice esempio
di pensiero meccanicistico è la concezione del crimine come ri­
sultato diretto della miseria. Naturalmente un rapporto fra cri­
mine e miseria esiste ma assumere che la miseria causi il crimine
è ingenuo, perché significa trascurare i complessi e sottili fattori
psicologici che influenzano il comportamento. L 'erroneità di que­
sta concezione è dimostrata dall'alto tasso di criminalità che ca­
ratterizza i periodi di prosperità economica.
L'atteggiamento mistico nega l'operatività della legge di cau­
sa ed effetto, vede tutti i fenomeni come manifestazione di
una coscienza universale e nega l'importanza della coscienza in­
dividuale. In un mondo in cui la legge della causalità è un'illusio­
ne, l'azione non ha significato. Il mistico è costretto dalla sua fede
a ritirarsi dal mondo. Si rivolge verso l'interno per trovare il vero
significato della vita e allora scopre di essere tutt'uno con la vita
in generale e con l'universo. O almeno questo è quello che si sfor­
za costantemente di raggiungere, perché la vita non permette un
ritiro totale dal mondo che la sostiene, se non con la morte. Il
mistico non può, come non può farlo nessun essere, trascendere
del tutto la propria esistenza corporea.
Nella situazione attuale di reazione contro la filosofia mecca­
nicistica della nostra cultura è facile che siamo portati al malinteso
di credere che la risposta sia il misticismo. Sono molti, anzi, quelli
che si sono davvero volti al misticismo per liberare la propria co­
scienza dalla presa soffocante della concezione meccanicistica del­
la vita. Non credo che questa sia una via che sale. Non che il mi-
271
Bioenergetica
stico sbagli, perché nella sua posizione c'è una parte di verità. Ma
allora nemmeno il meccanicista è in errore, perché la sua scienza
ha dimostrato che in certe situazioni - cioè nei sistemi chiusi in
cui tutte le variabili possono essere controllate e determinate la legge di causa ed effetto funziona. Ma la vita è un sistema aper­
to, non chiuso; è impossibile conoscere e controllare tutte le va­
riabili che influiscono sul comportamento umano, dunque la legge
di causa ed effetto non è pienamente applicabile. D'altro can­
to c'è un meccanismo - come anche un dinamismo - della vita
e se si affonda un coltello nel cuore di una persona questa sen­
z'altro morirà perché è stata distrutta la capacità del cuore di svol­
gere la funzione meccanica di pompare sangue.
Se nessuna delle due visioni è sbagliata, allora entrambe so­
no solo parzialmente vere e dobbiamo scoprire qual è la verità
completa e come le due visioni si inseriscano in questo quadro.
Mettiamola in questo modo. La posizione meccanicistica ha una
sua validità oggettiva. Nel mondo degli oggetti o delle cose, spe­
cialmente delle cose materiali, sembra che la legge di causa ed
effetto valga. Il mistico può rivendicare alla sua visione del mon­
do una validità soggettiva, perché descrive un mondo spirituale in
cui gli oggetti non esistono. Ma ambedue i mondi esistono, perché
nessuno dei due nega l'altro e l'essere umano è in contatto con
ambedue, perché vive se stesso sia come soggetto che come og­
getto. Non credo che sia un fenomeno unicamente umano - an­
che gli organismi animali più evoluti paiono funzionare in ambe­
due i mondi - ma ciò che è esclusivamente umano è la consape­
volezza della polarità delle due posizioni. È esclusiva dell'uomo
anche la possibilità di spaccare in due l'unità di interiore ed este­
riore, proprio come spacca l'unità dell'atomo creando il terrore
oggettivo della bomba nucleare, in cui si sostanzia il terrore sog­
gettivo della distruzione del mondo proprio della personalità
schizofrenica.
Un semplice diagramma può spiegare questi rapporti più chia­
ramente delle parole. Rappresenteremo l'organismo uomo me­
diante una circonferenza con un centro o nucleo. Gli impulsi che
si originano al centro con il pulsare dell'energia fluiscono verso
l'esterno come onde dirette alla periferia della circonferenza quan­
do l'organismo interagisce con l'ambiente. Allo stesso tempo gli
stimoli provenienti dal mondo esterno colpiscono l'organismo,
che reagirà ad alcuni di essi.
Osservando la figura viene in mente l'organismo unicellulare
272
Coscienza: unità e dualità
racchiuso in una speciale membrana semipermeabile che qui è rap­
presentata dalla circonferenza. L'organismo umano comincia la
propria vita come una singola cellula, e benché questa cellula si
moltiplichi un numero astronomico di volte per creare una per­
sona, nella sua unità energetica la persona conserva un'identità fun-
IMPULSO
(
STIMOLO
zionale con la singola cellula da cui ha avuto origine. Una mem­
brana vivente circonda ogni organismo e ne crea l'individualità
separandolo dal mondo. Ma la membrana non è un muro; è per­
meabile in maniera selettiva e consente l'interscambio fra indivi­
duo e mondo.
Nello stato di salute l'individuo percepisce il contatto fra il
proprio nucleo e il mondo esterno. Gli impulsi provenienti dal
suo nucleo pulsante (cuore) fluiscono nel mondo e gli eventi del
mondo esterno raggiungono e toccano il suo cuore. In quanto en­
tità responsabile si sente tutt'uno con il mondo e con il cosmo.
Non si limita a tendersi in maniera meccanica, come vorrebbe
farci credere la teoria del comportamento condizionato, ma rispon­
de con i sentimenti del cuore e con l'unicità del suo essere indivi­
duale. Ma siccome è anche cosciente della propria individualità,
si rende conto che le sue azioni spontanee di risposta influiscono
con modalità causale sul mondo e sugli altri e può dunque assu-
273
Bioenergetica
mersi la responsabilità di queste azioni. Perché la causalità di fat­
to opera; se dico o faccio qualcosa di offensivo devo assumermi
la responsabilità del dolore che causo all'altro.
Questa situazione normale è disturbata quando l'uomo, come
dice Reich, diventa " corazzato " . Nel diagramma riportato sotto
questa armatura è rappresentata da una linea ondulata situata sot­
to la superficie o membrana dell'organismo. In effetti l'armatura
separa i sentimenti del nucleo dalle sensazioni provate alla perife-
ria. Facendo questo spacca l'unità dell'organismo e l'unità autenti­
ca del suo rapporto con il mondo. Ora esso ha sentimenti interio­
ri e reazioni esterne, un mondo interno e uno esterno con cui iden­
tificarsi, ma a causa della spaccatura i due mondi non sono uniti.
La corazza è come un muro: la persona può essere da una parte o
dall'altra ma non da tutte e due nello stesso tempo.
Ritengo che ora siamo in grado di capire il problema del rap­
porto fra misticismo e meccanicismo. Ambedue gli atteggiamenti
risultano da una condizione corazzata. Il mistico vive nel mondo
interiore e si è dissociato dagli eventi esterni. Per lui la legge del­
la causalità è irrilevante; l'unica cosa che conta è cercare di resta­
re in contatto con il suo nucleo pulsante. Se cerca di coinvolgersi
nel mondo degli oggetti dovrà attraversare il muro e andare dal­
l'altra parte, ma così perderà il contatto con il proprio centro. Il
meccanicista, che è dall'altra parte del muro, ha perso il contatto
con il centro. L'unica cosa che sente o che vede è il suo modo di
274
Coscienza: unità e dualità
reagire causalmente agli eventi, e cosl è convinto che la vita sia
puramente una questione di riflessi condizionati. Siccome gli og­
getti e gli avvenimenti determinano le sue reazioni, le sue energie
sono impegnate a manipolare un ambiente che egli sente alieno e
ostile al suo essere.
La coscienza mistica è l'esatto opposto di quella meccanicisti­
ca. Questa è ristretta e nitidamente a fuoco, perché ogni oggetto
presente nell'ambiente circostante deve essere isolato per poter
essere controllato. Anche gli avvenimenti devono essere separati
e studiati come accadimenti speciali, con il risultato che la storia
viene vista come una serie di eventi piuttosto che come il conti­
nuo sforzo fatto dalle persone per realizzare il potenziale della
propria vita. Non voglio con ciò dire che la coscienza meccanici­
stica sia tutta sbagliata; si è sviluppata dal forte senso dell'indivi­
dualità e dall'egoismo dell'uomo occidentale attraverso secoli di
sforzi intesi ad asserire la libertà dell'individuo. La coscienza mi­
stica invece è ampia, ma nella sua forma ultima lo è a tal punto
da diventare vaga e vuota di significato. Forse potremmo dire sem­
plicemente che dove la coscienza meccanicistica non vede la
foresta perché vede gli alberi (dato che è intenta a tagliarli), la
coscienza mistica non vede gli alberi perché vede la foresta. Mi
vengono in mente alcuni esseri umani che sono talmente " innamo­
rati" della gente da non saper vedere o rispondere alla persona
che hanno davanti. Un'altra analogia si suggerisce da sé. Il misti­
co, camminando con gli occhi spalancati ad ammirare il miraco­
lo dell'universo, non vede le pietre sul suo cammino e inciampa.
Ma non importa. Il meccanicista, tutto intento a guardare le pie­
tre che potrebbero farlo incespicare, non vede la bellezza del
cielo.
Non si può risolvere questo conflitto cercando di fare am­
bedue le cose - guardar su, guardare giù, guardar su. Bisognereb­
be diventare degli acrobati per scalare continuamente il muro.
L'unica soluzione è abbatterlo, eliminare la corazza e scaricare le
tensioni : la bioenergetica è tutta qui. Finché il muro è in piedi la
persona è spaccata in due fra misticismo e meccanicismo, perché
tutti i meccanicisti dentro sono dei mistici e tutti i mistici, in
superficie, sono dei meccanicisti. Fondamentalmente sono identi­
ci: rovesciando il cappotto non lo si cambia. Questo spiega perché
un grande scienziato come Erwin Schroedinger, quando si volge
verso i suoi sentimenti interiori (in What is Life?), pensa da
mistico.
275
Bioenergetica
Un pensiero che non sia né meccanicistico né m1st1co viene
chiamato funzionale. Ritengo che il concetto di pensiero funziona­
le, nella forma in cui lo spiega Reich, sia una delle grandi conqui­
ste della mente umana. È di particolare utilità per la comprensio­
ne della coscienza.
