Il processo di formazione del nuovo Statuto della Comunità

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Il processo di formazione del nuovo Statuto della Comunità
IL PROCESSO DI FORMAZIONE DEL NUOVO STATUTO
DELLA COMUNITÀ AUTONOMA CATALOGNA
1. Il procedimento di elaborazione e riforma degli Statuti di
Autonomia: le peculiarità del procedimento relativo alla Catalogna.
Come osservato nel capitolo precedente gli Statuti di Autonomia costituiscono
il principale testo normativo di riferimento per le Comunità Autonome spagnole,
venendo definiti dalla Costituzione come “norma institucional básica” (art. 147.1
CE). Appare dunque opportuno analizzare brevemente i procedimenti previsti per
approvare e modificare i testi statutari tenendo comunque sempre ben presente che
essi, all’interno del sistema delle fonti, costituiscono Leggi Organiche.
Si è già avuto modo di richiamare brevemente il procedimento di elaborazione
degli Statuti di autonomia disciplinato dalla Costituzione del 19781. Come si è visto,
la carta fondamentale ha individuato due vie alternative per l’istituzione delle
Comunità Autonome e per la conseguente approvazione dei primi testi statutari dei
neonati enti territoriali: una semplificata, che però avrebbe permesso alla regione
interessata di acquisire un minor numero di competenze, disciplinata dall’art. 143
CE; e una più complessa che invece avrebbe reso possibile l’assunzione di maggiori
poteri, disciplinata dall’art. 151 CE.
Per quanto concerne l’istituzione delle Comunità seguendo la via ordinaria, la
Costituzione prevede che l’iniziativa sia esercitata da ogni Diputación (oppure da
un organo interinsulare), o da due terzi dei municipi presenti nel territorio
interessato. Per l’approvazione del relativo Statuto è in primo luogo necessario che
un’Assemblea, formata sia da membri del Parlamento che da rappresentanti degli
organi istituzionali della regione coinvolta, elabori una proposta di testo statutario.
Una volta raggiunto l’accordo sul contenuto del progetto, questo deve essere inviato
1
V. supra, capitolo I, paragrafo 1.3.
alle Cortes Generales presso le quali il testo proseguirà il proprio iter legis
seguendo il procedimento normalmente previsto per le Leggi Organiche.
Diverso è il procedimento da adottare per istituire Comunità Autonome
seguendo la via veloce disciplinata dall’art. 151 CE. In questo caso l’iniziativa è
posta in capo ai tre quarti dei comuni afferenti a ogni provincia presente nella
regione interessata e deve essere seguita dal consenso della maggioranza assoluta
degli elettori del territorio coinvolto, chiamati ad esprimersi attraverso referendum.
Per l’emanazione del relativo testo statutario occorre costituire un’Assemblea
composta da Senatori e Deputati eletti nelle province interessate, che devono
approvare il progetto di Statuto a maggioranza assoluta per poi inviarlo alla
Commissione Costituzionale avente sede nel Congresso dei Deputati. Se la
Commissione, affiancata da alcuni membri dell’Assemblea proponente, ritiene il
testo costituzionalmente legittimo, esso viene sottoposto a referendum nella regione
e, perché il Parlamento lo ratifichi, dovrà essere approvato dalla maggioranza
assoluta della popolazione di ogni provincia. Qualora invece la Commissione
Costituzionale non approvasse la proposta statutaria avanzata, questa dovrebbe
essere inviata al Parlamento per seguire l’iter legis ordinario previsto per
l’approvazione delle Leggi Organiche e in generale adottato dalla Comunità
Autonome ordinarie2.
Diverso è il procedimento previsto per la riforma degli Statuti di Autonomia già
in vigore. Per quanto concerne la modifica dei testi statutari, infatti, occorre
considerare due elementi: il primo di essi è dato dall’art. 147.3 CE, in cui si dispone
che gli Statuti stessi indichino il procedimento che le Comunità Autonome devono
adottare per riformarli3; il secondo è invece dato dalla Resolución interpretativa
2
In merito al procedimento di approvazione degli Statuti di Autonomia istitutivi delle relative
Comunità Autonome si veda: G. ROLLA, L’autonomia delle comunità territoriali, Milano, 2008,
pp. 164 e ss.; F. BALAGUER CALLEJÓN, Manual de Derecho Constitucional, vol. 1, Madrid,
2007, pp.318 e ss.; J.J. SOLOZÁBAL ECHAVARRÍA, Las bases constitucionales del Estado
Autonomíco, Madrid, 1998, pp. 135 e ss.; J. de ESTEBAN - L. LÓPEZ GUERRA, El régimen
Constitucional español, vol. 2, Barcelona, 1984, pp. 364 e ss.
3
Così dispone l’art. 147.3 CE: la refoma de los Estatutos se ajustará al procedimento establecido
en los mismos y requerirà, en todo caso, la aprobación por las Cortes Generales, mediante Ley
emessa dal Congresso dei Deputati il 16 marzo 19934. Tale testo, individuata la
lacuna legislativa esistente in materia, introduce la disciplina per l’approvazione
delle modifiche degli Statuti di Autonomia nella fase dell’iter legis che si svolge
presso le Cortes Generales e distingue tre diversi procedimenti: uno per le
Comunità Autonome costituitesi seguendo la via ordinaria dell’art. 143 CE5, uno
per quelle costituitesi seguendo la via veloce dell’art. 151.2 CE6 e uno per i casi in
cui la riforma statutaria è intrapresa per iniziativa del Parlamento spagnolo e non
della regione7.
L’iter di modifica “ordinario” prevede in primo luogo che la proposta
elaborata dalla Comunità Autonoma - dopo essere stata presentata al Parlamento da
una delegazione della Comunità stessa - sia preliminarmente ammessa alla
valutazione del medesimo. Tale valutazione, detta il “debate de la Totalidad”,
qualora si concluda positivamente, è seguita da un termine per la presentazione di
modifiche da apportare al testo; qualora invece dia esito negativo, il progetto di
riforma viene rigettato. Il testo statutario elaborato dalla Comunità Autonoma
arricchito dalle proposte di modifica è quindi esaminato da una Ponencia composta,
in egual numero, da rappresentanti del Parlamento della Comunità proponente e da
membri della Commissione Costituzionale8. La suddetta Ponencia ha il compito di
pubblicare un informe che contenga la proposta di riforma statutaria modificata alla
luce di quanto emerso nel debate de Totalidad e nelle osservazioni successive. La
Commissione Costituzionale ha quindi l’onere di pronunciarsi sull’ammissibilità del
testo elaborato nell’informe; testo che, successivamente, verrà sottoposto alla
Orgánica (trad.: la riforma degli Statuti si adeguerà al procedimento individuato da essi stessi e
richiederà, in ogni caso, l’approvazione da parte del Parlamento, tramite Legge Organica).
4
Pubblicata nel Bolletín Oficial del Congreso de los Diputados (BOCD), serie E, n. 225, del 22
marzo 1993.
5
Parte I, disposizioni dalla seconda alla sesta, Risoluzione interpretativa del 16 marzo 1993.
6
Parte II, disposizioni dalla settima alla nona, Risoluzione interpretativa del 16 marzo 1993.
7
Parte IV, quindicesima e sedicesima disposizione, Risoluzione interpretativa del 16 marzo 1993.
8
La Commissione Costituzionale è un organo collettivo costituito presso il Congresso dei Deputati
e composto da esponenti della Camera Bassa. Il suo compito principale è analizzare i testi delle
proposte di legge per verificare che essi non siano manifestamente incostituzionali.
votazione della Camera dei Deputati riunita in seduta plenaria per poi passare, in
caso di voto positivo, all’esame del Senato.
Nella Camera Alta una prima valutazione è fatta dalla Commissione Generale
delle Comunità Autonome, presso la quale è costituita una Ponencia Conjunta,
composta in egual misura da membri di detta Commissione e da rappresentanti della
Comunità Autonoma interessata. Il testo oggetto di dibattito ed eventualmente
modificato, se approvato dalla Comisión General de las Comunidades Autónomas, è
sottoposto alla votazione del Senato riunito in seduta plenaria.
Infine, occorre osservare che alcune Comunità Autonome hanno previsto che la
proposta di riforma statutaria, per entrare in vigore, debba ottenere il consenso del
proprio corpo elettorale. Quindi, qualora il Senato si esprima favorevolmente e non
modifichi la proposta statutaria proveniente dal Congresso dei Deputati, affinché lo
Statuto possa finalmente entrare in vigore sarà necessaria l’approvazione della
popolazione della Comunità Autonoma proponente tramite referendum; viceversa,
qualora il Senato proponga l’introduzione di ulteriori modifiche al testo in esame,
questo dovrà essere nuovamente inviato alla Camera Bassa riunita in seduta plenaria
per ottenerne l’approvazione definitiva e solo allora verrà sottoposto a referendum
fra gli aventi diritto di voto del territorio interessato.
Il procedimento previsto per modificare gli Statuti delle Comunità Autonome
costituite seguendo la “via veloce” dell’art. 151.2 CE è disciplinato partendo dal
modello disposto per gli Statuti ordinari, rispetto a cui sono introdotte alcune
precisazioni9.
Infine viene disciplinata la procedura che il Parlamento spagnolo stesso
dovrà adottare per esercitare l’iniziativa di riforma di uno Statuto, qualora detta
facoltà gli sia riconosciuta dal testo statutario stesso. In tal caso la proposta di
9
Si pensi alla disposizione ottava, che disciplina il procedimento che le Cortes Generales devono
adottare nel caso in cui le Comunità Autonome di Paesi Baschi, Catalogna, Galizia e Andalusia
decidano di modificare l’organizzazione dei poteri del proprio organo di governo locale, senza però
intaccare le norme concernenti i rapporti fra Comunità e Stato (v. infra quanto affermato in merito
all’art. 57) .
riforma dovrà essere presentata da un deputato (e sottoscritta da altri quattordici)
oppure da un gruppo parlamentare (e sottoscritta dal suo portavoce). Il testo
elaborato è quindi sottoposto all’iter legis normalmente previsto per i disegni
normativi esaminati nelle Cortes Generales (unica eccezione in materia riguarda la
Comunità Autonoma La Rioja, per la quale non è previsto l’esame del Senato).
Per concludere la presente analisi si considera brevemente l’iter che, in base
allo Statuto catalano del 1979, doveva essere adottato per la riforma dello stesso.
In base agli articoli 56 e 57 dello Statuto del 1979, per modificare il testo
statutario possono essere seguiti due procedimenti. Il primo costituisce la regola
generale e dispone che l’iniziativa spetti in alternativa alla Generalitat, o a un
quinto dei membri del Parlamento catalano o alle Cortes Generales (art. 56.1.a) );
una volta stilato il testo della riforma questo andrà approvato in primo luogo dal
voto favorevole di minimo due terzi dei membri del Parlamento catalano, per poi
essere sottoposto all’esame del Parlamento spagnolo che dovrà emanare la
corrispondente Legge Organica ed infine, affinché tale legge possa entrare in
vigore, sarà necessaria l’approvazione diretta del corpo elettorale catalano chiamato
ad esprimersi attraverso il referendum (art. 56.1.b) ). Al secondo comma del
medesimo articolo si dispone che qualora la proposta di riforma non venga
approvata presso le Cortes o qualora il referendum dia esito negativo, il testo della
modifica non potrà essere nuovamente oggetto di discussione e di approvazione
presso il Parlamento della Catalogna prima che sia trascorso un anno.
L’articolo successivo prevede invece un procedimento alternativo a quello
appena analizzato nel caso in cui la riforma abbia per oggetto solamente la modifica
dell’organizzazione dei poteri della Generalitat, senza toccare il sistema delle
relazioni fra Stato e Catalogna. In tal caso, una volta elaborata la proposta di
riforma da parte del Parlamento della Comunità, le Cortes hanno un termine
massimo di trenta giorni per opporsi in quanto toccate dalla riforma stessa. Qualora
allo scadere del termine il Parlamento nazionale taccia o comunque non dia parere
contrario, viene indetto un referendum che, se concluso con esito positivo, è a sua
volta seguito dall’approvazione definitiva della modifica tramite Legge Organica
emanata dalle Cortes Generales. Nel caso in cui, invece, nel termine dei trenta
giorni il Parlamento dichiarasse illegittimo il testo proposto, la riforma dovrebbe
obbligatoriamente seguire l’iter ordinario previsto dall’art. 56.
2. La Dichiarazione di Barcellona e il Patto di Estella
Come visto nel precedente capitolo, dopo vari accordi politici che, nell’arco di
quasi un ventennio, portarono a modificare in più occasioni i testi statutari vigenti,
alla fine degli anni Novanta tutte le Comunità Autonome erano dotate di Statuti
aventi fra loro un contenuto complessivamente omogeneo10.
Tale omogeneità rappresentava una sorta di traguardo per le Comunità istituite a
norma dell’art. 143 della Costituzione Spagnola. Infatti sebbene fossero state
costituite seguendo la così detta “via lenta”, grazie alla fase di modifiche statutarie
conclusasi alla fine del secolo scorso riuscirono a raggiungere il più elevato livello
di autonomia proprio delle Comunità Autonome costituite seguendo la “via veloce”,
cioè in base alle disposizioni dell’art.151 CE11.
Tale condizione di omogeneità da alcuni territori era percepita come un
elemento positivo, agli occhi di altri era invece considerata una sorta di mancato
riconoscimento delle proprie peculiarità storiche, culturali e identitarie12. Tale
sentimento, condiviso principalmente da Paesi Baschi, Catalogna e Galizia, spinse
tre partiti nazionalisti delle Comunità Autonome citate a riunirsi per prendere una
posizione ufficiale in merito, nonché per individuare gli obiettivi da raggiungere
attraverso modalità di collaborazione, coordinazione e mutuo sostegno al fine di
ottenere dallo Stato l’attribuzione di particolari competenze e poteri13. Così facendo
10
Vedi supra: capitolo I, paragrafo 2.
Vedi supra: capitolo I, paragrafo 1.3.
12
E. AJA, El Estado Autonómico, Madrid, 2003, p. 90 e ss.
13
In merito al presente paragrafo si può considerare la seguente bibliografia: G. ROLLA,
L’autonomia delle comunità territoriali, Milano, 2008, pp. 164 e ss.; E. AJA, El Estado
11
fra il 1998 e il 2000 CiU (Convergencia i Unió), PNV (Partido Nacionalista Vasco)
e BNG (Bloque Nacionalista Gallego) stilarono quattro documenti, poi riuniti sotto
il nome di “Dichiarazione di Barcellona” (28 gennaio 2000), dai quali emerge in
primo luogo la volontà di vedere il proprio territorio riconosciuto come una vera e
propria Nazione – pur sempre integrata all’interno della Spagna – e non come una
semplice Comunità Autonoma14.
Il primo dei quattro documenti (noto anch’esso come Dichiarazione di
Barcellona), fu sottoscritto nella città catalana il 16 luglio 1998. In esso si richiama
la necessità di realizzare uno Stato plurinazionale (anche alla luce dei principi del
diritto comunitario)15 e si propone di realizzarlo attraverso l’instaurazione di un
dialogo con l’intera società spagnola e la creazione di un programma di lavoro
comune che tocchi aspetti quali lingua, cultura, fiscalità pubblica, simboli,
istituzioni e partecipazione in ambito comunitario. Infine, nella prospettiva di una
nuova riunione a distanza di pochi mesi, si instaura fra i tre partiti una relazione
stabile e duratura finalizzata alla realizzazione degli obiettivi individuati.
Pochi mesi dopo, nel settembre del 1998, CiU, PNV e BNG stipularono
l’Accordo di Gasteiz nel quale si individua come traguardo fondamentale “la
asunción de la pluralidad nacional en el ámbito del Estado con el reconocimiento
jurídico-político, social y cultural de nuestras respectivas naciones”16, e si ribadisce
il desiderio di raggiungere tale scopo attraverso il dialogo con tutte le forze politiche
spagnole e la precisa collaborazione fra le tre forze politiche promotrici. Proprio in
Autonómico, op. cit., pp. 90 e ss. e pp. 294 e ss.; M. J. TEROL BECERRA, El Estado Autonómico
remozado, in Asamblea, Madrid, 2006, pp. 407 e ss.; vedi inoltre i volumi dell’Informe
Comunidades Autonomas, elaborato a cura del dipartimento di Diritto Pubblico dell’Università di
Barcellona, degli anni 1998, 1999 e 2000.
14
Si noti che nel 1998 CiU governava in Catalogna grazie a una coalizione con il Partito Popolare,
il PNV aveva appena confermato il proprio ruolo di partito dominante nei Paesi Baschi in seguito
alle recenti elezioni che avevano indicato come Presidente della Comunità Autonoma Ibarretxe,
mentre in Galizia il BNG risultava essere un partito di minoranza.
Per il testo dei documenti redatti da CiU, PNV e BNG si consulti la seguente pagina web:
www.eaj-pnv.com .
15
Il riferimento, seppur indiretto, attiene ovviamente all’art.2 CE, che si è avuto modo di analizzare
nel primo capitolo.
16
Trad.: il riconoscimento della pluralità nazionale nell’ambito dello Stato con il riconoscimento
giuridico-politico, sociale e culturale delle nostre rispettive nazioni.
tale ottica si individuano cinque obiettivi: creare dei gruppi di lavoro composti dai
rappresentanti dei tre partiti eletti in Parlamento; proporre - anche all’interno del
proprio programma elettorale - l’introduzione di meccanismi decisionali che diano
capacità di partecipazione attiva alle tre Comunità Autonome all’interno
dell’Unione Europea; formare gruppi di lavoro che elaborino un progetto per le
politiche linguistiche e culturali e che studino il tema del finanziamento pubblico; e
infine sviluppare il coordinamento fra le associazioni culturali che si occupano di
difendere le identità nazionali.
A meno di due mesi dal precedente, il 31 ottobre, fu sottoscritto il terzo
documento - noto come Accordo di Santiago di Compostela - nel quale si
ribadiscono con forza i punti già individuati nei precedenti incontri, sottolineando la
peculiare importanza dei gruppi di lavoro definiti a Gasteiz, nonché la necessità di
includere gli obiettivi di partecipazione in ambito comunitario nei programmi
elettorali da presentare in occasione delle allora imminenti elezioni europee. Viene
poi ribadita la necessità di collaborare e sostenersi vicendevolmente così come
quella di rendere noto il proprio programma alle altre forze politiche presenti in
Catalogna, Paesi Baschi e Galizia; si suggerisce anche di utilizzare mezzi di
comunicazione quali radio e televisione per rendere noti a livello nazionale le
proprie iniziative. Infine si considera la necessità di fare un’attenta analisi della
Costituzione per considerarne le disposizioni alla luce di quanto attuato e di quanto
resta ancora da attuare in tema di decentramento territoriale, senza escludere la
possibilità di formulare una proposta di riforma.
I tre documenti elaborati nell’arco del 1998 assunsero una particolare
importanza sul piano politico e istituzionale sotto tre aspetti: in primo luogo perché
le proposte concernenti il nuovo assetto territoriale dello Stato spagnolo destarono
numerose polemiche fra le altre Comunità Autonome, tanto che alcune si riunirono
per elaborare una sorta di accordo di segno opposto a quelli appena considerati17,
mentre altri partiti nazionalisti (per esempio il Partido Andalucista) vi aderirono; in
17
Si veda la Dichiarazione di Mérida, stipulata dai Presidenti delle Comunità Autonome di
Andalusia, Castiglia la Mancia e Estremadura.
secondo luogo il tema che probabilmente fu maggiormente discusso attiene al ruolo
del Tribunale Costituzionale che viene considerato come legislatore negativo, e per
questo fondamentale nell’attuazione da dare alle disposizioni costituzionali tanto da
rendere necessaria la previsione di una composizione dell’organo stesso in grado di
rappresentare la struttura territoriale della Spagna; infine, come emerge in modo
chiaro anche dall’Accordo di Santiago di Compostela, i punti oggetto dell’analisi
dei tre documenti dovevano trovare una cassa di risonanza nei programmi elettorali
che i partiti nazionalisti coinvolti avrebbero dovuto approvare in occasione delle
elezioni locali che avrebbero avuto luogo nel 199918.
Riguardo a quest’ultimo aspetto è poi opportuno osservare che nessuno dei tre
partiti finì per dare il risalto accordato a quanto emerso nelle riunioni del 1998: il
BNG, che già era un partito di minoranza in Galizia, optò per una campagna
elettorale dal profilo più basso per cercare di raccogliere maggiori consensi; nei
Paesi Baschi il gruppo terroristico ETA, che nel 1998 aveva stabilito una tregua,
dichiarò la fine della stessa il 28 novembre 1999 motivando tale decisione con
l’insufficiente impegno nazionalista da parte del PNV e di altri gruppi politici.
Infine in Catalogna sorse un problema di tipo politico, giacché CiU, per poter
nuovamente vincere le elezioni, aveva bisogno dell’alleanza con il PP, partito
centralista fortemente contrario alle modifiche istituzionali proposte negli accordi
sottoscritti nel corso dell’anno precedente; a causa di ciò, in prossimità delle
elezioni tenutesi il 17 ottobre, CiU stilò un documento il cui contenuto,
allontanandosi notevolmente da quanto stabilito con PNV e BNG, prevedeva sì
l’incremento delle capacità di autogoverno della Catalogna, nonché aspetti quali una
maggiore partecipazione della Comunità nell’UE, ma ambiva a raggiungere tali
obiettivi senza passare per una riforma dello Statuto o della Costituzione, bensì
attraverso una nuova lettura di entrambi i testi19.
18
J. TORNOS, Valoración general, in Informe Comunidades Autonomas 1998, Barcelona, 1999,
pp. 21 e ss
19
J. TORNOS, Valoración general, in Informe Comunidades Autónomas 1999, Barcellona, 2000,
pp. 21 e ss; M. VINTRÒ, Cataluña, in Informe Comunidades Autónomas 1999, op. cit., pp. 235 e
ss.
L’ultimo dei quattro documenti fu sottoscritto il 28 gennaio 2000, poco più di un
anno dopo quello redatto in Galizia. Noto come “Dichiarazione di Barcellona”,
specifica che al suo interno vanno ricompresi il testo della dichiarazione stessa e i
tre documenti redatti nel 1998, nonché gli atti elaborati dai singoli gruppi di lavoro
in conseguenza dell’attività realizzata nell’ultimo biennio. In sostanza rappresenta
la volontà di dare unità all’opera svolta da PNV, BNG e CiU e si propone di trarne
le conclusioni, alla luce di quanto emerso e nella prospettiva eventuale di continuare
quanto intrapreso. Possiamo però notare che la dichiarazione non prevede nuovi
obiettivi o accordi fra i tre partiti coinvolti, che nel frattempo - come visto sopra sembrano aver preso le distanze gli uni dagli altri a causa del diverso modo di
leggere, e realizzare, gli obiettivi individuati20.
Nel considerare le conseguenze del proprio operato dal documento emerge in
modo netto l’insoddisfazione per il comportamento delle istituzioni e delle forze
politiche centraliste che, anziché realizzare il dialogo tanto auspicato dai tre partiti,
hanno optato per una linea di rifiuto e chiusura rispetto alle proposte avanzate.
