cuore di tenebre - Sardegna Turismo

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cuore di tenebre - Sardegna Turismo
DANIELE PELLEGRINI
MINIERE
cuore di tenebre
TESTO DI
METELLO VENÈ
FOTO DI
VITTORIO GIANNELLA
Manlio, che là dentro ha sputato l’anima, ha pianto e ha perso
più di un amico, dice che la miniera è un’assurdità. “Un monumento al vuoto, un edificio a rovescio: invece di aggiungere
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DOVE SI TROVANO
La stragrande maggioranza
delle miniere sarde si trova
nel Sulcis-Iglesiente, nella
Sardegna sud-occidentale
(provincia di Cagliari), in
un’area che occupa circa
2.500 chilometri quadrati da
Fluminimaggiore, a nord,
fino a Capo Teulada, a sud
(il punto più meridionale
dell’isola). I centri più
importanti sono Iglesias
(Iglesiente), Carbonia
e Sant’Antioco (Sulcis).
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MINIERE
mattoni li togli, invece di costruire disgreghi”. Il punto di partenza
per un viaggio nelle cattedrali a testa in giù, che voltano le spalle al cielo
per cercare il buio, può essere proprio un incontro con Manlio Massole, minatore per vocazione e poeta per natura, che un giorno di tanti anni fa mollò un comodo posto di maestro alle scuole elementari
di Buggerru (Cagliari) per scendere a scavare sottoterra, “mettere
le mani addosso alla vita e farci la lotta, dannazione”.
È lui uno dei più appassionati cantori
del Sulcis-Iglesiente, l’“altra” Sardegna:
A DESTRA: LA LAVERIA
LAMARMORA (1897).
20.000 ettari di suolo e relativo sottosuolo,
SERVIVA A SEPARARE PIOMBO
montagne e pianure plasmate e rimodelE ZINCO DALLE SCORIE.
late da 40 miniere e 3.000 immobili mineIN BASSO: LA MINIERA
SECONDO IL PITTORE ALIGI
rari. Un’isola nell’isola, che sa di piombo,
SASSU (1950). NELLE
carbone, zinco e rame (la quasi totalità
PAGINE PRECEDENTI:
del prodotto nazionale) ed evoca soffeLA MINIERA DI MONTEPONI.
renza e disperate lotte sindacali; una realtà che negli anni di piena attività mineraria (tra il 1850 e i primi anni Sessanta) ti faceva “abbandonare ogni mattina il sole per
sprofondare nell’umidità grigia” e oggi, in epoca di Internet e globalizzazione, offre le sue ferite, i suoi magnifici ruderi e i suoi uomini alla memoria. “Le pale meccaniche ormai tacciono, ma il nostro mondo non morirà”, ci disse Manlio nel 1995, quando chiuse
l’ultima miniera. “Sogno un grande parco minerario, visite guidate ai
vecchi impianti, ex minatori pronti a raccontarsi”.
E il sogno, in effetti, si è realizzato. O quasi. Nel senso che in
questi anni il parco è stato fatto, l’hanno chiamato Parco geominerario storico e ambientale della Sardegna, l’ha riconosciuto come
sito d’interesse mondiale nientemeno che l’Unesco, nel 1997. Pec-
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MINIERE
cuore di tenebre
“Bisogna scendere. Sottoterra. All’imbocco del pozzo si lasciano il sole e le nuvole.
Si lasciano la moglie e i figli. Solo Dio, forse, ci si porta appresso nella parte più intima di noi se anch’Egli non ci abbandona laggiù fuggendo la materia più profonda.
Nel terribile mondo della roccia e del buio sopravvivono solo uomini di roccia e di
buio che hanno necessità di dimenticare la coscienza di essere uomini”.
(Manlio Massole, minatore e poeta, 1993)
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SOPRA:
IL POZZO DI ESTRAZIONE SANTA
BARBARA; È IL “GIOIELLO” DELLA
MINIERA DI SAN GIORGIO. IN BASSO,
A DESTRA: LE “MONTAGNE ROSSE”,
DEPOSITI DI SCORIE PRESSO MONTEPONI.
