ANALISI NON DISTRUTTIVE E MICRO

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ANALISI NON DISTRUTTIVE E MICRO
ANALISI NON DISTRUTTIVE E MICRO-DISTRUTTIVE DI PATINE PRESENTI SU
MONETE DI EPOCA ROMANA IN LEGHE A BASE DI RAME.
M. Alesiani1, A. C. Felici1, D. Ferro2, G. E. Gigante1, G. Pardini3, M.Piacentini1, L. Pronti1, M. L.
Santarelli4, O. Tarquini5
1
Dipartimento di Scienze di Base e Applicate per l'Ingegneria, Sapienza Università di Roma
2
CNR-ISMN, Roma
3
Dipartimento di Scienze dell'Antichità, Sapienza Università di Roma
4
Dipartimento di Ingegneria Chimica Materiali Ambiente, Sapienza Università di Roma
5
Dipartimento di Chimica, Sapienza Università di Roma
SOMMARIO
Lo scopo di questa ricerca è stato quello di valutare varie metodologie d'indagine non distruttive o
micro-distruttive (microscopia ottica, XRF, XRD, SEM-EDS, FTIR-ATR) per analizzare la natura
delle patine di corrosione formatesi in ambiente ipogeo sulla superficie di monete di epoca romana
in lega a base di rame rinvenute nel sito archeologico di Pompei e per studiare l’avanzamento del
fenomeno corrosivo. Le patine sono il risultato dell’interazione tra il manufatto e l’ambiente in cui
esso è rimasto sepolto per lungo tempo e sono costituite prevalentemente da composti del rame, a
volte mescolati a quelli degli altri alliganti, ad esempio stagno e piombo. Il colore delle patine,
l’analisi elementale con XRF e SEM-EDS, e l'analisi composizionale con XRD e FTIR-ATR
permettono di identificare i composti sia amorfi che cristallini di cui sono formate le patine.
Mediante l’XRF si evidenzia il fenomeno della decuprificazione e l’arricchimento in superficie
degli elementi alliganti. Il rapporto tra le intensità delle righe di fluorescenza L e K dello stagno (M
e L del piombo) può essere utilizzato per verificare l’avanzamento del fenomeno corrosivo, poiché
dipende sia dallo spessore degli strati di corrosione che dall’arricchimento superficiale di questi
elementi. La presenza del cloro nelle patine verdi, rivelabile con l’XRF, ed alcuni aspetti
morfologici osservabili al microscopio consentono di palesare il fenomeno del "cancro del bronzo”.
Infine è stato riscontrato che monete di lega simile, rinvenute nella stessa unità stratigrafica, non
presentano gli stessi prodotti di corrosione, la cui formazione probabilmente è stata influenzata da
microambienti differenti.
INTRODUZIONE
Uno degli obiettivi delle indagini sui beni culturali è quello di dare informazioni quanto più
possibile complete sulla tecnologia di realizzazione del manufatto e sui fenomeni degradativi subiti.
La scelta delle metodologie di indagine deve essere guidata dalla necessità di danneggiare quanto
meno possibile il manufatto in esame o prelevando campioni piccolissimi da analizzare o,
preferibilmente, senza effettuare alcun prelievo. L’identificazione dei prodotti di corrosione sui
reperti archeologici in bronzo interrati è stato oggetto di studio da oltre 180 anni [1]. Solo nei tempi
più recenti sono state applicate numerose metodologie chimiche e/o fisiche per riconoscere la
composizione chimica e quella strutturale delle patine formatesi in un contesto archeologico [2-11].
Nel periodo di interramento i manufatti metallici subiscono delle trasformazioni che coinvolgono la
1
composizione chimica della lega, la forma e la superficie dell’oggetto e le sue caratteristiche
meccaniche; tali modificazione sono influenzate da fattori di natura biologica (organismi che
rilasciano agenti aggressivi), chimica (pH, potenziale di ossido-riduzione, ecc...) e fisica (resistività
del suolo, UR, granulometria, ecc...).
