supplente supplì - Tutta un`altra scuola

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supplente supplì - Tutta un`altra scuola
La Supplente Supplì
diario semiserio di cinque anni di precariato nella scuola statale
0. Introduzione
1. La chiamata
2. Scuola di recupero anni, l’esamificio milanese
3. Il supplente ubiquo
4. Profe, ma oggi c’è l’interrogazione!
5. Ma ce lo chiede?
6. Antologia di poeti tristi
7. Quousque tandem? L’avente diritto
8. Il collegio docenti. Cronaca di una democrazia confusa
9. Il consiglio docenti. “Ora me la pagano!”
10. Le segretarie imbruttite
11. A te…
12. Cosa si potrebbe fare allora?
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0. Introduzione
Questo libretto nasce, come un’ispirazione, l’ultimo giorno di una delle infinite brevi
supplenze che mi sono trovata a svolgere in questi cinque anni di precariato da quando mi
sono laureata in Lettere Moderne.
Il bisogno di raccontare come vivono i supplenti precari nella scuola statale (nello specifico
quelli iscritti in terza fascia) è personale; con questo testo, infatti, ho solo l’intenzione di
dare voce a ciò che ho provato e sentito in questi anni in un ambiente in cui, oltre alla
cultura e al sapere, si trasmettono insensatezze e modalità retrive di relazione tra adulti e
ragazzi.
L’insegnamento è, per me, uno dei lavori più belli al mondo, esperienza gratificante, di
crescita e di accompagnamento di anime sul percorso del sapere e dell’essere.
I grandi ideali a cui mi sforzo di tendere che mi hanno da sempre accompagnato si sono
scontrati con la realtà che ho incontrato nei vari contesti in cui ho insegnato, ma da ogni
esperienza ho imparato qualcosa, da ogni studente ho appreso una nuova visione della
vita, da ogni temporaneo collega ho acquisito strumenti e possibilità di riflessione.
Perciò, nonostante il nostro percorso sia diverso, li ringrazio profondamente.
La Supplente Supplì sono io, ma anche tutti quelli che riflettono quotidianamente sul senso
dell’insegnamento e sulla scuola.
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1. La chiamata
Ogni precario che si rispetti, in un torrido giorno d’estate, atteso da giorni, preannunciato e
poi ritrattato almeno cinque volte dalle fonti ufficiali, ha compilato la domanda per
accedere alle graduatorie, l’ha riletta milioni di volte per controllare se il suo indirizzo di
posta elettronica è stato scritto in maniera corretta e se ha inserito tutti i recapiti che
poteva (vuoi mettere che, malauguratamente, non lo trovino?), ha imparato tutti i codici
meccanografici di sei regioni italiane e ha inserito tutti gli attestati che ha conseguito da
quando ha visto la luce il primo giorno di vita. Fatto ciò ha consegnato il plico spiegazzato
e consunto alla segretaria di turno che lo ha gettato a casaccio in una montagnola alle sue
spalle con aria disinteressata. Protocollerà il tutto, infatti, quando avrà tempo. Nei sei mesi
successivi.
La Supplente Supplì dopo aver compiuto come i suoi colleghi tale procedura, gonfia di
gioia, può aggirarsi per le aule vuote della scuola che ha “scelto”, la migliore per lei, vicina
a casa, di cui ha sentito parlare molto bene e in cui già immagina di depositare la sua
valigetta colma di testi interessantissimi; se si sforza
riesce a sentire anche l’odore di
questa scuola, a immaginare i suoi brillanti alunni, che sono esattamente la copia della
classe che frequentava da giovane. Ah, lei sì che studiava! Si impegnava a fondo e aveva
intenzione di cambiare il mondo. Sarebbe stata lei una docente diversa, carica di energia e
di entusiasmo, perché sì! La scuola si può cambiare solo se entri al suo interno, solo se
conosci le dure e ferree regole e solo se riesci a farti strada!
Ci vuole metodo, creatività, saper ascoltare gli studenti, essere altruista e sapere trovare
soluzioni.
Così lei pensa e lo dice a tutti. E tutti, purtroppo, ci credono.
