RESPONSABILITÀ DEI REVISORI LEGALI DEI CONTI

Transcript

RESPONSABILITÀ DEI REVISORI LEGALI DEI CONTI
Marco De Nadai
LA «NUOVA» RESPONSABILITÀ DEI REVISORI
LEGALI DEI CONTI: CRITICITÀ
E DISARMONIE NORMATIVE
1. Il dibattito comunitario sulla responsabilità dei revisori legali dei conti
I crack finanziari degli ultimi anni 1 hanno messo in evidenza come un
buon funzionamento del mercato dei capitali presupponga, tra le altre cose,
anche un mercato concorrenziale dei servizi legati al controllo contabile dei
bilanci sociali, nel quale vi accedano un sufficiente numero di imprese con
caratteristiche, dimensioni e professionalità adeguate allo scopo. È considerazione comune quella secondo cui la volatilità crescente della capitalizzazione
Desidero ringraziare due anonimi referees per gli utili suggerimenti alla bozza di questo lavoro. Ovviamente, la responsabilità per ogni errore ed imprecisione è totalmente mia.
1
Ci si riferisce, tra gli altri, ai noti scandali finanziari che hanno riguardato società quali
Parmalat, Cirio, Enron, Worldcom e Global Crossing (solo per citarne alcune) e le rispettive
società di revisione che si sono occupate del controllo contabile dei loro bilanci (si pensi, ad
esempio, al «caso» della ex Arthur Andersen). Tali dissesti finanziari hanno portato negli Stati
Uniti all’introduzione del Sarbanes-Oxley-Act approvato il 23 gennaio 2002 (d’ora in avanti, il
SOX), il quale, oltre a rafforzare alcune previsioni già presenti, ha realizzato un forte cambiamento in tema di garanzie di indipendenza. In breve, il SOX ha previsto, tra l’altro, la creazione di un nuovo board di matrice federale, con il compito di monitorare l’attività delle società di revisione incaricate del controllo contabile delle società quotate e la netta separazione
tra attività di revisione e attività di consulenza, sancendo il divieto di svolgere per la stessa
società cliente entrambe le attività. Esso ha inoltre affidato ad un apposito comitato, composto da amministratori indipendenti, la scelta del revisore contabile e creato un ente, il Public
Company Accounting Oversight Board («PCAOB»), per la regolazione dei servizi di revisione
e la redazione dei principi contabili, con l’obbligo di procedere ad ispezioni periodiche nei
confronti della società di revisione. Al tema dei controlli pubblici è stata dedicata una particolare attenzione anche nel Documento di Consultazione della Consob, la quale ha proposto
di unificare i poteri di vigilanza e di controllo pubblico in un unico organismo, sulla scorta
del modello americano. Il SOX ha inoltre notevolmente influenzato la legislazione europea in
tema di requisiti di indipendenza, culminata con la direttiva 2006/43/CE sulla revisione legale
dei conti annuali.
BANCA IMPRESA SOCIETÀ / a. XXX, 2011, n. 3
397
di mercato delle società abbia determinato rischi di responsabilità molto più
elevati per i revisori dei conti (e dunque anche per le società di revisione) 2.
In questo quadro, soprattutto a livello comunitario sono state avanzate
proposte volte a contemperare due diverse esigenze: la buona qualità del servizio di revisione e la limitazione dei rischi insiti nell’esercizio dell’attività. In
particolare, tra le diverse iniziative succedutesi nel tempo 3, merita una segnalazione la consultazione pubblica del 2007 della Commissione Europea 4, la
quale identificava quattro diversi percorsi di riforma: l’individuazione di un
massimale fisso di responsabilità, la determinazione di un limite di responsabilità agganciato alla dimensione dell’ente revisionato (stabilita con riferimento alla capitalizzazione del mercato, al settore di attività, al segmento di
quotazione); la responsabilità rapportata ad un multiplo dei corrispettivi percepiti dalla società di revisione; la ripartizione proporzionale della responsabilità tra società controllata e revisore, tenendo conto dei rispettivi gradi di
coinvolgimento nella produzione del pregiudizio, con l’obbligo, per ciascuno,
di risarcire una frazione del danno complessivo. Tale consultazione pubblica,
la cui promozione era stata prevista espressamente dall’art. 31 della direttiva
2006/43/CE, venne suggerita dall’istituto indipendente del London Economics 5.
Terminata la fase di consultazione, nell’ottobre del 2007 è stata inoltre
presentata una ricerca relativa alle «Ownership rules of audit firms and their
In proposito, si veda, di recente, la Raccomandazione 2008/473/CE della Commissione
Europea del 5 giugno 2008 (pubblicata in GUU.E. l. 162 del 21 giugno 2008) relativa alla limitazione della responsabilità dei revisori legali dei conti e delle imprese di revisione contabile.
Nello stesso senso, anche la Direttiva 2006/43/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, 17
maggio 2006, relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati, che modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE del Consiglio e abroga la direttiva 84/253/CEE
del Consiglio, in G.U. l. 157 del 9 giugno 2006, 87. Tale direttiva è stata poi modificata dalla
direttiva 2008/30/CE, in G.U. l. 81 del 20 marzo 2008, 53. Nello stesso senso si veda inoltre,
Fondazione dei dottori commercialisti di Milano, Il controllo nelle società e negli enti, Linee
Guida per le attività di vigilanza sull’amministrazione e di controllo contabile, Milano, 2008, p.
VI.
3
Una completa ricostruzione del dialogo instaurato a livello comunitario circa la questione della responsabilità dei revisori legali dei conti, iniziato negli anni ’70, si rintraccia in
Rondinelli, Per un ripensamento della responsabilità civile dei revisori, in «Giur. comm», 2010,
I, pp. 626 e ss.
4
Consultazione pubblica in tema di responsabilità dei revisori legali dei conti e della società di revisione reperibile sul sito web http://ec.europa.eu/internal_market/auditing/docs/liability/consultation-paper_en.pdf.
5
London Economics in collaborazione con il Prof. Ralf Ewert, Study of the Economic
Impact of Auditors’ Liability Regimes, Frankfurt am Main, Goethe University, settembre 2006,
consultabile sul sito web http://ec.europa.eu/internal_market/auditing/docs/liability/auditorsfinal-report_en.pdf.
2
398
consequences for audit market concentration» 6, la quale, pur non attenendo
strettamente al tema della responsabilità dei revisori, ha assunto una particolare importanza per il fatto di essersi occupata delle barriere che ostacolano l’entrata sul mercato dei servizi di revisione di nuovi operatori, come
le regole in materia di struttura proprietaria o di composizione dell’organo
amministrativo, le quali, a loro volta, concorrono con le norme in materia di
responsabilità, che contribuiscono a determinare l’elevato livello di concentrazione del mercato 7.
Con la «Raccomandazione relativa alla limitazione della responsabilità civile dei revisori legali dei conti e delle imprese di revisione contabile» 8 del
5 giugno 2008 si è inteso, a livello comunitario, affermare il principio della
responsabilità limitata del revisore per violazioni non intenzionali dei propri
doveri professionali. La predetta Raccomandazione si caratterizza per aver
suggerito l’adozione, anche congiunta, delle seguenti misure: i) la fissazione
di un importo finanziario massimo o una formula che consenta il calcolo di
tale importo; ii) la fissazione di alcune regole cardine che legano il risarcimento del danno del revisore dei conti e della società di revisione all’effettivo
contributo al pregiudizio arrecato, e pertanto negando di fatto la responsabilità solidale; ed infine iii) l’adozione di una disposizione che consenta alla
società revisionata di concordare mediante un apposito accordo la limitazione
di responsabilità con il revisore legale dei conti o con la società di revisione
contabile.
Anche nel nostro paese sono state avanzate analoghe proposte di riforma.
Si vedano, ad esempio, il progetto di legge predisposto dall’ordine dei dottori
commercialisti di Milano e dalla relativa Fondazione del dicembre 2008 e denominato «schema di proposta per introdurre un sistema di limitazione della
responsabilità degli organi di vigilanza e controllo societario» 9, il quale, muovendo dalle stesse considerazioni espresse dalla Commissione Europea nella
Raccomandazione del 2008, propone un regime di responsabilità dei revisori
legali dei conti delle società quotate che contempli un massimale di responsabilità.
Gli argomenti addotti dalla predetta proposta a sostegno della regola
del liability cap si fondavano su considerazioni inerenti la difficoltà di ac-
6
Lo studio è consultabile sul sito web http://ec.europa.eu/internal_market/auditing/docs/
market/oxera_report_en.pdf.
7
Sul punto, M. Rondinelli, Per un ripensamento della responsabilità civile dei revisori, cit.,
p. 638.
8
Si veda la già citata (a nota 2) «Raccomandazione relativa alla limitazione della responsabilità civile dei revisori del 21 giugno 2008» della Commissione Europea.
9
Fondazione dei dottori commercialisti di Milano, Linee Guida per le attività di vigilanza
sull’amministrazione e di controllo contabile, in Il controllo nelle società e negli enti, cit.
399
cesso al mercato delle assicurazioni dei rischi di revisione per il professionista contabile, che distinguerebbe il revisore dei conti dall’amministratore
di società, e sulla netta differenza tra le due figure. Secondo gli autori della
proposta, inoltre, si sarebbe potuto superare il limite della tutela del danneggiato di ottenere il risarcimento integrale anche perché la limitazione
avrebbe operato, per gli organi di vigilanza e controllo, soltanto nei casi
di negligenza non giuridicamente configurabili quali casi di dolo e colpa
grave.
2. L’art. 15 del Testo Unico della Revisione
In recepimento della direttiva 2006/43/CE, il legislatore italiano ha
emanato il d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39 (di seguito, il «Testo Unico»), con
il quale è stata complessivamente modificata la disciplina della revisione
contabile. Per quanto riguarda il tema della responsabilità dei revisori legali
dei conti, l’art. 15 del Testo Unico ha previsto due diverse regole: l’una che
prevede la responsabilità solidale di revisori legali dei conti, società di revisione e amministratori della società per i danni provocati dai loro inadempimenti alla società revisionata, ai soci ed ai terzi, purché nei limiti del contributo effettivo al danno cagionato (comma primo); l’altra regola afferma
invece la responsabilità solidale del responsabile della revisione e dei dipendenti per i danni conseguenti ai loro inadempimenti o fatti illeciti, sempre
entro i limiti del contributo effettivo al danno cagionato (comma secondo).
