Il processo di formazione del nuovo Statuto della Comunità
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Il processo di formazione del nuovo Statuto della Comunità
IL PROCESSO DI FORMAZIONE DEL NUOVO STATUTO DELLA COMUNITÀ AUTONOMA CATALOGNA 1. Il procedimento di elaborazione e riforma degli Statuti di Autonomia: le peculiarità del procedimento relativo alla Catalogna. Come osservato nel capitolo precedente gli Statuti di Autonomia costituiscono il principale testo normativo di riferimento per le Comunità Autonome spagnole, venendo definiti dalla Costituzione come “norma institucional básica” (art. 147.1 CE). Appare dunque opportuno analizzare brevemente i procedimenti previsti per approvare e modificare i testi statutari tenendo comunque sempre ben presente che essi, all’interno del sistema delle fonti, costituiscono Leggi Organiche. Si è già avuto modo di richiamare brevemente il procedimento di elaborazione degli Statuti di autonomia disciplinato dalla Costituzione del 19781. Come si è visto, la carta fondamentale ha individuato due vie alternative per l’istituzione delle Comunità Autonome e per la conseguente approvazione dei primi testi statutari dei neonati enti territoriali: una semplificata, che però avrebbe permesso alla regione interessata di acquisire un minor numero di competenze, disciplinata dall’art. 143 CE; e una più complessa che invece avrebbe reso possibile l’assunzione di maggiori poteri, disciplinata dall’art. 151 CE. Per quanto concerne l’istituzione delle Comunità seguendo la via ordinaria, la Costituzione prevede che l’iniziativa sia esercitata da ogni Diputación (oppure da un organo interinsulare), o da due terzi dei municipi presenti nel territorio interessato. Per l’approvazione del relativo Statuto è in primo luogo necessario che un’Assemblea, formata sia da membri del Parlamento che da rappresentanti degli organi istituzionali della regione coinvolta, elabori una proposta di testo statutario. Una volta raggiunto l’accordo sul contenuto del progetto, questo deve essere inviato 1 V. supra, capitolo I, paragrafo 1.3. alle Cortes Generales presso le quali il testo proseguirà il proprio iter legis seguendo il procedimento normalmente previsto per le Leggi Organiche. Diverso è il procedimento da adottare per istituire Comunità Autonome seguendo la via veloce disciplinata dall’art. 151 CE. In questo caso l’iniziativa è posta in capo ai tre quarti dei comuni afferenti a ogni provincia presente nella regione interessata e deve essere seguita dal consenso della maggioranza assoluta degli elettori del territorio coinvolto, chiamati ad esprimersi attraverso referendum. Per l’emanazione del relativo testo statutario occorre costituire un’Assemblea composta da Senatori e Deputati eletti nelle province interessate, che devono approvare il progetto di Statuto a maggioranza assoluta per poi inviarlo alla Commissione Costituzionale avente sede nel Congresso dei Deputati. Se la Commissione, affiancata da alcuni membri dell’Assemblea proponente, ritiene il testo costituzionalmente legittimo, esso viene sottoposto a referendum nella regione e, perché il Parlamento lo ratifichi, dovrà essere approvato dalla maggioranza assoluta della popolazione di ogni provincia. Qualora invece la Commissione Costituzionale non approvasse la proposta statutaria avanzata, questa dovrebbe essere inviata al Parlamento per seguire l’iter legis ordinario previsto per l’approvazione delle Leggi Organiche e in generale adottato dalla Comunità Autonome ordinarie2. Diverso è il procedimento previsto per la riforma degli Statuti di Autonomia già in vigore. Per quanto concerne la modifica dei testi statutari, infatti, occorre considerare due elementi: il primo di essi è dato dall’art. 147.3 CE, in cui si dispone che gli Statuti stessi indichino il procedimento che le Comunità Autonome devono adottare per riformarli3; il secondo è invece dato dalla Resolución interpretativa 2 In merito al procedimento di approvazione degli Statuti di Autonomia istitutivi delle relative Comunità Autonome si veda: G. ROLLA, L’autonomia delle comunità territoriali, Milano, 2008, pp. 164 e ss.; F. BALAGUER CALLEJÓN, Manual de Derecho Constitucional, vol. 1, Madrid, 2007, pp.318 e ss.; J.J. SOLOZÁBAL ECHAVARRÍA, Las bases constitucionales del Estado Autonomíco, Madrid, 1998, pp. 135 e ss.; J. de ESTEBAN - L. LÓPEZ GUERRA, El régimen Constitucional español, vol. 2, Barcelona, 1984, pp. 364 e ss. 3 Così dispone l’art. 147.3 CE: la refoma de los Estatutos se ajustará al procedimento establecido en los mismos y requerirà, en todo caso, la aprobación por las Cortes Generales, mediante Ley emessa dal Congresso dei Deputati il 16 marzo 19934. Tale testo, individuata la lacuna legislativa esistente in materia, introduce la disciplina per l’approvazione delle modifiche degli Statuti di Autonomia nella fase dell’iter legis che si svolge presso le Cortes Generales e distingue tre diversi procedimenti: uno per le Comunità Autonome costituitesi seguendo la via ordinaria dell’art. 143 CE5, uno per quelle costituitesi seguendo la via veloce dell’art. 151.2 CE6 e uno per i casi in cui la riforma statutaria è intrapresa per iniziativa del Parlamento spagnolo e non della regione7. L’iter di modifica “ordinario” prevede in primo luogo che la proposta elaborata dalla Comunità Autonoma - dopo essere stata presentata al Parlamento da una delegazione della Comunità stessa - sia preliminarmente ammessa alla valutazione del medesimo. Tale valutazione, detta il “debate de la Totalidad”, qualora si concluda positivamente, è seguita da un termine per la presentazione di modifiche da apportare al testo; qualora invece dia esito negativo, il progetto di riforma viene rigettato. Il testo statutario elaborato dalla Comunità Autonoma arricchito dalle proposte di modifica è quindi esaminato da una Ponencia composta, in egual numero, da rappresentanti del Parlamento della Comunità proponente e da membri della Commissione Costituzionale8. La suddetta Ponencia ha il compito di pubblicare un informe che contenga la proposta di riforma statutaria modificata alla luce di quanto emerso nel debate de Totalidad e nelle osservazioni successive. La Commissione Costituzionale ha quindi l’onere di pronunciarsi sull’ammissibilità del testo elaborato nell’informe; testo che, successivamente, verrà sottoposto alla Orgánica (trad.: la riforma degli Statuti si adeguerà al procedimento individuato da essi stessi e richiederà, in ogni caso, l’approvazione da parte del Parlamento, tramite Legge Organica). 4 Pubblicata nel Bolletín Oficial del Congreso de los Diputados (BOCD), serie E, n. 225, del 22 marzo 1993. 5 Parte I, disposizioni dalla seconda alla sesta, Risoluzione interpretativa del 16 marzo 1993. 6 Parte II, disposizioni dalla settima alla nona, Risoluzione interpretativa del 16 marzo 1993. 7 Parte IV, quindicesima e sedicesima disposizione, Risoluzione interpretativa del 16 marzo 1993. 8 La Commissione Costituzionale è un organo collettivo costituito presso il Congresso dei Deputati e composto da esponenti della Camera Bassa. Il suo compito principale è analizzare i testi delle proposte di legge per verificare che essi non siano manifestamente incostituzionali. votazione della Camera dei Deputati riunita in seduta plenaria per poi passare, in caso di voto positivo, all’esame del Senato. Nella Camera Alta una prima valutazione è fatta dalla Commissione Generale delle Comunità Autonome, presso la quale è costituita una Ponencia Conjunta, composta in egual misura da membri di detta Commissione e da rappresentanti della Comunità Autonoma interessata. Il testo oggetto di dibattito ed eventualmente modificato, se approvato dalla Comisión General de las Comunidades Autónomas, è sottoposto alla votazione del Senato riunito in seduta plenaria. Infine, occorre osservare che alcune Comunità Autonome hanno previsto che la proposta di riforma statutaria, per entrare in vigore, debba ottenere il consenso del proprio corpo elettorale. Quindi, qualora il Senato si esprima favorevolmente e non modifichi la proposta statutaria proveniente dal Congresso dei Deputati, affinché lo Statuto possa finalmente entrare in vigore sarà necessaria l’approvazione della popolazione della Comunità Autonoma proponente tramite referendum; viceversa, qualora il Senato proponga l’introduzione di ulteriori modifiche al testo in esame, questo dovrà essere nuovamente inviato alla Camera Bassa riunita in seduta plenaria per ottenerne l’approvazione definitiva e solo allora verrà sottoposto a referendum fra gli aventi diritto di voto del territorio interessato. Il procedimento previsto per modificare gli Statuti delle Comunità Autonome costituite seguendo la “via veloce” dell’art. 151.2 CE è disciplinato partendo dal modello disposto per gli Statuti ordinari, rispetto a cui sono introdotte alcune precisazioni9. Infine viene disciplinata la procedura che il Parlamento spagnolo stesso dovrà adottare per esercitare l’iniziativa di riforma di uno Statuto, qualora detta facoltà gli sia riconosciuta dal testo statutario stesso. In tal caso la proposta di 9 Si pensi alla disposizione ottava, che disciplina il procedimento che le Cortes Generales devono adottare nel caso in cui le Comunità Autonome di Paesi Baschi, Catalogna, Galizia e Andalusia decidano di modificare l’organizzazione dei poteri del proprio organo di governo locale, senza però intaccare le norme concernenti i rapporti fra Comunità e Stato (v. infra quanto affermato in merito all’art. 57) . riforma dovrà essere presentata da un deputato (e sottoscritta da altri quattordici) oppure da un gruppo parlamentare (e sottoscritta dal suo portavoce). Il testo elaborato è quindi sottoposto all’iter legis normalmente previsto per i disegni normativi esaminati nelle Cortes Generales (unica eccezione in materia riguarda la Comunità Autonoma La Rioja, per la quale non è previsto l’esame del Senato). Per concludere la presente analisi si considera brevemente l’iter che, in base allo Statuto catalano del 1979, doveva essere adottato per la riforma dello stesso. In base agli articoli 56 e 57 dello Statuto del 1979, per modificare il testo statutario possono essere seguiti due procedimenti. Il primo costituisce la regola generale e dispone che l’iniziativa spetti in alternativa alla Generalitat, o a un quinto dei membri del Parlamento catalano o alle Cortes Generales (art. 56.1.a) ); una volta stilato il testo della riforma questo andrà approvato in primo luogo dal voto favorevole di minimo due terzi dei membri del Parlamento catalano, per poi essere sottoposto all’esame del Parlamento spagnolo che dovrà emanare la corrispondente Legge Organica ed infine, affinché tale legge possa entrare in vigore, sarà necessaria l’approvazione diretta del corpo elettorale catalano chiamato ad esprimersi attraverso il referendum (art. 56.1.b) ). Al secondo comma del medesimo articolo si dispone che qualora la proposta di riforma non venga approvata presso le Cortes o qualora il referendum dia esito negativo, il testo della modifica non potrà essere nuovamente oggetto di discussione e di approvazione presso il Parlamento della Catalogna prima che sia trascorso un anno. L’articolo successivo prevede invece un procedimento alternativo a quello appena analizzato nel caso in cui la riforma abbia per oggetto solamente la modifica dell’organizzazione dei poteri della Generalitat, senza toccare il sistema delle relazioni fra Stato e Catalogna. In tal caso, una volta elaborata la proposta di riforma da parte del Parlamento della Comunità, le Cortes hanno un termine massimo di trenta giorni per opporsi in quanto toccate dalla riforma stessa. Qualora allo scadere del termine il Parlamento nazionale taccia o comunque non dia parere contrario, viene indetto un referendum che, se concluso con esito positivo, è a sua volta seguito dall’approvazione definitiva della modifica tramite Legge Organica emanata dalle Cortes Generales. Nel caso in cui, invece, nel termine dei trenta giorni il Parlamento dichiarasse illegittimo il testo proposto, la riforma dovrebbe obbligatoriamente seguire l’iter ordinario previsto dall’art. 56. 2. La Dichiarazione di Barcellona e il Patto di Estella Come visto nel precedente capitolo, dopo vari accordi politici che, nell’arco di quasi un ventennio, portarono a modificare in più occasioni i testi statutari vigenti, alla fine degli anni Novanta tutte le Comunità Autonome erano dotate di Statuti aventi fra loro un contenuto complessivamente omogeneo10. Tale omogeneità rappresentava una sorta di traguardo per le Comunità istituite a norma dell’art. 143 della Costituzione Spagnola. Infatti sebbene fossero state costituite seguendo la così detta “via lenta”, grazie alla fase di modifiche statutarie conclusasi alla fine del secolo scorso riuscirono a raggiungere il più elevato livello di autonomia proprio delle Comunità Autonome costituite seguendo la “via veloce”, cioè in base alle disposizioni dell’art.151 CE11. Tale condizione di omogeneità da alcuni territori era percepita come un elemento positivo, agli occhi di altri era invece considerata una sorta di mancato riconoscimento delle proprie peculiarità storiche, culturali e identitarie12. Tale sentimento, condiviso principalmente da Paesi Baschi, Catalogna e Galizia, spinse tre partiti nazionalisti delle Comunità Autonome citate a riunirsi per prendere una posizione ufficiale in merito, nonché per individuare gli obiettivi da raggiungere attraverso modalità di collaborazione, coordinazione e mutuo sostegno al fine di ottenere dallo Stato l’attribuzione di particolari competenze e poteri13. Così facendo 10 Vedi supra: capitolo I, paragrafo 2. Vedi supra: capitolo I, paragrafo 1.3. 12 E. AJA, El Estado Autonómico, Madrid, 2003, p. 90 e ss. 13 In merito al presente paragrafo si può considerare la seguente bibliografia: G. ROLLA, L’autonomia delle comunità territoriali, Milano, 2008, pp. 164 e ss.; E. AJA, El Estado 11 fra il 1998 e il 2000 CiU (Convergencia i Unió), PNV (Partido Nacionalista Vasco) e BNG (Bloque Nacionalista Gallego) stilarono quattro documenti, poi riuniti sotto il nome di “Dichiarazione di Barcellona” (28 gennaio 2000), dai quali emerge in primo luogo la volontà di vedere il proprio territorio riconosciuto come una vera e propria Nazione – pur sempre integrata all’interno della Spagna – e non come una semplice Comunità Autonoma14. Il primo dei quattro documenti (noto anch’esso come Dichiarazione di Barcellona), fu sottoscritto nella città catalana il 16 luglio 1998. In esso si richiama la necessità di realizzare uno Stato plurinazionale (anche alla luce dei principi del diritto comunitario)15 e si propone di realizzarlo attraverso l’instaurazione di un dialogo con l’intera società spagnola e la creazione di un programma di lavoro comune che tocchi aspetti quali lingua, cultura, fiscalità pubblica, simboli, istituzioni e partecipazione in ambito comunitario. Infine, nella prospettiva di una nuova riunione a distanza di pochi mesi, si instaura fra i tre partiti una relazione stabile e duratura finalizzata alla realizzazione degli obiettivi individuati. Pochi mesi dopo, nel settembre del 1998, CiU, PNV e BNG stipularono l’Accordo di Gasteiz nel quale si individua come traguardo fondamentale “la asunción de la pluralidad nacional en el ámbito del Estado con el reconocimiento jurídico-político, social y cultural de nuestras respectivas naciones”16, e si ribadisce il desiderio di raggiungere tale scopo attraverso il dialogo con tutte le forze politiche spagnole e la precisa collaborazione fra le tre forze politiche promotrici. Proprio in Autonómico, op. cit., pp. 90 e ss. e pp. 294 e ss.; M. J. TEROL BECERRA, El Estado Autonómico remozado, in Asamblea, Madrid, 2006, pp. 407 e ss.; vedi inoltre i volumi dell’Informe Comunidades Autonomas, elaborato a cura del dipartimento di Diritto Pubblico dell’Università di Barcellona, degli anni 1998, 1999 e 2000. 14 Si noti che nel 1998 CiU governava in Catalogna grazie a una coalizione con il Partito Popolare, il PNV aveva appena confermato il proprio ruolo di partito dominante nei Paesi Baschi in seguito alle recenti elezioni che avevano indicato come Presidente della Comunità Autonoma Ibarretxe, mentre in Galizia il BNG risultava essere un partito di minoranza. Per il testo dei documenti redatti da CiU, PNV e BNG si consulti la seguente pagina web: www.eaj-pnv.com . 15 Il riferimento, seppur indiretto, attiene ovviamente all’art.2 CE, che si è avuto modo di analizzare nel primo capitolo. 16 Trad.: il riconoscimento della pluralità nazionale nell’ambito dello Stato con il riconoscimento giuridico-politico, sociale e culturale delle nostre rispettive nazioni. tale ottica si individuano cinque obiettivi: creare dei gruppi di lavoro composti dai rappresentanti dei tre partiti eletti in Parlamento; proporre - anche all’interno del proprio programma elettorale - l’introduzione di meccanismi decisionali che diano capacità di partecipazione attiva alle tre Comunità Autonome all’interno dell’Unione Europea; formare gruppi di lavoro che elaborino un progetto per le politiche linguistiche e culturali e che studino il tema del finanziamento pubblico; e infine sviluppare il coordinamento fra le associazioni culturali che si occupano di difendere le identità nazionali. A meno di due mesi dal precedente, il 31 ottobre, fu sottoscritto il terzo documento - noto come Accordo di Santiago di Compostela - nel quale si ribadiscono con forza i punti già individuati nei precedenti incontri, sottolineando la peculiare importanza dei gruppi di lavoro definiti a Gasteiz, nonché la necessità di includere gli obiettivi di partecipazione in ambito comunitario nei programmi elettorali da presentare in occasione delle allora imminenti elezioni europee. Viene poi ribadita la necessità di collaborare e sostenersi vicendevolmente così come quella di rendere noto il proprio programma alle altre forze politiche presenti in Catalogna, Paesi Baschi e Galizia; si suggerisce anche di utilizzare mezzi di comunicazione quali radio e televisione per rendere noti a livello nazionale le proprie iniziative. Infine si considera la necessità di fare un’attenta analisi della Costituzione per considerarne le disposizioni alla luce di quanto attuato e di quanto resta ancora da attuare in tema di decentramento territoriale, senza escludere la possibilità di formulare una proposta di riforma. I tre documenti elaborati nell’arco del 1998 assunsero una particolare importanza sul piano politico e istituzionale sotto tre aspetti: in primo luogo perché le proposte concernenti il nuovo assetto territoriale dello Stato spagnolo destarono numerose polemiche fra le altre Comunità Autonome, tanto che alcune si riunirono per elaborare una sorta di accordo di segno opposto a quelli appena considerati17, mentre altri partiti nazionalisti (per esempio il Partido Andalucista) vi aderirono; in 17 Si veda la Dichiarazione di Mérida, stipulata dai Presidenti delle Comunità Autonome di Andalusia, Castiglia la Mancia e Estremadura. secondo luogo il tema che probabilmente fu maggiormente discusso attiene al ruolo del Tribunale Costituzionale che viene considerato come legislatore negativo, e per questo fondamentale nell’attuazione da dare alle disposizioni costituzionali tanto da rendere necessaria la previsione di una composizione dell’organo stesso in grado di rappresentare la struttura territoriale della Spagna; infine, come emerge in modo chiaro anche dall’Accordo di Santiago di Compostela, i punti oggetto dell’analisi dei tre documenti dovevano trovare una cassa di risonanza nei programmi elettorali che i partiti nazionalisti coinvolti avrebbero dovuto approvare in occasione delle elezioni locali che avrebbero avuto luogo nel 199918. Riguardo a quest’ultimo aspetto è poi opportuno osservare che nessuno dei tre partiti finì per dare il risalto accordato a quanto emerso nelle riunioni del 1998: il BNG, che già era un partito di minoranza in Galizia, optò per una campagna elettorale dal profilo più basso per cercare di raccogliere maggiori consensi; nei Paesi Baschi il gruppo terroristico ETA, che nel 1998 aveva stabilito una tregua, dichiarò la fine della stessa il 28 novembre 1999 motivando tale decisione con l’insufficiente impegno nazionalista da parte del PNV e di altri gruppi politici. Infine in Catalogna sorse un problema di tipo politico, giacché CiU, per poter nuovamente vincere le elezioni, aveva bisogno dell’alleanza con il PP, partito centralista fortemente contrario alle modifiche istituzionali proposte negli accordi sottoscritti nel corso dell’anno precedente; a causa di ciò, in prossimità delle elezioni tenutesi il 17 ottobre, CiU stilò un documento il cui contenuto, allontanandosi notevolmente da quanto stabilito con PNV e BNG, prevedeva sì l’incremento delle capacità di autogoverno della Catalogna, nonché aspetti quali una maggiore partecipazione della Comunità nell’UE, ma ambiva a raggiungere tali obiettivi senza passare per una riforma dello Statuto o della Costituzione, bensì attraverso una nuova lettura di entrambi i testi19. 18 J. TORNOS, Valoración general, in Informe Comunidades Autonomas 1998, Barcelona, 1999, pp. 21 e ss 19 J. TORNOS, Valoración general, in Informe Comunidades Autónomas 1999, Barcellona, 2000, pp. 21 e ss; M. VINTRÒ, Cataluña, in Informe Comunidades Autónomas 1999, op. cit., pp. 235 e ss. L’ultimo dei quattro documenti fu sottoscritto il 28 gennaio 2000, poco più di un anno dopo quello redatto in Galizia. Noto come “Dichiarazione di Barcellona”, specifica che al suo interno vanno ricompresi il testo della dichiarazione stessa e i tre documenti redatti nel 1998, nonché gli atti elaborati dai singoli gruppi di lavoro in conseguenza dell’attività realizzata nell’ultimo biennio. In sostanza rappresenta la volontà di dare unità all’opera svolta da PNV, BNG e CiU e si propone di trarne le conclusioni, alla luce di quanto emerso e nella prospettiva eventuale di continuare quanto intrapreso. Possiamo però notare che la dichiarazione non prevede nuovi obiettivi o accordi fra i tre partiti coinvolti, che nel frattempo - come visto sopra sembrano aver preso le distanze gli uni dagli altri a causa del diverso modo di leggere, e realizzare, gli obiettivi individuati20. Nel considerare le conseguenze del proprio operato dal documento emerge in modo netto l’insoddisfazione per il comportamento delle istituzioni e delle forze politiche centraliste che, anziché realizzare il dialogo tanto auspicato dai tre partiti, hanno optato per una linea di rifiuto e chiusura rispetto alle proposte avanzate. Tuttavia, nonostante l’insoddisfazione per l’impossibilità di avere un confronto politico, i tre partiti non mancano di ribadire il proprio impegno per vedere la formazione di uno Stato plurinazionale, pluriculturale e plurilingue. Rispetto ai documenti sottoscritti nel 1998, è impossibile non individuare una maggior concretezza e specificità negli obiettivi perseguiti, all’interno dei quali ne troviamo alcuni ammissibili e necessari21, altri comprensibili alla luce delle esigenze sentite dalle tre comunità storiche22, mentre altri ancora appaiono inadeguati e fors’anche giuridicamente inammissibili per uno Stato che, seppur “plurinazionale”, si proponga di rimanere unitario. Basti pensare alla proposta di 20 J. TORNOS, Valoración general, in Informe Comunidades Autónomas 2000, Barcellona, 2001, pp. 19 e ss. 21 Si pensi alla proposta di rivedere il ruolo e la composizione del Senato, in modo da rispecchiare meglio la complessità territoriale e culturale della Spagna. 