Socci sul Papa_02102014_mauriziocrippa

Transcript

Socci sul Papa_02102014_mauriziocrippa
Socci sul Papa? Ciarpame senza pudore
Di Maurizio Crippa – Il Foglio, 2 ottobre 2014
L’opera seconda è sempre un tormento. Henry Roth, per dire, dopo “Chiamalo sonno” ci mise
quarant’anni per scrivere un altro romanzo che non suonasse un chiamalo cesso. Si rischia di
gonfiare un plot improbabile oltre i confini della decenza. Nel suo primo fanta-thriller vaticano,
estremo fin dal titolo, “I giorni della tempesta”, Antonio Socci aveva immaginato che san Pietro non
riposasse lì, nella sua bimillenaria tomba, dove persino Paolo VI aveva dichiarato che invece riposa
(“abbiamo ragione di ritenere che siano stati rintracciati i pochi, ma sacrosanti, resti mortali”, 26
giugno 1968), ma che invece il Principe degli apostoli starebbe in qualche posto dalle parti di via
dell’Acqua Bullicante, dietro ai prati di “Accattone”. E bon. Spiace un po’ perché alla tomba di
Pietro sotto l’altare di Pietro ci si era affezionati. Ma hai visto mai che una mistica di Viareggio ne
sappia più del Papa? Almeno, la suspense reggeva. Ma adesso, al secondo fanta-thriller, se pure il
titolo è ben trovato, “Non è Francesco”, il plot puzza come un polpettone avvelenato. Papa
Ratzinger non si è mai dimesso, farebbero fede il fatto che ancora si vesta di bianco, che abbia
mantenuto stemma e firma. E il nome di Papa emerito? Già qui l’adorabile meccanismo di
sospensione dell’incredulità, tanto caro anche a san Tommaso, quello che ci farebbe divertire pure
davanti a “Godzilla contro Madre Teresa”, è bello che saltato. Basta prendere atto che non essendosi
mai vista una dimissione di Papa di codesta natura negli ultimi 2000 anni, tutto quel che accade,
accade come nuovo. Sarà ancora Papa, un Papa emerito? Magari sì, ma questo non significa che
non si sia anche dimesso. Se l’incipit è tirato per i capelli, la seconda trovata leverebbe lo scalpo a
un calvo. Potremmo chiamarla “lascia o raddoppia?”. Francesco non è mai stato eletto Papa. Alla
votazione fatidica c’era per errore una scheda in più, la votazione fu rifatta ma non andava rifatta in
quella piovosa sera. Dunque elezione invalida. E nella notte, chissà poi perché, la candidatura di
Bergoglio avrebbe perso peso. Il Macguffin, come lo chiamava Hitchcock, cioè la stronzata di
nessun conto attorno a cui però gira il racconto, sarebbe l’articolo 69 del Regolamento generale di
elezione dei Papi. Ma anche un Macguffin dev’essere un po’ credibile, per reggere. E invece basta
aver letto l’articolo 68, che viene prima, quello che prescrive che nel caso il numero delle schede
non corrisponda al numero degli elettori “bisogna bruciarle tutte e procedere subito ad una seconda
votazione”, come fu fatto, e la sceneggiatura è bella che andata. Bergoglio fu eletto, il resto sono
barzellette da sedevacantisti: cioè i più fuori di testa fra tutti i tradizionalisti. Scopiazzando “Ritorno
al futuro”, secondo Socci o i suoi bizzarri sceneggiatori – hanno l’aria di essere i Bombolo e
Cannavale della vaticanistica – se due persone che però sono la stessa persona (sono due Papi!)
dovessero accidentalmente incontrarsi, ne nascerebbe un “paradosso spazio-temporale” tale da
distruggere l’universo. In questo caso, la chiesa universale. A questo punto, la sospensione
dell’incredulità non funzionerebbe più nemmeno sotto Lsd. Spiace perché Socci è un bravo
scrittore. Ma per il terzo episodio farebbe meglio a ricordarsi di una massima di Aristotele che, sono
certo, gli è ben nota e un tempo almeno gli fu anche cara: “E’ da pazzi chiedersi le ragioni di ciò che
l’evidenza dimostra come fatto”. (Topici I, 11, 105a 3-7). C’è un Papa che s’affaccia alla finestra,
buongiorno e buon pranzo, dice l’Angelus, nomina cardinali, convoca sinodi. E c’è un Papa emerito
altrettanto vestito di bianco che sta nel recinto, coltiva fiori, legge libri. Uno regna, l’altro no. Non
esplodono nemmeno, quando si incontrano.