L’ultimo comma del medesimo art. 15 disciplina infine il termine di
prescrizione dell’azione sociale di responsabilità, che, ai sensi della nuova
norma, è di cinque anni decorrenti ora dalla data della relazione di revisione sul bilancio di esercizio o consolidato emessa al termine dell’attività
di revisione cui si riferisce l’azione di responsabilità e non più, come invece
prevedeva la precedente normativa (sub. art. 2409-sexies, comma 3, c.c.),
dalla cessazione dell’incarico.
Il legislatore ha pertanto rifiutato il meccanismo della limitazione della responsabilità del revisore, proponendo un modello alternativo di responsabilità solidale e «apparentemente» proporzionale.
Da una primissima analisi del disposto normativo, a prescindere da una
più attenta interpretazione delle innovazioni (vere o presunte) introdotte,
non può che valutarsi positivamente la scelta del legislatore di recepire in un
Testo Unico la disciplina dei professionisti contabili e delle società di revisione. L’esigenza di una complessiva rimodulazione della disciplina ha portato
il legislatore anche ad abrogare, tra l’altro, il richiamo ad alcune previsioni
codicistiche, quali l’art. 2407 c.c., che, come noto, consentiva l’applicazione
diretta ai revisori della disciplina del collegio sindacale, avvalorando così
400
presso alcuni primi commentatori la tesi della natura autonoma e tipica della
«nuova» responsabilità dei revisori 10. L’eliminazione del predetto richiamo
all’art. 2407 c.c. sui parametri di imputazione della responsabilità dei sindaci,
a mio avviso opportuna, non credo possa, da un lato, negare ai revisori l’applicazione del canone di diligenza professionale 11 e dall’altro lato non ritengo
che, di per sé, avvalori la tesi di una «terza» forma di responsabilità.
Infatti, pare difficile disconoscere in capo ad un revisore legale dei conti
l’attribuzione di una responsabilità che non tenga conto del parametro contenuto nella clausola generale di cui all’art. 1176, comma secondo, c.c. Il criterio della diligenza professionale è generale e si applica a qualsiasi professionista, a prescindere da ulteriori e non necessari richiami normativi 12. In buona
sostanza, almeno sotto tale profilo, la disciplina riformata non pare rivoluzionare il quadro normativo, né tantomeno modifica i criteri di imputazione
della responsabilità.
3. Il ruolo dei principi internazionali di revisione e la diligenza professionale
Ferme le considerazioni che precedono, ciò che è particolarmente decisivo ai fini dell’attribuzione di responsabilità dei revisori è il ruolo dei prin10
ASSONIME, circolare n. 16, 3 maggio 2010, Il Testo Unico della revisione legale, pp.
60 ss.
Sul punto si deve rilevare innanzitutto come il criterio della diligenza professionale sia
l’unico parametro per verificare il corretto ed esatto adempimento degli obblighi che la società
di revisione ed i suoi professionisti sono tenuti ad osservare, e quindi senza alcuna distinzione
tra la responsabilità contrattuale ed extracontrattuale. Ciò si spiega, come noto, nella ormai
consolidata tendenza della dottrina civilistica a considerare la diligenza quale parametro unitario per valutare comportamenti colposi, senza alcuna distinzione in ordine alla fonte della
responsabilità. Al riguardo, A. Ravazzoni, Diligenza, in Enc. Giur., XI; M. Bussani, La colpa
soggettiva. Modelli di valutazione della condotta nella responsabilità extracontrattuale, Padova,
CEDAM, 1991. Ciò premesso, ad esempio, sarà pertanto diligente la società di revisione che
verificherà la regolare tenuta della contabilità sociale, la corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili, la corrispondenza del bilancio di esercizio e del bilancio consolidato alle risultanze delle scritture contabili e degli accertamenti eseguiti nonché la conformità
di questi alle norme che li disciplinano, accertandosi che i documenti contabili siano idonei a
rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società. È bene inoltre ricordare come, già in epoca anteriore alla riforma del diritto
societario, la giurisprudenza aveva ritenuto applicabile alla società di revisione un modello di
responsabilità graduato sulla diligenza professionale, accogliendo il principio secondo il quale i
parametri da tenere in considerazione al fine di commisurare il grado di diligenza della società
di revisione sono la natura dell’attività da svolgere, la qualificazione professionale e l’adeguata
e sofisticata struttura di cui tali società devono essere dotate (cfr., ex multis, Corte d’Appello
Milano, 7 luglio 1998, in «De Jure on line»).
12
Trib. Milano, 4 novembre 2008, n. 12949, in «Giustizia a Milano», 2008, p. 77.
11
401
cipi di revisione, la cui applicazione ora è divenuta obbligatoria e non più
facoltativa. Sul punto, credo valga la pena riflettere, anche per verificare le
eventuali ricadute sul canone della diligenza professionale.
Come noto, i principi di revisione sono regole comportamentali e tecniche, fino ad oggi elaborate dal Consiglio Nazionale dei dottori commercialisti 13 e raccomandate dalla Consob, che precisano il contenuto della prestazione dovuta al revisore 14. Anche per i principi di revisione, dunque, la direzione sembra essere quella della armonizzazione comunitaria, come peraltro è
già avvenuto, con modalità analoghe, in relazione ai principi contabili internazionali 15.
La direttiva 2006/43/CE, recepita in Italia con il Testo Unico del 2010,
identifica un corpo unico di regole di controllo, comuni a tutti i revisori legali
dei conti all’interno dell’Unione Europea, consistenti nei principi di revisione
internazionale adottati dalla Commissione Europea con la procedura «di
comitato» 16. Rispetto alla precedente disciplina, viene dunque meno la «discrezionalità» del singolo revisore di applicare i principi emessi da uno degli
organismi riconosciuti alla loro emanazione. Una volta emessi i principi internazionali di revisione, questi diverranno necessariamente obbligatori. Infatti,
al riguardo, pare piuttosto chiara la norma contenuta nell’art. 11, comma 1,
del Testo Unico del 2010 ove si stabilisce che la revisione legale deve essere
13
Si osservi che, tra gli enti riconosciuti ad emanare principi contabili rientrano, oltre al
consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, anche la Consob, e ciò in
virtù dell’art. 162, comma 2, lett. a), del d.lgs. 58/98, modificato dall’art. 18 della l. 262/05
(c.d. legge sul risparmio). Tuttavia la Consob ha quasi sempre preferito raccomandare i principi contabili dell’ente professionale, rinunciando, di fatto, ad una prerogativa assegnatale
dalla legge, tranne in due casi: cfr. le Raccomandazioni n. 1058048 del 27 luglio 2001 e la n.
1061609 del 9 agosto 2001.
14
S. Fortunato, La certificazione del bilancio, Napoli, Jovene, 1985, pp. 169 ss. Sul punto
cfr. inoltre, P. Balzarini, Commento sub. art. 164, in Commentario al Testo unico della Finanza,
a cura di P.G. Marchetti, Padova, CEDAM, 1999, p. 1937. Sulla raccomandazione da parte
della Consob dei principi di revisioni emessi dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti
e dei revisori contabili, si segnala come l’autorità di vigilanza non abbia sempre disposto la
loro adozione, o meglio, in altre parole, non tutti i principi di revisione emessi dall’organismo
professionale sono stati «raccomandati» dalla Consob. Si tratta, in particolare, dei principi che
esulavano dal suo ambito di vigilanza, come il n. 1005, relativo alla revisione di imprese ed
enti minori o il n. 002, relativo alla relazione di controllo contabile ex art. 2409-ter c.c.
15
Ci si riferisce all’adozione dei principi IAS/IFRS di cui al reg. CE n. 1606 del Parlamento e del Consiglio del 19 luglio 2002, relativo all’applicazione di principi contabili internazionali ed al successivo reg. CE n. 1725 della Commissione del 29 settembre 2003 che adotta
taluni principi contabili internazionali conformemente al reg. CE 1606/2002.
16
Cfr. il Documento interpretativo del Consiglio Nazionale dei dottori commercialisti ed
esperti contabili del 16 febbraio 2011, pubblicato in Applicazione dei principi di revisione dopo
il recepimento della direttiva 2006/43/CE con il d.lgs. 39/2010 (artt. 11 e 43 d.lgs. 39/2010), in
«Il controllo nelle società e negli enti», 2011, I, pp. 9 ss.
402
svolta in applicazione dei principi di revisione adottati dalla Commissione secondo l’art. 26 della Direttiva. Il comma 3 della medesima disposizione stabilisce infine che la revisione legale, fino all’adozione dei principi internazionali, sia svolta in conformità ai principi di revisione elaborati da associazioni,
ordini professionali e dalla Consob.
Con il Testo Unico del 2010, quindi, i Principi internazionali di revisione
sembrerebbero acquisire, ora, un’efficacia normativa, al pari della legge e
degli obblighi negoziali contenuti nell’incarico di revisione, anche se tale affermazione, come vedremo, merita un approfondimento ed un chiarimento.
Essi assolvono ad una duplice funzione. In primo luogo, contengono obblighi e norme tecniche la cui violazione comporta responsabilità, ed in secondo
luogo essi servono a determinare la misura della diligenza dovuta nello svolgimento dell’attività di revisione dei conti.
Con particolare riguardo alla seconda di queste funzioni (la prima non
presenta problemi interpretativi), è importante comprendere se l’osservanza
di tali regole tecniche comporti, ora, l’esclusione o la limitazione della responsabilità del revisore.
In merito, nella disciplina previgente, la dottrina aveva precisato che
l’esatto adempimento di tali regole tecniche non valesse ad escludere in ogni
caso la responsabilità della società di revisione, in quanto i principi contabili
sono redatti secondo un modello astratto che non tiene conto delle peculiarità della singola attività di revisione. Pertanto, il revisore diligente era tenuto,
per l’esonero da responsabilità, a valutare se le procedure contenute nei principi di revisione fossero concretamente adeguate al controllo della contabilità
e del bilancio, con riguardo al tipo di società soggetta a revisione oppure se
ricorrevano circostanze che imponessero di fare ricorso a diversi strumenti di
controllo. Tali precisazioni sono state condivise dalla Consob 17, la quale aveva
opportunamente osservato che i principi di revisione raccomandati dovessero
essere integrati da quelle procedure di verifica che si ritengono indispensabili
per il caso concreto.