Tuttavia, nonostante l’insoddisfazione per l’impossibilità di avere un confronto
politico, i tre partiti non mancano di ribadire il proprio impegno per vedere la
formazione di uno Stato plurinazionale, pluriculturale e plurilingue.
Rispetto ai documenti sottoscritti nel 1998, è impossibile non individuare una
maggior concretezza e specificità negli obiettivi perseguiti, all’interno dei quali ne
troviamo alcuni ammissibili e necessari21, altri comprensibili alla luce delle
esigenze sentite dalle tre comunità storiche22, mentre altri ancora appaiono
inadeguati e fors’anche giuridicamente inammissibili per uno Stato che, seppur
“plurinazionale”, si proponga di rimanere unitario. Basti pensare alla proposta di
20
J. TORNOS, Valoración general, in Informe Comunidades Autónomas 2000, Barcellona, 2001,
pp. 19 e ss.
21
Si pensi alla proposta di rivedere il ruolo e la composizione del Senato, in modo da rispecchiare
meglio la complessità territoriale e culturale della Spagna.
22
In tal senso, a prescindere da una valutazione sull’ammissibilità, fra le altre possiamo considerare
l’esigenza di ottenere degli specifici riconoscimenti sul piano idiomatico (in particolare rispetto
all’uso della propria lingua in ambito educativo, amministrativo, giuridico e nella toponomastica) o
quella di ottenere ulteriori competenze esclusive, o ancora di modificare la composizione di organi
quali i Consigli settoriali.
ottenere delle delegazioni diplomatiche proprie o di modificare la struttura del
Tribunale Costituzionale per meglio adeguarlo alla complessità territoriale esistente.
In merito a quest’ultimo punto nella Dichiarazione di Barcellona si propone la
“reforma del Tribunal Constitucional de forma que su designación y composición,
garantizando su imparcialidad, tenga presente la pluralidad nacional, cultural y
lingüistica del Estado”23. Quest’ultimo aspetto sembrerebbe del tutto inammissibile
alla luce dei compiti del Tribunale Costituzionale che, come tutti gli organi di
legittimità costituzionale, svolge un ruolo di natura squisitamente giuridica e certo
non di rappresentanza politica, così che pare inopportuno disciplinare la sua
composizione alla luce di criteri territoriali, piuttosto che in base ai soli criteri di
competenza giuridico-professionale. Non per niente strumenti come la ricusazione
sono stati previsti proprio qualora sia ipotizzabile la mancanza di terzietà e
imparzialità da parte di un organo giurisdizionale e certo sarebbe più opportuno
prevedere una maggiore rappresentatività territoriale attraverso l’incremento dei
poteri e della capacità decisionale del Senato, che proprio a questo compito
dovrebbe essere finalizzato.
Sempre nel 1998, e più precisamente il 12 settembre, nei Paesi Baschi venne
stilato un altro documento: il Patto di Estella (o Accordo di Lizarra-Garazi)24.
Questo testo, a differenza dei documenti che compongono la Dichiarazione di
Barcellona, atteneva alla sola comunità basca (intesa nella sua estensione all’interno
degli Stati spagnolo e francese) e venne elaborato e sottoscritto dai principali partiti
e sindacati nazionalisti baschi in conclusione di una serie di incontri25. Scopo
fondamentale del Patto - voluto fortemente dal neo eletto Lehendakari Ibarretxe -
23
Trad.: la riforma del Tribunale Costituzionale in modo che la sua designazione e composizione,
garantendone l’imparzialità, tengano conto della pluralità nazionale, culturale e linguistica dello
Stato.
24
E. AJA, El Estado Autonomico, op. cit., pp. 294 e ss.
25
Fra i sottoscrittori troviamo sette sigle sindacali, nove organizzazioni e otto partiti o coalizioni
politiche fra cui: AB (Abertzaleen Batasuna), IU (Izquierda Unida), PNV (Partido Nacionalista
Vasco), EA (Eusko Alkartasuna), HB (Herri Batasuna), ZUTIK BATZARRE (nella sua formazione
basca e navarra).
era di dar vita a un confronto che coinvolgesse anche l’ETA26 per mettere in atto un
processo di pace e dialogo finalizzato al perseguimento di una maggiore autonomia.
Nel testo si parte da un’analisi dei risultati ottenuti in Irlanda del nord grazie al
dialogo instaurato fra IRA e Governo britannico; alla luce di tali considerazioni
vengono individuate le linee guida da seguire per tentare di risolvere il conflitto
basco. In particolare emerge che cause del conflitto, avente natura politica, sono il
diverso modo di intendere “territorialidad, el sujeto de decisión, y la soberanía
política”27, così come si rileva che la sua risoluzione deve necessariamente passare
attraverso un dialogo che coinvolga le diverse forze politiche e che si svolga in un
clima di pace. Tuttavia emerge altresì che il punto nodale del documento, così come
l’obiettivo finale dello stesso, è pervenire a un rafforzamento della “democracia en
el sentido de depositar en los ciudadanos de Euskal Herría la última palabra
respecto a la conformación de su futuro y (que) se respete la decisión por parte de
los Estados implicados. Euskal Herría debe tener la palabra y la decisión”28. In
sintesi, è il popolo basco che in ogni caso deve avere l’ultima parola rispetto alle
decisioni che lo riguardano29.
Come si è visto, dai documenti emerge in modo chiaro che il principale obiettivo
delle tre forze politiche è ottenere che i propri territori siano qualificati non tanto
come semplici Comunità Autonome, ma come nazioni, così da ottenere specifici
riconoscimenti in materia di lingua, identità culturale, autonomia economica e
fiscale, nonché di partecipazione e capacità decisionale in ambito comunitario30;
26
Il gruppo terroristico basco inizialmente aderì alla proposta di dialogo avanzata nel Patto di
Estella dichiarando una tregua; tuttavia dopo circa un anno, in conseguenza dell’inattività dei
Governi Francese e Spagnolo (interpretata come tacito ostruzionismo), revocò il cessate il fuoco.
27
Trad.: territorialità, il soggetto competente per decidere e la sovranità politica.
28
Trad.: democrazia nel senso di lasciare ai cittadini di Euskal Herria l’ultima parola in merito alla
struttura del proprio futuro e nel senso di vedere rispettata la decisione presa da parte degli Stati
coinvolti. Euskal Herria deve avere l’ultima parola e la capacità decisionale.
29
In merito a questo punto è d’obbligo fare riferimento al Plan Ibarretxe, di cui si è avuto modi di
parlare nel precedente capitolo, nel quale si voleva introdurre il concetto di Paesi Baschi come
Comunità Autonoma liberamente integrata all’interno dello Stato spagnolo.
30
Come afferma Rolla “le Comunità autonome “storiche” […] hanno tentato di far oscillare
nuovamente il “pendolo istituzionale” dalla simmetria all’asimmetria, individuando nuove ragioni
di differenziazione” (G. ROLLA, L’autonomia delle comunità territoriali, op. cit., p. 175).
emerge altresì la volontà di raggiungere i propri scopi attraverso un’intensa opera di
dialogo sviluppato trasversalmente in modo da coinvolgere partiti locali, istituzioni
governative e società31.
Sebbene l’opera di collaborazione messa in atto a partire dal 1998 abbia via via
perso intensità a causa delle diverse scelte politiche fatte dai tre soggetti coinvolti
(PNV aderisce a posizioni più rigidamente nazionaliste, mentre CiU è più moderata
a causa della necessaria alleanza con il PP, e infine BNG non ha abbastanza
consensi in Galizia per poter sostenere posizioni “estreme”), possiamo però
affermare che gli sforzi messi in atto dai tre partiti non sono stati vani giacché come avremo modo di vedere meglio in seguito - molti dei temi trattati nei
documenti che compongono la Dichiarazione di Barcellona appaiono anche nel
testo del nuovo Statuto della Catalogna e in quello (proposto, ma poi non
approvato) dei Paesi Baschi all’interno dei quali risaltano le novità in tema di
nazionalità, lingua, cultura e autonomia fiscale e contributiva.
31
Così si afferma nella Dichiarazione di Barcellona del 28 gennaio 2000: “Partiendo de la
especificidad de nuestras respectivas naciones y teniendo en cuenta las diferentes condiciones
objetivas, considerábamos necesaria una estrategia de colaboración dirigida a la constitución de
un Estado plurinacional, pluricultural y plurilingüe, vertebrado teniendo en cuenta los proyectos
nacionalistas que se formulen desde Galiza, Euskadi y Catalunya. Una colaboración que deseamos
que sea capaz de abrirse a la participación de otras fuerzas políticas para promovere una Nueva
Cultura Política centrada en el diálogo, en el compartir ideas y planteamientos y en promover la
convivencia positiva y creativa. Galiza, Euzkadi y Catalunya son naciones con historia y cultura
propias. Sin su reconocimiento efextivo, el Estado no serà pienamente democrático, en el sentido
más profundo de esa palabra […]”.
(Trad.: Partendo dalla specificità delle nostre rispettive nazioni e tenendo conto delle differenti
condizioni oggettive, abbiamo considerato necessaria una strategia di collaborazione diretta alla
costituzione di uno Stato plurinazionale, pluriculturale e plurilingue, strutturato tenendo conto dei
progetti nazionalisti che vengano elaborati da Galizia, Paesi Baschi e Catalogna. Una
collaborazione che desideriamo sia capace di aprirsi alla partecipazione di altre forze politiche per
promuovere una Nuova Cultura Politica basata sul dialogo, sulla condivisione di idee e progetti, nel
rispetto e nella difesa della diversità, nel fornire i punti di incontro e nel promuovere la convivenza
positiva e creativa. Galizia, Paesi Baschi e Catalogna sono nazioni storiche con storia e cultura
proprie. Senza il loro riconoscimento effettivo lo Stato non sarà pienamente democratico, nel
significato più profondo di questa parola).
3. Il processo di elaborazione e approvazione dello Statuto.
3.1 Il dibattito sull’opportunità di riformare lo Statuto della Catalogna (2000 2003)32.
Come osservato nel precedente paragrafo, alla fine del XX secolo in Catalogna
(così come nei Paesi Baschi e in Galizia) iniziava a farsi strada un crescente senso
di insoddisfazione a causa della sostanziale omogeneità raggiunta fra le Comunità
Autonome a discapito della richiesta sottolineatura delle rispettive specificità. Se
quindi nel resto della Spagna si percepiva l’esigenza di mettere in atto dei
meccanismi di cooperazione, coordinazione e collaborazione fra gli enti territoriali
al fine di meglio gestire il livello di autonomia raggiunto, i catalani avevano la
sensazione di essere privati del giusto riconoscimento delle proprie peculiarità.
Insomma, con il passare del tempo si diffondeva l’idea che, a causa della mancata
riforma del proprio Statuto, il livello di decentramento della Catalogna fosse nella
sostanza diminuito rispetto a quello originariamente previsto nel 1978, anziché
essere incrementato in modo analogo alle restanti Comunità Autonome33.
Analizzando lo stato del decentramento territoriale raggiunto dopo i primi
venticinque anni di vigenza della Costituzione, Eliseo Aja e Carles Viver Pi-Sunyer
individuano -fra gli altri- due problemi che a loro parere rendono di “bassa qualità”
l’autonomia delle Comunità34. Il primo concerne le deboli relazioni esistenti fra
Stato e regioni35, mentre il secondo attiene alla scarsa capacità delle Comunità
32
Per un’analisi delle fasi che hanno portato all’approvazione del nuovo statuto della Catalogna,
nonché per avere una raccolta di tutti i lavori preparatori e i documenti che hanno condotto al testo
statutario introdotto nel 2006 si veda: J. TORNOS MAS, Los Estatutos de Autonomía de Cataluña,
Barcelona, 2007.
Si noti che i BOPC (Bollettini Ufficiali del Parlamento della Catalogna) sono altresì consultabili sul
sito web del Parlamento catalano: www.parlament-cat.net .
33
J. TORNOS MAS, Los Estatutos de Autonomía de Cataluña, op. cit., pp. 100 e ss.
34
E. AJA - C. VIVER PY-SUNYER, Valoración de 25 años de autonomía, in Revista Española de
Derecho Constitucional, n. 69, Madrid, 2003, pp. 69 e ss.
35
Tale aspetto per gli autori è dovuto a due fattori: alla mancata previsione nella Costituzione di
appositi strumenti per favorire questo genere di relazioni e, in secondo luogo, alla presenza delle
sole relazioni bilaterali che coinvolgono lo Stato e una Comunità Autonoma. Viene pertanto
constatato che lo sviluppo del decentramento non è stato in alcun modo affiancato da un adeguato
Autonome di produrre innovazioni nella sfera giuridico-istituzionale del Paese.
Relativamente a quest’ultimo problema gli autori riportano l’esempio delle leggi
approvate dalle Comunità stesse, leggi che finiscono per avere un contenuto
prevalentemente legato ad aspetti pratici, come quello finanziario o quello
organizzativo, mentre sul piano sostanziale ricalcano il contenuto della legislazione
base statale, senza introdurre innovazioni. Emerge quindi l’idea che a causa di una
molteplicità di fattori, fra cui l’eccessiva presenza dello Stato nelle materie coperte
da competenza concorrente, le Comunità non possano godere di un livello di
autonomia tale che permetta di sviluppare pienamente le proprie peculiarità e di
rispondere nel modo migliore alle esigenze dei loro territori.
In Catalogna la frustrazione delle aspettative di vedere riconosciute le proprie
peculiarità storiche, economiche e culturali anche attraverso un grado di
decentramento che in qualche modo la distinguesse dalle altre Comunità Autonome
finì per indurre la popolazione locale e le corrispondenti forze politiche a esigere
“un nuevo impulso autonómico que incremente la capacidad de autogobierno y
acepte la singularidad de la autonomía catalana”36. Detto impulso trovò
un’immediata manifestazione sia negli accordi culminati nella Dichiarazione di
Barcellona sottoscritta da CiU, PNV e BNG, sia - a distanza di breve tempo - presso
il Parlamento Catalano dove venne istituita una Comissione per lo studio sul
miglioramento del governo autonomo (Comissió d’Estudi per a l’Aprofundiment de
l’Autogovern)37.
Nel dicembre 2002 la Commissione presentò un documento approvato da tutti i
gruppi parlamentari con l’esclusione del PP, che si manteneva contrario a ogni
sistema di relazioni che permettessero un efficace coordinamento fra lo Stato e le Comunità
Autonome e fra le Comunità Autonome stesse. Come sostenuto da altri giuristi, anche in questo
caso la soluzione proposta per arginare il problema prevede in primo luogo una riforma del Senato.
36
J. TORNOS MAS, Los Estatutos de autonomía de Cataluña, cit., p. 102. (Trad.: un nuovo
impulso di autonomia che incrementi la capacità di autogoverno e accolga la singolarità
dell’autonomia catalana).
37
Commissione istituita con la Resolución n. 343/VI, pubblicata nel Butlletí Oficial del Parlament
de Catalunya n. 117 del 14 novembre 2000.
forma di integrazione dei poteri e delle competenze della Comunità38. Nel
documento si afferma la necessità di incrementare le potenzialità dell’autogoverno
in modo da rispondere con maggior efficacia alle esigenze della popolazione pur
mantenendo la conformità con i limiti posti dalla Costituzione39. In quest’ottica
sono individuati gli obiettivi che dovrebbero essere raggiunti e che possiamo
suddividere in tre gruppi: il primo ruota attorno alla Generalitat (ovvero il Governo
catalano) per aumentarne i compiti e rafforzarne le istituzioni, attribuirle un peso
maggiore nelle relazioni con lo Stato e riconoscerle un preciso ruolo presso le
istituzioni comunitarie e nelle relazioni internazionali; il secondo gruppo attiene al
riconoscimento del principio di plurinazionalità dello Stato; infine il terzo gruppo
ambisce ad ampliare il novero dei diritti e dei doveri degli abitanti della Catalogna
rispetto a quelli già previsti dalla Costituzione.
Il documento passa a ipotizzare quali possano essere le vie da seguire per
realizzare gli obiettivi auspicati, individuandone essenzialmente tre: la riforma della
Costituzione, la rilettura dell’allora vigente Statuto catalano o la riforma del testo
statutario stesso40. Rispetto alla possibilità di aumentare il grado di autonomia senza
modificare né testo costituzionale né Statuto emerge subito che questa opzione
“gaudeix de l’avantatge de tenir un cost procedimental menor que la reforma
estatutària o la reforma constitucional, però depèn molt d’acords polítics, que, per
llur naturalesa, són més facilment mutables”41. Viceversa la modifica della
38
Butlletí Oficial del Parlament de Catalunya, n. 366, del 5 dicembre 2002.
In tal senso la Commissione fa perno sull’idea di Stato plurinazionale ricavata
dall’interpretazione dell’art. 2 CE, che parla della Nazione spagnola come stato unitario che
garantisce il diritto all’autonomia delle nazionalità e regioni che la compongono (v. supra cap. I,
par 1.3). Come si avrà modo di vedere nel resto dell’elaborato, però, la concezione di Stato
plurinazionale non è così pacifica come si potrebbe dedurre da quanto affermato nel documento in
esame.
40
BOPC n. 366/2002, parte I, paragrafo II.3.
41
BOPC n. 366/2002, parte I, paragrafo II.3.1. Trad.: Gode del vantaggio di avere un costo
processuale minore rispetto alla riforma statutaria o alla riforma costituzionale, ma è molto
condizionata dagli accordi politici che per loro natura sono facilmente modificabili. Emerge quindi
che la più semplice praticabilità istituzionale dovrebbe scontrarsi con un elevato grado di incertezza
dovuto alla necessità di mettere d’accordo un maggior numero di soggetti facendo affidamento in
primo luogo sull’operato dello Stato rispetto alla cessione di competenze in base agli artt. 150.1 e
150.2 CE.
39
Costituzione è considerata la scelta più complessa, ma anche quella più
soddisfacente giacché permetterebbe anche di riformare in modo più rilevante lo
Statuto della Catalogna introducendo cambiamenti pregnanti soprattutto per quanto
concerne la Generalitat42. Infine l’opzione di modificare il testo statutario implica
senza dubbio un notevole sforzo poiché l’iter da seguire per la sua riforma è
piuttosto complesso e coinvolge una pluralità di soggetti (ovvero il Parlamento
catalano, quello nazionale e la popolazione della Catalogna chiamata ad esprimersi
attraverso il referendum). Tuttavia tale strumento permette altresì di introdurre
innovazioni specifiche per le esigenze della Comunità interessata senza dover
coinvolgere lo stesso numero di forze politiche necessario per realizzare una riforma
costituzionale.
I gruppi parlamentari catalani hanno poi inserito le proprie proposte nel
documento della Commissione per il miglioramento del governo autonomo. In tale
frangente è interessante notare che i partiti di sinistra (ERC, PSC e IC-Verds43) sono
quelli con maggior iniziativa e puntano in modo abbastanza deciso a una riforma
dello Statuto, mentre CiU - che era al governo - sostiene posizioni più moderate che
fanno perno sulla reinterpretazione del testo statutario vigente e della Costituzione;
infine il PP è contrario a qualsivoglia cambio di direzione, scoraggiando sia la
modifica dello Statuto che una nuova e diversa lettura dello stesso.
42
In merito a questo aspetto nel documento si afferma che “la reforma constitucional és la via
necesària per a incrementar l’autogovern si la pretensió és abandonar l’actual model de l’Estat de
les autonomies i substituirlo per un escenari federal plurinacional o per un nou escenari amb una
profunda redefinició de la distribució territorial de les competències i del poder polític”. Trad.: la
riforma costituzionale è la via necessaria per incrementare l’autogoverno se l’obiettivo è
abbandonare l’attuale modello di Stato delle autonomie e sostituirlo con uno scenario federale
plurinazionale o con un nuovo scenario che sia soggetto a una profonda ridefinizione della
distribuzione territoriale delle competenze e del potere politico (BOPC n. 366/2002, parte I,
paragrafo II.3.3). Va però osservato che la riforma costituzionale auspicata dalla Catalogna per
rispondere all’esigenza di maggiore autonomia andava in una direzione almeno parzialmente
diversa da quella perseguita nel resto della Spagna. Infatti se da una parte era presente il desiderio
comune di riformare il Senato e incrementare le relazioni fra Comunità Autonome, dall’altra parte
nel caso della Catalogna si auspicava una nuova distribuzione di poteri e competenze in modo da
incrementare la capacità decisionale delle Comunità, mentre nel progetto di riforma costituzionale
presentato nel 2004 l’obiettivo era la “chiusura” del decentramento (v. supra capitolo I, paragrafo
3).
43
Le sigle fanno riferimento a Esquerra Republicana Catalana, Partido Socialista Catalano e
Iniciativa per Catalunya - Verds.
In ogni caso i lavori della Commissione non portarono a risultati eclatanti a
causa di due fattori: in primo luogo CiU, al governo grazie alla coalizione politica
con il PP, era costretta ad adottare un approccio moderato poiché condizionata dalle
posizioni rigide di quest’ultimo. In secondo luogo la fine della VI legislatura del
Parlamento catalano era ormai alle porte e il tempo restante sarebbe stato
insufficiente per intraprendere in modo fruttuoso l’iter di modifica dello Statuto.
Nel marzo 2003 fu comunque istituita una Ponencia finalizzata alla
pubblicazione di un informe concernente una possibile riforma statutaria. A causa
del sopraggiungere della fine della legislatura e delle conseguenti nuove elezioni
che nel novembre seguente portarono la nuova coalizione di sinistra alla guida della
Comunità Autonoma44, la Ponencia non terminò il proprio lavoro, ma è interessante
notare che tutti i gruppi parlamentari, con l’esclusione del PP, parteciparono
attivamente dando il proprio contributo in materia45.
Sempre nel 2003 l’Instituit d’Estudis Autonòmics46 pubblicò l’“Informe sobre la
44
La nuova coalizione di sinistra, nota anche come “Tripartit”, era -ed è tuttora- composta da PSC,
ERC e IC-Verds. I tre partiti si riunirono nel dicembre del 2003 per stilare un documento (“Acord
per a un govern catalanista i d’esquerra a la Genralitat de Catalunya”, noto anche come “Pacto
del Tinell”) nel quale inserirono le linee guida che avrebbero adottato nel corso della legislatura
entrante e all’interno del quale figura l’obiettivo primario di modificare lo Statuto catalano.
45
È interessante notare che il documento proposto da ERC - strutturato come un vero e proprio
testo statutario - proponga il concetto di Catalogna come Nazione liberamente associata alla
Spagna in modo analogo a quanto espresso dai Paesi Baschi nella proposta di riforma statutaria,
anche nota come Plan Ibarretxe, da loro avanzata nel 2004 e mai approvata (v. supra, cap I,
paragrafo 2). L’art. 1 del Titolo Preliminare poposto da ERC recita infatti: “Catalunya és un estat
democràtic[…]. Amb l’aprovació del present Estatut, el poble català exerceix el dret a
l’autodeterminació que li correspon com a nació sobre la capacitat reconeguda per la legislació
internacional d’establir lliurement el seu règim polític, social i econòmic […]. L’Estat de
Catalunya adopta la forma política d’Estat Lliure, associat al Regne d’Espanya, d’acord amb el
present Estatut i amb aquelles disposicions de la Constitució espanyola que li siguin d’aplicació de
conformitat amb els articles següents.[…].” (Trad.: la Catalogna è uno Stato democratico […]. Con
l’approvazione del presente Statuto il popolo catalano esercita il diritto all’autodeterminazione che
gli deriva come nazione in base a quanto riconosciuto dalla legislazione internazionale in merito
alla libertà di stabilire il proprio regime politico, sociale ed economico […]. Lo Stato della
Catalogna adotta la forma di Stato libero, associato al Regno di Spagna, in accordo con il presente
Statuto e con quelle disposizioni della Costituzione spagnola che ne siano applicazione in
conformità agli articoli seguenti.[…]).