La corrosione è facilmente individuabile sulla superficie dei manufatti per la formazione di
composti dalle colorazioni caratteristiche. Nel caso del bronzo si possono sviluppare strati
passivanti, come per esempio la cuprite, o altri che invece si autogenerano, portando tutto il metallo
alla completa mineralizzazione, come accade con il fenomeno del "cancro del bronzo". Molti autori
si sono occupati della riproduzione in laboratorio di questo fenomeno particolarmente aggressivo
[12-17], producendo dei provini ad hoc di leghe a base di rame con le stesse caratteristiche di quelle
antiche, e interrandoli in ambienti ipogei specifici, con lo scopo di far sviluppare gli stessi prodotti
di corrosione che si formano in ambienti naturali, di individuarli, di studiarne le caratteristiche e le
varie fasi del loro sviluppo. Le prove eseguite sui provini interrati in diversi tipi di suoli hanno
dimostrato che la velocità dell’attacco corrosivo, in un ambiente ipogeo mediamente aggressivo,
tende ad azzerarsi con il passare del tempo e che la patina si forma in un periodo breve rispetto alla
durata dell’interramento; è proprio per questo motivo che oggetti dell’età del Bronzo mantengono
ancora il metallo vivo [18].
Lo studio di campioni realizzati in laboratorio nasce dall’esigenza di dover mantenere integro e
leggibile il reperto da analizzare, trovato durante uno scavo archeologico, sul quale possono essere
condotte solo indagini non distruttive. Scaturisce, quindi, la necessità di determinare un iter
diagnostico basato su metodologie completamente non distruttive o che prevedano dei microprelievi; la scelta delle metodologie deve rispondere allo scopo dello studio e alla complementarietà
delle informazioni che si possono ottenere con le singole tecniche. In questo lavoro si è studiato lo
stato di degrado di monete in leghe a base di rame di epoca romana rinvenute nel sito archeologico
di Pompei nella Regio VIII, Insula 7.1-15, vicino a Porta Stabia [19-22] mediante microscopia
ottica (MO), fluorescenza dei raggi X (XRF), diffrazione dei raggi X (XRD), microscopia
elettronica a scansione (SEM-EDS) e spettroscopia infrarossa a trasformata di Fourier (FTIR-ATR).
Le monete presentano patine di corrosione eterogenee sia per colorazione che per composizione
chimica a causa dei diversi luoghi di giacitura e delle differenze nella composizione della lega.
LE MONETE
Per questo studio sono state selezionate varie monete di epoca romana in rame e in bronzo; alcune
monete di bronzo presentano un alto tenore di piombo. La scelta è stata dettata dalla necessità di
ottenere un quadro generale dei prodotti di corrosione che si formano su leghe di diversa natura. Le
monete, di diversa tipologia, sono state rinvenute tutte nello stesso sito archeologico identificato
come Regio VIII, Insula 7.1-15, vicino a Porta Stabia, Pompei [19-22], in diverse campagne di
scavo eseguite dal 2005 al 2009 e in unità stratigrafiche differenti. Questo gruppo eterogeneo di
monete può fornire informazioni sul comportamento del processo di corrosione in ambienti di
interramento diversi e in funzione delle caratteristiche intrinseche dell’oggetto. Solo due gruppi di
monete provengono dalla stessa unità stratigrafica e sono della stessa tipologia 1: gli assi
repubblicani C1-9, C1-41 e C1-12, che provengono dall’unità 1028, e gli assi repubblicani C19-40 e
C19-51, che provengono dall’unità 19022. In Tabella 1 sono indicate le monete analizzate, l’unità
stratigrafica e l’anno di ritrovamento e la composizione della loro lega.
1
Le monete sono identificate con una sigla che corrisponde al numero d'inventario dato loro durante gli scavi.