Nello stesso senso, in altra comunicazione 18, la Consob aveva invitato le
società di revisione ad effettuare controlli aggiuntivi in presenza di operazioni
atipiche ed inusuali compiute con società collegate oppure a ridosso della
chiusura dell’esercizio.
Al fine di poter verificare la diligenza professionale della società di revisione, si tratta di verificare se, nella situazione concreta nella quale la società di revisione si è trovata ad operare, questa non solo ha adempiuto agli
obblighi di legge, ma ha applicato i principi di revisione e quel complesso
17
18
Delibera Consob 8 aprile 1982, n. 1079.
Comunicazione Consob 31 marzo 1993, n. SOC/RM/93002422.
403
di regole tecniche sovraordinate al corretto svolgimento dei propri compiti,
tenendo in considerazione le peculiarità del caso concreto 19.
Da tali osservazioni emergeva una caratteristica fondamentale dei suddetti principi: la funzione integratrice. Ciò significava che una loro violazione o una loro differente applicazione diveniva uno degli indici sulla cui
base il giudice poteva fondare il giudizio di responsabilità dei revisori dei
conti 20.
In altri termini, la mancata adozione di tali principi di revisione doveva
essere giustificata dalla dimostrazione dell’adeguatezza, per il caso concreto,
dell’applicazione di diversi standard tecnici.
Sotto il profilo della diligenza professionale, cosa cambia quindi se i principi internazionali di revisione diventano obbligatori? Tale novità può essere
interpretata secondo due diverse chiavi di lettura.
In base ad una prima tesi, si potrebbe innanzitutto rilevare come l’abbandono del regime facoltativo non comporti un mutamento della natura delle
best practices contabili in funzione della responsabilità. In altri termini, il revisore che, nell’esercizio della sua attività di controllo contabile, si limitasse
a rispettare i predetti principi non andrebbe esente da «colpa», in quanto il
parametro di diligenza professionale è comunemente integrato anche dagli
elementi della negligenza e/o imprudenza.
Secondo un diverso orientamento, invece, l’osservanza puntuale dei principi internazionali di revisione esonererebbe il revisore da responsabilità, e
ciò anche in considerazione della loro efficacia normativa erga omnes.
19
Sul punto, cfr. G. Rossi, Revisione contabile e certificazione obbligatoria, Milano, Giuffrè, 1985, p. 184, secondo il quale «l’impegno a carico del revisore importa non solo l’obbligo
di applicare diligentemente i principi generali raccomandati, ma anche e soprattutto di valutare se essi siano adeguati e consoni al caso preso in esame. Ove risulti che tale adeguatezza
non ricorre, spetta al revisore, tenendo presente l’interesse della società revisionata, svolgere
ulteriori indagini, compiere gli accertamenti e porre in essere quelle procedure che l’esigenza
del caso richiede. Solo in tal modo potrà affermarsi che la diligenza dovuta è stata concretamente impegnata».
20
Particolarmente significativa appare la casistica giurisprudenziale in materia. Si veda, ad
esempio, una recente pronuncia del Tribunale di Milano (2008) sul c.d. caso Parmalat, ove i
giudici hanno condannato la società di revisione e i suoi dipendenti al risarcimento del danno
causato agli investitori dopo aver valutato il contegno complessivo adottato dalla società di revisione, sottolineando il difetto di diligenza e perizia nello svolgimento dell’incarico, deducendolo dall’inosservanza delle regole tecniche contenute nei Principi di revisione e censurando
l’atteggiamento di acquiescenza degli incaricati della revisione di fronte ai comportamenti censurabili degli amministratori (Trib. Milano, 4 novembre 2008. Su tale casistica si vedano, anche
se più risalenti, Trib. Milano, 18 giugno 1992, Trib. Torino, 18 settembre 1993. In dottrina, R.
Caldarone e G. Tucci, La responsabilità nell’esercizio dell’attività di revisione e certificazione del
bilancio: prime pronunce della giurisprudenza e tendenze evolutive, in «Giur. comm.», 1995, I,
p. 294).
404
Ebbene, non credo che l’applicazione di standards tecnici, seppur obbligatoria, possa escludere o limitare – de plano – la responsabilità del revisore, e ciò
anche (ma non solo) per l’ovvia considerazione per cui l’elemento soggettivo
colposo può essere integrato anche dalla negligenza e dall’imprudenza nell’esecuzione dell’incarico e non solo dall’imperizia21. In proposito, non assume rilevanza dirimente nemmeno la circostanza per la quale, a seguito dell’entrata
in vigore dell’art. 14 del decreto 22, il compito del revisore con riguardo al controllo dei conti sia mutato nel senso che, mentre prima si specificava che il revisore doveva verificare che i bilanci corrispondessero alle risultanze delle scritture contabili e degli accertamenti eseguiti e che queste fossero conformi alle
norme di riferimento, ora ci si limiti a prevedere che il revisore deve esprimere
un giudizio sul bilancio con una apposita relazione. Al riguardo, ritengo quindi
che si possa sostenere come tale modifica abbia probabilmente reso maggiormente flessibile il parametro di controllo in considerazione della sua implementazione con i principi internazionali di revisione, ma non credo comunque si
possa giungere alle conclusioni della seconda tesi precedentemente ipotizzata23.
In buona sostanza, i principi internazionali di revisione continueranno, sotto il
profilo esaminato, ad avere una funzione integratrice del parametro di diligenza
Il dibattito sulla responsabilità colposa in ambito civilistico ha risentito (e risente)
dell’influsso degli studi penalistici sulla nozione di colpevolezza. Si veda, ex multis, B. Alimena, La colpa nella teoria generale del reato, Milano, Giuffrè, 1947; E. Altavilla, La colpa,
Torino, UTET, 1957; M. Gallo, Colpa penale, in Enciclopedia del diritto, v. VII, Torino, UTET,
1960, pp. 624 ss.; S.D. Messina, Considerazioni sulla delinquenza colposa, in «Sc. pos.», 1963,
p. 213; G. Marinucci, La colpa per inosservanza di leggi, Milano, Giuffrè, 1965; M.C. Del Re,
Per un riesame della responsabilità colposa, in «Indice pen.», 1985, p. 31. In ambito civilistico,
si veda, più recentemente, M. Fresa, La colpa professionale in ambito sanitario: responsabilità
civile e penale, consenso informato, colpa e nesso causale, casistica e giurisprudenza, in «Il diritto
attuale», Torino, 2008.
22
L’art. 40, comma ventunesimo, d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39, ha eliminato quella disposizione contenuta nel parzialmente abrogato art. 155 T.U.F., il quale individuava specificamente
i compiti spettanti alla società di revisione «iscritta nell’albo speciale previsto dall’art. 161»,
oltre ad aver abrogato le corrispondenti norme del codice civile (i.e. 2409-ter e quater c.c.).
Il contenuto dell’attività del revisore è ora sintetizzato nell’art. 14 del decreto, il quale, con
esclusivo riguardo alle sole funzioni strettamente legate alla revisione legale dei conti, definisce
i compiti del revisore quali i) l’espressione, in apposita relazione, di un giudizio sul bilancio
d’esercizio e sul bilancio consolidato (se redatto) e ii) la verifica nel corso dell’esercizio della
regolare tenuta della contabilità sociale e della corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle
scritture contabili.
23
Come è stato sottolineato [ASSONIME, circolare n. 16, cit., p. 54], tuttavia, ciò non
toglie che il compito specifico del revisore in sede di controllo dei bilanci sia sempre quello
di verificare che in essi siano riportati correttamente i valori registrati nel corso dell’esercizio
nelle scritture contabili e nelle scritture di assestamento di fine esercizio e che i bilanci stessi
siano conformi alle norme di riferimento, e quindi, a prescindere dalla natura e dalla funzione
assunta dai principi internazionali di revisione.
21
405
e non potranno limitare la responsabilità del revisore, né tantomeno escluderla.
La nuova normativa non consente quindi di pervenire a considerazioni molto
diverse da quelle formulate nella vigenza della disciplina pre-riforma.
Ciò non toglie che per altre attività di revisione, quali, ad esempio, quella
sulla regolare tenuta della contabilità sociale e sulla corretta rilevazione dei
fatti di gestione nelle scritture contabili, l’esatta (o meno esatta) osservanza
di standard tecnici possa rivestire un maggior peso specifico 24. Sul punto, la
dottrina ha precisato che, in ragione della rilevanza pubblicistica 25 dell’attività di revisione, il revisore sia tenuto ad eseguire un’indagine che non deve
arrestarsi ad una verifica meramente formale – contabile, bensì al riscontro,
nelle scritture contabili, della «corretta rilevazione dei fatti di gestione» 26. È
evidente come, in un giudizio di responsabilità del revisore per mancata o
inesatta rilevazione dei fatti di gestione, rilevi l’esatta applicazione dei principi contabili o comunque di quelle regole tecniche e best practices che governano lo svolgimento di tale attività.
In questo senso, si spiegano i recenti tentativi delle autorità di vigilanza,
non solo di fissare regole condivise, ma anche di prevedere alcune tipologie
di procedure di revisione finalizzate alla minimizzazione del rischio di incorrere in giudizi di responsabilità.
Con particolare riguardo alle problematiche connesse alla continuità
aziendale (tema, peraltro, molto sentito anche in considerazione della crisi
economica e finanziaria degli ultimi anni), merita di essere segnalata una recente comunicazione Consob 27, nella quale si ribadisce l’importanza di una
corretta applicazione del principio di revisione contenuto nel Documento
570 sulla continuità aziendale, già raccomandato dalla medesima autorità con
delibera n. 16231 del 21 novembre 2007 28. In tale documento vengono evi-
24
Al riguardo si osserva come, più in generale, la revisione contabile deve garantire la
corretta rappresentazione della complessiva situazione economica, patrimoniale e finanziaria
della società revisionata, senza limitarsi a controllare l’esattezza delle somme algebriche delle
poste contabilizzate. Sul punto, Trib. Milano, 21 ottobre 1999, in «Giur. It.», 2000, p. 554.
