Mantova, capitale della cultura 2016,La

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Mantova, capitale della cultura 2016,La
La donna e i suoi sensi di colpa
Nella Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, penso al pessimo
messaggio pubblicitario che campeggia in una delle strade principali della città.
Una gioielleria che lancia una frase così, Colpevole di essere te stessa, con una
bella tipa dietro certe sbarre a cercare chi sa quale liberazione. Un pessimo
messaggio colpevolizzante, ho pensato non ce la faremo mai, l’ho scritto subito ad
una persona cara, uomo, che ha capito al volo. Nei giorni successivi ho condiviso il
mio disagio altrove, non hanno avuto lo stesso sentire, ho poi cercato cose su
Simone de Beauvoir, dal suo Secondo sesso e da Quando tutte le donne del
mondo, dalla scrittrice faro di tante battaglie femminili, per la quale Una donna
libera è stato sempre l’esatto contrario di una donna leggera. E proprio Simone,
sostenuta nel suo viaggio alla ricerca della donna dal compagno di una vita, Jean
Paul Sartre, torna sempre sul senso di colpa della donna, quello insuperato e
insuperabile, quello percepito in quel brutto messaggio promozionale che ancora
nel 2015, inquinerà troppe coscienze. Simone parla della donna come un ibrido.
Ibridi con un senso di colpa. Gli uomini non hanno scelta. Devono fare carriera. Per
le donne, c’è sempre il dilemma: bisogna fare carriera? Bisogna occuparsi della
casa, dei bambini? Per le donne, non ci sono abbastanza cose che vanno da sè. Si
sentono colpevoli di tutto. Di lavorare. Di non lavorare. Ci sono donne per le quali il
focolare è il centro del mondo, e le indipendenti, quelle che puntano soprattutto
sugli interessi professionali. Queste ultime pensano continuamente: Dovrei forse
occuparmi di più della casa. Oppure, Dovrei sposarmi, avere bambini… Ma
neanche la casalinga è felice. Oggi il focolare non è più un regno. La casalinga,
s’interroga, dubita. Pensa con invidia all’ amica avvocatessa che è invece
qualcuno. Né quelle che stanno a casa, né quelle che lavorano trovano oggi nella
propria condizione la piena realizzazione di sé. Ci sono anche quelle che tentano di
superare la propria condizione scrivendo romanzi. Il fatto è che finché si
proveranno dei sensi di colpa nessuna sarà mai libera, ognuna resterà un ibrido
esposto a qualsiasi forma di violenza fisica, verbale e anche promozionale.
La rivoluzione francese, 14 luglio
1789
Per spiegare le stragi terroristiche di Parigi, sentivo stamattina della mancanza
d’integrazione d’immigrati, oggi francesi di quarta generazione, dovuta anche al
fatto che i loro stipendi sono sempre più bassi degli altri francesi. Anche le donne
hanno lo stipendio più basso degli uomini, non arrivano a fare le Presidenti della
Repubblica o le Presidenti del Consiglio e a parità di incarichi manageriali,
prendono comunque meno. Ma non per questo si lasciano confinare ai margini e
cercano di reagire. Non sono d’accordo sulle teorie, che poi sui social si omologano
automaticamente, per cui l’occidente che li ha armati e colonizzati oggi paga lo
scotto, oppure piangiamo con il simbolo del tricolore francese sulla giacchetta ma
non abbiamo fatto altrettanto per la strage a Beirut, per la Siria che sta così da
anni e che da oggi è sotto la feroce reazione francese delle bombe. Chi arma e
finanzia la guerra santa non sta solo da queste parti, siede nei tavoli arabi, fanno
gli stessi affari e portano distruzione ovunque comandi il loro business. Non
dovremmo mettere mai in secondo piano le nostre battaglie europee per la libertà,
per abbattere monarchie assolute o dittature più recenti. La rivoluzione francese
del 14 luglio del 1789 ha portato in Francia principi di libertà, uguaglianza e
fraternità, le basi delle costituzioni contemporanee come la Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino che ne seguì, furono i sanculotti a fare la rivoluzione, ed è
grazie a quei semi che oggi sediamo liberamente nei bar, nei ristoranti, nei pub e
andiamo a sentire concerti, una libertà conquistata col sangue che non deve
attentare nessuno. La Costituzione inglese è la più antica d’Europa ed è con
quell’esempio che sono nati i Parlamenti ed il libero confronto democratico, questa
è la nostra storia e la dobbiamo difendere, perché per le nostre Costituzioni si sono
battuti in tanti, quelle battaglie sacrosante non possono oggi essere minate da
conflitti e guerre di potere. Chi non smette di armare e finanziare l’Isis, sta anche
in Siria e in Medioriente, negli Stati Uniti e ovunque si guerreggi per gli affari, a
fronte dei quali le libertà europee non possono essere minacciate, peccato essere
diventati tutti panzoni comodi, per capirlo e non dimenticarlo.