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2. Scuola di recupero anni, esperienze semiserie di insegnamento
Il tempo estivo passa, inizia settembre. tutti incominciano le loro attività lavorative. Alla
Supplente Supplì, purtroppo, non è arrivata nessuna convocazione. Tutti la rincuorano e si
prodigano dicendole che è solo questione di tempo, che il governo è appena cambiato (di
nuovo), che il nuovo ministro si sta adoperando per creare una scuola migliore, più adatta,
che sia più attenta ai bisogni degli studenti. Inizia quindi l’Odissea del “devo controllare
ogni minuto il sito che offre informazioni sulle graduatorie”, “le istanze online”, la casella di
posta personale e anche le altre. Il tempo passa. La Supplente Supplì sente nel suo cuore
un leggero turbamento. Cosa fare nel tempo disponibile?
Studiare! Sì, ma cosa esattamente?
Tutto? Tutto!
Allora la Supplente Supplì decide di comprare tutti i libri che colmino ciò che non sa,
pensando di poter raggiungere l’onniscienza in un breve periodo. Questa occupazione la
distrae per qualche giorno e la impoverisce notevolmente; ma, ancora, ella cerca una
soddisfazione lavorativa. Ecco che, così, si affaccia nella sua mente, l’idea di dedicarsi a
qualche altra esperienza di insegnamento.
Trova, tra scuole più o meno serie, la possibilità di insegnare nelle Scuole di Recupero
Anni. Ne seleziona tre o quattro nel raggio di 60 km e invia a ciascuna il suo prezioso
curriculum vitae aggiornato.
Un giorno, improvvisamente, arriva una telefonata. All’altro capo del telefono una voce da
tabagista incallito chiede se la docente può collaborare con la scuola di recupero anni
della periferia milanese. La richiesta è accolta con gioia e tripudio dalla povera
disoccupata che, trionfante, già immagina di varcare la soglia della scuola e di vivere un
percorso altamente formativo, di insegnare, cioè “lasciare un segno” nel cuore degli
studenti che incontrerà.
C’è però un punto che la lascia leggermente dubbiosa. Alla domanda sulla tipologia di
contratto proposta, la voce tabagista risponde che si tratta di una scuola “privata
privatissima” e che, facendo il conto delle ore misere, la prestazione sarà ritenuta
occasionale.
La Supplente Supplì, invaghitasi di questa nuova e brillante prospettiva lavorativa, si
prepara al meglio, studia tutto lo scibile umano e si reca, dopo sole due ore di viaggio a
suo carico (e due ore al ritorno), presso l’edificio pattuito. Il primo giorno di insegnamento,
varcata la soglia di quella che dovrebbe essere una scuola, è accolta da urla belluine e
visioni stranianti: gli “studenti” rumoreggiano a bordo di scooter rombanti, si presentano
alla spicciolata a orari compresi tra le 10 e le 11 o non si presentano affatto. In aula la
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supplente nota delle telecamere di sicurezza e, quando ne chiede il motivo, le viene
risposto che servono a incutere un timore reverenziale agli alunni (che però non ne hanno
la minima parvenza).
Inizia allora la vera e propria esperienza scolastica: in sei mesi la Supplente Supplì si trova
a sviscerare il programma di due anni scolastici; spiega forme metriche e interpretazioni
del testo a studenti delle più varie provenienze. Il disinteresse è palpabile, ma soprattutto
la possibilità di farla franca pagando l’esame è chiaramente tangibile. La docente
speranzosa tocca il cuore di quei pochi che frequentano per interesse e, intanto, nota che
il sistema offre ai giovani vie di fuga ben chiare. Con l’arrivo di maggio e della bella
stagione gli studenti della periferia milanese vengono a conoscenza delle prove d’esame,
provenienti direttamente dalla città di Napoli (se vi chiedete il gemellaggio tra le due città
non saprei rispondere). La Supplente Supplì si rifiuta di somministrare una prova trafugata
prima dell’esame e con sua grande sorpresa viene tacciata di perbenismo e le viene detto
che allora l’esame sarebbe stato sottoposto da qualche altro docente connivente.
A questo punto, la Supplente Supplì saluta tutti, ringrazia gli studenti con i quali ha
percorso un sincero tratto di strada e si trova a ricominciare da capo la ricerca di un
lavoro.
