Layout 4 - Circolo Pivot

Transcript

Layout 4 - Circolo Pivot
Anno I - n. 2 - novembre 2008
Pietro Simone
Una figura luminosa del primo ‘900 castellanese
La 10a edizione del Premio Letterario
internazionale del Pivot sarà intitolata a
Pietro Simone, “un altro grande castellanese dimenticato del ‘900” scriveva Pg n.
480, p. 6.
Io, presidente della giuria, e Federico,
presidente del Pivot, siamo stati a lungo
titubanti per questa intitolazione, pur
essendo - tutt’e due - nipoti di Pietro
Simone (d’ora in poi P. S., ché ne ripeterò
decine di volte il nome). Io, infatti ho sposato la figlia del 2° dei fratelli Simone
(Onofrio) e Federico è figlio del più giovane
(Leonardo), ultimo di sei fratelli ed una
sorella. Alla fine ci siamo decisi all’intitolazione, proprio pensando che è quasi nostro
“dovere” ricordare a quei pochi, che ne
hanno sentito parlare, ed ai tanti, che ne
ignorano anche il nome, questo castellanese che ha fatto tanto per Castellana e che,
a 16 anni già componeva brillanti versi sul
paese di allora e pubblicava le prime
“cose” in dialetto castellanese.
Ma diamo un po’ di note bio-bibliografiche in breve, come severamente richiede
questa Pg.
Pietro Simone di Federico e di Maria
Pace nacque a Castellana il 28/5/1901.
Ragazzo intelligente e diligente, si distinse
subito tra i più bravi a scuola (si diplomò
ragioniere a 17 anni) e fra gli allievi cantori e musicisti della “Perosi” di don Pietro
Giannuzzi (Michele Viterbo, a p. 168 di
Dagli ultimi re borbonici lo cita come
esempio e Angelo Viterbo, nella celebre
“caricatura” della Schola lo pone in primo
piano, accanto al pianoforte).
Dopo la parentesi scherzosa ed esaltante della collaborazione in lingua ed in dialetto sulle pagine del Papiol, a vent’anni,
P. S. inizia il suo cammino di apostolato e
di alta spiritualità. Nel 1921 fonda il “circolo” dei giovani di Azione Cattolica e
diventa “propagandista” di questi “circoli”
per tutta la Puglia, ricevendo alti riconoscimenti da parte dei Vescovi della regione
e del presidente nazionale G.C.S.
Nel 1924 P. S. fonda il gruppo Asci
degli Scouts, uno dei primi delle province
pugliesi. Nella foto di p. 102 di Castellana,
una volta il 1° esploratore (capo-squadra,
immagino) è lui, ed il tamburino (n. 5) è
Leonardo Simone, papà del presidente
Pivot. Nella foto di famiglia di Zio
Carluccio (Forbice n. 50, p. 16) lui ci ha
tenuto, quasi omaggio allo “zio americano”
“
Al quale il Pivot dedica
la 10a edizione del
Premio Letterario
”
a posare in perfetta tenuta di boy scout.
Intanto, sin dalla giovinezza, è stato
terziario francescano e quando, alla fine
degli anni ‘20, fu trasferito il chiericato dei
Minori di Puglia e Molise a Castellana,
accettò di insegnare musica e canto ai frati
chierici e di essere il direttore della loro
Schola Cantorum.
Padre Andrea Gravina, che allora era
chierico, lo ricorda un paio di volte nella
sua colossale Galleria Francescana. A pag.
18 dice che “fra i benefattori insigni (di
Castellana) primeggiava il candido e serafico P. S.”. Ed a p. 305, parlando di Frà
Felice, dice: “Il rag. P. S.... ci edificava con
la sua angelica mitezza ed umiltà”. E
padre Agostino Castrillo, di cui è stata
avviata la causa di beatificazione e che nei
primi anni ‘30 era giovane professore presso il nostro convento, a p. 5, In memoria,
dell’opuscolo Nel 10° anniversario della
morte del rag. P. S., scrive: “... O raro e
buon P. S.... mi dura vivo e musicale nell’anima il ricordo dei nostri quasi quotidiani incontri... Noi si discorreva, cuore a
cuore, di Dio, di apostolato, di francescanesimo, di poesia, di musica, di che il
nostro spirito era vago e insaziabile...”.
Tanta attività era accompagnata da
un’inevitabile stesura di conferenze.
Nella mia adolescenza e nella mia giovinezza, quando sentivo parlare di P. S. lo
sentivo ricordare specialmente come trascinante e travolgente conferenziere.