Una poesia dell’artista Yin Lichuan
Gli ho dato appena un’occhiata
e l’ho sposato
siamo stati caotici
non abbiamo avuto figli
quando mi andava preparavo una minestra
abbiamo vissuto un po’ a caso
abbiamo avuto degli amici casuali
il tempo è trascorso così
e così siamo invecchiati
con un piede nella fossa
per caso siamo diventati un modello
“erano fatti l’uno per l’altra”
… una vita armoniosa
con semplicità abbiamo esalato l’ultimo respiro
il sole ha dato appena un’occhiata
al balcone deserto.
La vita non dovrebbe essere così seria, Yin Lichuan. Scrittrice, poetessa e regista,
classe 1973
Pasolini, avete facce di figli di papà
II PCI ai giovani!!
È triste. La polemica contro il PCI andava fatta nella prima metà del decennio
passato.
Siete in ritardo, figli.
E non ha nessuna importanza se allora non eravate ancora nati…
Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi quelli delle televisioni)
vi leccano (come credo ancora si dica nel linguaggio delle Università) il culo. Io no,
amici.
Avete facce di figli di papà. Buona razza non mente. Avete lo stesso occhio cattivo.
Siete paurosi, incerti, disperati (benissimo) ma sapete anche come
essere prepotenti, ricattatori e sicuri: prerogative piccoloborghesi, amici.
Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi
poliziotti! Perché i poliziotti sono figli di poveri. Vengono da periferie, contadine o
urbane che siano.
Quanto a me, conosco assai bene il loro modo di esser stati bambini e ragazzi, le
preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui, a causa della miseria, che
non dà autorità.
La madre incallita come un facchino, o tenera, per qualche malattia, come un
uccellino; i tanti fratelli, la casupola tra gli orti con la salvia rossa (in terreni altrui,
lottizzati); i bassi sulle cloache; o gli appartamenti nei grandi caseggiati popolari,
ecc. ecc.
E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci, con quella stoffa ruvida che
puzza di rancio fureria e popolo. Peggio di tutto, naturalmente, è lo stato
psicologico cui sono ridotti (per una quarantina di mille lire al mese): senza più
sorriso, senza più amicizia col mondo, separati, esclusi (in una esclusione che non
ha uguali); umiliati dalla perdita della qualità di uomini per quella di poliziotti
(l’essere odiati fa odiare).
Hanno vent’anni, la vostra età, cari e care.
Siamo ovviamente d’accordo contro l’istituzione della polizia.
Ma prendetevela contro la Magistratura, e vedrete!
I ragazzi poliziotti che voi per sacro teppismo (di eletta tradizione
risorgimentale) di figli di papà, avete bastonato, appartengono all’altra classe
sociale.
A Valle Giulia, ieri, si è così avuto un frammento di lotta di classe: e voi, amici
(benché dalla parte della ragione) eravate i ricchi, mentre i poliziotti (che erano
dalla parte del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque, la vostra! In questi
casi, ai poliziotti si danno i fiori, amici.
Giugno 1968, Il PCI ai giovani di Pier Paolo Pasolini. 5 marzo 1922-2 novembre
1975
Quarant’anni fa, fu rinvenuto ad Ostia il corpo di Pasolini, barbaramente
assassinato da ignoti. Forse il più grande intellettuale italiano del XX secolo.
Contro le ipocrisie della piccola borghesia, colse l’omologazione della società del
consumo ed anticipò il decadimento e la corruzione della politica e della classe
dirigente.
