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n° 378 - gennaio 2017
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Direttore Responsabile Lorenzo Gualtieri - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Edificio L - Strada 6 - Centro Direzionale Milanofiori
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Il viaggio
del maestro
fiammingo nella
penisola e la nascita
del Barocco:
scambi e reciproche
influenze
con la pittura italiana
del primo Seicento
Ritratto della figlia Clara Serena
Vienna, Palazzo Liechtenstein
The Princely Collections
Rubens e l’Italia
Il Seicento è un secolo di luci e ombre,
un’epoca vissuta fra miseria e splendore;
teatro di grandi guerre, di contrasti
religiosi e sociali, di carestie e pestilenze,
è anche l’età in cui inizia a manifestarsi
il gusto per il lusso e l’eccesso. La crisi
sociale non è accompagnata infatti
da una crisi culturale, anzi, in questo
ambito si assiste a una rivoluzione
con la nascita della “scienza moderna”
grazie a Galileo Galilei. In campo artistico il Seicento è dominato dal Barocco, che si distingue per la ricchezza
delle decorazioni e per il gusto per il
movimento e per tutto ciò che genera
stupore, portato all’estremo. Questa
nuova sensibilità nasce da una profonda
crisi spirituale dell’uomo e in particolare
dell’artista, che apre gli occhi sul
mondo attraverso la nuova scienza e
la dimostrazione di un universo diverso
da quello da sempre conosciuto e tramandato, dando avvio ad un percorso
di rottura con il passato e di grande
innovazione.
Il Seicento in Italia si apre con la presenza di una personalità artistica che
si rivelerà di fondamentale importanza
per tutto il secolo a venire: Pieter Paul
Rubens, che trascorre tra Venezia,
Mantova, Roma, Genova e Firenze
otto anni della sua vita.
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Nel suo soggiorno nel Bel Paese Rubens, troppo spesso ricordato in modo
riduttivo solo come “pittore fiammingo”, riveste un ruolo catartico per
l’arte italiana ed europea, dando avvio
alla grande stagione del Barocco e divenendo un punto di riferimento per
maestri come Bernini, Pietro da Cortona, Domenico Fetti, Lanfranco,
Salvator Rosa e Luca Giordano, che
furono letteralmente conquistati dalla
portata innovativa della pittura di
Rubens.
La mostra Pietro Paolo Rubens e la nascita del Barocco, in corso al Palazzo
Reale di Milano fino al 26 febbraio,
indaga a fondo il legame di questo artista con l’Italia e in particolare la sua
influenza sulle opere dei pittori e
scultori italiani che sentirono l’esigenza
di seguire la strada da lui aperta.
Rubens, nato a Siegen, Vestfalia, nel
1577 in una famiglia benestante,
studia lettere antiche e, una volta trasferitosi ad Anversa nel 1589 dopo la
morte del padre, inizia la sua breve
gavetta nella bottega del paesaggista
Tobias Verhaecht ed in seguito in
quella di A. van Noort, fino a che alla
precoce età di 21 anni si iscrive alla
corporazione dei pittori come maestro.
La svolta per la sua carriera artistica
e diplomatica inizia con il viaggio di
studi in Italia nel 1600; Venezia è la
prima tappa, qui apprende la lezione
dei pittori veneti, dei toni caldi di Tiziano, Tintoretto e del Veronese. Si
reca poi a Mantova dove incontra
Vincenzo Gonzaga, che terrà al suo
servizio e sotto la sua ala protettrice
l’artista fiammingo durante tutto il
suo soggiorno italiano. Alla corte di
Mantova ha modo di conoscere la
pittura di Giulio Romano, dalla quale
trae la sua passione per i corpi morbidi,
per la “carne” e il nudo femminile e
maschile. Sempre per Vincenzo Gonzaga compie un viaggio a Roma per
copiare alcuni dipinti e qui incontra
le opere dei Carracci e di Caravaggio.
Nel 1603 il duca di Mantova lo invia
in missione diplomatica presso Filippo
III a Madrid, dove oltre a poter studiare
le splendide collezioni reali, dimostra
le sue eccezionali doti di diplomatico,
che saranno oggetto di costante ammirazione da parte dei suoi contemporanei.
Nel settembre del 1606 i Padri Filippini, a pochi anni dalla scomparsa di
San Filippo Neri, chiamano Rubens
per allestire la parte absidale della
Chiesa Nuova, la più famosa e frequentata di Roma, incaricandolo della
realizzazione di una grande pala per
celebrare i santi e i martiri venerati
dal loro Ordine; la commissione è un
importante banco di prova per l’artista:
la prima versione della pala d’altare,
con San Gregorio Magno e altri santi
che venerano l'immagine della Vergine
(1606-07, oggi conservata a Grenoble
presso il Musée des Beaux-Arts) viene
rifiutata, ma l'anno successivo Rubens
Adorazione dei pastori
Fermo, Pinacoteca Civica
La scoperta di Erittonio fanciullo - Vienna, Palazzo
Liechtenstein - The Princely Collections
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rimedia al primo insuccesso eseguendo
su ardesia i tre dipinti tuttora nella
chiesa con la Vergine in gloria adorata
dagli angeli, Santi Gregorio, Mauro e
Papiano e Santi Domitilla, Nereo e
Achilleo. La pala centrale sprigiona
un’intensa dinamicità, prodotta dal
turbinio di angeli che sorreggono l’immagine della Madonna col Bambino,
che cela dietro di sé l’antica e veneratissima icona della Madonna della
Vallicella; i corpi nudi dei putti sono
morbidi e carnosi, con evidenti riferimenti a Correggio e con un intenso
cromatismo di stampo veneto; straordinaria è la dilatazione spaziale, così
come la ricchezza dei panneggi, che
diverranno note predominanti per il
Barocco romano.