Ricordo con meraviglia la commozione di
alcune anziane “devote” (tutte le giovani
“devote” degli anni venti/trenta erano
innamorate di P. S.!), che con nostalgia
sospiravano: “Oh! Quando parlava P. S.!..
Ti stringeva il cuore! Ti faceva piangere!...”. Anche il prof. don Giovanni
Silvestri, che è il curatore dell’opuscolo
del 10° anniversario della morte, citato
poco fa, parla bene le conferenze di P. S..
Scrive a p. 2: “Le numerose conferenze, da
lui tenute in Castellana e fuori, in varie
circostanze, destano ammirazione, se si
pensa che queste furono fatte con un’impronta tutta personale”.
Poco dopo il prof. Silvestri dice: “Degni
di speciale rilievo sono i suoi frequenti
Colloqui con Dio, che sono indice della
levatezza della sua formazione spirituale”.
Don Giovanni fa capire che lui, quei
Colloqui, li conosce, li ha letti, ma nessun’altro ne sa nulla.
Quello che rimane degli scritti di P. S.,
è quanto è conservato nella Biblioteca
Civica castellanese. Nel faldone D, II, a, 3,
c’è una cartella intitolata a P. S., cominciata da me sottoscritto e continuata dal prof.
Lanera, quando io sono andato in pensione
e quando è sopraggiunto altro materiale in
dono. La cartella contiene:
- il quaderno “Il cavaliere dell’amore”,
con incollate alcune composizioni in versi;
- composizioni autografe;
- composizioni da Papiol;
- appunti diversi sul retro di “consegne
pastificio Sav. de Bellis fu Fr.co”;
- più copie dell’opuscolo più volte citato
Nel 10° anno morte ecc., ove sono molti
brani di conferenze, scelte da don
Giovanni Silvestri.
Altre varie piccole cose sono nelle
Miscellanee di vario argomento (per es.
Miscellanea Papiol; Misc. Azione
Cattolica; Sezione Iconografica, ecc.).
P. S. morì a soli 34 anni, il 12/7/1935.
Quante cose di lui, sinceramente rimpiangiamo! Ecco il perché della nostra ammirazione, del nostro ricordo, della nostra intitolazione del Premio Letterario 2009.
PIERINO PIEPOLI
I
I quaderni del Pivot
Geisha e Samurai di Antonella
Poliseno... noterelle critiche
Si tratta di un lungo racconto di sapore, che a
prima vista potrebbe apparire autobiografico,
che partendo dall’incontro tra due esseri di sesso
diverso, perfettamente sconosciuti alla data d’inizio della loro relazione, corre sul filo del raffronto
(Geisha- Samurai), tra quel che di maschile c’è in
ogni donna e di femminile in ogni uomo.
È un tema non nuovo, che certamente non
sarebbe bastato da solo a raggiungere l’originalità, se non fosse divenuto sangue pulsante nelle
vene dell’autrice e delle sue più profonde convinzioni esistenziali.
Partendo da questo dato, che appare incontrovertibile, compilare l’antologia dei passi, in cui
i due protagonisti, “cambiando sesso”, per così
dire, si dimostrano rispettivamente geisha e
samurai, più che agevole parrebbe impresa
alquanto scontata, se ci sfuggisse l’ aspetto più
importante, che definirei “forza centripeta” di
tutta la narrazione, tanto più suggestiva, quanto
più diviene man mano come il risultato inavvertito dalla stessa protagonista-autrice del racconto.
Ma procediamo per ordine, cercando di ricapitolare brevemente.
L’autrice (nel racconto Gioia Deangelis, geisha, moglie, mamma, praticante di Kempo
Dankan, sorta di disciplina orientale ginnico-marziale, ma, quel che più
conta, magistrato), tramite l’amica Angela, dottoressa, conosce il dott.
Edoardo Loserio, chirurgo, da questa prescelto per operare suo padre di ernia
inguinale.
Tra magistrato e dottore inizia quindi una “storia”, che si conclude nel
più scontato dei modi.
Facile sarebbe, come prima dicevo, fare l’antologia dei “cambi di sesso”
comportamentali, che avvengono nel corso di questa storia; meno facile è scoprire l’esattezza della rispondenza della reale situazione psicologica e comportamentale a tali “cambiamenti”.
Insomma Gioia, com’è naturale, non sempre riesce a scandagliarsi in profondità ed in ogni caso riesce più Samurai di quanto Edoardo non risulti
Geisha.
Dire che ella pratichi il Kempo Dankan significherebbe sottolineare forse
l’aspetto meno rilevante della sua posizione di preminenza, che l’assimila al
sesso forte.