22 In tal senso, a prescindere da una valutazione sull’ammissibilità, fra le altre possiamo considerare l’esigenza di ottenere degli specifici riconoscimenti sul piano idiomatico (in particolare rispetto all’uso della propria lingua in ambito educativo, amministrativo, giuridico e nella toponomastica) o quella di ottenere ulteriori competenze esclusive, o ancora di modificare la composizione di organi quali i Consigli settoriali. ottenere delle delegazioni diplomatiche proprie o di modificare la struttura del Tribunale Costituzionale per meglio adeguarlo alla complessità territoriale esistente. In merito a quest’ultimo punto nella Dichiarazione di Barcellona si propone la “reforma del Tribunal Constitucional de forma que su designación y composición, garantizando su imparcialidad, tenga presente la pluralidad nacional, cultural y lingüistica del Estado”23. Quest’ultimo aspetto sembrerebbe del tutto inammissibile alla luce dei compiti del Tribunale Costituzionale che, come tutti gli organi di legittimità costituzionale, svolge un ruolo di natura squisitamente giuridica e certo non di rappresentanza politica, così che pare inopportuno disciplinare la sua composizione alla luce di criteri territoriali, piuttosto che in base ai soli criteri di competenza giuridico-professionale. Non per niente strumenti come la ricusazione sono stati previsti proprio qualora sia ipotizzabile la mancanza di terzietà e imparzialità da parte di un organo giurisdizionale e certo sarebbe più opportuno prevedere una maggiore rappresentatività territoriale attraverso l’incremento dei poteri e della capacità decisionale del Senato, che proprio a questo compito dovrebbe essere finalizzato. Sempre nel 1998, e più precisamente il 12 settembre, nei Paesi Baschi venne stilato un altro documento: il Patto di Estella (o Accordo di Lizarra-Garazi)24. Questo testo, a differenza dei documenti che compongono la Dichiarazione di Barcellona, atteneva alla sola comunità basca (intesa nella sua estensione all’interno degli Stati spagnolo e francese) e venne elaborato e sottoscritto dai principali partiti e sindacati nazionalisti baschi in conclusione di una serie di incontri25. Scopo fondamentale del Patto - voluto fortemente dal neo eletto Lehendakari Ibarretxe - 23 Trad.: la riforma del Tribunale Costituzionale in modo che la sua designazione e composizione, garantendone l’imparzialità, tengano conto della pluralità nazionale, culturale e linguistica dello Stato. 24 E. AJA, El Estado Autonomico, op. cit., pp. 294 e ss. 25 Fra i sottoscrittori troviamo sette sigle sindacali, nove organizzazioni e otto partiti o coalizioni politiche fra cui: AB (Abertzaleen Batasuna), IU (Izquierda Unida), PNV (Partido Nacionalista Vasco), EA (Eusko Alkartasuna), HB (Herri Batasuna), ZUTIK BATZARRE (nella sua formazione basca e navarra). era di dar vita a un confronto che coinvolgesse anche l’ETA26 per mettere in atto un processo di pace e dialogo finalizzato al perseguimento di una maggiore autonomia. Nel testo si parte da un’analisi dei risultati ottenuti in Irlanda del nord grazie al dialogo instaurato fra IRA e Governo britannico; alla luce di tali considerazioni vengono individuate le linee guida da seguire per tentare di risolvere il conflitto basco. In particolare emerge che cause del conflitto, avente natura politica, sono il diverso modo di intendere “territorialidad, el sujeto de decisión, y la soberanía política”27, così come si rileva che la sua risoluzione deve necessariamente passare attraverso un dialogo che coinvolga le diverse forze politiche e che si svolga in un clima di pace. Tuttavia emerge altresì che il punto nodale del documento, così come l’obiettivo finale dello stesso, è pervenire a un rafforzamento della “democracia en el sentido de depositar en los ciudadanos de Euskal Herría la última palabra respecto a la conformación de su futuro y (que) se respete la decisión por parte de los Estados implicados. Euskal Herría debe tener la palabra y la decisión”28. In sintesi, è il popolo basco che in ogni caso deve avere l’ultima parola rispetto alle decisioni che lo riguardano29. Come si è visto, dai documenti emerge in modo chiaro che il principale obiettivo delle tre forze politiche è ottenere che i propri territori siano qualificati non tanto come semplici Comunità Autonome, ma come nazioni, così da ottenere specifici riconoscimenti in materia di lingua, identità culturale, autonomia economica e fiscale, nonché di partecipazione e capacità decisionale in ambito comunitario30; 26 Il gruppo terroristico basco inizialmente aderì alla proposta di dialogo avanzata nel Patto di Estella dichiarando una tregua; tuttavia dopo circa un anno, in conseguenza dell’inattività dei Governi Francese e Spagnolo (interpretata come tacito ostruzionismo), revocò il cessate il fuoco. 27 Trad.: territorialità, il soggetto competente per decidere e la sovranità politica. 28 Trad.: democrazia nel senso di lasciare ai cittadini di Euskal Herria l’ultima parola in merito alla struttura del proprio futuro e nel senso di vedere rispettata la decisione presa da parte degli Stati coinvolti. Euskal Herria deve avere l’ultima parola e la capacità decisionale. 29 In merito a questo punto è d’obbligo fare riferimento al Plan Ibarretxe, di cui si è avuto modi di parlare nel precedente capitolo, nel quale si voleva introdurre il concetto di Paesi Baschi come Comunità Autonoma liberamente integrata all’interno dello Stato spagnolo. 30 Come afferma Rolla “le Comunità autonome “storiche” […] hanno tentato di far oscillare nuovamente il “pendolo istituzionale” dalla simmetria all’asimmetria, individuando nuove ragioni di differenziazione” (G. ROLLA, L’autonomia delle comunità territoriali, op. cit., p. 175). emerge altresì la volontà di raggiungere i propri scopi attraverso un’intensa opera di dialogo sviluppato trasversalmente in modo da coinvolgere partiti locali, istituzioni governative e società31. Sebbene l’opera di collaborazione messa in atto a partire dal 1998 abbia via via perso intensità a causa delle diverse scelte politiche fatte dai tre soggetti coinvolti (PNV aderisce a posizioni più rigidamente nazionaliste, mentre CiU è più moderata a causa della necessaria alleanza con il PP, e infine BNG non ha abbastanza consensi in Galizia per poter sostenere posizioni “estreme”), possiamo però affermare che gli sforzi messi in atto dai tre partiti non sono stati vani giacché come avremo modo di vedere meglio in seguito - molti dei temi trattati nei documenti che compongono la Dichiarazione di Barcellona appaiono anche nel testo del nuovo Statuto della Catalogna e in quello (proposto, ma poi non approvato) dei Paesi Baschi all’interno dei quali risaltano le novità in tema di nazionalità, lingua, cultura e autonomia fiscale e contributiva. 31 Così si afferma nella Dichiarazione di Barcellona del 28 gennaio 2000: “Partiendo de la especificidad de nuestras respectivas naciones y teniendo en cuenta las diferentes condiciones objetivas, considerábamos necesaria una estrategia de colaboración dirigida a la constitución de un Estado plurinacional, pluricultural y plurilingüe, vertebrado teniendo en cuenta los proyectos nacionalistas que se formulen desde Galiza, Euskadi y Catalunya. Una colaboración que deseamos que sea capaz de abrirse a la participación de otras fuerzas políticas para promovere una Nueva Cultura Política centrada en el diálogo, en el compartir ideas y planteamientos y en promover la convivencia positiva y creativa. Galiza, Euzkadi y Catalunya son naciones con historia y cultura propias. Sin su reconocimiento efextivo, el Estado no serà pienamente democrático, en el sentido más profundo de esa palabra […]”. (Trad.: Partendo dalla specificità delle nostre rispettive nazioni e tenendo conto delle differenti condizioni oggettive, abbiamo considerato necessaria una strategia di collaborazione diretta alla costituzione di uno Stato plurinazionale, pluriculturale e plurilingue, strutturato tenendo conto dei progetti nazionalisti che vengano elaborati da Galizia, Paesi Baschi e Catalogna. Una collaborazione che desideriamo sia capace di aprirsi alla partecipazione di altre forze politiche per promuovere una Nuova Cultura Politica basata sul dialogo, sulla condivisione di idee e progetti, nel rispetto e nella difesa della diversità, nel fornire i punti di incontro e nel promuovere la convivenza positiva e creativa. Galizia, Paesi Baschi e Catalogna sono nazioni storiche con storia e cultura proprie. Senza il loro riconoscimento effettivo lo Stato non sarà pienamente democratico, nel significato più profondo di questa parola). 3. Il processo di elaborazione e approvazione dello Statuto. 3.1 Il dibattito sull’opportunità di riformare lo Statuto della Catalogna (2000 2003)32. Come osservato nel precedente paragrafo, alla fine del XX secolo in Catalogna (così come nei Paesi Baschi e in Galizia) iniziava a farsi strada un crescente senso di insoddisfazione a causa della sostanziale omogeneità raggiunta fra le Comunità Autonome a discapito della richiesta sottolineatura delle rispettive specificità. Se quindi nel resto della Spagna si percepiva l’esigenza di mettere in atto dei meccanismi di cooperazione, coordinazione e collaborazione fra gli enti territoriali al fine di meglio gestire il livello di autonomia raggiunto, i catalani avevano la sensazione di essere privati del giusto riconoscimento delle proprie peculiarità. Insomma, con il passare del tempo si diffondeva l’idea che, a causa della mancata riforma del proprio Statuto, il livello di decentramento della Catalogna fosse nella sostanza diminuito rispetto a quello originariamente previsto nel 1978, anziché essere incrementato in modo analogo alle restanti Comunità Autonome33. Analizzando lo stato del decentramento territoriale raggiunto dopo i primi venticinque anni di vigenza della Costituzione, Eliseo Aja e Carles Viver Pi-Sunyer individuano -fra gli altri- due problemi che a loro parere rendono di “bassa qualità” l’autonomia delle Comunità34. Il primo concerne le deboli relazioni esistenti fra Stato e regioni35, mentre il secondo attiene alla scarsa capacità delle Comunità 32 Per un’analisi delle fasi che hanno portato all’approvazione del nuovo statuto della Catalogna, nonché per avere una raccolta di tutti i lavori preparatori e i documenti che hanno condotto al testo statutario introdotto nel 2006 si veda: J. TORNOS MAS, Los Estatutos de Autonomía de Cataluña, Barcelona, 2007. Si noti che i BOPC (Bollettini Ufficiali del Parlamento della Catalogna) sono altresì consultabili sul sito web del Parlamento catalano: www.parlament-cat.net . 33 J. TORNOS MAS, Los Estatutos de Autonomía de Cataluña, op. cit., pp. 100 e ss. 34 E. AJA - C. VIVER PY-SUNYER, Valoración de 25 años de autonomía, in Revista Española de Derecho Constitucional, n. 69, Madrid, 2003, pp. 69 e ss. 35 Tale aspetto per gli autori è dovuto a due fattori: alla mancata previsione nella Costituzione di appositi strumenti per favorire questo genere di relazioni e, in secondo luogo, alla presenza delle sole relazioni bilaterali che coinvolgono lo Stato e una Comunità Autonoma. Viene pertanto constatato che lo sviluppo del decentramento non è stato in alcun modo affiancato da un adeguato Autonome di produrre innovazioni nella sfera giuridico-istituzionale del Paese. Relativamente a quest’ultimo problema gli autori riportano l’esempio delle leggi approvate dalle Comunità stesse, leggi che finiscono per avere un contenuto prevalentemente legato ad aspetti pratici, come quello finanziario o quello organizzativo, mentre sul piano sostanziale ricalcano il contenuto della legislazione base statale, senza introdurre innovazioni. Emerge quindi l’idea che a causa di una molteplicità di fattori, fra cui l’eccessiva presenza dello Stato nelle materie coperte da competenza concorrente, le Comunità non possano godere di un livello di autonomia tale che permetta di sviluppare pienamente le proprie peculiarità e di rispondere nel modo migliore alle esigenze dei loro territori. In Catalogna la frustrazione delle aspettative di vedere riconosciute le proprie peculiarità storiche, economiche e culturali anche attraverso un grado di decentramento che in qualche modo la distinguesse dalle altre Comunità Autonome finì per indurre la popolazione locale e le corrispondenti forze politiche a esigere “un nuevo impulso autonómico que incremente la capacidad de autogobierno y acepte la singularidad de la autonomía catalana”36. Detto impulso trovò un’immediata manifestazione sia negli accordi culminati nella Dichiarazione di Barcellona sottoscritta da CiU, PNV e BNG, sia - a distanza di breve tempo - presso il Parlamento Catalano dove venne istituita una Comissione per lo studio sul miglioramento del governo autonomo (Comissió d’Estudi per a l’Aprofundiment de l’Autogovern)37. Nel dicembre 2002 la Commissione presentò un documento approvato da tutti i gruppi parlamentari con l’esclusione del PP, che si manteneva contrario a ogni sistema di relazioni che permettessero un efficace coordinamento fra lo Stato e le Comunità Autonome e fra le Comunità Autonome stesse. Come sostenuto da altri giuristi, anche in questo caso la soluzione proposta per arginare il problema prevede in primo luogo una riforma del Senato. 36 J. TORNOS MAS, Los Estatutos de autonomía de Cataluña, cit., p. 102. (Trad.: un nuovo impulso di autonomia che incrementi la capacità di autogoverno e accolga la singolarità dell’autonomia catalana). 37 Commissione istituita con la Resolución n. 343/VI, pubblicata nel Butlletí Oficial del Parlament de Catalunya n. 117 del 14 novembre 2000. forma di integrazione dei poteri e delle competenze della Comunità38. Nel documento si afferma la necessità di incrementare le potenzialità dell’autogoverno in modo da rispondere con maggior efficacia alle esigenze della popolazione pur mantenendo la conformità con i limiti posti dalla Costituzione39. In quest’ottica sono individuati gli obiettivi che dovrebbero essere raggiunti e che possiamo suddividere in tre gruppi: il primo ruota attorno alla Generalitat (ovvero il Governo catalano) per aumentarne i compiti e rafforzarne le istituzioni, attribuirle un peso maggiore nelle relazioni con lo Stato e riconoscerle un preciso ruolo presso le istituzioni comunitarie e nelle relazioni internazionali; il secondo gruppo attiene al riconoscimento del principio di plurinazionalità dello Stato; infine il terzo gruppo ambisce ad ampliare il novero dei diritti e dei doveri degli abitanti della Catalogna rispetto a quelli già previsti dalla Costituzione. Il documento passa a ipotizzare quali possano essere le vie da seguire per realizzare gli obiettivi auspicati, individuandone essenzialmente tre: la riforma della Costituzione, la rilettura dell’allora vigente Statuto catalano o la riforma del testo statutario stesso40. Rispetto alla possibilità di aumentare il grado di autonomia senza modificare né testo costituzionale né Statuto emerge subito che questa opzione “gaudeix de l’avantatge de tenir un cost procedimental menor que la reforma estatutària o la reforma constitucional, però depèn molt d’acords polítics, que, per llur naturalesa, són més facilment mutables”41. Viceversa la modifica della 38 Butlletí Oficial del Parlament de Catalunya, n. 366, del 5 dicembre 2002. In tal senso la Commissione fa perno sull’idea di Stato plurinazionale ricavata dall’interpretazione dell’art. 2 CE, che parla della Nazione spagnola come stato unitario che garantisce il diritto all’autonomia delle nazionalità e regioni che la compongono (v. supra cap. I, par 1.3). Come si avrà modo di vedere nel resto dell’elaborato, però, la concezione di Stato plurinazionale non è così pacifica come si potrebbe dedurre da quanto affermato nel documento in esame. 40 BOPC n. 366/2002, parte I, paragrafo II.3. 41 BOPC n. 366/2002, parte I, paragrafo II.3.1. Trad.: Gode del vantaggio di avere un costo processuale minore rispetto alla riforma statutaria o alla riforma costituzionale, ma è molto condizionata dagli accordi politici che per loro natura sono facilmente modificabili. Emerge quindi che la più semplice praticabilità istituzionale dovrebbe scontrarsi con un elevato grado di incertezza dovuto alla necessità di mettere d’accordo un maggior numero di soggetti facendo affidamento in primo luogo sull’operato dello Stato rispetto alla cessione di competenze in base agli artt. 150.1 e 150.2 CE. 39 Costituzione è considerata la scelta più complessa, ma anche quella più soddisfacente giacché permetterebbe anche di riformare in modo più rilevante lo Statuto della Catalogna introducendo cambiamenti pregnanti soprattutto per quanto concerne la Generalitat42. Infine l’opzione di modificare il testo statutario implica senza dubbio un notevole sforzo poiché l’iter da seguire per la sua riforma è piuttosto complesso e coinvolge una pluralità di soggetti (ovvero il Parlamento catalano, quello nazionale e la popolazione della Catalogna chiamata ad esprimersi attraverso il referendum). Tuttavia tale strumento permette altresì di introdurre innovazioni specifiche per le esigenze della Comunità interessata senza dover coinvolgere lo stesso numero di forze politiche necessario per realizzare una riforma costituzionale. I gruppi parlamentari catalani hanno poi inserito le proprie proposte nel documento della Commissione per il miglioramento del governo autonomo. In tale frangente è interessante notare che i partiti di sinistra (ERC, PSC e IC-Verds43) sono quelli con maggior iniziativa e puntano in modo abbastanza deciso a una riforma dello Statuto, mentre CiU - che era al governo - sostiene posizioni più moderate che fanno perno sulla reinterpretazione del testo statutario vigente e della Costituzione; infine il PP è contrario a qualsivoglia cambio di direzione, scoraggiando sia la modifica dello Statuto che una nuova e diversa lettura dello stesso. 42 In merito a questo aspetto nel documento si afferma che “la reforma constitucional és la via necesària per a incrementar l’autogovern si la pretensió és abandonar l’actual model de l’Estat de les autonomies i substituirlo per un escenari federal plurinacional o per un nou escenari amb una profunda redefinició de la distribució territorial de les competències i del poder polític”. Trad.: la riforma costituzionale è la via necessaria per incrementare l’autogoverno se l’obiettivo è abbandonare l’attuale modello di Stato delle autonomie e sostituirlo con uno scenario federale plurinazionale o con un nuovo scenario che sia soggetto a una profonda ridefinizione della distribuzione territoriale delle competenze e del potere politico (BOPC n. 366/2002, parte I, paragrafo II.3.3). Va però osservato che la riforma costituzionale auspicata dalla Catalogna per rispondere all’esigenza di maggiore autonomia andava in una direzione almeno parzialmente diversa da quella perseguita nel resto della Spagna. Infatti se da una parte era presente il desiderio comune di riformare il Senato e incrementare le relazioni fra Comunità Autonome, dall’altra parte nel caso della Catalogna si auspicava una nuova distribuzione di poteri e competenze in modo da incrementare la capacità decisionale delle Comunità, mentre nel progetto di riforma costituzionale presentato nel 2004 l’obiettivo era la “chiusura” del decentramento (v. supra capitolo I, paragrafo 3). 43 Le sigle fanno riferimento a Esquerra Republicana Catalana, Partido Socialista Catalano e Iniciativa per Catalunya - Verds. In ogni caso i lavori della Commissione non portarono a risultati eclatanti a causa di due fattori: in primo luogo CiU, al governo grazie alla coalizione politica con il PP, era costretta ad adottare un approccio moderato poiché condizionata dalle posizioni rigide di quest’ultimo. In secondo luogo la fine della VI legislatura del Parlamento catalano era ormai alle porte e il tempo restante sarebbe stato insufficiente per intraprendere in modo fruttuoso l’iter di modifica dello Statuto. Nel marzo 2003 fu comunque istituita una Ponencia finalizzata alla pubblicazione di un informe concernente una possibile riforma statutaria. A causa del sopraggiungere della fine della legislatura e delle conseguenti nuove elezioni che nel novembre seguente portarono la nuova coalizione di sinistra alla guida della Comunità Autonoma44, la Ponencia non terminò il proprio lavoro, ma è interessante notare che tutti i gruppi parlamentari, con l’esclusione del PP, parteciparono attivamente dando il proprio contributo in materia45. Sempre nel 2003 l’Instituit d’Estudis Autonòmics46 pubblicò l’“Informe sobre la 44 La nuova coalizione di sinistra, nota anche come “Tripartit”, era -ed è tuttora- composta da PSC, ERC e IC-Verds. I tre partiti si riunirono nel dicembre del 2003 per stilare un documento (“Acord per a un govern catalanista i d’esquerra a la Genralitat de Catalunya”, noto anche come “Pacto del Tinell”) nel quale inserirono le linee guida che avrebbero adottato nel corso della legislatura entrante e all’interno del quale figura l’obiettivo primario di modificare lo Statuto catalano. 45 È interessante notare che il documento proposto da ERC - strutturato come un vero e proprio testo statutario - proponga il concetto di Catalogna come Nazione liberamente associata alla Spagna in modo analogo a quanto espresso dai Paesi Baschi nella proposta di riforma statutaria, anche nota come Plan Ibarretxe, da loro avanzata nel 2004 e mai approvata (v. supra, cap I, paragrafo 2). L’art. 1 del Titolo Preliminare poposto da ERC recita infatti: “Catalunya és un estat democràtic[…]. Amb l’aprovació del present Estatut, el poble català exerceix el dret a l’autodeterminació que li correspon com a nació sobre la capacitat reconeguda per la legislació internacional d’establir lliurement el seu règim polític, social i econòmic […]. L’Estat de Catalunya adopta la forma política d’Estat Lliure, associat al Regne d’Espanya, d’acord amb el present Estatut i amb aquelles disposicions de la Constitució espanyola que li siguin d’aplicació de conformitat amb els articles següents.[…].” (Trad.: la Catalogna è uno Stato democratico […]. Con l’approvazione del presente Statuto il popolo catalano esercita il diritto all’autodeterminazione che gli deriva come nazione in base a quanto riconosciuto dalla legislazione internazionale in merito alla libertà di stabilire il proprio regime politico, sociale ed economico […]. Lo Stato della Catalogna adotta la forma di Stato libero, associato al Regno di Spagna, in accordo con il presente Statuto e con quelle disposizioni della Costituzione spagnola che ne siano applicazione in conformità agli articoli seguenti.[…]). 