Sta esplodendo la chiesa? Questo può sempre accadere, e nel passato è successo anche di peggio,
ma chi siamo noi per dar fuoco alla miccia? E in ogni caso, non accadrà certo per una
concatenazione di cazzate da sedevacantisti e teologi del controsenso come quelle che Socci mette
in fila, facendo pure bella mostra di crederci. “E’ da pazzi chiedersi le ragioni di ciò che l’evidenza
dimostra come fatto”. Invece fino a pagina cento e passa il plot di Socci non è altro, per citare la
nostra amatissima santa Veronica da Macherio, che “ciarpame senza pudore”. Il peggio però viene
dopo. Il fantasy finisce la benzina, eppure Socci continua inspiegabilmente a prendersi sul serio.
Così che anche solo parlarne, di quel che scrive, mette in imbarazzo chi Socci lo conosce bene e lo
ha sempre stimato come una delle migliori menti della sua generazione. E’ davvero difficile
accettare la sua pretestuosa pretesa che un cavillo possa essere inteso come provvidenziale, se serve
a far fuori un Papa che non gli piace. Ne fosse stato eletto uno che gli andava a genio, siamo sicuri
che quel cavillo provvidenziale avrebbe dormito sonni tranquilli. Socci è così sincero, nei suoi
astratti furori, che non riesce a dissimulare una fanciullesca partigianeria: avessero eletto un suo
preferito, uno di quei cardinali tutti controcazzi e dottrina, non avrebbe fiatato. Ma questo è andare
in gondola sul Banal Grande. Così come sgomenta l’eccesso di presunzione: “Se si comincerà a
discutere dell’invalidità della sua elezione, Bergoglio potrebbe (e dovrebbe) afferrare al volo questa
scialuppa di salvataggio che la Provvidenza gli offre come occasione per fare un passo indietro e
tornare in Argentina. Sarebbe tutto sommato un’uscita di scena onorevole”. Fino al cattivo gusto di
tirar fuori pure i problemi polmonari di Bergoglio. E questo sarebbe lo stesso Socci che ha passato
la vita a rampognare chiunque dicesse una parolina in dissenso dai Papi?
E poi per che cosa? A leggere tra le righe storte e pure tra quelle dritte di Socci, tutto si riduce alla
speranza fantascientifica di tornare al passato e a quella, lecita ma opinabile, di poter mettere sul
trono uno della schola cantorum ratzingeriana, uno dei discipuli della classe morta di Communio.
Come se non fosse sotto gli occhi di tutti che, oggi, anche quella grande generazione teologica fa
parte di quella stessa crisi che Socci denuncia con impeto rosminiano: l’ha vissuta, subìta,
accompagnata. Difficile che possa essere anche la medicina, sic et simpliciter. La tesi è ovviamente
la solita: via Benedetto, siamo piombati nel più buio relativismus. Finché regnava lui,
evidentemente, andavamo benone. La tesi è così gracile che Bombolo e Cannavale, sul finale, gli
suggeriscono di corroborarla appiccicandole una “profezia” di Ratzinger (il razionale professore
parrebbe alieno a queste cose) sul disastro della chiesa. Peccato che Ratzinger parlasse, in quelle
frasi, non della chiesa di Francesco, ma della chiesa del proprio tempo e di una crisi che c’era già
prima, anche dentro al pontificato magno, e che lo costrinse, controvoglia, a salire al Soglio. La
stessa crisi che l’ha convinto poi a scenderne, e a passare la mano. “Così all’unisono, tre grandi
uomini di Dio – Wojtyla, Giussani e Ratzinger – fra la fine del 2004 e l’inizio del 2005,
percepiscono l’incombere di una svolta drammatica per la chiesa”, scrive Socci. Dunque qualcosa
non andava bene anche prima che eleggessero Francesco. Sull’uso scorretto e sconcertante che
Socci fa di don Giussani, tornerò poi. Qui mi limito a ripetere, in compagnia di Aristotele: è da
pazzi leggere i fatti come se fossero il loro contrario. Dopodiché. Uno può anche avercela con Papa
Francesco, è legittimo, come Socci si affretta ad excusarsi, non petito. Ma per dei contenuti reali.