25
Cfr. Direttiva n. 2006/43/CE, nono considerando.
26
In passato la nozione «corretta rilevazione dei fatti di gestione» aveva portato la dottrina ad interrogarsi sulla necessità che tale attività dovesse essere compiuta necessariamente
attraverso l’applicazione di «corretti principi contabili». L’interrogativo era sorto in ragione
dell’originaria formulazione dell’art. 4, comma terzo, del 31 marzo 1975, n. 136, il quale faceva
riferimento alla verifica dell’esatta rilevazione dei fatti di gestione secondo, appunto, «corretti
principi contabili». La disposizione è stata poi abrogata dall’art. 23 del d.lgs. 9 aprile 1991, n.
127, in quanto, come precisava la relazione ministeriale al testo legislativo, il rinvio ai medesimi doveva ritenersi implicitamente contenuto nella nozione di esattezza.
27
Consob, Comunicazione n. DEM/9012559 del 6 febbraio 2009.
28
Con riferimento ai problemi di continuità aziendale, si segnala come, prima dell’emanazione del principio contenuto nel Documento n. 570 lo IASSB (International Auditing and
406
denziate – opportunamente – alcune circostanze ed eventi che possono far
sorgere significativi dubbi riguardo al presupposto della continuità aziendale,
oltre che i relativi rimedi da adottare in tal caso 29. Nella medesima ottica si
veda anche il documento congiunto Banca d’Italia/Consob/ISVAP in materia
di applicazione degli IAS/IFRS del 3 marzo 2010, con il quale le predette autorità rivolgono specifiche raccomandazioni ad amministratori e sindaci, finalizzate al conseguimento di una maggiore trasparenza economico-finanziaria
degli emittenti e delle imprese assicurative e bancarie.
4. La responsabilità verso la società, i soci ed i terzi: l’approccio «tradizionale»
Come abbiamo accennato, l’art. 15 del decreto non individua una forma
speciale di responsabilità civile del revisore e della società di revisione; il fatto
generatore della responsabilità è sempre rappresentato dalla violazione dei
doveri professionali e dunque dall’inadempimento imputabile, e ciò a prescindere dalla circostanza per cui il soggetto danneggiato sia la società, i suoi
soci, o il terzo investitore 30. Anche in questo caso, la nuova disciplina non
sembra offrire alcun elemento di novità che permetta di superare il tradizionale approccio sull’argomento, e soprattutto, che consenta all’interprete di riAssurance Standards Board), comitato dell’IFAC (International Federation of Accountants),
deputato ad emanare i principi di revisione internazionali ISA, abbia emanato il 20 gennaio
2009 uno specifico documento che, appunto, richiama l’attenzione dei revisori su tali aspetti.
29
Ai sensi del Documento 570, nell’ipotesi di dubbi significativi sulla continuità aziendale, il revisore deve a) esaminare e valutare i piani di azione futuri della direzione che si basano sulla valutazione della continuità aziendale effettuata dalla stessa; b) raccogliere elementi
probativi sufficienti e appropriati per confermare o meno l’esistenza di una certezza significativa, mediante lo svolgimento delle procedure di revisione ritenute necessarie, considerando
anche l’effetto di eventuali piani della direzione o altri fattori attenuanti; c) ottenere elementi
probativi sufficienti ed appropriati che confermino la fattibilità dei piani della direzione nonché valutare il fatto che la loro realizzazione porterà ad un miglioramento della situazione; d)
stabilire se sono venuti alla luce ulteriori fatti o informazioni successivamente alla data in cui
la direzione ha effettuato la propria valutazione ed infine e) richiedere alla direzione delle attestazioni scritte relative ai piani di azione futuri. La richiesta di una maggiore trasparenza economico – finanziaria è ovviamente indirizzata anche ai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società sottoposte a revisione obbligatoria.
30
Come già ricordato, gli obblighi del revisore e della società di revisione sono diversi
e trovano fonte nel contratto concluso tra il revisore/società di revisione e società revisionata, nella legge (art. 14 e 19, comma 3, del decreto) e nei già citati principi internazionali
di revisione, i quali, ora, hanno un’efficacia normativa. Sul tema, molto studiato in dottrina,
si vedano, nella disciplina pre-riforma, ex multis, M. Bussoletti, Le società di revisione, Milano, Giuffrè, 1985; M.G. Buta, La responsabilità nella revisione obbligatoria delle SPA, Torino,
Giappichelli, 2005; D. Casadei, La responsabilità della società di revisione, Milano, Giuffrè,
2000; M. Santaroni, La responsabilità del revisore, Milano, Giuffrè, 1984.
407
solvere alcune significative questioni, tuttora irrisolte. Si pensi, come vedremo
meglio in prosieguo, al tema della possibile sovrapposizione delle responsabilità dei revisori, con i conseguenti rischi di cumulo dei danni.
Ciò premesso, per comprendere la materia, gli interpreti hanno individuato due diversi approcci sistematici; il primo, «tradizionale», e l’altro che
invece definirei come «innovativo». Secondo il primo approccio, la responsabilità del revisore e della società di revisione nei confronti del socio, della
società revisionata e dei terzi investitori andrebbe esaminata tenendo in considerazione la fonte contrattuale ed extracontrattuale.
Sotto il profilo della responsabilità contrattuale, la società di revisione
risponde quindi nei confronti della società revisionata dei danni derivanti
dall’inadempimento ai suoi doveri. In tali casi, la società di revisione sarà
tenuta a rispondere a titolo di responsabilità ex art. 1218 c.c., in relazione
al rapporto contrattuale esistente tra la società che conferisce l’incarico e la
società di revisione. Al fine di risarcire soggetti non legati al revisore da un
rapporto contrattuale, si ricorrerebbe alla fattispecie della responsabilità extracontrattuale di cui agli artt. 2043 c.c. e ss.
Per quanto riguarda il danno risarcibile, esso comprende sia la perdita
subita sia il mancato guadagno «in quanto ne siano conseguenza immediata
e diretta», ai sensi dell’art. 1223 c.c. Infine, nella responsabilità contrattuale,
l’inadempiente è tenuto al risarcimento del danno nei soli limiti del danno
prevedibile al momento in cui è sorta l’obbligazione, sempre che l’inadempimento o il ritardo non dipendano dal dolo del debitore.
Per alcune ipotesi di inadempimento della società di revisione, si può ricordare: i) l’omessa evidenziazione nella relazione al bilancio che la società
revisionata ha perduto il capitale 31; ii) il mancato rilascio del giudizio sul
bilancio nei termini di legge, a meno che la società di revisione provi che
l’inadempimento è dipeso da causa a lui non imputabile; iii) la presentazione
in modo sviato dei controlli effettuati 32; iv) la predisposizione di un giudizio
non veritiero sul bilancio in quanto la società di revisione, pur in presenza
di un bilancio corretto, non ha espresso un giudizio senza rilievi, oppure ha
espresso giudizi «eccessivi» rispetto alle irregolarità effettivamente compiute,
e comunque tali da non modificare il giudizio positivo 33.
Sul punto, uno dei temi di maggiore interesse riguarda anche la possibilità di estendere alla società di revisione una responsabilità soggetta all’ordinario regime per colpa o, al contrario, l’applicabilità a questa del regime
dell’attenuazione della responsabilità professionale ex art. 2236 c.c. ai soli casi
31
F. Bonelli, Responsabilità della società di revisione nella certificazione obbligatoria e volontaria dei bilanci, in «Riv. Soc.», 1989, p. 976.
32
Trib. Torino, 21 marzo 1994, in «De Jure on line».
33
Per maggiori riferimenti, P. Balzarini, Commento sub. art. 164, cit., p. 1941, nota 60.
408
di dolo e colpa grave nelle ipotesi di soluzione di problemi tecnici di speciale
difficoltà 34. Tale questione – applicabile indifferentemente alla responsabilità
contrattuale ed extracontrattuale – non risulta essere stata affrontata specificamente né dalla dottrina né dalla giurisprudenza. A tale riguardo, sembrano
potersi svolgere le seguenti osservazioni.
Innanzitutto si tratta di risolvere la questione preliminare della qualificazione del rapporto contrattuale tra la società di revisione incaricata del controllo contabile e la società che ha conferito l’incarico. Nonostante in passato
si siano confrontate diverse opinioni 35, sembra che la tesi maggiormente accreditata in dottrina sia quella della qualificazione del rapporto nei termini
del contratto d’opera professionale.
Da qui ne deriverebbe l’applicabilità dell’art. 2236 c.c. alla società di revisione. Tuttavia, risolto il problema della qualificazione del rapporto, si tratta
di verificare se l’art. 2236 c.c. possa ritenersi applicabile al caso particolare
della società incaricata della revisione.
Circa tale profilo, la dottrina, dopo un lungo e tormentato percorso interpretativo, ha ora interpretato la portata del principio della c.d. personalità
della prestazione del professionista d’opera 36, ritenendo che il carattere della
personalità della prestazione non interferisse con l’esercizio in forma associata
o societaria della medesima prestazione 37.
Ex multis, M.G. Buta, Commento sub. art. 164, in Testo Unico della Finanza, Commentario a cura di G.F. Campobasso e Emittenti, Torino, Giappichelli, 2002, p. 1361, e F. Balzarini, Commento sub. art. 164, cit., p. 1934, i quali danno conto della questione inerente alla
natura della responsabilità della società di revisione. Sul punto, cfr. anche V. Salafia, Alcune
questioni in materia di revisione contabile istituita volontariamente, in «Società», 1998, p. 1184;
Trib. Milano, 18 giugno 1992, in «De Jure on line»; Trib. Torino, 21 marzo 1994, in «De Jure
on line».
35
In generale, la dottrina ha qualificato il rapporto società di revisione-società revisionata
o nei termini di contratto d’opera professionale o nei termini dell’appalto di servizi e talvolta
quale «contratto tipico soggetto alla disciplina speciale non derogabile» [A. Rossi, Revisione,
cit., p. 209]. Sul punto, si veda F. Galgano, Le società di persone, in Trattato di dir. civ. e
comm., a cura di G. Cicu e F. Messineo, Milano, Giuffrè, 1972, pp. 25 ss.