46 L’Institut d’Estudis Autonomics è stato istituito nel 1984 dalla Generalitat della Catalogna (Decret 383/1984) con il fine di svolgere sia un lavoro di ricerca sullo stato delle autonomie in Spagna e in ambito internazionale, sia un’opera di consulenza giuridica alle istituzioni catalane affinché sviluppino nel modo migliore il decentramento e il governo autonomo. Dal 2004 il reforma de l’Estatut”, documento volto ad analizzare i limiti dell’assetto istituzionale catalano e i contenuti che avrebbe potuto e dovuto avere un nuovo eventuale Statuto per sopperire ai difetti esistenti. L’informe è diviso in quattro parti (la prima fa un bilancio dello stato di autonomia della Catalogna, la seconda considera lo Statuto quale strumento per garantire e favorire l’autogoverno, la terza elenca i criteri da adottare per individuare gli aspetti da modificare nel testo statutario, ed infine l’ultima parte propone la disciplina da adottare nel nuovo Statuto per l’eventuale modifica dello stesso) e articola la propria analisi facendo perno sull’opportunità di introdurre una riforma che incrementi i poteri delle istituzioni catalane favorendo lo sviluppo dell’autogoverno e permettendo una maggiore indipendenza decisionale rispetto allo Stato centrale, la cui influenza è considerata eccessiva. Va poi osservato che rispetto alla capacità di maggior autodeterminazione si sottolinea ancora una volta l’importanza del riconoscimento delle peculiarità culturali, linguistiche e giuridiche in capo alla Catalogna, attribuendo particolare rilevanza all’inserimento dei così detti diritti storici nel testo statutario47. In merito al tema dei diritti storici, che costituisce uno degli aspetti più discussi dello Statuto del 2006, è interessante osservare il ragionamento che viene sviluppato nell’Informe. I diritti storici sono delle manifestazioni giuridiche delle peculiarità culturali e istituzionali che le Comunità Autonome fin dal passato hanno espresso attraverso il riconoscimento di determinate posizioni giuridiche ai propri cittadini. Come rilevato anche nel documento in esame, la Costituzione riconosce espressamente solo i diritti storici di Navarra e Paesi Baschi (prima disposizione addizionale CE), tuttavia si ritiene che la carta fondamentale spagnola stessa lasci aperti abbastanza margini per poter ritenere legittimo il riconoscimento di tali diritti anche da parte di altre Comunità Autonome: in particolare si fa riferimento direttore dell’istituto è Carles Viver Pi-Sunyer.(si può accedere alla pagina web dell’istituto da www.gencat.cat, o in alternativa usando il seguente indirizo web: www10.gencat.cat/drep/AppJava/cat/ambits/recerca/index.jsp.). 47 In merito si veda il testo dell’Informe sobre la reforma de l’Estatut, pubblicato nel luglio 2003 dall’Institut d’Estudis Autonòmics, pp. 61 e ss. all’apertura lasciata dalla prima disposizione addizionale in merito alla possibilità di instaurare un regime forale (presente nel caso di Navarra e Paesi Baschi), all’assenza di elenchi vincolanti circa i territori cui sono riconosciuti diritti storici, al riconoscimento della Catalogna quale comunità storica (seconda disposizione transitoria CE) e all’articolo 2, sostenendo che proprio elementi quali i diritti in esame permettono di distinguere i territori spagnoli in nazionalità e regioni. Infine nell’informe si richiama l’allora vigente Statuto dell’Aragón che nella terza disposizione addizionale afferma che la Comunità, pur non avendo inserito nel proprio testo statutario alcun diritto storico, non intende rinunciare alla possibilità di un’eventuale introduzione degli stessi in un secondo momento. Nel documento pubblicato dall’Institut d’Estudis Autonomics si attribuisce una particolare importanza a tale disposizione perché si ritiene che, essendo gli Statuti approvati con Legge Organica - e pertanto approvati dal Parlamento - essa dimostrerebbe che lo Stato stesso attribuisce un’interpretazione estensiva alla nozione di diritti storici, rendendo a maggior ragione legittima l’introduzione di tali diritti anche in Catalogna. Emerge dunque con chiarezza che la Catalogna alla fine del 2003 risultava ormai decisa ad intraprendere la via della riforma statutaria: nel primo triennio del secolo attuale, infatti, era stata manifestata in modo netto l’esigenza di dare nuova linfa al decentramento della Comunità Autonoma intervenendo sugli aspetti istituzionali (riconoscimento di maggiori poteri e competenze alla Generalitat), civili (individuazione di puntuali diritti e doveri) e comunitari (incremento delle relazioni con l’UE). Tutti i gruppi politici manifestarono la propria visione in tal senso e la popolazione locale finì per dare il suo sostegno a coloro che con più forza avevano auspicato la riforma dello Statuto, dando così il via all’irreversibile percorso che avrebbe portato ad essa. 3.2 L’approvazione del nuovo testo statutario presso il Parlamento catalano. Come osservato nel paragrafo precedente, grazie alle elezioni locali che nel novembre 2003 portarono la coalizione di sinistra (composta da PSC, ERC e ICV) alla guida della Catalogna, e grazie anche alle elezioni nazionali che nel marzo dell’anno seguente determinarono l’inizio del Governo Zapatero (PSOE) e la fine del Governo Aznar (PP), la modifica dello Statuto del 1979 era non solo voluta fortemente dal Parlamento catalano, ma era anche sostenuta dal partito di maggioranza nazionale; pertanto, la prospettiva di riforma del testo statutario non avrebbe potuto trovare un clima più favorevole. Fra il gennaio e il luglio del 2004 i membri del Parlament catalano si accordarono per l’istituzione e la composizione della Ponencia incaricata di formulare la proposta per il nuovo testo statutario e si decise che ne facessero parte venti deputati (quattro per ogni gruppo politico presente in Parlamento); i lavori iniziarono nel settembre successivo. Dopo poco meno di un anno di lavoro, la Ponencia terminò la sua proposta per il nuovo testo statutario che venne pubblicata ufficialmente, assieme ai pareri espressi in merito dai gruppi politici catalani, nel Bollettino Ufficiale del Parlamento della Catalogna (BOPC) n.208/2005 dell’11 luglio. Gli aspetti più innovativi, e per questo più discussi, introdotti nel testo redatto dalla Ponencia possono essere raggruppati per tematiche. In primo luogo, per quanto concerne i principi fondamentali e i diritti, assumono straordinaria rilevanza la definizione della Catalogna come Nazione, l’introduzione di un Titolo espressamente dedicato all’individuazione e alla disciplina dei diritti e dei doveri dei cittadini catalani e, al suo interno, il riferimento ai diritti storici quali fondamento del governo autonomo. Nel Titolo III si attribuisce una disciplina particolare al potere giudiziario (cosa che creava dei dubbi circa la relativa legittimità costituzionale a causa della competenza riservata allo Stato ed esercitata attraverso la LOPJ - Ley Organica del Poder Judicial). Per quanto concerne le competenze queste vengono classificate in esclusive, condivise e esecutive e ad esse sono ricondotti puntuali elenchi di materie; scopo di tale novità dovrebbe essere quello di limitare i potenziali conflitti di attribuzione fra Stato e Comunità Autonoma. Nel testo proposto hanno un notevole spazio anche le relazioni bilaterali fra Stato e Catalogna: a tal fine si prevede l’istituzione di un’apposita commissione, nonché la presenza di rappresentanti della Generalitat all’interno di organi statali con competenze di rilevanza economica e sociale. Infine troviamo la previsione di specifici criteri per le elezioni al Parlamento Europeo, in modo da incrementare la partecipazione della Comunità in tale contesto. I gruppi politici chiamati ad esprimersi sul testo elaborato dalla Ponencia manifestarono le proprie opinioni in merito: ICV nel suo sintetico intervento chiede in primo luogo di introdurre un preambolo che indichi i fini perseguiti dallo Statuto e che richiami i testi statutari del 1931 (Estatut de Núria), del 1932 e del 1979 dando particolare importanza al riconoscimento dell’identità catalana; in secondo luogo propone di inserire alcune modifiche nella parte attinente all’amministrazione locale in modo da delinearne meglio l’ambito di competenza ed infine suggerisce di richiedere un parere all’Institut d’Estudis Autonòmics, o a un organo analogo, in merito alla costituzionalità delle disposizioni, riconoscendo che l’interpretazione sulla legittimità di certe norme data dalle forze politiche catalane possa essere eccessivamente di parte, rischiando così di inficiare l’ammissibilità del nuovo Statuto48. L’intervento successivo - decisamente più complesso del precedente - è di CiU, che in primo luogo sottolinea quanto sia stata positiva l’esperienza politica catalana degli ultimi 25 anni e asserisce che grazie a un approccio “catalanista” è stato possibile raggiungere il benessere economico pur difendendo l’identità culturale e linguistica della Catalogna e afferma poi che tale tendenza va mantenuta, ma al tempo stesso adeguata al contesto attuale49. In particolare CiU suggerisce di redigere un testo statutario ancora diverso da quello proposto, che faccia perno su tre linee guida: la necessità in ogni caso di modificare lo Statuto vigente, il riconoscimento dei diritti storici (che appare legittimo e in qualche modo anche dovuto, dal momento che alla Catalogna è riconosciuto lo status di nazione storica e che la Spagna ha introdotto il principio di autonomia proprio per riconosce le peculiarità storico-culturali di territori analoghi a quello catalano e non per 48 49 BOPC 208/2005, 11 luglio, pp. 50 e ss. BOPC 208/2005, 11 luglio, pp. 53 e ss. realizzare un decentramento fine a se stesso) e l’incremento dei poteri posti in capo al governo della Comunità Autonoma utilizzando gli spazi lasciati aperti dalla Costituzione. In merito a quest’ultimo aspetto Convergencia i Unió ricorda che il riconoscimento del principio dispositivo e di quello di autonomia hanno portato ad avere uno Stato decentrato e asimmetrico che lascia aperti molti spazi entro i quali le Comunità possono determinare a loro piacimento l’assetto da dare al proprio governo territoriale, senza forzare il testo costituzionale con interpretazioni che rischierebbero di limitare la legittimità dello Statuto50. Gli altri temi sui quali CiU propone delle modifiche attengono principalmente all’incremento del ruolo della Catalogna nell’Unione Europea, allo sviluppo delle relazioni bilaterali con lo Stato e all’amministrazione locale che si suggerisce di far regolamentare in modo unitario dalla Generalitat erodendo competenze in quel momento di titolarità dello Stato, ma al tempo stesso evitando di introdurre modifiche quali l’eliminazione delle Comarche51 prevista nella bozza di riforma dello Statuto. Infine è data particolare rilevanza anche al sistema tributario che si suggerisce di modificare in modo da garantire alla Comunità Autonoma un apporto regolare e sufficiente di entrate così che essa possa avere a disposizione risorse sufficienti per svolgere al meglio le proprie funzioni. A seguire troviamo il parere espresso dal Partito Socialista Catalano che sostiene la necessità di approvare un nuovo Statuto che incrementi i poteri dei governi locali, ma al tempo stesso ritiene che il testo proposto vada semplificato in 50 Nel testo dell’intervento di CiU troviamo le seguenti affermazioni: “l’autonomia no es va a assumir a la Constitució com un mer desig de descentralitzar l’Estat, sinó amb la clara i inequívoca volutat política de reconèixer i de garantir l’autonomia de les nacionalitats historiques” (trad.: l’autonomia non è stata inserita nella Costituzione per il mero desiderio di decentrare lo Stato, bensì con la chiara e inequivocabile volontà politica di riconoscere e garantire l’autonomia delle nazionalità storiche); e “la visió federal de l’Estat espanyol no ès constitucional, en la misura que la Carta Magna opta per un model d’Estat de vocació asimètrica y de reconeixiement del dret a l’autonomia” (trad.: la visione federale dello Stato spagnolo non è costituzionale nella misura in cui la Carta fondamentale opta per un modello di Stato che ha vocazione asimmetrica e che riconosce il diritto all’autonomia). BOPC 208/2005, p. 54. 51 Le Comarche sono unità amministrative territoriali che si collocano a un livello intermedio fra Comuni e Province. modo tale da diminuire il rischio di conflitti in sede parlamentare52. In particolare, sebbene il PSC ritenga che la bozza elaborata dalla Ponencia sia complessivamente costituzionale, suggerisce tuttavia di modificare alcuni aspetti sia per garantire in modo pacifico la legittimità dello Statuto sia per incrementare la funzionalità del testo statutario stesso. A tal fine osserva che gli elenchi eccessivamente dettagliati degli ambiti nei quali si vogliono esercitare le competenze statutarie (sono presenti cataloghi di materie, sotto materie, settori e sotto settori), sebbene possano apparire funzionali a evitare conflitti di attribuzione con lo Stato, al tempo stesso però presentano numerosi aspetti negativi che potrebbero inficiare il raggiungimento degli obiettivi perseguiti proprio attraverso l’approvazione del nuovo Statuto. In tal senso sono richiamati l’assenza di flessibilità e il rischio di avere un testo che divenga presto obsoleto per effetto dell’evoluzione socio-culturale. Non è sottaciuta la potenziale illegittimità costituzionale delle disposizioni in esame a causa dell’improbabile compatibilità di elenchi così puntuali, come quelli inclusi nella proposta di riforma, con le più generiche clausole di competenza presenti nella Costituzione. Il PSC rileva altresì un uso improprio dell’articolo 150.2 CE in base al quale lo Stato può delegare le Comunità Autonome a esercitare la competenza esclusiva (di cui comunque mantiene la titolarità) su determinate materie dallo stesso individuate. Per il partito è inopportuno l’inserimento di un elenco eccessivamente esteso di materie rispetto alle quali lo Stato centrale si impegna a delegare l’esercizio giacché, così facendo, si tratterebbe l’articolo in esame come uno strumento ordinario per l’assunzione di competenze da parte delle Comunità Autonome e se ne altererebbe la natura. Compatibilmente con tale visione si suggerisce pertanto di rinunciare all’assunzione di determinate competenze che presentano un’importanza relativa rispetto ad altre materie, di acquisizione prioritaria53. 52 Per il parere espresso dal PSC si veda il BOPC n.208/2005, 11 luglio, pp. 73 e ss. Per il Partito Socialista della Catalogna bisognerebbe, fra le altre, rinunciare all’assunzione delle competenze in materia di sicurezza pubblica, controlli lungo le frontiere, attività marittima, telecomunicazioni e spazi radio, meteorologia, gestione del sistema penitenziario, omologazione e riconoscimento dei titoli accademici. 53 Nel proprio parere il Partito Socialista della Catalogna suggerisce inoltre di non inserire nel progetto di testo statutario elementi quali la riforma del potere giurisdizionale nella sola Comunità Autonoma e la creazione di un’apposita circoscrizione elettorale per le elezioni del Parlamento Europeo giacché per poter procedere a tali modifiche bisognerebbe in primo luogo modificare le rispettive Leggio Organiche che disciplinano i richiamati istituti54. Infine propone di modificare gli articoli in tema di famiglia (affinché essa venga riconosciuta a prescindere dall’orientamento sessuale dei suoi componenti), di educazione (che si propone di non assumere fra le materie di competenza esclusiva della Comunità Autonoma a causa dell’incompatibilità con l’art. 27.2 CE) e di diritti linguistici (si suggerisce di includere il diritto a essere assistiti dalle istituzioni, per iscritto o oralmente, nella lingua che si preferisce fra Catalano e Castigliano). L’ultimo intervento è quello di ERC che esordisce affermando che lo Statuto del 1979 - pur avendo al proprio interno degli aspetti da approfondire - non permette in alcun modo di incrementare i poteri in capo al governo Catalano a causa dell’atteggiamento ostile messo in atto dallo Stato55. Ambisce pertanto a ottenere l’approvazione di un nuovo testo statutario che rafforzi e incrementi i poteri della Catalogna sia per ragioni di opportunità politica che per esigenze di natura culturale e identitaria (per ERC è prioritario che la Comunità catalana sia riconosciuta come Nazione e addirittura vorrebbe l’istituzione di una “comunità nazionale” che unisse tutti i territori che presentano legami con la cultura catalana stessa: la Comunità Valenziana, le isole Baleari, il principato di Andorra e la città di Alghero in Sardegna)56. 54 Ci si riferisce alla LOPJ (Ley Organica de Poder Judicial) e LOREG (Ley Organica de Régimen Electoral General). Si ricordi che la Legge Organica è lo strumento normativo utilizzato anche per l’emanazione degli Statuti, pertanto si avrebbe un contrasto fra fonti aventi pari grado. 55 Per il parere espresso da ERC si veda il BOPC n.208/2005, 11 luglio, pp. 83 e ss. 56 Nel BOPC in esame possiamo trovare le seguenti affermazioni: “l’obertura del procés estatutari havia de servir almenys per consolidar i impulsar l’autogovern, redefinint l’univers simbòlic i la identificació de Catalunya com a comunitat política i cultural. I per actualitzar i modernitzar el funcionament de les nostres institucions i donar un nou vigor al repartiment competencial Il partito sottolinea inoltre la fondamentale importanza dell’introduzione di un titolo di diritti e doveri all’interno del nuovo Statuto poiché essi, pur essendo compatibili con le corrispondenti disposizioni costituzionali, limitano le possibili ingerenze politiche nella vita dei cittadini catalani. Inoltre il riconoscimento dei diritti storici è in qualche modo dovuto giacché proprio la lingua, la cultura e le specificità giuridiche, sviluppatesi nell’arco dei secoli, hanno portato la Catalogna ad avere la fisionomia attuale. Come anche gli altri gruppi politici, ERC si dichiara a favore della riforma del sistema finanziario per garantire alla Generalitat un apporto economico idoneo alla realizzazione degli obiettivi prefissati e a garantire un maggior peso politicoistituzionale. Viene altresì individuata la necessità di incrementare le relazioni bilaterali con lo Stato per favorire la partecipazione effettiva della Comunità alle decisioni che la coinvolgono e, in ambito elettorale, si richiama la necessità improrogabile di dotare il territorio di una legge elettorale propria giacché - così si sostiene - la Catalogna è una Nazione e le deve essere riconosciuto lo status corrispondente. Sul tema dell’individuazione delle competenze l’intervento di ERC è di segno opposto rispetto a quello fatto dal PSC. In tale contesto, infatti, in primo luogo difende la scelta di un criterio di dettaglio che preveda elenchi di materie, sotto materie, settori e sotto settori poiché si ritiene che proprio questa sia l’unica via per evitare l’ingerenza dello Stato. In secondo luogo sostiene che l’uso dell’art. 150.2 CE quale strumento ordinario per l’acquisizione di competenze sia legittimo e in contingut a la Constitució i l’Estatut vigent, donant una redacció exhaustiva i prolixa a les competències, per evitar la intervenció de l’Estat en quelle matéries en que no disposa de titol per fer-ho, com demostra l’experiència dels darrers anys, en què hi ha hagut un abús dels títols transversals o de la noció ‘d’interès general’ i del principi de solidaritat” (Trad.: l’apertura del processo statutario doveva servire almeno per consolidare e incrementare il governo locale, ridefinendo il complesso simbolico e l’identificazione della Catalogna come comunità politica e culturale. E per attualizzare e modernizzare il funzionamento delle nostre istituzioni e dare nuovo vigore alla divisione delle competenze presente nella Costituzione e nello Statuto vigente, in modo da dare una redazione più esaustiva e approfondita delle competenze onde evitare l’intervento dello Stato in quelle materie rispetto alle quali non possiede il titolo per farlo, come dimostra l’esperienza degli anni passati, nei quali c’è stato un abuso dei titoli trasversali o della nozione di “interesse generale” e del principio di solidarietà). BOPC n.208/2005, 11 luglio, p. 84. ultima istanza ribadisce la necessità di assumere, attraverso l’uso del predetto strumento, competenze in materie quali l’omologazione di titoli accademici, la gestione di porti, infrastrutture e servizio meteorologico, nonché il controllo del transito dei veicoli e dei confini della Comunità Autonoma. Da quanto appena osservato emerge che il testo proposto dalla Ponencia, pur essendo frutto di un complesso lavoro di collaborazione fra le diverse forze politiche presenti, a causa dei diversi obiettivi perseguiti dai partiti coinvolti e della rilevanza delle novità introdotte non era comunque riuscito a ottenere il generale consenso auspicato. Pertanto sebbene sia possibile individuare aspetti che trovano un accordo complessivo fra i gruppi politici interessati (si pensi all’incremento delle relazioni bilaterali o alla modifica del sistema tributario), al tempo stesso ne esistono altri molto controversi (quali l’individuazione delle materie su cui esercitare le proprie competenze o la riforma del potere giudiziario). Il testo elaborato dalla Ponencia venne dunque discusso in sede parlamentare dove, alla luce delle opinioni espresse dalle forze politiche catalane sia nel BOPC n.208/2005 (contestualmente alla pubblicazione del progetto statutario stesso) sia in occasione di confronti ad esso successivi, si decise di apportare qualche altra modifica. Le più importanti in tal senso attengono all’inserimento di ulteriori materie di cui si assume la competenza (riducendo però l’elenco di quelle da ottenere attraverso l’art. 150.2) all’introduzione nella prima disposizione addizionale del riferimento espresso ai diritti storici (facendo all’uopo riferimento alla prima disposizione addizionale della Costituzione) ed infine all’indicazione, nella nona disposizione addizionale, delle Leggi Organiche che lo Stato dovrebbe modificare per rendere possibile l’attuazione piena dello Statuto. Il 29 luglio 2005 il testo così modificato fu sottoposto al vaglio della Commissione parlamentare incaricata di valutarne l’ammissibilità. Dopo essere da quest’ultima approvato, venne pubblicato nel BOPC n.213/2005, del 1 agosto, all’interno del quale troviamo anche le ulteriori modifiche che i gruppi parlamentari proposero di apportare al progetto statutario. Pare ora opportuno analizzare brevemente quanto espresso in tale sede dal Partido Popular che, uscendo dal silenzio fino ad allora serbato, manifestò ufficialmente il proprio totale disaccordo nei confronti del testo proposto57. Come appena richiamato, il PP rigetta in toto il progetto di Statuto giudicandolo genericamente incostituzionale e incompatibile con i principi rettori della Costituzione58. Fra le altre critiche, viene sostenuto anche che il testo proposto sia garantista nei confronti della Pubblica Amministrazione catalana, alla quale riconosce notevoli poteri e mezzi per agire, ma non lo sia altrettanto nei confronti della società socialmente complessa cui fa riferimento. Il partito si esprime in modo puntuale su alcuni temi salienti disciplinati dal testo statutario, quali il concetto di nazione, l’inserimento di un Titolo sui diritti, la scelta delle competenze e il sistema tributario. In primo luogo, com’era prevedibile, il PP - che storicamente rappresenta l’ala più conservatrice della politica spagnola - manifesta la propria contrarietà alla qualificazione della Catalogna come nazione. Nel suo discorso, dopo aver ricordato brevemente l’importanza rivestita dall’approvazione della Costituzione del 1978, ricorda che l’introduzione dei termini “nazionalità e regioni”, presenti nell’art. 2 CE, sia frutto di una complessa opera di mediazione volta a garantire l’unità dello Stato spagnolo e il riconoscimento delle specificità dei singoli territori; ricorda altresì che la carta costituzionale attribuisce la sovranità al popolo spagnolo complessivamente considerato, attribuendo pertanto lo status di Nazione solo alla Spagna - intesa in termini unitari - e non anche ad alcuni territori che la compongono (i cui abitanti, intesi in senso atomistico e quindi strettamente legato all’ambito territoriale di riferimento, non godono di sovranità). A seguire il partito popolare illustra le ragioni che lo spingono a essere contrario all’inserimento di un titolo dedicato a diritti e principi fondamentali che, pur non essendo necessariamente illegittimo, comporterebbe però svantaggi tali da annullare i pochi aspetti positivi. Più precisamente afferma che, per garantire la 57 BOPC n. 213/2005, 1 agosto. Il PP è così critico nei confronti del testo proposto da ritenere che sia incostituzionale anche solo il fatto di sostituire lo Statuto del 1979 con uno nuovo, poiché in materia la Costituzione parla solo di riforma. 