46
L’Institut d’Estudis Autonomics è stato istituito nel 1984 dalla Generalitat della Catalogna
(Decret 383/1984) con il fine di svolgere sia un lavoro di ricerca sullo stato delle autonomie in
Spagna e in ambito internazionale, sia un’opera di consulenza giuridica alle istituzioni catalane
affinché sviluppino nel modo migliore il decentramento e il governo autonomo. Dal 2004 il
reforma de l’Estatut”, documento volto ad analizzare i limiti dell’assetto
istituzionale catalano e i contenuti che avrebbe potuto e dovuto avere un nuovo
eventuale Statuto per sopperire ai difetti esistenti. L’informe è diviso in quattro parti
(la prima fa un bilancio dello stato di autonomia della Catalogna, la seconda
considera lo Statuto quale strumento per garantire e favorire l’autogoverno, la terza
elenca i criteri da adottare per individuare gli aspetti da modificare nel testo
statutario, ed infine l’ultima parte propone la disciplina da adottare nel nuovo
Statuto per l’eventuale modifica dello stesso) e articola la propria analisi facendo
perno sull’opportunità di introdurre una riforma che incrementi i poteri delle
istituzioni catalane favorendo lo sviluppo dell’autogoverno e permettendo una
maggiore indipendenza decisionale rispetto allo Stato centrale, la cui influenza è
considerata eccessiva. Va poi osservato che rispetto alla capacità di maggior
autodeterminazione si sottolinea ancora una volta l’importanza del riconoscimento
delle peculiarità culturali, linguistiche e giuridiche in capo alla Catalogna,
attribuendo particolare rilevanza all’inserimento dei così detti diritti storici nel testo
statutario47.
In merito al tema dei diritti storici, che costituisce uno degli aspetti più discussi
dello Statuto del 2006, è interessante osservare il ragionamento che viene sviluppato
nell’Informe. I diritti storici sono delle manifestazioni giuridiche delle peculiarità
culturali e istituzionali che le Comunità Autonome fin dal passato hanno espresso
attraverso il riconoscimento di determinate posizioni giuridiche ai propri cittadini.
Come rilevato anche nel documento in esame, la Costituzione riconosce
espressamente solo i diritti storici di Navarra e Paesi Baschi (prima disposizione
addizionale CE), tuttavia si ritiene che la carta fondamentale spagnola stessa lasci
aperti abbastanza margini per poter ritenere legittimo il riconoscimento di tali diritti
anche da parte di altre Comunità Autonome: in particolare si fa riferimento
direttore dell’istituto è Carles Viver Pi-Sunyer.(si può accedere alla pagina web dell’istituto da
www.gencat.cat,
o
in
alternativa
usando
il
seguente
indirizo
web:
www10.gencat.cat/drep/AppJava/cat/ambits/recerca/index.jsp.).
47
In merito si veda il testo dell’Informe sobre la reforma de l’Estatut, pubblicato nel luglio 2003
dall’Institut d’Estudis Autonòmics, pp. 61 e ss.
all’apertura lasciata dalla prima disposizione addizionale in merito alla possibilità di
instaurare un regime forale (presente nel caso di Navarra e Paesi Baschi),
all’assenza di elenchi vincolanti circa i territori cui sono riconosciuti diritti storici,
al riconoscimento della Catalogna quale comunità storica (seconda disposizione
transitoria CE) e all’articolo 2, sostenendo che proprio elementi quali i diritti in
esame permettono di distinguere i territori spagnoli in nazionalità e regioni. Infine
nell’informe si richiama l’allora vigente Statuto dell’Aragón che nella terza
disposizione addizionale afferma che la Comunità, pur non avendo inserito nel
proprio testo statutario alcun diritto storico, non intende rinunciare alla possibilità di
un’eventuale introduzione degli stessi in un secondo momento. Nel documento
pubblicato dall’Institut d’Estudis Autonomics si attribuisce una particolare
importanza a tale disposizione perché si ritiene che, essendo gli Statuti approvati
con Legge Organica - e pertanto approvati dal Parlamento - essa dimostrerebbe che
lo Stato stesso attribuisce un’interpretazione estensiva alla nozione di diritti storici,
rendendo a maggior ragione legittima l’introduzione di tali diritti anche in
Catalogna.
Emerge dunque con chiarezza che la Catalogna alla fine del 2003 risultava
ormai decisa ad intraprendere la via della riforma statutaria: nel primo triennio del
secolo attuale, infatti, era stata manifestata in modo netto l’esigenza di dare nuova
linfa al decentramento della Comunità Autonoma intervenendo sugli aspetti
istituzionali (riconoscimento di maggiori poteri e competenze alla Generalitat),
civili (individuazione di puntuali diritti e doveri) e comunitari (incremento delle
relazioni con l’UE). Tutti i gruppi politici manifestarono la propria visione in tal
senso e la popolazione locale finì per dare il suo sostegno a coloro che con più forza
avevano auspicato la riforma dello Statuto, dando così il via all’irreversibile
percorso che avrebbe portato ad essa.
3.2 L’approvazione del nuovo testo statutario presso il Parlamento catalano.
Come osservato nel paragrafo precedente, grazie alle elezioni locali che nel
novembre 2003 portarono la coalizione di sinistra (composta da PSC, ERC e ICV)
alla guida della Catalogna, e grazie anche alle elezioni nazionali che nel marzo
dell’anno seguente determinarono l’inizio del Governo Zapatero (PSOE) e la fine
del Governo Aznar (PP), la modifica dello Statuto del 1979 era non solo voluta
fortemente dal Parlamento catalano, ma era anche sostenuta dal partito di
maggioranza nazionale; pertanto, la prospettiva di riforma del testo statutario non
avrebbe potuto trovare un clima più favorevole.
Fra il gennaio e il luglio del 2004 i membri del Parlament catalano si
accordarono per l’istituzione e la composizione della Ponencia incaricata di
formulare la proposta per il nuovo testo statutario e si decise che ne facessero parte
venti deputati (quattro per ogni gruppo politico presente in Parlamento); i lavori
iniziarono nel settembre successivo.
Dopo poco meno di un anno di lavoro, la Ponencia terminò la sua proposta per
il nuovo testo statutario che venne pubblicata ufficialmente, assieme ai pareri
espressi in merito dai gruppi politici catalani, nel Bollettino Ufficiale del
Parlamento della Catalogna (BOPC) n.208/2005 dell’11 luglio. Gli aspetti più
innovativi, e per questo più discussi, introdotti nel testo redatto dalla Ponencia
possono essere raggruppati per tematiche. In primo luogo, per quanto concerne i
principi fondamentali e i diritti, assumono straordinaria rilevanza la definizione
della Catalogna come Nazione, l’introduzione di un Titolo espressamente dedicato
all’individuazione e alla disciplina dei diritti e dei doveri dei cittadini catalani e, al
suo interno, il riferimento ai diritti storici quali fondamento del governo autonomo.
Nel Titolo III si attribuisce una disciplina particolare al potere giudiziario (cosa che
creava dei dubbi circa la relativa legittimità costituzionale a causa della competenza
riservata allo Stato ed esercitata attraverso la LOPJ - Ley Organica del Poder
Judicial). Per quanto concerne le competenze queste vengono classificate in
esclusive, condivise e esecutive e
ad esse sono ricondotti puntuali elenchi di
materie; scopo di tale novità dovrebbe essere quello di limitare i potenziali conflitti
di attribuzione fra Stato e Comunità Autonoma. Nel testo proposto hanno un
notevole spazio anche le relazioni bilaterali fra Stato e Catalogna: a tal fine si
prevede l’istituzione di un’apposita commissione, nonché la presenza di
rappresentanti della Generalitat all’interno di organi statali con competenze di
rilevanza economica e sociale. Infine troviamo la previsione di specifici criteri per
le elezioni al Parlamento Europeo, in modo da incrementare la partecipazione della
Comunità in tale contesto.
I gruppi politici chiamati ad esprimersi sul testo elaborato dalla Ponencia
manifestarono le proprie opinioni in merito: ICV nel suo sintetico intervento chiede
in primo luogo di introdurre un preambolo che indichi i fini perseguiti dallo Statuto
e che richiami i testi statutari del 1931 (Estatut de Núria), del 1932 e del 1979 dando
particolare importanza al riconoscimento dell’identità catalana; in secondo luogo
propone di inserire alcune modifiche nella parte attinente all’amministrazione locale
in modo da delinearne meglio l’ambito di competenza ed infine suggerisce di
richiedere un parere all’Institut d’Estudis Autonòmics, o a un organo analogo, in
merito alla costituzionalità delle disposizioni, riconoscendo che l’interpretazione
sulla legittimità di certe norme data dalle forze politiche catalane possa essere
eccessivamente di parte, rischiando così di inficiare l’ammissibilità del nuovo
Statuto48.
L’intervento successivo - decisamente più complesso del precedente - è di CiU,
che in primo luogo sottolinea quanto sia stata positiva l’esperienza politica catalana
degli ultimi 25 anni e asserisce che grazie a un approccio “catalanista” è stato
possibile raggiungere il benessere economico pur difendendo l’identità culturale e
linguistica della Catalogna e afferma poi che tale tendenza va mantenuta, ma al
tempo stesso adeguata al contesto attuale49. In particolare CiU suggerisce di
redigere un testo statutario ancora diverso da quello proposto, che faccia perno su
tre linee guida: la necessità in ogni caso di modificare lo Statuto vigente, il
riconoscimento dei diritti storici (che appare legittimo e in qualche modo anche
dovuto, dal momento che alla Catalogna è riconosciuto lo status di nazione storica e
che la Spagna ha introdotto il principio di autonomia proprio per riconosce le
peculiarità storico-culturali di territori analoghi a quello catalano e non per
48
49
BOPC 208/2005, 11 luglio, pp. 50 e ss.
BOPC 208/2005, 11 luglio, pp. 53 e ss.
realizzare un decentramento fine a se stesso) e l’incremento dei poteri posti in capo
al governo della Comunità Autonoma utilizzando gli spazi lasciati aperti dalla
Costituzione. In merito a quest’ultimo aspetto Convergencia i Unió ricorda che il
riconoscimento del principio dispositivo e di quello di autonomia hanno portato ad
avere uno Stato decentrato e asimmetrico che lascia aperti molti spazi entro i quali
le Comunità possono determinare a loro piacimento l’assetto da dare al proprio
governo territoriale, senza forzare il testo costituzionale con interpretazioni che
rischierebbero di limitare la legittimità dello Statuto50.
Gli altri temi sui quali CiU propone delle modifiche attengono principalmente
all’incremento del ruolo della Catalogna nell’Unione Europea, allo sviluppo delle
relazioni bilaterali con lo Stato e all’amministrazione locale che si suggerisce di far
regolamentare in modo unitario dalla Generalitat erodendo competenze in quel
momento di titolarità dello Stato, ma al tempo stesso evitando di introdurre
modifiche quali l’eliminazione delle Comarche51 prevista nella bozza di riforma
dello Statuto. Infine è data particolare rilevanza anche al sistema tributario che si
suggerisce di modificare in modo da garantire alla Comunità Autonoma un apporto
regolare e sufficiente di entrate così che essa possa avere a disposizione risorse
sufficienti per svolgere al meglio le proprie funzioni.
A seguire troviamo il parere espresso dal Partito Socialista Catalano che
sostiene la necessità di approvare un nuovo Statuto che incrementi i poteri dei
governi locali, ma al tempo stesso ritiene che il testo proposto vada semplificato in
50
Nel testo dell’intervento di CiU troviamo le seguenti affermazioni: “l’autonomia no es va a
assumir a la Constitució com un mer desig de descentralitzar l’Estat, sinó amb la clara i
inequívoca volutat política de reconèixer i de garantir l’autonomia de les nacionalitats
historiques” (trad.: l’autonomia non è stata inserita nella Costituzione per il mero desiderio di
decentrare lo Stato, bensì con la chiara e inequivocabile volontà politica di riconoscere e garantire
l’autonomia delle nazionalità storiche); e “la visió federal de l’Estat espanyol no ès constitucional,
en la misura que la Carta Magna opta per un model d’Estat de vocació asimètrica y de
reconeixiement del dret a l’autonomia” (trad.: la visione federale dello Stato spagnolo non è
costituzionale nella misura in cui la Carta fondamentale opta per un modello di Stato che ha
vocazione asimmetrica e che riconosce il diritto all’autonomia). BOPC 208/2005, p. 54.
51
Le Comarche sono unità amministrative territoriali che si collocano a un livello intermedio fra
Comuni e Province.
modo tale da diminuire il rischio di conflitti in sede parlamentare52. In particolare,
sebbene il PSC ritenga che la bozza elaborata dalla Ponencia sia complessivamente
costituzionale, suggerisce tuttavia di modificare alcuni aspetti sia per garantire in
modo pacifico la legittimità dello Statuto sia per incrementare la funzionalità del
testo statutario stesso. A tal fine osserva che gli elenchi eccessivamente dettagliati
degli ambiti nei quali si vogliono esercitare le competenze statutarie (sono presenti
cataloghi di materie, sotto materie, settori e sotto settori), sebbene possano apparire
funzionali a evitare conflitti di attribuzione con lo Stato, al tempo stesso però
presentano numerosi aspetti negativi che potrebbero inficiare il raggiungimento
degli obiettivi perseguiti proprio attraverso l’approvazione del nuovo Statuto. In tal
senso sono richiamati l’assenza di flessibilità e il rischio di avere un testo che
divenga presto obsoleto per effetto dell’evoluzione socio-culturale. Non è sottaciuta
la potenziale illegittimità costituzionale delle disposizioni in esame a causa
dell’improbabile compatibilità di elenchi così puntuali, come quelli inclusi nella
proposta di riforma, con le più generiche clausole di competenza presenti nella
Costituzione.
Il PSC rileva altresì un uso improprio dell’articolo 150.2 CE in base al quale lo
Stato può delegare le Comunità Autonome a esercitare la competenza esclusiva (di
cui comunque mantiene la titolarità) su determinate materie dallo stesso individuate.
Per il partito è inopportuno l’inserimento di un elenco eccessivamente esteso di
materie rispetto alle quali lo Stato centrale si impegna a delegare l’esercizio
giacché, così facendo, si tratterebbe l’articolo in esame come uno strumento
ordinario per l’assunzione di competenze da parte delle Comunità Autonome e se ne
altererebbe la natura. Compatibilmente con tale visione si suggerisce pertanto di
rinunciare all’assunzione di determinate competenze che presentano un’importanza
relativa rispetto ad altre materie, di acquisizione prioritaria53.
52
Per il parere espresso dal PSC si veda il BOPC n.208/2005, 11 luglio, pp. 73 e ss.
Per il Partito Socialista della Catalogna bisognerebbe, fra le altre, rinunciare all’assunzione delle
competenze in materia di sicurezza pubblica, controlli lungo le frontiere, attività marittima,
telecomunicazioni e spazi radio, meteorologia, gestione del sistema penitenziario, omologazione e
riconoscimento dei titoli accademici.
53
Nel proprio parere il Partito Socialista della Catalogna suggerisce inoltre di non
inserire nel progetto di testo statutario elementi quali la riforma del potere
giurisdizionale nella sola Comunità Autonoma e la creazione di un’apposita
circoscrizione elettorale per le elezioni del Parlamento Europeo giacché per poter
procedere a tali modifiche bisognerebbe in primo luogo modificare le rispettive
Leggio Organiche che disciplinano i richiamati istituti54.
Infine propone di modificare gli articoli in tema di famiglia (affinché essa venga
riconosciuta a prescindere dall’orientamento sessuale dei suoi componenti), di
educazione (che si propone di non assumere fra le materie di competenza esclusiva
della Comunità Autonoma a causa dell’incompatibilità con l’art. 27.2 CE) e di
diritti linguistici (si suggerisce di includere il diritto a essere assistiti dalle
istituzioni, per iscritto o oralmente, nella lingua che si preferisce fra Catalano e
Castigliano).
L’ultimo intervento è quello di ERC che esordisce affermando che lo Statuto
del 1979 - pur avendo al proprio interno degli aspetti da approfondire - non
permette in alcun modo di incrementare i poteri in capo al governo Catalano a causa
dell’atteggiamento ostile messo in atto dallo Stato55. Ambisce pertanto a ottenere
l’approvazione di un nuovo testo statutario che rafforzi e incrementi i poteri della
Catalogna sia per ragioni di opportunità politica che per esigenze di natura culturale
e identitaria (per ERC è prioritario che la Comunità catalana sia riconosciuta come
Nazione e addirittura vorrebbe l’istituzione di una “comunità nazionale” che unisse
tutti i territori che presentano legami con la cultura catalana stessa: la Comunità
Valenziana, le isole Baleari, il principato di Andorra e la città di Alghero in
Sardegna)56.
54
Ci si riferisce alla LOPJ (Ley Organica de Poder Judicial) e LOREG (Ley Organica de Régimen
Electoral General). Si ricordi che la Legge Organica è lo strumento normativo utilizzato anche per
l’emanazione degli Statuti, pertanto si avrebbe un contrasto fra fonti aventi pari grado.
55
Per il parere espresso da ERC si veda il BOPC n.208/2005, 11 luglio, pp. 83 e ss.
56
Nel BOPC in esame possiamo trovare le seguenti affermazioni: “l’obertura del procés estatutari
havia de servir almenys per consolidar i impulsar l’autogovern, redefinint l’univers simbòlic i la
identificació de Catalunya com a comunitat política i cultural. I per actualitzar i modernitzar el
funcionament de les nostres institucions i donar un nou vigor al repartiment competencial
Il partito sottolinea inoltre la fondamentale importanza dell’introduzione di un
titolo di diritti e doveri all’interno del nuovo Statuto poiché essi, pur essendo
compatibili con le corrispondenti disposizioni costituzionali, limitano le possibili
ingerenze politiche nella vita dei cittadini catalani. Inoltre il riconoscimento dei
diritti storici è in qualche modo dovuto giacché proprio la lingua, la cultura e le
specificità giuridiche, sviluppatesi nell’arco dei secoli, hanno portato la Catalogna
ad avere la fisionomia attuale.
Come anche gli altri gruppi politici, ERC si dichiara a favore della riforma del
sistema finanziario per garantire alla Generalitat un apporto economico idoneo alla
realizzazione degli obiettivi prefissati e a garantire un maggior peso politicoistituzionale. Viene altresì individuata la necessità di incrementare le relazioni
bilaterali con lo Stato per favorire la partecipazione effettiva della Comunità alle
decisioni che la coinvolgono e, in ambito elettorale, si richiama la necessità
improrogabile di dotare il territorio di una legge elettorale propria giacché - così si
sostiene - la Catalogna è una Nazione e le deve essere riconosciuto lo status
corrispondente.
Sul tema dell’individuazione delle competenze l’intervento di ERC è di segno
opposto rispetto a quello fatto dal PSC. In tale contesto, infatti, in primo luogo
difende la scelta di un criterio di dettaglio che preveda elenchi di materie, sotto
materie, settori e sotto settori poiché si ritiene che proprio questa sia l’unica via per
evitare l’ingerenza dello Stato. In secondo luogo sostiene che l’uso dell’art. 150.2
CE quale strumento ordinario per l’acquisizione di competenze sia legittimo e in
contingut a la Constitució i l’Estatut vigent, donant una redacció exhaustiva i prolixa a les
competències, per evitar la intervenció de l’Estat en quelle matéries en que no disposa de titol per
fer-ho, com demostra l’experiència dels darrers anys, en què hi ha hagut un abús dels títols
transversals o de la noció ‘d’interès general’ i del principi de solidaritat” (Trad.: l’apertura del
processo statutario doveva servire almeno per consolidare e incrementare il governo locale,
ridefinendo il complesso simbolico e l’identificazione della Catalogna come comunità politica e
culturale. E per attualizzare e modernizzare il funzionamento delle nostre istituzioni e dare nuovo
vigore alla divisione delle competenze presente nella Costituzione e nello Statuto vigente, in modo
da dare una redazione più esaustiva e approfondita delle competenze onde evitare l’intervento dello
Stato in quelle materie rispetto alle quali non possiede il titolo per farlo, come dimostra
l’esperienza degli anni passati, nei quali c’è stato un abuso dei titoli trasversali o della nozione di
“interesse generale” e del principio di solidarietà). BOPC n.208/2005, 11 luglio, p. 84.
ultima istanza ribadisce la necessità di assumere, attraverso l’uso del predetto
strumento, competenze in materie quali l’omologazione di titoli accademici, la
gestione di porti, infrastrutture e servizio meteorologico, nonché il controllo del
transito dei veicoli e dei confini della Comunità Autonoma.
Da quanto appena osservato emerge che il testo proposto dalla Ponencia, pur
essendo frutto di un complesso lavoro di collaborazione fra le diverse forze
politiche presenti, a causa dei diversi obiettivi perseguiti dai partiti coinvolti e della
rilevanza delle novità introdotte non era comunque riuscito a ottenere il generale
consenso auspicato. Pertanto sebbene sia possibile individuare aspetti che trovano
un accordo complessivo fra i gruppi politici interessati (si pensi all’incremento delle
relazioni bilaterali o alla modifica del sistema tributario), al tempo stesso ne
esistono altri molto controversi (quali l’individuazione delle materie su cui
esercitare le proprie competenze o la riforma del potere giudiziario).
Il testo elaborato dalla Ponencia venne dunque discusso in sede parlamentare
dove, alla luce delle opinioni espresse dalle forze politiche catalane sia nel BOPC
n.208/2005 (contestualmente alla pubblicazione del progetto statutario stesso) sia in
occasione di confronti ad esso successivi, si decise di apportare qualche altra
modifica. Le più importanti in tal senso attengono all’inserimento di ulteriori
materie di cui si assume la competenza (riducendo però l’elenco di quelle da
ottenere attraverso l’art. 150.2) all’introduzione nella prima disposizione
addizionale del riferimento espresso ai diritti storici (facendo all’uopo riferimento
alla prima disposizione addizionale della Costituzione) ed infine all’indicazione,
nella nona disposizione addizionale, delle Leggi Organiche che lo Stato dovrebbe
modificare per rendere possibile l’attuazione piena dello Statuto.
Il 29 luglio 2005 il testo così modificato fu sottoposto al vaglio della
Commissione parlamentare incaricata di valutarne l’ammissibilità. Dopo essere da
quest’ultima approvato, venne pubblicato nel BOPC n.213/2005, del 1 agosto,
all’interno del quale troviamo anche le ulteriori modifiche che i gruppi parlamentari
proposero di apportare al progetto statutario.
Pare ora opportuno analizzare brevemente quanto espresso in tale sede dal Partido
Popular che, uscendo dal silenzio fino ad allora serbato, manifestò ufficialmente il
proprio totale disaccordo nei confronti del testo proposto57.
