Panella recensione Narrativa - Italogramma

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Panella recensione Narrativa - Italogramma
Italogramma, Vol. 1 (2011)
http://italogramma.elte.hu
Il ritorno del lavoro nella letteratura italiana: note intorno al nuovo volume di
«Narrativa» su Letteratura e azienda
L’ultimo numero di «Narrativa» raccoglie le ricerche su di un tema di sempre più
stringente attualità coordinate da Silvia Contarini, che insegna Littérature et civilisation
italiennes du XX et XXI siècles a Paris Ouest Nanterre La Défense. Con i colleghi del Centre
de Recherches Italiennes, Contarini ha promosso un Convegno internazionale (14-16 maggio
2009) i cui atti sono raccolti proprio nel volume ora stampato, dedicato a Letteratura e
azienda - Rappresentazioni letterarie dell’economia e del lavoro nella letteratura italiana
degli anni 20001. Questa pubblicazione ha il merito di fare il punto su di un panorama
sempre più ampio di scritture che, come d’altronde in molti altri paesi, anche in Italia
affrontano il tema del lavoro nei modi più tradizionali della fiction e in quelli del documento
o della testimonianza di vita vissuta.
Non è affatto strano che il primo serio studio su tali opere sia promosso da un centro di
ricerca situato all’estero. Una certa distanza acuisce infatti lo sguardo, come dimostra il
dibattito internazionale sulle commistioni tra fiction e non fiction e sul ritorno del reale2 nella
letteratura italiana, sviluppatosi in seguito al successo di Gomorra3 e alla fortunata
circolazione del New Italian Epic4 di Wu Ming 1. Inoltre, la Francia è il paese dove il
fenomeno oggi correntemente definito della «littérature du travail» ha dato alcuni dei suoi
esiti più interessanti nel panorama europeo.
1
Letteratura e azienda - Rappresentazioni letterarie dell’economia e del lavoro nella letteratura italiana degli
anni 2000, a cura di Silvia Contarini, «Narrativa», nuova serie, 31/32, 2010.
2
Oltre alle riflessioni critiche apparse in Italia, tra le prime il saggio introduttivo di Ranieri Polese
all’Almanacco Guanda 2008 e il n. 57 di «Allegoria» del gennaio-giugno 2008, penso soprattutto a occasioni
interessanti quali la sessione Precarity at Large: Cultures of Resistance in Contemporary Italy della Biennial
Conference of the Society for Italian Studies, University of London, 16-19 aprile 2009 o i convegni Fiction,
faction, reality: incontri, scambi, intrecci nella letteratura italiana dal 1990 ad oggi, Istituto Italiano di Cultura
e Uniwersytet Warszawski, 9-10 novembre 2009 e Negli archivi e per le strade: il ‘ritorno al reale’ nella
narrativa italiana di inizio millennio, University of Toronto, 6-8 maggio 2010.
3
Roberto Saviano, Gomorra, Mondadori, Milano 2006.
4
Wu Ming 1, New Italian Epic - Letteratura, sguardi obliqui, ritorni al futuro, Einaudi, Torino 2009. La prima
versione del «memorandum» era stata diffusa in rete nel 2008.
Il campo culturale francese è da sempre particolarmente prolifico di «récit» e di quella
letteratura «d’expression populaire», «prolétarienne», «paysanne» o «ouvrière»5 di cui una
parte della produzione letteraria che racconta oggi il lavoro si considera, e si può
considerare, un’evoluzione. Nei paesi più industrializzati questa tradizione ha radici
profonde, consolidatesi all’indomani della Rivoluzione d’ottobre con la parabola del
Proletkult sovietico (attivo dal 1918 al 1923) e con la formazione in tutto il mondo di
movimenti composti da scrittori proletari per nascita o per vocazione accomunati dalla
volontà di raccontare la vita dei lavoratori.
Per tutti gli anni ’20 e ’30, a livello internazionale, si dibatte sulla legittimità di questa
letteratura, al centro di dispute di stampo prettamente politico-ideologico: accade così che in
Francia i proletari «non allineati» di Poulaille e il gruppo della rivista «Monde» di Barbusse,
condannati nel 1930 dall’Union Internationale des Ecrivains Révolutionnaires e dal
Congresso di Kharkov, si scontrino ripetutamente sia con gli scrittori militanti nel PCF vicini
alle linee del «realismo socialista» sia con i «Populisti» che si richiamavano al naturalismo
francese del XIX secolo.