COME SONO PROTETTE
Dal 1997, le aree
minerarie sarde sono
sotto l’egida
dell’Unesco, che
nell’ambito della nuova
rete mondiale dei
geositi-geoparchi ha
istituito il Parco
geominerario storico e
ambientale della
Sardegna, promosso
dalla Regione e
dall’Emsa (Ente
minerario sardo).
Il territorio dell’isola è
stato diviso in 8 aree; la
principale (65 per cento
del parco) è quella
del Sulcis-IglesienteGuspinese. L’intento è
di conservare e
valorizzare il patrimonio
architettonico delle
miniere dismesse,
aprendole al turismo e
impiegando gli ex
minatori e i loro familiari
in attività “socialmente
utili”. L’area comprende
anche due parchi
naturali: Monte LinasMarganai (a nord-est
di Iglesias, 22.000
ettari) e Sulcis (tra
Carbonia e Cagliari,
68.868 ettari).
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MINIERE
cato che, tra cavilli burocratici e ritardi legislativi
(ed è storia di questi giorni), tutto è ancora sulla
carta. Compresa la “riconversione” di ex addetti
al settore estrattivo in attività “socialmente utili”
(turismo in loco, bonifica del territorio). Così, da
un lato vedi gioielli di archeologia industriale in piedi
per miracolo; dall’altro incontri uomini e donne
che reclamano un futuro, e lo fanno nel classico
stile del minatore disoccupato: occupando. Come
Rosina Carta, di anni 88, che nel giugno scorso si
è autoreclusa nei cunicoli di Porto Flavia, dove
da piccola seguiva il padre cavatore, a capo di un
gruppetto di donne. O come Giampiero Pinna, 50 anni, già presidente dell’Ente minerario sardo (adesso in liquidazione) e consigliere regionale diessino, paladino degli “uomini di pietra”: nel novembre 2000 ha lasciato il suo ufficio di Cagliari per scendere nelle
gallerie di Monteponi, a Iglesias, dove al momento in cui scriviamo
è tuttora asserragliato con 400 fedelissimi.
In attesa che il parco decolli, l’agenda dell’Igea (l’istituto di ripristino ambientale nato dalle costole dell’ente minerario) è fitta d’impegni. Occorrono molti soldi (circa 2.000 miliardi preventivati), e il
tempo stringe. Dagli anni Cinquanta, quando cominciò il lento e graduale abbandono delle
miniere perché era venuta meno
la convenienza alla “coltivazione”, il degrado ha fatto passi da
gigante. L’acqua è risalita dalle
falde freatiche, allagando e danneggiando gli impianti. Ruggine e salinità hanno corroso i palazzi delle direzioni, le falegnamerie, i pozzi, gli eleganti archi
ottocenteschi delle laverie.
Per le strutture che rischiavano il crollo, come la straordinaria laveria Lamarmora di Nebida (foto a pagina 59) e il capolavoro d’ingegneria Porto Flavia
(vedere il riquadro a pagina 62),
sono già stati effettuati corposi
lavori di restauro. Altre stanno
aspettando il restyling. E presto
partiranno dei veri e propri progetti
di “destinazione archeologica”: a
Montevecchio, vicino alla cittadina di Guspini, il sindaco Tarcisio Agus preannuncia la “messa a punto di un percorso sotterraneo completo, attraverso la
miniera, lungo 800 metri”.
Così, insomma, verrà valoriz-
APPUNTI DI NATURA
È una mattina di aprile del 1952.
Francesco Salis, 25 anni,
professione minatore, infila dei
candelotti di esplosivo in un
tratto di parete della miniera di
San Giovanni, a 5 chilometri da
Iglesias. L’attesa. Lo scoppio. E la
meraviglia: quando il polverone
si dirada, al di là del muro “si
scorse il paradiso”. Fu scoperta
così, per puro caso, durante il duro lavoro
di un pugno di operai, una delle cavità carsiche
più antiche e affascinanti della Sardegna: la
grotta di Santa Barbara (qui sopra; vedere anche
Airone Sardegna, maggio 1994).