Cominciamo col considerare la coscienza una funzione, e non
uno stato: ad esempio come la funzione di parlare. A seconda del
bisogno si può parlare o tacere; analogamente, a seconda della si­
tuazione, si può essere o meno coscienti. È: interessante notare co­
me la coscienza sia strettamente legata ai discorsi fra sé e sé che
si fanno continuamente in nome del pensiero. È anche interessan­
te osservare che parlando trasmettiamo informazioni agli altri men­
tre la coscienza ha a che fare con il fatto di ricevere informazio­
ni. C'è una stretta connessione fra coscienza e attenzione, perché
più prestiamo attenzione a una cosa più ne siamo consapevoli.
Ma se la coscienza è una funzione, allora ha le caratteristiche
di un'abilità. �.espansione della coscienza non ha senso a meno
che non si veda la cosa come un accrescimento della propria ca­
pacità di essere coscienti. Spostando l'attenzione da una cosa al­
l'altra non espandiamo la coscienza, perché mentre vediamo il
nuovo non possiamo vedere il vecchio. La consapevolezza è come
una torcia che illumina un aspetto di un campo e ce lo fa vedere
chiaramente ma che, in questo processo, fa apparire più buio il
resto del campo. Spostando la luce non si accresce né si espande
la consapevolezza, perché adesso la prima zona diventa scura e il
campo visuale (della visione o della comprensione) non è cambia­
to. Cionondimeno la mobilità della luce è uno dei fattori della co­
scienza. Chi ha gli occhi fissi solo su di un aspetto della vita ha
una coscienza (capacità di coscienza) più limitata della persona che
può muovere gli occhi intorno per vedere molte cose diverse.
Il paragone della coscienza con la luce mi permette di intro­
durre una serie di fattori che misurano la funzione della coscien­
za. Ovviamente una luce forte è più rivelatrice di una luce smor­
zata. Analogamente avviene per la coscienza: chi ha vista più
chiara, udito più acuto, olfatto più fino, miglior gusto - in altre
parole un grado più elevato di sensi-bilità percettiva - ha la co­
scienza che funziona a livello più elevato che non l'individuo con
sens-abilità ridotta. La profondità o capacità di penetrazione della
luce, che è funzione in parte dell'intensità di illuminazione e in
parte della messa a fuoco, corrisponde nella coscienza a un fattore
analogo. Ci sono persone psicologicamente lungimiranti che han-
276
Coscienza: unità e dualità
no un pensiero profondo e vedono lontano. Questo riflette una
qualità della loro coscienza. E sarebbe un handicap se la persona
non potesse vedere anche quello che le sta davanti al naso. Infine
c'è la capacità di allargare o di restringere il campo della perce­
zione, di muoversi liberamente fra la visione meccanicistica e
quella mistica perché il muro non esiste.
Esprimendola in questo modo, non è difficile vedere che la
funzione della coscienza dipende dalla vitalità della persona e che
è direttamente collegata alla salute emotiva. Ma ciò che è più im­
portante è la conclusione che l'abilità di essere coscienti è legata
ai processi energetici del corpo - cioè alla quantità di energia di
cui dispone un individuo e alla libertà con cui tale energia può
circolare. La coscienza riflette lo stato di eccitazione interiore; in­
fatti è la luce della fiamma interna proiettata su due schermi la superficie del corpo e quella della mente.
Un'altra analogia può aiutare a chiarire queste relazioni. Pos­
siamo paragonare ciò che accade nella coscienza a un apparecchio
televisivo. La televisione consiste di un apparato per la ricezione
dei segnali, di un amplificatore, di una sorgente di energia (elet­
troni) che viene proiettata su di uno schermo sensibile. Quando
il televisore è acceso e sintonizzato per ricevere i segnali in arri­
vo, lo schermo si illumina e compare un'immagine. La luminosità
e la nitidezza dell'immagine sono determinate dalla forza del flus­
so di elettroni e dalla sensibilità dello s�hermo. Fattori analoghi
operano nella coscienza - la carica energetica degli impulsi che
fluiscono dal nucleo e la sensibilità delle due superfici, quella del
corpo e quella della mente. Di una persona insensibile diciamo che
ha la pelle dura. Un corpo senza pelle non può schermare gli sti­
moli in entrata e perciò la persona è ipersensibile e vulnerabile a
ogni alito di vento. È una condizione estremamente dolorosa.
La televisione è un apparecchio meccanico, ma il confronto è
possibile proprio perché nel funzionamento del corpo c'è un aspet·
to meccanico, ma il corpo ha un'energia sua propria e un io o una
volontà che può dirigerla a seconda dei bisogni. Possiamo dirige­
re la coscienza a piacere su una parte o sull'altra del corpo. Lo fac·
ciamo concentrando l'attenzione su quella parte. Per esempio pos­
so guardarmi i piedi e ottenerne un'immagine, muoverli e sentirli
cinesteticamente o far fluire in essi l'energia e i sentimenti, otte­
nendo magari che vibrino o formicolino. Solo allora sono consa­
pevole dei miei piedi come parte viva e senziente del mio .essere.
Ci sono diversi livelli di coscienza su cui occorre fare chiarezza.
277
Bioenergetica
Ho già parlato di questo fenomeno in un capitolo precedente
del libro mostrando come si possa dirigere l'attenzione sulla ma­
no accrescendone la carica. In base allo stesso principio, quando
la mano, il piede o una qualsiasi altra parte del corpo diventano
energeticamente carichi l'attenzione viene attirata su quella parte
e aumenta la consapevolezza di essa. La maggiore carica mette la
parte in uno stato di tensione (tenzione) , è at-tenzione. Non è la
tensione cronica presente in un muscolo contratto o spastico, ma
uno stato vivo e positivo che può portare in maniera naturale alla
reazione e alla scarica. Nella muscolatura viene chiamato assetto
o prontezza all'azione. Nel pene è la condizione per esprimere
amore sessuale.
Benché l'attenzione possa essere diretta con un atto di volon­
tà, che implica un certo controllo dell'io sul flusso di energia nel
corpo, per lo più essa viene catturata da un evento esterno o in­
terno. Ho sottolineato molte volte che in genere la volontà è un
meccanismo di emergenza. Se le nostre reazioni sono spontanee
le parti periferiche del corpo che sono in contatto con il mçmdo
devono essere sempre relativamente cariche e pronte a reagire.
Vale a dire che quando siamo svegli normalmente siamo in uno
stato relativo di at-tenzione o allarme. In altri termini siamo
coscienti. Da ciò consegue anche che la portata della nostra co­
scienza è proporzionale alla quantità di carica presente nel corpo,
mentre il grado di coscienza dipende dall'intensità della carica.
Nel sonno, quando la carica viene ritirata dalla superficie del cor­
po, la portata della nostra attenzione scende a zero. Lo stesso suc­
cede quando si perdono i sensi.
Ho detto che ci sono diversi livelli di coscienza. La coscienza
di un bambino è di un livello diverso, inferiore rispetto a quella
dell'adulto. Il bambino ha una coscienza maggiore del proprio cor­
po, ma meno definita e raffinata. Il bambino è sensibile a un mag­
gior numero di sensazioni corporee ma meno consapevole di sen­
sazioni specifiche come le emozioni o i pensieri. La coscienza si
acuisce con la crescita e lo sviluppo dell'io, che è esso stesso una
cristallizzazione della coscienza. Perciò i livelli di coscienza cor­
rispondono alla gerarchia delle funzioni della personalità che ho
descritto in un capitolo precedente. Il diagramma di p. 279 le
raffigura come livelli di coscienza.
La coscienza dei processi del corpo è il livello più profondo e
più ampio di coscienza. Questi processi sono la respirazione ritmi­
ca, lo stato vibratorio della muscolatura, le azioni involontarie e
278
Coscienza: unità e dualità
spontanee, le sensazioni che scorrono e l'espansione e contrazione
pulsatile del sistema cardiovascolare. In genere siamo consapevo­
li di queste ultime solo in stati di grande eccitamento o nel misti­
cismo. Questo è il livello in cui sentiamo la nostra identificazione
con la vita, la natura e il cosmo. Fra le popolazioni primitive que­
sta coscienza è stata descritta come partecipazione mistica, indi­
cando un'identificazione mistica con i processi naturali e univer­
sali. A questo estremo si perde il senso della propria individualità
unica, perché i confini del sé diventano tanto nebulosi da non dif­
ferenziare più il sé dall'ambiente. È anche il livello della coscien­
za infantile, la cui direzione però è opposta a quella della coscien­
za mistica. La prima sta crescendo verso una differenziazione del
sé, mentre la seconda si muove verso l'indifferenziazione.
AUTOCOSCIENZA
E
-
- - - - - - -
- - - - -- - ·
D
PENSIERO
c
B
PRINCIPI
EMOZIONI
SENTIMENTI
SENSAZIONI
PROCESSI CORPOREI
A
PROCESSI NATURALI ED U NIVERSALI
LIVELLI CRESCENTI DI COSCIENZA
279
Bioenergetica
Nella mia concezione il livello successivo di coscienza com­
prende la percezione di emozioni specifiche. Il bambino molto pic­
colo non è arrabbiato, triste, spaventato o felice. Queste emozio­
ni dipendono da un certo grado di consapevolezza del mondo
esterno. La collera, per esempio, implica uno sforzo diretto con­
tro una forza " ostile" situata all'esterno dell'organismo. Il bam­
bino molto piccolo lotta contro una forza costrittiva, ma le sue
azioni sono casuali e non dirette. Gli manca il controllo cosciente
dei propri movimenti e la capacità di percepire la natura delle for­
ze esterne. L'emozione della tristezza implica un senso di perdita
che il neonato non è in grado di percepire. Piange in risposta a
uno stato di tensione generato da una condizione penosa (fame,
scomodità e cosi via). Ciò non significa che non ci sia perdita; il
bambino che piange perché vuole la madre piange perché ha per­
so la connessione con lei che gli è necessaria, ma finché la vede
come un agente esterno associato con una sensazione di piacere,
non sente la perdita.
La coscienza si schiude come il bocciolo di un fiore, in modo
cosi graduale che non è possibile percepire il cambiamento. Eppu­
re la nostra cosCienza può distinguere degli stadi, che qui possia­
mo descrivere per il gusto dell'analisi. La memoria ha un ruolo
importante nella funzione della coscienza.
Quando un bambino diventa cosciente del proprio pensiero,
o pensa coscientemente? Benché io non sia in grado di dare una
risposta esatta a questa domanda, sono certo che ci sia un'epoca
in cui questi aspetti della funzione della coscienza diventano
operativi. Mi sembra che la coscienza del pensiero sia legata al­
l'uso delle parole, o che almeno per la maggior parte delle persone
sia così. Ma siccome le parole nascono nei rapporti sociali e ven­
gono usate per comunicare delle informazioni, questo stadio del­
la coscienza è associato con il crescere della consapevolezza del
mondo sociale. Man mano che questo mondo si amplia diminui­
sce, al confronto, lo spazio individuale e la posizione della perso­
na (io, individuo) diviene più definita.
