Panella recensione Narrativa - Italogramma
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Panella recensione Narrativa - Italogramma
Italogramma, Vol. 1 (2011) http://italogramma.elte.hu Il ritorno del lavoro nella letteratura italiana: note intorno al nuovo volume di «Narrativa» su Letteratura e azienda L’ultimo numero di «Narrativa» raccoglie le ricerche su di un tema di sempre più stringente attualità coordinate da Silvia Contarini, che insegna Littérature et civilisation italiennes du XX et XXI siècles a Paris Ouest Nanterre La Défense. Con i colleghi del Centre de Recherches Italiennes, Contarini ha promosso un Convegno internazionale (14-16 maggio 2009) i cui atti sono raccolti proprio nel volume ora stampato, dedicato a Letteratura e azienda - Rappresentazioni letterarie dell’economia e del lavoro nella letteratura italiana degli anni 20001. Questa pubblicazione ha il merito di fare il punto su di un panorama sempre più ampio di scritture che, come d’altronde in molti altri paesi, anche in Italia affrontano il tema del lavoro nei modi più tradizionali della fiction e in quelli del documento o della testimonianza di vita vissuta. Non è affatto strano che il primo serio studio su tali opere sia promosso da un centro di ricerca situato all’estero. Una certa distanza acuisce infatti lo sguardo, come dimostra il dibattito internazionale sulle commistioni tra fiction e non fiction e sul ritorno del reale2 nella letteratura italiana, sviluppatosi in seguito al successo di Gomorra3 e alla fortunata circolazione del New Italian Epic4 di Wu Ming 1. Inoltre, la Francia è il paese dove il fenomeno oggi correntemente definito della «littérature du travail» ha dato alcuni dei suoi esiti più interessanti nel panorama europeo. 1 Letteratura e azienda - Rappresentazioni letterarie dell’economia e del lavoro nella letteratura italiana degli anni 2000, a cura di Silvia Contarini, «Narrativa», nuova serie, 31/32, 2010. 2 Oltre alle riflessioni critiche apparse in Italia, tra le prime il saggio introduttivo di Ranieri Polese all’Almanacco Guanda 2008 e il n. 57 di «Allegoria» del gennaio-giugno 2008, penso soprattutto a occasioni interessanti quali la sessione Precarity at Large: Cultures of Resistance in Contemporary Italy della Biennial Conference of the Society for Italian Studies, University of London, 16-19 aprile 2009 o i convegni Fiction, faction, reality: incontri, scambi, intrecci nella letteratura italiana dal 1990 ad oggi, Istituto Italiano di Cultura e Uniwersytet Warszawski, 9-10 novembre 2009 e Negli archivi e per le strade: il ‘ritorno al reale’ nella narrativa italiana di inizio millennio, University of Toronto, 6-8 maggio 2010. 3 Roberto Saviano, Gomorra, Mondadori, Milano 2006. 4 Wu Ming 1, New Italian Epic - Letteratura, sguardi obliqui, ritorni al futuro, Einaudi, Torino 2009. La prima versione del «memorandum» era stata diffusa in rete nel 2008. Il campo culturale francese è da sempre particolarmente prolifico di «récit» e di quella letteratura «d’expression populaire», «prolétarienne», «paysanne» o «ouvrière»5 di cui una parte della produzione letteraria che racconta oggi il lavoro si considera, e si può considerare, un’evoluzione. Nei paesi più industrializzati questa tradizione ha radici profonde, consolidatesi all’indomani della Rivoluzione d’ottobre con la parabola del Proletkult sovietico (attivo dal 1918 al 1923) e con la formazione in tutto il mondo di movimenti composti da scrittori proletari per nascita o per vocazione accomunati dalla volontà di raccontare la vita dei lavoratori. Per tutti gli anni ’20 e ’30, a livello internazionale, si dibatte sulla legittimità di questa letteratura, al centro di dispute di stampo prettamente politico-ideologico: accade così che in Francia i proletari «non allineati» di Poulaille e il gruppo della rivista «Monde» di Barbusse, condannati nel 1930 dall’Union Internationale des Ecrivains