36
L’art. 2232 c.c. impone al professionista l’obbligo di eseguire personalmente la prestazione d’opera intellettuale. Tale previsione si giustifica, come noto, in virtù della natura strettamente fiduciaria del rapporto che si instaura tra cliente e professionista, e dunque, della rilevanza della persona del prestatore d’opera nell’esecuzione dell’incarico.
37
Sul punto, G. Schiano di Pepe, Le società di professionisti, in Trattato di diritto privato,
a cura di M. Rescigno, XV, 2, Torino, 1986, p. 574; M. Rescigno, Struttura giuridica delle società tra professionisti; Professionisti liberali in forma associativa: il diritto italiano e i paesi della
Comunità; Le società di progettazione; Le società di redattori, in Persona e Comunità. Saggi di
diritto privato, Padova, CEDAM, 1988, pp. 46 ss.; contra si veda G. Gabrielli, La r.c. del professionista: generalità, in Il diritto privato nella giurisprudenza – La responsabilità civile. Responsabilità contrattuale, a cura di P. Cendon, Torino, Giappichelli, 1998, p. 226.
34
409
Tali considerazioni, tuttavia, non sono sufficienti per ritenere applicabile
tout court l’art. 2236 c.c. alla prestazione della società di revisione. Inoltre,
come è stato osservato da una dottrina autorevole 38, tale questione non appare di facile soluzione, non solo per la mancanza di indici normativi, ma
soprattutto per le già accennate divergenze sulla qualificazione del rapporto
esistente tra la società di revisione e la società che conferisce l’incarico.
Sempre la medesima dottrina ha correttamente segnalato come la rilevanza pratica da attribuire all’applicabilità dell’art. 2236 c.c. alla società di revisione non vada comunque sopravvalutata, in quanto le ipotesi di «problemi
tecnici di speciale difficoltà» sarebbero marginali e comunque ipotizzabili soltanto nei casi più gravi.
Sotto un altro profilo, diversi possono essere i casi in cui una condotta
della società di revisione può considerarsi colposa. La giurisprudenza ha ritenuto negligente, ad esempio, il comportamento della società di revisione la
quale aveva omesso, con riferimento ad una società fiduciaria, di eseguire un
controllo incrociato sui conti dei fiducianti giustificandosi con l’esistenza del
segreto fiduciario oppostole dalla società revisionata 39.
È stato ritenuto parimenti negligente il comportamento della società di
revisione che si è limitata a verificare la correttezza di impostazione e di
funzionamento dei sistemi contabili automatici e dei relativi programmi,
senza controllare ex novo tutte le procedure che hanno originato le poste
iscritte in bilancio 40. In tale caso, in dottrina si era osservato come, nonostante la società di revisione non sia tenuta a ripercorrere necessariamente
tutte le fasi della procedura contabile, tuttavia avrebbe dovuto accorgersi
di difetti concreti di funzionamento dei programmi, soprattutto quando gli
stessi siano molto evidenti ed accertabili attraverso semplici verifiche a campione 41.
In secondo luogo, un diverso profilo problematico della disciplina in
esame riguarda la questione dell’applicabilità dell’art. 1227 c.c. sul concorso
del fatto colposo del creditore all’attività esercitata dalla società di revisione.
La norma prevede una ripartizione del danno fra debitore e creditore
qualora quest’ultimo abbia concorso a cagionare l’evento dannoso. Tale previsione è invocabile, oltre che nell’ambito della responsabilità contrattuale anche nell’ambito della responsabilità extracontrattuale per l’espresso richiamo
contenuto nell’art. 2056 c.c.
Seppur per la diversa ipotesi della responsabilità per errori nella valutazione di aziende
e non per l’esercizio dell’attività di controllo contabile, si veda, F. Bonelli, Responsabilità della
società di revisione per errori nella valutazione di aziende, in «Giur. comm.», 1983, p. 225.
39
Appello Torino, 30 maggio 1995, in «De Jure on line».
40
Trib. Milano, 18 giugno 1992, in «De Jure on line».
41
P. Balzarini, Commento sub. art. 164, cit., p. 1935.
38
410
La questione dell’applicabilità dell’art. 1227 c.c. va distinta a seconda del
soggetto che si pretende danneggiato dalla condotta della società di revisione.
Infatti, mentre non sembrano opporsi dubbi sulla astratta configurabilità
della previsione in questione nelle ipotesi di richieste avanzate da terzi, la sua
applicabilità nell’ambito di vertenze promosse dalla stessa società di revisione
appaiono decisamente più controverse 42.
5. (segue). La responsabilità nel «mercato primario» e nel «mercato secondario»:
brevi considerazioni
Come abbiamo visto, l’approccio, per così dire, «tradizionale» si fonda
sostanzialmente sulla natura della responsabilità. Ma ne esiste, come accennato, uno diverso e forse più «innovativo», il quale opera una distinzione, ai
fini della determinazione del regime di responsabilità, sull’attività resa dai revisori o dalla società di revisione a seconda che l’attività sia resa nel «mercato primario» o nel «mercato secondario» 43. La dottrina che ha affrontato
tali temi ha evidenziato innanzitutto come i compiti dei revisori dei conti assolvano, generalmente, a tre principali funzioni. La prima funzione consiste
nella riduzione dei problemi di agency tra azionisti della società revisionata e
amministratori. In tal caso, il controllo esercitabile dai revisori su amministratori e dirigenti (nella predisposizione dei documenti contabili) è un controllo
di cui possono beneficiare anche i creditori e non solo la società ed i relativi
azionisti. Ciò in quanto i creditori sono interessati a che gli amministratori
non pongano in essere atti capaci di ledere il patrimonio sociale. Al riguardo,
è bene sottolineare come l’estensione a favore dei creditori dei doveri di controllo dei revisori è, nei diversi ordinamenti, legata all’estensione a favore dei
creditori dei doveri di corretta gestione degli amministratori 44. In buona soSul punto, M.G. Buta, Commento sub. art. 164, cit., p. 1363; M. Bussoletti, Le società
di revisione, cit., p. 352. Per maggiori riferimenti, si vedano, A. Rossi, Revisione, cit., p. 192; U.
Carnevali, La responsabilità degli accountants e degli auditors, cit., p. 26; quest’ultimo ritiene
peraltro che il revisore possa eccepire al cliente il concorso di colpa di questi solo quando il
comportamento del cliente ha direttamente influito sui revisori. In relazione, infine, alle ipotesi
di applicabilità dell’art. 1227 c.c. in quei casi in cui gli amministratori rilascino alla società di
revisione le c.d. lettere di presentazione (management letters), si veda R. Caldarone e G. Tucci,
La responsabilità, cit., p. 311.
43
P. Giudici, La responsabilità civile nel diritto dei mercati finanziari, Milano, Giuffrè,
2008, pp. 349 ss.
44
Altro problema riguarda la legittimazione del curatore della società revisionata ad esercitare l’azione di responsabilità per danni della società di revisione. Nella disciplina antecedente il decreto del 2010, non si dubitava della legittimazione del curatore all’azione di risarcimento del danno nei confronti del revisore, in considerazione dell’espresso richiamo degli artt.
42
411
stanza, i revisori, nello svolgimento di tale funzione, rispondono tendenzialmente degli stessi danni di cui rispondono gli amministratori nel caso di inadempimento delle obbligazioni dedotte nell’incarico di revisione 45.
Un’ulteriore funzione del revisore contabile attiene all’annoso problema
di asimmetria informativa nella fase di sollecitazione all’investimento. Gli
investitori effettuano apporti di capitale a favore di un emittente sulla base
dell’affidabilità delle informazioni patrimoniali e finanziarie rilevate dalle
«certificazioni» della società di revisione. Un esempio classico di tali «certificazioni» è rappresentato dalle informazioni contenute nel prospetto della
società emittente. Tralasciando la specifica responsabilità da prospetto informativo, il revisore dei conti risponde nei confronti degli investitori se le informazioni sono inesatte; a tali conclusioni si perviene sostanzialmente per la
qualificazione del contratto tra revisore e società revisionata quale «contratto
a favore di terzo» 46.
La terza funzione concerne invece il controllo dell’informazione contabile
rivolto al mercato degli investitori sul c.d. mercato finanziario secondario.
Al riguardo, è stato sottolineato come il sottoscrittore nel mercato primario
sia maggiormente interessato all’investimento se ha la possibilità concreta di
«monetizzare» i suoi diritti verso l’emittente in ragione della facoltà di disinvestimento garantita da un mercato secondario ove circolano informazioni pe2409-sexies c.c. e 164 T.U.F. (ora integralmente abrogati) alle azioni di responsabilità degli amministratori e sindaci nelle procedure concorsuali. L’eliminazione di ogni richiamo all’art. 2407
c.c. nella disposizione riformata (i.e. l’art. 15 del decreto), pone il problema di verificare se il
curatore continui ad essere legittimato all’azione di responsabilità per i danni causati ai creditori (e/o ai soci ed alla società revisionata) dai revisori contabili. Per quanto riguarda l’azione
spettante ai creditori sociali (per quella spettante ai soci ed alla società non credo si pongano
problemi interpretativi), la legittimazione del curatore sarebbe sostenibile soltanto laddove si
ritenesse che tale strumento sia un’azione di massa. In termini generali, la procedura fallimentare potrebbe agire in rappresentanza dei creditori soltanto nei casi in cui essa sia finalizzata
«alla ricostituzione del patrimonio del debitore nella sua funzione di garanzia generica e avente
carattere indistinto quanto ai possibili beneficiari del suo esito positivo» (Cass. civ., 23 luglio
2010, n. 17284, in «Guida al diritto», 2010, 43, p. 67). Pertanto, anche in assenza di alcun
espresso dato normativo, credo si possa continuare ad assegnare al curatore della società revisionata la legittimazione all’esercizio di tale azione di responsabilità nei confronti dei revisori
in ragione della sua qualificazione come azione della massa.
45
G. Ferrarini e P. Giudici, I revisori e la teoria dei gatekeepers, in Associazione Gian
Franco Campobbasso per lo studio del diritto commerciale e bancario, in «Nuove prospettive
della tutela del risparmio», Milano, Giuffrè, 2006, pp. 157-159 e passim; M.G. Buta, La responsabilità, cit., p. 275.