58 legittimità di tale titolo, non bisognerebbe inserirvi né diritti fondamentali (che sono già disciplinati dalla Costituzione) né i diritti minori (che risultano già regolati dalle Leggi Organiche); in merito all’inclusione di un elenco di diritti fondamentali all’interno dello Statuto si aggiunge che questo rischierebbe di creare notevoli problemi nel sistema delle fonti sia perché una fonte di secondo grado verrebbe a tutelare aspetti precedentemente disciplinati solo dalla Costituzione, creando così potenziali problemi applicativi, sia per quanto concerne l’asimmetria giuridica fra le diverse Comunità Autonome che verrebbe introdotta in un settore importante come quello dei diritti fondamentali. Si aggiunge che potrebbe essere legittimamente inserito un Titolo avente i contenuti in esame solamente qualora codificasse i principi generali introdotti dalla legislazione catalana nelle materie di sua competenza, anche se in questo caso si correrebbe il rischio di dare eccessiva rigidità alle medesime leggi. Più complesso è il discorso in tema di competenze, rispetto alle quali si afferma che il progetto di riforma statutaria forza in modo eccessivo quanto stabilito dalla carta costituzionale, arrivando a sostituire il Tribunale Costituzionale avanzando interpretazioni dalla dubbia validità. Pertanto sebbene sia compito degli Statuti individuare le materie su cui esercitare i propri poteri, il PP ritiene che tuttavia si debba adempiere a tale ruolo senza forzare il contenuto delle competenze base individuate dallo Stato (come invece si fa nel progetto statutario) sia perché queste servono per regolamentare alcuni settori di interesse nazionale, sia perché presentano un contenuto che è generico per propria natura e non per essere specificato a piacimento dagli Statuti59. Si aggiunge poi che un testo statutario non può disporre di aspetti già regolamentati da Leggi Organiche giacché queste sono 59 Così si esprime il PP: “l’afirmació que la Constitució és oberta no pot servir de pretext perquè en qualsevol moment es redistribueixi o alteri el sistema de distribució competencial mitjançant successives reformes estatutàries de l’abast que convigui. El sistema de distribució competencial, per obert que sigui, tè uns límits que s’han de respectar” (trad.: l’affermazione che la Costituzione sia aperta non può servire quale pretesto perché in qualsiasi momento si ridistribuisca o modifichi il sistema di distribuzione delle competenze attraverso successive riforme statutarie dal contenuto più conveniente Il sistema costituzionale, per quanto aperto sia, ha dei limiti che vanno rispettati)”. BOPC n.213/2005, 1 agosto, p. 56. funzionali a dare una disciplina unitaria a tutto il territorio nazionale. Infine il PP critica la proposta di riforma del sistema tributario poiché non tiene conto della necessità di avere una disciplina fiscale che si applichi in modo soddisfacente a tutte le Comunità Autonome, compatibilmente con il principio di solidarietà. Sebbene non escluda una riforma del sistema finanziario, ritiene però che sia necessario procedervi instaurando un dialogo che coinvolga lo Stato centrale e tutte le regioni spagnole. Alla fine di luglio, come emerge da quanto analizzato fino a questo punto, il testo proposto dalla Ponencia e approvato in via preliminare dalla Commissione parlamentare, era articolato in sette Titoli - oltre a quello preliminare - e composto da duecentodiciotto articoli, sette disposizioni attuative, quattro disposizioni transitorie e cinque disposizioni finali, nonché dalle circa quattrocento modifiche proposte dai gruppi parlamentari che continuavano a sostenere posizioni molto diverse in merito. Insomma, oltre alle paure circa la possibile illegittimità di alcune disposizioni particolarmente “audaci”, bisognava fare i conti con la mancanza di un consenso trasversale che accomunasse le forze politiche coinvolte. Proprio al fine di ottenere un’opinione autorevole circa la legittimità costituzionale e sperando di raggiungere un maggior accordo in merito al contenuto del testo proposto, si decise di inviarlo al Consell Consultiu, affinché esprimesse il proprio parere sulla bozza di riforma statutaria. 3.3 Il dictamen del Consell Consultiu. Come accennato poco sopra, nel luglio del 2005 la proposta di riforma statutaria elaborata dalla Ponencia e oggetto di discussione presso il Parlamento Catalano dava luogo ad accesi dibattiti che riguardavano non solo lo scontro politico fra i partiti coinvolti, ma anche i dubbi circa la legittimità costituzionale del testo proposto a causa della portata estremamente innovativa dello stesso. Per avere un’opinione e riguardo a quest’ultimo aspetto si decise di richiedere a un organo collegiale, il Consell Consultiu, un parere circa la conformità del testo statutario rispetto alla Carta Fondamentale. Il Consell Consultiu è un organo consultivo afferente alla Generalitat, dotato di autonomia e indipendenza e avente carattere strettamente giuridico. È interessante osservare che la sua inclusione nello Statuto catalano del 1979 rappresentava una novità assoluta giacché prima di allora non si era pensato di istituire organi analoghi nelle Comunità Autonome. Composto da sette membri (di cui cinque eletti dal Parlamento catalano e due dalla Generalitat) che mantengono la carica per quattro anni, si occupa prevalentemente di vigilare sul rispetto dello Statuto e della Costituzione da parte delle istituzioni locali. Il Consell Consultiu è interpellato sia per valutare la legittimità di proposte di legge o di modifiche statutarie, sia per avere un parere sull’opportunità di avanzare un ricorso di incostituzionalità al Tribunale Costituzionale, sia perché si esprima sui conflitti positivi di competenza che coinvolgono Generalitat e Parlamento. Per quanto concerne la valutazione sull’ammissibilità costituzionale di progetti di legge o modifiche statutarie, l’iniziativa spetta a due gruppi parlamentari, o un decimo dei deputati, oppure al Consell stesso entro il termine di tre giorni dalla pubblicazione del testo della proposta nel BOPC; la richiesta di parere viene quindi esaminata dal Parlamento catalano che, essendo il soggetto formalmente titolare dell’iniziativa, ha il compito di valutare la correttezza dell’istanza e inoltrarla all’organo richiesto. Il Consell Consultiu ha l’onere di emettere il proprio dictamen - avente natura non vincolante - entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta di parere60. Come accennato sopra, alla luce delle complesse discussioni sollevate in merito al progetto di riforma statutaria si decise di richiedere al Consell Consultiu un parere sulla costituzionalità dello stesso. La richiesta di parere fu quindi emessa dal Parlamento catalano il 2 agosto 2005 per essere accettata dal Consell il giorno successivo; il dictamen è stato infine pubblicato dopo poco meno di trenta giorni. Veniamo quindi al contenuto del dictamen n. 269 dell’1 settembre 2005 nel 60 Si veda: E. ALBERTÍ I ROVIRA (cur.), Manual de dret públic de Catalunya, Barcelona, 2002, pp. 271 e ss. Per un riferimento normativo nonché per consultare i dictamenes emessi dal Consell Consultiu si rinvia alla pagina web dello stesso: www.cconsultiu.es . quale in primo luogo si osserva che, in base alla metodologia seguita, il Consell Consultiu ha deciso di concentrare la propria attenzione solo su quegli aspetti che, alla luce di una prima lettura, parevano forieri di una dubbia costituzionalità, giudicando pertanto che le restanti disposizioni fossero costituzionali. Facendo una panoramica generale sul contenuto del parere, che vedrà in seguito un approfondimento più puntuale su determinati aspetti, è possibile osservare che secondo l’opinione dell’organo adito sono costituzionalmente legittime le norme concernenti la qualificazione della Catalogna come nazione, il titolo dei diritti (Titolo I), la puntuale divisione delle competenze in sotto categorie e il nuovo modello tributario (anche se con qualche precisazione). Risultano invece incostituzionali l’assunzione di alcune materie fra le competenze esclusive della Catalogna (a titolo esemplificativo ricordiamo immigrazione, educazione, disciplina della materia contrattuale e disciplina degli enti locali), l’obbligo che lo Statuto vorrebbe imporre allo Stato di modificare determinate Leggi Organiche e Leggi ordinarie61, l’assunzione di competenze di spettanza statale attraverso l’operato della commissione bilaterale Stato-Generalitat, il diritto esclusivo di nomina del Presidente del Governo catalano da parte del Presidente del relativo Parlamento e l’uso dei diritti storici come titolo idoneo per esercitare in modo peculiare determinate competenze. A sottolineare la complessità tanto dei temi trattati quanto dell’analisi affrontata dal Consell Consultiu, va osservato che alcune disposizioni quali quelle concernenti il tema dei diritti storici e del sistema finanziario - sono state oggetto di una accesa discussione al termine della quale il parere sulla legittimità costituzionale è stato emesso sulla base di un’esigua maggioranza di 61 In merito a tale aspetto si ricorda in primo luogo che per modificare lo Statuto è necessaria la cooperazione fra Comunità Autonoma e Stato e che pertanto le Cortes Generales non possono agire di propria iniziativa; in secondo luogo si richiama il dovere di usare la disciplina dettata dallo Statuto del 1979 per riformare lo stesso e in ultima istanza si afferma che gli Statuti fanno parte del così detto “blocco di costituzionalità” in base a cui essi sono subordinati alla sola Costituzione e come tali sono dotati di rigidità rispetto alle altre fonti del diritto. Alla luce di quanto affermato si ricorda altresì che come lo Statuto una volta entrato in vigore è indisponibile sia per il legislatore statale che per quello comunitario, analogamente il medesimo Statuto non è lo strumento idoneo per disporre la modifica di Leggi Organiche o Leggi ordinarie che investono materie di competenza statale e che pertanto esulano completamente dall’ambito di intervento delle Comunità Autonome (Dictamen Consell Consultiu n. 269/2005, fundamento I). quattro voti contro tre. Poiché nel presente contesto non è possibile fare un’analisi esauriente di tutti i temi oggetto del dictamen, appare opportuno concentrarsi su alcuni fra quelli che presentano un particolare interesse quali il Preambolo, il Titolo Preliminare e il Titolo I. 3.3.1 Preambolo e Titolo Preliminare. Nel fundamento II il parere di legittimità affronta l’analisi del Titolo Preliminare, all’interno del quale troviamo la definizione della Catalogna come nazione e il riferimento ai diritti storici. Come richiamato nel precedente capitolo dell’elaborato, già in sede costituente era emerso il problema della qualifica da dare alle Comunità Autonome giungendo alla soluzione di compromesso di inserire nell’art. 2 CE il riferimento a nazionalità e regioni. Il problema sollevato dal testo statutario proposto attiene non solo alla legittimità dell’uso del termine “nazione” anziché “nazionalità” (come presente sia nell’art. 2 CE che nello Statuto catalano del 1979), ma anche all’inclusione o meno del concetto di sovranità al suo interno. Relativamente al termine “nazionalità” in primo luogo si ricorda che già in sede costituente si era affermato che esso doveva ritenersi sinonimo e perfettamente sostituibile a quello di “nazione” e che tanto la dottrina quanto la giurisprudenza si erano mantenute complessivamente in linea con questo orientamento; in base a tale ragionamento pertanto l’uso del termine “nazione” ai soli fini definitori deve ritenersi legittimo. Più complesso è verificare che dietro all’uso della parola “nazione” non sia sottesa un’idea di sovranità che entri in contrasto con quella spettante esclusivamente allo Stato spagnolo, ma anche in questo frangente il Consell Consultiu ritiene che non esista alcuna illegittimità. Nel sostenere tale opinione viene richiamato sia l’art. 1 della proposta di riforma, nella parte in cui afferma che "Cataluña ejerce su autogobierno mediante instituciones propias, constituida como comunidad autónoma de acuerdo con la Constitución y el presente Estatuto"62, ritenendo che con tale espressione il legislatore catalano non volesse tanto attribuire alla Comunità un potere sovrano autonomo, quanto inserire a pieno titolo le proprie istituzioni governative fra quelle facenti parte dello Stato, sebbene dotate di competenze e ambito di influenza distinti. Analogamente laddove nell’art. 3.1 del medesimo testo si legge che “la Generalitat es Estado”, si deve intendere non tanto che la Generalitat costituisca uno Stato a sé, bensì che appartenga allo Stato spagnolo. Infine il riferimento alla fonte dei poteri del governo locale da individuarsi nel popolo catalano63 non deve sollevare alcun dubbio di costituzionalità sia per l’espresso riferimento che la norma fa alla Costituzione, sia perché già altri statuti giudicati legittimi - quali quello Canario, quello Aragonese e quello Andaluso - contenevano riferimenti analoghi al proprio interno. Più complesso è invece il discorso concernente i diritti storici della Catalogna quale titolo per assumere competenze nuove e ulteriori, analogamente a quanto accade per i regimi forali di Paesi Baschi e Navarra. In tal senso il dato normativo cui fare riferimento è costituito da una parte dall’art. 5 del testo proposto (El autogobierno de Cataluña se fundamenta en los derechos historicos del pueblo catalán, que el presente Estatuto incorpora y actualiza64) e dalla Prima Disposizione Addizionale dello stesso in base a cui “se reconocen y se acutalizan, mediante el presente Estatuto, tal y como establece el artículo 5, los derechos históricos de Cataluña, de acuerdo con lo establecido por la disposición adicional primera de la Constitución65”. Al secondo comma segue un elenco degli ambiti specifici che vengono garantiti in particolar modo dai diritti storici, fra cui risaltano il regime finanziario, il diritto civile, il regime linguistico, l’educazione e 62 Trad.: la Catalogna esercita il suo governo autonomo attraverso istituzioni proprie, essendo costituita quale Comunità Autonoma d’accordo con la Costituzione e il presente Statuto. 63 “Los poderes de la Generalitat emanan del pueblo de Cataluña y se ejercen de acuerdo con lo establece este Estatuto y la Constitución”(trad.: i poteri della Generalitat sono emanati dal popolo della Catalogna e si esercitano conformemente a ciò che stabilisce questo Statuto e la Costituzione), art. 2.4 della proposta di riforma. 64 Trad.: il governo autonomo della Catalogna si fonda sui diritti storici del popolo catalano, che il presente statuto incorpora e attualizza. 65 Trad.: si riconoscono e attualizzano, tramite il presente Statuto, così come stabilisce l’articolo 5, i diritti storici della Catalogna, conformemente a quanto stabilito dalla Prima Disposizione Addizionale della Costituzione. l’organizzazione territoriale; infine il terzo comma recita: “los derechos históricos, en la Constitución, amparan y garantizan el regime singular de las competencias y las atribuciones de la Generalitat en los terminos que establece el presente Estatuto66”. Dall’altra parte occorre considerare le già richiamate Prima Disposizione Attuativa CE - che riconosce e tutela i diritti storici dei territori forali e Seconda Disposizione Transitoria CE, che attribuisce alle comunità storiche la facoltà di costituirsi in Comunità Autonome seguendo un iter agevolato. Il Consell Consultiu inizia ad articolare le proprie riflessioni osservando che la peculiare identità culturale della Catalogna non può essere negata sia perché essa è da secoli oggetto di confronti sia perché ha ricevuto uno specifico riconoscimento costituzionale all’interno della Seconda Disposizione Transitoria. Per l’organo adito, quindi, il mero riferimento dell’art. 5 ai diritti storici è legittimo purché rivesta una mera valenza culturale, senza comportare l’assunzione di specifiche competenze. Tuttavia sottolinea che riconoscere le specificità storiche di un popolo non equivale ad attribuirgli automaticamente competenze e poteri peculiari dal momento che, affinché ciò avvenga in modo legittimo, non basta utilizzare gli strumenti normativi idonei, ma occorre anche che la necessità di ammettere tale tutela sia in primo luogo condivisa dalla generalità dei consociati, in ossequio al principio democratico67. Si sostiene quindi che il riconoscimento dei diritti storici finalizzato a ottenere una diversa distribuzione delle competenze deve fare perno sul suddetto principio e non agire in modo alternativo e autonomo rispetto a esso quasi a volerlo aggirare - poiché in tal caso la legittimità giuridica dello stesso sarebbe fragile e dubbia. Pertanto, verificata la legittimità dell’art. 5, occorre capire se la Prima Disposizione Addizionale del testo statutario proposto (che attribuisce 66 Trad.: i diritti storici, nella Costituzione, tutelano e assicurano il regime specifico delle competenze e delle attribuzioni della Generalitat nei termini stabiliti dal presente Statuto 67 Così si legge nel dictamen: “la Constitución y el Estatuto son el instrumento gurídico que debe permitir la asunción de derechos históricos, siempre que éstos no contradigan los principios del Estado social y democrático de derecho” (trad.: la Costituzione e lo Statuto sono lo strumento giuridico che deve permettere l’assunzione dei diritti storici, sempre che essi non contraddicano i principi dello Stato sociale e democratico di diritto). Dictamen Consell Consultiu 269/2005, 1 settembre, fundamento II, p. 26. alla Comunità Autonoma peculiari competenze in virtù dei suoi diritti storici) sia costituzionalmente legittima o rappresenti invece un tentativo di aggirare il principio democratico. Si analizza quindi la Prima Disposizione Addizionale CE per stabilire se l’accesso al regime forale sia effettivamente aperto a tutti i territori, oppure se la genericità dell’articolo sia solo apparente, riguardando esso esclusivamente Paesi Baschi e Navarra68. Senza dubbio alla luce di una prima interpretazione letterale la disposizione sembra ammettere l’accesso al regime forale a ogni Comunità Autonoma; interpretazione che però contrasta con i lavori preparatori della Costituzione da cui emerge che l’inserimento della norma in esame era specificamente diretto al territorio basco-navarro. Il ragionamento del Consell Consultiu prosegue sostenendo come non sia possibile nemmeno dedurre la Seconda Disposizione Transitoria, nella quale si dà espresso riconoscimento all’identità storica catalana, per giustificare l’accesso della Catalogna al regime forale giacché tale disposizione era esclusivamente finalizzata a facilitare l’accesso all’autonomia a quei territori che ne avevano usufruito prima della Guerra Civile, prescindendo però dal riconoscimento dello status giuridico tipico dei territori forali. Infine nel parere si rileva che la peculiarità giuridica del regime forale di Navarra e Paesi Baschi fa perno sul diritto pubblico (alla luce del quale nei relativi Statuti sono codificati diritti specifici); diverso è invece il caso della Catalogna, in cui la peculiarità della tradizione giuridica locale attiene non al diritto pubblico, ma al diritto civile. Tutti gli elementi appena considerati portano il Consell Consultiu da una parte a giudicare incostituzionale la Prima Disposizione Addizionale della proposta di riforma statutaria nel momento in cui essa è funzionale all’assunzione di nuove e specifiche competenze, dall’altra a ritenere legittimo l’art. 5 del medesimo 68 Per completezza si riporta il testo della Prima Disposizione Addizionale CE: “La Constitución ampara y respeta los derechos históricos de los territorios forales. La actualización general de dicho régimen foral se llevará a cabo, en su caso, en el marco de la Constitución y de los Estatutos de Autonomía”. Trad.: la Costituzione tutela e rispetta i diritti storici dei territori forali. L’attualizzazione generale di detto regime formale verrà portata a compimento, in questo caso, nel quadro della Costituzione e degli Statuti di Autonomia. testo nella parte in cui contiene un semplice riferimento ai diritti storici in quanto legati all’identità culturale catalana69. Analogamente va considerata incostituzionale la proposta di modifica n. 400 in base a cui si vorrebbe includere nell’art. 5 del testo statutario proposto un riferimento esplicito ai diritti storici quale fonte per il riconoscimento del diritto civile e del diritto di lingua. Il Consell Consultiu, pertanto, analizzando quelle che a suo giudizio sono le disposizioni più problematiche dello Statuto catalano, sostiene il legittimo uso del termine “nazione” riferito alla Catalogna (poiché sinonimo di “nazionalità” e privo di attribuzione di sovranità alla Comunità Autonoma) così come ritiene costituzionale il riferimento di natura prettamente culturale che l’art. 5 del testo fa ai diritti storici. Viceversa, si reputa illegittima la Prima Disposizione Addizionale in quanto, facendo impropriamente perno sui diritti storici, è finalizzata ad attribuire alla Catalogna delle competenze. 