Il pensiero cosciente o oggettivo dà origine alla consapevolez­
za dell'io. Ci si vede come attori coscienti nel mondo con delle
scelte di comportamento. La scelta importante è quella fra dire la
verità e ingannare.' Questa scelta significa che la coscienza può
ripiegarsi su se stessa per essere consapevole del sé in quanto fat2
280
LowEN, Pleasure, cit., 'discute il ruolo della falsità nella formazione dell'io.
Coscienza: unità e dualità
tore obiettivo del proprio pensiero. O, in termini più semplici,
si può pensare sul proprio pensiero. Questo sviluppo crea la dua­
lità che caratterizza la coscienza moderna. Una persona è nel con­
tempo soggetto e oggetto, consapevole di essere un attore ma an­
che di subire delle azioni.
A livello dell'io la coscienza è duale, ma non spaccata. La spac­
catura avviene quando la coscienza trascende la personalità dando
origine alla self-consciousness. La self-consciousness non coincide
con la coscienza di se stessi, ma è uno stato patologico in cui la
consapevolezza si focalizza tanto intensamente sul sé da rendere
penosi e difficili il movimento e l'espressione. Un simile stato di
coscienza, che non è infrequente nella schizofrenia, può capitare
momentaneamente anche all'individuo medio. L'intensità della
messa a fuoco restringe la coscienza al punto che c'è il rischio
che si spezzi o svanisca, cosa estremamente spaventosa.
L'analisi precedente rende chiara una cosa: la coscienza, man
mano che sale a livelli più elevati, non si espande ma si restringe
per aumentare la messa a fuoco e la capacità di operare discrimina­
zioni. D'altra parte, man mano che si approfondisce fino a com­
prendere i sentimenti, le sensazioni e i processi corporei che le
creano, diventa più ampia ed estensiva. Per evidenziare questa
differenza ricorrerò a due termini molto generali - coscienza del­
la testa e coscienza del corpo - che rappresentano rispettivamen­
te il vertice e la base del triangolo.
Molte persone, in particolare quelle che vengono definite in­
tellettuali, hanno soprattutto una coscienza di testa. Si considera­
no delle persone molto consapevoli e di fatto lo sono, ma la loro
coscienza è limitata e ristretta - limitata ai loro pensieri ed im­
magini e ristretta perché vedono se stessi e il mondo solo in termi­
ni di pensieri e di immagini. Comunicano con facilità i propri pen­
sieri, ma hanno grosse difficoltà a sapere o ad esprimere quello che
sentono. In generale sono inconsapevoli di quello che succede nel
loro corpo e di conseguenza sono inconsapevoli del corpo di colo­
ro che li circondano . Parlano di sentimenti ma non li sentono né
agiscono su di essi. Sono consapevoli solo dell'idea del senti­
mento. Di persone del genere si potrebbe dire che non vivono la
vita, ma la percorrono col pensiero. Vivono nella loro testa.
La consapevolezza del corpo è al polo opposto. E caratteristi­
ca dei bambini che vivono nel mondo del corpo e delle sue sen­
sazioni e degli adulti che conservano una stretta connessione con
il bambino che sono stati e che dentro di sé continuano ad essere.
281
Bioenergetica
La persona che possiede la consapevolezza del corpo sa cosa sente
e dove lo sente nel corpo. Ma è anche in grado di dirvi quello che
sentite voi e come lei lo vede nel vostro corpo. Vi sente come
un corpo e come tale vi risponde; non si lascia ingannare dai " ve­
stiti nuovi del re " .
C'è una grossa differenza fra essere consapevoli del corpo e
possedere una coscienza del corpo. Si può essere consapevoli del
corpo con una coscienza di testa, il che è vero per tantissime per­
sone che si impegnano nell'educazione fisica (ad esempio frequen­
tando una palestra per migliorare la propria figura) o nell'atletica
e nelle arti ginnastiche. Il corpo allora viene visto come strumen­
to dell'io, non come l'autentico sé. Ho lavorato con un certo nu­
mero di queste persone in terapia bioenergetica e da tempo ormai
non mi sorprendo più nel notare quanto poco siano a contatto
con il proprio corpo.
Non sto affermando che la coscienza del corpo sia superiore
alla coscienza della mente, anche se non è infrequente incontrare
la posizione opposta. Ho poca considerazione per una coscienza
di testa dissociata, ma rispetto moltissimo una coscienza di testa
che sia pienamente integrata con la coscienza del corpo. Analoga­
mente ritengo che la coscienza del corpo da sola sia un livello im­
maturo dello sviluppo della personalità.
Naturalmente la bioenergetica mira ad espandere la coscienza
aumentando la coscienza del corpo. Ma nel farlo non può permet­
tersi di ignorare (e non ignora) l'importanza della coscienza di te­
sta. Nella terapia bioenergetica si può elevare il livello di coscien­
za anche mediante l'uso del linguaggio e delle parole. Dobbiamo
tuttavia riconoscere che la nostra cultura è prevalentemente una
cultura di " testa " e che quanto a coscienza del corpo siamo gra­
vemente carenti.
La coscienza del corpo occupa una posizione intermedia fra
la coscienza di testa e l'inconscio, e cosi serve a connetterci ed
orientarci con le forze misteriose presenti nella nostra natura. La
figura di p. 283 illustra in maniera semplificata questo rapporto.
Mentre la coscienza di testa non ha connessioni dirette con
l'inconscio, la coscienza del corpo vi è connessa. L'inconscio è
quell'aspetto del nostro funzionamento corporeo che non perce­
piamo e non siamo in grado di percepire. Così, mentre possiamo
diventare consapevoli, con uno sforzo di attenzione, della nostra
respirazione e in alcuni stati anche del cuore, non possiamo di­
ventare coscienti dell'azione dei reni, per non parlare delle sot282
Coscienza: unità e dualità
tili reazioni che si verificano a livello dei tessuti o delle cellule.
L'intimo processo vitale del metabolismo esula dalla nostra ca­
pacità di percezione. Tanta parte della nostra vita ha luogo in una
regione buia dove la luce della mente cosciente non può risplen­
dere. E la coscienza della mente, essendo pura luce, ha paura
del buio.
1\
COSCIENZA
DELL'IO
COSCIENZA
DEL CORPO
INCONSCIO
A livello della coscienza di testa il mondo è una serie di di­
scontinuità, di eventi e cause non collegati. È la natura essenzia­
le della mente, o coscienza dell'io, che crea le dualità e spacca
l'unità essenziale di tutte le funzioni naturali. Camus ha espresso
egregiamente questo fatto in maniera poetica: " Finché lo spirito
tace nel mondo immobile delle proprie speranze, tutto si riflet­
te e prende posto nell'unità della sua nostalgia; ma al primo mo­
vimento, tale mondo si fende e rovina: infiniti, lucidi lampeggia­
menti si offrono alla conoscenza... " 3 L'intrusione della mente co­
sciente ha un effetto rovinoso. Il problema teorico è come rico­
struire coscientemente quella unità.
Poiché ciò non può essere fatto, Camus dice che il mondo è
" assurdo " . Ma è necessario farlo. Questo problema, che tormen­
ta tanti pensatori, non disturba l'individuo medio. Non ho
mai sentito un paziente lamentarsi di questo. I problemi della gen-
3 ALBERT CAMUS, The Myth of Sisyphus, Vintage Books, New York, 1955, p. 14;
trad. it. Il mito di Sisi/o, Bompiani, Milano, 19664•
283
Bioenergetica
te sono concentrati sulle questioni pratiche e sui sentimenti con­
flittuali. Non ho mai visto un paziente soffrire di un'ansia " esi­
stenziale" . In tutti i casi su cui ho lavorato, l'ansia poteva essere
ricollegata a un " soffocamento nelle strettoie " . Perché presuppo­
niamo che la coscienza possa fornire tutte le risposte, quando ogni
evidenza dimostra che essa crea tanti problemi quanti ne risolve?
Perché siamo tanto arroganti da credere di poter conoscere tutto?
Non è necessario.
La risposta a questi interrogativi è che abbiamo finito per
aver paura del buio, dell'inconscio e dei processi misteriosi che
conservano il nostro essere. Malgrado i progressi della scienza,
queste cose rimangono misteriose; per parte mia sono contento
che nella vita ci sia ancora qualche mistero. Una luce senza ombre
è un bagliore accecante. Se riusciamo a illuminare ogni cosa ri­
schiamo di creare un " whiteout" che distruggerebbe la coscienza.
Potrebbe essere come il lampo di luce nel cervello di un epiletti­
co, che precede le convulsioni e il blackout. Continuando ad ac­
crescere la coscienza alla sommità della piramide è facile che ol­
trepassiamo il limite, diventando troppo consapevoli di noi stessi
e condannandoci all'immobilità.
La bioenergetica procede diversamente. Espandendo la coscien­
za verso il basso, porta l'individuo più vicino all'inconscio. No­
stro obiettivo non è di rendere cosciente l'inconscio, ma di ren­
derlo più familiare e meno spaventoso. Quando scendiamo fino
a quella zona di confine in cui la coscienza del corpo tocca l'in­
conscio ci rendiamo conto che l'inconscio è la nostra forza, men­
tre la coscienza è la nostra gloria. Percepiamo l'unità della vita e
capiamo che il significato della vita è la vita stessa. Possiamo anche
scendere oltre e lasciare che l'inconscio ci avvolga, come in un
bel sogno o in un orgasmo estatico. Allora avviene un rinnova­
mento alle sorgenti più profonde del nostro essere e possiamo sa­
lutare il nuovo giorno con un maggior grado di consapevolezza,
che non ha bisogno di aggrapparsi alla sua luce effimera per paura
del buio.
Parale e accrescimento della coscienza
Nel 1949 Reich cambiò nome alla vegetoterapia analitica del
carattere e la chiamò terapia orgonica. Il termine orgone indica­
va l'energia cosmica primordiale. Questo cambiamento coincise
con la convinzione che nel processo terapeutico si potesse fare a
284
Coscienza: unità e dualità
meno delle parole e che fosse possibile ottenere dei miglioromenti
significativi della personalità lavorando direttamente sui processi
energetici del corpo. La terapia organica prevedeva anche l'im­
piego di accumulatori di energia organica per caricare il corpo.