Come appena richiamato, il PP rigetta in toto il progetto di Statuto giudicandolo
genericamente incostituzionale e incompatibile con i principi rettori della
Costituzione58. Fra le altre critiche, viene sostenuto anche che il testo proposto sia
garantista nei confronti della Pubblica Amministrazione catalana, alla quale
riconosce notevoli poteri e mezzi per agire, ma non lo sia altrettanto nei confronti
della società socialmente complessa cui fa riferimento. Il partito si esprime in modo
puntuale su alcuni temi salienti disciplinati dal testo statutario, quali il concetto di
nazione, l’inserimento di un Titolo sui diritti, la scelta delle competenze e il sistema
tributario.
In primo luogo, com’era prevedibile, il PP - che storicamente rappresenta l’ala
più conservatrice della politica spagnola - manifesta la propria contrarietà alla
qualificazione della Catalogna come nazione. Nel suo discorso, dopo aver ricordato
brevemente l’importanza rivestita dall’approvazione della Costituzione del 1978,
ricorda che l’introduzione dei termini “nazionalità e regioni”, presenti nell’art. 2
CE, sia frutto di una complessa opera di mediazione volta a garantire l’unità dello
Stato spagnolo e il riconoscimento delle specificità dei singoli territori; ricorda
altresì che la carta costituzionale attribuisce la sovranità al popolo spagnolo
complessivamente considerato, attribuendo pertanto lo status di Nazione solo alla
Spagna - intesa in termini unitari - e non anche ad alcuni territori che la
compongono (i cui abitanti, intesi in senso atomistico e quindi strettamente legato
all’ambito territoriale di riferimento, non godono di sovranità).
A seguire il partito popolare illustra le ragioni che lo spingono a essere
contrario all’inserimento di un titolo dedicato a diritti e principi fondamentali che,
pur non essendo necessariamente illegittimo, comporterebbe però svantaggi tali da
annullare i pochi aspetti positivi. Più precisamente afferma che, per garantire la
57
BOPC n. 213/2005, 1 agosto.
Il PP è così critico nei confronti del testo proposto da ritenere che sia incostituzionale anche solo
il fatto di sostituire lo Statuto del 1979 con uno nuovo, poiché in materia la Costituzione parla solo
di riforma.
58
legittimità di tale titolo, non bisognerebbe inserirvi né diritti fondamentali (che sono
già disciplinati dalla Costituzione) né i diritti minori (che risultano già regolati dalle
Leggi Organiche); in merito all’inclusione di un elenco di diritti fondamentali
all’interno dello Statuto si aggiunge che questo rischierebbe di creare notevoli
problemi nel sistema delle fonti sia perché una fonte di secondo grado verrebbe a
tutelare aspetti precedentemente disciplinati solo dalla Costituzione, creando così
potenziali problemi applicativi, sia per quanto concerne l’asimmetria giuridica fra le
diverse Comunità Autonome che verrebbe introdotta in un settore importante come
quello dei diritti fondamentali. Si aggiunge che potrebbe essere legittimamente
inserito un Titolo avente i contenuti in esame solamente qualora codificasse i
principi generali introdotti dalla legislazione catalana nelle materie di sua
competenza, anche se in questo caso si correrebbe il rischio di dare eccessiva
rigidità alle medesime leggi.
Più complesso è il discorso in tema di competenze, rispetto alle quali si afferma
che il progetto di riforma statutaria forza in modo eccessivo quanto stabilito dalla
carta costituzionale, arrivando a sostituire il Tribunale Costituzionale avanzando
interpretazioni dalla dubbia validità. Pertanto sebbene sia compito degli Statuti
individuare le materie su cui esercitare i propri poteri, il PP ritiene che tuttavia si
debba adempiere a tale ruolo senza forzare il contenuto delle competenze base
individuate dallo Stato (come invece si fa nel progetto statutario) sia perché queste
servono per regolamentare alcuni settori di interesse nazionale, sia perché
presentano un contenuto che è generico per propria natura e non per essere
specificato a piacimento dagli Statuti59. Si aggiunge poi che un testo statutario non
può disporre di aspetti già regolamentati da Leggi Organiche giacché queste sono
59
Così si esprime il PP: “l’afirmació que la Constitució és oberta no pot servir de pretext perquè
en qualsevol moment es redistribueixi o alteri el sistema de distribució competencial mitjançant
successives reformes estatutàries de l’abast que convigui. El sistema de distribució competencial,
per obert que sigui, tè uns límits que s’han de respectar” (trad.: l’affermazione che la Costituzione
sia aperta non può servire quale pretesto perché in qualsiasi momento si ridistribuisca o modifichi il
sistema di distribuzione delle competenze attraverso successive riforme statutarie dal contenuto più
conveniente Il sistema costituzionale, per quanto aperto sia, ha dei limiti che vanno rispettati)”.
BOPC n.213/2005, 1 agosto, p. 56.
funzionali a dare una disciplina unitaria a tutto il territorio nazionale.
Infine il PP critica la proposta di riforma del sistema tributario poiché non tiene
conto della necessità di avere una disciplina fiscale che si applichi in modo
soddisfacente a tutte le Comunità Autonome, compatibilmente con il principio di
solidarietà. Sebbene non escluda una riforma del sistema finanziario, ritiene però
che sia necessario procedervi instaurando un dialogo che coinvolga lo Stato centrale
e tutte le regioni spagnole.
Alla fine di luglio, come emerge da quanto analizzato fino a questo punto, il
testo proposto dalla Ponencia e approvato in via preliminare dalla Commissione
parlamentare, era articolato in sette Titoli - oltre a quello preliminare - e composto
da duecentodiciotto articoli, sette disposizioni attuative, quattro disposizioni
transitorie e cinque disposizioni finali, nonché dalle circa quattrocento modifiche
proposte dai gruppi parlamentari che continuavano a sostenere posizioni molto
diverse in merito. Insomma, oltre alle paure circa la possibile illegittimità di alcune
disposizioni particolarmente “audaci”, bisognava fare i conti con la mancanza di un
consenso trasversale che accomunasse le forze politiche coinvolte. Proprio al fine di
ottenere un’opinione autorevole circa la legittimità costituzionale e sperando di
raggiungere un maggior accordo in merito al contenuto del testo proposto, si decise
di inviarlo al Consell Consultiu, affinché esprimesse il proprio parere sulla bozza di
riforma statutaria.
3.3 Il dictamen del Consell Consultiu.
Come accennato poco sopra, nel luglio del 2005 la proposta di riforma statutaria
elaborata dalla Ponencia e oggetto di discussione presso il Parlamento Catalano
dava luogo ad accesi dibattiti che riguardavano non solo lo scontro politico fra i
partiti coinvolti, ma anche i dubbi circa la legittimità costituzionale del testo
proposto a causa della portata estremamente innovativa dello stesso. Per avere
un’opinione e riguardo a quest’ultimo aspetto si decise di richiedere a un organo
collegiale, il Consell Consultiu, un parere circa la conformità del testo statutario
rispetto alla Carta Fondamentale.
Il Consell Consultiu è un organo consultivo afferente alla Generalitat, dotato di
autonomia e indipendenza e avente carattere strettamente giuridico. È interessante
osservare che la sua inclusione nello Statuto catalano del 1979 rappresentava una
novità assoluta giacché prima di allora non si era pensato di istituire organi analoghi
nelle Comunità Autonome. Composto da sette membri (di cui cinque eletti dal
Parlamento catalano e due dalla Generalitat) che mantengono la carica per quattro
anni, si occupa prevalentemente di vigilare sul rispetto dello Statuto e della
Costituzione da parte delle istituzioni locali. Il Consell Consultiu è interpellato sia
per valutare la legittimità di proposte di legge o di modifiche statutarie, sia per avere
un parere sull’opportunità di avanzare un ricorso di incostituzionalità al Tribunale
Costituzionale, sia perché si esprima sui conflitti positivi di competenza che
coinvolgono Generalitat e Parlamento.
Per quanto concerne la valutazione sull’ammissibilità costituzionale di progetti
di legge o modifiche statutarie, l’iniziativa spetta a due gruppi parlamentari, o un
decimo dei deputati, oppure al Consell stesso entro il termine di tre giorni dalla
pubblicazione del testo della proposta nel BOPC; la richiesta di parere viene quindi
esaminata dal Parlamento catalano che, essendo il soggetto formalmente titolare
dell’iniziativa, ha il compito di valutare la correttezza dell’istanza e inoltrarla
all’organo richiesto. Il Consell Consultiu ha l’onere di emettere il proprio dictamen
- avente natura non vincolante - entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta di
parere60.
Come accennato sopra, alla luce delle complesse discussioni sollevate in merito
al progetto di riforma statutaria si decise di richiedere al Consell Consultiu un
parere sulla costituzionalità dello stesso. La richiesta di parere fu quindi emessa dal
Parlamento catalano il 2 agosto 2005 per essere accettata dal Consell il giorno
successivo; il dictamen è stato infine pubblicato dopo poco meno di trenta giorni.
Veniamo quindi al contenuto del dictamen n. 269 dell’1 settembre 2005 nel
60
Si veda: E. ALBERTÍ I ROVIRA (cur.), Manual de dret públic de Catalunya, Barcelona, 2002,
pp. 271 e ss. Per un riferimento normativo nonché per consultare i dictamenes emessi dal Consell
Consultiu si rinvia alla pagina web dello stesso: www.cconsultiu.es .
quale in primo luogo si osserva che, in base alla metodologia seguita, il Consell
Consultiu ha deciso di concentrare la propria attenzione solo su quegli aspetti che,
alla luce di una prima lettura, parevano forieri di una dubbia costituzionalità,
giudicando pertanto che le restanti disposizioni fossero costituzionali.
Facendo una panoramica generale sul contenuto del parere, che vedrà in seguito
un approfondimento più puntuale su determinati aspetti, è possibile osservare che
secondo l’opinione dell’organo adito sono costituzionalmente legittime le norme
concernenti la qualificazione della Catalogna come nazione, il titolo dei diritti
(Titolo I), la puntuale divisione delle competenze in sotto categorie e il nuovo
modello tributario (anche se con qualche precisazione). Risultano invece
incostituzionali l’assunzione di alcune materie fra le competenze esclusive della
Catalogna (a titolo esemplificativo ricordiamo immigrazione, educazione, disciplina
della materia contrattuale e disciplina degli enti locali), l’obbligo che lo Statuto
vorrebbe imporre allo Stato di modificare determinate Leggi Organiche e Leggi
ordinarie61, l’assunzione di competenze di spettanza statale attraverso l’operato
della commissione bilaterale Stato-Generalitat, il diritto esclusivo di nomina del
Presidente del Governo catalano da parte del Presidente del relativo Parlamento e
l’uso dei diritti storici come titolo idoneo per esercitare in modo peculiare
determinate competenze. A sottolineare la complessità tanto dei temi trattati quanto
dell’analisi affrontata dal Consell Consultiu, va osservato che alcune disposizioni quali quelle concernenti il tema dei diritti storici e del sistema finanziario - sono
state oggetto di una accesa discussione al termine della quale il parere sulla
legittimità costituzionale è stato emesso sulla base di un’esigua maggioranza di
61
In merito a tale aspetto si ricorda in primo luogo che per modificare lo Statuto è necessaria la
cooperazione fra Comunità Autonoma e Stato e che pertanto le Cortes Generales non possono
agire di propria iniziativa; in secondo luogo si richiama il dovere di usare la disciplina dettata dallo
Statuto del 1979 per riformare lo stesso e in ultima istanza si afferma che gli Statuti fanno parte del
così detto “blocco di costituzionalità” in base a cui essi sono subordinati alla sola Costituzione e
come tali sono dotati di rigidità rispetto alle altre fonti del diritto. Alla luce di quanto affermato si
ricorda altresì che come lo Statuto una volta entrato in vigore è indisponibile sia per il legislatore
statale che per quello comunitario, analogamente il medesimo Statuto non è lo strumento idoneo
per disporre la modifica di Leggi Organiche o Leggi ordinarie che investono materie di competenza
statale e che pertanto esulano completamente dall’ambito di intervento delle Comunità Autonome
(Dictamen Consell Consultiu n. 269/2005, fundamento I).
quattro voti contro tre.
Poiché nel presente contesto non è possibile fare un’analisi esauriente di tutti i
temi oggetto del dictamen, appare opportuno concentrarsi su alcuni fra quelli che
presentano un particolare interesse quali il Preambolo, il Titolo Preliminare e il
Titolo I.
3.3.1 Preambolo e Titolo Preliminare.
Nel fundamento II il parere di legittimità affronta l’analisi del Titolo
Preliminare, all’interno del quale troviamo la definizione della Catalogna come
nazione e il riferimento ai diritti storici. Come richiamato nel precedente capitolo
dell’elaborato, già in sede costituente era emerso il problema della qualifica da dare
alle Comunità Autonome giungendo alla soluzione di compromesso di inserire
nell’art. 2 CE il riferimento a nazionalità e regioni. Il problema sollevato dal testo
statutario proposto attiene non solo alla legittimità dell’uso del termine “nazione”
anziché “nazionalità” (come presente sia nell’art. 2 CE che nello Statuto catalano
del 1979), ma anche all’inclusione o meno del concetto di sovranità al suo interno.
Relativamente al termine “nazionalità” in primo luogo si ricorda che già in sede
costituente si era affermato che esso doveva ritenersi sinonimo e perfettamente
sostituibile a quello di “nazione” e che tanto la dottrina quanto la giurisprudenza si
erano mantenute complessivamente in linea con questo orientamento; in base a tale
ragionamento pertanto l’uso del termine “nazione” ai soli fini definitori deve
ritenersi legittimo. Più complesso è verificare che dietro all’uso della parola
“nazione” non sia sottesa un’idea di sovranità che entri in contrasto con quella
spettante esclusivamente allo Stato spagnolo, ma anche in questo frangente il
Consell Consultiu ritiene che non esista alcuna illegittimità. Nel sostenere tale
opinione viene richiamato sia l’art. 1 della proposta di riforma, nella parte in cui
afferma che "Cataluña ejerce su autogobierno mediante instituciones propias,
constituida como comunidad autónoma de acuerdo con la Constitución y el
presente Estatuto"62, ritenendo che con tale espressione il legislatore catalano non
volesse tanto attribuire alla Comunità un potere sovrano autonomo, quanto inserire
a pieno titolo le proprie istituzioni governative fra quelle facenti parte dello Stato,
sebbene dotate di competenze e ambito di influenza distinti. Analogamente laddove
nell’art. 3.1 del medesimo testo si legge che “la Generalitat es Estado”, si deve
intendere non tanto che la Generalitat costituisca uno Stato a sé, bensì che
appartenga allo Stato spagnolo. Infine il riferimento alla fonte dei poteri del governo
locale da individuarsi nel popolo catalano63 non deve sollevare alcun dubbio di
costituzionalità sia per l’espresso riferimento che la norma fa alla Costituzione, sia
perché già altri statuti giudicati legittimi - quali quello Canario, quello Aragonese e
quello Andaluso - contenevano riferimenti analoghi al proprio interno.
Più complesso è invece il discorso concernente i diritti storici della Catalogna
quale titolo per assumere competenze nuove e ulteriori, analogamente a quanto
accade per i regimi forali di Paesi Baschi e Navarra. In tal senso il dato normativo
cui fare riferimento è costituito da una parte dall’art. 5 del testo proposto (El
autogobierno de Cataluña se fundamenta en los derechos historicos del pueblo
catalán, que el presente Estatuto incorpora y actualiza64) e dalla Prima
Disposizione Addizionale dello stesso in base a cui “se reconocen y se acutalizan,
mediante el presente Estatuto, tal y como establece el artículo 5, los derechos
históricos de Cataluña, de acuerdo con lo establecido por la disposición adicional
primera de la Constitución65”. Al secondo comma segue un elenco degli ambiti
specifici che vengono garantiti in particolar modo dai diritti storici, fra cui risaltano
il regime finanziario, il diritto civile, il regime linguistico, l’educazione e
62
Trad.: la Catalogna esercita il suo governo autonomo attraverso istituzioni proprie, essendo
costituita quale Comunità Autonoma d’accordo con la Costituzione e il presente Statuto.
63
“Los poderes de la Generalitat emanan del pueblo de Cataluña y se ejercen de acuerdo con lo
establece este Estatuto y la Constitución”(trad.: i poteri della Generalitat sono emanati dal popolo
della Catalogna e si esercitano conformemente a ciò che stabilisce questo Statuto e la
Costituzione), art. 2.4 della proposta di riforma.
64
Trad.: il governo autonomo della Catalogna si fonda sui diritti storici del popolo catalano, che il
presente statuto incorpora e attualizza.
65
Trad.: si riconoscono e attualizzano, tramite il presente Statuto, così come stabilisce l’articolo 5, i
diritti storici della Catalogna, conformemente a quanto stabilito dalla Prima Disposizione
Addizionale della Costituzione.
l’organizzazione territoriale; infine il terzo comma recita: “los derechos históricos,
en la Constitución, amparan y garantizan el regime singular de las competencias y
las atribuciones de la Generalitat en los terminos que establece el presente
Estatuto66”. Dall’altra parte occorre considerare le già richiamate Prima
Disposizione Attuativa CE - che riconosce e tutela i diritti storici dei territori forali e Seconda Disposizione Transitoria CE, che attribuisce alle comunità storiche la
facoltà di costituirsi in Comunità Autonome seguendo un iter agevolato.
Il Consell Consultiu inizia ad articolare le proprie riflessioni osservando che la
peculiare identità culturale della Catalogna non può essere negata sia perché essa è
da secoli oggetto di confronti sia perché ha ricevuto uno specifico riconoscimento
costituzionale all’interno della Seconda Disposizione Transitoria. Per l’organo
adito, quindi, il mero riferimento dell’art. 5 ai diritti storici è legittimo purché
rivesta una mera valenza culturale, senza comportare l’assunzione di specifiche
competenze. Tuttavia sottolinea che riconoscere le specificità storiche di un popolo
non equivale ad attribuirgli automaticamente competenze e poteri peculiari dal
momento che, affinché ciò avvenga in modo legittimo, non basta utilizzare gli
strumenti normativi idonei, ma occorre anche che la necessità di ammettere tale
tutela sia in primo luogo condivisa dalla generalità dei consociati, in ossequio al
principio democratico67. Si sostiene quindi che il riconoscimento dei diritti storici
finalizzato a ottenere una diversa distribuzione delle competenze deve fare perno sul
suddetto principio e non agire in modo alternativo e autonomo rispetto a esso quasi a volerlo aggirare - poiché in tal caso la legittimità giuridica dello stesso
sarebbe fragile e dubbia. Pertanto, verificata la legittimità dell’art. 5, occorre capire
se la Prima Disposizione Addizionale del testo statutario proposto (che attribuisce
66
Trad.: i diritti storici, nella Costituzione, tutelano e assicurano il regime specifico delle
competenze e delle attribuzioni della Generalitat nei termini stabiliti dal presente Statuto
67
Così si legge nel dictamen: “la Constitución y el Estatuto son el instrumento gurídico que debe
permitir la asunción de derechos históricos, siempre que éstos no contradigan los principios del
Estado social y democrático de derecho” (trad.: la Costituzione e lo Statuto sono lo strumento
giuridico che deve permettere l’assunzione dei diritti storici, sempre che essi non contraddicano i
principi dello Stato sociale e democratico di diritto). Dictamen Consell Consultiu 269/2005, 1
settembre, fundamento II, p. 26.
alla Comunità Autonoma peculiari competenze in virtù dei suoi diritti storici) sia
costituzionalmente legittima o rappresenti invece un tentativo di aggirare il
principio democratico.
Si analizza quindi la Prima Disposizione Addizionale CE per stabilire se
l’accesso al regime forale sia effettivamente aperto a tutti i territori, oppure se la
genericità dell’articolo sia solo apparente, riguardando esso esclusivamente Paesi
Baschi e Navarra68. Senza dubbio alla luce di una prima interpretazione letterale la
disposizione sembra ammettere l’accesso al regime forale a ogni Comunità
Autonoma; interpretazione che però contrasta con i lavori preparatori della
Costituzione da cui emerge che l’inserimento della norma in esame era
specificamente diretto al territorio basco-navarro. Il ragionamento del Consell
Consultiu prosegue sostenendo come non sia possibile nemmeno dedurre la
Seconda Disposizione Transitoria, nella quale si dà espresso riconoscimento
all’identità storica catalana, per giustificare l’accesso della Catalogna al regime
forale giacché tale disposizione era esclusivamente finalizzata a facilitare l’accesso
all’autonomia a quei territori che ne avevano usufruito prima della Guerra Civile,
prescindendo però dal riconoscimento dello status giuridico tipico dei territori
forali. Infine nel parere si rileva che la peculiarità giuridica del regime forale di
Navarra e Paesi Baschi fa perno sul diritto pubblico (alla luce del quale nei relativi
Statuti sono codificati diritti specifici); diverso è invece il caso della Catalogna, in
cui la peculiarità della tradizione giuridica locale attiene non al diritto pubblico, ma
al diritto civile. Tutti gli elementi appena considerati portano il Consell Consultiu
da una parte a giudicare incostituzionale la Prima Disposizione Addizionale della
proposta di riforma statutaria nel momento in cui essa è funzionale all’assunzione di
nuove e specifiche competenze, dall’altra a ritenere legittimo l’art. 5 del medesimo
68
Per completezza si riporta il testo della Prima Disposizione Addizionale CE: “La Constitución
ampara y respeta los derechos históricos de los territorios forales. La actualización general de
dicho régimen foral se llevará a cabo, en su caso, en el marco de la Constitución y de los Estatutos
de Autonomía”. Trad.: la Costituzione tutela e rispetta i diritti storici dei territori forali.
L’attualizzazione generale di detto regime formale verrà portata a compimento, in questo caso, nel
quadro della Costituzione e degli Statuti di Autonomia.
testo nella parte in cui contiene un semplice riferimento ai diritti storici in quanto
legati all’identità culturale catalana69. Analogamente va considerata incostituzionale
la proposta di modifica n. 400 in base a cui si vorrebbe includere nell’art. 5 del testo
statutario proposto un riferimento esplicito ai diritti storici quale fonte per il
riconoscimento del diritto civile e del diritto di lingua.
Il Consell Consultiu, pertanto, analizzando quelle che a suo giudizio sono le
disposizioni più problematiche dello Statuto catalano, sostiene il legittimo uso del
termine “nazione” riferito alla Catalogna (poiché sinonimo di “nazionalità” e privo
di attribuzione di sovranità alla Comunità Autonoma) così come ritiene
costituzionale il riferimento di natura prettamente culturale che l’art. 5 del testo fa ai
diritti storici. Viceversa, si reputa illegittima la Prima Disposizione Addizionale in
quanto, facendo impropriamente perno sui diritti storici, è finalizzata ad attribuire
alla Catalogna delle competenze.
3.3.2 Il Titolo I.
Un’altra fondamentale innovazione introdotta dalla proposta riforma dello
Statuto attiene all’inserimento di un titolo (Titolo I) che codifichi diritti e doveri dei
cittadini catalani e principi fondamentali delle relative istituzioni. L’inserimento di
siffatto titolo - oltre ad alcune norme in esso codificate - aveva destato qualche
perplessità circa la conformità con il testo costituzionale, così da indurre il Consell
Consultiu a farne oggetto della propria analisi.