3.3.2 Il Titolo I. Un’altra fondamentale innovazione introdotta dalla proposta riforma dello Statuto attiene all’inserimento di un titolo (Titolo I) che codifichi diritti e doveri dei cittadini catalani e principi fondamentali delle relative istituzioni. L’inserimento di siffatto titolo - oltre ad alcune norme in esso codificate - aveva destato qualche perplessità circa la conformità con il testo costituzionale, così da indurre il Consell Consultiu a farne oggetto della propria analisi. 69 “Según los criterios que hemos expuesto en este fundamento y atendiendo al hecho de que : primero, la interpretación de la disposición adicional primera de la Constitución no permite incluir a Cataluña como integrante de los territorios forales que disponen de un régimen de derecho público, a los que se refiere este precepto constitucional; segundo, dicha disposición adicional primera de la Propuesta de Reforma se configura como un título autónomo de atribución de competencia, hay que concluir que dicha disposición adicional primera […] es inconstitucional” (trad.: in base ai criteri che abbiamo esposto in questo “fundamento” e considerando il fatto che: primo, l’interpretazione della Prima Disposizione Addizionale della Costituzione non permette di includere la Catalogna fra quei territori forali che presentano un regime di diritto pubblico proprio, a cui si riferisce detta norma costituzionale; secondo, detta Prima Disposizione Addizionale della Proposta di Riforma si configura come un titolo autonomo per l’assunzione di competenze. Alla luce di ciò bisogna concludere che tale Prima Disposizione Addizionale […] è incostituzionale). Dictamen Consell Consultiu n. 269/2005, 1 settembre, fundamento II, p. 37. Nel proprio ragionamento l’organo consultivo esordisce facendo una valutazione di natura comparatistica, osservando che la presenza di un elenco di diritti, doveri e principi si può da tempo individuare in altri stati decentrati quali i Länder tedeschi, i cantoni svizzeri o gli stati membri statunitensi. A seguire si osserva che la medesima dichiarazione, inserita all’interno di uno Statuto di autonomia, non presenta alcuna incompatibilità con il sistema costituzionale spagnolo perché i cittadini catalani restano titolari dei diritti e dei doveri indicati nella Costituzione a prescindere da quale che sia il contenuto del testo statutario. Proseguendo la propria analisi, nel dictamen sono individuati due ordini di ragioni che rendono astrattamente legittima l’esistenza di una dichiarazione di diritti e doveri all’interno di un testo statutario. In primo luogo si ricorda che gli Statuti sono norme di origine statale (Leggi Organiche) che hanno lo scopo di individuare le istituzioni delle Comunità, le loro competenze e i loro poteri conformemente al principio dispositivo e a quello di autonomia; risulta pertanto legittimo che le medesime fonti giuridiche individuino i limiti (costituiti dai diritti dei singoli cittadini e dai principi fondamentali) entro i quali le medesime istituzioni locali sono tenute a esercitare le proprie funzioni. Essendo tipico delle carte costituzionali creare un sistema di controlli e contrappesi che permetta di conservare l’equilibrio fra i poteri, non va considerato illegittimo l’inserimento di un elenco di diritti, doveri e principi che ha lo scopo di riprodurre il medesimo sistema di contrappesi nei territori decentrati. In secondo luogo si sostiene che la previsione di tale titolo sia a maggior ragione comprensibile alla luce del Titolo IV del testo statutario proposto che, individuando le competenze assunte dalla Comunità con particolare precisione e dettaglio, abbisogna di equivalenti limiti da opporre alle istituzioni catalane. Il Consell Consultiu individua altresì tre limiti che il testo statutario deve rispettare per potersi considerare legittimo. In prima istanza occorre rispettare la riserva di Legge Organica per quanto attiene allo sviluppo dei diritti fondamentali costituzionalmente garantiti (art. 81 CE), i quali non possono essere oggetto di disciplina statutaria. Vanno poi rispettare le condizioni essenziali che lo Stato, che in questo campo detiene la competenza esclusiva, delinea per garantire alla generalità dei cittadini spagnoli l’uguaglianza nell’esercizio di diritti e doveri costituzionali70. Infine, lo scopo più importante che gli Statuti rivestono e che hanno il dovere di realizzare è l’individuazione di poteri e limiti cui devono fare riferimento le istituzioni e gli enti delle rispettive Comunità. Per il Consell Consultiu è legittimo che, qualora lo Statuto catalano rispetti i limiti appena indicati, inserisca altresì una dichiarazione di diritti, doveri e principi che sia capace di limitare parzialmente le competenze dello Stato centrale. Alla parte introduttiva legata alla legittimità complessiva del Titolo I che si è appena analizzata, segue l’esame di alcuni articoli del medesimo Titolo. Il primo ad essere discusso è l’art. 21.1 del testo statutario proposto in base a cui “todas las personas tienen el derecho a la enseñanza pública y de calidad y a acceder en condiciones de igualdad . La Generalidad debe establecer un modelo educativo que garantice este derecho y en el que la enseñanza pública es laica”71; tale disposizione viene analizzata insieme agli artt. 16.1 CE, che tutela la libertà di culto, e 16.3 CE, in base a cui si afferma da una parte l’assenza di una religione di Stato, dall’altra si dispone che le istituzioni pubbliche instaurino relazioni con la Chiesa cattolica e con le altre confessioni religiose seguite dai cittadini spagnoli. Viene altresì preso in considerazione l’art. 27.2 CE che dispone che l’educazione sviluppi la personalità individuale rispettando i principi democratici così come i diritti e le libertà fondamentali. Emerge pertanto un problema interpretativo che pone a confronto il principio di laicità dello Stato con quello della tutela della libertà di culto del singolo individuo, considerati nella loro espressione a livello educativo. Nel dictamen si osserva che la laicità dello Stato si manifesta tanto nella 70 Viene in proposito richiamato l’art. 149.1.1 CE in base a cui: “el Estado tiene competencia exclusiva sobre las siguientes materias: la regulación de las condiciones básicas que garanticen la igualdad de todos los españoles en el ejercicio de los derechos y el cumplimiento de los deberes constitucionales” (trad.: lo Stato detiene la competenza esclusiva nelle seguenti materie: la regolamentazione delle condizioni basilari che garantiscono l’uguaglianza di tutti gli spagnoli nell’esercizio dei diritti e l’adempimento dei doveri costituzionali). 71 Trad.: tutte le persone hanno diritto all’insegnamento pubblico e di qualità, nonché ad accedervi in condizioni di uguaglianza. La Generalitat deve stabilire un modello educativo che garantisca tale diritto e nel quale l’insegnamento sia laico. mancata assunzione di un orientamento religioso all’interno delle proprie istituzioni, quanto nella assoluta libertà di culto riconosciuta al singolo individuo; l’elemento religioso - e in particolar modo quello cattolico - non viene eliminato dal panorama istituzionale, bensì viene disposto che esso sia oggetto di appositi concordati in modo da garantire una maggiore rappresentazione della generalità dei consociati. Viene pertanto aggiunto un ulteriore elemento al quadro normativo in esame giacché in base all’art 27.3 CE i poteri pubblici tutelano il diritto dei genitori di vedere impartita ai propri figli un’educazione “religiosa y moral que esté de acuerdo con sus convicciones”72. Dagli articoli in esame emerge quindi che lo Stato, pur essendo laico, si impegna a riconoscere il culto eventualmente professato dai propri cittadini e a garantire una formazione religiosa corrispondente. Viene però sottolineato che gli obblighi di natura religioso-educativa assunti dallo Stato sono costituzionalmente definiti nel contenuto, ma non nella modalità di adempimento. Pertanto, l’art.21.1 della proposta di riforma statutaria è da ritenersi costituzionalmente legittimo nel momento in cui dispone che l’insegnamento pubblico in Catalogna debba essere squisitamente laico; si precisa però che a tale norma corrisponda un parallelo obbligo delle istituzioni catalane di predisporre un sistema alternativo a quello scolastico canonico - e sempre pubblico - che garantisca la formazione religiosa a chi ne faccia richiesta. A seguire sono esaminati altri due articoli della proposta di riforma (artt. 28.2 e 32.5) la cui legittimità costituzionale risulta subordinata a una specifica interpretazione o a una parziale modifica. In merito all’art. 28.2, che disciplina il diritto di partecipazione, il Consell Consultiu precisa che nel momento in cui l’articolo richiama il diritto di nomina dei propri rappresentanti in capo ai cittadini catalani, occorre ritenere che detto diritto sia riconosciuto nelle elezioni per il Parlamento Europeo e in quelle municipali anche agli stranieri aventi cittadinanza in uno Stato comunitario (in ossequio all’art. 19 del Trattato costitutivo della 72 Trad.: religiosa e morale che sia conforme alle loro convinzioni. Comunità Europea) e sia altresì riconosciuto anche agli stranieri extracomunitari in occasione delle elezioni municipali, conformemente all’art. 13.2 CE. Rispetto all’art. 32.5, che sancisce il diritto dei cittadini catalani di rivolgersi a qualsiasi istituzione utilizzando indifferentemente Spagnolo o Catalano, l’organo consultivo afferma la necessità di integrare la disposizione in esame tramite l’introduzione di una riserva di legge che rinvii a un testo legislativo che con maggior precisione disciplini questo tema, puntualizzando il regime linguistico da adottare e le istituzioni di riferimento. Infine sono esaminati gli articoli 42.3 e 50.1 della proposta di riforma. La prima delle due norme dispone che “los poderes públicos deben procurar que las campañas institucionales que se organizen en ocasión de los procesos electorales tengan como finalidad la de promover la participación ciudadana y que los electores reciban de los medios de comunicación una información veraz, objetiva, neutral y respetuosa del pluralismo político sobre las candidaturas que concurren en los procesos electorales73. Si decreta pertanto un dovere di controllo delle istituzioni in occasione delle tornate elettorali affinché queste veglino sul rispetto del pluralismo politico da parte dei media e sulla diffusione - ad opera dei poteri pubblici stessi - di informazioni neutrali e obiettive, finalizzate a favorire la partecipazione del corpo elettorale al voto senza propendere in alcun modo per un determinato orientamento politico. In tal senso l’uso del termine “neutral” si collega al dovere delle istituzioni di garantire - senza sfruttare impropriamente la propria posizione pubblica - un corretto apporto di informazioni sia da parte delle istituzioni stesse che da parte della generalità dei media. Tale disposizione è costituzionalmente legittima poiché compatibile con l’art. 1.1 CE74, giacché nel 73 Trad.: i poteri pubblici devono fare in modo che le campagne istituzionali che si organizzano in occasione di procedimenti elettorali abbiano come fine quello di promuovere la partecipazione della cittadinanza e che gli elettori ricevano dai mezzi di comunicazione un’informazione veritiera, obiettiva, neutrale e rispettosa del pluralismo politico rispetto alle candidature che concorrono nelle proposte elettorali. 74 Così dispone l’art. 1.1 CE: “España se constituye en un Estado social y democrático, que propugna como valores superiores de su ordenamiento jurídico la libertad, la justicia, la igualdad y el pluralismo político” (trad.: la Spagna si costituisce in uno stato sociale e democratico, che contesto elettorale la comunicazione neutrale e obiettiva è un corollario del rispetto del pluralismo politico; va poi osservato che l’articolo 42.3 è in linea anche con la Ley Organica de Régimen Elecotoral General (LOREG) in base alla quale in periodo elettorale le istituzioni possono esprimersi ufficialmente solo per effettuare comunicazioni che attengano alle modalità di votazione o ad altri aspetti tecnici analoghi. Distinto è invece il discorso da farsi sull’art. 50.1 del testo statutario proposto che dispone: “Corresponde a los poderes públicos promover las condiciones para garantizar el derecho a la información y a recibir de los medios de comunicación una información veraz y neutral, y unos contenidos que respeten la dignidad de las personas y el pluralismo político, social, cultural y religioso”75. La norma quindi dispone che le istituzioni hanno il dovere di vigilare affinché tutte le informazioni diffuse dai media siano non solo veritiere e rispettose delle differenze politiche e culturali, ma anche neutrali. In questo caso l’uso del termine “neutral” e l’attribuzione di un corrispondente potere di controllo in capo ai poteri pubblici presenta notevoli dubbi circa la legittimità costituzionale dell’articolo in esame. Infatti, come viene richiamato dal Consell Consultiu, nel parlare del diritto di informazione la Costituzione non dispone nulla rispetto al dovere di diffondere notizie che si conformino al criterio di neutralità. Così l’art. 20.1.d CE dispone che: “se reconocen y protegen los derechos a comunicar o recibir libremente información veraz por cualquier medio de difusión. La ley regulará el derecho a la cláusula de conciencias y al secreto profesional en el ejercicio de estas libertades”76; come si può osservare, oltre all’obbligo di verità, non c’è alcun riferimento al contenuto delle informazioni. Analogamente nel quarto comma del persegue come valori superiori del proprio ordinamento giuridico la libertà, la giustizia, l’uguaglianza e il pluralismo politico). 75 Trad.: è dovere dei poteri pubblici promuovere le condizioni per garantire il diritto all’informazione e a ricevere dai mezzi di comunicazione un’informazione che sia veritiera e neutrale, avente contenuti che rispettino la dignità delle persone e il pluralismo politico, sociale, culturale e religioso. 76 Trad.: si riconoscono e proteggono i diritti a comunicare o ricevere liberamente informazioni veritiere da parte di ogni mezzo di diffusione. La legge regolerà il diritto all’obiezione di coscienza e al segreto professionale relativi all’esercizio di queste libertà. medesimo articolo si indicano i limiti a cui è soggetta la libertà in esame e fra essi non è presente alcun riferimento alla neutralità77. Nel dictamen viene quindi richiamata la giurisprudenza del Tribunale Costituzionale che in più occasioni ha affermato che la libertà di informazione viene tutelata nel momento in cui le istituzioni evitano interferenze e intromissioni nei media, garantendo così l’effettiva esistenza del pluralismo politico78: in sintesi, libertà di informazione significa piena libertà del mezzo attraverso cui l’informazione stessa è data, ma questa non potrebbe mai esistere nel momento in cui alle istituzioni è attribuito il potere di controllo sui media sia pubblici che privati, potere che - se esercitato - potrebbe solo inficiare la presenza del pluralismo politico che, a differenza della “neutralità”, riceve una precisa tutela costituzionale nell’art. 1.1 CE. L’unica eccezione ammissibile in tale frangente è data dalle notizie concernenti ambiti nei quali i poteri pubblici esercitino la piena titolarità, a cui corrisponde il dovere di diffondere informazioni ufficiali e neutrali (si pensi alle imprese pubbliche o ai settori nei quali le istituzioni gestiscono gli interessi della collettività). Alla luce del ragionamento appena illustrato, il Consell Consultiu sostiene che l’art. 50.1 del testo statutario proposto sia incostituzionale79. 77 Così si legge nell’art. 20.4 CE: “estas libertades tienen su límite en el respeto a los derechos reconocidos en este Título, en los preceptos de las leyes que lo desarrollen y, specialmente, en el derecho al honor, a la intimidad, a la propia imagen y a la protección de la juventud y de la infancia” (trad.: queste libertà trovano i propri limiti nel rispetto dei diritti riconosciuti in questo Titolo, nei precetti di legge che lo sviluppino e, specialmente, nel diritto all’onore, all’intimità, alla propria immagine e alla protezione della gioventù e dell’infanzia). 78 “la neutralidad como criterio definidor de la información es la ecuidistancia, que como tal, hace abstracción del pluralismo a la vez que lo niega” (trad.: le neutralità come criterio definitorio dell’informazione è costituito dall’equidistanza, che, come tale, prescinde dal pluralismo politico e contemporaneamente lo nega). Dictamen Consell Consultiu 269/2005, 1 settembre, fundamento III.5, p.55. 79 Così si afferma del documento in esame: “por lo tanto, la incorporación del adjetivo neutral de la información con carácter general y sin distinciones lesiona el artículo 20.1.d CE, entendido en relación al artículo 1.1 CE, razón por la cual el apartado 1 del artículo 50 de la Propuesta de Reforma es inconstitucional en lo que se refiere a la actividad informativa de medios de comunicación de naturalezza privada” (trad.: quindi, l’inclusione dell’aggettivo neutrale riferito all’informazione di carattere generale e senza distinzioni lede l’art. 20.1.d CE, inteso in relazione all’articolo 1.1 CE, ragione per cui il primo comma dell’articolo 50 della Proposta di Riforma è incostituzionale nella parte in cui si riferisce all’attività d’informazione dei mezzi di comunicazione di natura privata). Dictamen Consell Consultiu 269/2005, 1 settembre, fundamento III.5, p.56. Il 29 settembre 2005 il Parlamento catalano si riunisce in seduta plenaria per votare il progetto ufficiale di riforma statutaria da presentare presso il Parlamento spagnolo di Madrid. Il testo oggetto della votazione non differisce molto da quello pubblicato nell’agosto e, a differenza del precedente, include quasi tutte le modifiche proposte dal Consell Consultiu nel proprio dictamen. L’unica vera differenza rispetto al suddetto parere è il mancato accoglimento delle proposte in tema di diritti storici: l’art. 5, pur presentando un testo diverso dal precedente, non accoglie il suggerimento dell’organo consultivo di non utilizzare tali diritti quale titolo per ottenere ulteriori specifiche competenze, bensì - seguendo una logica opposta - elenca in modo puntuale le competenze in materia di diritto civile, lingua, educazione, cultura e sistema istituzionale che la Comunità Autonoma catalana assume in virtù dei diritti storici del popolo catalano80. Viene invece modificata la Prima Disposizione Addizionale della proposta di Statuto che è semplificata rispetto alla versione originaria precedentemente analizzata81. Un’ulteriore modifica apportata al testo presentato al Parlament catalano è l’introduzione del Preambolo la cui stesura era stata a lungo posticipata - che richiama le origini storiche della Comunità e il desiderio di vedere perfezionato il riconoscimento delle proprie peculiarità culturali e identitarie, realizzando un rapporto di interdipendenza con lo 80 Così recita il testo del nuovo articolo 5: “el autogobierno de Cataluña como nación se fundamenta también en los derechos históricos del pueblo catalán, en sus instituciones seculares y en la tradición jurídica catalana, que en el presente Estatuto incorpora y actualiza al amparo del artículo 2, la disposición transitoria segunda y otras disposiciones de la Constitució, preceptos de los que deriva el reconocimiento de una posición singular de la Generalitat en relación con el derecho civil, la lengua, la educación, la cultura y el sistema institucional en que se organiza la Generalitat” (trad.:l’autogoverno della Catalogna come nazione è fondato anche sui diritti storici del popolo catalano, sulle sui istituzioni secolari e sulla tradizione giuridica catalana, che nel presente Statuto incorpora e attualizza la tutela dell’articolo 2 CE, la Seconda Disposizione Transitoria e altre disposizioni della Costituzione, precetti da cui deriva il riconoscimento di una posizione peculiare della Generalitat in relazione al diritto civile, alla lingua, all’educazione, alla cultura e al sistema istituzionale in cui si organizza la Generalitat). 81 La Prima Disposizione Addizionale della Proposta di Statuto recita: “la aceptación del régimen de autonomía establecido por el presente Estatuto no implica la renuncia del pueblo catalán a los derechos que, como tal, le corresponden en virtud de su historia, que pueden ser actualizados de acuerdo con lo establecido por la disposición adicional primera de la Constitución” (trad.: l’accettazione del regime di autonomia stabilito dal presente Statuto non implica la rinuncia del popolo catalano ai diritti che, in quanto tale, gli corrispondono in virtù della sua storia, i quali possono essere attualizzati in conformità con quanto stabilito dalla Prima Disposizione Addizionale della Costituzione). Stato e con le altre regioni spagnole; da sottolinearsi l’espresso riferimento, anche in questa sede, alla Catalogna come nazione, ai sui diritti storici e all’idea di Stato plurinazionale82. La proposta di riforma del testo statutario presentata al Parlamento riunito in seduta plenaria viene discusso fra il 29 e il 30 settembre, venendo poi approvato con la straordinaria maggioranza di 120 voti favorevoli (corrispondenti a poco più del 90% dei parlamentari catalani), rispetto ai 15 voti contrari dei membri del PP. Il 30 settembre 2005 il Parlamento della Catalogna approva dunque il testo statutario da proporre alle Cortes Generales perché queste lo avvallassero per poi emanarlo ufficialmente come Legge Organica. Si conclude quindi la prima fase catalana dell’iter per la riforma dello Statuto del 1979; tappa che, come osservato, si è snodata attraverso il complesso lavoro di elaborazione - ma anche mediazione e coordinazione - svolto dalla Ponencia e in generale da tutte le forze politiche coinvolte, nonché attraverso il parere emesso dal Consell Consultiu che ha contribuito a rafforzare la correttezza giuridica dello Statuto proposto. Il prodotto finale è dunque un testo che presenta, fra le innovazioni più importanti, la definizione della Catalogna come nazione, la deduzione di diritti storici quale titolo per l’assunzione di precipue competenze, l’introduzione di un Titolo dedicato a diritti, doveri e principi fondamentali; si propone un diverso sistema finanziario, l’incremento delle relazioni bilaterali con lo Stato, così come una più pregnante partecipazione in ambito Europeo e un nuovo e più dettagliato sistema per l’assunzione di competenze83. 