Nel primo capitolo ho riferito come Reich fosse riuscito a far
sviluppare rapidissimamente in alcuni pazienti il riflesso dell'orga­
smo, che però non si manteneva dopo il termine della terapia. Le
tensioni della vita quotidiana facevano riemergere i problemi, il
paziente perdeva la capacità di abbandonarsi al proprio corpo. Ma
cosa significa esattamente " elaborare terapeuticamente i proble­
mi di una persona " ? Siamo abituati a usare questa espressione con
disinvoltura, senza evidenziarne tutte le dimensioni.
Analiticamente parlando un problema è stato elaborato quan­
do il soggetto ne conosce il cosa, il come e il perché. Cos'è il pro­
blema? Come influisce sul mio comportamento ? Perché ho questo
problema? La tecnica psicoanalitica si propone di fornire le rispo­
ste a queste domande? Perché, allora, non riesce ad essere più ef­
ficace? La risposta è semplice: oltre a questi fattori ne esiste an­
che un quarto, di tipo economico o energetico. Reich mostrò che
se non si verificava un cambiamento a livello del funzionamento
sessuale o dell'economia energetica - cioè se il paziente non giun­
geva ad avere più energia e a scaricarla più completamente - non
aveva luogo nessun progresso significativo.
Sapere non basta. Molti conoscono in parte il cosa, il come
e il perché dei loro problemi senza però essere in grado di cam­
biare le proprie risposte emotive. Sono stati scritti talmente tan­
ti testi di psicologia che non è difficile accedete a una conoscenza
abbastanza ampia dei problemi della personalità. Questi libri,
anche quando forniscono informazioni complete sul cosa, sul co­
me e sul perché, raramente aiutano ad elaborare fino in fondo i
propri problemi. Il fatto è che la conoscenza è una funzione
della coscienza della testa, che non necessariamente penetra nella
coscienza del corpo e la influenza. Naturalmente può influenzarla
ed è quanto accadeva agli inizi della psicoanalisi, prima che la
gente diventasse psicologicamente sofisticata. Allora il paziente
che tramite l'interpretazione di un sogno apprendeva di avere un
legame di tipo incestuoso con la madre ne era scosso a livello sia
fisico che emotivo. Questa conoscenza aveva un impatto su di
lui, egli vi reagiva con tutto il suo essere. Oggi i pazienti parlano
con disinvoltura dell'odio o del rifiuto della madre, senza che nel­
le loro parole entri una forte carica emotiva o energetica.
285
Bioenergetica
Proprio questa situazione, il parlare dei sentimenti senza sen­
tire, indusse Reich a sviluppare dapprima la tecnica dell'analisi del
carattere e poi le tecniche intese a eliminare la " corazza " corpo­
rea. Eppure siamo ancora prigionieri della mistica delle parole,
come se le cose si potessero cambiare parlandone. Anzi, spesso
usiamo le parole per far sì che nulla cambi. Finché possiamo par­
lare di qualcosa ci sentiamo al sicuro, perché il parlare riduce il
bisogno di sentire e di agire. Le parole sono un sostituto dell'azio­
ne: a volte sono un sostituto profondamente necessario e valido,
ma a volte rappresentano un blocco alla vita del corpo. Quando
le parole vengono impiegate come sostituti dei sentimenti dimi­
nuiscono la vita e la rendono astratta.
Affidandosi alle parole c'è sempre il pericolo che non esprima­
no la verità dell'individuo. Si mente deliberatamente, ma a li­
vello corporeo non lo si può fare perché un sentimento maschera­
to tradisce la propria insincerità. Non mi capita spesso in tera­
pia di incontrare persone che mi mentono coscientemente; ma a
volte accade. C'è però l'autoinganno, quando il soggetto fa un'af­
fermazione che ritiene vera ma che non concorda con la verità del
suo corpo. Spesso sentiamo dire " sto bene " , quando basta uno
sguardo superficiale per vedere che chi l'ha detto in realtà si sen­
te stanco, triste o umiliato. Può non essere una bugia intenzio­
nale; spesso è una facciata di parole, eretta più per convincere se
stessi che gli altri.
Chi si arrischierebbe a sostenere di credere a tutto quello che
dicono gli altri? Solo un inguaribile ingenuo o uno sciocco. I te­
rapisti non si fidano mai delle parole di un paziente finché non
riescono a penetrare dietro alla facciata di difese che egli ha eret­
to per non rivelare se stesso.
Possiamo dunque capire perché Reich cercasse di andare ol­
tre le parole e di trattare i problemi dei pazienti a livello corpo­
reo o energetico. Perché allora falll? Perché, con il dovuto riguar­
do per la loro inaffidabilità, le parole sono indispensabili al fun­
zionamento umano.
Le parole sono il più grande magazzino di esperienza: adem­
piono a questa funzione culturale nelle storie che ci vengono nar­
rate e nei libri che leggiamo. Non sono l'unico magazzino di espe­
rienze, ma certo di gran lunga il più importante. I documenti
storici non sono limitati alle parole - esistono anche gli oggetti
dei tempi passati - ma studiare la storia senza disporre delle pa­
role sarebbe un compito sovrumano . .
286
Coscienza: unità e dualità
Le parole svolgono a livello individuale la stessa funzione
che svolgono per la società. La storia viva di una persona è regi­
strata nel corpo, ma la storia cosciente lo è nelle parole. Se man­
ca la memoria delle esperienze mancano anche le parole per de­
scriverle. Chi possiede la memoria la traduce in parole, espresse
tra sé e sé, pronunciate o scritte. In ogni caso la memoria, una
volta tradotta in parole, assume una realtà oggettiva, specialmen­
te se le parole vengono espresse. Nella mia terapia personale,
quando vidi l'immagine del viso di mia madre che mi guardava
adirata perché il mio pianto l'aveva disturbata, esclamai : " Perché
sei arrabbiata con me? Piango solo perché ti voglio " . Il vissuto
era quello di me stesso bambino, ma le parole erano quelle di un
adulto. Mentre le pronunciavo ebbi l'acuta coscienza della ferita
e dello shock che la reazione di mia madre mi aveva provocato.
Capii allora perché in seguito ho reagito con sentimenti analoghi
quando il mio tentativo di protendermi verso qualcuno ha incon­
trato la stessa risposta.
Parlando oggettivai l'esperienza sia per me stesso che per chi
mi ascoltava, cioè Reich. Anch'egli capì il mio vissuto e lo condi­
vise con me. Il fatto di condividerlo con un altro lo rese ancora
più reale: se io dimenticavo, lui avrebbe potuto ricordare.
Quello appena citato è un esempio isolato. Nel corso della
terapia si scoprono e si rivelano molte esperienze dimenticate che
sono parti nascoste del sé. Rivivere l'esperienza a livello corporeo
la rende convincente in modo irraggiungibile per altre vie. Ma il
fatto di parlarne a un altro dà all'esperienza una realtà che solo le
parole possono fornire. Questo senso di realtà aderisce alla parte
del sé o del corpo che è coinvolta nell'esperienza, promuovendone
l'integrazione nella personalità.
L'affettività e il vissuto sono importanti, perché senza di es­
si le parole sono vuote. Ma il vissuto da solo non basta. Occorre
parlare ripetutamente dell'esperienza per sondarne tutte le sfuma­
ture di significato e per farla divenire oggettivamente reale nella
coscienza. Se si fa questo non è necessario rivivere più volte la
stessa esperienza per farne un efficace agente di cambiamento. In
questo caso le parole evocano i sentimenti e diventano sostituti
adeguati dell'azione.
Sono talmente convinto dell'importanza della parola nel pro­
cesso terapeutico che dedico circa metà del tempo a parlare con
i pazienti. A volte intere sedute sono spese a discutere il com­
portamento e gli atteggiamenti del soggetto e a ricercarne la con-
287
Bioenergetica
nessione con le esperienze passate. Inoltre il lavoro sul corpo è
sempre accompagnato da qualche parola. A volte tuttavia sento che
la discussione diventa ripetitiva e non porta da nessuna parte.
Quando ciò accade passiamo agli esercizi, che devono fornire le
esperienze di cui stiamo parlando.
I lettori che hanno familiarità con la mia insistenza sulla con­
nessione diretta fra realtà e corpo saranno forse sorpresi e confu­
si di fronte a questo mio discorso sulla realtà delle parole. Ìl ine­
vitabile esserlo se si ignora il fatto che, come ho osservato nel pa­
ragrafo precedente, l'uomo moderno possiede una coscienza duale.
Le parole non hanno la stessa realtà immediata dell'esperienza cor­
porea; la loro realtà è mediata attraverso i sentimenti che espri­
mono o evocano. Perciò le parole, quando sono completamente
dissociate dall'effettività, possono essere irreali. Ma per molti, e
in special modo per i bambini, le parole possono avere un impat­
to più potente di un pugno in faccia.
I bambini non sono gli unici a poter essere profondamente fe­
riti dalle parole, e credo che tutti ce ne rendiamo conto. Chi ha
un alto grado di coscienza sceglie accuratamente le parole quando
vuole comunicare una critica o una reazione negativa, per evitare
di ferire l'autostima dell'altro.
Ma, come possono ferire, le parole possono anche avere un
effetto molto positivo. Una parola di approvazione o di elogio vie­
ne profondamente apprezzata. Una cosa è accorgersi che i propri
sforzi vengono riconosciuti, un'altra udire questo riconoscimento
espresso in parole. Anche quando ci si sente amati è comunque
eccitante, gratificante e arricchente sentirsi dire: "ti amo ". Potrei
portare molti esempi analoghi. " Sei bella" , " sei un tesoro ", e cosl
via.
Sul perché le parole abbiano questo potere posso solo fare
delle ipotesi. I sentimenti sono soggettivi, ma le parole hanno una
qualità oggettiva. Sono li per essere udite o viste. E durano. Tut­
ti sappiamo che non è facile cancellare l'effetto delle parole : una
volta dette, sembrano durare. Alcune fanno risuonare la loro eco
fino all'eternità. Le parole di Patrick Henry, " dammi la libertà
o dammi la morte " , sono rimaste come monumento allo spirito
umano molto dopo che si è persa la memoria della situazione e
di chi le ha pronunciate. Le parole di Shakespeare sono immortali.
Poiché le parole sono depositarie dell'esperienza, servono an­
che a plasmare e a dar forma alle esperienze future. Quando una
madre dice alla figlia: " Gli uomini sono egoisti. Non ti fidare di
288
Coscienza: unità e dualità
loro ", non solo comunica la propria personale esperienza, ma inol­
tre struttura le future esperienze della figlia con gli uomini. L'in­
giunzione è superflua: dire semplicemente " Gli uomini sono egoi­
sti " o " Meglio non fidarsi degli uomini " ha lo stesso effetto. È
il principio dell'insegnamento. La scuola si propone di comunicare
le esperienze del passato principalmente sotto forma di parole e,
all'interno dello stesso processo, di strutturare il futuro rapporto
del bambino col mondo in linea con quelle esperienze.