Révolutionnaires e dal Congresso di Kharkov, si scontrino ripetutamente sia con gli scrittori militanti nel PCF vicini alle linee del «realismo socialista» sia con i «Populisti» che si richiamavano al naturalismo francese del XIX secolo. In Italia, invece, il ventennio fascista taglia fuori la nostra cultura da tale dibattito. Anche per questo la produzione narrativa dei lavoratori è stata a lungo marginale. Per buona parte del ’900 questo genere di «récit» non è stato certo incoraggiato da intellettuali e letterati di professione, a causa della non autorevolezza dei lavoratori/scrittori e della natura sostanzialmente autobiografica e documentaria dei loro testi. L’intensa riflessione promossa da Elio Vittorini negli anni ’60 su Industria e letteratura6 si basava quasi esclusivamente su opere firmate da impiegati e dirigenti di grande aziende (come la Olivetti) che combinavano intenti documentari con le proprie personali valutazioni sui processi di alienazione insiti nella società del boom economico. Un’elaborazione quindi non assimilabile al fenomeno delle scritture proletarie, a quella che avrebbe potuto incoraggiare nell’immediato dopoguerra «Il Politecnico» dello stesso Vittorini se avesse avuto la possibilità di perseguire l’iniziale intento della rivista di dare voce ai lavoratori 5 Cfr. almeno Michel Ragon, Histoire de la littérature prolétarienne en France - Littérature ouvrière, littérature paysanne, littérature d’expression populaire, Albin Michel, Paris 1974. Il libro ha avuto una nuova edizione nel 1986 e una ristampa nel 2005, a dimostrazione della continua rilevanza di tali temi nel dibattito francese. 6 Elio Vittorini, Industria e letteratura, «Il Menabò», III, 4, 1961, pp. 13-20. La prima ricorrenza italiana del binomio si deve però all’omonimo capitolo di Elemire Zolla, Eclissi dell’intellettuale, Bompiani, Milano 1959, pp. 7-86 dedicato alle resistenze intellettuali alla rivoluzione industriale. stessi7, un progetto poi solo parzialmente seguitato con la collana einaudiana dei «Gettoni». Ci sono volute le lotte dell’autunno caldo del 1969, e il successo dell’anomalo romanzo operaista di Nanni Balestrini8, per far entrare come un genere a sé racconti e diari di operai nel campo letterario italiano. Sullo sfondo di un’alternanza paradigmatica tra Realismo e Avanguardia, la letteratura italiana che racconta il lavoro è stata quindi analizzata soprattutto come l’esito ricorrente della spinta di un «extra-letterario». Per usare le parole di Filippo La Porta, gli italiani racconterebbero la «realtà» solo quando questa li costringe a «riscoprirla»9, come accaduto con le guerre mondiali, a cavallo del 1968, dopo l’11 settembre 2001 o con l’ultima crisi economica e finanziaria. La Porta è stato tra i primi10 ad abbozzare uno studio su chi al volgere del 2000 iniziava a raccontare «il precariato diffuso» e «la morbida irrealtà» del lavoro flessibile. Allora si poteva pensare all’incombere di una nuova ondata di autori attenti a raccontare le trasformazioni della modernità «liquida» in modi anche sperimentali. Invece, tranne poche parziali eccezioni - tra cui i testi di Francesco Dezio (Nicola Rubino è entrato in fabbrica11) e Giorgio Falco (Pausa caffè12) già presentati all’edizione 2002 di Ricercare sembra essersi affermata una tendenza di stampo prevalentemente realistico13. Come illustra Raffaele Donnarumma nel suo contributo in Letteratura e azienda, il modulo della «storia vera» ha oggi preso il sopravvento su ogni altra forma di racconto. Quest’ansia di realismo porta con sé diversi paradossi, perché ha fatto diventare oramai «istituzionale» una serie di dispositivi retorici, quali l’uso della prima persona grammaticale, e perché si manifesta con una sempre più frequente esibizione della storia non solo come verisimile ma come «reale» (quasi che «il campo del vero si sia ristretto a quello del reale, cioè del dato»). Ciò accade anche quando la maggior parte dei dati di realtà è palesemente ripresa dai media e dai discorsi sul mondo del lavoro che s’intrecciano nella nostra società, anche quando la matrice esperienziale e autobiografica del racconto è palesemente fittizia. 