2
Moneta1
Tipologia
Unità stratigrafica
Anno di scavo
Composizione
della lega
C1-9
C1-41
C1-12
C1-38
Asse repubblicano
Asse repubblicano
Asse repubblicano
Ebusus o pseudo-ebusus
1028
1028
1028
1042
2005
2005
2005
2005
Cu-Sn-Pb
Cu-Sn-Pb
Cu-Sn-Pb
Cu-Sn-Pb
C7-12
Quadrante imperiale
(Caligola 31-41d.C)
1044
2006
Cu
5027
2006
Cu-Sn-Pb
11058
2007
Cu-Sn
11101
2007
Cu-Sn-Pb
11116
14303
14311
2007
2007
2007
Cu-Sn-Pb
Cu
Cu-Sn-Pb
18028
2008
Cu
19022
2008
Cu-Sn-Pb
19022
2008
Cu-Sn-Pb
24016
27094
2009
2009
Cu-Sn-Pb
Cu-Sn-Pb
C5-1
C11-11
C11-12
C11-56
C14-15
C14-6
C18-9
C19-40
C19-51
C24-31
C27-9
Tipologia sconosciuta
Zecca magno-greca
(III-II sec.a..)
Asse repubblicano
(II-I sec.a.C.)
Ebusus o pseudo-ebusus
Quadrante imperiale
Tipologia sconosciuta
Asse imperiale (fine I
sec.a.C- inizio I sec. d.C.)
Asse repubblicano
Asse repubblicano
(II-I sec. a. C.)
Massalia o pseudo-massalia
Massalia o pseudo-massalia
Tab.1: Elenco delle monete analizzate.
METODOLOGIA D’INDAGINE
L’individuazione delle patine non prescinde da una prima osservazione al microscopio ottico, che
permette di riconoscere alcune morfologie caratteristiche e di distinguere la presenza di
stratificazioni dei prodotti di corrosione quando gli strati di corrosione non sono completamente
sovrapposti. Per questo studio si è utilizzato lo stereomicroscopio EUROMEX con la possibilità di
ingrandire da 7x a 45x.
Una volta individuate le aree di interesse, su di esse sono state condotte analisi XRF per
determinare gli elementi presenti usando uno strumento portatile costituito da una sorgente di raggi
X con anodo di palladio della EIS srl (35 kV – 0.4 mA); un rivelatore a stato solido raffreddato
Peltier (Amptek Si-PIN XR-100CR) con il suo alimentatore/amplificatore lineare PX2T/CR e la
scheda multicanale Amptek MC8000. Questa strumentazione permette di rivelare tutti gli elementi
con numero atomico superiore a 16 (zolfo) poiché l'aria presente tra il campione ed il rivelatore
assorbe i raggi X di più bassa energia.
3
Alcune patine che mostravano particolari problemi sono state osservate al Microscopio elettronico a
scansione accoppiato all’EDS, sia utilizzando gli elettroni retro diffusi che eseguendo una
mappatura degli elementi. Il microscopio elettronico a scansione usato è il SEM LEO 1450 VP della
ASSING associato al sistema EDS INCA 300. L’analisi SEM-EDS, eseguita sotto vuoto, ha
permesso di ottenere anche gli elementi a basso numero atomico.
L’analisi XRD, eseguita con il diffrattometro a quattro cerchi EXCALIBUR della Oxford
Instruments, equipaggiato con una sorgente di raggi X che emette la riga Kα del molibdeno e con un
rivelatore a CCD, ha permesso di riconoscere le fasi cristalline presenti sulle superfici corrose. Per
queste analisi è stato necessario eseguire dei micro-prelievi, dell’ordine di 0,3 mm, sotto la lente di
un microscopio ottico. Questo metodo di campionamento nasce dall’esigenza di ottenere un
prelievo quanto più possibile omogeneo di materiale raccolto su superfici estremamente eterogenee.