Non posso addentrarmi nella questione dei valori e degli han­
dicap creati dal processo di insegnamento. L'istituzione scolastica
era necessaria per lo sviluppo della cultura attuale. In tutti i pro­
grammi scolastici il problema è se l'esperienza comunicata sia sta­
ta recepita correttamente e riportata con onestà. È indubbio che
nell'insegnamento della storia le distorsioni non sono infrequenti.
Il potere della parola di plasmare l'esperienza è inquietante.
Prendiamo ad esempio un bambino a cui il padre o la madre di­
cano: " Non ne fai mai una giusta " . Per tutta la vita ·egli soffrirà,
in misura maggiore o minore, perché avrà la sensazione di sba­
gliare tutto. Questo senso di incompetenza persisterà indipenden­
temente da ciò che riuscirà a realizzare nella vita. Le parole si so­
no stampate nella mente del bambino e cancellarle non è un com­
pito facile.
In quasi tutti i casi che ho trattato ho rilevato la presenza
di un imprinting, spesso negativo. Una paziente mi narrò una vol­
ta che la madre le aveva detto: " Nessun uomo ti vorrà mai " . Le
erano rimaste attaccate come una maledizione . Un altro paziente
mi disse: " Non riesco a farmi degli amici perché pretendo trop­
po " . Sapevo che nel suo caso era vero, ma non sapevo perché in­
sistesse nelle sue pretese se sapeva che erano irragionevoli. Ave­
vamo scoperto che da molti punti di vista la madre era stata ostile
nei suoi confronti. Gli chiesi: " È pretendere troppo volere una
madre che non sia ostile? " " Sì, è troppo " , fu la risposta immedia­
ta. Quando gli chiesi perché, rispose che lui non poteva averla. Gli
feci notare che la mia domanda riguardava il chiedere, non l'otte­
nere. " È troppo chiedere? " " Per altri non lo era; per me sì", fu
la risposta. E poi: " Mia madre diceva sempre che chiedevo troppo " .
Un bambino non chiede mai " troppo " . Chiede quello che vuo­
le. Il " troppo" è una valutazione dell'adulto, che serve a far sen­
tire colpevole il bambino per il semplice fatto di volere. La colpa
induce a chiedere troppo in modo da poter ricevere un rifiuto. Il
rifiuto sostiene la colpa chiudendo il circolo vizioso.
289
Bioenergetica
Il potere delle parole può essere contrastato solo con altre pa­
role che, se vogliono liberare il paziente dal vicolo cieco in cui
si trova, devono avere un tono di verità e far squillare un cam­
panello nella sua mente. fl quello che facciamo quando elaboria­
mo un problema, chiarendone a livello analitico il cosa, il come
e il perché. Questo processo porta a quello che gli analisti chia­
mano insight, che può essere definito un " vedere la distorsione
nell'inprint " .
Non intendo dire che l'analisi e l'insight da soli siano in grado
di modificare una personalità. C'è un altro fattore importante,
quello energetico, che va trattato a livello corporeo. Voglio dire
che un cambiamento della personalità può essere mantenuto solo
se, tramite un'elaborazione approfondita dei problemi, si raggiun­
ge un insight sufficiente.
La rapida "guarigione " che Reich riusciva a ottenere poteva
essere definita una trasformazione magica .o un'esperienza trascen­
dentale. Era un risultato di ciò che era e faceva Reich. Anch'io
ho fatto simili " magie " per i pazienti; ma so che questi cambia­
menti non durano. Come in date circostanze possono apparire,
possono svanire se le circostanze mutano. Una volta persa la con­
dizione liberata, il paziente non conosce la strada per ritrovarla.
Gli serve una mappa, come serviva a Conway per ritrovare Shan­
gri-La.
Uno degli obiettivi che si propone l'analisi è quello di creare
questa mappa nella mente del paziente. fl una mappa di parole,
fatta di ricordi e contiene tutta la storia della vita del soggetto.
Quando tutti i pezzi combaciano come i tasselli di un puzzle, ec­
co che finalmente ogni cosa acquista un senso: il soggetto capisce
chi è, come sta nel mondo e perché ha un certo carattere. Ne ri­
sulta una più alta coscienza di se stesso, della propria vita e del
mondo. Lungo tutta la terapia con i pazienti alterno gli sforzi in­
tesi ad espandere la consapevolezza a livello corporeo e quelli in­
tesi ad elevare la consapevolezza a livello verbale.
Un mio paziente espresse succintamente questa idea. Disse:
" Se non verbalizzi i tuoi sentimenti alla fine non funziona. E l'ar­
gomento decisivo. fl la cosa che fissa l'immagine " . Capii immedia­
tamente. Le parole fissano l'immagine in meglio o in peggio. An­
drei anche oltre: direi che le parole creano nella nostra mente
l'immagine del mondo che ci circonda. Senza di esse siamo perdu­
ti, ed è questo uno dei motivi per cui lo schizofrenico è perduto.
Del mondo e di se stesso non ha un'immagine completa, ma solo
290
L
Coscienza: unità e dualità
frammenti dissociati che non è in grado di ricomporre. Se l'im­
magine è apparentemente completa, ma è inesatta per colpa delle
illusioni, abbiamo una situazione nevrotica. Via via che la tera­
pia procede il paziente ottiene un'immagine sempre più chiara ed
esatta di ciò che è stata la sua vita e di chi egli stesso è. Finché
l'immagine non è completa la terapia non può considerarsi finita.
Ma, devo ripeterlo ancora una volta, si tratta di un'immagine
verbale e non visiva. Attraverso le parole giuste vediamo e cono­
sciamo noi stessi, e di conseguenza possiamo esprimerci appieno.
L'impiego delle parole giuste è una funzione energetica per­
ché è una funzione della coscienza. È la consapevolezza dell'esatta
corrispondenza fra una parola (o una frase) e una sensazione, fra
un'idea e un sentimento. Quando le parole sono connesse o com­
baciano con le sensazioni, il flusso energetico che ne risulta fa au­
mentare lo stato di eccitazione della mente e del corpo elevando
il livello di coscienza e migliorando la messa a fuoco. Ma quella
di stabilire un contatto non è un'operazione cosciente. Facciamo
uno sforzo cosciente per trovare le parole giuste che descrivano
date sensazioni - ogni scrittore lo fa - ma l'accoppiamento av­
viene spontaneamente. Le parole giuste si inseriscono al loro po­
sto, a volte in maniera inaspettata, quando siamo aperti ai senti­
menti, li lasciamo fluire. Ritengo che la carica energetica associa­
ta con il sentimento ecciti e attivi i neuroni cerebrali che parteci­
pano al processo di formazione delle parole. Quando questi neu­
roni rispondono in maniera appropriata al senso del sentimento
si verifica l'accoppiamento adeguato e pare che nella mente si ac­
cenda un lampo.
A volte si impiegano parole che non sono connesse con le sen­
sazioni. In questo caso diciamo che una persona è fuori di testa,
che parla a vanvera, intendendo anche che le sue parole non sono
collegate alla realtà della situazione. Le espressioni stesse mi in­
teressano: si tratta di linguaggio del corpo, che implica dunque
una certa consapevolezza dei processi dinamici che entrano in gio­
co nella comunicazione verbale. Basta considerare le espressioni
opposte: " Parla col cuore " oppure "Le sue parole non vengono di­
retamente dal cuore " . Il parlare col cuore si manifesta nel tono del­
la voce e nell'impiego di parole che esprimono semplicemente e
direttamente il sentimento sincero di chi parla. Quando una per­
sona parla col cuore siamo immediatamente colpiti dalla sua inte­
grità e dall'integrità delle sue affermazioni.
Quando una persona parla solo con la testa le sue parole man-
291
Bioenergetica
cano di semplicità e di immediatezza. Sono tecniche o intellettuali
e riflettono il fatto che il suo interesse principale è rivolto alle
idee piuttosto che ai sentimenti. Non critico questo modo di espri­
mersi quando è appropriato. Ma anche in questa situazione per
lo più i buoni parlatori infondono sentimenti, nel loro discorso
usano il linguaggio del corpo. Lo fanno perché non possono dis­
sociare del tutto le idee dai sentimenti.
La dissociazione delle due cose porta a un intellettualismo
sterile, che alcuni confondono con l'erudizione. Indipendentemen­
te dal contenuto del discorso, le affermazioni paiono piatte e vane.
Ho assistito recentemente in televisione a un dibattito fra William
Buckley Jr. e Malcolm Muggeridge. Il contrasto fra i due era evi­
dente. Muggeridge esprimeva le sue idee in un linguaggio senti­
to e abbastanza semplice. Buckley invece impiegava parole che si
trovano solo nei trattati filosofici. Muggeridge era interessante,
Buckley era noioso. La differenza era evidente anche nel loro cor­
po: Muggeridge, il più anziano, aveva occhi limpidi e brillanti e
un modo di fare disinvolto, vivace; Buckley era rigido, contratto,
i suoi occhi apparivano slavati.
Le parole sono il linguaggio dell'io, come il movimento è il
linguaggio del corpo. Perciò la psicologia dell'io si occupa delle
parole impiegate dai soggetti. Nessuno studio serio della perso­
nalità umana può ignorare l'importanza dell'io e della sua psicolo­
gia, ma nemmeno può limitarsi a questo aspetto della personalità.
L'io non è la persona e non funziona indipendentemente dal cor­
po. Se l'io e l'intellettualità sono dissociati la personalità perde la
sua integrità. La psicologia dell'io è importante a superare questo
problema perché la sua concentrazione esclusiva sull'io accentua
questa dissociazione. Per avviare un processo di guarigione il pro­
blema deve essere affrontato a partire dal corpo e dalle sue sensa­
zioni. Ma è anche necessario che questo approccio prenda atto
della propria unilateralità.
Solo attraverso le parole si può venire a capo di un conflitto
e risolverlo. Ho impiegato appositamente il termine " capo " e lo
intendo in senso letterale: il conflitto va portato al capo del cor­
po. Tutti gli organismi si muovono nella vita mandando avanti la
testa, ed è con la testa avanti che vengono alla luce. La testa con
le funzioni dell'io è la punta di diamante del corpo. Si provi a im­
maginare una freccia senza punta e si avrà idea di ciò che è il cor­
po con le sue sensazioni ma senza una testa che possa tradurle
efficacemente in azione. Non dimentichiamo però che una punta di
292
Coscienza: unità e dualità
freccia senza asta, o un io senza corpo, è un relitto di ciò che una
volta era una forza vitale.