Magari solo perché si fa chiamare Francesco. Ma arrivare a sostenere che quella del cardinale
argentino sia stata una “scelta inspiegabile”, quando tutti sanno che Bergoglio fu il più votato dopo
Ratzinger la volta precedente, e che con quaranta voti (senz’altro più di quelli raccattati da Scola
all’ultimo Conclave, ma che tanto appassionano Socci fino a farli lievitare a quasi cinquanta)
Bergoglio avrebbe potuto anche bloccare l’elezione di Benedetto XVI. Invece si ritirò.
Di che stiamo parlando dunque? Da dove tracima questo odio che non trova di meglio che
aggrapparsi a delle panzane clericali per attaccare il Papa? “Nell’insieme la sua è stata una vita da
mediano”. Detto da Socci, uno che non ha mai amato le star che stanno meglio sui giornali che in
mezzo al popolo di Dio, è un insulto strano. Non posso sentire queste cose da lui, dal grande
innamorato di Péguy, che una manciata di mesi fa si dichiarava entusiasta di Francesco, “principio
di una grande purificazione e di un nuovo inizio che porterà la Buona Novella a tutti. Come duemila
anni fa”. Saranno i dotti a salvare la chiesa? O la chiesa stava andando a pezzi anche per colpa dei
tanti fasulli dotti che la soffocano e di una non comune incapacità di comunicazione e
testimonianza? Sono cose che Socci conosce molto meglio di me, ma a tratti sembra sia in preda a
un masochismo che lo costringe a maltrattare la sua scintillante intelligenza. La comunione ai
divorziati è l’articolo 18 della chiesa, un dettaglio di interesse minore, attorno a cui però si giocano
assetti di puro potere ecclesiale. E Socci ci propina tutta, ma tutta, la panna montata del nuovo
intransigentismo di maniera. Ci inonda con le ridicole angosce ultramontaniste per il trionfo
(trionfo?) dei “neo papalini”, i cantori interessati di Francesco. Non sfugge all’ossessione
veterociellina per Scalfari. L’ossessione che il vecchio Barbapapà sia l’Anticristo conteneva una
sensazione di leggera follia già trent’anni fa. Figuriamoci oggi. Comunque, il gran complotto che
Socci vede sta tutto nelle coordinate del pensiero tradizionalista più vieto. Kasper, il nuovo
demonio, è “la mente teologica dello ‘spartito’ che ha prevalso nel Conclave del 2013”. Ma cazzo,
un po’ di laicità e di senso della storia! In Conclave una volta vince un partito, una volta l’altro,
dov’è la sorpresa? Avesse vinto l’altro, pare di capire che per Socci il Conclave sarebbe stato
validissimo e la mente teologica prevalente gli sarebbe sembrata perfetta. Anche se poi i cristiani
avessero continuato a scappare a gambe levate dalla chiesa, come capita in Austria, o in Canada, o
in Australia. Che importa? Adesso basta dire che la crisi è tutta in Argentina. Il tifo funziona allo
stadio, qui è umorismo involontario. E adesso, come in un film dell’orrore, il vincitore Bergoglio
chiama proprio quel cardinal Kasper a “catechizzare” i porporati perché “ingoino il rospo della
grande svolta”, perché “agli innovatori interessa soprattutto, attraverso il dramma dei divorziati
risposati, cambiare la dottrina cattolica”. Il dubbio che al Papa invece interessi, come a Gesù con la
Samaritana, incontrare la persona, e riconoscerla in mezzo a tutti i suoi mariti, non sfiora nemmeno
Socci e i suoi amici dottrinaristi. A un certo punto è così preso dai suoi furori da Padre Citazionista
mitragliati per incastrare Francesco, che gli scappa un significativo lapsus redazionale. Dopo averci