7 Cfr. almeno il mio La rappresentazione letteraria del lavoro e la produzione narrativa dei lavoratori in corso di stampa in Comparatistica e intertestualità – Studi in onore di Franco Marenco, a cura di Giuseppe Sertioli, Carla Vaglio Marengo e Chiara Lombardi, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2010. 8 Nanni Balestrini, Vogliamo tutto, Feltrinelli, Milano 1971. 9 Cfr. Filippo La Porta, L’autoreverse dell’esperienza - Euforie e abbagli della vita flessibile, Bollati Boringhieri, Torino 2004, p. 11. 10 Id., Albeggia una letteratura postindustriale, Tirature 2000 - Romanzi di ogni genere - Dieci modelli a confronto, a cura di Vittorio Spinazzola, Il Saggiatore, Milano 2000, pp. 97-105. 11 Francesco Dezio, Nicola Rubino è entrato in fabbrica, Feltrinelli, Milano 2004. 12 Giorgio Falco, Pausa caffè, Sironi, Milano 2004. 13 Cfr. la nota 2 e almeno anche Vittorio Spinazzola, La riscoperta dell’Italia, Tirature 2010 – Il New Italian Realism, Il Saggiatore, Milano 2010, pp. 10-15. La nuova retorica realista ha infatti fini più pragmatici che metafisici: da forma di autoassicurazione per chi scrive e garanzia di autenticità per il lettore, è ormai divenuta formula, che lo stesso mercato editoriale richiede agli autori puntando a target ben definiti di lettori14. Ciò vale sia per la fiction sia per le nuove tipologie di reportage, compresa quella «narrazione documentaria» che ibrida elementi di cronaca e una struttura narrativa finzionale. Donnarumma sottolinea come queste nuove forme possano considerarsi un positivo ampliamento del campo del letterario, anche se nel quadro di un generale declino delle poetiche postmoderne. I saggi di Donnarumma e Giuseppe Nicoletti riconoscono poi in Paolo Volponi una figura senza eguali di letterato convintamente marxista, che dall’esordio di Memoriale15 all’ultimo Le mosche del capitale16 ha saputo raccontare la progressiva smaterializzazione dell’industria italiana del ’900. Nonostante le indubbie facoltà di anticipazione dell’ultimo romanzo di Volponi (che lo avvicinano al Petrolio17 pasoliniano), il modello dello scrittore urbinate non si è però pienamente imposto nel nuovo millennio. Basti rileggere questa sua dichiarazione del 1965, citata dallo stesso Nicoletti: «Ciò che scrivo non deve rappresentare la realtà, ma deve romperla»18. Leggendo i vari interventi raccolti in «Narrativa», tale volontà di essere «fuori anche dallo status della lingua, del raccontare, del comunicare in modo tradizionale»19 sembra essersi nel complesso affievolita, a vantaggio di un approccio più diretto alla documentazione e alla denuncia delle sempre più precarie condizioni dei lavoratori italiani. In Letteratura e azienda si presenta un insieme di scritture accomunate da questa tensione, il cui valore è proprio quello di restituire un affresco attendibile delle reali emergenze del nostro paese. Il quaderno, come si legge nel corposo capitolo introduttivo della curatrice Silvia Contarini, è nato anche in risposta agli interrogativi con cui Giovanni Pacchiano rifletteva nel 2006 sulla «ripresa da parte della letteratura del tema del lavoro (latitante, in dosi così rilevanti, da oltre una ventina di anni)», chiedendosi a proposito dei molti racconti 14 Cfr. almeno Michele Rak, La letteratura di Mediopolis, Fausto Lupetti, Bologna 2010 dove l’autore rileva tra l’altro come gli editori tendano sempre più a ragionare sui target cui proporre i propri prodotti e sui possibili agganci tra i testi e l’attualità: la crescente diffusione del precariato è vista senz’altro come un bacino florido di temi e di lettori potenziali. 15 Paolo Volponi, Memoriale, Garzanti, Milano 1962. 16 Id., Le mosche del capitale, Einaudi, Torino 1989. 