Costituita da un grande salone ovoidale (50 metri
di larghezza, 70 di lunghezza e 25 di altezza;
potrebbe contenere un palazzo di quattro piani) e da
un canalone inferiore che finisce in un laghetto,
questa cavità è considerata fra le
più antiche del mondo: le
dimensioni dei colonnati calcarei
mineralizzati a piombo e zinco
che la contraddistinguono, e
soprattutto l’esclusiva presenza di
cristalli di barite (solfato di bario)
a nido d’ape, hanno permesso
di datarne l’origine a oltre 500
milioni di anni fa. Nel corso
dell’esplorazione, il visitatore
resta colpito dalle straordinarie
forme di alcune concrezioni: le “canne d’organo”,
incredibile cascata calcarea; le “orecchie d’elefante”,
stalattiti che sembrano sfoglie; la cosiddetta
“ballerina”, che il tempo ha modellato a forma di
bambola. Per il momento, l’accesso a Santa Barbara
avviene sempre attraverso il “buco” aperto
dal minatore Salis, ed è quindi vietato ai turisti.
Nel progetti del parco geominerario, tuttavia,
rientra pure uno studio per una sua futura fruibilità.
(segue a pagina 64)
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PAOLO RONDINI
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PORTO FLAVIA, CAPOLAVORO DA SCOGLIERA
1 Piombo e zinco, in arrivo dalla
vicina laveria, entrano nella
galleria superiore trasportati da
un convoglio a trazione elettrica.
2 Il minerale viene scaricato in
9 grandi silos, che a loro volta lo
riversano sul nastro trasportatore
della galleria inferiore. 3 Il nastro
porta il minerale verso lo sbocco
sul mare, dov’è montato un
braccio mobile. 4 Piombo e zinco,
attraverso il braccio orientato,
finiscono nella stiva del mercantile.
Si apre sulla scogliera antistante
il faraglione del Pan di Zucchero,
e a vederlo pare un castello
delle favole, con quel nome di
donna inciso a caratteri cubitali e
le finestrine buie che guardano
nel vuoto. Invece, è una delle più
straordinarie opere d’ingegneria
mineraria al mondo.
Realizzato nel 1924 dall’ingegner
Cesare Vecelli, della società
francese Vieille Montagne, che
volle dedicarlo alla figlia morta
prematuramente, Porto Flavia
aveva lo scopo di facilitare il
trasporto di piombo e zinco dai
vicini impianti di Masua al mare,
dove stavano in attesa apposite
imbarcazioni. Fino ai primi anni
Venti, le operazioni erano infatti
affidate unicamente al sudore dei
minatori, che portavano a spalle
il minerale in recipienti da
50 chili e lo caricavano sulle
bilancelle, piccoli vascelli a vela.
COME FUNZIONAVA. Con
l’inaugurazione di Porto Flavia
tutto cambiò. Nel ventre della
montagna si scavarono due
gallerie sovrapposte. In quella
superiore entrava una sorta di
trenino a trazione elettrica, con
i vagoncini colmi di piombo
e zinco in arrivo dalla laveria; il
materiale veniva poi riversato
in nove grandi silos, che
lo passavano su un nastro
trasportatore montato
nella galleria inferiore (vedere
il disegno). Quest’ultimo
sbucava all’esterno, sul mare,
attraverso un braccio mobile
che scaricava direttamente
i minerali su grossi mercantili, che
da allora in avanti sostituirono
le piccole e inadeguate bilancelle.
La resa di Porto Flavia era di
circa 500 tonnellate di piombo e
zinco all’ora: otto volte in più
rispetto ai metodi tradizionali.
L’impianto venne abbandonato
negli anni Sessanta.
IL “GIOIELLO” OGGI. Potrebbe
ormai essere questione di giorni:
dopo un’accurata sistemazione
dei percorsi interni, Porto Flavia
è praticamente pronto per le
visite guidate. In attesa
dell’apertura, la struttura può
essere ammirata in tutta la sua
maestosità anche dal mare. Info:
Il faro di Masua, 0781.47125,
e-mail: [email protected]
A SINISTRA: LA MINIERA DI MASUA.