Principi e carattere
L'incapacità della psicologia dell'io di risolvere il problema
dell'intelletto dissociato ha portato, in anni recenti, allo sviluppo
di tecniche che pongono l'accento sulla regressione come mezzo
per aiutare il soggetto a raggiungere uno stato di maggiore pro­
fondità affettiva. In molti casi queste tecniche regressive espan­
dono la coscienza consentendo al soggetto di entrare in contatto
con sentimenti infantili repressi. La bioenergetica impiega queste
tecniche ormai da molti anni. Ma la regressione e l'espansione del­
la coscienza non sono fine a se stesse, né possono essere conside­
rate dei validi obiettivi terapeutici. Ciò che ogni paziente deside­
ra è di riuscire a funzionare nel mondo come essere umano pie­
namente integrato ed efficiente. Questo obiettivo può essere rag­
giunto solo se si crea un giusto equilibrio di regressione e di pro­
gresso, di espansione e di elevamento della coscienza, di movi­
mento verso il basso e di movimento verso l'alto, verso il capo.
Si va indietro nel tempo per avanzare nel presente.
L'equilibrio è una qualità importante di una vita sana. L'af­
fermazione è cosi ovvia che è superfluo portare argomenti a suo
supporto. Parliamo di dieta equilibrata, di giusto equilibrio fra la­
voro e gioco, fra attività fisica e mentale e così via. Ma in genere
non ci rendiamo conto di quanto profondamente operi nel nostro
corpo e nella natura il principio dell'equilibrio, anche se siamo
sempre più consapevoli della sua importanza fondamentale. Ab­
biamo considerato la natura un dato scontato e l'abbiamo sfrutta­
ta, sconvolgendo il sottilissimo equilibrio ecologico da cui dipende
la nostra sopravvivenza. Ora che questa sopravvivenza è minaccia­
ta cominciamo a capire i rischi causati dalla nostra ignoranza e
dalla nostra avidità. Abbiamo fatto lo stesso con il corpo.
Il principio dell'equilibrio che opera nell'organismo vivente
è esemplificato egregiamente da quelli che vanno sotto il nome di
meccanismi omeostatici del corpo. I processi chimici del corpo ri­
chiedono il mantenimento di un equilibrio perfetto fra ioni di
idrogeno e di idrossile nel sangue e negli altri fluidi del corpo.
La proporzione ottimale è rappresentata da un 7,4 di acidità.
Troppi ioni di idrogeno creano una condizione di acidosi; troppo
293
Bioenergetica
pochi producono alcalosi. Ambedue possono portare al coma e
alla morte. Poiché la vita non è una condizione statica, ma un
processo di interazione e scambio continuo con l'ambiente, l'aci­
dità del sangue non è costante : varia entro limiti ristretti, cioè fra
7,38 e 7,42, controllata da un sistema di feedback che regola l'aci­
dità attraverso la respirazione.
Quando l'equilibrio si sposta troppo verso l'acidità la respi­
razione aumenta eliminando diossido di carbonio e riducendo la
concentrazione di ioni di idrogeno. Quando si sposta dal lato al­
calino, la respirazione diminuisce causando ritenzione di diossi­
do di carbonio e aumento di ioni di idrogeno nel sangue.
Sappiamo che la temperatura interna del corpo dovrebbe man­
tenersi relativamente costante intorno ai 37° C. Ma non abbiamo
coscienza dei sottili meccanismi che stabilizzano la nostra tempera­
tura corporea. Quando abbiamo freddo rabbrividiamo. I brividi
non sono una reazione inutile, perché tremando l'iperattività dei
muscoli produce il calore necessario a mantenere la tempenitura
corporea. I brividi stimolano la respirazione fornendo ossigeno
supplementare al fuoco del metabolismo. Nella terapia bioenerge­
tica i tremori involontari dei muscoli hanno un effetto simile. Il
maggior calore del corpo viene scaricato immediatamente in una
sudorazione più abbondante e diminuito da una riduzione del­
l'attività muscolare.
Consideriamo il nostro stato fluido, che deve essere mantenu­
to a un livello ottimale in modo che non si crei uno stato di disi­
dratazione o di eccessiva ritenzione idrica. A livello inconscio il
corpo equilibra l'assunzione con l'espulsione di liquidi. La mente
cosciente svolge un piccolo ruolo in questo processo, che si limi­
ta al compito di trovare l'acqua e di berla quando il corpo manda
un segnale di bisogno. Il corpo " sa " di cos'ha bisogno, sa cosa fa­
re. Questa " conoscenza" è talmente sorprendente che W.B. Can­
non ha intitolato lo studio in cui indaga tali processi La saggezza
del corpo.
L'uomo interviene coscientemente in questi processi quando
la malattia ne sconvolge i meccanismi. Il suo intervento è inteso
a reinstaurare l'equilibrio in modo che il corpo possa guarire e
conservare la propria funzione vitale.
L'equilibrio è essenziale anche per le attività più macroscopi­
che, come dimostrano chiaramente le azioni di stare fermi o di
camminare. Solo quando stiamo su due piedi siamo ben equilibra­
ti. È possibile sconvolgere l'equilibrio di una persona costringen-
294
Coscienza: unità e dualità
dola a stare su una gamba sola, ed è quello che facciamo con gli
esercizi di cadere. Camminiamo e corriamo su due gambe e man­
teniamo egregiamente l'equilibrio spostando il peso dall'una al­
l'altra. Non lo facciamo coscientemente. Se facessimo intervenire
la coscienza con troppa forza non andremmo molto lontano. Ìì
la storia del millepiedi che cercava di decidere coscientemente
che piedi muovere e in che ordine, non· riuscendo, povera creatu­
ra, a muoversi affatto.
L'equilibrio implica una dualità - come l'aver due gambe
- o una polarità - i due poli di un magnete. Nel sangue questa
dualità è rappresentata dall'equilibrio fra gli ioni H+ e OH- . Ma
l'equilibrio non è un fenomeno statico: se lo fosse nessun movi­
mento sarebbe possibile. Sarebbe. impossibile camminare se ambe­
due le gambe venissero attivate in modo analogo e simultaneo. Si
potrebbe saltare, non camminare. La vita è movimento ed equili­
brio a un tempo, o equilibrio in movimento. Questo equilibrio in
movimento viene raggiunto mediante uno spostamento di carica,
un alternarsi deli'eccitazione da un polo ali' altro, dal piede de­
stro al sinistro e viceversa, dall'inspirazione all'espirazione, dal­
l'espansione alla contrazione, dalla coscienza del giorno all'inco­
scienza del sonno. Quest'attività ritmica del corpo è l'unità che
sottende tutte le dualità di cui siamo consapevoli.
Nella vita non c'è dualità senza un'unità di fondo. E non c'è
unità senza corrispondenti dualità. Questa concezione della dua­
lità e dell'unità di tutti i processi vitali l'ho ereditata da Wilhelm
Reich e la considero il suo maggiore contributo alla comprensio­
ne della vita e della personalità umana. Reich postulò che in tutte
le funzioni naturali operasse un principio di unità e di antitesi. Le
dualità sono sempre antitetiche.
La nostra logica vede le cose solo come dualità - come cau­
sa ed effetto. Ìì l'atteggiamento meccanicistico. Il nostro spirito,
se mi è consentito usare questo termine, vede solo l'unità sotto­
stante. Il risultato è un atteggiamento mistico. La comprensione
del paradosso dell'unità e della dualità è competenza del pensiero
funzionale, che richiede una nuova forma di coscienza che non
sia mistica né meccanicistica. La vita è un paradosso. Ìì un fuoco
che brucia nell'acqua: non sull'acqua, come petrolio in fiamme,
ma dentro all'acqua, come parte di essa. Il fatto stupefacente è
che non veniamo consumati dal fuoco e nell'acqua non anneghia­
mo né ci perdiamo. Ìì un mistero questo che non sarà mai risol­
to: o almeno io spero che non lo sia mai. I misteri sono essenziali
295
Bioenergetica
per gli esseri umani: senza di essi perderemmo lo sgomento e
con esso il rispetto e la reverenza per la vita.
Il pensiero funzionale è dialettico: nel mio lavoro, per spiega­
re i rapporti, impiego sempre dei diagrammi dialettici. Ne userò
uno ora per illustrare il rapporto fra le due modalità di coscienza.
Dal punto di vista della coscienza tutti possono essere consa­
pevoli delle proprie dualità, coscienza di testa o coscienza del
corpo, pensiero e sentimento. L'unità esiste solo a livello dell'in­
conscio e nei processi corporei che vanno al di là della nostra per­
cezione. Come possiamo sapere che l'unità esiste se non la perce­
piamo? Possiamo dedurla, possiamo intuire il rapporto, possiamo
sentirla vagamente, perché il confine fra coscienza e inconscio non
è un muro, ma una zona di penombra. Nel nostro passaggio quoti­
diano attraverso questa zona ci giungono molti indizi della fonda­
mentale unità. I mistici, la cui coscienza si estende più agevolmen­
te in questa zona di penombra, sono più degli altri consapevoli del­
l'unità.
Esiste un altro modo di sentire l'unità. La coscienza della te­
sta o della mente e quella del corpo non solo interagisconò fra lo­
ro, ma si toccano e a volte si fondono.
Nel calore e nell'eccitazione provocati dalla fusione si subii­
mano e diventano una coscienza unitaria che è al tempo stesso co­
sciente e inconscia (un altro paradosso). Nella mia vita ho fatto
più volte esperienza di queste fusioni. Da bambino mi eccitavo
COSCIENZA DI TESTA
COSCIENZA DEL CORPO
PENSIERO
SENTIMENTO
ELEVAMENTO
DELLA COSCIENZA
ESPANSIONE
DELLA COSCIENZA
INCONSCIO
PROCESSI CORPOREI
MAGGIORE CARICA ENERGETICA O ECCITAZIONE
296
Coscienza: unità e dualità
talmente guardando una partita che a un certo punto non sapevo
distinguere se sognavo o ero sveglio. Per scoprirlo dovevo darmi
un pizzicotto. Nell'atto sessuale ho provato un orgasmo che mi
ha fatto volare, ha spazzato via i confini e mi ha reso cosciente del
mio inconscio. Si tratta di esperienze estatiche che molti hanno
avuto. In queste occasioni l'individuo "conosce " e sente l'unità
della vita.
Ma per la maggior parte del tempo funzioniamo con una co­
scienza duale. Ed è normale perché l'estasi, se è vera estasi, può
solo essere un'esperienza straordinaria. Tuttavia quando la co­
scienza è a un tempo più elevata ed estesa siamo più vicini a que­
sto stato. Le due frecce del diagramma dinamico si avvicinano l'una
all'altra.