3. Il supplente ubiquo
Da quando è rimasta a casa la Supplente Supplì aspetta due anni, svolge ripetizioni a tutte
le ore del giorno, lavori svariati, studia, a tratti si deprime, poi si riprende e invia curricula a
tutto il globo terrestre, integrandolo con amenità di ogni tipo (corso di canto, letture gratuite
in biblioteche sperdute, laboratori sottopagati o gratuiti in librerie di mezza Italia) e attende
che, di nuovo, qualcuno la chiami.
Ricompila tutti i documenti necessari, fa mente locale su tutti gli attestati che ha
conseguito nel frattempo, elenca tutti gli esami sostenuti, con tutti i voti ottenuti e tutti i
crediti formativi acquisiti.
In un nuovo giorno d’estate si ripresenta in una scuola della nuova provincia in cui si è
trasferita. Non conosce nessuno, ma le scuole si somigliano un po’ tutte. Attende, fa la fila,
con in mano il plico sudaticcio e finalmente lo consegna nelle mani della segretaria che,
con sprezzo, lo getta nella montagna alle sue spalle (di nuovo).
“Ah, dai che stavolta mi chiameranno!” pensa fiduciosa! E davvero stavolta la chiamano! In
più paesi! Contemporaneamente!
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Durante la telefonata la voce metallica, dal tono ostile e pretenzioso, dice che la supplente
è stata convocata per un incarico e che ha qualche ora per rispondere. Prima di lei ci sono
solo 98 persone, ma se per caso dovessero tutte rinunciare toccherebbe a lei.
La Supplente Supplì è in brodo di giuggiole! Attende e finalmente, quando la richiamano,
accetta. Non sa però che dovrà girare parecchio: lo spezzone orario che è “avanzato dalla
scelta di qualche altro prima di lui” (forse il 96° acc!!!), la costringerà a svolgere una parte
della supplenza in un edificio (in un paese della provincia) e parte in un altro. Spesso con
un tempo di percorrenza che si aggira tra mezzora e tre quarti d’ora. Guarda la sua
utilitaria con fiducia e infine si appresta a girovagare, correre, cercare parcheggi
improbabili (senza collezionare troppe multe in questa esperienza).
La Supplente entra nella Scuola che finalmente l’ha contattata e viene accolta in modo
brusco: le sue classi saranno tre o quattro, i libri, se ha avuto fortuna, sono stati lasciati
nell’armadietto dal docente di ruolo, altrimenti dovrà recuperarli telefonando alla casa
editrice di riferimento e arriveranno tempo dopo. Nel frattempo improvviserà, tanto, sa un
po’ di tutto (e non avrà il tempo di approfondire niente, in un viaggio superficiale negli
anfratti del sapere).
Il lessico che la accompagna nelle giornate scolastiche le risuona lievemente coercitivo: lei
è infatti in servizio a scuola, è precettata durante le riunioni e deve stendere verbali. Fa
appena in tempo a domandarsi se è una docente o un’agente di polizia, fa giusto in tempo
a imparare tutti i cognomi dei suoi 100 studenti e si appresta a salutarli. La supplenza è
finita. Altro giro, altro regalo. Si ricomincia tutto da capo.
4. Profe, ma oggi c’è l’interrogazione!
In questi mesi alla Supplente Supplì capitano vicende buffe, a tratti inverosimili.
Accade ad esempio di iniziare la supplenza in un qualsiasi giorno di ottobre ed essere
accolti dalla classe che annuncia: “Profe, oggi ci deve interrogare su Boccaccio!”. La
supplente sorride; non conosce nemmeno i nomi dei ragazzi che si trova davanti, di alcuni
fatica a pronunciarli correttamente e non sa cosa hanno letto gli studenti, che, a quel
punto, faranno a gara di menzogne. “No profe, i testi non li abbiamo letti, solo Lisabetta da
Messina e nemmeno tutta!”. La Supplente Supplì finge di credere a tutto ciò e posticipa
l’interrogazione. Nel frattempo tasterà con mano la reale impreparazione degli alunni (E
come biasimarli? Alcune classi hanno passato il primo mese di scuola letteralmente
“sdraiate sui banchi” nell’attesa che nominassero qualcuno per la cattedra vacante di
italiano!).