In Italia, invece, il ventennio fascista taglia fuori la nostra cultura da tale dibattito. Anche
per questo la produzione narrativa dei lavoratori è stata a lungo marginale. Per buona parte
del ’900 questo genere di «récit» non è stato certo incoraggiato da intellettuali e letterati di
professione, a causa della non autorevolezza dei lavoratori/scrittori e della natura
sostanzialmente autobiografica e documentaria dei loro testi.
L’intensa riflessione promossa da Elio Vittorini negli anni ’60 su Industria e letteratura6
si basava quasi esclusivamente su opere firmate da impiegati e dirigenti di grande aziende
(come la Olivetti) che combinavano intenti documentari con le proprie personali valutazioni
sui processi di alienazione insiti nella società del boom economico. Un’elaborazione quindi
non assimilabile al fenomeno delle scritture proletarie, a quella che avrebbe potuto
incoraggiare nell’immediato dopoguerra «Il Politecnico» dello stesso Vittorini se avesse
avuto la possibilità di perseguire l’iniziale intento della rivista di dare voce ai lavoratori
5
Cfr. almeno Michel Ragon, Histoire de la littérature prolétarienne en France - Littérature ouvrière,
littérature paysanne, littérature d’expression populaire, Albin Michel, Paris 1974. Il libro ha avuto una nuova
edizione nel 1986 e una ristampa nel 2005, a dimostrazione della continua rilevanza di tali temi nel dibattito
francese.
6
Elio Vittorini, Industria e letteratura, «Il Menabò», III, 4, 1961, pp. 13-20. La prima ricorrenza italiana del
binomio si deve però all’omonimo capitolo di Elemire Zolla, Eclissi dell’intellettuale, Bompiani, Milano 1959,
pp. 7-86 dedicato alle resistenze intellettuali alla rivoluzione industriale.
stessi7, un progetto poi solo parzialmente seguitato con la collana einaudiana dei «Gettoni».
Ci sono volute le lotte dell’autunno caldo del 1969, e il successo dell’anomalo romanzo
operaista di Nanni Balestrini8, per far entrare come un genere a sé racconti e diari di operai
nel campo letterario italiano.
Sullo sfondo di un’alternanza paradigmatica tra Realismo e Avanguardia, la letteratura
italiana che racconta il lavoro è stata quindi analizzata soprattutto come l’esito ricorrente
della spinta di un «extra-letterario». Per usare le parole di Filippo La Porta, gli italiani
racconterebbero la «realtà» solo quando questa li costringe a «riscoprirla»9, come accaduto
con le guerre mondiali, a cavallo del 1968, dopo l’11 settembre 2001 o con l’ultima crisi
economica e finanziaria. La Porta è stato tra i primi10 ad abbozzare uno studio su chi al
volgere del 2000 iniziava a raccontare «il precariato diffuso» e «la morbida irrealtà» del
lavoro flessibile. Allora si poteva pensare all’incombere di una nuova ondata di autori attenti
a raccontare le trasformazioni della modernità «liquida» in modi anche sperimentali. Invece,
tranne poche parziali eccezioni - tra cui i testi di Francesco Dezio (Nicola Rubino è entrato
in fabbrica11) e Giorgio Falco (Pausa caffè12) già presentati all’edizione 2002 di Ricercare sembra essersi affermata una tendenza di stampo prevalentemente realistico13.
Come illustra Raffaele Donnarumma nel suo contributo in Letteratura e azienda, il
modulo della «storia vera» ha oggi preso il sopravvento su ogni altra forma di racconto.
Quest’ansia di realismo porta con sé diversi paradossi, perché ha fatto diventare oramai
«istituzionale» una serie di dispositivi retorici, quali l’uso della prima persona grammaticale,
e perché si manifesta con una sempre più frequente esibizione della storia non solo come
verisimile ma come «reale» (quasi che «il campo del vero si sia ristretto a quello del reale,
cioè del dato»). Ciò accade anche quando la maggior parte dei dati di realtà è palesemente
ripresa dai media e dai discorsi sul mondo del lavoro che s’intrecciano nella nostra società,
anche quando la matrice esperienziale e autobiografica del racconto è palesemente fittizia.