17 Pier Paolo Pasolini, Petrolio, Einaudi, Torino 1992. 18 Paolo Volponi, La difficoltà del romanzo (1965), in «Le conferenze dell’Associazione Culturale Italiana», XVII, 1966. 19 Ibidem. sulle ingiustizie subite dai precari: «Hanno ragione? Occorrerà chiederlo agli esperti di economia e di diritto del lavoro, nonché ai sociologi»20. I tre contributi che costituiscono l’appendice del volume sono per l’appunto firmati dagli «esperti» Giovanni Bonato, Luca Marsi e Caroline Savi, e forniscono al lettore l’intero quadro giuridico ed economico del mercato del lavoro italiano, vittima della moltiplicazione dei contratti atipici e di un inarrestabile smantellamento delle tutele conquistate dai lavoratori nel corso del ’900. Non solo i nuovi ma anche i vecchi salariati sono sempre più oggettivamente, e non solo psicologicamente, insicuri rispetto al loro contratto, ai diritti sociali che questo dovrebbe garantire, e alle prospettive future del proprio impiego: questi gli indici della «precarietà» individuati da uno studio francese citato da Marsi, che esamina «i fondamenti ideologici della flessibilità» dalla teoria storica del laissez faire all’attuale ansia di de-regolamentazione dei rapporti di lavoro, di cui la recente condotta del gruppo Fiat è solo il caso più eclatante. Da questi approfondimenti e dalle rappresentazioni letterarie riepilogate nelle restanti pagine del volume appare chiaro come un lavoro stabile, attraverso cui accumulare beni e carriera, dava a ciascun individuo un’idea lineare e narrativa della propria vita, che ideologie come quelle socialista e comunista riuscivano anche a riscattare in una narrazione storica più ampia. Al contrario, negli ultimi due decenni del ’900 la frammentazione e la compresenza in molti percorsi di vita di lavori molteplici non garantiscono più un livello sufficiente di gratificazione e di fiducia nel futuro, e danno luogo a narrazioni frantumate e pseudoautobiografiche. Le industrie al centro del romanzo «aziendale» degli anni ’50 e ’60 e di quello operaio degli anni ’70 sono tutt’altro che esenti da questo regresso. L’operaio che nel nuovo millennio torna protagonista di un romanzo italiano (in «Narrativa» Donata Meneghelli ne censisce alcune delle non molte apparizioni degli ultimi decenni) è il Nicola Rubino di Dezio, reso sordo da un contratto interinale a ogni possibile solidarietà di classe, fino all’inevitabile quanto liberatorio licenziamento finale. Anche in fabbrica è infatti entrato il precario, operaio a tempo determinato in un’azienda che è spesso lei stessa vicinissima alla data di scadenza. In questo contesto, il fronte dei lavoratori non è quasi mai in grado di proporre un’alternativa, come la cronaca ci testimonia quotidianamente. Il tragico incidente del dicembre 2007 alla ThyssenKrupp di Torino, rievocato nel saggio di Monica Jansen e ricostruito dai documentari La fabbrica dei tedeschi (2008) di Mimmo Calopresti e ThyssenKrupp Blues (2008) di Monica Balla e Mauro Repetto, ha rivelato con tremenda 20 Giovanni Pacchiano, Scrittori ad alta flessibilità, in «Domenica - Il Sole 24 ore», 28 maggio 2006, p. 29. chiarezza come un gruppo di giovani operai possa trovarsi costretto a lavorare allo smantellamento della propria fabbrica in condizioni di totale insicurezza, nel tentativo di accumulare straordinari su straordinari pur di aumentare le ultime busta paga. Già Ermanno Rea ci aveva fatto scorgere un simile spaccato del mondo operaio, raccontando ne La dismissione21 la storia quasi vera di un lavoratore dell’Ilva di Bagnoli che a metà degli anni ’90 fu incaricato di seguire la chiusura dello stabilimento campano e lo smontaggio di alcuni impianti, venduti ai cinesi. Una storia ripresa al cinema da La stella che non c’è (2005) di Gianni Amelio, e qui messa in relazione da Ugo Fracassa con l’esordio di Volponi, in causa del comune «luddismo sublimato» nei due romanzi. Fuori