Per esempio il fuoristrada, con cui la protagonista si reca ogni giorno al
lavoro, non è solo status symbol di ordine socio-economico, ma vuol esprimere una volontà di preminenza su gli altri automobilisti, “dominati” da un
posto di guida più alto del normale.
La stessa carica di magistrato, che la protagonista ricopre, appare più
una di quelle professioni tipicamente o, quanto meno, storicamente, maschili rivendicate successivamente dall’altro sesso e praticate con una rinnovata consapevolezza di essere tra le persone che contano.
E tale orgoglio da autentico samurai, cioè da autentico contadino guerriero, appare anche, seppure un po’ fuori misura, nella descrizione che ella fa
di una giornata forense:
“L’udienza si rivela particolarmente lunga e faticosa: su dieci processi
Rivista a cura del Circolo Pivot - via Tommaso Pinto 32 Castellana Grotte
www.circolopivot.it - [email protected] - tel. 0804967250
Consiglio direttivo eletto nel giugno 2008: presidente Federico Simone, vicepresidente Maria Sgobba, Antonino Piepoli, Mino Cardone, Giacomo Loperfido,
Scipione Navach, Pierino Lanzilotta, Dina Manghisi, Grazia Salvatori, Pierino Iurilli,
Vito Dellarosa, Pino Mastrosimini.
II
celebrati due parlano di maltrattamenti familiari…altri tre sono omicidi colposi…”
Mi verrebbe voglia di chiedere, a tal proposito: “Ma vive in Italia questo magistrato, dove cinque anni non sono affatto sufficienti a concludere
un processo per infanticidio colposo, come quello
di Cogne, servito oltre tutto a sazietà in varie versioni di brodetti televisivi?”
Nel corso di un dialogo quel bel “maschietto”
del dottore dagli occhi di giada, esclama: “Un giudice? Che fa pure arti marziali? Oddio, c’è proprio
da aver paura di lei!”
Accanto a questi forti e prevalenti caratteri
maschili, che Gioia perennemente si porta addosso, ecco emergere soavemente, quando meno te lo
aspetti, la donna con i suoi connotati inconfondibili.
È donna quando analizza con minuzioso spirito di osservazione l’eleganza del suo uomo:
“Indossa una bella camicia marrone, Henry
Cotton’s, con le maniche sempre risvoltate con
cura, un paio di pantaloni beige modello sportivo
e sotto mocassini in pelle testa di moro…”; oppure quando si autoanalizza, scendendo nei suoi
particolari estetici: “…mi prende un’assurda
paura di non piacergli: forse sono troppo bionda
per lui, magari preferisce le more, forse sono troppo magra e atletica per i suoi gusti…”
È donna come personaggio e come scrittrice, per la sapienza con cui è
introdotto il nascere e lo svilupparsi del suo innamoramento, che va seguito
sin dalle prime pagine. Sin da quando comincia ad esaminare con grande
attenzione l’aspetto del dottore: “…i suoi occhi… sanno essere freddi e teneri allo stesso momento… mostrano grande forza e grande orgoglio, ma ho
l’impressione di coglier(vi) una profonda tristezza mista a solitudine e di
vedere due occhi bambini.”
Qui ci troviamo di fronte ad un tratto paradigmatico di psicologia femminile, sempre pronta a far scattare l’istinto di protezione di fronte ad ogni
forma di paura o di disagio infantile: senso di protezione che d’altro canto è
la più naturale premessa d’amore.
S’innamora inoltre del dottore, perché, quando lo conosce, è una bella
giornata di sole, in cui non si può fare a meno di essere innamorati della vita
(pag.15).
E la “storia” si va snodando così, pian pianino.
Quanta voluttà in quella triplice ripetizione del nome Edoardo, con cui la
comune, amica, dott.ssa Angela, presenta il Chirurgo! (19)
Ma la “storia” s’intravede chiaramente nella stessa scelta della poesia
premonitrice di Paulo Coelho, che conclude il cap. 2, facendo da premessa al
3. (18)
“Nel mondo esiste sempre
qualcuno che attende qualcun altro…”
Poi ci sono le prime impressioni, che accompagnano la visita del paziente: “Mi sarei aspettata un ometto anziano, basso, cicciotto e tarchiatello, invece mi trovo di fronte un giovane uomo di bell’aspetto, alto, magro, fisico atletico, capelli ricci brizzolati ed occhi verde giada…”, e, ancora più in là
(pag.20): “Mi colpisce il suo modo di muoversi: è serenamente determinato,
I quaderni del Pivot
calmo e rilassato. Poggia le mani sul paziente con estrema sicurezza e comincia a muoverle con fare delicato…”
“Parva favilla gran fiamma seconda” - avrebbe detto Dante.