Alcuni spettri di diffrazione hanno mostrato un segnale diffuso particolarmente intenso, che
lasciava supporre la presenza di materiale amorfo. Per questo motivo, del materiale è stato prelevato
dalla stessa zona ed analizzato mediante spettroscopia infrarossa per determinare la composizione
delle fasi amorfe. Per queste analisi si è usato lo spettrometro FTIR-ATR Vertex 70 della Bruker,
che assorbe nella regione del medio infrarosso (400-4000 cm-1) e fornito di un diamante per le
misure in riflessione totale attenuata (ATR).
RISULTATI E DISCUSSIONE
Le analisi XRF e SEM-EDS eseguite sulle patine chiaramente non consentono di ricavare la
composizione della lega di cui sono fatte le monete; tuttavia possono fornire delle indicazioni
qualitative sugli elementi presenti nella lega in percentuali rilevanti. Così si è potuto verificare che
le monete di epoca imperiale C18-9, C7-12 e C14-15 sono di rame; gli assi repubblicani (C1-9, C141, C1-12, C19-40 e C19,51), le monete di Ebusus o pseudo-ebusus (C1-38 e C11-56) , quelle di
Massalia o pseudo-massalia (C24-31 e C27-9) e le due monete non classificate (C5-1 e C14-6) sono
di bronzo (Cu-Sn-Pb) ad alto contenuto di piombo, e la moneta di zecca magno - greca (C11-11) è
di rame e stagno soltanto. Nelle monete che presentano un altro tenore di piombo sono state
riscontrate anche piccole quantità di arsenico, antimonio e ferro, che potrebbero essere elementi
associati ai minerali dai quali si estraggono il rame e il piombo [7]. Inoltre, alcuni elementi
individuati negli spettri XRF o SEM-EDS, e precisamente Si, P, Al, C, O, K, Ca, Fe, Sr, Ti e Mn,
con molta probabilità si trovano in particelle della terra di sepoltura rimaste sulle monete dopo la
loro pulizia o inglobate nelle patine di corrosione.
Numerosi autori si sono occupati dell’identificazione dei prodotti di corrosione delle leghe a base di
rame [1-3, 5-11, 18, 23-29]. I composti più diffusi sono la cuprite, la malachite e l’azzurrite, tutti e
tre minerali di rame. Si formano altri prodotti di corrosione quando il rame è in lega ( es. Cu-Sn,
Cu-Zn, Cu-Pb, ecc…) e in relazione alle caratteristiche del suolo in cui l’oggetto è stato per lungo
tempo interrato [7, 8, 30, 31]. Anche il meccanismo di formazione dei composti di corrosione in
ambiente archeologico è stato largamente studiato [2, 4, 7, 8, 11, 12, 18, 24, 25] e deriva dalla
migrazione degli ioni di rame dalla lega verso l’ambiente che ospita il manufatto, arricchendo la
superficie degli altri elementi alliganti. Questo processo è definito “decuprificazione”.
Nel seguito discuteremo le patine e i risultati trovati suddividendole in base al loro colore.
Patina rossa: La patina rossa è stata identificata come cuprite, Cu2O. Essa è localizzata al di sotto
delle altre patine, probabilmente a contatto con la lega della moneta [7, 18, 25, 26].
4
Patina verde: La patina verde è attribuita generalmente ai prodotti di corrosione del rame. Vi sono
diversi composti che possono essere responsabili delle patine verdi. Inoltre vi sono varie gradazioni
di tonalità, a volte frutto del mescolamento di più composti non solo del rame, ma anche degli
alliganti. In alcune patine si è individuata la malachite, Cu2CO3(OH)2, che si forma sia come strato
compatto che sottoforma di sferette presentate in fig.1.
Fig.1: Moneta C1-41 - alto: fronte e retro. I punti neri indicano le posizioni dove sono state eseguite
le misure di XRF. Basso: Osservazione al microscopio ottico dell’area racchiusa nella linea
tratteggiata. La patina bianca si sovrappone a quella verde, la quale è caratterizzata da
microsferette di malachite.