69
“Según los criterios que hemos expuesto en este fundamento y atendiendo al hecho de que :
primero, la interpretación de la disposición adicional primera de la Constitución no permite
incluir a Cataluña como integrante de los territorios forales que disponen de un régimen de
derecho público, a los que se refiere este precepto constitucional; segundo, dicha disposición
adicional primera de la Propuesta de Reforma se configura como un título autónomo de atribución
de competencia, hay que concluir que dicha disposición adicional primera […] es
inconstitucional” (trad.: in base ai criteri che abbiamo esposto in questo “fundamento” e
considerando il fatto che: primo, l’interpretazione della Prima Disposizione Addizionale della
Costituzione non permette di includere la Catalogna fra quei territori forali che presentano un
regime di diritto pubblico proprio, a cui si riferisce detta norma costituzionale; secondo, detta
Prima Disposizione Addizionale della Proposta di Riforma si configura come un titolo autonomo
per l’assunzione di competenze. Alla luce di ciò bisogna concludere che tale Prima Disposizione
Addizionale […] è incostituzionale). Dictamen Consell Consultiu n. 269/2005, 1 settembre,
fundamento II, p. 37.
Nel proprio ragionamento l’organo consultivo esordisce facendo una
valutazione di natura comparatistica, osservando che la presenza di un elenco di
diritti, doveri e principi si può da tempo individuare in altri stati decentrati quali i
Länder tedeschi, i cantoni svizzeri o gli stati membri statunitensi. A seguire si
osserva che la medesima dichiarazione, inserita all’interno di uno Statuto di
autonomia, non presenta alcuna incompatibilità con il sistema costituzionale
spagnolo perché i cittadini catalani restano titolari dei diritti e dei doveri indicati
nella Costituzione a prescindere da quale che sia il contenuto del testo statutario.
Proseguendo la propria analisi, nel dictamen sono individuati due ordini di
ragioni che rendono astrattamente legittima l’esistenza di una dichiarazione di diritti
e doveri all’interno di un testo statutario. In primo luogo si ricorda che gli Statuti
sono norme di origine statale (Leggi Organiche) che hanno lo scopo di individuare
le istituzioni delle Comunità, le loro competenze e i loro poteri conformemente al
principio dispositivo e a quello di autonomia; risulta pertanto legittimo che le
medesime fonti giuridiche individuino i limiti (costituiti dai diritti dei singoli
cittadini e dai principi fondamentali) entro i quali le medesime istituzioni locali
sono tenute a esercitare le proprie funzioni. Essendo tipico delle carte costituzionali
creare un sistema di controlli e contrappesi che permetta di conservare l’equilibrio
fra i poteri, non va considerato illegittimo l’inserimento di un elenco di diritti,
doveri e principi che ha lo scopo di riprodurre il medesimo sistema di contrappesi
nei territori decentrati. In secondo luogo si sostiene che la previsione di tale titolo
sia a maggior ragione comprensibile alla luce del Titolo IV del testo statutario
proposto che, individuando le competenze assunte dalla Comunità con particolare
precisione e dettaglio, abbisogna di equivalenti limiti da opporre alle istituzioni
catalane.
Il Consell Consultiu individua altresì tre limiti che il testo statutario deve
rispettare per potersi considerare legittimo. In prima istanza occorre rispettare la
riserva di Legge Organica per quanto attiene allo sviluppo dei diritti fondamentali
costituzionalmente garantiti (art. 81 CE), i quali non possono essere oggetto di
disciplina statutaria. Vanno poi rispettare le condizioni essenziali che lo Stato, che
in questo campo detiene la competenza esclusiva, delinea per garantire alla
generalità dei cittadini spagnoli l’uguaglianza nell’esercizio di diritti e doveri
costituzionali70. Infine, lo scopo più importante che gli Statuti rivestono e che hanno
il dovere di realizzare è l’individuazione di poteri e limiti cui devono fare
riferimento le istituzioni e gli enti delle rispettive Comunità. Per il Consell
Consultiu è legittimo che, qualora lo Statuto catalano rispetti i limiti appena
indicati, inserisca altresì una dichiarazione di diritti, doveri e principi che sia capace
di limitare parzialmente le competenze dello Stato centrale.
Alla parte introduttiva legata alla legittimità complessiva del Titolo I che si è
appena analizzata, segue l’esame di alcuni articoli del medesimo Titolo. Il primo ad
essere discusso è l’art. 21.1 del testo statutario proposto in base a cui “todas las
personas tienen el derecho a la enseñanza pública y de calidad y a acceder en
condiciones de igualdad . La Generalidad debe establecer un modelo educativo que
garantice este derecho y en el que la enseñanza pública es laica”71; tale
disposizione viene analizzata insieme agli artt. 16.1 CE, che tutela la libertà di culto,
e 16.3 CE, in base a cui si afferma da una parte l’assenza di una religione di Stato,
dall’altra si dispone che le istituzioni pubbliche instaurino relazioni con la Chiesa
cattolica e con le altre confessioni religiose seguite dai cittadini spagnoli. Viene
altresì preso in considerazione l’art. 27.2 CE che dispone che l’educazione sviluppi
la personalità individuale rispettando i principi democratici così come i diritti e le
libertà fondamentali. Emerge pertanto un problema interpretativo che pone a
confronto il principio di laicità dello Stato con quello della tutela della libertà di
culto del singolo individuo, considerati nella loro espressione a livello educativo.
Nel dictamen si osserva che la laicità dello Stato si manifesta tanto nella
70
Viene in proposito richiamato l’art. 149.1.1 CE in base a cui: “el Estado tiene competencia
exclusiva sobre las siguientes materias: la regulación de las condiciones básicas que garanticen la
igualdad de todos los españoles en el ejercicio de los derechos y el cumplimiento de los deberes
constitucionales” (trad.: lo Stato detiene la competenza esclusiva nelle seguenti materie: la
regolamentazione delle condizioni basilari che garantiscono l’uguaglianza di tutti gli spagnoli
nell’esercizio dei diritti e l’adempimento dei doveri costituzionali).
71
Trad.: tutte le persone hanno diritto all’insegnamento pubblico e di qualità, nonché ad accedervi
in condizioni di uguaglianza. La Generalitat deve stabilire un modello educativo che garantisca tale
diritto e nel quale l’insegnamento sia laico.
mancata assunzione di un orientamento religioso all’interno delle proprie istituzioni,
quanto nella assoluta libertà di culto riconosciuta al singolo individuo; l’elemento
religioso - e in particolar modo quello cattolico - non viene eliminato dal panorama
istituzionale, bensì viene disposto che esso sia oggetto di appositi concordati in
modo da garantire una maggiore rappresentazione della generalità dei consociati.
Viene pertanto aggiunto un ulteriore elemento al quadro normativo in esame
giacché in base all’art 27.3 CE i poteri pubblici tutelano il diritto dei genitori di
vedere impartita ai propri figli un’educazione “religiosa y moral que esté de
acuerdo con sus convicciones”72. Dagli articoli in esame emerge quindi che lo
Stato, pur essendo laico, si impegna a riconoscere il culto eventualmente professato
dai propri cittadini e a garantire una formazione religiosa corrispondente. Viene
però sottolineato che gli obblighi di natura religioso-educativa assunti dallo Stato
sono costituzionalmente definiti nel contenuto, ma non nella modalità di
adempimento.
Pertanto, l’art.21.1 della proposta di riforma statutaria è da ritenersi
costituzionalmente legittimo nel momento in cui dispone che l’insegnamento
pubblico in Catalogna debba essere squisitamente laico; si precisa però che a tale
norma corrisponda un parallelo obbligo delle istituzioni catalane di predisporre un
sistema alternativo a quello scolastico canonico - e sempre pubblico - che garantisca
la formazione religiosa a chi ne faccia richiesta.
A seguire sono esaminati altri due articoli della proposta di riforma (artt. 28.2
e 32.5) la cui legittimità costituzionale risulta subordinata a una specifica
interpretazione o a una parziale modifica. In merito all’art. 28.2, che disciplina il
diritto di partecipazione, il Consell Consultiu precisa che nel momento in cui
l’articolo richiama il diritto di nomina dei propri rappresentanti in capo ai cittadini
catalani, occorre ritenere che detto diritto sia riconosciuto nelle elezioni per il
Parlamento Europeo e in quelle municipali anche agli stranieri aventi cittadinanza in
uno Stato comunitario (in ossequio all’art. 19 del Trattato costitutivo della
72
Trad.: religiosa e morale che sia conforme alle loro convinzioni.
Comunità Europea) e sia altresì riconosciuto anche agli stranieri extracomunitari in
occasione delle elezioni municipali, conformemente all’art. 13.2 CE. Rispetto
all’art. 32.5, che sancisce il diritto dei cittadini catalani di rivolgersi a qualsiasi
istituzione utilizzando indifferentemente Spagnolo o Catalano, l’organo consultivo
afferma la necessità di integrare la disposizione in esame tramite l’introduzione di
una riserva di legge che rinvii a un testo legislativo che con maggior precisione
disciplini questo tema, puntualizzando il regime linguistico da adottare e le
istituzioni di riferimento.
Infine sono esaminati gli articoli 42.3 e 50.1 della proposta di riforma. La
prima delle due norme dispone che “los poderes públicos deben procurar que las
campañas institucionales que se organizen en ocasión de los procesos electorales
tengan como finalidad la de promover la participación ciudadana y que los
electores reciban de los medios de comunicación una información veraz, objetiva,
neutral y respetuosa del pluralismo político sobre las candidaturas que concurren
en los procesos electorales73. Si decreta pertanto un dovere di controllo delle
istituzioni in occasione delle tornate elettorali affinché queste veglino sul rispetto
del pluralismo politico da parte dei media e sulla diffusione - ad opera dei poteri
pubblici stessi - di informazioni neutrali e obiettive, finalizzate a favorire la
partecipazione del corpo elettorale al voto senza propendere in alcun modo per un
determinato orientamento politico. In tal senso l’uso del termine “neutral” si collega
al dovere delle istituzioni di garantire - senza sfruttare impropriamente la propria
posizione pubblica - un corretto apporto di informazioni sia da parte delle istituzioni
stesse
che
da
parte
della
generalità
dei
media.
Tale
disposizione
è
costituzionalmente legittima poiché compatibile con l’art. 1.1 CE74, giacché nel
73
Trad.: i poteri pubblici devono fare in modo che le campagne istituzionali che si organizzano in
occasione di procedimenti elettorali abbiano come fine quello di promuovere la partecipazione
della cittadinanza e che gli elettori ricevano dai mezzi di comunicazione un’informazione veritiera,
obiettiva, neutrale e rispettosa del pluralismo politico rispetto alle candidature che concorrono nelle
proposte elettorali.
74
Così dispone l’art. 1.1 CE: “España se constituye en un Estado social y democrático, que
propugna como valores superiores de su ordenamiento jurídico la libertad, la justicia, la igualdad
y el pluralismo político” (trad.: la Spagna si costituisce in uno stato sociale e democratico, che
contesto elettorale la comunicazione neutrale e obiettiva è un corollario del rispetto
del pluralismo politico; va poi osservato che l’articolo 42.3 è in linea anche con la
Ley Organica de Régimen Elecotoral General (LOREG) in base alla quale in
periodo elettorale le istituzioni possono esprimersi ufficialmente solo per effettuare
comunicazioni che attengano alle modalità di votazione o ad altri aspetti tecnici
analoghi.
Distinto è invece il discorso da farsi sull’art. 50.1 del testo statutario proposto
che dispone: “Corresponde a los poderes públicos promover las condiciones para
garantizar el derecho a la información y a recibir de los medios de comunicación
una información veraz y neutral, y unos contenidos que respeten la dignidad de las
personas y el pluralismo político, social, cultural y religioso”75. La norma quindi
dispone che le istituzioni hanno il dovere di vigilare affinché tutte le informazioni
diffuse dai media siano non solo veritiere e rispettose delle differenze politiche e
culturali, ma anche neutrali. In questo caso l’uso del termine “neutral” e
l’attribuzione di un corrispondente potere di controllo in capo ai poteri pubblici
presenta notevoli dubbi circa la legittimità costituzionale dell’articolo in esame.
Infatti, come viene richiamato dal Consell Consultiu, nel parlare del diritto di
informazione la Costituzione non dispone nulla rispetto al dovere di diffondere
notizie che si conformino al criterio di neutralità. Così l’art. 20.1.d CE dispone che:
“se reconocen y protegen los derechos a comunicar o recibir libremente
información veraz por cualquier medio de difusión. La ley regulará el derecho a la
cláusula de conciencias y al secreto profesional en el ejercicio de estas
libertades”76; come si può osservare, oltre all’obbligo di verità, non c’è alcun
riferimento al contenuto delle informazioni. Analogamente nel quarto comma del
persegue come valori superiori del proprio ordinamento giuridico la libertà, la giustizia,
l’uguaglianza e il pluralismo politico).
75
Trad.: è dovere dei poteri pubblici promuovere le condizioni per garantire il diritto
all’informazione e a ricevere dai mezzi di comunicazione un’informazione che sia veritiera e
neutrale, avente contenuti che rispettino la dignità delle persone e il pluralismo politico, sociale,
culturale e religioso.
76
Trad.: si riconoscono e proteggono i diritti a comunicare o ricevere liberamente informazioni
veritiere da parte di ogni mezzo di diffusione. La legge regolerà il diritto all’obiezione di coscienza
e al segreto professionale relativi all’esercizio di queste libertà.
medesimo articolo si indicano i limiti a cui è soggetta la libertà in esame e fra essi
non è presente alcun riferimento alla neutralità77. Nel dictamen viene quindi
richiamata la giurisprudenza del Tribunale Costituzionale che in più occasioni ha
affermato che la libertà di informazione viene tutelata nel momento in cui le
istituzioni evitano interferenze e intromissioni nei media, garantendo così l’effettiva
esistenza del pluralismo politico78: in sintesi, libertà di informazione significa piena
libertà del mezzo attraverso cui l’informazione stessa è data, ma questa non
potrebbe mai esistere nel momento in cui alle istituzioni è attribuito il potere di
controllo sui media sia pubblici che privati, potere che - se esercitato - potrebbe solo
inficiare la presenza del pluralismo politico che, a differenza della “neutralità”,
riceve una precisa tutela costituzionale nell’art. 1.1 CE. L’unica eccezione
ammissibile in tale frangente è data dalle notizie concernenti ambiti nei quali i
poteri pubblici esercitino la piena titolarità, a cui corrisponde il dovere di diffondere
informazioni ufficiali e neutrali (si pensi alle imprese pubbliche o ai settori nei quali
le istituzioni gestiscono gli interessi della collettività). Alla luce del ragionamento
appena illustrato, il Consell Consultiu sostiene che l’art. 50.1 del testo statutario
proposto sia incostituzionale79.
77
Così si legge nell’art. 20.4 CE: “estas libertades tienen su límite en el respeto a los derechos
reconocidos en este Título, en los preceptos de las leyes que lo desarrollen y, specialmente, en el
derecho al honor, a la intimidad, a la propia imagen y a la protección de la juventud y de la
infancia” (trad.: queste libertà trovano i propri limiti nel rispetto dei diritti riconosciuti in questo
Titolo, nei precetti di legge che lo sviluppino e, specialmente, nel diritto all’onore, all’intimità, alla
propria immagine e alla protezione della gioventù e dell’infanzia).
78
“la neutralidad como criterio definidor de la información es la ecuidistancia, que como tal, hace
abstracción del pluralismo a la vez que lo niega” (trad.: le neutralità come criterio definitorio
dell’informazione è costituito dall’equidistanza, che, come tale, prescinde dal pluralismo politico e
contemporaneamente lo nega). Dictamen Consell Consultiu 269/2005, 1 settembre, fundamento
III.5, p.55.
79
Così si afferma del documento in esame: “por lo tanto, la incorporación del adjetivo neutral de
la información con carácter general y sin distinciones lesiona el artículo 20.1.d CE, entendido en
relación al artículo 1.1 CE, razón por la cual el apartado 1 del artículo 50 de la Propuesta de
Reforma es inconstitucional en lo que se refiere a la actividad informativa de medios de
comunicación de naturalezza privada” (trad.: quindi, l’inclusione dell’aggettivo neutrale riferito
all’informazione di carattere generale e senza distinzioni lede l’art. 20.1.d CE, inteso in relazione
all’articolo 1.1 CE, ragione per cui il primo comma dell’articolo 50 della Proposta di Riforma è
incostituzionale nella parte in cui si riferisce all’attività d’informazione dei mezzi di comunicazione
di natura privata). Dictamen Consell Consultiu 269/2005, 1 settembre, fundamento III.5, p.56.
Il 29 settembre 2005 il Parlamento catalano si riunisce in seduta plenaria per
votare il progetto ufficiale di riforma statutaria da presentare presso il Parlamento
spagnolo di Madrid. Il testo oggetto della votazione non differisce molto da quello
pubblicato nell’agosto e, a differenza del precedente, include quasi tutte le
modifiche proposte dal Consell Consultiu nel proprio dictamen. L’unica vera
differenza rispetto al suddetto parere è il mancato accoglimento delle proposte in
tema di diritti storici: l’art. 5, pur presentando un testo diverso dal precedente, non
accoglie il suggerimento dell’organo consultivo di non utilizzare tali diritti quale
titolo per ottenere ulteriori specifiche competenze, bensì - seguendo una logica
opposta - elenca in modo puntuale le competenze in materia di diritto civile, lingua,
educazione, cultura e sistema istituzionale che la Comunità Autonoma catalana
assume in virtù dei diritti storici del popolo catalano80. Viene invece modificata la
Prima Disposizione Addizionale della proposta di Statuto che è semplificata rispetto
alla versione originaria precedentemente analizzata81. Un’ulteriore modifica
apportata al testo presentato al Parlament catalano è l’introduzione del Preambolo la cui stesura era stata a lungo posticipata - che richiama le origini storiche della
Comunità e il desiderio di vedere perfezionato il riconoscimento delle proprie
peculiarità culturali e identitarie, realizzando un rapporto di interdipendenza con lo
80
Così recita il testo del nuovo articolo 5: “el autogobierno de Cataluña como nación se
fundamenta también en los derechos históricos del pueblo catalán, en sus instituciones seculares y
en la tradición jurídica catalana, que en el presente Estatuto incorpora y actualiza al amparo del
artículo 2, la disposición transitoria segunda y otras disposiciones de la Constitució, preceptos de
los que deriva el reconocimiento de una posición singular de la Generalitat en relación con el
derecho civil, la lengua, la educación, la cultura y el sistema institucional en que se organiza la
Generalitat” (trad.:l’autogoverno della Catalogna come nazione è fondato anche sui diritti storici
del popolo catalano, sulle sui istituzioni secolari e sulla tradizione giuridica catalana, che nel
presente Statuto incorpora e attualizza la tutela dell’articolo 2 CE, la Seconda Disposizione
Transitoria e altre disposizioni della Costituzione, precetti da cui deriva il riconoscimento di una
posizione peculiare della Generalitat in relazione al diritto civile, alla lingua, all’educazione, alla
cultura e al sistema istituzionale in cui si organizza la Generalitat).
81
La Prima Disposizione Addizionale della Proposta di Statuto recita: “la aceptación del régimen
de autonomía establecido por el presente Estatuto no implica la renuncia del pueblo catalán a los
derechos que, como tal, le corresponden en virtud de su historia, que pueden ser actualizados de
acuerdo con lo establecido por la disposición adicional primera de la Constitución” (trad.:
l’accettazione del regime di autonomia stabilito dal presente Statuto non implica la rinuncia del
popolo catalano ai diritti che, in quanto tale, gli corrispondono in virtù della sua storia, i quali
possono essere attualizzati in conformità con quanto stabilito dalla Prima Disposizione Addizionale
della Costituzione).
Stato e con le altre regioni spagnole; da sottolinearsi l’espresso riferimento, anche in
questa sede, alla Catalogna come nazione, ai sui diritti storici e all’idea di Stato
plurinazionale82. La proposta di riforma del testo statutario presentata al Parlamento
riunito in seduta plenaria viene discusso fra il 29 e il 30 settembre, venendo poi
approvato con la straordinaria maggioranza di 120 voti favorevoli (corrispondenti a
poco più del 90% dei parlamentari catalani), rispetto ai 15 voti contrari dei membri
del PP.
Il 30 settembre 2005 il Parlamento della Catalogna approva dunque il testo
statutario da proporre alle Cortes Generales perché queste lo avvallassero per poi
emanarlo ufficialmente come Legge Organica. Si conclude quindi la prima fase
catalana dell’iter per la riforma dello Statuto del 1979; tappa che, come osservato, si
è snodata attraverso il complesso lavoro di elaborazione - ma anche mediazione e
coordinazione - svolto dalla Ponencia e in generale da tutte le forze politiche
coinvolte, nonché attraverso il parere emesso dal Consell Consultiu che ha
contribuito a rafforzare la correttezza giuridica dello Statuto proposto. Il prodotto
finale è dunque un testo che presenta, fra le innovazioni più importanti, la
definizione della Catalogna come nazione, la deduzione di diritti storici quale titolo
per l’assunzione di precipue competenze, l’introduzione di un Titolo dedicato a
diritti, doveri e principi fondamentali; si propone un diverso sistema finanziario,
l’incremento delle relazioni bilaterali con lo Stato, così come una più pregnante
partecipazione in ambito Europeo e un nuovo e più dettagliato sistema per
l’assunzione di competenze83.
3.4 L’approvazione dello Statuto presso il Parlamento spagnolo.
Dopo l’approvazione della proposta di riforma da parte del Parlamento
catalano, avvenuta come visto sopra il 30 settembre 2005, prendeva inizio l’iter di
discussione e approvazione del nuovo testo statutario presso le Cortes Generales di
Madrid. Come si è visto precedentemente, l’iter legis in sede parlamentare prevede
82
83
V. supra quanto affermato in merito alla Dichiarazione di Barcellona (capitolo II, paragrafo 1).
L’approvazione dal Parlamento in seduta plenaria è pubblicata nel BOPC 3 ottobre 2005, n. 224.
in primo luogo che la proposta statutaria elaborata dalla Comunità Autonoma, dopo
essere stata presentata da una delegazione della Comunità stessa, sia oggetto della
valutazione preliminare del Parlamento detta “debate de la Totalidad”84.
Il debate de la Totalidad ebbe luogo il 2 novembre 2005 e vide in primo
luogo l’intervento dei rappresentanti del Parlamento della Catalogna che posero
l’accento sulle numerose innovazioni che il testo voleva apportare sia rispetto
all’incremento del grado di autonomia per la Comunità Autonoma, sia in merito alla
propria qualifica di nazione e agli altri aspetti di matrice culturale-identitaria. Venne
altresì manifestato il desiderio di dar luogo a un dibattito costruttivo con il
Parlamento, finalizzato ad apportare le modifiche necessarie senza però veder
disattesi i propri obiettivi di riforma. Nel successivo intervento del Presidente del
Governo, José Luis Rodriguez Zapatero, questi, fra le altre cose sostenne sia il
legittimo riconoscimento dell’identità nazionale catalana e l’inclusione di un titolo
di diritti e libertà fondamentali sia l’opportunità di modificare le relazioni bilaterali
fra Stato e Generalitat sia la revisione del sistema di attribuzione di competenze,
anche se da effettuarsi con maggior cautele rispetto a quanto proposto. Va anche
osservato che il capo dell’opposizione, Mariano Rajoy, fece un intervento dai toni
molto forti criticando tanto il Governo di maggioranza quanto il testo statutario
presentato che definì incostituzionale e superfluo. Al termine del dibattito, 197 voti
favorevoli, contro 146 contrari e un astenuto portarono ad ammettere la proposta di
modifica statutaria all’esame del Parlamento85.