3.4 L’approvazione dello Statuto presso il Parlamento spagnolo. Dopo l’approvazione della proposta di riforma da parte del Parlamento catalano, avvenuta come visto sopra il 30 settembre 2005, prendeva inizio l’iter di discussione e approvazione del nuovo testo statutario presso le Cortes Generales di Madrid. Come si è visto precedentemente, l’iter legis in sede parlamentare prevede 82 83 V. supra quanto affermato in merito alla Dichiarazione di Barcellona (capitolo II, paragrafo 1). L’approvazione dal Parlamento in seduta plenaria è pubblicata nel BOPC 3 ottobre 2005, n. 224. in primo luogo che la proposta statutaria elaborata dalla Comunità Autonoma, dopo essere stata presentata da una delegazione della Comunità stessa, sia oggetto della valutazione preliminare del Parlamento detta “debate de la Totalidad”84. Il debate de la Totalidad ebbe luogo il 2 novembre 2005 e vide in primo luogo l’intervento dei rappresentanti del Parlamento della Catalogna che posero l’accento sulle numerose innovazioni che il testo voleva apportare sia rispetto all’incremento del grado di autonomia per la Comunità Autonoma, sia in merito alla propria qualifica di nazione e agli altri aspetti di matrice culturale-identitaria. Venne altresì manifestato il desiderio di dar luogo a un dibattito costruttivo con il Parlamento, finalizzato ad apportare le modifiche necessarie senza però veder disattesi i propri obiettivi di riforma. Nel successivo intervento del Presidente del Governo, José Luis Rodriguez Zapatero, questi, fra le altre cose sostenne sia il legittimo riconoscimento dell’identità nazionale catalana e l’inclusione di un titolo di diritti e libertà fondamentali sia l’opportunità di modificare le relazioni bilaterali fra Stato e Generalitat sia la revisione del sistema di attribuzione di competenze, anche se da effettuarsi con maggior cautele rispetto a quanto proposto. Va anche osservato che il capo dell’opposizione, Mariano Rajoy, fece un intervento dai toni molto forti criticando tanto il Governo di maggioranza quanto il testo statutario presentato che definì incostituzionale e superfluo. Al termine del dibattito, 197 voti favorevoli, contro 146 contrari e un astenuto portarono ad ammettere la proposta di modifica statutaria all’esame del Parlamento85. Dopo l’ammissione all’esame del Congreso de Diputados, si è aperto il termine per la presentazione di modifiche da apportare al testo statutario proposto86. 84 V. supra il paragrafo 1 in merito al procedimento di modifica degli Statuti di Autonomia. Si ricordi che il così detto Plan Ibrarretxe, presentato dai Paesi Baschi nel 2003, fu immediatamente rigettato perché non ottenne l’approvazione preliminare in occasione del debate de Totalidad (v. supra capitolo I, paragrafo 2). Il testo degli interventi effettuati in occasione del debate de Totalidad possono essere reperiti nel Diario de Sesiones del Congreso de los Diputados, n. 125/2005, pp. 6164 e ss. 86 Le modifiche proposte sono raccolte nel Boletín Oficial de las Cortes Generales (BOCG), serie B, n. 210-7, del 3 gennaio 2006. 85 Gli apporti più rilevanti anche in questo contesto sono stati quelli del Partito Socialista e di quello Popolare. Il primo, contrariamente alle aspettative dei politici catalani, suggerisce numerose modifiche che incidono in modo rilevante sul contenuto del testo proposto, pur motivandole con toni che vogliono essere pacati. Il PSOE sostiene che, pur dovendosi riconoscere alla Catalogna le peculiarità storiche, culturali e identitarie, occorre altresì restare nel solco della Costituzione e suggerisce quindi di perseguire le medesime finalità, ma attraverso un testo statutario differente da quello presentato. Seguendo questa linea di pensiero fra le modifiche avanzate troviamo l’eliminazione dei termini “nazione” e “nazionale” riferito alla Catalogna in quanto si ritiene che essi siano incompatibili con l’art. 1.2 CE e che possano essere attribuiti esclusivamente allo Stato spagnolo87. Si suggerisce altresì di modificare, da una parte, l’art. 5 poiché in base alla lettera della norma i diritti storici paiono essere l’unico titolo che legittimi l’acquisizione di nuove competenze e, dall’altra parte, la Prima Disposizione Addizionale in quanto incompatibile con la Prima Disposizione Addizionale CE sui territori forali88. Il Partito Socialista propone inoltre di eliminare tutte le norme che attribuiscono alla lingua catalana un regime privilegiato rispetto a quella castigliana poiché fra esse deve esistere piena equivalenza89. La proposta di modifica successiva riguarda il Titolo I, che codifica diritti, doveri e principi fondamentali della Comunità Autonoma: il PSOE sostiene la legittimità di siffatto titolo, ma aggiunge che perché questo sia pienamente compatibile con la Costituzione è necessario che rispetti appieno i limiti da essa posti e che non sia utilizzato per modificare in alcun modo il regime di distribuzione delle competenze. Analogamente rimanendo in materia di competenze viene affermata la validità della proposta di inserire una disciplina più precisa e dettagliata, sempre che così facendo non si alteri l’assetto previsto dalla carta 87 Enmienda n. 5, BOCG, serie B, n. 210-7/2006. Enmienda n. 6, BOCG, serie B, n. 210-7/2006. 89 Enmienda n. 7, BOCG, serie B, n. 210-7/2006. 88 costituzionale che coinvolge i rapporti dello Stato con le Comunità Autonome. In accordo con tale visione è stilato un elenco di materie che andrebbero rimosse dall’elenco presentato nel testo proposto dalla Catalogna90. Le osservazioni mosse dal Partido Popular hanno, come era prevedibile alla luce delle idee conservatrici sostenute da detta formazione politica, uno stampo fortemente critico nei confronti delle innovazioni proposte dal testo statutario elaborato nella Comunità catalana. La proposta di modifica investe addirittura il titolo da dare alla riforma del testo statutario91 e suggerisce di eliminare completamente Preambolo, Titolo Preliminare e Titolo I sostenendo che vadano contro tre valori quali la Costituzione, l’uguaglianza e la libertà. Il PP sostiene inoltre categoricamente che la Catalogna non può essere definita nazione giacché detto termine è riconducibile solo allo Stato spagnolo e presuppone - in modo più o meno manifesto - la detenzione di un qualche potere di sovranità che in nessun modo può essere ricondotto a una Comunità Autonoma. Il PP non manca di esprimersi in merito al riferimento ai diritti storici sostenendo la piena illegittimità della disposizione che, priva di fondamento costituzionale, viene utilizzata per attribuire alla Catalogna delle competenze specifiche che non le spettano poiché essa non costituisce un territorio forale. Sono altresì oggetto di critica le disposizioni in materia di diritti e doveri così come quelle sul regime linguistico. Nel primo caso si depreca non tanto la previsione in astratto di un titolo statutario avente siffatta natura, quanto la mancanza di uguaglianza che verrebbe in essere fra i cittadini spagnoli a causa della codificazione di diritti, doveri e principi che determinano un’alterazione nello status giuridico di base. Relativamente al regime linguistico, invece, si afferma che è illegittimo sia trattare 90 Enmiendas n. 9 e 10, BOCG, serie B, n. 210-7/2006 Nell’Enmienda n. 21 si suggerisce di modificare il titolo del documento da “Propuesta de Reforma del Estatuto Autonómico de Cataluña” a “modifica de la Ley Orgánica 4/1979, de 18 diciembre, de Estatuto de Autonomía de Cataluña”, volendo così sottolineare che con il primo titolo nella sostanza si opta per approvare uno Statuto nuovo e totalmente diverso dal precedente, mentre con il nome suggerito dal PP si mantiene in modo più netto il legame con il testo statutario precedente e al tempo stesso si garantisce la conformità alla Costituzione che prevede esclusivamente la possibilità di modificare uno Statuto già esistente e non di sostituirlo con uno nuovo. (BOCG, serie B, n. 210-7/2006) 91 il catalano come idioma preferenziale nel rapporto con l’amministrazione locale sia prevederne l’obbligo di conoscenza da parte di tutti i soggetti che risiedo in Catalogna, poiché così facendo si creerebbe un regime discriminatorio rispetto al Castigliano - che è comunque lingua coufficiale - e rispetto a tutti quei soggetti provenienti da altre Comunità Autonome o da altri Stati. Il PP pertanto, oltre a proporre di eliminare il Preambolo, il Titolo Preliminare e il Titolo I - che probabilmente rappresentano la parte più innovativa della proposta statutaria suggerisce di introdurre altre modifiche che coinvolgano numerose disposizioni del testo presentato92. Come richiamato all’inizio del presente paragrafo, una volta chiuso il termine per proporre modifiche, una Ponencia composta in egual misura da rappresentanti del Parlamento Catalano e membri della Commissione Costituzionale aveva il compito di elaborare un informe contenente il testo di riforma come modificato alla luce delle osservazioni e delle proposte di emendamenti presentate: la Ponencia iniziò i propri lavori il 6 febbraio 2006 e li terminò il 6 marzo successivo93. Concentrando ancora una volta l’attenzione sulla parte iniziale del testo statutario esaminiamo brevemente quali modifiche furono introdotte dalla Ponencia riguardo a Preambolo, Titolo Preliminare e Titolo I94. Il Preambolo risulta notevolmente semplificato rispetto alla versione approvata dal Parlament catalano nel settembre del 2005 e sono eliminati i riferimenti più forti alle rivendicazioni identitarie della Comunità Autonoma, così come è quasi azzerato l’uso del termine “nazione” riferito alla Catalogna. L’unico riferimento all’identità nazionale catalana si trova nella parte finale del Preambolo in cui si afferma che “el Parlamento de Cataluña, recogiendo el sentimiento y la voluntad de la ciutadania 92 Enmiendas n. 21 e ss., BOCG, serie B, n. 210-7/2006 Si osservi che particolare importanza ha rivestito in tale frangente l’accordo politico stilato fra il capo del Governo spagnolo Zapatero e il Segretario Generale di CiU Artur Mas: per cercare di superare l’impasse costituita dalle numerose proposte di modifica avanzate (che rendevano particolarmente difficile il raggiungimento di un accordo sul contenuto da dare alla proposta di riforma statutaria) Mas e Zapatero concordarono quale assetto dare al testo dello statuto raggiungendo un compromesso fra le differenti esigenze manifestate. 94 L’informe elaborato dalla Ponencia costituita presso la Commissione Costituzionale fu pubblicato il 7 marzo 2006 nel BOCG, serie B, n. 210-11. 93 de Cataluña, ha definido de forma ampliamente mayoritaria a Cataluña como Nación. La Constitución Española, en su artículo segundo, reconoce la realidad nacional de Cataluña como nacionalidad”95; come si può evincere dal testo appena richiamato, la formula adottata nell’informe non riconduce alcun valore giuridico al termine “nazione”, ma si limita a riportarne l’uso che ne fa il popolo catalano, quasi come se fosse una nota di costume. Le modifiche più importanti che attengono al Titolo Preliminare concernono gli articoli 1, 5 e 6.2. Nell’art. 1 scompare la definizione della Catalogna come nazione, per sostituirla con quella di nazionalità (meno problematica e già utilizzata nello Statuto del 1979). Il discusso articolo 5 continua a fare riferimento ai diritti storici, ma la sua portata normativa viene notevolmente ridimensionata; è invece eliminata la Prima Disposizione Addizionale. Infine, per quanto concerne l’art. 6.2, si afferma che il dovere di conoscere il Catalano si limita ai soli cittadini della Comunità Autonoma e non riguarda più la generalità dei consociati che per una qualsiasi ragione si trovino nel detto territorio. Veniamo quindi al Titolo I che presenta complessivamente un numero esiguo di modifiche relative soprattutto a una diversa formulazione di diritti già previsti nel testo elaborato presso la Comunità Autonoma. La novità più importante concerne l’art. 37 in base a cui si decreta che i capi I, II e III del Titolo in esame vincolino tutti i poteri pubblici della Catalogna e non più i poteri pubblici che hanno sede in Catalogna: cade quindi il vincolo che era stato posto in capo agli enti dell’Amministrazione Pubblica statale aventi sede nella Comunità catalana con l’unico limite dato dal rispetto dei diritti linguistici codificati dagli articoli 32 e 33. Infine il comma 4 della disposizione in esame dispone che i diritti tutelati dal Titolo I non determinino alcuna modifica nel sistema di attribuzione di competenze. In linea generale è possibile osservare che il lavoro di compromesso realizzato dalla Ponencia della Commissione Costituzionale ha senza dubbio modificato in 95 Trad.: il Parlamento della Catalogna, rilevando il sentimento e la volontà della cittadinanza catalana, ha definito alla luce di un’ampia maggioranza la Catalogna come nazione. La Costituzione spagnola, nel proprio articolo secondo, riconosce l’identità nazionale della Catalogna come nazionalità. modo rilevante il contenuto della proposta di riforma dello Statuto (si pensi che oltre al Preambolo sono stati modificati 144 articoli su 227, 8 disposizioni addizionali su 10 e 3 disposizioni transitorie su 5), tuttavia questo lavoro ha altresì permesso di giungere a un testo statutario maggiormente condiviso dalle forze politiche nazionali96. Fra il 9 e il 21 marzo 2006 presso la Commissione Costituzionale e alla presenza della delegazione catalana si svolse la discussione sull’informe della Ponencia. Il dibattito, durante il quale si assistette ai prevedibili scontri di natura giuridico-politica che opponevano in modo netto il PP al PSOE, modificarono parzialmente il testo proposto dall’informe senza tuttavia alterarne in modo sostanziale l’assetto97. La votazione finale decretò l’approvazione del testo con 50 voti a favore (22 dei membri della Commissione e 28 dei rappresentanti della delegazione catalana) e 27 contrari (17 dei membri della Commissione e 10 della delegazione catalana)98. Ottenuto il voto positivo sul testo statutario da parte della Commissione Costituzionale, per concludere l’iter legis presso il Congresso dei Deputati era necessario raggiungere il consenso (da esprimersi con maggioranza assoluta) di quest’ultimo riunito in seduta plenaria. Votazione che ebbe luogo il 30 marzo seguente e che portò all’approvazione del progetto di Statuto grazie a 189 voti a favore, rispetto ai 154 contrari e ai 2 astenuti99. Terminata dunque la parte dell’iter legis che coinvolgeva il Congreso de los Diputados, prendeva avvio l’esame del testo presso il Senato. A tal fine l’analisi della proposta statutaria è stata in primo luogo valutata dalla Comisión General de las Comunidades Autónomas, il cui ruolo è in un certo senso analogo a quello 96 J. TORNOS MAS, Los Estatutos de Autonomía de Cataluña, Barcelona, 2007, pp. 131 e ss. I verbali delle discussioni sostenute presso la Commissione Costituzionale sono reperibili in: Diario de Sesiones del Congreso de los Diputados, numeri 498-512. 98 Il testo finale è stato pubblicato nel BOCG, serie B, n. 210-14, del 22 marzo 2006. 99 Si noti che fra i partiti che espressero il proprio voto favorevole troviamo PSOE, PSC, CiU, ICV, PNV e BNG, mentre fra quelli contrari, oltre al PP, è presente ERC che era contrario al contenuto finale del testo proposto perché, a suo giudizio, questo era stato modificato a tal punto da avere snaturato il testo originariamente approvato dal Parlamento catalano, eliminando così tutte le principali innovazioni che esso voleva introdurre. 97 svolto dalla Commissione Costituzionale presso l’altra Camera parlamentare e che doveva essere affiancata da una delegazione di rappresentanti della Catalogna. Il dibattito presso la Camera Alta prese avvio a partire dal 24 aprile 2006, giorno in cui fu costituita la Ponencia Conjunta, composta in egual misura da membri della Commissione Generale delle Comunità Autonome e da rappresentanti della Catalogna, il cui compito era valutare il contenuto del testo statutario, proporre eventuali modifiche e stilare un informe in merito; informe che doveva poi essere approvato dalla Commissione Generale e infine dal Senato riunito in seduta plenaria100. Durante i lavori ancora una volta emerse l’ostilità del Partido Popular che propose un veto nei confronti della proposta di riforma statutaria in esame. Detta proposta non fa altro che ricalcare le obiezioni già presentate dal medesimo partito in occasione del dibattito presso l’altra Camera e richiama la presunta incostituzionalità del testo, l’inammissibilità di alcun riferimento alla Catalogna come nazione (a prescindere dal fatto che ora si trovi nel solo Preambolo), i pregiudizi al principio di unità a causa delle notevoli disparità di trattamento introdotte sia in materia di diritti e doveri, che per la politica finanziaria e linguistica. Ancora una volta il PP dichiara illegittimo il riferimento ai diritti storici poiché incompatibile con la Seconda Disposizione Transitoria CE e con la Prima Disposizione Addizionale CE; sostiene altresì l’inutilità della riforma stessa che, a suo giudizio, avrebbe dovuto far perno sullo Statuto catalano del 1979 in modo da sfruttare i punti non ancora sviluppati dello stesso, piuttosto che sostituirlo con un testo totalmente nuovo, finendo per contravvenire alla Costituzione stessa che disciplina solo la possibilità di modificare uno Statuto vigente, senza prevederne la sostituzione101. Il veto avanzato fu rigettato per 68 voti (25 dei Senatori e 43 della delegazione catalana) contro ai 29 a favore (24 dei Senatori e 5 della delegazione catalana). 100 Il contenuto del dibattito svolto in senato è reperibile in: Diario de Sesiones del Senado, anno 2006, n. 312, 318, 319 e 321. 101 BOCG Senado, serie III B, n. 12 (c), 24 aprile 2006. Anche le proposte di modifica, avanzate soprattutto dal Partito Popolare e dal Gruppo “Entesa Catalana de Progrés” (di cui fa parte Esquerra Republicana Catalana), hanno essenzialmente ripresentato le medesime osservazioni già opposte nel Congresso dei Deputati, senza pertanto introdurre novità rilevanti ai fini della nostra analisi102. Emerge pertanto che le maggiori insoddisfazioni sono manifestate dagli schieramenti che rappresentano le due ali estreme delle forze politiche coinvolte: da una parte il PP, frustrato per il contenuto a suo parere eccessivamente innovativo del testo statutario, e dall’altra parte ERC, delusa per le ragioni opposte ovvero perché, a suo parere, durante l’iter di approvazione la proposta di riforma aveva perso la carica innovativa di cui era originariamente dotata, finendo quindi per essere in qualche modo snaturata. Il lavoro della Ponencia Conjunta si sviluppò nell’arco di pochi giorni e il 3 maggio presentò il proprio informe che rendeva conto delle modifiche proposte, pur senza allontanarsi in modo rilevante dal testo approvato dalla Camera Alta poche settimane prima103. La Commissione Generale delle Comunità Autonome, cinque giorni dopo la pubblicazione dell’informe, approvò il proprio dictamen nel quale si rigettavano tutte le modifiche avanzate condividendo pertanto la proposta statutaria approvata dal Congresso dei Deputati104. Confermando l’orientamento seguito sia dalla Camera Bassa che dalla Commissione Generale, il Senato riunito in seduta plenaria diede la propria approvazione alla proposta di Legge Organica per la riforma dello Statuto della Catalogna105. Venne quindi completata anche la parte di iter legis che doveva aver luogo presso il Parlamento spagnolo, anche se occorre osservare che la maggioranza raggiunta presso la Camera Alta era comunque piuttosto risicata (128 voti 102 103 104 BOCG Senado, serie III B, n. 12 (d), 24 aprile 2006. BOCG Senado, serie III B, n. 12 (f), 3 maggio 2006. BOCG Senado, serie III B, n. 12 (g), 8 maggio 2006. La votazione finale vide 61 voti a favore (25 dei membri della Commissione e 36 della delegazione catalana), 34 voti contrari (24 dei membri della Commissione e 10 della delegazione) e un astenuto. 105 BOCG Senado, serie III B, n. 12 (h), 10 maggio 2006. favorevoli rispetto a 125 contrari), a sottolineare quanto il procedimento per l’approvazione del nuovo Statuto fosse stato complesso dall’inizio alla fine. Come accennato precedentemente, una volta ottenuta l’approvazione del testo statutario in sede parlamentare era necessario superare un ultimo vaglio, costituito dal giudizio degli elettori catalani, chiamati ad esprimere il loro parere in merito al nuovo Statuto attraverso il referendum. Quest’ultimo venne indetto dal Presidente della Generalitat attraverso il Decreto n. 170/2006, emanato il 18 maggio (e pubblicato nel Boletín Oficial de Estado (BOE) n. 119, del 19 maggio) che fissava per il successivo 18 giugno la data della votazione. Finalmente nel giugno del 2006, nonostante l’affluenza alle urne fosse stata piuttosto limitata (circa il 48,85 % degli aventi diritto), grazie al voto favorevole del 73,29 % dei votanti lo Statuto venne approvato anche dal popolo catalano e il 19 luglio entrò ufficialmente in vigore con la Legge Organica 6/2006, de Reforma del Estatuto de Autonomía de Cataluña, che sostituì il precedente Statuto (LO 4/1979)106. Dall’analisi svolta in questo capitolo, emergono le due tendenze contrapposte presenti sul territorio spagnolo a partire dai primi anni del secolo attuale. Da una parte, infatti, le forze nazionaliste delle Comunità aventi una più spiccata vocazione autonomista (quali Paesi Baschi, Galizia e, nel nostro caso, Catalogna) hanno manifestato in modo netto la propria volontà di mettere in atto un procedimento di riforma che le portasse a ottenere maggiori poteri e a definire in modo più netto alcuni aspetti giuridico-normativi del proprio territorio (si pensi al riferimento catalano ai diritti storici o all’identità nazionale oppure ai diritti linguistici); dall’altra parte, a tali forze riformatrici locali non corrispondeva un analogo modo di sentire sul piano politico nazionale che facilitasse in termini netti l’iter di riforma statutaria intrapreso. 106 I dati normativi e quelli sull’affluenza al voto possono essere reperiti sul sito della Generalitat (www.gencat.cat). Così facendo, nel caso dei Paesi Baschi il Plan Ibarretxe non superò il vaglio preliminare del debate de la Totalidad, mentre nel caso della Catalogna il procedimento di riforma - anzi di sostituzione - dell’Estatut, seppur giunto a termine nel giugno del 2006 con l’entrata in vigore della LO 6/2006, era stato sicuramente complesso e molto articolato. Inoltre il testo finale si distanziava tanto da quello originariamente proposto dal Parlamento della Comunità Autonoma da generare forti scontri anche fra le forze promotrici dello stesso (PSC, ERC e CiU). Si può in ogni caso osservare che, sebbene il nuovo Statuto della Catalogna nel corso del procedimento di approvazione abbia perso molta della forza innovativa che caratterizzava il testo uscito dal Parlament catalano, abbia tuttavia costituito una novità assoluta sul piano della normativa statutaria spagnola, tanto da indurre altre Comunità Autonome - quali Andalusia, Aragón, e Isole Baleari - a seguirne l’esempio e intraprendere l’iter per la riforma dei propri Statuti seguendo il modello catalano. 