A partire dall’osservazione macroscopica e microscopica di alcune patine di colore verde chiaro,
ben localizzate sulla superficie, dall’aspetto pulverulento e spesso accompagnate dalla formazione
di piccoli crateri (pitting), si è ipotizzato il fenomeno del “cancro del bronzo” (Fig. 2).
Generalmente il “cancro del bronzo” si sviluppa nell’interfaccia lega-strato di cuprite, ma in
presenza di microfratture o in assenza di una patina passivante, compare anche in superficie; è un
fenomeno ciclico che si manifesta quando i cloruri rameosi, presenti negli strati di corrosione del
manufatto archeologico e originatesi dall’interazione con gli ioni cloro del suolo, si trovano ad
essere esposti all’umidità dell’aria [1, 19, 29, 32]. Le analisi XRF e SEM-EDS hanno confermato la
presenza di cloro in queste aree. In particolare sulla moneta C7-12 è stata effettuata una mappatura
degli elementi tramite il SEM-EDS in cui si è evidenziata la localizzazione del fenomeno, come
mostrato in figura 3. L’immagine in alto della fig. 3, presa con il microscopio ottico, corrisponde
5
alla zona caratterizzata dal fenomeno del “cancro del bronzo”, in cui si distingue chiaramente la
colorazione verde chiaro. La stessa area è stata indagata al SEM-EDS, acquisendo l’immagine
relativa agli elettroni retrodiffusi e quelle relative alla mappe di concentrazione degli elementi Cl,
Fig. 2: A) Foto della moneta C18-9; B) Ingrandimento della zona pulverulenta verde chiara
inquadrata nel rettangolo della foto A; C) Foto della moneta C11-12; D) Ingrandimento del
particolare riquadrato nella foto C, che mostra un esempio di “pitting”.
Cu, Ca, Sn e Pb. Si evidenzia la presenza soprattutto del rame e del cloro. Inoltre si nota che le aree,
in cui è maggiormente presente il cloro, sono quelle più chiare nell’immagine con elettroni
retrodiffusi e quelle verde chiaro dell’immagine al microscopio ottico. Per quanto riguarda il rame,
è evidente che tutta la zona indagata ne è ricca, mentre si assiste alla scarsità dello stagno ed alla
quasi totale assenza del piombo. Il calcio è presente in tracce ed è debolmente concentrato nelle
aree terrigene che si distinguono al microscopio ottico. Infine si nota che il “cancro del bronzo” sta
6
portando alla completa distruzione dell’impronta del conio (fig.3A) e questo porterà
all’impossibilità di lettura archeologica del reperto. Per avere conferma della presenza del “cancro
del bronzo” si sono determinati i composti caratteristici di questo fenomeno. In un microprelievo di
colore verde pallido (fig.2 B) eseguito sulla moneta C18-9, è stata identificata la nantochite, CuCl.
Da un prelievo eseguito nella zona pulverulenta del “pitting” della moneta C11-12 (fig. 2D) è stato
individuato un cloruro basico di rame Cu2Cl(OH)3, probabilmente atacamite o paratacamite.
Queste due fasi cristalline sono molto difficili da discriminare poiché i picchi di diffrazione sono
molto ravvicinati, per cui lo spettro risulta poco risolto. Tuttavia esiste anche la possibilità che siano
compresenti nello stesso reperto poiché sono fasi cristalline che, insieme anche alla nantochite, si
trasformano nella fase più stabile in determinate condizioni di potenziale e pH [26].
Fig. 3: Immagine in alto: fotografia al microscopio ottico di un particolare della moneta C7-12;
dall’alto in basso e da sinistra a destra: immagine al SEM (elettroni retro diffusi); mappe di
distribuzione del cloro, del rame, del calcio, dello stagno e del piombo.