46
In argomento, si confrontano, da sempre, due orientamenti. Secondo il primo, il contratto di revisione obbligatoria riguarda una fattispecie di stipulazione a favore di terzi indeterminati. Nel nostro caso specifico, sarebbe quindi un contratto a favore degli investitori (sul
punto, E. Barcellona, Responsabilità da informazione al mercato: il caso dei revisori legali dei
conti, Torino, Giappichelli, 2003, p. 301).
412
riodiche ed affidabili 47. In questo contesto, la funzione della revisione effettuata nell’interesse di coloro che sono già azionisti rischia di confondersi con
quella nei confronti di potenziali investitori operanti sul mercato secondario,
con conseguenze in termini di possibile sovrapposizione dei danni.
6. Il problema della sovrapposizione dei danni e la mancanza di adeguate soluzioni
da parte della nuova disciplina
Come accennato, nello svolgimento delle tre funzioni, i revisori potrebbero essere chiamati a rispondere di danni a loro non imputabili, con conseguenti concreti rischi di sovrapposizione di responsabilità. Tale questione,
come noto, è stata affrontata dalla dottrina (e dalla giurisprudenza) in relazione alla responsabilità degli amministratori nei confronti, da un lato, della
società e dei creditori sociali e, dall’altro lato, dai soci e dai terzi; è evidente
che tale problema si può presentare anche per i revisori dei conti e per le società di revisione per il danno sofferto dagli investitori 48.
Dinnanzi a tali problemi il decreto del 2010 non fornisce risposte. Ciò
che è invece emerso dall’art. 15 del decreto del 2010 è soltanto l’abbandono
della precedente regola (contenuta nella disciplina pre-riforma) secondo la
quale i revisori sono responsabili solidalmente con gli amministratori per
i fatti e le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se
avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica. Ora l’art. 15
afferma una responsabilità solidale tra revisori dei conti, società di revisione e
amministratori per i danni provocati dai loro inadempimenti alla società revisionata, precisando che, nei rapporti interni, ciascuno risponde limitatamente
al contributo effettivo al danno cagionato.
Il legislatore è intervenuto sull’estensione della responsabilità solidale tra
amministratori e revisori, escludendo, come accennato, la responsabilità in
caso di omessa vigilanza dei revisori sui fatti e sulle omissioni degli amministratori. Tale previsione non risolve, come visto, il problema del cumulo dei
danni, incidendo su un diverso profilo attinente alla definizione dell’ambito
P. Giudici, La responsabilità civile, cit., p. 358.
Alcuni interessanti esempi di potenziale sovrapposizione dei danni sono forniti da P.
Giudici, La responsabilità civile, cit., pp. 359-360, a cui, pertanto, si richiama. In proposito,
basti sottolineare come il dibattito si sia concentrato sulla distinzione tra il danno di cui l’investitore può domandare il risarcimento direttamente agli amministratori ai sensi dell’art. 2395
c.c. perché si è prodotto direttamente nel proprio patrimonio personale e il danno che invece
ha inciso sul patrimonio della società ed è, pertanto, riservato all’azione sociale e dei creditori
sociali. Sul punto, anche F. Bonelli, Gli amministratori di SPA dopo la riforma delle società, Milano, Giuffrè, 2004, p. 213.
47
48
413
di applicazione della responsabilità solidale dei revisori e degli amministratori. Con l’affermazione di tale principio, il legislatore sembra aver semplicemente voluto accentuare la distinzione tra funzioni gestorie degli amministratori e funzioni di controllo dei revisori, e ciò nell’ottica del già menzionato
rafforzamento della responsabilità colposa degli organi sociali codificata dalla
riforma societaria del 2004 49. In altri termini, lo scopo di tale intervento riformatore sembra essere stato soltanto quello di affermare la responsabilità
per fatto proprio e quindi di limitare i casi di responsabilità oggettiva o per
fatto altrui.
Anche sotto tale profilo, pertanto, la nuova disciplina non presenta caratteri di innovatività, oltre a non affrontare questioni di grande rilevanza come
quella del cumulo dei danni in caso di atti ed omissioni con una potenzialità
dannosa plurioffensiva.
7. La solidarietà tra amministratori e revisori: alcune riflessioni generali
Nel nostro ordinamento non è ammessa alcuna limitazione di responsabilità, per cui i revisori rispondono per intero del danno. Anche in questo
caso la riforma del 2010 non ha recepito la soluzione offerta da alcuni Paesi (ad esempio, Germania, Austria e Belgio), ed auspicata a livello europeo,
di limitare, come visto, la responsabilità dei revisori con l’introduzione di un
tetto massimo di responsabilità (i.e. liability cap). La situazione dei revisori
continua quindi ad essere particolarmente gravosa, e ciò in considerazione
del meccanismo della responsabilità solidale combinato con la responsabilità
illimitata 50. Infatti, l’esperienza pratica ci ha finora insegnato che, nel caso in
49
Anche in vigenza della disciplina pre-riforma, era prevalente la tesi della qualificazione
della responsabilità degli amministratori nei termini della responsabilità per fatto proprio e per
colpa. In questo senso, ex multis, G. Ferri, Le società, in Trattato, Vassalli, 1987, p. 710; N.
Salanitro, Responsabilità degli amministratori durante il fallimento delle società per azioni, in
«Riv. soc.», 1962, pp. 777 ss.; M. Casella, Gli amministratori delle SPA, i giudici e la pubblica
opinione, in «Impresa e società», 1983, pp. 97 ss., e C. Conforti, La responsabilità civile degli
amministratori, in Trattati, a cura di P. Cendon, t. 1, Milano, Giuffrè, 2003, pp. 74 ss., ove si
ripercorrono anche sinteticamente le posizioni della dottrina e della giurisprudenza in merito
alla qualificazione della responsabilità solidale degli amministratori. In giurisprudenza, sempre
sotto la disciplina antecedente alla riforma, si veda Cass. civ. 29 novembre 1996, n. 10668, in
«Società», 1997, p. 782. Per la tesi minoritaria, ossia per l’opinione secondo cui la responsabilità solidale sarebbe una responsabilità senza colpa e per fatto altrui, si vedano, ex multis,
A. Borgioli, La responsabilità solidale degli amministratori di società per azioni, in «Riv. soc.»,
1978, pp. 1081 ss.; E. Grippo, Deliberazioni e collegialità nelle società per azioni, Milano, Giuffrè, 1979, p. 147.
50
Sul significato della responsabilità illimitata si esprime la Relazione di accompagnamento alla riforma del diritto societario (d.lgs. 6/2003), in cui si legge che «la responsabilità
414
cui più soggetti abbiano concorso alla produzione di un danno verso terzi
(società, amministratori, organi di controllo e revisori), i danneggiati solitamente si rivolgono con preferenza ai revisori dei conti, in quanto soggetti
maggiormente solvibili.
Dinnanzi a tale situazione, che, come detto, appare economicamente gravosa per le società di revisione, il legislatore non sembra aver trovato adeguate soluzioni, riconfermando il principio di solidarietà passiva, seppur attenuato con la precisazione della limitazione della responsabilità al danno effettivamente cagionato. La ragione di fondo di tale scelta legislativa è chiara;
si intende non «addebitare» ai danneggiati gli effetti potenzialmente negativi
della limitazione di responsabilità, incentivando quindi comportamenti virtuosi dei revisori dei conti. Questa tesi porta tuttavia a conclusioni forse contraddittorie. Infatti, tale sistema pare incompatibile con l’affermazione di un
regime di responsabilità fondato sull’imputazione colposa e non oggettiva. Il
revisore risponderà sempre e comunque e per intero nei confronti dei danneggiati, a prescindere dal grado di compartecipazione alla produzione del
danno, ed in considerazione della sua maggiore solvibilità 51 rispetto agli altri
condebitori solidali.
È dunque la responsabilità solidale a produrre effetti distorsivi della responsabilità dei revisori? Al fine di rispondere a tale quesito, sembra opportuno richiamare alcune considerazioni emerse nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale sviluppatosi in altri paesi.
Nel sistema della common law inglese il modello della responsabilità solidale trova applicazione per i several concurrent tortfeasors e per i joint tortfeasors 52. Per quest’ultima figura, si indicano tre diverse fattispecie; innanzitutto,
ha infatti una funzione di deterrente, di spinta ad evitare violazione dei rispettivi doveri. La
conservazione di questa funzione deterrente se, da un lato, implica un sistema di responsabilità per colpa (non già un sistema di responsabilità oggettiva), d’altro lato può operare efficacemente solo con un sistema di responsabilità illimitata: consentire infatti una responsabilità
limitata, facilmente assicurabile con premi modesti... renderebbe gli amministratori, i sindaci
e i revisori sostanzialmente irresponsabili e, quindi, privi di ogni tensione per porre in essere
comportamenti diligenti, rispettosi della legge e senza conflitti di interesse».
51
Tale fenomeno è anche conosciuto con l’espressione inglese deep pocket, la quale, se
riferita al nostro caso, sta a significare la particolare disponibilità economica e finanziaria di
una società o di un ente, che incentiva i danneggiati, nell’ipotesi di condebitori solidali, a rivolgersi a coloro che, almeno apparentemente, garantiscono maggiori affidabilità di solvenza.
La responsabilità solidale tra soggetti con un diverso grado di solvibilità, avrebbe anche come
effetto quello di livellare il contributo effettivo di ciascuno dei coobbligati alla produzione del
danno.
52
Un’interessante panoramica generale sul dibattito in merito alla responsabilità solidale
della Western Legal Tradition è contenuta in R.E. Cerchia, Itinerari e destini della responsabilità solidale, in «Danno e responsabilità», 1, 2011, pp. 5 ss. e nella bibliografia ivi richiamata.