7
Cfr. almeno il mio La rappresentazione letteraria del lavoro e la produzione narrativa dei lavoratori in corso
di stampa in Comparatistica e intertestualità – Studi in onore di Franco Marenco, a cura di Giuseppe Sertioli,
Carla Vaglio Marengo e Chiara Lombardi, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2010.
8
Nanni Balestrini, Vogliamo tutto, Feltrinelli, Milano 1971.
9
Cfr. Filippo La Porta, L’autoreverse dell’esperienza - Euforie e abbagli della vita flessibile, Bollati
Boringhieri, Torino 2004, p. 11.
10
Id., Albeggia una letteratura postindustriale, Tirature 2000 - Romanzi di ogni genere - Dieci modelli a
confronto, a cura di Vittorio Spinazzola, Il Saggiatore, Milano 2000, pp. 97-105.
11
Francesco Dezio, Nicola Rubino è entrato in fabbrica, Feltrinelli, Milano 2004.
12
Giorgio Falco, Pausa caffè, Sironi, Milano 2004.
13
Cfr. la nota 2 e almeno anche Vittorio Spinazzola, La riscoperta dell’Italia, Tirature 2010 – Il New Italian
Realism, Il Saggiatore, Milano 2010, pp. 10-15.
La nuova retorica realista ha infatti fini più pragmatici che metafisici: da forma di
autoassicurazione per chi scrive e garanzia di autenticità per il lettore, è ormai divenuta
formula, che lo stesso mercato editoriale richiede agli autori puntando a target ben definiti di
lettori14. Ciò vale sia per la fiction sia per le nuove tipologie di reportage, compresa quella
«narrazione documentaria» che ibrida elementi di cronaca e una struttura narrativa
finzionale.
Donnarumma sottolinea come queste nuove forme possano considerarsi un positivo
ampliamento del campo del letterario, anche se nel quadro di un generale declino delle
poetiche postmoderne. I saggi di Donnarumma e Giuseppe Nicoletti riconoscono poi in
Paolo Volponi una figura senza eguali di letterato convintamente marxista, che dall’esordio
di Memoriale15 all’ultimo Le mosche del capitale16 ha saputo raccontare la progressiva
smaterializzazione dell’industria italiana del ’900. Nonostante le indubbie facoltà di
anticipazione dell’ultimo romanzo di Volponi (che lo avvicinano al Petrolio17 pasoliniano),
il modello dello scrittore urbinate non si è però pienamente imposto nel nuovo millennio.
Basti rileggere questa sua dichiarazione del 1965, citata dallo stesso Nicoletti: «Ciò che
scrivo non deve rappresentare la realtà, ma deve romperla»18.
Leggendo i vari interventi raccolti in «Narrativa», tale volontà di essere «fuori anche
dallo status della lingua, del raccontare, del comunicare in modo tradizionale»19 sembra
essersi nel complesso affievolita, a vantaggio di un approccio più diretto alla
documentazione e alla denuncia delle sempre più precarie condizioni dei lavoratori italiani.
In Letteratura e azienda si presenta un insieme di scritture accomunate da questa tensione, il
cui valore è proprio quello di restituire un affresco attendibile delle reali emergenze del
nostro paese. Il quaderno, come si legge nel corposo capitolo introduttivo della curatrice
Silvia Contarini, è nato anche in risposta agli interrogativi con cui Giovanni Pacchiano
rifletteva nel 2006 sulla «ripresa da parte della letteratura del tema del lavoro (latitante, in
dosi così rilevanti, da oltre una ventina di anni)», chiedendosi a proposito dei molti racconti
14
Cfr. almeno Michele Rak, La letteratura di Mediopolis, Fausto Lupetti, Bologna 2010 dove l’autore rileva tra
l’altro come gli editori tendano sempre più a ragionare sui target cui proporre i propri prodotti e sui possibili
agganci tra i testi e l’attualità: la crescente diffusione del precariato è vista senz’altro come un bacino florido di
temi e di lettori potenziali.
15
Paolo Volponi, Memoriale, Garzanti, Milano 1962.
16
Id., Le mosche del capitale, Einaudi, Torino 1989.
17
Pier Paolo Pasolini, Petrolio, Einaudi, Torino 1992.
18
Paolo Volponi, La difficoltà del romanzo (1965), in «Le conferenze dell’Associazione Culturale Italiana»,
XVII, 1966.