Perché questo avvenga dobbiamo acccettare la natura duale
della coscienza. L'estasi non può essere limitata a uno solo dei
due aspetti: è l'incontro degli opposti che genera la scintilla del­
la fusione.
Se accettiamo la dualità della coscienza dobbiamo accettare che
a livello cosciente siamo consapevoli della natura duale della no­
stra personalità. Quando ci si concentra sul pensiero, come ad
esempio faccio io mentre scrivo, si è consapevoli della propria
mente e dei suoi processi. Poiché il pensiero di una persona è
unico, ci si rende conto di possedere una mente propria. Se poi il
soggetto si concentra sul corpo si rende conto di avere una vita
che appartiene solo a lui. Dal punto di vista della coscienza ci si
deve chiedere: " Chi sono? Sono questa mente pensante o questo
corpo vivente? " La risposta ovvia è che si è ambedue le cose;
però di norma non si può essere consapevoli di tutte e due con­
temporaneamente. La coscienza non può concentrarsi simultanea­
mente su due operazioni distinte. Si immaginino due aerei che
volano in due quadranti diversi del cielo e un riflettore che cerca
di illuminarli entrambi : è impossibile. Ma in genere il problema
della dualità umana non ci turba. Il riflettore della coscienza
è situato su un tavolino girevole che ruota rapidamente e con fa­
cilità. Può passare con tanta velocità da un quadrante all'altro da
riuscire a mantenere ambedue le prospettive entro la portata nor­
male dell'attenzione.
Sono in grado di illustrare questo concetto perché quando par­
lo in pubblico mi servo volutamente di questa risorsa. Negli anni
ho imparato che per parlare efficacemente in pubblico non si deve
mai perdere il contatto con chi ascolta. Con la lunga pratica mi
297
Bioenergetica
sono ormai abituato a guardare le persone che compongono l'udi­
torio, a sentirle e a parlar loro. Vorrei aggiungere che questa abi­
tudine mi ha creato qualche difficoltà a parlare al microfono sen­
za pubblico. Ma c'è un altro problema. Se ci si concentra troppo
intensamente sul pubblico può accadere di perdere il contatto
con se stessi, con la propria posizione e con quanto si ha da dire.
Non è possibile essere in due posti allo stesso tempo.
Chiunque parli in pubblico deve affrontare questo problema.
Quando si legge un testo preparato prima è facile perdere il con­
tatto con il pubblico. Allora è necessario di tanto in tanto alzare
gli occhi per ristabilirla. Io mi comporto così: faccio oscillare
l'attenzione dal pubblico a me stesso e poi di nuovo al pubblico,
in maniera uniforme e ritmica, così che non paia esservi una frat­
tura nel contatto da ambo le parti. E il principio su cui si basa
l'alternatore ed è il principio di ritmicità che opera continuamen­
te in noi, benché molti possano non essere coscienti della sua at­
tività. E come camminare : lo possiamo fare solo muovendo una
gamba dopo l'altra, alternandole.
Io credo nel valore della dualità che esiste a livello della co­
scienza. Senza di essa non potremmo muoverei con efficacia e re­
golarità, come facciamo, per rispondere alle varie esigenze della
vita. La bioenergetica lavora su questa base. Si concentra ora
sul corpo ora sulla mente, e poi di nuovo sul corpo, proponendo­
si di sviluppare la consapevolezza del paziente fino al punto in cui
sia in grado di abbracciare entrambi gli aspetti della sua natura
cosciente entro i limiti di durata dell'attenzione.
Naturalmente questa dualità esiste solo a livello cosciente. Sot­
to al livello della coscienza c'è unità; una persona non è una men­
te pensante o un corpo che sente, ma un organismo vivente. Ma
dato che la maggior parte della vita la trascorriamo nello stato di
coscienza dobbiamo essere capaci di funzionare con le dualità.
L'intera teoria della psicologia della gestalt si basa su questo fat­
to - e cioè che non esiste primo piano senza sfondo, né figura
senza il suo contesto, né qualità senza il suo opposto.
Nella personalità ciò significa che non c'è pensiero senza il tes­
suto di sentimenti e sensazioni in cui esso ha luogo. Ma concen­
trando la luce della coscienza sul pensiero il resto sprofonda nel buio
e spesso perdiamo di vista il sentimento che ha motivato il pen­
siero. Naturalmente possiamo controllare il sentimento ed avere
la conferma che è in armonia con il pensiero. Ma non è infrequen­
te che pensiero e sentire siano in conflitto. Tralascio qualsiasi
298
Coscienza: unità e dualità
tentativo di spiegare perché le cose stanno così. L'esperienza di
questo conflitto è comunissima. Voglio comprare una barca più
grande, ma penso al costo e alla manutenzione e mi trovo in un
conflitto. Oppure vorrei concedermi di mangiare un dolce buonis­
simo, ma penso che potrei ingrassare: anche qui c'è conflitto.
Tutti i terapisti hanno a che fare con dei conflitti : non pro­
prio come quelli descritti sopra, ma simili in quanto riguardano
un sentimento o un desiderio che la persona. vorrebbe esprimere
e la paura delle sue conseguenze. Siccome le conseguenze non si
sono effettivamente verificate, la paura è presente come oggetto di
percezione mentale - si tratta cioè di un pensiero associato con una
risposta corporea. Non voglio dire con questo che la natura è imma­
ginaria perché è mentale. Viene vissuta a livello fisico come paura,
anche se deriva da un'attività mentale. La terapia si trova di fronte
a conflitti intensi là dove i sentimenti che cercano di esprimersi
sono importanti per l'integrità della personalità e quando le loro
conseguenze minacciano tale integrità. Quando non si è in grado
di risolvere un conflitto intenso, l'unica soluzione è quella di sop­
primere il desiderio o il sentimento: si elimina cosi la paura con
il risultato, infine, di reprimere il conflitto. L'intera situazione vie­
ne rimossa dalla coscienza e dunque, in un certo senso, non esiste.
Tuttavia il conflitto non scompare. Diviene strutturato nel corpo
a livello inconscio. Scompare solo dalla vista.
Il modo di trattare il conflitto crea le varie strutture caratte­
riologiche che ho descritto. Diciamo che questi adattamenti sono
nevrotici perché disturbano seriamente la capacità della persona
di funzionare come individuo efficiente e pienamente integrato.
Ma gli individui relativamente non nevrotici, come fanno a
trattare gli innumerevoli conflitti fra pensiero e sentimento che
non possono mancare nella loro vita? La mia risposta è che essi
sviluppano dei codici di comportamento accettati a livello coscien­
te, che sono l'opposto degli schemi di comportamento strutturati
a livello inconscio. Questi codici di comportamento assumono la
forma di principi.
È interessante notare che la parola "carattere" ha spesso un'ac­
cezione negativa. Ma non sempr<; è cosi: il termine " carattere " in­
fatti viene spesso usato per designare certe virtù, e in questo ca­
so è unito all'oggettivo "buono " . C'è gente che 'ha un " buon ca­
rattere " . La parola " carattere" ha la stessa radice di "caratteri­
stico" e implica che un individuo si comporta in maniera tipica o
prevedibile, buona o cattiva che sia. Prevedibilità significa sicu299
Bioenergetica
rezza: si può contare sul fatto che una persona di buon carattere
sia virtuosa e che una con un brutto carattere sia immorale o sen­
za principi.
Ma se il comportamento di una persona non è strutturato se­
condo certi schemi, da dove viene la sua prevedibilità? In altri
termini, come può una persona relativamente sana, spontanea e
pienamente capace di autoespressione avere un carattere? In pri­
mo luogo dobbiamo capire la differenza fra carattere e struttura
del carattere. L'aggiunta della parola " struttura" indica che lo
schema di comportamento non è determinato coscientemente, ma
si è fissato a livello inconscio e irrigidito sul piano corporeo.
Quando il comportamento di una persona è governato da linee
di condotta o principi, essa si comporterà in maniera caratteristi­
ca fintantoché tali principi servono al suo benessere.
Il concetto di principio viene raramente citato nella teoria
della personalità. Nella nostra cultura siamo quasi arrivati al pun­
to di dire che qualsiasi principio è cattivo perché fissa dei limiti e
determina le risposte. Questa concezione riguarda soprattutto i
principi morali, che tante persone vedono come una restrizione
della loro libertà e del diritto all'autoespressione. Ma si tratta di
uno sviluppo infelice, perché i principi indicano che una persona
ha raggiunto un livello più elevato di coscienza. Ovviamente mi
riferisco ai principi elaborati coscientemente da ciascuno, che
possono tuttavia essere gli stessi che sostiene e promuove la so­
cietà nel suo complesso.
Come abbiamo visto la coscienza comincia con la percezione
delle sensazioni. In genere le sensazioni sono localizzate o vaghe.
Sotto questo rispetto contrastano con il sentire, che è più diffuso
e più definito. Quando il sentire diventa più forte o più nettamente
definito parliamo di emozioni. Si dice dunque che ci si sente tri­
sti o giù di morale, ma la tristezza, in genere, la si definirebbe
un'emozione. Il problema è che nella parola " sentire" sono com­
prese tutte le percezioni corporee. Ora, quando le nostre emo­
zioni divengono integrate con il pensiero, possiamo parlare di un
principio. L'ordine di sviluppo è il seguente:
l.
2.
3.
4.
300
Sensazione
Sentire
Emozione
Principio.
Coscienza: unità e dualità
A livello dei principi io e corpo, pensare e sentire sono inte­
grati in un'unità cosciente.
Uno dei principi che molti accettano è quello della sincerità.
Una persona può dire la verità per paura di un Dio che vede tut­
to, oppure in maniera coatta, o per la convinzione interiore che
sia il modo giusto di comportarsi. Ma per arrivare a questa con­
vinzione bisogna aver avuto la possibilità di scegliere fra verità
e menzogna. Allora la convinzione nasce dall'esperienza del dire
il vero e del mentire. Nel primo caso si sente l'armonia fra il
proprio sentire e l'affermazione fatta e si percepisce il piacere ri­
sultante da tale armonia. Nel secondo caso non esiste armonia e
può accadere di sentire realmente il dolore causato dal conflitto.
Allora si può operare una scelta cosciente basata sul sentire cor­
poreo.
Prima o poi tutti i bambini mentono. Lo fanno per esplorare
il ruolo dell'inganno e per provare il potere che esso conferisce.