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Cerca allora di ottenere dagli studenti stima, attenzione, rispetto e inizia lo splendido
percorso di apprendimento, quello in cui lei crede realmente, basato sul fatto che autori e
pensatori lontani nel tempo siano, in realtà, grandi maestri di vita, che quello che hanno da
dire è ancora attuale. Capita infatti di leggere di autori che raccontano storie di amori
infelici ambientati nel Medioevo e osservare che, nella terza fila, una timida ragazza
indiana sta piangendo, perché il suo amore è ugualmente ostacolato. Capita che persone
che non hanno mai completato la lettura integrale di un testo scoprano un genere che li
appassiona e che inizino ad “avere voglia di sapere”, abbiano la necessità di imparare
aspetti nuovi, che si pongano domande profonde e coltivino il desiderio di utilizzare la
terminologia corretta. Questi piccoli segni sono grande nutrimento per la Supplente Supplì
e la stimolano ad andare avanti, nonostante tutto.
5. Ma ce lo chiede?
Questa è una domanda agghiacciante che coglie la Supplente Supplì impreparata e la
lascia basita nel bel mezzo di un’argomentazione complessa sull’interpretazione di un
passo di Dante (l’altra, peggiore, è: posso andare in bagno?).
Talvolta la Supplente Supplì si domanda se gli studenti si presenterebbero in classe se
fossero liberi di scegliere cosa è realmente utile per loro. La risposta, purtroppo, è
negativa per la maggior parte delle lezioni. A questo punto la docente si domanda: posso
fare qualcosa per cambiare l’attitudine dei miei discenti? Posso motivarli? Posso
comprendere che in loro non ci sia reale interesse per alcune materie? è tutto utile ciò che
dico e spiego? Io per prima credo in tutto quello che dico?
Si aprirebbe allora un dibattito interessante su ciò che viene insegnato nelle scuole e sulla
sua sensatezza, utilità, modernità e quant’altro.
Lo studente però, in stile impermeabile, sa fare selezione e, automaticamente, fa
selezione all’ingresso di ciò che reputa barboso, inutile o addirittura fuorviante. Ripeterà al
docente le sue stesse identiche parole, solo per farlo felice, fingerà di amare ciò che in
realtà odia e appena terminata la scuola venderà/brucerà/regalerà i libri di testo.
Si può sperare di riuscire a fare meglio?
Questa domanda mi coinvolge intensamente e ad essa voglio rispondere di sì.
6. Antologia di poeti tristi
Capita di svolgere alcuni periodi di supplenza in classi del biennio della secondaria di
secondo grado e trovarsi in imbarazzo per i testi antologizzati.
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Il criterio da seguire è infatti quello di insegnare le forme metriche basilari e fornire agli
studenti strumenti diversi per l’interpretazione del testo; il dato che mi ha colpito però è
che i brani proposti sono perlopiù di argomento funebre, funesto e tragico.
Immaginate quindi la Supplente Supplì che, aprendo il testo alla pagina segnalata dalla
docente di ruolo, vi trova solo Antologia di Spoon River, sonetti di Foscolo e un paio di
letterati suicidi. Ora, la risposta che arriva dalla classe è certamente contrariata; perché
loro, nel fiore della propria giovinezza, nel pieno della loro primavera devono ingerire e far
sedimentare poeti di varie epoche (perlopiù novecenteschi) che credono che la vita non
abbia senso?
Mi domando se stiamo dando agli affamati l’alimento giusto.
A chi risponde che “questo è il programma” o che “devono studiare questi letterati, nella
vita, quando li conosceranno altrimenti?” risponderei che, forse, alcuni letterati e alcune
poesie sarebbe bene evitarle del tutto. A questo punto, a seconda della sensibilità del
docente e della classe, sarebbe utile creare un programma personalizzato, con tematiche
utili ed edificanti, percorsi in cui i discenti possano contribuire con la propria creatività.
Questa modifica potrebbe essere la via per fare appassionare la classe alle tematiche
letterarie, alla voglia di comporre ed esprimere ciò che hanno dentro.
Ciò che hanno dentro, per inciso, non è sempre bello; ciò che hanno dentro è a volte
melma e rabbia. Il docente educatore deve quindi accomodare il loro male di vivere su una
conferma autorizzata della totale insensatezza della vita proposta da un premio Nobel o
può, deve, visto che ha già brillantemente superato l’adolescenza, guidare i ragazzi verso
strade lastricate di fiducia, di speranza e di impegno?