4. Il ricorso di incostituzionalità sollevato dal PP. Il 31 luglio 2006 il Partido Popular, che come visto osteggiò fin dall’inizio l’approvazione dello Statuto di Autonomia della Catalogna107, depositava presso il Tribunale Costituzionale un ricorso di incostituzionalità che colpiva il testo statutario catalano quasi nella sua totalità. Il ricorso presenta una struttura piuttosto complessa e si propone in prima istanza di esaminare il sistema delle fonti spagnolo e il ruolo che gli Statuti di Autonomia rivestono al suo interno, per poi analizzare lo Statuto della Catalogna e individuare i limiti, le violazioni della disciplina costituzionale e le illegittime attribuzioni di competenza che questo presenta. In primo luogo, come accennato sopra, viene richiamato il sistema delle fonti e, con esso, il complesso compito di individuare e disciplinare gli ambiti di 107 V. supra, paragrafo 3. influenza e i poteri dello Stato centrale e delle Comunità Autonome. Viene a tal fine richiamato il principio di competenza, il ruolo essenziale che esso svolge nelle relazioni fra gli enti territoriali e fra le disposizioni di legge da essi emanate e si afferma altresì che, a giudizio del ricorrente, lo Statuto della Catalogna ha violato detto principio assumendo poteri in materie che esulano dalle proprie competenze. Il PP ricorda altresì le principali disposizioni costituzionali che disciplinano il contenuto dei testi statutari, ovvero gli articoli 147 CE (in cui è indicata la natura degli Statuti, il contenuto minimo che devono presentare e l’obbligo di riformarli attraverso Legge Organica), 148.2 CE (che ricorda il dovere delle norme statutarie di non assumere competenze in materie di spettanza statale) e 149 CE (che indica quali competenze spettano in via esclusiva allo Stato e quali di conseguenza possono essere assunte dalle Comunità Autonome in via residuale). Analizzando l’art. 147.2 viene poi affermato che la norma introduce una “riserva di Statuto” relativa; infatti in essa si indica il contenuto minimo che il testo statutario deve presentare, senza però escludere che esso disciplini altre materie di cui non si fa menzione nell’articolo in esame e anzi rendendo lecita l’assunzione di poteri che come tali rientrano anche nella sfera di attribuzioni dello Stato, prevedendo così che siano assunte competenze condivise108. Analizzando il testo statutario catalano, il documento depositato dal PP presso il Tribunale Costituzionale depreca in primo luogo la scelta di inserire in uno Statuto di Autonomia un Titolo che disciplini diritti, doveri e principi fondamentali, ma ancora di più critica la struttura del titolo stesso che a giudizio del partito modifica la struttura data dalla Costituzione in tale frangente. Nello specifico si afferma che la carta costituzione ha suddiviso i diritti in essa riconosciuti in più tipologie, assegnando a ciascuna un’apposita disciplina: così si richiama la distinzione esistente fra Diritti Fondamentali e Libertà Pubbliche (artt. 15-29 CE), Diritti e Doveri dei Cittadini (artt. 30-38 CE), Principi Fondamentali della Politica sociale e economica (artt. 39-54 CE) e le garanzie specifiche per la tutela di diritti e doveri 108 Fundamento Jurídico-constitucional I, paragrafo 1 e ss. del ricorso d’incostituzionalità sollevato dal PP, pp. 11 e ss. (artt. 53-55 CE), ricordando poi che l’art. 53.2 CE riconosce una precipua tutela ai diritti contenuti nell’art. 14 e nella Sezione I, Capo II, del Titolo I CE, stabilendo che per essi soltanto è concessa la possibilità di utilizzare il Recurso de Amparo (cioè un ricorso diretto da parte del singolo cittadino che può rivolgersi senza intermediari sia alla giustizia ordinaria che al Tribunale Costituzionale per ottenere immediata tutela del diritto che si presume violato)109. Osservando la struttura del Titolo I dello Statuto della Comunità Autonoma della Catalogna il PP sostiene che essa è incostituzionale poiché non ricalca il modello dato dalla Carta fondamentale né per quanto attiene suddivisione in sottogruppi di diritti e doveri (si richiama in tal senso l’unione di diritti fondamentali e diritti sociali nel Capo I, la commistione di diritti civili e diritti politici e la classificazione del diritto di lingua come diritto fondamentale), né rispetto alla disciplina degli stessi (viene criticata l’introduzione di uno strumento omologo al Recurso de Amparo, ovvero il ricorso diretto presso il Tribunal Superior de Justicia de Cataluña, disponendo però che esso possa essere attivato in caso di violazione di ogni diritto o libertà tutelato dal testo statutario). Il Partido Popular quindi afferma che tale disciplina statutaria è incostituzionale sia perché esula dalle competenze spettanti allo Statuto, sia perché disattendendo la struttura data dalla Costituzione determina una manifesta violazione dell’art. 53 CE110. Terminata la valutazione preliminare del Titolo I, viene fatta un’analisi più puntuale dello stesso. In primo luogo si richiamano i diritti e i principi fondamentali codificati nello Statuto che sono riconducibili alle disposizioni contenute nella sezione I, Capo II del titolo I della CE (artt. 14-29), affermando che essi sono dotati 109 Così recita l’art. 53.2 CE: “Cualquier ciudadano podrá recabar la tutela de las libertades y derechos reconocidos en el artículo 14 y la Sección 1ª. del Capítulo II ante los Tribunales ordinarios por un procedimiento basado en los principios de preferencia y sumariedad y, en su caso, a través del recurso de amparo ante el Tribunal Constitucional. Este último recurso será aplicable a la objeción de conciencia reconocida en el artículo 30” (trad.: qualsiasi cittadino potrà ricevere la tutela delle libertà e diritti riconosciuti nell’art. 14 e nella sezione 1ª, del Capo II davanti ai Tribunali ordinari tramite un procedimento basato sui principi di preferenza e sommarietà e, eventualmente, tramite il ricorso de amparo presso il Tribunale Costituzionale. Quest’ultimo ricorso sarà applicabile anche all’obiezione di coscienza riconosciuta nell’art. 30). 110 Si veda il Fundamento Jurídico-constitucional I, paragrafo 3.2 del ricorso d’incostituzionalità sollevato dal PP, pp. 20 e ss. di una particolare forza che rende incostituzionale ogni disposizione - contenuta in qualsiasi fonte normativa - che presenti un contenuto innovativo rispetto a quanto disciplinato nella Carta Costituzionale. In particolare detta illegittimità è dovuta a due fattori: da una parte rispetto a diritti e principi fondamentali esiste una riserva costituzionale in base a cui essi possono essere disciplinati solo dalla Costituzione; dall’altra parte nei casi in cui è previsto che essi ricevano una disciplina complementare, l’art. 81.1 CE dispone che la regolamentazione sia contenuta in Leggi Organiche (Leggi Organiche che per il PP sono di competenza esclusivamente statale, giacché volte a introdurre disposizioni con valore coercitivo per tutti i consociati) e non in Statuti di Autonomia111. Vengono poi fatte alcune precisazioni in merito ai diritti economici e sociali e ai relativi principi fondamentali. In prima istanza si afferma che possono essere oggetto di regolamentazione statutaria, sempre che essi siano attinenti alle competenze assunte dalle Comunità Autonome; in seconda battuta, però, si precisa che la disciplina di diritti e principi afferenti agli ambiti socio-economici spetta comunque allo Stato qualora siano riconducibili alle competenze esclusive di quest’ultimo112. Viene altresì aggiunto che nei casi in cui uno Statuto di Autonomia sia legittimato a legiferare su determinati diritti e libertà fondamentali, deve al tempo stesso rispettare alcuni limiti immanenti alla disciplina, quali il principio di uguaglianza (art. 14 CE) e i principi di unità del mercato e di libertà di concorrenza 111 Il PP pertanto sostiene che, sebbene gli Statuti di Autonomia siano effettivamente approvati con Legge Organica (art. 147.3 CE), l’art. 81.1 CE implichi una distinzione fra diverse tipologie di detta fonte normativa: occorre quindi distinguere fra le Leggi Organiche che, essendo elaborate e approvate in sede esclusivamente statale e avendo una portata applicativa più ampia, sono le uniche idonee a sviluppare il contenuto dei diritti fondamentali e delle libertà pubbliche (artt. 15-29 CE) e quelle che, introducendo o modificando gli Statuti delle Comunità Autonome, devono limitarsi a regolamentare gli aspetti che più specificamente afferiscono al territorio di riferimento. Si riporta di seguito il testo dell’art. 81.1 CE: “son Leyes Orgánicas las relativas al desarrollo de los derechos fundamentales y de las libertades públicas, las que aprueben los Estatutos de Autonomía y el régimen electoral y las demás previstas en la Constitución” (trad.: sono Leggi Organiche quelle relative allo sviluppo dei diritti fondamentali e delle libertà pubbliche, quelle che approvano gli Statuti di Autonomia e la disciplina elettorale e tutte le altre previste nella Costituzione). 112 In tale contesto è fatto esplicito riferimento agli artt. 21 (diritto all’educazione) e 23 (diritto alla salute) dello Statuto della Catalogna collegandoli agli artt. 27 (libertà di educazione), 43 (tutela della salute) e 149.1.16 CE (competenza esclusiva dello Stato in materia sanitaria), a sostenere l’illegittimità della regolamentazione degli stessi nel testo statutario catalano. (139.2 CE). L’analisi viene conclusa sostenendo che, poiché in base all’art. 147.2 CE la regolamentazione di diritti e principi fondamentali non è un contenuto necessario degli Statuti di Autonomia, questo è ammissibile solo qualora sia legittimato da altri elementi, quali l’assunzione di competenze in materie a esso connesse. Il fundamento in esame si conclude con una valutazione generale su temi quali l’assunzione di competenze da parte dello Statuto, le relazioni bilaterali StatoComunità Autonoma e il “mandato legislativo” che il testo statutario imporrebbe allo Stato rispetto all’impegno di quest’ultimo di modificare alcune norme. Il “Fundamento Jurídico-constitucional” successivo esamina in modo più puntuale le singole disposizioni statutarie oggetto del ricorso di incostituzionalità. Le prime norme analizzate sono il Preambolo e il Titolo Preliminare113. Del Preambolo sono criticati espressamente due punti: “El autogobierno de Cataluña se fundamenta en la Constitución, asì como en los derechos históricos del pueblo catalán que, en el marco de aquella, dan origen en este Estatuto al reconocimiento de una posición a la Generalitat”.114 “El Parlamento de Cataluña, recogiendo el sentimento y la voluntad de la ciudadanía de Cataluña, ha definido de forma ampliamente mayoritaria a Cataluña como nación. La Constitución Española, en su artículo segundo, reconoce la realidad nacional de Cataluña como nacionalidad”115. 113 Fundamento Jurídico-constitucional II, parte “del preámbulo del Estatuto y preceptos que se contretan en su título preliminar”, paragrafo 1, del ricorso d’incostituzionalità sollevato dal PP, pp. 35 e ss. 114 Trad.: l’autogoverno della Catalogna si basa sulla Costituzione, così come sui diritti storici del popolo catalano che, nel quadro di quest’ultima, danno origine nell’ambito del presente Statuto al riconoscimento di una posizione propria alla Generalitat. 115 Trad.: Il Parlamento della Catalogna, facendo proprio il sentimento e la volontà della cittadinanza catalana, ha definito in modo ampiamente maggioritario la Catalogna come nazione. La Costituzione spagnola, nel suo articolo due, riconosce la realtà nazionale della Catalogna quale nazionalità. Il primo punto problematico attiene all’espresso riferimento ai diritti storici. Si sostiene che sia illegittimo ricondurre i poteri della Catalogna alla propria tradizione storica piuttosto che allo Stato, o se non altro ponendo sullo stesso piano la Costituzione - unica vera fonte del potere delle Comunità Autonome - e i diritti storici. Come già richiamato in altre parti del presente capitolo, il PP ricorda che la carta costituzionale attribuisce solo a Paesi Baschi e Navarra il diritto di costituire un regime forale proprio (Prima Disposizione Addizionale), mentre alla Catalogna è riconosciuto solo il diritto di costituire la propria Comunità Autonoma seguendo una via semplificata (Seconda Disposizione Transitoria); per il ricorrente la Comunità catalana è perfettamente consapevole di tale differenza giuridica, tanto da cercare di aggirare detto limite richiamando nell’art. 5 proprio la Seconda Disposizione Transitoria quale fonte per l’acquisizione di nuove competenze, alla luce del riconoscimento che essa dà alla Comunità storica catalana116. Seguendo il medesimo ragionamento si rinvia quindi alla giurisprudenza del Tribunale Costituzionale nella quale si afferma che la storia di un determinato territorio può essere dedotta per introdurre una peculiare disciplina all’interno del corrispondente Statuto, ma non per assumere un titolo autonomo di competenze117. 116 “El Estatuto es perfectamente consciente de las diferencias que en este punto, lo separan de la Comunidad vasca, al no poder invocar la Disposición Adicional Primera. Para paliar el defecto se menciona en el artículo 5 de la Norma que impugnamos, la Disposición Transitoria Segunda como fundamento constitucional de la actualización de los derechos históricos. Pero no cabe duda de la incorrección de dicha remisión, ya que la aludida disposición transitoria para nada se refiere a derechos históricos de carácter sustantivo, sino que teniendo en cuenta que Cataluña, como otras regiones, plebiscitó en el pasado un Estatuto de Autonomía, se limita a dispensar del cumplimiento de determinados requisitos generales del procedimiento para la elaboración y aprobación del nuevo Estatuto acogido a la Constitución de 1978” (trad.: lo Statuto è perfettamente consapevole delle differenze che su questo punto lo distinguono dalla Comunità Autonoma basca rispetto all’impossibilità di dedurre la Prima Disposizione Addizionale. Per sopperire a tale limite nell’art. 5 dello Statuto che impugnamo si menziona la Seconda Disposizione Transitoria quale fonte costituzionale per l’attualizzazione dei diritti storici. Tuttavia è indubbia l’erroneità di tale rinvio, poiché la citata disposizione transitoria non si riferisce minimamente ai diritti storici sostanziali, bensì riconoscendo che la Catalogna, come altre regioni, approvò nel passato uno Statuto di Autonomia si limita a dispensarla dall’adempimento di alcuni requisiti generali per l’elaborazione e l’approvazione del nuovo Statuto come disciplinato dalla Costituzione del 1978). Fundamento Jurídico-constitucional II, parte “del preámbulo del Estatuto y preceptos que se contretan en su título preliminar”, paragrafo 1, del ricorso d’incostituzionalità sollevato dal PP, p. 38. 117 Si richiamano, fra le altre, le STC 123/1984 e STC 76/1988. Il secondo tema oggetto delle critiche di illegittimità sollevate dal PP verte sulla definizione della Catalogna come Nazione. Il ricorrente sostiene che il termine in esame presenta sempre un’accezione di sovranità che lo rende pertanto riconducibile solo allo Stato spagnolo, ritenendo che si possa trovare conferma di ciò anche nei lavori preparatori della Costituzione del 1978 e nell’art. 2 CE in cui si fa riferimento alle Comunità Autonome come regioni e nazionalità, riservando espressamente allo Stato l’uso della definizione “Nación Española”. Vengono altresì richiamate alcune sentenze del Tribunale Costituzionale e in particolare la famosa STC 4/1981 nella quale si afferma che “autonomía no es soberanía” e “la Constitución contempla que el Estado quede colocado en una posición de superioridad, como una consecuencia del principio de unidad y de la supremacía del interes de la nación”118: in sintesi si sostiene che il concetto di Nazione - e di conseguenza quello di sovranità- presuppongono la superiorità dello Stato e che pertanto solo a esso può essere ricondotto. La critica mossa dal PP prosegue facendo perno sulla mancanza di legittimazione da parte del Parlamento catalano per definire nazione la relativa Comunità Autonoma. Nel ricorso, infatti, si sostiene che detta istituzione non possa imporre allo Stato siffatta definizione e che la Catalogna abbia la facoltà di esprimersi liberamente solo entro i limiti dati dall’esercizio delle competenze ad essa attribuite; competenze nelle quali non rientra l’assunzione della qualifica di nazione e l’implicita acquisizione della sovranità. In realtà a quest’ultima osservazione si potrebbe obiettare che la definizione data dal Parlamento catalano assume più che altro i connotati di una dichiarazione politica, priva di valore vincolante. Infatti non solo il Preambolo è privo di una vera e propria rilevanza giuridica, servendo al massimo per fornire criteri ermeneutici per l’interpretazione del testo statutario, ma al suo interno si afferma che la Comunità catalana viene definita nazione dalla popolazione locale e che il Parlamento non ha fatto altro che 118 Trad.: autonomia non significa sovranità […]. La Costituzione prevede che lo Stato resti in una posizione di superiorità, come conseguenza del principio di unità e della supremazia dell’interesse della nazione. STC 4/1981 del 2 febbraio, FJ 3. prendere atto a livello istituzionale di detta opinione; non va poi dimenticato che viene altresì fatto un esplicito riferimento all’art. 2 CE che “reconoce la realidad nacional de Cataluña como nacionalidad” e non come nazione. Conclusa l’analisi del Preambolo, il ricorso passa a esaminare le disposizioni del Titolo Preliminare (artt. 1-14 Statuto Cat.) che sono ritenute incostituzionali, arrivando a toccare gli articoli 2.4, 3.1, 5, 6 (commi 1-3 e 5), 7, 8 e 11.2119. La prima disposizione ad essere ritenuta illegittima è l’art. 2.4 nella parte in cui afferma che “los poderes de la Generalitat emanan del pueblo de Cataluña”: come già osservato in occasione dell’analisi del Preambolo, anche in questo caso di afferma che è incostituzionale affermare che i poteri della Comunità Autonoma derivano dal popolo di quest’ultima sia poiché l’unica fonte dei poteri istituzionali è la Costituzione, sia perché titolare della sovranità è il popolo spagnolo, che rappresenta la nazione nel suo complesso. A seguire viene considerato l’art. 3.1 che introduce il principio di bilateralità quale criterio per le relazioni fra Stato e Catalogna120. Detto principio è ritenuto illegittimo poiché pone sullo stesso piano la Comunità Autonoma e lo Stato, sovvertendo - a giudizio del ricorrente - la gerarchia introdotta dal regime giuridico costituzionale che vede l’ente territoriale statale in posizione apicale rispetto ai territori che lo compongono: il principio di bilateralità sarebbe compatibile con uno Stato federale (in cui gli Stati membri si trovano in una posizione di parità con lo Stato centrale), ma non con uno Stato a vocazione fortemente unitaria, sebbene decentrata, come quello Spagnolo. Il ricorso esamina quindi l’art. 5 che, come si è avuto modo di analizzare nel corso di questo capitolo, è stato oggetto di grande dibattito fin dalla sua 119 Fundamento Jurídico-constitucional II, parte “del preámbulo del Estatuto y preceptos que se contretan en su título preliminar”, paragrafo 2, del ricorso d’incostituzionalità sollevato dal PP, p. 44 e ss. 120 Art. 3.1 Statuto Cat.: “las relaciones de la Generalitat con el Estado se fundamentan en el principio de la lealtad institucional mutua y se rigen por el principio general según el cual la Generalitat es Estado, por el principio de autonomía, por el de la bilateralidad y también por el de la multilateralidad” (trad.: le relazioni della Generalitat con lo Stato si fondano sul principio di lealtà istituzionale reciproca, e si basano sul principio generale secondo il quale la Generalitat è Stato, nonché sui principi di autonomia, di bilateralità e anche su quello di multilateralità.) elaborazione presso il Parlament catalano121. Ancora una volta, come già osservato per il Preambolo, si ricorda che le istituzioni catalane così come i poteri da esse esercitati derivano solo ed esclusivamente dalla Costituzione e non da diritti storici o dalle tradizioni locali. Conferma ne è che le uniche competenze che possono essere assunte dalla Comunità Autonoma della Catalogna sono quelle previste alla luce dell’art. 149.3 CE. L’analisi prosegue considerando quattro commi su cinque dell’art. 6, la cui rubrica recita “la lengua propia y las lenguas oficiales”122. Tale disposizione è oggetto di una valutazione complessa che si articola su dottrina e sentenze del Tribunale Costituzionale per cercare di dipanare il problema della divisione delle competenze e del riconoscimento dei diritti in materia linguistica. La norma in esame disciplina l’uso del catalano nella Comunità Autonoma dichiarandolo lingua non solo ufficiale, ma anche di uso normale e preferenziale presso gli enti amministrativi e i media catalani, nonché idioma veicolare utilizzato per l’insegnamento (art. 6, c.1 Statuto Cat.). Al comma successivo si ricorda che il catalano è lingua ufficiale accanto allo spagnolo e vengono altresì introdotti da una parte il diritto dei consociati di utilizzare l’uno o l’altro, dall’altra parte il dovere dei cittadini della Comunità Autonoma di conoscere e usare il catalano, vietando ogni forma di discriminazione su base linguistica. Nel terzo comma, con una disposizione programmatica, si introduce l’onere a carico delle istituzioni locali e 121 Art. 5 Statuto Cat. : “El autogobierno de Cataluña se fundamenta también en los derechos históricos del pueblo catalán, en sus instituciones seculares y en la tradición juridica catalana que el presente Estatuto incorpora y actualiza al amparo del artículo 2, la disposición transitoria segunda y otros preceptos de la Constitución, de los que deriva el reconocimiento de una posición singular de la Generalitat en relación con el derecho civil, la lengua, la cultura, la proyección de éstas en el ámbito educativo, y el sistema institucional en que se organiza la Generalitat” (trad.: l’autogoverno della Catalogna si fonda anche sui diritti storici del popolo catalano, sulle sue istituzioni secolari e sulla sua tradizione giuridica che il presente Statuto incorpora e attualizza conformemente all’articolo 2, alla Seconda Disposizione Transitoria e ad altre norme della Costituzione, dalle quali deriva il riconoscimento di una posizione peculiare della Generalitat rispetto al diritto civile, alla lingua, alla cultura, alla proiezione di queste in ambito educativo e al sistema istituzionale in cui si organizza la Generalitat stessa). 122 Trad.: la lingua propria e le lingue ufficiali. statali di intraprendere le azioni necessarie per fare sì che la lingua catalana ottenga esplicito riconoscimento sia in sede comunitaria che internazionale. Il PP in primo luogo analizza l’art. 3 CE che individua il castigliano come lingua ufficiale, ammette il riconoscimento di altri idiomi qualora ciò sia disposto nei relativi Statuti di Autonomia e tutela il patrimonio linguistico spagnolo123. Il partito rileva però che non è chiaro il regime di competenze che contrappone Stato e Comunità Autonome nella disciplina della materia in esame. Nel ricorso si cerca di individuare per via interpretativa i limiti costituzionali che andrebbero rispettati in tale frangente e il primo a essere identificato attiene all’assenza di una competenza esclusiva dello Stato per l’introduzione di una regolamentazione generica dei regimi linguistici locali: esso quindi non può individuare le linee guida all’interno delle quali le singole Comunità Autonome devono muoversi nel disciplinare la normativa riguardante l’idioma locale124. Si sostiene poi che le Comunità Autonome siano titolari delle competenze per legiferare in termini generali sulla materia linguistica, ma che non possano né individuare regole che vincolino le amministrazioni locali e gli organi statali aventi sede nelle regioni, né imporre l’uso di una qualsiasi lingua125: così facendo risulterebbe illegittima la parte dell’art. 6 dello Statuto in cui si impone il dovere di conoscere il catalano e lo individua come idioma di uso preferenziale presso amministrazioni e media locali. Si aggiunge però che sempre il Tribunale 123 Art. 3 CE: “El castellano es la lengua española oficial del Estado. Todos los españoles tienen el deber de conocerla y el derecho a usarla. Las demás lenguas españolas serán también oficiales en las respectivas Comunidades Autónomas de acuerdo con sus Estatutos. La riqueza de las distintas modalidades lingüísticas de España es un patrimonio cultural que será objeto de especial respeto y protección” (trad.: Il castigliano è la lingua spagnola ufficiale di Stato. Tutti gli spagnoli hanno il dovere di conoscerla e il dovere di usarla. Le restanti lingue spagnole saranno ufficiali nelle rispettive Comunità Autonome d’accordo con i propri Statuti. La ricchezza delle diverse tipologie linguistiche della Spagna è un patrimonio culturale che sarà oggetto di speciale rispetto e protezione). 