tirato pazzi per duecento pagine a furia di mistici, miracoli e profezie, ecco un san Giovanni della
Croce che dà ragione a Francesco: “Perciò chi volesse ancora interrogare il Signore e chiedergli
visioni o rivelazioni, non solo commetterebbe una stoltezza, ma offenderebbe Dio, perché non fissa
il suo sguardo unicamente in Cristo e va cercando cose diverse e novità”. Suppongo che Socci sia
incazzato con Francesco da quando il Papa ha fatto quella battuta sulla Madonna che non fa “la
postina”. Non sopporta che un uomo di profonda ma tradizionalissima fede in Maria come
Bergoglio, tanto devoto alla Salus Populi Romani, non abbia però alcuna indulgenza per certi
eccessi del misticismo post moderno. Da qui discendono anche le altre accuse, il consueto ciarpame
tradizionalista, per la “diversità” della liturgia e per il presunto poco rispetto e fervore sacramentale
del Papa che “nec rubricat nec cantat” e neppure si inginocchia. Sono cose che evidentemente
mettono ansia a tanti. Socci arriva al punto di accusare Bergoglio di aver sottovalutato un grande
miracolo avvenuto quando era a Buenos Aires.
Ma, a parte che è lo stesso Socci ad ammettere che le cose non stanno così, il vero assurdo sospetto
di Socci riguarda altro: “Ancora più inquietante tuttavia è chiedersi se e come Bergoglio, nel suo
episcopato a Buenos Aires e poi in questi anni da ‘vescovo di Roma’, abbia mostrato di aver
‘recepito’ il messaggio del Cielo che a me pare rivolto in particolare a lui”.Insomma, il Nostro ora
s’impanca a decidere lui il senso dei miracoli, e a farsi misuratore di quanto il Papa ne abbia accolto
il messaggio. Mi sembra si sia ben oltre il plausibile. Come quando si afferma che la chiesa starebbe
per finire perché “è mancata un po’ di misericordia con i francescani dell’Immacolata”. Maddài. Un
filo di resipiscenza lo hanno tutti, così a un certo punto Socci ammette: “Certo ha ragione Papa
Bergoglio quando sottolinea che l’incontro con Cristo è anzitutto l’incontro con le persone da lui
redente e con la vita della comunità cristiana. E non un convegno di studi sui decreti del Concilio di
Nicea”. Ma aggiunge: “Questo è scontato” (scontato un tubo, verrebbe da dire). “Però la dottrina
cattolica è l’intelligenza dell’avvenimento cristiano”. “Senza la dottrina, un annuncio vero del
Vangelo… il messaggio di Papa Bergoglio rischia di venire recepito come un ‘liberi tutti’ rispetto
alla dottrina cattolica e al pensiero cattolico”, va a concludere Socci. Ma senza un annuncio vero e
che liberi tutti, il cristianesimo rischia di morire nel veleno delle regole. Non è scontato neppure
domandarsi perché Socci non faccia patrimonio di questa intelligenza per guardare con più lucidità
la situazione della chiesa. E magari evitare di usare l’intelligenza dell’avvenimento cristiano che fu
propria di don Giussani in modo così parziale (che senso ha cavare una sua frase sul Sillabo, a
inizio libro? E’ come voler estrapolarne una di Emma Bonino a favore delle mamme), e soprattutto
per scagliarlo come un’arma contro il Papa. Giussani non l’avrebbe mai fatto né permesso, e questa
è una porcata inaccettabile.
Ps. Conosco benissimo la passione del direttore del Foglio per tutto quanto d’importante faccia
dibattito nella chiesa. Ma, se dobbiamo proprio stare a discutere della figura del doppio nelle fiction
sul cristianesimo, non è meglio occuparsi di “Brian di Nazareth” dei Monty Python?