Sogno un’antologia di poeti che credono in qualcosa, che hanno passato la propria vita a
combinare qualcosa e, dopo che questo qualcosa è stato combinato, vogliono condividere
ciò che hanno capito.
7. Quousque tandem? L’Avente Diritto
Alla Supplente Supplì può capitare di vivere anche qualche fatto increscioso a livello
organizzativo e professionale. A novembre, dopo due mesi in cui ha introdotto modalità
lavorative con la sua classe, ha impostato un lavoro di scrittura settimanale e di lettura di
un libro al mese, si affaccia sul suo lavoro l’inquietante presenza de “L’Avente Diritto”.
La Supplente trema al sol sentire la voce di tale figura mitologica e si domanda di quale
natura sia dotato! Chiede informazioni alle Segretarie che sorridono fintamente per
tranquillizzarla e perché non sanno neppure loro di chi si tratta, quando arriverà, cosa
sceglierà e, insomma, quale sarà il destino della classe. Egli, infatti, ha il “diritto” di
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scegliere uno spezzone orario più vantaggioso, a discapito di altri supplenti già chiamati e,
in soldoni, prendere il loro posto.
Nell’aria si avverte un senso di precarietà, simile alla fine di una relazione; ogni lavoro
impostato inizia a scricchiolare e ogni promessa futura inizia ad assumere un sapore
amaro, quello dell’incertezza.
Ed ecco che arriva, L’Avente Diritto. Talvolta siede al posto della Supplente Supplì senza
essere stato preannunciato da nessuno, in stile Sosia di Dostoevskj. Sta compilando il Suo
registro, chiamando i Suoi allievi e sta seduto al Suo posto.
Anche il più duro e distaccato, anche chi sa che in questa vita todo cambia, sente un
iniziale freddo al cuore e, anche se trattiene le lacrime, mentre saluta e ringrazia gli alunni
che ha sinceramente amato, è invaso da tristezza e senso di frustrazione.
Osserva il suo prodotto in questa catena di montaggio alienante andare via e l’Avente
Diritto appropriarsene, senza talvolta saperlo usare.
Come può un sistema del genere avere senso?
Quale possibilità di dare una continuità al proprio lavoro?
Chi stava da poco imparando il piacere della lettura e stava seguendo un metodo per
imparare a scrivere in un certo modo, deve ricominciare con una persona nuova, si spera
equilibrata e sana, che, probabilmente, avrà richieste e principi totalmente diversi dai suoi.
Ma la cosa più agghiacciante è che gli alunni sanno abituarsi anche a questi movimenti e
cambiamenti, senza creare alcun legame affettivo e richiedendo solo che “sia svolto tutto il
programma”, come al ristorante a prezzo fisso si chiede “di mangiare tutti i piatti previsti
dal Menu”.
8. Il collegio docenti, cronaca di una democrazia confusa.
Circa una volta al mese la Supplente Supplì insieme ad un centinaio di altri professori è
obbligata a partecipare ai collegi docenti. Ella, nell’aula magna della scuola o in un
sottoscala predisposto, siede lontanissima dal tavolo centrale e cerca di percepire la flebile
voce della Preside che siede a qualche centinaio di metri di distanza la quale, con voce
roca, in stile diretta dal Parlamento la sera tardi, sciorina tutte le modifiche fatte e le nuove
norme vigenti, conoscendo, sì e no, un quarto dei presenti e pressoché nessuno degli
alunni di cui parla.
Elenca progetti a cui la scuola ha deciso di partecipare (a cui i docenti parteciperanno
gratuitamente perché, dicendolo fuori dai denti, non ci sono fondi) e che toglieranno tempo
al reale svolgimento del programma (l’interessantissimo corso sulla sicurezza o sul
malessere giovanile tenuto da dipendenti da psicofarmaci…). Il tutto avviene nel totale
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disinteresse dei molti presenti che nell’ordine: chiacchierano, deridono la preside,
contestano silenziosamente, spippolano al cellulare, correggono le verifiche perché, tanto,
non cambierebbe nulla. Ogni tanto, come elefanti nella savana africana con le lunghe
proboscidi, alzano il braccio a casaccio e votano ancora più confusamente (chi è a favore?
chi è contrario?), producendo un senso di finta partecipazione e finta democrazia. Chi è
contrario, infatti, non avrà modo di spiegarne il motivo e resterà infelice quando,
comunque, la preside lo precetterà (senza aver ottenuto il suo consenso).