Mantova, capitale della cultura 2016
E’ Mantova la Capitale italiana della Cultura 2016, un milione di euro sarà a
disposizione della città. Punterà molto sul centro storico e la riqualificazione di beni
culturali, il Sindaco Mattia Palazzi, con servizi smart e tecnologicamente avanzati
per attrarre turismo. Neanche 50mila abitanti ed una prospettiva movimentata
davanti, che le darà una bella sferzata di energia. Ce l’ha fatta sulle finaliste
Aquileia, Como, Ercolano, Parma, Pisa, Pistoia, Spoleto, Taranto e Terni. Non c’era
L’Aquila tra le candidate, non ha proprio risposto al bando nella scorsa primavera
nonostante la riscossa promessa dalla politica, dopo la sonora bocciatura a
Capitale europea della Cultura, per cui il capoluogo terremotato non risultò
nemmeno tra i finalisti. Siamo riusciti perfino ad ignorare il bando, che a detta del
ministro Dario Franceschini, porterà negli anni, ogni anno, una capitale diversa,
opportunità e visibilità internazionale. L’Aquila cerca di reagire grazie a mille
piccole iniziative spesso di qualità, ma frammentate e troppo poco finanziate da
una politica assente, che toglie l’ossigeno a chiunque. Non sono in rete perché è
meglio non farle crescere, e non crescono perché non si mettono in rete, convinto
ognuno, in questa città, che possa curare il proprio orticello meglio del
concorrente, viviamo di cosette apprezzabili e ogni tanto un grande evento che ci
calano dall’alto, che porta un bel respiro d’economia, incassi al commercio e un po’
di vita a chi vorrebbe rivivere il centro storico per poi tornare ai bei sonni in attesa
che accada sempre qualcosa. La politica aquilana è piccola e incapace di mostrare
una prospettiva di ripresa che deve puntare all’industria, alla ricerca e alla
tecnologia, ma anche alla cultura, all’università e al turismo. I fondi europei non
sono mai stati intercettati, siamo buoni solo a prendere e a sciupare, come il
milione e mezzo di euro avuto dal Mibact per I Cantieri dell’Immaginario, progetto
sperimentato per un triennio, mezzo milione sicuro l’anno, ma bocciato senza
appello quest’anno che, camminando da soli con quello che sono riusciti a fare,
hanno ottenuto solo 20mila euro. E neanche le dimissioni della direzione artistica.
Nella foto, la fontana delle 99 Cannelle all’Aquila.
La Sinfonica è salva, ma fino a
quando?
L’Istituzione Sinfonica Abruzzese, ha avuto una boccata d’ossigeno di 800mila
euro, 400mila euro per il 2015, e 400mila per l’anno prossimo, dovranno offrire in
cambio spettacoli gratis e fino a 500 ore di educazione musicale in enti ed
istituzioni. Questo ha voluto la norma regionale approvata dal Consiglio, in cambio
della misura straordinaria ottenuta grazie al lavoro di Pierpaolo Pietrucci. Non
resteranno all’asciutto gli altri territori: Liceo musicale Braga Teramo (150mila
euro), Teatri dei Marsi (80mila), Fondazione Michetti (50mila), Premio Flaiano
(50mila), Teatro Marrucino Chieti (150mila), Teatro Fenaroli Lanciano (35mila),
Fondazione Brigata Maiella (30mila), Ente Manifestazioni Pescaresi (80mila),
Rievocazioni storiche (150mila complessivi per Perdonanza L’Aquila, Giostra
Cavalleresca Sulmona, Mastrogiurato Lanciano). La copertura finanziaria di
930mila euro è garantita per 550mila euro dal fondo per i nuovi provvedimenti
legislativi, e per il resto da economie nel bilancio regionale, soddisfatto Pietrucci,
ed il M5S, convinto di aver fatto passare il principio di pari dignità alle piccole
realtà culturali, oltre ogni logica di lottizzazione tra i territori. In realtà per avere la
quadra politica in cambio del salvataggio dell’Isa, è stato fatto e spartito molto, se
ne riparlerà alla prossima boccata d’ossigeno, utile ad evitare di staccare la spina
ad una delle istituzioni culturali più prestigiose della Regione, alla quale in questi
ultimi decenni, è rimasto solo il nome. Luisa Prayer, nuovo direttore artistico, parla
di passione e di rinnovato impegno dei musicisti per guadagnare le spettanze
dovute, bisognerebbe fare una rivoluzione radicale e tagliare qualche ramo secco
fatto di prebende e poltrone, per ripartire dalla musica. La soddisfazione espressa
dal presidente Antonio Centi non anticipa troppi cambiamenti, è certo che se
questi 800mila euro non riusciranno a sostenere una rinascita, rischiano di
allungare solo l’agonia di un’istituzione decotta. Risorse pubbliche buttate al vento,
per ritrovarsi presto con le stesse urgenze ma per ammettere la realtà ci vuole
coraggio.
Jazz all’Aquila, la vita anche di giorno
Il jazz italiano per L’Aquila, ha fatto bene a tutti. Era una vita che non vedevo la
scalinata di San Bernardino così viva, la basilica aperta, le strade piene di gente,
seduta ai tavolini per il Corso, tante generazioni insieme per la stessa musica.