Nel 1608 Rubens porta a termine
una delle sue opere più apprezzate ed
anche l’ultima “italiana”: l’Adorazione
dei pastori. In questa tela luci e ombre
si alternano per creare un’atmosfera
di grande suggestione e concentrare
tutta l’attenzione sul piccolo corpo
del Bambino, che viene trasformato
in una candida macchia di luce. La
composizione forma una sorta di “C”,
avvolgendo la scena in un movimento
continuo e fluido, che dal corpo della
Madonna va verso l’alto, terminando
nei morbidi panneggi da cui si scorgono
i corpi nudi degli angeli.
Nell'ottobre del 1608, informato della
malattia della madre, l’artista parte
da Roma alla volta di Anversa abbandonando per sempre l'Italia, che
porterà però con sé nella produzione
degli anni successivi; il suo grande talento si evolve lentamente, fino a sbocciare nel suo stile personale dopo il
rientro in patria, una volta assimilate
tutte le esperienze vissute in Italia. Il
dinamismo e la rapida esecuzione pittorica predominano nelle sue opere,
caratterizzate da un movimento del
tutto nuovo unito a un intenso e vibrante cromatismo. L’arte italiana,
quella nordica e l’antichità si fondono
nelle creazioni di Rubens creando
qualcosa di completamente nuovo.
Un altro elemento, nato dal viaggio
in Italia e che non abbandona Rubens
è l’amore per il mondo classico e per
la mitologia; nonostante la sua opera
sia ricca di soggetti sacri, l’attenzione
alla classicità non viene mai meno e
anzi il pittore, oltre a rendere simili i
corpi dei suoi santi a quelli degli eroi
epici, affronta anche soggetti mitologici
con personaggi talvolta grandiosi e
altre volte molto foschi; Saturno che
divora uno dei suoi figli (1636-38) è
una tela drammatica e intensa; il vecchio Saturno, chinato sul figlioletto,
tramuta il suo abbraccio in un gesto
efferato, addentando le bianche carni
del bambino, che abbandona la testa
all’indietro dilaniato dal dolore, urlando
disperato; lo sfondo è tetro e quasi
inesistente, la scena è dominata dalla
grandiosità del corpo del protagonista.
La seduzione della classicità inizia
probabilmente quando Rubens ammira
nei giardini vaticani il Torso del Belvedere, la grandiosa scultura mutila
greca del I secolo a.C, che ricorre
spesso nelle opere del maestro, come
nel Cristo risorto del 1616, in cui il
corpo del Cristo non ha niente da invidiare alla statua classica per posa,
forza e definizione.
Rubens rimane affascinato anche da
un’altra opera del mondo antico, l’Ercole Farnese, grandiosa scultura rinvenuta a Roma nel 1545 nelle Terme
di Caracalla, più volte disegnata dall’artista, che spesso raffigura l’eroe
della mitologia classica come esempio
di virtù virili e di coraggio, ammirandone la capacità di non arrendersi di
fronte alle difficoltà, uscendone sempre
vincitore. Il personaggio di Ercole è
quasi una sorta di autoritratto per
Rubens, perché incarna il modello di
vita al quale si ispira; infatti i differenti
stimoli e le difficoltà che l’artista incontra lungo il suo cammino gli danno
la forza di spingersi verso invenzioni
ardite e complesse, e di questo è pienamente consapevole, tanto che afferma
“il mio talento è tale che nessuna impresa,
per quanto vasta di dimensioni, mai
supererà il mio coraggio”.
Rubens si distingue anche come ritrattista; numerosi sono i borghesi da
lui immortalati, ma non solo, infatti
talvolta ritrae se stesso o i membri
della sua amata famiglia. Il Ritratto
della figlia Clara Serena è un’opera
da cui traspare tutto l’amore per la
sua bambina: emerge il legame affettivo
con il soggetto rappresentato, sia per
la dolcezza dei tratti, che per la velocità
della pennellata, come se il pittore
Saturno che divora uno dei suoi figli
Madrid, Museo del Prado
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volesse ritrarre la difficoltà della figlia
a rimanere ferma in posa. Bernini,
con il Ritratto di giovinetto, mostra di
aver appreso la lezione del maestro
fiammingo, e nella sua opera ritroviamo
la pennellata veloce, quasi impressionistica, e il gioco di luci e ombre tanto
caro a Rubens e da allora imprescindibile per il Barocco.
Tra i giovani attratti dalle innovazioni
di Rubens non ci furono solo artisti
italiani ma anche stranieri di passaggio
in Italia, come Simon Vouet, che nel
San Sebastiano curato dalle pie donne,
dipinto nel 1622, si richiama chiaramente al San Sebastiano dipinto da
Rubens nel 1602; in entrambe le opere
il corpo del martire è degno di una
scultura romana, dell’Ercole Farnese
in particolare, la posa, l’eleganza e la
definizione anatomica sono molto simili e l’influenza del maestro sul
giovane artista si nota anche nell’uso
dei colori, e in particolare nella luce
che illumina il corpo del santo, che
non versa neppure una goccia di sangue
dalle ferite inferte dalle frecce.
L’arte di Rubens è stata fondamentale
per la nascita di una corrente del tutto
inedita e dalla portata rivoluzionaria,
quella della pittura Barocca: l’innovativa
visione dell’artista mette in primo
piano il movimento che genera una
visione unitaria e concitata, nella quale
il dettaglio è tralasciato a favore dell’effetto d’insieme.
elena aiazzi