In particolare, si segnala, per le diverse nozioni di several concurrent tortfeasors e di joint tort415
i) i soggetti che hanno agito di comune accordo, causando un illecito risarcibile, senza alcuna distinzione in relazione al contributo effettivo alla causazione del danno, inoltre ii) i corresponsabili di un breach of joint duty, ovvero coloro che hanno causato dei danni per aver infranto un dovere imposto
loro congiuntamente ed infine iii) fanno parte dei joint tortfeasors i casi in cui
entra in gioco la c.d. vicarious liability, ossia quando un soggetto è ritenuto
responsabile delle azioni ed omissioni di un altro, autore diretto del danno,
in virtù del rapporto giuridico tra essi esistente. Al di fuori di tali casi, la
responsabilità solidale opera solo per i several concurrent tortfeasors, cioè per
coloro che con azioni indipendenti hanno causato un same damage 53.
L’esperienza giurisprudenziale di oltremanica appare interessante in ragione del dibattito instaurato, ormai diversi anni orsono, dagli auditors e da
altri settori professionali rispetto alla questione della responsabilità solidale
nei c.d. multiple torts (danni plurioffensivi). Nel 1995 il Lord Chancellor’s Department e il Department of Trade and Industry incaricarono il Common Law
Team della Law Commission di compiere un’indagine conoscitiva in materia.
All’esito di tale indagini, è stato pubblicato un report, denominato Feasibility
Investigation of Joint and Several Liability 54, in cui, dopo essersi valutati i possibili pregi della responsabilità parziaria e di altri sistemi di proportionate liability, si è ritenuto preferibile il mantenimento della responsabilità solidale55.
Di diverso avviso è invece sembrata la giurisprudenza, la quale ha messo
in evidenza come il concetto di same damage possa essere interpretato in maniera differente per compiere scelte di politica del diritto 56. Ai nostri fini, l’affermazione di tale principio pare molto rilevante, in quanto, seppur espresso
con riguardo a casi diversi dalla responsabilità degli auditors, sembrerebbe
legittimare soluzioni che escludono la responsabilità solidale in tutte le situazioni in cui, altrimenti, si giungerebbe a conseguenze particolarmente onerose
per uno dei coobbligati solidali.
Sul punto, va peraltro ricordato come, anche nel nostro paese, si siano
avanzati alcuni dubbi sull’applicazione generalizzata della responsabilità solifeasors, rispettivamente, S. Deakin, A. Johnston e R. Markesinis, Markesinis and Deakin’s Tort
Law, V ed., Oxford, 2003, p. 851, e C. Williams, Joint Torts and Contributory Negligence. A
study of Concurrent Fault in Great Britain, Ireland and The Common Law Dominions, London,
1951, p. 80.
53
C. Williams, Joint Torts and Contributory Negligence, cit., pp. 1 ss.
54
Common Law Team of the Law Commission, Feasibility Investigation of Joint and Several Liability, London, HMSO, 1995.
55
R.E. Cerchia, Itinerari e destini della responsabilità solidale, cit., p. 6, e la bibliografia
ivi richiamata.
56
Al riguardo si veda, R.E. Cerchia, Uno per tutti, tutti per uno. Itinerari della responsabilità solidale nel diritto comparato, Milano, Giuffrè, 2009, p. 20, oltre al caso Barker v. Corus
UK LTD [2006], 2, WLR, 1027.
416
dale, ed in particolare in tutti quei casi in cui le regole di responsabilità sono
applicate a soggetti fra i quali intercorre un rapporto contrattuale, o comunque, in contesti «relazionali». Una possibile soluzione potrebbe essere rappresentata dall’individuazione di alcune classi di fattispecie alle quali applicare
regimi differenziati, e ciò in modo da ancorare il regime di responsabilità solidale all’effettivo contributo causale. In caso contrario, a mio avviso, si rischia seriamente di alimentare un sistema contraddittorio e schizofrenico, nel
quale, da una parte, si afferma il principio della responsabilità colposa e non
oggettiva, e dall’altro lato, attraverso il meccanismo solidaristico, si annulla
ogni tipo di graduazione di responsabilità in ragione del diverso contributo al
danno cagionato 57.
Altra questione riguarda l’introduzione (vera o presunta?) nel nostro ordinamento di una forma di responsabilità proporzionale (c.d. proportionate
liability).
Ciò deriverebbe dalle previsioni contenute nel nuovo art. 15 del decreto
del 2010 (commi 1 e 2) 58, secondo le quali i condebitori solidali sono responsabili entro i limiti del proprio contributo effettivo al danno rispettivamente
cagionato, ma solo nei loro «rapporti interni». Non credo che da quest’ultima
locuzione si possa francamente evincere una responsabilità proporzionale o
«proporzionata». E ciò per i seguenti motivi.
In generale, tale meccanismo, utilizzato negli USA e rientrante tra gli
strumenti di limitazione della responsabilità non solo degli auditors, consente
a qualunque soggetto che abbia violato determinate norme di rispondere soltanto per la quota a lui personalmente imputabile. La responsabilità proporzionale esclude pertanto la responsabilità solidale e non l’accompagna, come
è invece previsto nel nostro sistema. L’art. 15, invece, lasciando impregiudicata la responsabilità solidale, specifica che la ripartizione della quota di re-
Tale opinione sembra essere stata contrastata da quella dottrina la quale sostiene che
all’esito dell’esperimento dell’azione di regresso nei rapporti interni tra condebitori solidali,
ciascun soggetto risponderebbe comunque solo del proprio operato, essendo tenuto al risarcimento dei soli danni che ha effettivamente concorso a provocare indipendentemente dal sistema di responsabilità preso in considerazione. In altri termini, a quanto pare, l’azione di regresso consentirebbe, almeno in via teorica (aggiungo), al coobbligato adempiente di ottenere
il ristoro di quanto pagato, anche in considerazione dell’effettivo contributo al danno cagionato. Sul punto G. Presti, La responsabilità del revisore, in «Banca borsa e tit. credito», 2007,
I, p. 168. A. Calvo e F. Ritrovato, Il controllo legale dei conti: la figura del revisore contabile
alla luce della riforma societaria, in «Società», 2007, p. 1318.
58
La limitazione della responsabilità all’effettivo apporto causale al danno cagionato si riferisce a due fattispecie diverse, e cioè sia alla responsabilità solidale tra amministratori e revisori (comma 1), sia alla responsabilità tra società di revisione e responsabile della revisione e
dipendenti che hanno collaborato nell’attività di controllo dei conti (comma 2).
57
417
sponsabilità tra coobbligati dovrà avvenire tenendo conto del contributo causale di ciascun condebitore solidale.
Anche in base alle considerazioni che precedono appare condivisibile la
tesi di coloro i quali hanno sostenuto che, in realtà, la modifica introdotta dal
legislatore del 2010 non riguarderebbe un’ipotesi di responsabilità proporzionale, ma soltanto di un «falso movimento» in tale direzione 59.
8. La responsabilità solidale della società di revisione, dei responsabili e dei dipendenti incaricati dell’attività di revisione contabile
La riforma ribadisce il principio, già affermato nella disciplina previgente
ed in particolare nell’art. 164 T.U.F., della responsabilità solidale con la società di revisione dei responsabili della revisione e dei dipendenti che hanno
effettuato l’attività di revisione contabile, per i danni conseguenti da propri
inadempimenti o da fatti illeciti. Già si è detto della funzione della solidarietà
passiva e del fatto che l’affermazione di una simile responsabilità fungerebbe
da deterrente rispetto a comportamenti abusivi dei professionisti contabili
che eseguono l’attività di revisione contabile (e ciò a prescindere dall’efficacia
di tali strumenti rispetto ai fini perseguiti) 60. Tuttavia, fermo quanto detto,
non si può mancare di osservare come la scelta del legislatore di conservare
tale previsione non vada esente da critiche, e ciò in considerazione della sua
scarsa portata applicativa 61. Infatti, in giurisprudenza non risultano esserci
stati casi in cui si è statuito per una responsabilità solidale della società di revisione con il responsabile ed i dipendenti incaricati del controllo contabile 62.
Assonime, circolare n. 16, cit., p. 65.
M.G. Buta, Commento sub. art. 164, cit., p. 1370.
61
M.G. Buta, Commento sub. art. 164, cit., p. 1370.
62
Sulla responsabilità solidale dei dipendenti della società di revisione, in dottrina si sono
presentati due diversi orientamenti, seppur in vigenza della disciplina previgente. Secondo il
primo orientamento, la norma in commento presenta profili di specialità rispetto alla disciplina
di diritto comune di cui all’art. 1372 c.c. (principio di relatività del contratto), almeno per
quanto riguarda i dipendenti della società di revisione che hanno partecipato al controllo contabile. Infatti, in relazione all’ipotesi di responsabilità contrattuale del dipendente della società
di revisione, si rileva come la disciplina in parola deroghi alla previsione contenuta nell’art.
1372 c.c., la quale, come noto, dispone che il contratto non produce effetto nei confronti dei
terzi, tranne che nei casi previsti dalla legge. In particolare, la disciplina del Testo Unico si
caratterizza per l’inapplicabilità dell’art. 1228 c.c. in tema di responsabilità per fatto degli ausiliari. Secondo quest’ultima disposizione, come noto, il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera dei terzi, risponde anche dei fatti dolosi e colposi di costoro.
In altri termini, mentre nell’ipotesi di applicabilità dell’art. 1228 c.c. la società di revisione è
tenuta a rispondere direttamente dei fatti dolosi e colposi dei propri ausiliari nei confronti
della società revisionata, la quale potrebbe agire esclusivamente contro la società di revisione,
59
60
418
Tra l’altro, la scarsa portata innovativa dell’art. 15 del Testo Unico si
apprezza anche in considerazione del fatto che una disposizione analoga (o
sostanzialmente analoga) a quella ora vigente era presente nell’ex art. 164,
comma secondo, T.U.F., secondo il quale tali soggetti erano ritenuti responsabili soltanto «nei limiti dei propri inadempimenti» 63.