19
Ibidem.
sulle ingiustizie subite dai precari: «Hanno ragione? Occorrerà chiederlo agli esperti di
economia e di diritto del lavoro, nonché ai sociologi»20.
I tre contributi che costituiscono l’appendice del volume sono per l’appunto firmati dagli
«esperti» Giovanni Bonato, Luca Marsi e Caroline Savi, e forniscono al lettore l’intero
quadro giuridico ed economico del mercato del lavoro italiano, vittima della moltiplicazione
dei contratti atipici e di un inarrestabile smantellamento delle tutele conquistate dai
lavoratori nel corso del ’900. Non solo i nuovi ma anche i vecchi salariati sono sempre più
oggettivamente, e non solo psicologicamente, insicuri rispetto al loro contratto, ai diritti
sociali che questo dovrebbe garantire, e alle prospettive future del proprio impiego: questi gli
indici della «precarietà» individuati da uno studio francese citato da Marsi, che esamina «i
fondamenti ideologici della flessibilità» dalla teoria storica del laissez faire all’attuale ansia
di de-regolamentazione dei rapporti di lavoro, di cui la recente condotta del gruppo Fiat è
solo il caso più eclatante.
Da questi approfondimenti e dalle rappresentazioni letterarie riepilogate nelle restanti
pagine del volume appare chiaro come un lavoro stabile, attraverso cui accumulare beni e
carriera, dava a ciascun individuo un’idea lineare e narrativa della propria vita, che ideologie
come quelle socialista e comunista riuscivano anche a riscattare in una narrazione storica più
ampia. Al contrario, negli ultimi due decenni del ’900 la frammentazione e la compresenza
in molti percorsi di vita di lavori molteplici non garantiscono più un livello sufficiente di
gratificazione e di fiducia nel futuro, e danno luogo a narrazioni frantumate e pseudoautobiografiche.
Le industrie al centro del romanzo «aziendale» degli anni ’50 e ’60 e di quello operaio
degli anni ’70 sono tutt’altro che esenti da questo regresso. L’operaio che nel nuovo
millennio torna protagonista di un romanzo italiano (in «Narrativa» Donata Meneghelli ne
censisce alcune delle non molte apparizioni degli ultimi decenni) è il Nicola Rubino di
Dezio, reso sordo da un contratto interinale a ogni possibile solidarietà di classe, fino
all’inevitabile quanto liberatorio licenziamento finale. Anche in fabbrica è infatti entrato il
precario, operaio a tempo determinato in un’azienda che è spesso lei stessa vicinissima alla
data di scadenza. In questo contesto, il fronte dei lavoratori non è quasi mai in grado di
proporre un’alternativa, come la cronaca ci testimonia quotidianamente. Il tragico incidente
del dicembre 2007 alla ThyssenKrupp di Torino, rievocato nel saggio di Monica Jansen e
ricostruito dai documentari La fabbrica dei tedeschi (2008) di Mimmo Calopresti e
ThyssenKrupp Blues (2008) di Monica Balla e Mauro Repetto, ha rivelato con tremenda
20
Giovanni Pacchiano, Scrittori ad alta flessibilità, in «Domenica - Il Sole 24 ore», 28 maggio 2006, p. 29.
chiarezza come un gruppo di giovani operai possa trovarsi costretto a lavorare allo
smantellamento della propria fabbrica in condizioni di totale insicurezza, nel tentativo di
accumulare straordinari su straordinari pur di aumentare le ultime busta paga.
Già Ermanno Rea ci aveva fatto scorgere un simile spaccato del mondo operaio,
raccontando ne La dismissione21 la storia quasi vera di un lavoratore dell’Ilva di Bagnoli che
a metà degli anni ’90 fu incaricato di seguire la chiusura dello stabilimento campano e lo
smontaggio di alcuni impianti, venduti ai cinesi. Una storia ripresa al cinema da La stella che
non c’è (2005) di Gianni Amelio, e qui messa in relazione da Ugo Fracassa con l’esordio di
Volponi, in causa del comune «luddismo sublimato» nei due romanzi.
Fuori dalle fabbriche, tra le figure entrate ormai a pieno diritto nella nostra letteratura, si
conta un gran numero di telefonisti/e di call center, capitanati dai personaggi del già citato
Pausa caffè di Falco e dalla protagonista de Il mondo deve sapere22 di Michela Murgia nato
blog, diventato poi libro, commedia teatrale e film, come ricorda il saggio di Laura Nieddu.