124 Si sostiene che non sia possibile ricavare siffatta competenza esclusiva dall’art. 149.1.1 CE (che attiene al dovere dello Stato di individuare le disposizioni generali necessarie per garantire l’uguaglianza dei cittadini spagnoli nell’esercizio dei diritti e doveri costituzionali), come affermano le STC 82 e 83 del 1986. 125 Si rinvia alla seguente giurisprudenza costituzionale: STC 82/1986 (di particolare importanza), STC 123/1988, STC 56/1990 e STC 87/1997. Costituzionale aveva altresì dichiarato che la conoscenza della lingua coufficiale di una regione può costituire un requisito per la selezione dei funzionari pubblici locali126. La legittimità o meno di disposizioni che impongano la conoscenza e l’uso dell’idioma coufficiale di una Comunità Autonoma è però tutt’altro che pacifica. In proposito il ricorrente richiama sia i lavori preparatori che hanno condotto all’elaborazione dell’art. 3.1 CE (alla luce dei quali, a suo giudizio, si sarebbe scientemente voluto evitare di introdurre l’obbligo di conoscenza di altre lingue oltre allo spagnolo), sia alcune sentenze del Tribunale Costituzionale in cui viene riconosciuta la legittimità di leggi della Comunità catalana che impongono la conoscenza e l’uso della lingua locale nell’ambito dell’insegnamento obbligatorio. Poco dopo, inoltre, è richiamato il dovere delle Comunità Autonome di promuovere l’uso e la conoscenza della seconda lingua ufficiale e conseguentemente coinvolgere le amministrazioni pubbliche in modo tale da tutelare i relativi diritti della popolazione autoctona; detto dovere, ritenuto legittimo, viene contrapposto all’obbligo - considerato incostituzionale - di imporre l’uso dell’idioma locale fra i privati cittadini. Insomma, dalla ricostruzione fatta dal PP emerge quanto la materia linguistica sia complessa e quanto la relativa disciplina sia nebulosa e fors’anche contraddittoria, tanto da rendere necessario un intervento chiarificatore da parte del Tribunale Costituzionale in modo da individuare con maggior chiarezza l’ambito di competenze che hanno Stato e Comunità Autonoma. L’unico dato che emerge con certezza è la necessità di trovare un equilibrio fra la tutela dei diritti dei privati di usare la propria lingua, il dovere di promuoverla, l’obbligo della Pubblica Amministrazione di conoscerle entrambe, la necessità di non introdurre alcun fattore di disuguaglianza o possibile discriminazione linguistica fra i cittadini e il 126 STC 82 e 83/1986. dovere di riconoscere anche a livello locale il castigliano come lingua nazionale, comune a tutti gli spagnoli, con i diritti e doveri che ciò comporta127. Gli ultimi articoli del Titolo Preliminare oggetto del ricorso di incostituzionalità del PP sono il settimo e l’ottavo. L’art. 7 è ritenuto illegittimo poiché richiama la “condición política de catalanes o ciudadanos de Cataluña”, riprendendo quindi la critica già sollevata sul tema della “cittadinanza catalana” in occasione dell’esame del Preambolo. Il sindacato sull’art. 8 invece attiene all’uso del termine “símbulos nacionales” riferito all’emblema, alla festa e all’inno della Comunità Autonoma: analogamente a quanto già emerso in merito all’analisi del Preambolo, si sostiene l’illegittimità dell’uso della parola “nazionale” riferita non allo Stato, ma alla Catalogna, allegando poi che l’art. 4.2 CE permette che le regioni abbiano bandiere e insegne proprie, ma non parla di “simboli della nazione”, fatta esclusione per quelli spagnoli. Infine, viene sindacata la legittimità dell’art.11 dello Statuto che riconosce e include il territorio della Vall d’Arán nella Catalogna, ma in tale contesto non pare opportuno concentrarsi su tale disposizione128. Veniamo quindi al ricorso di incostituzionalità proposto contro il Titolo I rubricato “derechos, deberes y princípios rectores” (artt. 15-54 Statuto Cat.)129. In primo luogo viene stilato un elenco degli articoli dello Statuto catalano che il PP ritiene essere manifestamente contrari alla carta fondamentale poiché volti a sviluppare illegittimamente i diritti fondamentali e le libertà pubbliche garantiti dalla Costituzione130. Detto elenco comprende in primo luogo l’art. 15 (Diritto delle 127 “El uso monopolístico o exclusivístico de un idioma en un territorio determinado es contrario al derecho a utilizar el castellano” (trad.: l’uso monopolistico o esclusivo di una lingua in un determinato territorio va contro al diritto di usare il castigliano). Fundamento Jurídicoconstitucional II, parte “del preámbulo del Estatuto y preceptos que se contretan en su título preliminar”, paragrafo 2, del ricorso d’incostituzionalità sollevato dal PP, p. 51. 128 Fundamento Jurídico-constitucional II, parte “del preámbulo del Estatuto y preceptos que se contretan en su título preliminar”, paragrafo 2, del ricorso d’incostituzionalità sollevato dal PP, pp. 52 e ss. 129 Fundamento Jurídico-constitucional II, parte “del Título I - derechos, deberes y principios rectores: inconstitucionalidad de diferentes preceptos”, paragrafo 2, del ricorso d’incostituzionalità sollevato dal PP, pp. 53 e ss. 130 Si rinvia alla parte iniziale del presente paragrafo in cui è stata espressa l’opinione del PP in merito alla competenza esclusiva dello Stato - che deve esprimersi tramite Leggi Organiche - per sviluppare il contenuto delle disposizioni concernenti diritti fondamentali e libertà pubbliche. Si Persone) che si ritiene essere illegittimo poiché riconduce la titolarità di particolari diritti e doveri ai soggetti aventi cittadinanza catalana, contrastando con l’art. 11 CE che parla di nazionalità spagnola, senza però fare riferimento alcuno a una specifica cittadinanza legata alla Comunità Autonoma in cui si risiede. Vengono poi richiamati l’art. 20 dello Statuto (Diritto a vivere con dignità la fase della morte)131 che è giudicato incostituzionale poiché sviluppa l’art. 15 CE (Diritto alla vita) - e i primi due commi dell’art. 21 (Diritti e doveri in ambito educativo) che si ritengono essere illegittimi rispetto all’art. 27 CE (Libertà di insegnamento). L’elenco prosegue indicando gli articoli 37 e 38 del testo statutario catalano che rientrano nel Capo IV del Titolo I, rubricato “Garantías de los Derechos estaututarios”132. Le illegittimità opposte dal ricorrente attengono tre punti: in primo luogo si critica il secondo capoverso dell’art. 37.1 in base a cui “los derechos reconocidos en los artículos 32 y 33 vinculan también a la Administración General del Estado en Cataluña”133, sostenendo che non sia costituzionalmente ammissibile prevedere che i suddetti articoli (che attengono al dovere di conoscere e utilizzare il catalano) siano vincolanti anche per l’Amministrazione Pubblica Statale134. In secondo luogo, riproponendo un discorso già affrontato nella parte introduttiva del ricorso stesso, si afferma che sia incostituzionale l’art. 38.1 che prevede l’introduzione del Consejo de Garantías Estatutarias (a sua volta disciplinato negli artt. 76 e ss. del testo statutario) nella parte in cui si dispone che detto organo sia competente per emettere pareri in merito alla conformità allo Statuto di Autonomia veda inoltre Fundamento Jurídico-constitucional II, parte “del Título I - derechos, deberes y principios rectores: inconstitucionalidad de diferentes preceptos”, paragrafo 2.1, del ricorso d’incostituzionalità sollevato dal PP, pp. 53 e ss. 131 L’art. 20 Statuto Cat. sancisce il diritto a essere assistiti con adeguate “terapie del dolore” per poter affrontare nel modo più degno possibile la fase finale della vita e prevede altresì la possibilità di stilare il così detto “testamento biologico” (ovvero di lasciare indicazioni, che andranno seguite in particolar modo quando il paziente non sia più in grado di intendere e di volere, circa le terapie che si desiderano o si rifiutano). 132 Trad.: Garanzie dei diritti statutari. 133 Trad.: i diritti riconosciuti negli articoli 32 e 33 vincolano anche l’Amministrazione Pubblica dello Stato avente sede in Catalogna. 134 Per un’analisi più precisa degli artt. 32 e 33 Statuto Cat. e delle critiche che a essi muove il PP si veda oltre. di Catalogna e alla Costituzione delle proposte di Leggi, Decreti Legge e Decreti Legislativi (art. 76.2 lettere b) e c) ). La disposizione in esame è oggetto delle critiche del PP poiché si sostiene che l’introduzione di siffatto organo alteri l’assetto del sistema di garanzie costituzionali previsto dalla Carta Fondamentale. Infine, si sostiene l’illegittimità del ricorso diretto al Tribunal Superior de Justicia de Cataluña per ottenere tutela in caso di violazione dei diritti riconosciuti nei Capi I, II e III del Titolo I. In questo caso la critica si fonda su due motivi: da una parte si sostiene che detta previsione confligga con la competenza dello Stato di disciplinare il settore giudiziario, da un’altra parte si afferma che anche in questo caso viene alterato l’assetto previsto dalla Costituzione per la tutela dei diritti giacché il ricorso diretto al Tribunale sopra citato presenta struttura analoga al recurso de amparo (art.53.2 CE), ma ha un ambito di applicazione molto più vasto rispetto a quest’ultimo che, lo ricordiamo, è opponibile solo qualora siano violati gli artt. 1429 CE135. Oggetto di critica da parte del PP sono anche i precetti dello Statuto catalano che il Partito riconduce agli artt. 39-54 CE e che classifica come “derechos de carácter económico y social y principios rectores”136. Rispetto a dette disposizioni il ricorrente afferma che il testo statutario in esame è illegittimo non tanto per l’espressa individuazione dei principi fondamentali su cui la Comunità Autonoma fa perno, bensì nella parte in cui non specifica quale sia il soggetto competente per sviluppare detti principi: il PP sostiene che tale competenza spetta allo Stato mentre lo Statuto in esame la attribuisce implicitamente alla Catalogna riconoscendo quindi alla Comunità sia il potere di approfondire quanto espresso nelle disposizioni programmatiche in esame, sia di prescindere dalla legislazione nazionale che verte sui medesimi aspetti, violando così la Costituzione137. 135 Fundamento Jurídico-constitucional II, parte “del Título I - derechos, deberes y principios rectores: inconstitucionalidad de diferentes preceptos”, paragrafo 4, del ricorso d’incostituzionalità sollevato dal PP, pp. 58 e ss. 136 Trad.: diritti a carattere economico e sociale e principi fondamentali. 137 Fundamento Jurídico-constitucional II, parte “del Título I - derechos, deberes y principios rectores: inconstitucionalidad de diferentes preceptos”, paragrafo 2, del ricorso d’incostituzionalità sollevato dal PP, pp. 54 e ss. Così si afferma nel ricorso: “Los preceptos de referencia no excluyen L’ultimo tema disciplinato nel Titolo I che viene esaminato dal ricorso concerne “derechos y deberes lingüisticos”138 (artt. 32-36 Statuto Cat.), richiamando al tempo stesso quanto già anticipato relativamente all’art. 6 del Titolo Preliminare. Il primo articolo esaminato (art. 32 Statuto Cat. “derechos y deberes de conocimiento y uso de las lenguas”139) non presunta a giudizio del ricorrente alcun vizio, mentre la disposizione successiva è oggetto di un’analisi complessa e dettagliata. Il comma 1 dell’art. 33 è ritenuto illegittimo per il riferimento al concetto di “cittadinanza catalana”, di cui si è già avuto modo di parlare; il comma successivo riconosce il diritto dei privati di scegliere quale lingua utilizzare in caso di contatto con Pubblici Ministeri, Amministrazione della Giustizia, notai o registri pubblici, ma così facendo si determina una violazione della carta costituzionale giacché competente per regolamentare i settori appena richiamati è il legislatore statale140. Anche il terzo comma è giudicato illegittimo per le ragioni già richiamate per quello precedente, aggiungendo qui che il riferimento alla generica espressione “en la forma establecida en las leyes”141 non è sufficiente per sanare i vizi della disposizione in esame. Il PP afferma altresì l’incostituzionalità del quarto comma dell’art. 33 sostenendo l’esistenza di un vizio di eccesso di competenza dato dal dovere dei funzionari dell’Amministrazione Pubblica di Stato di conoscere il catalano. Infine il ricorrente sostiene l’incostituzionalità anche del quinto e ultimo comma della norma in esame, in base a cui si sancisce il diritto della popolazione catalana di scegliere con quale idioma comunicare per iscritto con gli organi giurisdizionali statali o con quelli costituzionali; quindi la disposizione in esame, specularmente alla tutela del que las decisiones legislativas se produzcan en el orden indicado, pero incurren en inconstitucionalidad en la medida en que pretendan que sus contenidos regulatorios vinculen a todos los legislatores” (trad.: i precetti a cui si fa riferimento non escludono che si assumano decisioni legislative secondo il modello indicato, tuttavia incorrono in incostituzionalità nella misura in cui pretendono che le disposizioni che li regolamentano vincolino tutti i legislatori). Ricorso di incostituzionalità, p. 54. 138 Trad.: diritti e doveri linguistici. Fundamento Jurídico-constitucional II, parte “del Título I derechos, deberes y principios rectores: inconstitucionalidad de diferentes preceptos”, paragrafo 3, del ricorso d’incostituzionalità sollevato dal PP, pp. 56 e ss. 139 Trad.: diritti e doveri di conoscimento e uso delle lingue. 140 Per suffragare detta opinione si rinvia alla STC n. 87/1997, del 24 aprile. 141 Trad.: nel modo dettato dalla legge. suddetto diritto, imporrebbe a degli organi di tipo statale (come il Tribunale Costituzionale o la Corte Suprema di Giustizia) la conoscenza del catalano e riconoscerebbe altresì la piena efficacia giuridica ai documenti presentati in tale lingua. Il PP sostiene che detta disposizione sia incompatibile con la costituzione alla luce di quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale (STC n. 935/1987 del 21 luglio e STC 374/1988 del 24 marzo), nonché a causa dell’illegittimo riferimento alla nozione di “cittadinanza catalana”. Il ricorso analizza quindi l’art. 34 dello Statuto catalano che anche in questo caso è ritenuto incostituzionale: facendo nuovamente riferimento a quanto già affermato in merito all’art. 6 del medesimo testo, si sostiene che non sia ammissibile una norma che pone in capo ai cittadini privati il dovere di conoscere e usare il catalano poiché contrasterebbe con il diritto di utilizzare liberamente lo spagnolo142. La disposizione successiva rubricata “derechos lingüisticos en el ámbito de la enseñanza”143 afferma il diritto a ricevere l’educazione in catalano. Tuttavia il ricorrente, che impugna i primi due commi del presente articolo, sostiene che detta norma è illegittima nella parte in cui non prevede un analogo diritto a essere educati in castigliano e inoltre che contrasta con il diritto costituzionalmente garantito di utilizzare lo spagnolo (art. 3.1 CE). Si afferma altresì che il Tribunale Costituzionale ha stabilito che è impossibile individuare la lingua veicolare da utilizzare per l’insegnamento, così da rendere illegittimo ogni imposizione di un unico idioma in ambito educativo. A completare i motivi di impugnazione dell’articolo, il PP sostiene che sono violati anche gli artt. 9, 14 e 139.1 CE e i principi di uguaglianza e proporzionalità in essi sanciti. Infine, è affermata l’incostituzionalità dell’art. 36 dello Statuto, relativo alla tutela dell’idioma parlato nella Vall D’Arán, sia perché impone la conoscenza di 142 Nello specifico l’art. 34 Statuto Cat. impone a chi lavora a contatto con il pubblico di conoscere e di utilizzare il catalano qualora richiesto dai soggetti con cui entra in contatto. 143 Trad.: diritti linguistici in ambito educativo. tale lingua all’Amministrazione Pubblica statale - oltre a quella catalana -, sia perché fa riferimento al concetto di “cittadinanza aranese”. Il ricorso depositato dal Partido Popular - in merito al quale il Tribunale Costituzionale non si è ancora pronunciato - analizza in modo puntuale l’intero testo statutario catalano e impugna molte delle norme in esso contenute. In questa sede si è ancora una volta ritenuto opportuno concentrare l’attenzione sulle disposizioni di Preambolo, Titolo Preliminare e Titolo I che rappresentano forse la parte più innovativa dello Statuto della Catalogna. Come si può evincere da quanto fino ad ora considerato, le critiche del PP si concentrano soprattutto sull’utilizzo dei diritti storici quali titolo per assumere nuove competenze, sulla critica ai concetti di “nazione” e “cittadinanza” catalane, sullo status in qualche modo privilegiato riconosciuto alla lingua catalana. Molto rilevante è anche l’ipotesi avanzata dal PP in merito alla modifica del sistema delle tutele costituzionali determinata sia dall’individuazione di nuovi organi e ricorsi per la garanzia dei diritti (si pensi al Consejo de Garantías Estatutarias e al ricorso diretto presso il Tribunal Superior de Justicia de Cataluña), sia dalla struttura del Titolo I che, a giudizio del ricorrente, non tiene conto della disciplina data dalla Costituzione. Va altresì ricordato che, sebbene il ricorso avanzato dal PP sia senza dubbio quello più complesso e articolato, altri ricorsi di incostituzionalità sono stati depositati il 20 ottobre 2006 dal Difensor del Pueblo e da cinque Comunità Autonome: La Rioja, Murcia, Comunità Valenziana, Aragón, Isole Baleari. Infine, considerando quanto sostenuto dal Consell Consultiu nel dictamen che si è già avuto modo di esaminare144, è possibile osservare che molte delle disposizioni dello Statuto catalano impugnate dal PP sono invece state giudicate costituzionalmente legittime dal citato organo consultivo145: questo a dimostrazione di quanto sia complessa la valutazione che il Tribunale Costituzionale è chiamato a svolgere sul testo statutario e di quanto essa sia attesa per la straordinaria rilevanza 144 V. supra, capitolo II, paragrafo 3.3. Si pensi anche solo all’uso del termine “nazione” che il Consell Consultiu reputa legittimo sia perché giudicato dai costituenti sinonimo di “nazionalità” (usato nell’articolo 2 CE), sia perché - a suo giudizio - non attribuisce alla Catalogna alcun tipo di sovranità. 145 che assumerà non solo nei confronti della Catalogna, ma anche di quelle Comunità Autonome che, come si avrà modo di osservare più avanti, ne hanno preso a modello lo Statuto catalano per elaborare i propri. Prescindendo da una valutazione sulla legittimità o meno del testo in esame, si potrebbe osservare che, sebbene lo Statuto catalano presenti una struttura particolarmente interessante e innovativa nella parte in cui introduce diritti, doveri e principi fondamentali a cui devono conformarsi i cittadini e le istituzioni catalane, in alcuni punti il medesimo testo appare invece ridondante. Infatti, se da una parte appare apprezzabile che lo Statuto sviluppi le tutele garantite dalla Costituzione ricavando una protezione specifica rispetto ad alcuni soggetti o ad aree di rilevanza sociale146, dall’altra pare introduce alcune disposizioni che risultano superflue perché sostanzialmente identiche a quanto già disposto dalla carta costituzionale. Si consideri per esempio l’art. 15.2 dello Statuto che dispone che “Todas la personas tienen derecho a vivir con dignidad, seguridad y autonomía, libres de explotación, de malos tratos y de todo tipo de discriminación, y tienen derecho al libre desarrollo de su personalidad y capacidad personal147” senza però aggiungere nulla che non si possa ricavare dagli articoli 10.1 e 14 CE secondo cui: “la dignidad de la persona, los derechos inviolables que le son inherentes, el libre desarrollo de la personalidad, el respeto a la ley y a los derechos de los demás son fondamento del orden político y de la paz social” 148 e 146 Si pensi ai diritti dei minorenni (art. 17 Statuto Cat.) e degli anziani (art. 18 Statuto Cat.), ai diritti nell’ambito dei servizi sociali (art. 24 Statuto Cat.) e a diritti e doveri relativi all’ambiente (art. 27 Statuto Cat.). 147 Trad.: tutte le persone hanno diritto di vivere con dignità, sicurezza e autonomia, senza essere sfruttate, soggette a violenza e a una qualsiasi forma di discriminazione, e hanno diritto a sviluppare liberamente la propria personalità e le proprie capacità personali. 148 Trad.: la dignità della persona, i diritti inviolabili che le sono propri, i libero sviluppo della personalità della persona, il rispetto della legge e dei diritti altrui sono il fondamento dell’ordine pubblico e della pace sociale. “los españoles son iguales antes de la ley, sin que pueda prevalecer discriminación alguna por razón de nacimiento, raza, sexo, religión, opinión o cualquier otra condición o circunstancia presonal o social”149. Un esempio analogo può riguardare l’articolo 19 dello Statuto catalano che tutela il diritto delle donne a vivere con dignità, a sviluppare liberamente la propria personalità, a non essere discriminate o maltrattate e a godere di pari opportunità rispetto agli uomini. Anche in questo caso, però, non si aggiunge nulla di nuovo rispetto a quanto dettato dalla Costituzione nel già citato articolo 14 che sancisce l’uguaglianza fra uomo e donna e - ovviamente - tutela in ugual misura la dignità, la libertà di espressione e partecipazione degli appartenenti a entrambi i sessi. Insomma, la portata innovativa del Titolo I dello Statuto della Catalogna non va certo ignorata e anzi va valutata positivamente. Tuttavia pare altresì opportuno riscontrare la necessità di semplificare il medesimo testo in modo da eliminare tutte le disposizioni superflue che non introducono alcuna novità nel sistema normativo esistente, bensì si limitano a riproporre tutele già garantite dalla Costituzione. 149 Trad.: gli spagnoli sono uguali innanzi alla legge, senza che possa prevalere la discriminazione in ragione di nascita, razza, sesso, religione, opinione o qualsiasi altra condizione o circostanza personale o sociale.