Ed ecco, come naturale effetto di questo soave rapimento, sbucar fuori,
quasi inevitabile, la gaffe, che un giudice, nell’ambito del suo habitat naturale mai e poi mai si sarebbe lasciato sfuggire di bocca, anche se in parte può
apparire giustificata dalla naturale preoccupazione per la salute di suo
padre: “Dottore, ma questo è un intervento, che lei segue spesso…?” Che, tradotto in volgare, significa nient’altro: “Mi posso fidare di te?”
Si tratta di una battuta istintiva, che non tien conto dell’effetto dirompente che potrebbe procurare nell’interlocutore che è un serio e provetto professionista.
Ma è già cominciata la cottura a fuoco lento.
La medesima gradualità si ritrova nei due episodi, in cui si parla di letto.
Che il primo dei due sia un sogno può importare ai maratoneti della carta
stampata, che son soliti divorare libri, solo, per sapere “il fatto”.
“Il sogno è l’infinita ombra del vero” - dice il poeta. È la fase finale di uno
svolgersi psicologico, che parte da lontano, e si chiude, come si diceva, con la
più naturale e scontata delle conclusioni, tant’è vero che ha l’intenso sapore
della verosimiglianza, ed è anch’essa preparata col solito climax e la consueta sapienza descrittiva, con tale e tanto sapore di peccato, che in questo caso
Antonella in persona si sarebbe potuta vergognare forse ancor più di Gioia.
In tale circostanza la telefonata del padre, anche se in un momento in cui
tutto si è concluso, suona come un richiamo, che serve a ricondurre tutto nei
binari della normalità e della morale perbenistica.
Questa forte tensione interiore, dovuta a questa trasgressione, trova
modo e luogo di evidenziarsi in un aggettivo piuttosto inappropriato, che, proprio per questo, diviene un diversivo liberatorio da uno stato d’animo angosciato: “Gli ospedali mi fanno proprio uno strano effetto…”; “Sorrido… della
mia strana avventura erotica”; “Non posso fare a meno di ripensare a quello
strano sogno, di cui mi vergogno …” (37)
Tale è stato il sapore di realtà che l’io narrante ha dato alla dolcezza di
questo ricordo, da far impallidire a confronto il secondo episodio “importante” della “storia”, che è pura realtà vissuta e di cui pare invece non vergognarsi affatto.
E c’è da spiegarselo perfettamente.
In questa seconda circostanza si è già compiuto in lei una sorta di processo catartico a livello di subconscio. Si è trattato di un adulterio, che con un
termine moderno si potrebbe definire “virtuale”, ma non per questo meno
valido moralmente, al fine della messa in discussione del tradizionale concetto stesso di fedeltà, che non implica necessariamente, come accade sovente, il ripudio traumatico del partner: Anzi, nel suo caso, è esattamente il contrario: “… il mio matrimonio funziona - sostiene apertamente la donna - sono
una moglie fedele, lo sono sempre stata e sono innamorata di mio marito, un
uomo intelligente, brillante, allegro, comprensivo e paziente oltre che bello”.E
vi par poco?
C’è veramente di che invecchiare nei secoli, in serenità, come Filemone
e Bauci!
Ma non è proprio così. Poco dopo una confessione non certo men vera,
nella sua disarmante sincerità: “Eppure non riesco a fare a meno del mio
samurai dagli occhi di giada. È un richiamo profondo, che sento nello spirito…”
Va da sé, quindi, che l’invito successivo del dottore: “Vorrei chiederti se
hai voglia di stare un po’ con me domani…”, trovi una porta spalancata:
“Certo che ne ho voglia…”
Questo è il secondo incontro, per me, come dicevo, meno importante del
primo, anche se è quello vero.
C’è tutto l’armamentario erotico: il divano, i cuscini, una canzone rovente di Mina e poi tanta voglia esternata senza reticenze: “E vorrei tanto… ah,
se vorrei… vorrei fargli di tutto e di più, vorrei tanto farlo entrare in me…”
Giunti a questo punto, parrebbe che non si possa dire in sincerità se in
Gioia prevalga la Geisha o il Samurai. Può essere la prima, nelle sue impervie contraddizioni (un’altra, apertamente confessata pag. 17, che vive in lei,
è lo scontro tra la freddezza scientifica del Lombroso e l’amore serafico di
Madre Teresa di Calcutta), o l’altro, nella sfida alla morale corrente, che si
esprime anche attraverso questo linguaggio libero e senza infingimenti.