Ma anche Ascanio Celestini (studiato da Irina Possamai e nell’intervento di Laura Rorato e
Claudio Brancaleoni) ha molto contribuito a conferire dignità letteraria a questa categoria,
cominciando a raccontare in teatro e con un documentario23 la vertenza degli operatori
telefonici del collettivo PrecariAtesia di Roma, sfruttati dalla più grande società di call
center italiana, le cui storie hanno poi costituito il materiale di base dell’ultimo romanzo
dell’autore, Lotta di classe24.
Sono numerosi anche i direttori del personale e gli impiegati delle «relazioni umane»
costretti a trasformarsi in «tagliatori di teste» incaricati di licenziare i loro colleghi come in
Volevo solo dormirle addosso25 di Massimo Lolli o in Cordiali saluti26 di Andrea Bajani, qui
analizzato da Paolo Chirumbolo. Non mancano infine i manager in crisi professionale e
personale quali il protagonista di un’alienazione rovesciata in L’anno luce27 di Giuseppe
Genna (al centro del saggio di Claudio Milanesi) o quelli delle opere di Sebastiano Nata.
Un’altra interessante chiave di lettura del volume è quella geografica, poiché molti
contributi sono dedicati a specifiche ricostruzioni ambientali firmate dai nostri scrittori:
Maria Pia De Paulis e Laurent Lombard analizzano il Nordest raccontato da Massimo
21
Ermanno Rea, La dismissione, Rizzoli, Milano 2002.
Michela Murgia, Il mondo deve sapere - Romanzo tragicomico di una telefonista precaria, Isbn, Milano
2006.
23
Ascanio Celestini, Parole sante, Fandango, Roma 2008.
24
Id., Lotta di classe, Einaudi, Torino 2009.
25
Massimo Lolli, Volevo solo dormirle addosso, Limina, Arezzo 1998.
26
Andrea Bajani, Cordiali saluti, Einaudi, Torino 2005.
27
Giuseppe Genna, L’anno luce, Marco Tropea, Milano 2005.
22
Carlotto, Estelle Paint l’Emilia urbana e selvaggia di Wu Ming28, Adalgisa Giorgio le
province campano-laziali di Antonio Pascale e Fabrizia Ramondino, Giuliana Pias la
Sardegna glocale di Giulio Angioni, Srecko Jurisic la Roma «città-azienda» di Tommaso
Pincio.
Non è qui possibile dar conto di tutti i contributi ospitati da «Narrativa», dei quali
possiamo ancora ricordare solo alcuni altri macro-temi. Ci riferiamo in modo particolare ai
due assi di ricerca già esplorati da Lucia Quaquarelli e Monica Jansen29 nei numeri della
rivista del 2007 e del 2008, dedicati a Letteratura e politica e a Femminile/Maschile nella
letteratura italiana degli anni 2000.
La prima rileggeva Mi chiamo Roberta…30, il particolare reportage dedicato da Aldo
Nove alla generazione dei precari, e analizzava il ricorso sempre più frequente a narrazioni
che ibridano fiction e documento. Nel volume uscito quest’anno è soprattutto Carmela
Lettieri a tirare le fila della poetica esperienziale che sottende alle inchieste di Nove, Simona
Baldanzi, Angelo Ferracuti ed altri, nate e costruite come altrettante testimonianze di una
comune «appartenenza di classe» tra gli autori e i loro reali protagonisti.
Monica Jansen rifletteva già nel 2008 sull’importante questione delle differenze di
genere nel mercato del lavoro italiano e sulle relative testimonianze letterarie, indagate oggi
dalla collega Quaquarelli, che affronta il tema dell’immigrazione femminile rileggendo le
opere di Gabriella Kuruvilla e Igiaba Scego, da Margherita Marras, che ripercorre le
protagoniste dei romanzi di Francesca Mazzucato, e da Eleonora Pinzuti che analizza i dati
sulla maggiore precarietà e mobilità occupazionale delle donne italiane, confermati anche da
alcune pubblicazioni di non fiction.
L’attuale attenzione degli scrittori italiani per il lavoro, e il ragionato compendio di
questo volume, dimostrano quindi come sia in atto un importante tentativo di riconsegnare
quanta più figurabilità possibile ai nuovi luoghi del lavoro e alle figure del precariato, che,
come scrive Monica Jansen, nell’immaginario collettivo non hanno ancora assunto i contorni
netti e decisivi del proletariato di un tempo.