dalle fabbriche, tra le figure entrate ormai a pieno diritto nella nostra letteratura, si conta un gran numero di telefonisti/e di call center, capitanati dai personaggi del già citato Pausa caffè di Falco e dalla protagonista de Il mondo deve sapere22 di Michela Murgia nato blog, diventato poi libro, commedia teatrale e film, come ricorda il saggio di Laura Nieddu. Ma anche Ascanio Celestini (studiato da Irina Possamai e nell’intervento di Laura Rorato e Claudio Brancaleoni) ha molto contribuito a conferire dignità letteraria a questa categoria, cominciando a raccontare in teatro e con un documentario23 la vertenza degli operatori telefonici del collettivo PrecariAtesia di Roma, sfruttati dalla più grande società di call center italiana, le cui storie hanno poi costituito il materiale di base dell’ultimo romanzo dell’autore, Lotta di classe24. Sono numerosi anche i direttori del personale e gli impiegati delle «relazioni umane» costretti a trasformarsi in «tagliatori di teste» incaricati di licenziare i loro colleghi come in Volevo solo dormirle addosso25 di Massimo Lolli o in Cordiali saluti26 di Andrea Bajani, qui analizzato da Paolo Chirumbolo. Non mancano infine i manager in crisi professionale e personale quali il protagonista di un’alienazione rovesciata in L’anno luce27 di Giuseppe Genna (al centro del saggio di Claudio Milanesi) o quelli delle opere di Sebastiano Nata. Un’altra interessante chiave di lettura del volume è quella geografica, poiché molti contributi sono dedicati a specifiche ricostruzioni ambientali firmate dai nostri scrittori: Maria Pia De Paulis e Laurent Lombard analizzano il Nordest raccontato da Massimo 21 Ermanno Rea, La dismissione, Rizzoli, Milano 2002. Michela Murgia, Il mondo deve sapere - Romanzo tragicomico di una telefonista precaria, Isbn, Milano 2006. 23 Ascanio Celestini, Parole sante, Fandango, Roma 2008. 24 Id., Lotta di classe, Einaudi, Torino 2009. 25 Massimo Lolli, Volevo solo dormirle addosso, Limina, Arezzo 1998. 26 Andrea Bajani, Cordiali saluti, Einaudi, Torino 2005. 27 Giuseppe Genna, L’anno luce, Marco Tropea, Milano 2005. 22 Carlotto, Estelle Paint l’Emilia urbana e selvaggia di Wu Ming28, Adalgisa Giorgio le province campano-laziali di Antonio Pascale e Fabrizia Ramondino, Giuliana Pias la Sardegna glocale di Giulio Angioni, Srecko Jurisic la Roma «città-azienda» di Tommaso Pincio. Non è qui possibile dar conto di tutti i contributi ospitati da «Narrativa», dei quali possiamo ancora ricordare solo alcuni altri macro-temi. Ci riferiamo in modo particolare ai due assi di ricerca già esplorati da Lucia Quaquarelli e Monica Jansen29 nei numeri della rivista del 2007 e del 2008, dedicati a Letteratura e politica e a Femminile/Maschile nella letteratura italiana degli anni 2000. La prima rileggeva Mi chiamo Roberta…30, il particolare reportage dedicato da Aldo Nove alla generazione dei precari, e analizzava il ricorso sempre più frequente a narrazioni che ibridano fiction e documento. Nel volume uscito quest’anno è soprattutto Carmela Lettieri a tirare le fila della poetica esperienziale che sottende alle inchieste di Nove, Simona Baldanzi, Angelo Ferracuti ed altri, nate e costruite come altrettante testimonianze di una comune «appartenenza di classe» tra gli autori e i loro reali protagonisti. Monica Jansen rifletteva già nel 2008 sull’importante questione delle differenze di genere nel mercato del lavoro italiano e sulle relative testimonianze letterarie, indagate oggi dalla collega Quaquarelli, che affronta il tema dell’immigrazione femminile rileggendo le opere di Gabriella Kuruvilla e Igiaba Scego, da Margherita Marras, che ripercorre le protagoniste dei romanzi di Francesca Mazzucato, e da Eleonora Pinzuti che analizza i dati sulla maggiore precarietà e mobilità occupazionale delle donne italiane, confermati anche da alcune pubblicazioni di non fiction. L’attuale attenzione degli scrittori italiani per il lavoro, e il ragionato compendio di questo volume, dimostrano quindi come sia in atto un importante tentativo di riconsegnare quanta più figurabilità possibile ai nuovi luoghi del lavoro e alle figure del precariato, che, come scrive Monica Jansen, nell’immaginario collettivo non hanno ancora assunto i contorni netti e decisivi del proletariato di un tempo. 