Dopo l’ammissione all’esame del Congreso de Diputados, si è aperto il
termine per la presentazione di modifiche da apportare al testo statutario proposto86.
84
V. supra il paragrafo 1 in merito al procedimento di modifica degli Statuti di Autonomia.
Si ricordi che il così detto Plan Ibrarretxe, presentato dai Paesi Baschi nel 2003, fu
immediatamente rigettato perché non ottenne l’approvazione preliminare in occasione del debate
de Totalidad (v. supra capitolo I, paragrafo 2).
Il testo degli interventi effettuati in occasione del debate de Totalidad possono essere reperiti nel
Diario de Sesiones del Congreso de los Diputados, n. 125/2005, pp. 6164 e ss.
86
Le modifiche proposte sono raccolte nel Boletín Oficial de las Cortes Generales (BOCG), serie
B, n. 210-7, del 3 gennaio 2006.
85
Gli apporti più rilevanti anche in questo contesto sono stati quelli del Partito
Socialista e di quello Popolare.
Il primo, contrariamente alle aspettative dei politici catalani, suggerisce
numerose modifiche che incidono in modo rilevante sul contenuto del testo
proposto, pur motivandole con toni che vogliono essere pacati. Il PSOE sostiene
che, pur dovendosi riconoscere alla Catalogna le peculiarità storiche, culturali e
identitarie, occorre altresì restare nel solco della Costituzione e suggerisce quindi di
perseguire le medesime finalità, ma attraverso un testo statutario differente da
quello presentato. Seguendo questa linea di pensiero fra le modifiche avanzate
troviamo l’eliminazione dei termini “nazione” e “nazionale” riferito alla Catalogna
in quanto si ritiene che essi siano incompatibili con l’art. 1.2 CE e che possano
essere attribuiti esclusivamente allo Stato spagnolo87. Si suggerisce altresì di
modificare, da una parte, l’art. 5 poiché in base alla lettera della norma i diritti
storici paiono essere l’unico titolo che legittimi l’acquisizione di nuove competenze
e, dall’altra parte, la Prima Disposizione Addizionale in quanto incompatibile con la
Prima Disposizione Addizionale CE sui territori forali88. Il Partito Socialista
propone inoltre di eliminare tutte le norme che attribuiscono alla lingua catalana un
regime privilegiato rispetto a quella castigliana poiché fra esse deve esistere piena
equivalenza89.
La proposta di modifica successiva riguarda il Titolo I, che codifica diritti,
doveri e principi fondamentali della Comunità Autonoma: il PSOE sostiene la
legittimità di siffatto titolo, ma aggiunge che perché questo sia pienamente
compatibile con la Costituzione è necessario che rispetti appieno i limiti da essa
posti e che non sia utilizzato per modificare in alcun modo il regime di distribuzione
delle competenze. Analogamente rimanendo in materia di competenze viene
affermata la validità della proposta di inserire una disciplina più precisa e
dettagliata, sempre che così facendo non si alteri l’assetto previsto dalla carta
87
Enmienda n. 5, BOCG, serie B, n. 210-7/2006.
Enmienda n. 6, BOCG, serie B, n. 210-7/2006.
89
Enmienda n. 7, BOCG, serie B, n. 210-7/2006.
88
costituzionale che coinvolge i rapporti dello Stato con le Comunità Autonome. In
accordo con tale visione è stilato un elenco di materie che andrebbero rimosse
dall’elenco presentato nel testo proposto dalla Catalogna90.
Le osservazioni mosse dal Partido Popular hanno, come era prevedibile alla
luce delle idee conservatrici sostenute da detta formazione politica, uno stampo
fortemente critico nei confronti delle innovazioni proposte dal testo statutario
elaborato nella Comunità catalana. La proposta di modifica investe addirittura il
titolo da dare alla riforma del testo statutario91 e suggerisce di eliminare
completamente Preambolo, Titolo Preliminare e Titolo I sostenendo che vadano
contro tre valori quali la Costituzione, l’uguaglianza e la libertà. Il PP sostiene
inoltre categoricamente che la Catalogna non può essere definita nazione giacché
detto termine è riconducibile solo allo Stato spagnolo e presuppone - in modo più o
meno manifesto - la detenzione di un qualche potere di sovranità che in nessun
modo può essere ricondotto a una Comunità Autonoma.
Il PP non manca di esprimersi in merito al riferimento ai diritti storici
sostenendo la piena illegittimità della disposizione che, priva di fondamento
costituzionale, viene utilizzata per attribuire alla Catalogna delle competenze
specifiche che non le spettano poiché essa non costituisce un territorio forale. Sono
altresì oggetto di critica le disposizioni in materia di diritti e doveri così come quelle
sul regime linguistico. Nel primo caso si depreca non tanto la previsione in astratto
di un titolo statutario avente siffatta natura, quanto la mancanza di uguaglianza che
verrebbe in essere fra i cittadini spagnoli a causa della codificazione di diritti,
doveri e principi che determinano un’alterazione nello status giuridico di base.
Relativamente al regime linguistico, invece, si afferma che è illegittimo sia trattare
90
Enmiendas n. 9 e 10, BOCG, serie B, n. 210-7/2006
Nell’Enmienda n. 21 si suggerisce di modificare il titolo del documento da “Propuesta de
Reforma del Estatuto Autonómico de Cataluña” a “modifica de la Ley Orgánica 4/1979, de 18
diciembre, de Estatuto de Autonomía de Cataluña”, volendo così sottolineare che con il primo
titolo nella sostanza si opta per approvare uno Statuto nuovo e totalmente diverso dal precedente,
mentre con il nome suggerito dal PP si mantiene in modo più netto il legame con il testo statutario
precedente e al tempo stesso si garantisce la conformità alla Costituzione che prevede
esclusivamente la possibilità di modificare uno Statuto già esistente e non di sostituirlo con uno
nuovo. (BOCG, serie B, n. 210-7/2006)
91
il catalano come idioma preferenziale nel rapporto con l’amministrazione locale sia
prevederne l’obbligo di conoscenza da parte di tutti i soggetti che risiedo in
Catalogna, poiché così facendo si creerebbe un regime discriminatorio rispetto al
Castigliano - che è comunque lingua coufficiale - e rispetto a tutti quei soggetti
provenienti da altre Comunità Autonome o da altri Stati. Il PP pertanto, oltre a
proporre di eliminare il Preambolo, il Titolo Preliminare e il Titolo I - che
probabilmente rappresentano la parte più innovativa della proposta statutaria suggerisce di introdurre altre modifiche che coinvolgano numerose disposizioni del
testo presentato92.
Come richiamato all’inizio del presente paragrafo, una volta chiuso il termine
per proporre modifiche, una Ponencia composta in egual misura da rappresentanti
del Parlamento Catalano e membri della Commissione Costituzionale aveva il
compito di elaborare un informe contenente il testo di riforma come modificato alla
luce delle osservazioni e delle proposte di emendamenti presentate: la Ponencia
iniziò i propri lavori il 6 febbraio 2006 e li terminò il 6 marzo successivo93.
Concentrando ancora una volta l’attenzione sulla parte iniziale del testo
statutario esaminiamo brevemente quali modifiche furono introdotte dalla Ponencia
riguardo a Preambolo, Titolo Preliminare e Titolo I94.
Il Preambolo risulta notevolmente semplificato rispetto alla versione approvata
dal Parlament catalano nel settembre del 2005 e sono eliminati i riferimenti più forti
alle rivendicazioni identitarie della Comunità Autonoma, così come è quasi azzerato
l’uso del termine “nazione” riferito alla Catalogna. L’unico riferimento all’identità
nazionale catalana si trova nella parte finale del Preambolo in cui si afferma che “el
Parlamento de Cataluña, recogiendo el sentimiento y la voluntad de la ciutadania
92
Enmiendas n. 21 e ss., BOCG, serie B, n. 210-7/2006
Si osservi che particolare importanza ha rivestito in tale frangente l’accordo politico stilato fra il
capo del Governo spagnolo Zapatero e il Segretario Generale di CiU Artur Mas: per cercare di
superare l’impasse costituita dalle numerose proposte di modifica avanzate (che rendevano
particolarmente difficile il raggiungimento di un accordo sul contenuto da dare alla proposta di
riforma statutaria) Mas e Zapatero concordarono quale assetto dare al testo dello statuto
raggiungendo un compromesso fra le differenti esigenze manifestate.
94
L’informe elaborato dalla Ponencia costituita presso la Commissione Costituzionale fu
pubblicato il 7 marzo 2006 nel BOCG, serie B, n. 210-11.
93
de Cataluña, ha definido de forma ampliamente mayoritaria a Cataluña como
Nación. La Constitución Española, en su artículo segundo, reconoce la realidad
nacional de Cataluña como nacionalidad”95; come si può evincere dal testo appena
richiamato, la formula adottata nell’informe non riconduce alcun valore giuridico al
termine “nazione”, ma si limita a riportarne l’uso che ne fa il popolo catalano, quasi
come se fosse una nota di costume.
Le modifiche più importanti che attengono al Titolo Preliminare concernono gli
articoli 1, 5 e 6.2. Nell’art. 1 scompare la definizione della Catalogna come nazione,
per sostituirla con quella di nazionalità (meno problematica e già utilizzata nello
Statuto del 1979). Il discusso articolo 5 continua a fare riferimento ai diritti storici,
ma la sua portata normativa viene notevolmente ridimensionata; è invece eliminata
la Prima Disposizione Addizionale. Infine, per quanto concerne l’art. 6.2, si afferma
che il dovere di conoscere il Catalano si limita ai soli cittadini della Comunità
Autonoma e non riguarda più la generalità dei consociati che per una qualsiasi
ragione si trovino nel detto territorio.
Veniamo quindi al Titolo I che presenta complessivamente un numero esiguo di
modifiche relative soprattutto a una diversa formulazione di diritti già previsti nel
testo elaborato presso la Comunità Autonoma. La novità più importante concerne
l’art. 37 in base a cui si decreta che i capi I, II e III del Titolo in esame vincolino
tutti i poteri pubblici della Catalogna e non più i poteri pubblici che hanno sede in
Catalogna: cade quindi il vincolo che era stato posto in capo agli enti
dell’Amministrazione Pubblica statale aventi sede nella Comunità catalana con
l’unico limite dato dal rispetto dei diritti linguistici codificati dagli articoli 32 e 33.
Infine il comma 4 della disposizione in esame dispone che i diritti tutelati dal Titolo
I non determinino alcuna modifica nel sistema di attribuzione di competenze.
In linea generale è possibile osservare che il lavoro di compromesso realizzato
dalla Ponencia della Commissione Costituzionale ha senza dubbio modificato in
95
Trad.: il Parlamento della Catalogna, rilevando il sentimento e la volontà della cittadinanza
catalana, ha definito alla luce di un’ampia maggioranza la Catalogna come nazione. La
Costituzione spagnola, nel proprio articolo secondo, riconosce l’identità nazionale della Catalogna
come nazionalità.
modo rilevante il contenuto della proposta di riforma dello Statuto (si pensi che
oltre al Preambolo sono stati modificati 144 articoli su 227, 8 disposizioni
addizionali su 10 e 3 disposizioni transitorie su 5), tuttavia questo lavoro ha altresì
permesso di giungere a un testo statutario maggiormente condiviso dalle forze
politiche nazionali96.
Fra il 9 e il 21 marzo 2006 presso la Commissione Costituzionale e alla
presenza della delegazione catalana si svolse la discussione sull’informe della
Ponencia. Il dibattito, durante il quale si assistette ai prevedibili scontri di natura
giuridico-politica che opponevano in modo netto il PP al PSOE, modificarono
parzialmente il testo proposto dall’informe senza tuttavia alterarne in modo
sostanziale l’assetto97. La votazione finale decretò l’approvazione del testo con 50
voti a favore (22 dei membri della Commissione e 28 dei rappresentanti della
delegazione catalana) e 27 contrari (17 dei membri della Commissione e 10 della
delegazione catalana)98.
Ottenuto il voto positivo sul testo statutario da parte della Commissione
Costituzionale, per concludere l’iter legis presso il Congresso dei Deputati era
necessario raggiungere il consenso (da esprimersi con maggioranza assoluta) di
quest’ultimo riunito in seduta plenaria. Votazione che ebbe luogo il 30 marzo
seguente e che portò all’approvazione del progetto di Statuto grazie a 189 voti a
favore, rispetto ai 154 contrari e ai 2 astenuti99.
Terminata dunque la parte dell’iter legis che coinvolgeva il Congreso de los
Diputados, prendeva avvio l’esame del testo presso il Senato. A tal fine l’analisi
della proposta statutaria è stata in primo luogo valutata dalla Comisión General de
las Comunidades Autónomas, il cui ruolo è in un certo senso analogo a quello
96
J. TORNOS MAS, Los Estatutos de Autonomía de Cataluña, Barcelona, 2007, pp. 131 e ss.
I verbali delle discussioni sostenute presso la Commissione Costituzionale sono reperibili in:
Diario de Sesiones del Congreso de los Diputados, numeri 498-512.
98
Il testo finale è stato pubblicato nel BOCG, serie B, n. 210-14, del 22 marzo 2006.
99
Si noti che fra i partiti che espressero il proprio voto favorevole troviamo PSOE, PSC, CiU, ICV,
PNV e BNG, mentre fra quelli contrari, oltre al PP, è presente ERC che era contrario al contenuto
finale del testo proposto perché, a suo giudizio, questo era stato modificato a tal punto da avere
snaturato il testo originariamente approvato dal Parlamento catalano, eliminando così tutte le
principali innovazioni che esso voleva introdurre.
97
svolto dalla Commissione Costituzionale presso l’altra Camera parlamentare e che
doveva essere affiancata da una delegazione di rappresentanti della Catalogna.
Il dibattito presso la Camera Alta prese avvio a partire dal 24 aprile 2006,
giorno in cui fu costituita la Ponencia Conjunta, composta in egual misura da
membri della Commissione Generale delle Comunità Autonome e da rappresentanti
della Catalogna, il cui compito era valutare il contenuto del testo statutario, proporre
eventuali modifiche e stilare un informe in merito; informe che doveva poi essere
approvato dalla Commissione Generale e infine dal Senato riunito in seduta
plenaria100.
Durante i lavori ancora una volta emerse l’ostilità del Partido Popular che
propose un veto nei confronti della proposta di riforma statutaria in esame. Detta
proposta non fa altro che ricalcare le obiezioni già presentate dal medesimo partito
in occasione del dibattito presso l’altra Camera e richiama la presunta
incostituzionalità del testo, l’inammissibilità di alcun riferimento alla Catalogna
come nazione (a prescindere dal fatto che ora si trovi nel solo Preambolo), i
pregiudizi al principio di unità a causa delle notevoli disparità di trattamento
introdotte sia in materia di diritti e doveri, che per la politica finanziaria e
linguistica. Ancora una volta il PP dichiara illegittimo il riferimento ai diritti storici
poiché incompatibile con la Seconda Disposizione Transitoria CE e con la Prima
Disposizione Addizionale CE; sostiene altresì l’inutilità della riforma stessa che, a
suo giudizio, avrebbe dovuto far perno sullo Statuto catalano del 1979 in modo da
sfruttare i punti non ancora sviluppati dello stesso, piuttosto che sostituirlo con un
testo totalmente nuovo, finendo per contravvenire alla Costituzione stessa che
disciplina solo la possibilità di modificare uno Statuto vigente, senza prevederne la
sostituzione101. Il veto avanzato fu rigettato per 68 voti (25 dei Senatori e 43 della
delegazione catalana) contro ai 29 a favore (24 dei Senatori e 5 della delegazione
catalana).
100
Il contenuto del dibattito svolto in senato è reperibile in: Diario de Sesiones del Senado, anno
2006, n. 312, 318, 319 e 321.
101
BOCG Senado, serie III B, n. 12 (c), 24 aprile 2006.
Anche le proposte di modifica, avanzate soprattutto dal Partito Popolare e dal
Gruppo “Entesa Catalana de Progrés” (di cui fa parte Esquerra Republicana
Catalana), hanno essenzialmente ripresentato le medesime osservazioni già opposte
nel Congresso dei Deputati, senza pertanto introdurre novità rilevanti ai fini della
nostra analisi102. Emerge pertanto che le maggiori insoddisfazioni sono manifestate
dagli schieramenti che rappresentano le due ali estreme delle forze politiche
coinvolte: da una parte il PP, frustrato per il contenuto a suo parere eccessivamente
innovativo del testo statutario, e dall’altra parte ERC, delusa per le ragioni opposte
ovvero perché, a suo parere, durante l’iter di approvazione la proposta di riforma
aveva perso la carica innovativa di cui era originariamente dotata, finendo quindi
per essere in qualche modo snaturata.
Il lavoro della Ponencia Conjunta si sviluppò nell’arco di pochi giorni e il 3
maggio presentò il proprio informe che rendeva conto delle modifiche proposte, pur
senza allontanarsi in modo rilevante dal testo approvato dalla Camera Alta poche
settimane prima103. La Commissione Generale delle Comunità Autonome, cinque
giorni dopo la pubblicazione dell’informe, approvò il proprio dictamen nel quale si
rigettavano tutte le modifiche avanzate condividendo pertanto la proposta statutaria
approvata dal Congresso dei Deputati104.
Confermando l’orientamento seguito sia dalla Camera Bassa che dalla
Commissione Generale, il Senato riunito in seduta plenaria diede la propria
approvazione alla proposta di Legge Organica per la riforma dello Statuto della
Catalogna105. Venne quindi completata anche la parte di iter legis che doveva aver
luogo presso il Parlamento spagnolo, anche se occorre osservare che la maggioranza
raggiunta presso la Camera Alta era comunque piuttosto risicata (128 voti
102
103
104
BOCG Senado, serie III B, n. 12 (d), 24 aprile 2006.
BOCG Senado, serie III B, n. 12 (f), 3 maggio 2006.
BOCG Senado, serie III B, n. 12 (g), 8 maggio 2006. La votazione finale vide 61 voti a favore
(25 dei membri della Commissione e 36 della delegazione catalana), 34 voti contrari (24 dei
membri della Commissione e 10 della delegazione) e un astenuto.
105
BOCG Senado, serie III B, n. 12 (h), 10 maggio 2006.
favorevoli rispetto a 125 contrari), a sottolineare quanto il procedimento per
l’approvazione del nuovo Statuto fosse stato complesso dall’inizio alla fine.
Come accennato precedentemente, una volta ottenuta l’approvazione del testo
statutario in sede parlamentare era necessario superare un ultimo vaglio, costituito
dal giudizio degli elettori catalani, chiamati ad esprimere il loro parere in merito al
nuovo Statuto attraverso il referendum. Quest’ultimo venne indetto dal Presidente
della Generalitat attraverso il Decreto n. 170/2006, emanato il 18 maggio (e
pubblicato nel Boletín Oficial de Estado (BOE) n. 119, del 19 maggio) che fissava
per il successivo 18 giugno la data della votazione.
Finalmente nel giugno del 2006, nonostante l’affluenza alle urne fosse stata
piuttosto limitata (circa il 48,85 % degli aventi diritto), grazie al voto favorevole del
73,29 % dei votanti lo Statuto venne approvato anche dal popolo catalano e il 19
luglio entrò ufficialmente in vigore con la Legge Organica 6/2006, de Reforma del
Estatuto de Autonomía de Cataluña, che sostituì il precedente Statuto (LO
4/1979)106.
Dall’analisi svolta in questo capitolo, emergono le due tendenze contrapposte
presenti sul territorio spagnolo a partire dai primi anni del secolo attuale. Da una
parte, infatti, le forze nazionaliste delle Comunità aventi una più spiccata vocazione
autonomista (quali Paesi Baschi, Galizia e, nel nostro caso, Catalogna) hanno
manifestato in modo netto la propria volontà di mettere in atto un procedimento di
riforma che le portasse a ottenere maggiori poteri e a definire in modo più netto
alcuni aspetti giuridico-normativi del proprio territorio (si pensi al riferimento
catalano ai diritti storici o all’identità nazionale oppure ai diritti linguistici);
dall’altra parte, a tali forze riformatrici locali non corrispondeva un analogo modo
di sentire sul piano politico nazionale che facilitasse in termini netti l’iter di riforma
statutaria intrapreso.
106
I dati normativi e quelli sull’affluenza al voto possono essere reperiti sul sito della Generalitat
(www.gencat.cat).
Così facendo, nel caso dei Paesi Baschi il Plan Ibarretxe non superò il vaglio
preliminare del debate de la Totalidad, mentre nel caso della Catalogna il
procedimento di riforma - anzi di sostituzione - dell’Estatut, seppur giunto a
termine nel giugno del 2006 con l’entrata in vigore della LO 6/2006, era stato
sicuramente complesso e molto articolato. Inoltre il testo finale si distanziava tanto
da quello originariamente proposto dal Parlamento della Comunità Autonoma da
generare forti scontri anche fra le forze promotrici dello stesso (PSC, ERC e CiU).
Si può in ogni caso osservare che, sebbene il nuovo Statuto della Catalogna nel
corso del procedimento di approvazione abbia perso molta della forza innovativa
che caratterizzava il testo uscito dal Parlament catalano, abbia tuttavia costituito
una novità assoluta sul piano della normativa statutaria spagnola, tanto da indurre
altre Comunità Autonome - quali Andalusia, Aragón, e Isole Baleari - a seguirne
l’esempio e intraprendere l’iter per la riforma dei propri Statuti seguendo il modello
catalano.
4. Il ricorso di incostituzionalità sollevato dal PP.
Il 31 luglio 2006 il Partido Popular, che come visto osteggiò fin dall’inizio
l’approvazione dello Statuto di Autonomia della Catalogna107, depositava presso il
Tribunale Costituzionale un ricorso di incostituzionalità che colpiva il testo
statutario catalano quasi nella sua totalità.
Il ricorso presenta una struttura piuttosto complessa e si propone in prima
istanza di esaminare il sistema delle fonti spagnolo e il ruolo che gli Statuti di
Autonomia rivestono al suo interno, per poi analizzare lo Statuto della Catalogna e
individuare i limiti, le violazioni della disciplina costituzionale e le illegittime
attribuzioni di competenza che questo presenta.
In primo luogo, come accennato sopra, viene richiamato il sistema delle fonti
e, con esso, il complesso compito di individuare e disciplinare gli ambiti di
107
V. supra, paragrafo 3.
influenza e i poteri dello Stato centrale e delle Comunità Autonome. Viene a tal fine
richiamato il principio di competenza, il ruolo essenziale che esso svolge nelle
relazioni fra gli enti territoriali e fra le disposizioni di legge da essi emanate e si
afferma altresì che, a giudizio del ricorrente, lo Statuto della Catalogna ha violato
detto principio assumendo poteri in materie che esulano dalle proprie competenze.