Passo poi dal delirio verbale alla realtà dell’incontro.
Per me continua a protrarsi anche qui questa duplicità dei ruoli. Mi
voglio riferire al rifiuto opposto da lei al momento culminante (“Scusami, non
posso, non è mia abitudine concedermi totalmente ad un uomo al primo
appuntamento”). Mi chiedo legittimamente: “È eroismo da Samurai come
crede Gioia, o per caso è calcolata autoflagellazione, cui si sottopongono (o
forse si sottoponevano!) di solito certe donne, per attirare ancor più gli uomini a loro, lasciandoli con l’uzzolo inappagato?
Considerazioni a parte merita “l’uso” dei poeti d’amore puntualmente
intercalati tra i dieci capitoli del racconto. Sono come il contrappunto sentimentale dell’io narrante, che cerca la sublimazione dell’aridità descrittiva
della prosa in certi versi dal potente respiro, che si potrebbe definire certamente intercontinentale.
Nessun italiano! Tutti poeti d’amore e tutti raccolti in unico crogiuolo:
indiani, brasiliani, greci, spagnoli, francesi e, tra questi Verlaine: il più complice.
Delle tre poesie riportate, di quest’ultimo, ci si vuol riferire in particolar
modo a quella che chiude il Cap. IX
Verlaine, cioè Gioia, non cerca giustificazioni all’agire individuale, nella
polemica contro il fariseismo della morale corrente, ma piuttosto si fa forte
della convinzione che tutto ciò che fa l’uomo per amore e con animo puro è
perdonabile: “Non ci preoccuperemo di quello che il destino - per noi ha stabilito, cammineremo insieme - la mano nella mano con l’anima infantile - di
quelli che si amano in modo puro, vero?”
Ma tra le poesie intercalate nel racconto, che, da sole meriterebbero un
discorso a parte, preferirei quella che l’innamorata stessa, tralasciando le
citazioni, scrive di suo pugno, nel mentre Lui sta preparando il the.
“Scende il tramonto, disegnando nel cielo colori meravigliosi e penso “Dio
sta dipingendo anche oggi”, si vedono tutte le luci della città; è uno spettacolo bellissimo e rilassante: Soffia un leggero venticello che mi accarezza il viso
e mi smuove un po’ i capelli… Respiro con fare lento e profondo, inspiro riempiendo l’addome, fino in fondo, di aria fresca ed espiro cacciando fuori, unitamente all’aria satura, tutta l’energia negativa e i brutti pensieri…”
Si tratta della stessa atmosfera del “Sabato del villaggio”, che diverte
sulle cose circostanti i sentimenti individuali, per cui si potrebbe dire che
tutta la poesia di quell’incontro sta in questa trepidante attesa della protagonista, sognante dinanzi al tramonto.
Ci sarebbe ancora molto da dire sullo stile agile, su quel periodare breve
e talvolta singhiozzante, che accompagna tutta la narrazione, su quel parlare quotidiano, che dà la misura dell’atteggiamento morale della scrittrice di
fronte al suo pubblico.
Ella non scrive per riscuotere il plauso degli addetti ai lavori, perché è
convinta che la letteratura non può essere privilegio di pochi, se non a patto
di snaturare la sua alta funzione sociale.
A me in questa sede interessa soprattutto chiarire il concetto di “forza
centripeta del racconto”, cui prima accennavo.
Indipendentemente dalla varie situazioni psicologiche, in cui, di volta in
volta può essere Geisha e Samurai, Gioia vive una vita interiore contrassegnata da un’eroica coscienza della propria libertà individuale, che non la
pone in contrasto con gli altri, perché in se stessa ha trovato la via giusta per
conquistarsela. Questa serena conquista, che la pone al di sopra di se stessa
nel campo dei sentimenti e in particolare dell’amore, che è il più emblematico di questi, è appunto la forza centripeta del racconto, cui prima accennavo.
Ma se abbiamo ancora bisogno di classificazioni, potremmo concludere
che nell’acquisizione di questa coscienza, Gioia è Samurai più di quanto non
creda Antonella.
SCIPIONE NAVACH
III
Pivot news
Il 9° Premio Letterario intitolato a Vito de Bellis
Si è tenuto il 28 luglio 2008 presso “Le jardin du blue belle” in villa comunale il premio “Città di Castellana Grotte”
Lo storico circolo tra soci, simpatizzanti e autorità ha dato inizio ai festeggiamenti
Grande festa per i 40 anni ai Saloni Copacabana
IV