28
Wu Ming 2, Guerra agli umani, Einaudi, Torino 2004 e Wu Ming, Previsioni del tempo, Edizioni Ambiente,
Milano 2008.
29
Lucia Quaquarelli, Tra finzione e documento. Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese…
di Aldo Nove, «Narrativa», 29, 2007, pp. 199-207 e Monica Jansen, Precariato al femminile: una scelta di
parte?, «Narrativa», 30, 2008, pp. 333-345.
30
Aldo Nove, Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese, Einaudi, Torino 2006.
Letteratura e azienda - Rappresentazioni letterarie dell’economia e del lavoro nella
letteratura italiana degli anni 2000, a cura di Silvia Contarini, «Narrativa», nuova serie,
31/32, 2010.
L’indice del volume, reperibile anche all’indirizzo:
http://www.pressesparisouest.fr/index.php?option=com_content&view=article&id=230:n
-31-32-letteratura-e-azienda&catid=44:narrativa&Itemid=72
Silvia Contarini, Raccontare l’azienda, il precariato, l’economia globalizzata. Modi,
temi, figure; Giuseppe Nicoletti, Una premessa quasi necessaria: Volponi e il romanzo
industriale; Raffaele Donnarumma, «Storie vere»: narrazioni e realismi dopo il
postmoderno; Donata Meneghelli, Gli operai hanno ancora pochi anni di tempo? Morte e
vitalità della fabbrica; Ugo Fracassa, In luogo della fabbrica. Similitudini e paragoni dal
Memoriale alla Dismissione; Laura Rorato e Claudio Brancaleoni, Dalla fabbrica al call
center : la smaterializzazione della metropoli contemporanea; Carmela Lettieri, Osservare il
lavoro ancor prima di raccontarlo. Le rappresentazioni del mondo del lavoro tra approcci
etnografici, osservazione partecipante e reportage giornalistici; Claudio Milanesi,
«Sembrerebbe una fiction e invece è vero». Mimesi e antinaturalismo in Giuseppe Genna,
L’anno luce; Monica Jansen, Quando l’azienda diventa mortale. Le «morti bianche»:
narrazione e mutazione del soggetto operaio; Maria Pia De Paulis, Nordest di Massimo
Carlotto: ascesa e declino del capitalismo tra sangue e misteri familiari; Laurent Lombard,
La finitudine come orizzonte: mutazione, mobilizzazione, globalizzazione nell’opera di
Massimo Carlotto; Adalgisa Giorgio, Mutazioni del lavoro, comunità e pensiero meridiano:
Antonio Pascale e Fabrizia Ramondino; Giuliana Pias, Dal nuraghe a Internet: un esempio
letterario di un luogo a economia globalizzata; Srecko Jurisic, Roma città-azienda. Cinacittà
di Tommaso Pincio e Intervista inedita a Tommaso Pincio; Estelle Paint, Trasformazioni
sociali e economiche dell’Italia contemporanea in Guerra agli umani e Previsioni del tempo
di Wu Ming; Margherita Marras, Sesso, nuove tecnologie e management: reificazione del
corpo e del desiderio in Web cam di Francesca Mazzuccato; Lucia Quaquarelli, Le
«domestiche della globalizzazione». Il lavoro femminile nella letteratura italiana
dell’immigrazione; Eleonora Pinzuti, Il genere precario. Narrazioni e teorie contemporanee;
Paolo Chirumbolo, L’incertezza continua: l’Italia del lavoro vista da Andrea Bajani; Laura
Nieddu, Il mondo deve sapere che ci resta Tutta la vita davanti. La caverna del call center
raccontata dall’interno; Irina Possamai, Ascanio Celestini e la Fabbrica di Parole sante:
appunti per una Lotta di classe; Oreste Sacchelli, Intellettuali al bivio: Valzer, di Salvatore
Maira; Appendice: Il precariato del lavoro nell’Italia di oggi: Giovanni Bonato, Il lavoro
atipico in Italia: evoluzione e analisi normativa; Luca Marsi, Flessibilità e precarietà del
lavoro nell’Italia del XXI secolo; Caroline Savi, Mercato del lavoro e occupazione femminile
nell’Italia dei primi anni 2000.
Claudio Panella