Il PP ricorda altresì le principali disposizioni costituzionali che disciplinano il
contenuto dei testi statutari, ovvero gli articoli 147 CE (in cui è indicata la natura
degli Statuti, il contenuto minimo che devono presentare e l’obbligo di riformarli
attraverso Legge Organica), 148.2 CE (che ricorda il dovere delle norme statutarie
di non assumere competenze in materie di spettanza statale) e 149 CE (che indica
quali competenze spettano in via esclusiva allo Stato e quali di conseguenza
possono essere assunte dalle Comunità Autonome in via residuale). Analizzando
l’art. 147.2 viene poi affermato che la norma introduce una “riserva di Statuto”
relativa; infatti in essa si indica il contenuto minimo che il testo statutario deve
presentare, senza però escludere che esso disciplini altre materie di cui non si fa
menzione nell’articolo in esame e anzi rendendo lecita l’assunzione di poteri che
come tali rientrano anche nella sfera di attribuzioni dello Stato, prevedendo così che
siano assunte competenze condivise108.
Analizzando il testo statutario catalano, il documento depositato dal PP presso il
Tribunale Costituzionale depreca in primo luogo la scelta di inserire in uno Statuto
di Autonomia un Titolo che disciplini diritti, doveri e principi fondamentali, ma
ancora di più critica la struttura del titolo stesso che a giudizio del partito modifica
la struttura data dalla Costituzione in tale frangente. Nello specifico si afferma che
la carta costituzione ha suddiviso i diritti in essa riconosciuti in più tipologie,
assegnando a ciascuna un’apposita disciplina: così si richiama la distinzione
esistente fra Diritti Fondamentali e Libertà Pubbliche (artt. 15-29 CE), Diritti e
Doveri dei Cittadini (artt. 30-38 CE), Principi Fondamentali della Politica sociale e
economica (artt. 39-54 CE) e le garanzie specifiche per la tutela di diritti e doveri
108
Fundamento Jurídico-constitucional I, paragrafo 1 e ss. del ricorso d’incostituzionalità sollevato
dal PP, pp. 11 e ss.
(artt. 53-55 CE), ricordando poi che l’art. 53.2 CE riconosce una precipua tutela ai
diritti contenuti nell’art. 14 e nella Sezione I, Capo II, del Titolo I CE, stabilendo
che per essi soltanto è concessa la possibilità di utilizzare il Recurso de Amparo
(cioè un ricorso diretto da parte del singolo cittadino che può rivolgersi senza
intermediari sia alla giustizia ordinaria che al Tribunale Costituzionale per ottenere
immediata tutela del diritto che si presume violato)109. Osservando la struttura del
Titolo I dello Statuto della Comunità Autonoma della Catalogna il PP sostiene che
essa è incostituzionale poiché non ricalca il modello dato dalla Carta fondamentale
né per quanto attiene suddivisione in sottogruppi di diritti e doveri (si richiama in tal
senso l’unione di diritti fondamentali e diritti sociali nel Capo I, la commistione di
diritti civili e diritti politici e la classificazione del diritto di lingua come diritto
fondamentale), né rispetto alla disciplina degli stessi (viene criticata l’introduzione
di uno strumento omologo al Recurso de Amparo, ovvero il ricorso diretto presso il
Tribunal Superior de Justicia de Cataluña, disponendo però che esso possa essere
attivato in caso di violazione di ogni diritto o libertà tutelato dal testo statutario). Il
Partido Popular quindi afferma che tale disciplina statutaria è incostituzionale sia
perché esula dalle competenze spettanti allo Statuto, sia perché disattendendo la
struttura data dalla Costituzione determina una manifesta violazione dell’art. 53
CE110.
Terminata la valutazione preliminare del Titolo I, viene fatta un’analisi più
puntuale dello stesso. In primo luogo si richiamano i diritti e i principi fondamentali
codificati nello Statuto che sono riconducibili alle disposizioni contenute nella
sezione I, Capo II del titolo I della CE (artt. 14-29), affermando che essi sono dotati
109
Così recita l’art. 53.2 CE: “Cualquier ciudadano podrá recabar la tutela de las libertades y
derechos reconocidos en el artículo 14 y la Sección 1ª. del Capítulo II ante los Tribunales
ordinarios por un procedimiento basado en los principios de preferencia y sumariedad y, en su
caso, a través del recurso de amparo ante el Tribunal Constitucional. Este último recurso será
aplicable a la objeción de conciencia reconocida en el artículo 30” (trad.: qualsiasi cittadino potrà
ricevere la tutela delle libertà e diritti riconosciuti nell’art. 14 e nella sezione 1ª, del Capo II davanti
ai Tribunali ordinari tramite un procedimento basato sui principi di preferenza e sommarietà e,
eventualmente, tramite il ricorso de amparo presso il Tribunale Costituzionale. Quest’ultimo
ricorso sarà applicabile anche all’obiezione di coscienza riconosciuta nell’art. 30).
110
Si veda il Fundamento Jurídico-constitucional I, paragrafo 3.2 del ricorso d’incostituzionalità
sollevato dal PP, pp. 20 e ss.
di una particolare forza che rende incostituzionale ogni disposizione - contenuta in
qualsiasi fonte normativa - che presenti un contenuto innovativo rispetto a quanto
disciplinato nella Carta Costituzionale. In particolare detta illegittimità è dovuta a
due fattori: da una parte rispetto a diritti e principi fondamentali esiste una riserva
costituzionale in base a cui essi possono essere disciplinati solo dalla Costituzione;
dall’altra parte nei casi in cui è previsto che essi ricevano una disciplina
complementare, l’art. 81.1 CE dispone che la regolamentazione sia contenuta in
Leggi Organiche (Leggi Organiche che per il PP sono di competenza
esclusivamente statale, giacché volte a introdurre disposizioni con valore coercitivo
per tutti i consociati) e non in Statuti di Autonomia111.
Vengono poi fatte alcune precisazioni in merito ai diritti economici e sociali e ai
relativi principi fondamentali. In prima istanza si afferma che possono essere
oggetto di regolamentazione statutaria, sempre che essi siano attinenti alle
competenze assunte dalle Comunità Autonome; in seconda battuta, però, si precisa
che la disciplina di diritti e principi afferenti agli ambiti socio-economici spetta
comunque allo Stato qualora siano riconducibili alle competenze esclusive di
quest’ultimo112. Viene altresì aggiunto che nei casi in cui uno Statuto di Autonomia
sia legittimato a legiferare su determinati diritti e libertà fondamentali, deve al
tempo stesso rispettare alcuni limiti immanenti alla disciplina, quali il principio di
uguaglianza (art. 14 CE) e i principi di unità del mercato e di libertà di concorrenza
111
Il PP pertanto sostiene che, sebbene gli Statuti di Autonomia siano effettivamente approvati con
Legge Organica (art. 147.3 CE), l’art. 81.1 CE implichi una distinzione fra diverse tipologie di
detta fonte normativa: occorre quindi distinguere fra le Leggi Organiche che, essendo elaborate e
approvate in sede esclusivamente statale e avendo una portata applicativa più ampia, sono le uniche
idonee a sviluppare il contenuto dei diritti fondamentali e delle libertà pubbliche (artt. 15-29 CE) e
quelle che, introducendo o modificando gli Statuti delle Comunità Autonome, devono limitarsi a
regolamentare gli aspetti che più specificamente afferiscono al territorio di riferimento. Si riporta di
seguito il testo dell’art. 81.1 CE: “son Leyes Orgánicas las relativas al desarrollo de los derechos
fundamentales y de las libertades públicas, las que aprueben los Estatutos de Autonomía y el
régimen electoral y las demás previstas en la Constitución” (trad.: sono Leggi Organiche quelle
relative allo sviluppo dei diritti fondamentali e delle libertà pubbliche, quelle che approvano gli
Statuti di Autonomia e la disciplina elettorale e tutte le altre previste nella Costituzione).
112
In tale contesto è fatto esplicito riferimento agli artt. 21 (diritto all’educazione) e 23 (diritto alla
salute) dello Statuto della Catalogna collegandoli agli artt. 27 (libertà di educazione), 43 (tutela
della salute) e 149.1.16 CE (competenza esclusiva dello Stato in materia sanitaria), a sostenere
l’illegittimità della regolamentazione degli stessi nel testo statutario catalano.
(139.2 CE). L’analisi viene conclusa sostenendo che, poiché in base all’art. 147.2
CE la regolamentazione di diritti e principi fondamentali non è un contenuto
necessario degli Statuti di Autonomia, questo è ammissibile solo qualora sia
legittimato da altri elementi, quali l’assunzione di competenze in materie a esso
connesse.
Il fundamento in esame si conclude con una valutazione generale su temi quali
l’assunzione di competenze da parte dello Statuto, le relazioni bilaterali StatoComunità Autonoma e il “mandato legislativo” che il testo statutario imporrebbe
allo Stato rispetto all’impegno di quest’ultimo di modificare alcune norme.
Il “Fundamento Jurídico-constitucional” successivo esamina in modo più
puntuale le singole disposizioni statutarie oggetto del ricorso di incostituzionalità.
Le prime norme analizzate sono il Preambolo e il Titolo Preliminare113.
Del Preambolo sono criticati espressamente due punti:
“El autogobierno de Cataluña se fundamenta en la Constitución, asì como en
los derechos históricos del pueblo catalán que, en el marco de aquella, dan origen
en este Estatuto al reconocimiento de una posición a la Generalitat”.114
“El Parlamento de Cataluña, recogiendo el sentimento y la voluntad de la
ciudadanía de Cataluña, ha definido de forma ampliamente mayoritaria a Cataluña
como nación. La Constitución Española, en su artículo segundo, reconoce la
realidad nacional de Cataluña como nacionalidad”115.
113
Fundamento Jurídico-constitucional II, parte “del preámbulo del Estatuto y preceptos que se
contretan en su título preliminar”, paragrafo 1, del ricorso d’incostituzionalità sollevato dal PP, pp.
35 e ss.
114
Trad.: l’autogoverno della Catalogna si basa sulla Costituzione, così come sui diritti storici del
popolo catalano che, nel quadro di quest’ultima, danno origine nell’ambito del presente Statuto al
riconoscimento di una posizione propria alla Generalitat.
115
Trad.: Il Parlamento della Catalogna, facendo proprio il sentimento e la volontà della
cittadinanza catalana, ha definito in modo ampiamente maggioritario la Catalogna come nazione.
La Costituzione spagnola, nel suo articolo due, riconosce la realtà nazionale della Catalogna quale
nazionalità.
Il primo punto problematico attiene all’espresso riferimento ai diritti storici. Si
sostiene che sia illegittimo ricondurre i poteri della Catalogna alla propria tradizione
storica piuttosto che allo Stato, o se non altro ponendo sullo stesso piano la
Costituzione - unica vera fonte del potere delle Comunità Autonome - e i diritti
storici. Come già richiamato in altre parti del presente capitolo, il PP ricorda che la
carta costituzionale attribuisce solo a Paesi Baschi e Navarra il diritto di costituire
un regime forale proprio (Prima Disposizione Addizionale), mentre alla Catalogna è
riconosciuto solo il diritto di costituire la propria Comunità Autonoma seguendo
una via semplificata (Seconda Disposizione Transitoria); per il ricorrente la
Comunità catalana è perfettamente consapevole di tale differenza giuridica, tanto da
cercare di aggirare detto limite richiamando nell’art. 5 proprio la Seconda
Disposizione Transitoria quale fonte per l’acquisizione di nuove competenze, alla
luce del riconoscimento che essa dà alla Comunità storica catalana116.
Seguendo il medesimo ragionamento si rinvia quindi alla giurisprudenza del
Tribunale Costituzionale nella quale si afferma che la storia di un determinato
territorio può essere dedotta per introdurre una peculiare disciplina all’interno del
corrispondente Statuto, ma non per assumere un titolo autonomo di competenze117.
116
“El Estatuto es perfectamente consciente de las diferencias que en este punto, lo separan de la
Comunidad vasca, al no poder invocar la Disposición Adicional Primera. Para paliar el defecto se
menciona en el artículo 5 de la Norma que impugnamos, la Disposición Transitoria Segunda como
fundamento constitucional de la actualización de los derechos históricos. Pero no cabe duda de la
incorrección de dicha remisión, ya que la aludida disposición transitoria para nada se refiere a
derechos históricos de carácter sustantivo, sino que teniendo en cuenta que Cataluña, como otras
regiones, plebiscitó en el pasado un Estatuto de Autonomía, se limita a dispensar del cumplimiento
de determinados requisitos generales del procedimiento para la elaboración y aprobación del
nuevo Estatuto acogido a la Constitución de 1978” (trad.: lo Statuto è perfettamente consapevole
delle differenze che su questo punto lo distinguono dalla Comunità Autonoma basca rispetto
all’impossibilità di dedurre la Prima Disposizione Addizionale. Per sopperire a tale limite nell’art.
5 dello Statuto che impugnamo si menziona la Seconda Disposizione Transitoria quale fonte
costituzionale per l’attualizzazione dei diritti storici. Tuttavia è indubbia l’erroneità di tale rinvio,
poiché la citata disposizione transitoria non si riferisce minimamente ai diritti storici sostanziali,
bensì riconoscendo che la Catalogna, come altre regioni, approvò nel passato uno Statuto di
Autonomia si limita a dispensarla dall’adempimento di alcuni requisiti generali per l’elaborazione e
l’approvazione del nuovo Statuto come disciplinato dalla Costituzione del 1978). Fundamento
Jurídico-constitucional II, parte “del preámbulo del Estatuto y preceptos que se contretan en su
título preliminar”, paragrafo 1, del ricorso d’incostituzionalità sollevato dal PP, p. 38.
117
Si richiamano, fra le altre, le STC 123/1984 e STC 76/1988.
Il secondo tema oggetto delle critiche di illegittimità sollevate dal PP verte sulla
definizione della Catalogna come Nazione. Il ricorrente sostiene che il termine in
esame presenta sempre un’accezione di sovranità che lo rende pertanto
riconducibile solo allo Stato spagnolo, ritenendo che si possa trovare conferma di
ciò anche nei lavori preparatori della Costituzione del 1978 e nell’art. 2 CE in cui si
fa riferimento alle Comunità Autonome come regioni e nazionalità, riservando
espressamente allo Stato l’uso della definizione “Nación Española”. Vengono
altresì richiamate alcune sentenze del Tribunale Costituzionale e in particolare la
famosa STC 4/1981 nella quale si afferma che “autonomía no es soberanía” e “la
Constitución contempla que el Estado quede colocado en una posición de
superioridad, como una consecuencia del principio de unidad y de la supremacía
del interes de la nación”118: in sintesi si sostiene che il concetto di Nazione - e di
conseguenza quello di sovranità- presuppongono la superiorità dello Stato e che
pertanto solo a esso può essere ricondotto.
La critica mossa dal PP prosegue facendo perno sulla mancanza di
legittimazione da parte del Parlamento catalano per definire nazione la relativa
Comunità Autonoma. Nel ricorso, infatti, si sostiene che detta istituzione non possa
imporre allo Stato siffatta definizione e che la Catalogna abbia la facoltà di
esprimersi liberamente solo entro i limiti dati dall’esercizio delle competenze ad
essa attribuite; competenze nelle quali non rientra l’assunzione della qualifica di
nazione e l’implicita acquisizione della sovranità. In realtà a quest’ultima
osservazione si potrebbe obiettare che la definizione data dal Parlamento catalano
assume più che altro i connotati di una dichiarazione politica, priva di valore
vincolante. Infatti non solo il Preambolo è privo di una vera e propria rilevanza
giuridica, servendo al massimo per fornire criteri ermeneutici per l’interpretazione
del testo statutario, ma al suo interno si afferma che la Comunità catalana viene
definita nazione dalla popolazione locale e che il Parlamento non ha fatto altro che
118
Trad.: autonomia non significa sovranità […]. La Costituzione prevede che lo Stato resti in una
posizione di superiorità, come conseguenza del principio di unità e della supremazia dell’interesse
della nazione. STC 4/1981 del 2 febbraio, FJ 3.
prendere atto a livello istituzionale di detta opinione; non va poi dimenticato che
viene altresì fatto un esplicito riferimento all’art. 2 CE che “reconoce la realidad
nacional de Cataluña como nacionalidad” e non come nazione.
Conclusa l’analisi del Preambolo, il ricorso passa a esaminare le disposizioni
del Titolo Preliminare (artt. 1-14 Statuto Cat.) che sono ritenute incostituzionali,
arrivando a toccare gli articoli 2.4, 3.1, 5, 6 (commi 1-3 e 5), 7, 8 e 11.2119.
La prima disposizione ad essere ritenuta illegittima è l’art. 2.4 nella parte in cui
afferma che “los poderes de la Generalitat emanan del pueblo de Cataluña”: come
già osservato in occasione dell’analisi del Preambolo, anche in questo caso di
afferma che è incostituzionale affermare che i poteri della Comunità Autonoma
derivano dal popolo di quest’ultima sia poiché l’unica fonte dei poteri istituzionali è
la Costituzione, sia perché titolare della sovranità è il popolo spagnolo, che
rappresenta la nazione nel suo complesso.
A seguire viene considerato l’art. 3.1 che introduce il principio di bilateralità
quale criterio per le relazioni fra Stato e Catalogna120. Detto principio è ritenuto
illegittimo poiché pone sullo stesso piano la Comunità Autonoma e lo Stato,
sovvertendo - a giudizio del ricorrente - la gerarchia introdotta dal regime giuridico
costituzionale che vede l’ente territoriale statale in posizione apicale rispetto ai
territori che lo compongono: il principio di bilateralità sarebbe compatibile con uno
Stato federale (in cui gli Stati membri si trovano in una posizione di parità con lo
Stato centrale), ma non con uno Stato a vocazione fortemente unitaria, sebbene
decentrata, come quello Spagnolo.
Il ricorso esamina quindi l’art. 5 che, come si è avuto modo di analizzare nel
corso di questo capitolo, è stato oggetto di grande dibattito fin dalla sua
119
Fundamento Jurídico-constitucional II, parte “del preámbulo del Estatuto y preceptos que se
contretan en su título preliminar”, paragrafo 2, del ricorso d’incostituzionalità sollevato dal PP, p.
44 e ss.
120
Art. 3.1 Statuto Cat.: “las relaciones de la Generalitat con el Estado se fundamentan en el
principio de la lealtad institucional mutua y se rigen por el principio general según el cual la
Generalitat es Estado, por el principio de autonomía, por el de la bilateralidad y también por el de
la multilateralidad” (trad.: le relazioni della Generalitat con lo Stato si fondano sul principio di
lealtà istituzionale reciproca, e si basano sul principio generale secondo il quale la Generalitat è
Stato, nonché sui principi di autonomia, di bilateralità e anche su quello di multilateralità.)
elaborazione presso il Parlament catalano121. Ancora una volta, come già osservato
per il Preambolo, si ricorda che le istituzioni catalane così come i poteri da esse
esercitati derivano solo ed esclusivamente dalla Costituzione e non da diritti storici
o dalle tradizioni locali. Conferma ne è che le uniche competenze che possono
essere assunte dalla Comunità Autonoma della Catalogna sono quelle previste alla
luce dell’art. 149.3 CE.
L’analisi prosegue considerando quattro commi su cinque dell’art. 6, la cui
rubrica recita “la lengua propia y las lenguas oficiales”122. Tale disposizione è
oggetto di una valutazione complessa che si articola su dottrina e sentenze del
Tribunale Costituzionale per cercare di dipanare il problema della divisione delle
competenze e del riconoscimento dei diritti in materia linguistica. La norma in
esame disciplina l’uso del catalano nella Comunità Autonoma dichiarandolo lingua
non solo ufficiale, ma anche di uso normale e preferenziale presso gli enti
amministrativi e i media catalani, nonché idioma veicolare utilizzato per
l’insegnamento (art. 6, c.1 Statuto Cat.). Al comma successivo si ricorda che il
catalano è lingua ufficiale accanto allo spagnolo e vengono altresì introdotti da una
parte il diritto dei consociati di utilizzare l’uno o l’altro, dall’altra parte il dovere dei
cittadini della Comunità Autonoma di conoscere e usare il catalano, vietando ogni
forma di discriminazione su base linguistica. Nel terzo comma, con una
disposizione programmatica, si introduce l’onere a carico delle istituzioni locali e
121
Art. 5 Statuto Cat. : “El autogobierno de Cataluña se fundamenta también en los derechos
históricos del pueblo catalán, en sus instituciones seculares y en la tradición juridica catalana que
el presente Estatuto incorpora y actualiza al amparo del artículo 2, la disposición transitoria
segunda y otros preceptos de la Constitución, de los que deriva el reconocimiento de una posición
singular de la Generalitat en relación con el derecho civil, la lengua, la cultura, la proyección de
éstas en el ámbito educativo, y el sistema institucional en que se organiza la Generalitat” (trad.:
l’autogoverno della Catalogna si fonda anche sui diritti storici del popolo catalano, sulle sue
istituzioni secolari e sulla sua tradizione giuridica che il presente Statuto incorpora e attualizza
conformemente all’articolo 2, alla Seconda Disposizione Transitoria e ad altre norme della
Costituzione, dalle quali deriva il riconoscimento di una posizione peculiare della Generalitat
rispetto al diritto civile, alla lingua, alla cultura, alla proiezione di queste in ambito educativo e al
sistema istituzionale in cui si organizza la Generalitat stessa).
122
Trad.: la lingua propria e le lingue ufficiali.
statali di intraprendere le azioni necessarie per fare sì che la lingua catalana ottenga
esplicito riconoscimento sia in sede comunitaria che internazionale.
Il PP in primo luogo analizza l’art. 3 CE che individua il castigliano come
lingua ufficiale, ammette il riconoscimento di altri idiomi qualora ciò sia disposto
nei relativi Statuti di Autonomia e tutela il patrimonio linguistico spagnolo123. Il
partito rileva però che non è chiaro il regime di competenze che contrappone Stato e
Comunità Autonome nella disciplina della materia in esame. Nel ricorso si cerca di
individuare per via interpretativa i limiti costituzionali che andrebbero rispettati in
tale frangente e il primo a essere identificato attiene all’assenza di una competenza
esclusiva dello Stato per l’introduzione di una regolamentazione generica dei regimi
linguistici locali: esso quindi non può individuare le linee guida all’interno delle
quali le singole Comunità Autonome devono muoversi nel disciplinare la normativa
riguardante l’idioma locale124.