7
Patina bianca. Nell’osservazione al microscopio ottico si nota che le patine bianche sono spesso
stratificate al di sopra delle patine verdi e/o rosse, un cui esempio è mostrato in fig.1. Con l’XRF si
vede che, mentre gli strati inferiori sono caratterizzati dalla presenza di rame, le patine bianche sono
tutte caratterizzate da un alto tenore di piombo e/o di stagno. Questo appare evidente nell’esempio
della figura 4, che mostra l’intensità delle righe di fluorescenza del rame, dello stagno e del piombo,
misurate in vari punti della superficie della moneta C1-41, la cui fotografia al microscopio ottico è
stata presentata in fig. 1. Invece, nel caso della moneta C11-11, le zone con la patina bianca
mostrano alte percentuali di stagno. Inoltre, sia nelle zone bianche che in quelle verde chiaro si
misura una elevata intensità anche delle righe L dello stagno e ciò è un’indicazione
dell’arricchimento in superficie di questo elemento.
Fig. 4: Istogramma delle intensità (unità arbitrarie) delle righe di fluorescenza Cu Kα, Sn Kα, e Pb
Lα misurate in vari punti delle patine di colore diverso della moneta C1-41, mostrata nella
fotografia di figura 1.
Non potendo isolare la patina bianca dalla moneta C11-11, l’analisi XRD è stata eseguita su un
prelievo verde chiaro e si è individuata solo la fase cristallina della malachite. Il diffrattogramma,
mostrato in figura 5, si presenta non ben risolto e con un segnale di fondo alto, indicando la
presenza di un composto amorfo (fig.5). L’analisi FTIR-ATR eseguita sullo stesso prelievo ha
individuato la compresenza della malachite e di un ossido di stagno (fig.6) che presumibilmente è
amorfo. Questo composto è termicamente stabile entro un ambio intervallo di pH e di potenziali
[18]. Le analisi XRF condotte sulle patine bianche di altre monete hanno riscontrato la presenza non
solo dello stagno ma anche del piombo (fig.4). I composti individuati con le analisi XRD sono la
cerussite, PbCO3, e la plumbonacrite, Pb5O(CO3)3(OH)2, entrambi presenti negli stessi
microprelievi.
8
571.36
520.61
503.23
426.61
374.21
876.03
818.33
750.25
1097.93
1044.19
1392.36
1492.52
0.20
3400.64
3323.55
Fig. 5: Analisi XRD del prelievo verde chiaro eseguito sulla moneta C11-11
0.05
Absorbance Units
0.10
0.15
SnO2
3500
3000
2500
2000
Wavenumber cm-1
1500
1000
Fig.6:C11-11-B2_32
Analisiscan
FTIR-ATR
P-ATR V70 del prelievo verde chiaro.
F:\LUCILLAFTIR_2\C11-11-B2_32 scan.0
500
13/12/2010
Page 1/1
Patina azzurra-blu: Le patine blu che più comunemente si trovano sui reperti archeologici sono
prodotti di corrosione del rame, in particolare l’azzurrite, Cu3(CO3)2(OH)2, che è stata individuata
nella maggior parte dei prelievi. In alcuni prelievi eseguiti da aree dove sono presenti il cloro e alti
tenori di piombo è stata riscontrata anche la diaboliete, CuPb2Cl2(OH)4, di un colore blu intenso,
che spesso si presenta sottoforma di macchie blu scure sulla patina di malachite (fotografia di
sinistra della fig.7) [6, 26].
Patina grigia: La patina grigia, presente in monete ad alto contenuto di piombo, è di aspetto
incoerente e si trova generalmente sotto gli altri strati di corrosione; è inoltre caratterizzata da
macchie bianche (cerussite e/o plumbonacrite) come mostrato nella fotografia a destra della fig. 7,
9
ed è stata identificata come plattnerite, PbO2. Nelle monete in cui non è presente il piombo, non è
stato possibile eseguire prelievi per via dell’aspetto metallico e compatto della patina che
probabilmente è dovuto all’ossidazione della lega.