Nelle chiese, San Bernardino e San Giuseppe Artigiano, nel chiostro di San
Domenico, al Castello, sott’i Portici di San Bernardino, alla piazzetta dei Gesuiti,
alla Rivera, all’Auditorium, con le street band e le improvvisazioni sui balconi di
piazza Chiarino. Musica dalla mattina, di giorno, come è capitato solo a Perugia con
Umbria jazz, gente viva, entusiasta, musicisti in giro, strumentisti, ottoni e tanta
vita. Vita di giorno, quella che manca tantissimo all’Aquila che riesce a
sopravvivere solo di pub, di notte e a stento. 60mila presenze, nessun casino, bella
gente e purtroppo pochissimi punti di ristoro a disposizione. Diverse attività hanno
scelto di non aprire, bell’idea quella dell’argenteria a piazza Regina Margherita di
diffondere musica jazz dalle proprie casse per partecipare dell’evento. E poi corso
Vittorio Emanuele II zeppo di gente come sei anni fa, a guardarsi intorno,
sorridente, a cercare di capire come va e quanto tempo ancora ci vorrà. Oggi, è il
giorno dopo. Vorremmo che quell’energia non andasse perduta, che
quell’entusiasmo non ci abbandonasse, che la comunità trovi quella maturità per
crescere ed impostare una rinascita energica da cui bandire l’abbrutimento, la
lagna, l’assistenza, la foga del business, la discussione da bar dove scannarsi per
dire chi è più di cultura, senza capire che la cultura all’Aquila è morta ed è solo così
che può rinascere. Alla grande e valorizzando lo scenario naturale di un borgo
medievale. La giornata di ieri ha squarciato un mondo, abbiamo visto come siamo
il resto dell’anno, non si può vivere davvero un solo giorno ed avere l’ansia
dell’inverno, di un centro storico che tornerà spettrale, di giorno come di notte
dove a far rumore saranno solo cantieri e polvere. Gli affittasi e vendesi spuntano
anche in centro, torneremo alle nostre faccende e a lamentarci senza mai trovare
quel senso di comunità che agli aquilani è sempre stato stretto.
L’Aquila è finta, senza le sue ferite
Ho faticato per trovare un programma della Perdonanza celestiniana. Avrò cercato
male anche sul sito della 721^ edizione, quella in cui non si smetterà di parlare dei
3mila e passa giochi di luce che hanno illuminato la facciata meravigliosa della
basilica di San Bernardino, rilanciati sui social in tutte le salse per ricordarci che
L’Aquila è bella. Chi sa quanto reggiamo però, nella ricerca spasmodica delle
buone notizie a parlare solo e soltanto di quello che va, che ha funzionato, che è
stato restaurato, come la Basilica appunto, frutto dell’impegno dei frati proprietari
e del Montepaschi. Non di certo dello Stato, della Chiesa o dell’amministrazione
comunale, e siccome vogliamo solo buone novelle, giù di brutto coi giochi di luce
sulla facciata chi sa per quanti anni. La realtà è quella di una città che rinasce
troppo lentamente, le cui chiese sono al 99% abbandonate ai puntelli, mentre la
cattedrale di San Massimo degrada scoperchiata da sei anni sotto le intemperie del
tempo. Lo voglio dire, non voglio vivere fuori dal mondo. Ed è in questa stessa
ottica irreale, che non ho condiviso i percorsi itineranti del centro storico che
veicolano, nella promozione della Perdonanza, una città che non esiste più dal 6
aprile 2009. Itinerari suggestivi dei quarti storici e delle chiese, dal Castello
cinquecentesco a Collemaggio, ed ancora la via dei monasteri sempre attraverso i
quarti, con le piazze delle antiche fiere ed i palazzi signorili del centro, curati
dall’associazione di promozione sociale Panta Rei, che tuttavia mostrano una vita
che non esiste più. E’ una scelta precisa per cui, spiegano nel sito istituzionale, non
essendo percorribili a causa dei danni del sisma, si è voluto lasciarli per far
conoscere al pubblico le bellezze della città, con l’augurio che possano essere al
più presto nuovamente visibili nel loro splendore. Non è questa la realtà, credo che
per tornare a vivere, da vivi, bisogna mostrare e vivere la città vera nelle sue
ferite, nell’abbandono dello Stato, nella lentezza cronica della ricostruzione per far
vedere a chiunque lo voglia, che il patrimonio aquilano è ancora tutto da rifare e
sono passati oltre sei anni. Perché fingere.