9. Il Consiglio di classe. “Ora me la pagano!”
Più frequentemente la Supplente Supplì partecipa ai consigli di Classe, divertentissime
riunioni in cui le tipologie umane si mostrano nella loro varietà.
I docenti più felici sono quelli di educazione fisica perché loro con gli studenti si divertono
davvero, giocano con loro, li fanno muovere, li ascoltano negli spogliatoi e li vedono
sinceramente per quello che sono.
Intorno al tavolo siedono poi: almeno un docente ultrasessantenne che non ce la fa più a
ripetere continuamente le stesse cose e che, ormai, ha visto che non cambierà mai niente,
ma attende di diventare di ruolo e quest’anno potrebbe essere per lui la volta buona; una
docente che è lì ma non vive di quello (si riconosce dal fatto che è felice e distaccata), due
docenti simpatici che hanno creato un buon legame con la classe, un paio di docenti
donne maltinte e infelici che accolgono ogni commento positivo verso gli sforzi degli alunni
con un “Ma non è vero! Con me si comporta malissimo, un criminale! Nessun futuro per
lui, dovrebbe marcire in galera!”.
Nella stanchezza generale e nel tempo fisso prestabilito (un’ora per classe) si
alterneranno punti di vista personalissimi e spinti da totale soggettività e assenza di
qualsiasi progetto condiviso per armonizzare le mancanze degli allievi. Si divideranno i
sommersi e i salvati e si vendicheranno i torti subiti in classe con un cattivo VOTO in
condotta (che, per inciso, sarà un vanto per lo studente).
Poi si votano uscite didattiche in posti a basso costo (che siano attinenti al programma o
alle tematiche affrontate non è necessario; Praga infatti si può far rientrare sempre in
qualche modo) e si votano le certificazioni DSA per alunni la cui gestione, in realtà, li lascia
fondamentalmente impreparati.
Ciò che risulta evidente è la mancanza di un filo comune, di una strategia condivisa, di un
consenso. Come nei luoghi politici, si affermano alcune decisioni prese con la forza o con
argomentazioni parziali (o quelle che hanno costi minori da sostenere) senza pensare che
il messaggio educativo che passa è pressoché assente.
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La Supplente Supplì, timidamente, alza la mano e prova a mostrare che gli studenti
assumono, nei vari anni, comportamenti ripetitivi, basati su forme di convenienza e di
successo. Sarebbe bene, quindi, instaurare con loro una relazione sincera, proporre
attività stimolanti e utili e conservare un sguardo speranzoso, fiduciosi del fatto che
accompagnati, possano raggiungere brillanti mete.
I docenti si guardano e per un attimo pensano “ma chi è questo curioso animaletto?”;
alcuni esclamano “Ehi! lei ci crede ancora!”. Ma quella sarà l’ultima volta che si vedranno
perché la sua supplenza è finita.
10. Le segretarie imbruttite
A tutti i Supplenti Supplì sarà capitato di relazionarsi con questa tipologia femminile
dall’incredibile atteggiamento. Essa veste con colori funesti, abbigliamento castigato e
broncio in stile Grumpy Cat.
Si rivolgono ai malcapitati con aria di sufficienza e tono sbrigativo. Hanno sempre molte
carte sul tavolo, occhiali con catenella appesi al collo e una intensa rabbia trattenuta.
Sono perfette esecutrici all’interno del Sistema Scolastico Italiano; fiscali macchine da
guerra che fanno compilare plichi su plichi a ogni Supplente che arriva (in triplice copia)
anche se ormai è tutto informatizzato (se ne chiedete il motivo vi risponderanno che la
procedura è così).
Daranno per scontato che il docente conosca tutte le modifiche apportate al Sistema, che
sappia usare il registro elettronico, la LIM e quant’altro e, davanti a qualche incertezza,
assumeranno espressioni infernali e diranno che potrete rivolgervi al tecnico posto nella
stanza raggiungibile chiedendo all’operatore che siede nell’altra ala del complesso
scolastico, ma che quel giorno è assente.