Si sostiene poi che le Comunità Autonome siano titolari delle competenze per
legiferare in termini generali sulla materia linguistica, ma che non possano né
individuare regole che vincolino le amministrazioni locali e gli organi statali aventi
sede nelle regioni, né imporre l’uso di una qualsiasi lingua125: così facendo
risulterebbe illegittima la parte dell’art. 6 dello Statuto in cui si impone il dovere di
conoscere il catalano e lo individua come idioma di uso preferenziale presso
amministrazioni e media locali. Si aggiunge però che sempre il Tribunale
123
Art. 3 CE: “El castellano es la lengua española oficial del Estado. Todos los españoles tienen el
deber de conocerla y el derecho a usarla. Las demás lenguas españolas serán también oficiales en
las respectivas Comunidades Autónomas de acuerdo con sus Estatutos. La riqueza de las distintas
modalidades lingüísticas de España es un patrimonio cultural que será objeto de especial respeto y
protección” (trad.: Il castigliano è la lingua spagnola ufficiale di Stato. Tutti gli spagnoli hanno il
dovere di conoscerla e il dovere di usarla. Le restanti lingue spagnole saranno ufficiali nelle
rispettive Comunità Autonome d’accordo con i propri Statuti. La ricchezza delle diverse tipologie
linguistiche della Spagna è un patrimonio culturale che sarà oggetto di speciale rispetto e
protezione).
124
Si sostiene che non sia possibile ricavare siffatta competenza esclusiva dall’art. 149.1.1 CE (che
attiene al dovere dello Stato di individuare le disposizioni generali necessarie per garantire
l’uguaglianza dei cittadini spagnoli nell’esercizio dei diritti e doveri costituzionali), come
affermano le STC 82 e 83 del 1986.
125
Si rinvia alla seguente giurisprudenza costituzionale: STC 82/1986 (di particolare importanza),
STC 123/1988, STC 56/1990 e STC 87/1997.
Costituzionale aveva altresì dichiarato che la conoscenza della lingua coufficiale di
una regione può costituire un requisito per la selezione dei funzionari pubblici
locali126.
La legittimità o meno di disposizioni che impongano la conoscenza e l’uso
dell’idioma coufficiale di una Comunità Autonoma è però tutt’altro che pacifica. In
proposito il ricorrente richiama sia i lavori preparatori che hanno condotto
all’elaborazione dell’art. 3.1 CE (alla luce dei quali, a suo giudizio, si sarebbe
scientemente voluto evitare di introdurre l’obbligo di conoscenza di altre lingue
oltre allo spagnolo), sia alcune sentenze del Tribunale Costituzionale in cui viene
riconosciuta la legittimità di leggi della Comunità catalana che impongono la
conoscenza e l’uso della lingua locale nell’ambito dell’insegnamento obbligatorio.
Poco dopo, inoltre, è richiamato il dovere delle Comunità Autonome di promuovere
l’uso e la conoscenza della seconda lingua ufficiale e conseguentemente
coinvolgere le amministrazioni pubbliche in modo tale da tutelare i relativi diritti
della popolazione autoctona; detto dovere, ritenuto legittimo, viene contrapposto
all’obbligo - considerato incostituzionale - di imporre l’uso dell’idioma locale fra i
privati cittadini.
Insomma, dalla ricostruzione fatta dal PP emerge quanto la materia linguistica
sia complessa e quanto la relativa disciplina sia nebulosa e fors’anche
contraddittoria, tanto da rendere necessario un intervento chiarificatore da parte del
Tribunale Costituzionale in modo da individuare con maggior chiarezza l’ambito di
competenze che hanno Stato e Comunità Autonoma. L’unico dato che emerge con
certezza è la necessità di trovare un equilibrio fra la tutela dei diritti dei privati di
usare la propria lingua, il dovere di promuoverla, l’obbligo della Pubblica
Amministrazione di conoscerle entrambe, la necessità di non introdurre alcun
fattore di disuguaglianza o possibile discriminazione linguistica fra i cittadini e il
126
STC 82 e 83/1986.
dovere di riconoscere anche a livello locale il castigliano come lingua nazionale,
comune a tutti gli spagnoli, con i diritti e doveri che ciò comporta127.
Gli ultimi articoli del Titolo Preliminare oggetto del ricorso di incostituzionalità
del PP sono il settimo e l’ottavo. L’art. 7 è ritenuto illegittimo poiché richiama la
“condición política de catalanes o ciudadanos de Cataluña”, riprendendo quindi la
critica già sollevata sul tema della “cittadinanza catalana” in occasione dell’esame
del Preambolo. Il sindacato sull’art. 8 invece attiene all’uso del termine “símbulos
nacionales” riferito all’emblema, alla festa e all’inno della Comunità Autonoma:
analogamente a quanto già emerso in merito all’analisi del Preambolo, si sostiene
l’illegittimità dell’uso della parola “nazionale” riferita non allo Stato, ma alla
Catalogna, allegando poi che l’art. 4.2 CE permette che le regioni abbiano bandiere
e insegne proprie, ma non parla di “simboli della nazione”, fatta esclusione per
quelli spagnoli. Infine, viene sindacata la legittimità dell’art.11 dello Statuto che
riconosce e include il territorio della Vall d’Arán nella Catalogna, ma in tale
contesto non pare opportuno concentrarsi su tale disposizione128.
Veniamo quindi al ricorso di incostituzionalità proposto contro il Titolo I
rubricato “derechos, deberes y princípios rectores” (artt. 15-54 Statuto Cat.)129.
In primo luogo viene stilato un elenco degli articoli dello Statuto catalano che il
PP ritiene essere manifestamente contrari alla carta fondamentale poiché volti a
sviluppare illegittimamente i diritti fondamentali e le libertà pubbliche garantiti
dalla Costituzione130. Detto elenco comprende in primo luogo l’art. 15 (Diritto delle
127
“El uso monopolístico o exclusivístico de un idioma en un territorio determinado es contrario al
derecho a utilizar el castellano” (trad.: l’uso monopolistico o esclusivo di una lingua in un
determinato territorio va contro al diritto di usare il castigliano). Fundamento Jurídicoconstitucional II, parte “del preámbulo del Estatuto y preceptos que se contretan en su título
preliminar”, paragrafo 2, del ricorso d’incostituzionalità sollevato dal PP, p. 51.
128
Fundamento Jurídico-constitucional II, parte “del preámbulo del Estatuto y preceptos que se
contretan en su título preliminar”, paragrafo 2, del ricorso d’incostituzionalità sollevato dal PP, pp.
52 e ss.
129
Fundamento Jurídico-constitucional II, parte “del Título I - derechos, deberes y principios
rectores: inconstitucionalidad de diferentes preceptos”, paragrafo 2, del ricorso d’incostituzionalità
sollevato dal PP, pp. 53 e ss.
130
Si rinvia alla parte iniziale del presente paragrafo in cui è stata espressa l’opinione del PP in
merito alla competenza esclusiva dello Stato - che deve esprimersi tramite Leggi Organiche - per
sviluppare il contenuto delle disposizioni concernenti diritti fondamentali e libertà pubbliche. Si
Persone) che si ritiene essere illegittimo poiché riconduce la titolarità di particolari
diritti e doveri ai soggetti aventi cittadinanza catalana, contrastando con l’art. 11 CE
che parla di nazionalità spagnola, senza però fare riferimento alcuno a una specifica
cittadinanza legata alla Comunità Autonoma in cui si risiede. Vengono poi
richiamati l’art. 20 dello Statuto (Diritto a vivere con dignità la fase della morte)131 che è giudicato incostituzionale poiché sviluppa l’art. 15 CE (Diritto alla vita) - e i
primi due commi dell’art. 21 (Diritti e doveri in ambito educativo) che si ritengono
essere illegittimi rispetto all’art. 27 CE (Libertà di insegnamento).
L’elenco prosegue indicando gli articoli 37 e 38 del testo statutario catalano che
rientrano nel Capo IV del Titolo I, rubricato “Garantías de los Derechos
estaututarios”132. Le illegittimità opposte dal ricorrente attengono tre punti: in
primo luogo si critica il secondo capoverso dell’art. 37.1 in base a cui “los derechos
reconocidos en los artículos 32 y 33 vinculan también a la Administración General
del Estado en Cataluña”133, sostenendo che non sia costituzionalmente ammissibile
prevedere che i suddetti articoli (che attengono al dovere di conoscere e utilizzare il
catalano) siano vincolanti anche per l’Amministrazione Pubblica Statale134. In
secondo luogo, riproponendo un discorso già affrontato nella parte introduttiva del
ricorso stesso, si afferma che sia incostituzionale l’art. 38.1 che prevede
l’introduzione del Consejo de Garantías Estatutarias (a sua volta disciplinato negli
artt. 76 e ss. del testo statutario) nella parte in cui si dispone che detto organo sia
competente per emettere pareri in merito alla conformità allo Statuto di Autonomia
veda inoltre Fundamento Jurídico-constitucional II, parte “del Título I - derechos, deberes y
principios rectores: inconstitucionalidad de diferentes preceptos”, paragrafo 2.1, del ricorso
d’incostituzionalità sollevato dal PP, pp. 53 e ss.
131
L’art. 20 Statuto Cat. sancisce il diritto a essere assistiti con adeguate “terapie del dolore” per
poter affrontare nel modo più degno possibile la fase finale della vita e prevede altresì la possibilità
di stilare il così detto “testamento biologico” (ovvero di lasciare indicazioni, che andranno seguite
in particolar modo quando il paziente non sia più in grado di intendere e di volere, circa le terapie
che si desiderano o si rifiutano).
132
Trad.: Garanzie dei diritti statutari.
133
Trad.: i diritti riconosciuti negli articoli 32 e 33 vincolano anche l’Amministrazione Pubblica
dello Stato avente sede in Catalogna.
134
Per un’analisi più precisa degli artt. 32 e 33 Statuto Cat. e delle critiche che a essi muove il PP si
veda oltre.
di Catalogna e alla Costituzione delle proposte di Leggi, Decreti Legge e Decreti
Legislativi (art. 76.2 lettere b) e c) ). La disposizione in esame è oggetto delle
critiche del PP poiché si sostiene che l’introduzione di siffatto organo alteri l’assetto
del sistema di garanzie costituzionali previsto dalla Carta Fondamentale. Infine, si
sostiene l’illegittimità del ricorso diretto al Tribunal Superior de Justicia de
Cataluña per ottenere tutela in caso di violazione dei diritti riconosciuti nei Capi I, II
e III del Titolo I. In questo caso la critica si fonda su due motivi: da una parte si
sostiene che detta previsione confligga con la competenza dello Stato di disciplinare
il settore giudiziario, da un’altra parte si afferma che anche in questo caso viene
alterato l’assetto previsto dalla Costituzione per la tutela dei diritti giacché il ricorso
diretto al Tribunale sopra citato presenta struttura analoga al recurso de amparo
(art.53.2 CE), ma ha un ambito di applicazione molto più vasto rispetto a
quest’ultimo che, lo ricordiamo, è opponibile solo qualora siano violati gli artt. 1429 CE135.
Oggetto di critica da parte del PP sono anche i precetti dello Statuto catalano
che il Partito riconduce agli artt. 39-54 CE e che classifica come “derechos de
carácter económico y social y principios rectores”136. Rispetto a dette disposizioni
il ricorrente afferma che il testo statutario in esame è illegittimo non tanto per
l’espressa individuazione dei principi fondamentali su cui la Comunità Autonoma fa
perno, bensì nella parte in cui non specifica quale sia il soggetto competente per
sviluppare detti principi: il PP sostiene che tale competenza spetta allo Stato mentre
lo Statuto in esame la attribuisce implicitamente alla Catalogna riconoscendo quindi
alla Comunità sia il potere di approfondire quanto espresso nelle disposizioni
programmatiche in esame, sia di prescindere dalla legislazione nazionale che verte
sui medesimi aspetti, violando così la Costituzione137.
135
Fundamento Jurídico-constitucional II, parte “del Título I - derechos, deberes y principios
rectores: inconstitucionalidad de diferentes preceptos”, paragrafo 4, del ricorso d’incostituzionalità
sollevato dal PP, pp. 58 e ss.
136
Trad.: diritti a carattere economico e sociale e principi fondamentali.
137
Fundamento Jurídico-constitucional II, parte “del Título I - derechos, deberes y principios
rectores: inconstitucionalidad de diferentes preceptos”, paragrafo 2, del ricorso d’incostituzionalità
sollevato dal PP, pp. 54 e ss. Così si afferma nel ricorso: “Los preceptos de referencia no excluyen
L’ultimo tema disciplinato nel Titolo I che viene esaminato dal ricorso concerne
“derechos y deberes lingüisticos”138 (artt. 32-36 Statuto Cat.), richiamando al tempo
stesso quanto già anticipato relativamente all’art. 6 del Titolo Preliminare. Il primo
articolo esaminato (art. 32 Statuto Cat. “derechos y deberes de conocimiento y uso
de las lenguas”139) non presunta a giudizio del ricorrente alcun vizio, mentre la
disposizione successiva è oggetto di un’analisi complessa e dettagliata. Il comma 1
dell’art. 33 è ritenuto illegittimo per il riferimento al concetto di “cittadinanza
catalana”, di cui si è già avuto modo di parlare; il comma successivo riconosce il
diritto dei privati di scegliere quale lingua utilizzare in caso di contatto con Pubblici
Ministeri, Amministrazione della Giustizia, notai o registri pubblici, ma così
facendo si determina una violazione della carta costituzionale giacché competente
per regolamentare i settori appena richiamati è il legislatore statale140. Anche il terzo
comma è giudicato illegittimo per le ragioni già richiamate per quello precedente,
aggiungendo qui che il riferimento alla generica espressione “en la forma
establecida en las leyes”141 non è sufficiente per sanare i vizi della disposizione in
esame. Il PP afferma altresì l’incostituzionalità del quarto comma dell’art. 33
sostenendo l’esistenza di un vizio di eccesso di competenza dato dal dovere dei
funzionari dell’Amministrazione Pubblica di Stato di conoscere il catalano. Infine il
ricorrente sostiene l’incostituzionalità anche del quinto e ultimo comma della norma
in esame, in base a cui si sancisce il diritto della popolazione catalana di scegliere
con quale idioma comunicare per iscritto con gli organi giurisdizionali statali o con
quelli costituzionali; quindi la disposizione in esame, specularmente alla tutela del
que las decisiones legislativas se produzcan en el orden indicado, pero incurren en
inconstitucionalidad en la medida en que pretendan que sus contenidos regulatorios vinculen a
todos los legislatores” (trad.: i precetti a cui si fa riferimento non escludono che si assumano
decisioni legislative secondo il modello indicato, tuttavia incorrono in incostituzionalità nella
misura in cui pretendono che le disposizioni che li regolamentano vincolino tutti i legislatori).
Ricorso di incostituzionalità, p. 54.
138
Trad.: diritti e doveri linguistici. Fundamento Jurídico-constitucional II, parte “del Título I derechos, deberes y principios rectores: inconstitucionalidad de diferentes preceptos”, paragrafo 3,
del ricorso d’incostituzionalità sollevato dal PP, pp. 56 e ss.
139
Trad.: diritti e doveri di conoscimento e uso delle lingue.
140
Per suffragare detta opinione si rinvia alla STC n. 87/1997, del 24 aprile.
141
Trad.: nel modo dettato dalla legge.
suddetto diritto, imporrebbe a degli organi di tipo statale (come il Tribunale
Costituzionale o la Corte Suprema di Giustizia) la conoscenza del catalano e
riconoscerebbe altresì la piena efficacia giuridica ai documenti presentati in tale
lingua. Il PP sostiene che detta disposizione sia incompatibile con la costituzione
alla luce di quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale (STC n. 935/1987
del 21 luglio e STC 374/1988 del 24 marzo), nonché a causa dell’illegittimo
riferimento alla nozione di “cittadinanza catalana”.
Il ricorso analizza quindi l’art. 34 dello Statuto catalano che anche in questo
caso è ritenuto incostituzionale: facendo nuovamente riferimento a quanto già
affermato in merito all’art. 6 del medesimo testo, si sostiene che non sia
ammissibile una norma che pone in capo ai cittadini privati il dovere di conoscere e
usare il catalano poiché contrasterebbe con il diritto di utilizzare liberamente lo
spagnolo142.
La disposizione successiva rubricata “derechos lingüisticos en el ámbito de la
enseñanza”143 afferma il diritto a ricevere l’educazione in catalano. Tuttavia il
ricorrente, che impugna i primi due commi del presente articolo, sostiene che detta
norma è illegittima nella parte in cui non prevede un analogo diritto a essere educati
in castigliano e inoltre che contrasta con il diritto costituzionalmente garantito di
utilizzare lo spagnolo (art. 3.1 CE). Si afferma altresì che il Tribunale
Costituzionale ha stabilito che è impossibile individuare la lingua veicolare da
utilizzare per l’insegnamento, così da rendere illegittimo ogni imposizione di un
unico idioma in ambito educativo. A completare i motivi di impugnazione
dell’articolo, il PP sostiene che sono violati anche gli artt. 9, 14 e 139.1 CE e i
principi di uguaglianza e proporzionalità in essi sanciti.
Infine, è affermata l’incostituzionalità dell’art. 36 dello Statuto, relativo alla
tutela dell’idioma parlato nella Vall D’Arán, sia perché impone la conoscenza di
142
Nello specifico l’art. 34 Statuto Cat. impone a chi lavora a contatto con il pubblico di conoscere
e di utilizzare il catalano qualora richiesto dai soggetti con cui entra in contatto.
143
Trad.: diritti linguistici in ambito educativo.
tale lingua all’Amministrazione Pubblica statale - oltre a quella catalana -, sia
perché fa riferimento al concetto di “cittadinanza aranese”.
Il ricorso depositato dal Partido Popular - in merito al quale il Tribunale
Costituzionale non si è ancora pronunciato - analizza in modo puntuale l’intero testo
statutario catalano e impugna molte delle norme in esso contenute. In questa sede si
è ancora una volta ritenuto opportuno concentrare l’attenzione sulle disposizioni di
Preambolo, Titolo Preliminare e Titolo I che rappresentano forse la parte più
innovativa dello Statuto della Catalogna. Come si può evincere da quanto fino ad
ora considerato, le critiche del PP si concentrano soprattutto sull’utilizzo dei diritti
storici quali titolo per assumere nuove competenze, sulla critica ai concetti di
“nazione” e “cittadinanza” catalane, sullo status in qualche modo privilegiato
riconosciuto alla lingua catalana. Molto rilevante è anche l’ipotesi avanzata dal PP
in merito alla modifica del sistema delle tutele costituzionali determinata sia
dall’individuazione di nuovi organi e ricorsi per la garanzia dei diritti (si pensi al
Consejo de Garantías Estatutarias e al ricorso diretto presso il Tribunal Superior de
Justicia de Cataluña), sia dalla struttura del Titolo I che, a giudizio del ricorrente,
non tiene conto della disciplina data dalla Costituzione.
Va altresì ricordato che, sebbene il ricorso avanzato dal PP sia senza dubbio
quello più complesso e articolato, altri ricorsi di incostituzionalità sono stati
depositati il 20 ottobre 2006 dal Difensor del Pueblo e da cinque Comunità
Autonome: La Rioja, Murcia, Comunità Valenziana, Aragón, Isole Baleari.
Infine, considerando quanto sostenuto dal Consell Consultiu nel dictamen che si
è già avuto modo di esaminare144, è possibile osservare che molte delle disposizioni
dello
Statuto
catalano
impugnate
dal
PP
sono
invece
state
giudicate
costituzionalmente legittime dal citato organo consultivo145: questo a dimostrazione
di quanto sia complessa la valutazione che il Tribunale Costituzionale è chiamato a
svolgere sul testo statutario e di quanto essa sia attesa per la straordinaria rilevanza
144
V. supra, capitolo II, paragrafo 3.3.
Si pensi anche solo all’uso del termine “nazione” che il Consell Consultiu reputa legittimo sia
perché giudicato dai costituenti sinonimo di “nazionalità” (usato nell’articolo 2 CE), sia perché - a
suo giudizio - non attribuisce alla Catalogna alcun tipo di sovranità.
145
che assumerà non solo nei confronti della Catalogna, ma anche di quelle Comunità
Autonome che, come si avrà modo di osservare più avanti, ne hanno preso a
modello lo Statuto catalano per elaborare i propri.
Prescindendo da una valutazione sulla legittimità o meno del testo in esame, si
potrebbe osservare che, sebbene lo Statuto catalano presenti una struttura
particolarmente interessante e innovativa nella parte in cui introduce diritti, doveri e
principi fondamentali a cui devono conformarsi i cittadini e le istituzioni catalane,
in alcuni punti il medesimo testo appare invece ridondante. Infatti, se da una parte
appare apprezzabile che lo Statuto sviluppi le tutele garantite dalla Costituzione
ricavando una protezione specifica rispetto ad alcuni soggetti o ad aree di rilevanza
sociale146, dall’altra pare introduce alcune disposizioni che risultano superflue
perché sostanzialmente identiche a quanto già disposto dalla carta costituzionale. Si
consideri per esempio l’art. 15.2 dello Statuto che dispone che
“Todas la personas tienen derecho a vivir con dignidad, seguridad y
autonomía, libres de explotación, de malos tratos y de todo tipo de discriminación,
y tienen derecho al libre desarrollo de su personalidad y capacidad personal147”
senza però aggiungere nulla che non si possa ricavare dagli articoli 10.1 e 14
CE secondo cui:
“la dignidad de la persona, los derechos inviolables que le son inherentes, el
libre desarrollo de la personalidad, el respeto a la ley y a los derechos de los
demás son fondamento del orden político y de la paz social” 148 e
146
Si pensi ai diritti dei minorenni (art. 17 Statuto Cat.) e degli anziani (art. 18 Statuto Cat.), ai
diritti nell’ambito dei servizi sociali (art. 24 Statuto Cat.) e a diritti e doveri relativi all’ambiente
(art. 27 Statuto Cat.).
147
Trad.: tutte le persone hanno diritto di vivere con dignità, sicurezza e autonomia, senza essere
sfruttate, soggette a violenza e a una qualsiasi forma di discriminazione, e hanno diritto a
sviluppare liberamente la propria personalità e le proprie capacità personali.
148
Trad.: la dignità della persona, i diritti inviolabili che le sono propri, i libero sviluppo della
personalità della persona, il rispetto della legge e dei diritti altrui sono il fondamento dell’ordine
pubblico e della pace sociale.
“los españoles son iguales antes de la ley, sin que pueda prevalecer
discriminación alguna por razón de nacimiento, raza, sexo, religión, opinión o
cualquier otra condición o circunstancia presonal o social”149.
Un esempio analogo può riguardare l’articolo 19 dello Statuto catalano che
tutela il diritto delle donne a vivere con dignità, a sviluppare liberamente la propria
personalità, a non essere discriminate o maltrattate e a godere di pari opportunità
rispetto agli uomini. Anche in questo caso, però, non si aggiunge nulla di nuovo
rispetto a quanto dettato dalla Costituzione nel già citato articolo 14 che sancisce
l’uguaglianza fra uomo e donna e - ovviamente - tutela in ugual misura la dignità, la
libertà di espressione e partecipazione degli appartenenti a entrambi i sessi.
Insomma, la portata innovativa del Titolo I dello Statuto della Catalogna non va
certo ignorata e anzi va valutata positivamente. Tuttavia pare altresì opportuno
riscontrare la necessità di semplificare il medesimo testo in modo da eliminare tutte
le disposizioni superflue che non introducono alcuna novità nel sistema normativo
esistente, bensì si limitano a riproporre tutele già garantite dalla Costituzione.
149
Trad.: gli spagnoli sono uguali innanzi alla legge, senza che possa prevalere la discriminazione
in ragione di nascita, razza, sesso, religione, opinione o qualsiasi altra condizione o circostanza
personale o sociale.