Fig.7: Sinistra: Foto al microscopio ottico della patina blu della moneta C19-40. Destra: Foto al
microscopio ottico della patina grigia della moneta C1-12.
CONCLUSIONI
La metodologia di indagine si è rivelata efficace per caratterizzare il fenomeno della corrosione.
Eccettuata la patina rossa, che è univocamente determinata come formata da cuprite, tutte le altre
patine di colore vario (verde chiaro, verde scuro, bianche, azzurre e grigie) risultano costituite da
vari minerali, la cui formazione ed identificazione richiede più di una tecnica.
L’XRF si rivela un ottima tecnica non solo per ottenere informazioni sugli elementi presenti, ma
anche un metodo per definire l’arricchimento in superficie dello stagno (del piombo) e
l’avanzamento del degrado attraverso il diverso assorbimento delle sue righe di fluorescenza a
causa degli strati di corrosione. Infatti, l’intensità delle righe L dello stagno, di bassa energia, è
attenuata molto più rapidamente di quella delle righe K dallo strato di patine, se il segnale di
fluorescenza si forma nella lega della moneta. Pertanto, il rapporto SnL/SnK dipende dallo spessore
della patina e questa caratteristica può essere usata per valutare l’avanzamento del degrado e quindi
l’aumento di spessore di una patina; in alcuni campioni tale rapporto è risultato completamente
azzerato. Invece, in altre aree analizzate, in particolare sia in corrispondenza di alcune patine
bianche che in quelle grigie, questo rapporto è alto, confrontabile con il valore misurato sullo stagno
metallico, indicando che la patina superficiale è arricchita di stagno. Come esempio, tali
comportamenti sono mostrati in figura 8, dove si riporta la variazione del rapporto delle intensità
delle righe L sulle righe K dello stagno relativo all’analisi XRF sulla moneta C1-41, mostrata in
fig.1. Le patine e, quindi anche i punti analizzati, sono gli stessi dell’istogramma di fig.4.
Le tecniche XRF, SEM-EDS, XRD e FTIR permettono di individuare le patine archeologiche
presenti poiché sono tecniche complementari: l’XRF e il SEM-EDS sono in grado di identificare gli
elementi presenti, anche quelli di bassa energia di fluorescenza, l’XRD distingue le fasi cristalline
presenti ed è compensata dalla tecnica FTIR-ATR che riesce ad individuare anche le sostanze
amorfe. Le patine di corrosione individuate sulle monete studiate sono quelle che tipicamente si
riscontrano in condizioni ipogee, quali cuprite, malachite, azzurrite, nantochite, atacamite e/o
paratacamite e i prodotti di corrosione degli alliganti del rame, come gli ossidi di stagno amorfi,
10
cerussite, plumbonacrite e plattnerite. Infine si è individuato un prodotto di corrosione raro, la
diaboleite, che si sviluppa in presenza di piombo e cloro.
Fig.8: Istogramma del rapporto tra le intensità delle righe L sulle righe K dello stagno relativo
all’analisi XRF sulla moneta C1-41. Le patine e, quindi anche i punti analizzati, sono gli stessi
dell’istogramma di fig.4.
L’osservazione macroscopica e microscopica della superficie di tutte le monete suggerisce che la
formazione dei prodotti di corrosione è piuttosto eterogenea. Questa caratteristica si manifesta
anche in monete di simile composizione chimica e provenienti dalla stessa unità stratigrafica, come
le monete C1-9, C1-41 e C1-12. Possiamo quindi affermare che a parità di composizione chimica
della lega, non sempre si verifica la corrispondenza univoca tra stesso ambiente di interramento e
stessi prodotti di corrosione, probabilmente a causa di microambienti differenti che hanno
influenzato i meccanismi di formazione.
RINGRAZIAMENTI
Questo lavoro è stato svolto con un finanziamento ricevuto dal Ministero della Pubblica Istruzione
PRIN 2007 “Tecniche innovative per la definizione dello stato di degrado nei metalli”.
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