9. Il mancato coordinamento con le disposizioni del d.lgs. 231/2001: brevi cenni
ed un «caso emblematico»
A margine delle considerazioni che precedono, è interessante notare come
la predetta responsabilità solidale dei dipendenti e dei responsabili della revisione sia accompagnata dall’abrogazione di ogni riferimento normativo che
consenta di continuare ad applicare il d.lgs. 231/2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti nel caso in cui il «reato presupposto» contestato sia
rappresentato dal delitto di falso nelle relazioni e comunicazioni della società
di revisione 64.
al contrario, ai sensi dell’art. 15, comma secondo, i dipendenti della società di revisione sono
direttamente responsabili, in solido con la società di revisione, nei confronti della società revisionata, la quale potrà dunque agire oltre che contro la società di revisione anche nei confronti
dei dipendenti per i danni causati dall’inadempimento ai loro obblighi. Secondo un diverso
orientamento, invece, tali previsioni non derogherebbero i principi di diritto comune che regolano le società aventi ad oggetto una professione intellettuale. Diversamente, nell’ambito della
responsabilità extracontrattuale, la norma del Testo Unico ribadisce il principio contenuto
nell’art. 2049 c.c., in tema di responsabilità dei padroni e committenti. Pertanto, ai sensi di
tali disposizioni, saranno tenuti a rispondere dei danni i responsabili della revisione, tra cui andranno inclusi gli amministratori della società di revisione e i soci che abbiano agito in qualità
di professionisti sottoscrivendo la relazione di revisione. Sono inoltre responsabili i dipendenti
che abbiano effettuato l’attività di revisione contabile (sul punto, D. Casadei, La responsabilità,
cit., p. 45).
63
Sul punto, la dottrina aveva peraltro osservato come l’annotazione nel libro della revisione di dubbi e/o incertezze sull’attività di controllo contabile, o la segnalazione dell’esigenza
di disporre approfonditi accertamenti su alcune specifiche questioni, fosse sufficiente per il revisore ad evitare di incorrere in responsabilità. In argomento, si veda M. Bussoletti, Le società
di revisione, cit., p. 331.
64
Per un generale inquadramento della responsabilità penalistica dei revisori dei conti,
anche nella disciplina pre-riforma si veda, ex multis, T. Giacometti, La «controriforma» dei reati societari, in L. De Angelis e V. Rondinone (a cura di), La tutela del risparmio nella riforma
dell’ordinamento finanziario, Torino, Giappichelli, 2008, pp. 560 ss.; F. Centonze, Controlli societari e responsabilità penale, Milano, Giuffrè, 2009, pp. 360 ss.; A. Nisco, Controlli sul mercato finanziario e responsabilità penale, Bologna, Il Mulino, 2009; F. Consulich, Falsità nelle
relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione, in L. De Angelis e V. Rondinone (a
cura di), La tutela del risparmio nella riforma dell’ordinamento finanziario, Torino, Giappichelli,
2008; A. Alessandri, Il ruolo del danno patrimoniale nei nuovi reati societari, in «Società», 2002,
419
Infatti, nel catalogo dei reati – presupposto della responsabilità dell’ente
(i.e. società di revisione), contenuto nella sezione terza del capo primo del
d.lgs. 231/2001, è presente il riferimento ad una norma di legge che è stata
formalmente abrogata (i.e.: si tratta dell’art. 2624 c.c., espunta ad opera
dell’art. 37, comma 34, del d.lgs. 39/2010), con la conseguenza che, in linea generale, la società di revisione non potrebbe più essere chiamata a rispondere ai sensi del citato decreto e ciò per effetto dell’abrogazione della
predetta norma e del mancato richiamo della nuova disposizione nel d.lgs.
231/2001 65. E ciò nonostante, è doveroso precisare come la fattispecie di cui
all’abrogato art. 2624 c.c. (falsità nelle relazioni e nelle comunicazioni della
società di revisione) sia tuttora vigente in quanto ora contenuta nel testo
dell’art. 27 del Testo Unico.
Un caso emblematico della segnalata disarmonia normativa e dei conseguenti problemi interpretativi, è stato affrontato, recentemente, dalla Cassazione, la quale si è espressa a Sezione Unite 66.
I fatti sono i seguenti. Si trattava di un reato commesso da uno dei soci
di una importante società di revisione, la Deloitte, il quale, nelle ricostruzioni
del pubblico ministero, avrebbe falsamente attestato che il bilancio d’esercizio rappresentava in maniera corretta la situazione patrimoniale della società.
In particolare, il responsabile della revisione avrebbe trascurato di osservare
che la nota integrativa al bilancio d’esercizio e a quello consolidato non forniva un quadro attendibile dell’operatività in derivati. Da qui deriva la richiesta del pubblico ministero di rinvio a giudizio oltre che nei confronti del manager, anche nei confronti della Deloitte, ai sensi dell’art. 25-ter, lett. g), del
d.lgs. 231/2001, in quanto il reato contestato al responsabile della società di
p. 797; C. Santoriello, Le fattispecie penali commesse nell’ambito dell’attività di revisione contabile, in C. Santoriello (a cura di), La disciplina penale dell’economia, I, Torino, Giappichelli,
2008, p. 631.
65
Con l’entrata in vigore del Testo Unico della Revisione di cui al d.lgs. 39/2010 non
sono più considerati nelle fattispecie di cui al Titolo XI del Libro V del codice civile i «responsabili della revisione». Con il recepimento della Dir. 2006/43/CE, relativa alla «revisione
legale dei conti», sono state infatti previste autonome ipotesi amministrative e penali ascrivibili
ai nuovi «responsabili della revisione legale» (artt. 24-32), con conseguente abrogazione dell’intero art. 2624 c.c. – che puniva le falsità nelle relazioni della società di revisione – e sono stati
espunti dagli artt. 2625 («Impedito controllo») e 2635 («Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità») tutti i riferimenti alla società di revisione ed ai responsabili della revisione.
È importante inoltre evidenziare come la fattispecie centrale – la falsità nelle relazioni o nelle
comunicazioni dei responsabili della revisione legale prevista nell’art. 27, d.lgs. 22 gennaio
2010 – si caratterizzi per una modifica strutturale di grande portata rispetto alla precedente
formulazione di cui all’art. 2624 c.c., contemplando ora anche la particolare ipotesi di reato
del revisore di società qualificata come «ente di interesse pubblico».
66
Cass. pen., SS.UU., 22 settembre 2011, n. 34476, inedita. Si veda anche l’ord. di remissione, Cass. Pen., 21 febbraio 2011, n. 9027, in «De Jure on line».
420
revisione, e cioè il delitto di falsità nelle relazioni e nelle comunicazioni della
società di revisione di cui all’art. 2624, comma secondo, c.c., rientrava nei reati presupposto della suddetta normativa speciale. Sennonché il GUP del medesimo Tribunale, in accoglimento della tesi della difesa della società, rilevava
che tale norma era stata invero abrogata dal d.lgs. 39/2010 (art. 37, comma
34), «con conseguenze abolitive anche in relazione alla corrispondente figura
di responsabilità dell’ente» «e, pertanto, la ipotesi di illecito amministrativo
dipendente da reato di cui all’art. 25-ter lett. g) decreto legislativo 231/2001,
oltre a tale delitto fa riferimento, pur formalmente vigente, è attualmente
inapplicabile in ragione dello ius superveniens». A tali aspetti si aggiunge la
considerazione della mancanza organizzativa dell’ente, che, tra l’altro, assume
un peso maggiore quando a commettere il reato è stata una delle figure di
vertice dell’organizzazione aziendale.
Infine, il GUP, dopo aver constatato che nella riforma del 2010 il legislatore non ha integrato il catalogo dei reati presupposto del d.lgs. 231/2001, ha
deciso per il non luogo a procedere, anche in considerazione della tassatività
di tale elenco. La pronuncia del GUP di Milano è stata impugnata dal pubblico ministero, in quanto frutto di un’erronea applicazione della legge penale. Secondo la tesi del ricorrente, a prescindere dal mancato richiamo della
novella del 2010 alla fattispecie di cui all’art. 2624 c.c., sussisterebbe comunque un legame di continuità normativa tra la fattispecie dell’art. 27 del Testo
Unico (falsità nelle relazioni e comunicazioni dei responsabili della revisione
legale) e la medesima fattispecie contenuta nell’abrogato art. 2624 c.c.
La terza sezione della Cassazione ravvisava la necessità di rimettere la
soluzione di tale questione alla decisione delle Sezioni Unite della Suprema
Corte, e ciò in ragione di alcuni contrasti dottrinali sorti in merito all’applicabilità o meno alle società di revisione, nella disciplina del 2010, del d.lgs.
231/2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti da reato, con particolare riferimento alla fattispecie penale del delitto di falsità nelle relazioni e
nelle comunicazioni della società di revisione.
La tesi della Corte, in sede di remissione, è la seguente. Il ragionamento
seguito dal giudice del merito – dice la Suprema Corte – il quale ha rilevato
effetti abolitivi sull’ipotesi di responsabilità dell’ente da reato in contestazione – presenta una sua indubbia tenuta, alla luce non solo dei contributi
della dottrina, sbilanciati, in grande maggioranza, a sostegno di tale opinione,
ma anche della giurisprudenza, che, seppur in casi talvolta diversi, sembra
aver dedotto principi analoghi a quelli in discussione, per effetto del meccanismo del mancato richiamo normativo 67.
Ci si riferisce all’applicazione (giurisprudenziale) del principio sintetizzato dal noto brocardo latino «ubi lex dixit voluit, ubi tacuit noluit»; ex multis, si vedano, Consiglio di Stato,
67
421
Come forse era pronosticabile, le Sezioni Unite si sono espresse a favore
di un’interpretazione abolitiva della responsabilità da reato nei confronti
della società di revisione, confermando, nei fatti, come un errore di raccordo
normativo possa arrecare gravissimi danni alla tenuta di un determinato «sistema» nel suo complesso.
Non si può quindi mancare di osservare come tale «svista» corra il rischio
di vanificare l’esigenza di deterrence che il legislatore sembrava convinto nel
perseguire. Anche dopo tali modifiche normative, è altresì indubitabile che
il dibattito sulla responsabilità dei revisori e sulla regolamentazione dei loro
rapporti interni, non sia in alcun modo sopito.
21 febbraio 2005, n. 611, in «Foro amm.», CDS, 2005, 2, p. 473; Cass. pen., 27 gennaio 1998,
n. 379, in «Urbanistica e appalti», 1998, p. 1262, Cass. pen., 24 marzo 2009, n. 20026, in «De
Jure on line», Cass. pen., 7 maggio 2008, n. 22903, in «De Jure on line».
422