Il jazz italiano si mobilita per L’Aquila
600 jazzisti all’Aquila il 6 settembre prossimo, per cento concerti in dodici ore nel
centro storico, dalle 12 alla mezzanotte per sostenere la ricostruzione della città. Il
percorso musicale toccherà la basilica di San Bernardino, la chiesa di San Giuseppe
Artigiano, il chiostro di San Domenico, i portici di Via San Bernardino, piazza dei
Gesuiti, via Castello, largo Tunisia, l’interno e l’esterno del nuovo Auditorium,
piazza Chiarino, Borgo Rivera, la fortezza spagnola, la Fontana delle 99 Cannelle e
molti altri scorci, per chiudere a piazza Duomo con il concerto serale a partire dalle
20. I primi ad aderire all’appello del ministro Franceschini, del sindaco Cialente e
del trombettista Paolo Fresu, direttore artistico, sono stati Enrico Rava, Danilo Rea,
Enrico Pieranunzi, Franco D’Andrea, Antonello Salis, Gianni Coscia, Gianluigi
Trovesi, Maria Pia De Vito, Gianluca Petrella, Roberto Gatto, Rosario Giuliani, Rita
Marcotulli, Stefano Battaglia, Paolo Damiani, Javier Girotto, Pietro Tonolo, Tiziana
Ghiglioni, Ada Montellanico e Gino Paoli, si sono poi aggiunti centinaia di altri
musicisti provenienti da tutto il Paese. Il coordinamento del progetto è realizzato
dall’Associazione I-Jazz, che raccoglie i principali festival e progetti di jazz italiani,
unitamente all’Associazione Musicisti Italiani di Jazz, Midj, e alla Casa del Jazz di
Roma. Rai Radio1, Rai Radio2, Rai Radio3, Rai Cultura e Rai5, seguiranno l’evento
con servizi, approfondimenti ed interviste, su Rai5, è previsto uno speciale il 26
settembre. L’iniziativa è finanziata dal Comune dell’Aquila e dal Mibact, con il
contributo di Puglia Sound, sponsor la Siae, con Trenitalia e Busitalia, Gruppo Fs
italiane e partner Corsica Ferries e Dismamusica. Il più grande evento jazzistico
mai organizzato nel nostro Paese, ha dichiarato Fresu non solo per sensibilizzare
sui tempi della ricostruzione ma anche per contribuire alla cicatrizzazione del
tessuto sociale e architettonico della città oltre che rappresentare la vitale e
creativa realtà del jazz italiano.
Nella foto, Paolo Fresu.
La vitale narrativa di Richard Yates
Nicola Lagioia ha vinto il Premio Strega 2015 con La Ferocia. Un’edizione più
rigorosa con la metà degli invitati, la notizia che Vinicio Capossela è stato fatto
fuori dalla cinquina dei finalisti, col suo Nel paese dei coppoloni, così come il
seguitissimo fumettista romano Zerocalcare col suo Dimentica il mio nome, e poi
Tullio De Mauro presidente della Fondazione Bellonci contro Saviano, per la
considerazione sul come il voto ad un certo libro possa mostrare la schiavitù a certi
poteri, mentre dopo la serata vip, condotta da Concita De Gregorio, cerco di
immaginare cosa è rimasto di vivamente affascinante in questi eventi, così da
voler comprare uno di questi libri. Un premio prestigioso che non vende più come
una volta e vorrei continuasse a scoprire talenti, anziché celebrare il brutto
risultato di una star qual è ormai Capossela. Qualche anno fa, il carissimo amico
Giuliano Cervelli della libreria Polar, mi propose alcune ristampe che la Minimum
fax decise di riprendere, per promuovere scrittori dimenticati ma da conoscere, e
in quell’occasione comprai Revolutionary road di Richard Yates (nella foto), di cui
non avevo mai sentito parlare, ma che già nella presentazione, uscì negli States
per la prima volta nel 1961, mi folgorò. Assolutamente lontano dalla recente
riduzione cinematografica con Leonardo Di Caprio e Kate Winslet, troppo
hollywoodiana per interpretare il sentire di Yates. Scrittore sconosciuto eppure così
lungimirante nel raccontare la storia di Frank e April Wheeler, una coppia middle
class dei sobborghi benestanti di New York, ipocritamente anticonformista, sempre
al di sopra di quella piccola borghesia massificata dalla quale si sentono circondati,
costretti a condividere le loro banalità, come quelle della coppia di vicini di casa,
con cui passano serate intellettualmente alcoliche, sempre a dirsi, a fine serata,
che meritano di meglio. Una storia che degenera nel fallimento della loro visione,
in un crescendo oscuro che ancora ci ricorda, cinquant’anni dopo, la medesima
realtà falsa e ipocrita in cui tanti piccolo borghesi pensano oggi di fare la
differenza, ma sono peggiori di tanti altri. Ed è una narrativa viva come questa,
che bisognerebbe sempre continuare a cercare.