Quando chiamano al telefono per cercare disponibilità nello svolgimento di una Supplenza
non offrono informazioni necessarie; esigono un’immediata risposta affermativa o negativa
(in stile L’Italia Chiamò! Sì!”) e, se chiedete in quali giorni si svolgerà il vostro compito,
sono gravemente turbate.
Alla Supplente Supplì capita di ricevere convocazioni per svolgere attività differenti dalla
docenza che neppure le Segretarie conoscono, in edifici che non si conoscono e per un
tempo variabile. Viene richiesta una prestazione lavorativa generica, nonostante la propria
formazione, senza alcuna specificazione. Cioè di stare “nella scuola” senza che si sappia
“a fare che?”. Mi sorge il dubbio che quindi, negli edifici scolastici, si aggirino esseri umani
specializzati in niente, pronti a prendere le ore degli altri, che aspettano di mettere radici e
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avere lo stipendio assicurato, costi quel che costi, meglio se in una scuola di un certo
“livello sociale e culturale”.
11. A te…
L’ultimo giorno della sua ultima supplenza la Supplente Supplì ha avuto un incontro
ravvicinato con Luisella dell’Ufficio Tecnico.
Dal primo giorno Luisella le ha risposto male, trattandola in maniera sbrigativa e incurante
mentre le dava i registri e la tessera delle fotocopie. L’ultimo giorno, proprio per la tessera
smarrita, la contatta nel suo ufficio (posto lontanissimo nell’edificio, in un sottotetto
disordinato). La Supplente Supplì viene rimproverata in malo modo da Luisella che le dice
che non doveva entrare nel suo ufficio mentre lei era in bagno e che si è appropriata
ingiustamente della tessera delle fotocopie. La Supplente Supplì faticosamente trattiene la
rabbia e cerca di spiegare che la tessera era lì con lei, che l’avrebbe certamente restituita
e che le dispiace se è entrata senza il suo consenso. Fa presente però che il tono usato è
fuori luogo, che si può parlare senza utilizzare quella modalità. A tali parole Luisella le
chiede di uscire e le dice una frase che la colpisce molto: “Certo, lei è la Docente, io sono
sotto di lei. Devo stare al mio posto”.
La Supplente Supplì esce profondamente turbata e riflette su quanto detto da Luisella; ma
come? Lei non sa che quello è il suo ultimo giorno, che è già arrivato un sostituto e che da
domani, non sarà neppure più Supplente?
Davvero lei pensa di essere sotto un qualunque docente? Di dover stare al suo posto? Da
quanto tempo vive le sue giornate in questo senso di subordinazione e di ansia esecutiva?
La Supplente Supplì ascolta il proprio cuore e rientra nella stanza, chiedendo scusa a
Luisella per il tono seccato; le augura una buona vita e la ringrazia per il lavoro che svolge
ogni giorno dandole la mano. Gli occhi di Luisella si riempiono di lacrime, si danno la mano
e si salutano con affetto.
Era fondamentale per la Supplente Supplì stabilire un contatto umano in un ambiente
gerarchico e talvolta mal funzionante e, con esso, riprendere la sua strada.
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12.Cosa si potrebbe fare allora?
Da allora la Supplente Supplì insegna in scuole “non convenzionali”: la scuola
professionale per operatori agroalimentari nella campagna emiliana e l’attività di
educazione parentale presso l’ecovillaggio in cui vive. Il tempo ora scorre a velocità
sensata, le attività hanno un valore e un significato e il percorso segue una traiettoria più
umana.
Ciò che si può fare è rimettere le persone al centro, pensare ad attività che siano adatte
alle persone e non viceversa.
Stimolare l’interesse verso il sapere ricordando ai ragazzi che possono arrivare da soli a
raggiungere quanto sono curiosi di scoprire; il docente li accompagna soltanto, evitando di
indottrinarli.
Ciò che si può fare è valorizzare le esperienze e non solo le conoscenze.
Ciò che si può fare è andare al lavoro felici e ricordarsi che davanti a sé ci sono anime
desiderose di crescere e capire; ogni ragazzo è così un grande insegnante per il docente.
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