28 Wu Ming 2, Guerra agli umani, Einaudi, Torino 2004 e Wu Ming, Previsioni del tempo, Edizioni Ambiente, Milano 2008. 29 Lucia Quaquarelli, Tra finzione e documento. Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese… di Aldo Nove, «Narrativa», 29, 2007, pp. 199-207 e Monica Jansen, Precariato al femminile: una scelta di parte?, «Narrativa», 30, 2008, pp. 333-345. 30 Aldo Nove, Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese, Einaudi, Torino 2006. Letteratura e azienda - Rappresentazioni letterarie dell’economia e del lavoro nella letteratura italiana degli anni 2000, a cura di Silvia Contarini, «Narrativa», nuova serie, 31/32, 2010. L’indice del volume, reperibile anche all’indirizzo: http://www.pressesparisouest.fr/index.php?option=com_content&view=article&id=230:n -31-32-letteratura-e-azienda&catid=44:narrativa&Itemid=72 Silvia Contarini, Raccontare l’azienda, il precariato, l’economia globalizzata. Modi, temi, figure; Giuseppe Nicoletti, Una premessa quasi necessaria: Volponi e il romanzo industriale; Raffaele Donnarumma, «Storie vere»: narrazioni e realismi dopo il postmoderno; Donata Meneghelli, Gli operai hanno ancora pochi anni di tempo? Morte e vitalità della fabbrica; Ugo Fracassa, In luogo della fabbrica. Similitudini e paragoni dal Memoriale alla Dismissione; Laura Rorato e Claudio Brancaleoni, Dalla fabbrica al call center : la smaterializzazione della metropoli contemporanea; Carmela Lettieri, Osservare il lavoro ancor prima di raccontarlo. Le rappresentazioni del mondo del lavoro tra approcci etnografici, osservazione partecipante e reportage giornalistici; Claudio Milanesi, «Sembrerebbe una fiction e invece è vero». Mimesi e antinaturalismo in Giuseppe Genna, L’anno luce; Monica Jansen, Quando l’azienda diventa mortale. Le «morti bianche»: narrazione e mutazione del soggetto operaio; Maria Pia De Paulis, Nordest di Massimo Carlotto: ascesa e declino del capitalismo tra sangue e misteri familiari; Laurent Lombard, La finitudine come orizzonte: mutazione, mobilizzazione, globalizzazione nell’opera di Massimo Carlotto; Adalgisa Giorgio, Mutazioni del lavoro, comunità e pensiero meridiano: Antonio Pascale e Fabrizia Ramondino; Giuliana Pias, Dal nuraghe a Internet: un esempio letterario di un luogo a economia globalizzata; Srecko Jurisic, Roma città-azienda. Cinacittà di Tommaso Pincio e Intervista inedita a Tommaso Pincio; Estelle Paint, Trasformazioni sociali e economiche dell’Italia contemporanea in Guerra agli umani e Previsioni del tempo di Wu Ming; Margherita Marras, Sesso, nuove tecnologie e management: reificazione del corpo e del desiderio in Web cam di Francesca Mazzuccato; Lucia Quaquarelli, Le «domestiche della globalizzazione». Il lavoro femminile nella letteratura italiana dell’immigrazione; Eleonora Pinzuti, Il genere precario. Narrazioni e teorie contemporanee; Paolo Chirumbolo, L’incertezza continua: l’Italia del lavoro vista da Andrea Bajani; Laura Nieddu, Il mondo deve sapere che ci resta Tutta la vita davanti. La caverna del call center raccontata dall’interno; Irina Possamai, Ascanio Celestini e la Fabbrica di Parole sante: appunti per una Lotta di classe; Oreste Sacchelli, Intellettuali al bivio: Valzer, di Salvatore Maira; Appendice: Il precariato del lavoro nell’Italia di oggi: Giovanni Bonato, Il lavoro atipico in Italia: evoluzione e analisi normativa; Luca Marsi, Flessibilità e precarietà del lavoro nell’Italia del XXI secolo; Caroline Savi, Mercato del lavoro e occupazione femminile nell’Italia dei primi anni 2000. Claudio Panella