Mind the gap by Marta Cereda
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Mind the gap by Marta Cereda
Stazione Inganni 22 marzo - 5 maggio 2013 MIND THE GAP Un uomo ormai cieco incarica un sedicenne di leggergli ad alta voce ciò che la sua vista non può più scorgere. Decide di fidarsi di un giovane bibliofilo sconosciuto per ripercorrere le parole che tanti narratori prima di lui scrissero. Sì, perché lui è Jorge Luis Borges e il ragazzo cui si affida Alberto Manguel, che quasi cinquant’anni più tardi intitolerà un libro Todos los hombres son mentirosos. Chissà se, durante le sere argentine, Manguel fu tentato di modificare la realtà, anzi, l’invenzione letteraria, o se «era privo di quell’istinto per l’invenzione che la scrittura di finzione esige, quella mancanza di rispetto per ciò che è e l’ansia verso ciò che potrebbe essere». Non lo sono gli artisti presentati in Stazione Inganni, per cui l’apparente mimesi del reale è uno strumento per mascherare il fatto che l’arte implica inevitabilmente una finzione, palese o nascosta. Ogni rappresentazione, per quanto fedele, non coincide mai con il soggetto rappresentato, senza necessariamente arrivare a citare Magritte e la sua pipa. Gli artisti giocano con l’idea di vero falso e di falso vero, distinguendo e mischiando le due categorie, disorientando oppure stabilendo un patto con l’osservatore. Lo instaurano Aldo Mondino, Piero Gilardi, Pino Pascali e Vik Muniz, in cui la riproduzione della realtà naturale o artificiale si sposa con una sperimentazione nelle tecniche e nei materiali, industriali, plastici o di scarto. Ciò che si vede è, nello stesso tempo, ciò che sembra, ciò che riproduce e ciò che è. L’artista rivela il camuffamento, poiché è sufficiente avvicinarsi all’opera per accorgersi che le frange dei tappeti sono di eraclite, i tronchi sono soffici, i bachi - come il gioco di parole del titolo annuncia - oltre che sovradimensionati sono degli spazzoloni e le scene di Muniz sono di cioccolato. Sostanza e apparenza sono ben distinte, si tratta di una similitudine, non di una metafora. Davide Nido, Liu Bolin, Andrea Galvani, Bruno Munari e Wim Delvoye sono meno sinceri. Li immagino sbirciare le reazioni dei visitatori, essere delusi davanti al passo veloce e senza indugio e sorridere nel catturare il momento in cui viene acquisita la consapevolezza dell’inganno. L’occhio attento coglie un elemento di estraneità nelle opere, ma è parte della loro essenza l’idea di simulacro ed è ciò che le rende ipnotiche, quasi letteralmente nel caso dei pois collosi di Nido e della curva senza tangenti di Munari, la cui ricerca, legata agli studi di ottica e cinetica, è correlata a una riflessione sugli effetti della percezione. Mentre Liu Bolin si mimetizza, trasformando il proprio corpo in una tela camouflage, Galvani nasconde l’artificio tra la natura, la geometria nell’irregolarità e Wim Delvoye simula la fragilità delle ceramiche di Delft sull’acciaio delle seghe circolari, riposte in una credenza. Costruiscono una messa in scena per simulare o dissimulare l’esistente, in alcuni casi utilizzando come medium la fotografia, idealmente legata a uno sguardo oggettivo sul reale. Oggettivo, ma filtrato ed è l’introduzione di questa distanza che permette uno scarto rispetto all’esistente. Si è parlato di sperimentazione, ma questa condizione non è essenziale perché vi sia mistificazione. Lo dimostrano i lavori di Michelangelo Galliani e Antonio Trotta, inequivocabilmente legati alla scultura e al più classico dei materiali, il marmo. Abbinando la scelta di una pietra nobile alla riproduzione di oggetti comuni, come gli attrezzi da lavoro e la carta stropicciata, giocano con la tradizione, ironizzando senza rinnegarla. Inganni. Next stop, Inganni. Mind the gap between art and reality. Marta Cereda GALLERIA GIOVANNI BONELLI via Luigi Porro Lambertenghi 6, Milano tel. 02 87246945 [email protected] martedì - sabato 11.00 - 19.00 lunedì su appuntamento Marta Cereda (Busto Arsizio, 1986) è critica e curatrice. Scrive per diverse riviste e blog di arte contemporanea.