I bambini mentono per verificare la propria capacità di ingannare
i genitori. Se ce la fanno ne ricavano un senso di potere. Ma men­
tono anche se hanno paura delle possibili conseguenze della ve­
rità. In ambedue i casi hanno guadagnato qualcosa e perso qual­
cos'altro. Il guadagno consiste nella sensazione di esercitare un
potere e un controllo sugli altri o nel fatto di aver evitato la pu­
nizione. Ma si è perso il piacere che deriva dall'onestà. Se la per­
dita è maggiore del guadagno il bambino saprà che mentire, tran­
ne che in circostanze straordinarie, non paga. Imparerà che la bu­
gia gli costa cara in termini di buoni sentimenti e svilupperà la
convinzione che mentire è sbagliato. Saranno il corpo e la mente
a dirglielo e lui ci crederà non solo con la testa, ma anche col cuo­
re. La sua convinzione poggia su due gambe: la conoscenza e il
sentire: col tempo e con l'esperienza la sincerità diventerà un
principio per lui. Eviterà il conflitto e lo spreco di energie del do­
ver decidere, nelle molte situazioni cui si troverà di fronte nella
vita, se dire la verità o mentire.
Un principio opera come il bilanciere di un orologio, che man­
tiene il ritmo regolare del meccanismo. Il principio mantiene
l'equilibrio fra pensiero e sentimento, in modo che le due cose
siano armonizzate senza che occorra confrontarle continuamente
e a livello cosciente. I principi sono promotori di una vita ordi­
nata; senza di essi, ne sono convinto, non potrebbe esserci altro
che disordine e caos.
Mi sembra che in assenza di principi non ci possa essere equi-
301
Bioenergetica
librio nella vita di una persona. Diventa facile andare agli estremi,
giustificare i mezzi con i fini e seguire il capriccio del momento.
Si può arrivare alla posizione assurda secondo cui, dato qualsiasi
sentimento, bisogna seguirlo e agire in base ad esso perché non si
sa dove tracciare la linea di demarcazione; oppure alla posizione,
altrettanto assurda, secondo cui ogni comportamento deve essere
controllato a livello razionale. In quest'ultimo caso abbiamo una
rigidità estrema, mentre nel primo troviamo un'assenza totale
di struttura. Le persone con dei principi evitano questi estremi
perché il principio stesso rappresenta l'armonia degli opposti,
l'integrazione di pensare e sentire, l'equilibrio cosl essenziale al
fluire uniforme della vita.
È importante riconoscere che i veri principi morali non posso­
no essere inculcati mediante prediche, minacce o punizioni. Si
può ottenere che la persona· esiti a dire una bugia per paura, ma
la decisione dovrà essere presa ex nova in ogni situazione. Di­
verso è avere un principio, che risparmia il conflitto. Inoltre l'im­
posizione di una forza esterna, sotto forma sia di minaccia che
di predica, distrugge l'armonia interiore e rende più difficile svi­
luppare la convinzione interna che è necessaria per la nascita di
un principio. Mettiamola in questi termini: i principi non sono co­
mandamenti ma convinzioni.
Ecco ora un esempio di come arriva a stabilirsi un principio.
Ho avuto in trattamento un giovane che, pur non essendo caduto
vittima dell'eroina, era pesantemente coinvolto nel mondo della
droga. Il lavoro sul corpo e l'espressione dei sentimenti (della rab­
bia, ad esempio, picchiando sul lettino) gli fece raggiungere una
condizione piacevole, in cui si sentiva bene con il proprio corpo.
Poi un giorno venne nel mio studio e mi disse che la sera prima
aveva fumato della marjhuana a casa di un amico. "Ho perso tut­
te le buone sensazioni per le quali avevo lavorato cosl sodo " , dis­
se. "Ora so che la marjhuana non va bene per me." Il pensare e
il sentire si erano uniti a creare questa convinzione. Fu la prima
enunciazione di un principio che era destinato a diventare più
saldo man mano che le sensazioni buone aumentavano, perché
sapeva cos'avrebbe perso drogandosi.
È impossibile sviluppare dei principi se non si ha niente da
perdere. Senza sensazioni buone non c'è nessuna motivazione a
proteggere l'integrità della personalità. La questione dei principi
non entra mai nella terapia finché il corpo non abbia recuperato
una condizione di piacere grazie a una riduzione sostanziale delle
302
Coscienza: unità e dualità
tensioni e dei blocchi muscolari. Poi il problema dei prinCipi si
pone spontaneamente in quanto il paziente si sforza di capire per­
ché nel corso delle sue attività quotidiane queste sensazioni van­
no perdute. Alla fine sviluppa i propri principi di condotta atti a
guidarlo nel mantenimento dello stato di piacere, o delle buone
sensazioni, tanto importante per il suo senso di se stesso e per il
suo funzionamento in quanto essere umano integrato.
Non penso che la società sbagli nel cercare di inculcare nei
giovani dei principi morali. Ogni generazione cerca di passare la
propria esperienza alla generazione successiva per facilitare il suo
viaggio attraverso la vita. Principi come quelli contenuti nei Die­
ci comandamenti nacquero dall'esperienza accumulata di una raz­
za. Ma l'insegnamento dei principi è efficace solo quando l'ade­
sione a tali principi nasce dalla convinzione e dai sentimenti in­
teriori di chi li insegna. Solo in tal caso egli li seguirà con piacere.
L'assenza di piacere e di sensazioni buone nella generazione più
vecchia spinge i giovani a metterne in dubbio i principi. E, ana­
logamente, non ha senso proporre principi a dei corpi che soffro­
no. Un principio non è destinato a riconciliare una persona con
la propria sofferenza, ma a fornirle l'armonia interiore che rende
possibile una vita equilibrata e gioiosa. I principi non sono tecni­
che di sopravvivenza. Quando è di sopravvivenza che si tratta i
principi sono irrilevanti. Prima di parlare di principi dobbiamo
essere sicuri che i giovani stiano bene nel proprio corpo e con se
stessi. I principi facilitano loro il compito di proteggere le pro­
prie sensazioni piacevoli.
La gente ha scoperto molti principi con cui governare la pro­
pria condotta nell'interesse dello star bene. Uno di questi è la sin­
cerità; il rispetto per la persona o per la proprietà degli altri è un
altro. Molti anni fa mia moglie ed io passammo una settimana in
Guadalupa al Club Méditerranée. Mia moglie fece conoscenza con
un agricoltore del posto e, nel corso della conversazione, osservò
che non aveva mai assaggiato la canna da zucchero. L'uomo si of­
frì di procurargliene e decisero di andare insieme in una coltiva­
zione. Quando si incontrarono l'uomo disse che era un po' lonta­
no dall'albergo. Passarono accanto a vari campi di canna, e mia
moglie si girò verso il primo con aria interrogativa. Notando il
movimento l'uomo disse semplicemente: " Oh! Ma questo non è
mio " . Poi la portò sul terreno di sua proprietà, dove raccolse del­
la canna da zucchero per lei. Sarebbe stato così facile prenderne
303
Bioenergetica
qualche pianta da un campo qualsiasi, ma prendere qualcosa che non
gli apparteneva era contrario ai suoi principi. Mia moglie, è quasi
superfluo dirlo, provò un gran rispetto per quell'individuo che
aveva dimostrato tanta integrità.
Dal punto di vista bioenergetico un principio è un flusso di
eccitazione o di energia che unisce testa, cuore, genitali e piedi in
un movimento ininterrotto. C'è un senso di giustezza in ciò, per�
ché la persona si sente connessa, unificata e intera. Non ha biso­
gno di nessuno per affermarne la validità, il principio non è sog­
getto a discussione. Ma è una convinzione personale ed egli non
la impone a nessuno.
Forse il più grande problema che la nostra società deve affron­
tare è il fatto che tanti suoi membri siano privi di principi mora­
li. Ma non credo che una moralità imposta possa funzionare. Po­
trebbe far rigar dritto alcuni se avesse l'appoggio della maggio­
ranza, ma non potrebbe mai controllare la maggioranza. Non cre­
do che una moralità imposta abbia mai funzionato davvero. I co­
dici morali del passato, benché tutto sembri dimostrare il contra­
rio, non venivano imposti. Mosè portò al suo popolo i Dieci co­
mandamenti: ma se non fossero stati in armonia con le loro inti­
me convinzioni su ciò che era giusto e sbagliato presto li avrebbe­
ro abbandonati.
I principi morali non sono qualcosa di assoluto, benché alcu­
ni vi vadano vicino. Vengono sviluppati per aiutare la gente a star
bene e a funzionare in maniera efficace in una situazione culturale
data, e perdono la loro validità quando non adempiono più a
questa funzione. La sincerità può sembrare un principio morale
naturale, ma esistono condizioni in cui dire la verità può essere
un atto di debolezza o di vigliaccheria. Non si dice la verità a un
nemico quando questo significherebbe tradire l'amico. Qui entra
in gioco un più profondo principio di lealtà. Ma, qualunque sia la
situazione culturale, la gente ha bisogno di principi morali che
siano di guida al suo comportamento. Senza di essi la società si
disintegrerebbe in uno statò di caos e la gente diventerebbe alie­
nata. Se ciascuno sviluppa i propri principi sono certo che, in un
dato contesto culturale, risulteranno uguali a quelli degli altri,
perché dettati dalla stessa natura umana.
Nel 1944 scrissi per il giornale di Reich, Sex Economy and
Orgone Research, un articolo sulla sessualità degli adolescenti. A
quei tempi si riteneva fosse pericoloso sostenere il diritto degli
adolescenti alla soddisfazione sessuale. Discutendo con me l'argo-
304
Coscienza: unità e dualità
mento Reich disse: " Lowen, non è sempre consigliabile dire la ve­
rità. Ma se non puoi dire la verità non dire niente ". Reich era
un uomo con dei principi. Visse in base ad essi e morì per essi.
Si può non essere d'accordo coi suoi principi, ma non si può met­
tere in dubbio l'integrità di cui erano espressione.
Il principio su cui si basa la bioenergetica è quello della si­
multanea dualità e unità della personalità umana. L'uomo è un
pensatore creativo e un animale che sente - ed è solo un uomo
o una donna. E una mente razionale e un corpo non razionale ed è solo un organismo vivente. Deve vivere contemporaneamen­
te su tutti i livelli, e non è compito facile. Per essere un individuo
integrato deve essere identificato con il proprio corpo e con la
propria parola. Diciamo che un uomo vale quanto la sua parola.
E con rispetto che diciamo di un uomo che è di parola. Per rag­
giungere questa integrazione occorre cominciare con l'essere il
corpo - tu sei il tuo corpo. Ma le cose non finiscono qui. Biso­
gna finire con l'essere la parola - tu sei la tua parola. Ma la pa­
rola deve venire dal cuore.
305