DA QUI IL MINERALE VENIVA PORTATO AL
VICINO IMPIANTO DI PORTO FLAVIA
(A FRONTE E IN ALTO), CHE LO RIVERSAVA
DIRETTAMENTE NELLE STIVE DELLE NAVI.
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invito alla visita
strade asfaltate
strade sterrate
miniere
I CONTATTI
Su Iglesias e dintorni:
Biblioteca comunale
di Iglesias (Cagliari), 0781 41795. Per visite
al bacino minerario:
Cooperativa La
Gherardesca, Iglesias
(CA), 0781 33850.
Museo etnografico e
Tempio di Antas:
0781 580990.
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MINIERE
dopo circa 8 chilometri si arriva alla miniera di Nebida, nel
cuore del golfo di Gonnesa: da
non perdere la discesa (400 scalini) alla splendida laveria Lamarmora, costruita nel 1897 e
ristrutturata. Procedendo sull’asfalto si giunge alla miniera
di Masua: ne fa parte l’impianto di Porto Flavia (vedere il riquadro a pagina 62). Proprio
di fronte alla costa, si staglia
il caratteristico scoglio calcareo chiamato Pan di Zucchero
PAOLO RONDINI
L’“anello” Iglesias-Fluminimaggiore-Iglesias (circa 100 chilometri) è sicuramente la via più
indicata per esplorare il parco
geominerario. Gran parte del
percorso è asfaltata e si può effettuare in auto; una mountain
bike a bordo è comunque auspicabile, per affrontare gli sterrati più stretti nei pressi degli impianti. Prima di lasciare Iglesias, vale la pena fare una visita ai reperti intorno alla città: il
villaggio abbandonato di Seddas Moddizzis (strada per Carbonia, grande sterrata a sinistra all’altezza del cavalcavia
della statale 126); nei pressi, il
pozzo Santa Barbara della miniera San Giorgio, le miniere di San Giovanni e di
Monteponi. Seguendo poi
le indicazioni per il mare,
(133 metri). All’altezza delle ultime case di Masua ha inizio uno stradone in salita che porta
al villaggio minerario di Montecani. Continuando ancora, si
ridiscende verso la costa; lasciata sulla destra la miniera di
Acquaresi, a sinistra s’imbocca
una stradina per l’incantevole
Cala Domestica, ideale per un
tuffo e un po’ di sole. Più avanti, si arriva a Buggerru (laveria di Malfidano) e si procede
lungo la bellissima spiaggia di
Portixeddu. Ripiegando all’interno, s’incontra un bivio: a sinistra si va alle miniere di Ingurtosu e Montevecchio, a destra si passa Fluminimaggiore.
La strada che prosegue per Iglesias (la statale 126) offre interessanti deviazioni verso la
grotta di Su Mannau (lunga 7
chilometri), il tempio punico
romano di Antas e le cosiddette
“miniere montane”.
zato il bello della Sardegna mineraria. E pure il brutto. Perché miniera è anche scorie, e buchi nella roccia, e fanghi di
scarto intrisi di zinco, piombo,
cadmio. Inquinano, certo. Ma
sono parte integrante di un
paesaggio davvero unico. A
Monteponi, per esempio, subito fuori Iglesias, si trovano le “montagne”. Costeggiano la provinciale, hanno un’altezza di una ventina di metri e al tramonto, col sole radente, si tingono di rosso. I curiosi le ammirano, i turisti le scalano, i
naturalisti le odiano: non sono altro che gli scarti zincosi della vicina
miniera. Però verranno risparmiati. Li metteranno in sicurezza, in modo
che non si dilavino a ogni temporale, inquinando pericolosamente
l’ambiente. Così anche la natura chiuderà un occhio di fronte a uno
degli ultimi, fragili ricordi degli oscuri “palazzi al contrario”.
PER SAPERNE DI PIÙ Un libro: Paesaggi e architetture delle miniere (Sandro Mezzolani e Andrea Simoncini, Editrice Archivio fotografico sardo, 1993, 394 pagine, 120.000 lire). E due siti Internet: www.sulcisiglesiente.it (su storia del territorio, singoli paesi, archeologia e turismo) e
web.tiscalinet.it/forparcogeominerario (per informazioni sul parco minerario).