“La difesa biologica del castagneto: criteri fitosanitari per una

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“La difesa biologica del castagneto: criteri fitosanitari per una
“Il Castagno, Re della montagna” 19-20 ottobre 2002
“ La
difesa biologica del castagneto:
criteri fitosanitari per una gestione sostenibile ”
Giorgio dott. Maresi – Istituto Agrario di San Michele all’Adige
Vi saluto anche a nome del dott. Turchetti che è stato impossibilitato a venire
quest’oggi e riprendo l’argomento appena introdotto dal prof. Anselmi e cercherò di
approfondire un po’ gli aspetti più pratici della difesa del castagneto.
Direi che, se siamo qui oggi, è perché siamo tutti convinti che la castanicoltura è una
risorsa fondamentale per la montagna, ce lo siamo ripetuto e probabilmente siamo
anche tutti convinti del fatto che la gestione di queste risorse sia legata dalla
sostenibilità, un termine che va molto di moda, ma che rende bene i criteri di base
che ci devono ispirare. Sostenibilità per noi vuol dire soprattutto salvaguardare la
naturalità del frutto e degli impianti perché sono il vero valore aggiunto del marrone,
sono il vero valore aggiunto delle castagne e della castanicoltura.
Questo vuol dire, di fatto, affrontare in maniera consona i problemi della gestione
delle malattie che sono ancora adesso il fattore chiave per una buona castanicoltura.
E quindi parto subito a presentare quelli che sono i risultati delle prove condotte negli
ultimi 30 anni dall’Istituto per La Protezione delle Piante del CNR di Firenze, che ha
collaborato dal 1980 anche con l’Istituto Agrario di San Michele all’Adige.
Parto anch’io continuando a spaventarvi parlandovi del mal
dell’inchiostro che effettivamente,riteniamo, come è stato già
detto prima, sia il problema principale attuale ed anche per il
futuro.
Non mi soffermo sui sintomi, perché li avete già visti prima.
Solo vorrei ricordarvi i sintomi iniziali che sono molto
importanti anche per il monitoraggio: la presenza di foglie
ingiallite più piccole e ricci portati nella parte alta della
chioma, e in generale uno stato di sofferenza nell’intera
pianta che il castanicoltore abituato a vedere i suoi castagni giorno per giorno, è in
grado di cogliere subito. Ed è molto importante coglierlo subito. Vi ricordo anche
l’esito finale della malattia: la morte della pianta che quindi non è più recuperabile ai
fini produttivi.
La malattia è presente in tutti i paesi dell’area mediterranea. È presente in Italia,
come avete visto prima nella cartina, con morie abbastanza estese in Emilia, in
Toscana, in Lazio ecc… In Trentino è presente, a me risultano 2 focolai che sono
quelli che seguiamo, uno a Sardagna uno a Cembra che sono già attivi, quello di
Sardagna da 2/3 anni, quello di Cembra probabilmente da 6 se ben ricordo.
Qualcosa è presente anche in Valsugana.
Per darvi solo un quadro, per riprendere un po’ il discorso dell’impatto della malattia.
Questi sono i risultati delle indagini che abbiamo condotto nel Mugello sulle aziende
che hanno aderito all’OGP… praticamente la totalità delle aziende ha problemi di
malattia, l’impatto in termini di numero di piante non è elevatissimo, non si raggiunge
mai il 6%, però alcune aziende tra alberi sofferenti e alberi morti sono effettivamente
al limite della sopravvivenza, perché hanno perso anche metà delle piante da
produzione. Tenete conto che l’indagine riguarda circa 23.000 piante. Questo grafico
per mostrarvi come nelle varie aree, nella piccola zona del Mugello, c’è stato un
impatto diverso della malattia: alcuni comuni sono stati fortemente colpiti altri
praticamente non hanno notizie della malattia. Come si è detto la malattia è legata
all’acqua però i nuovi attacchi non si sono verificati solo nelle zone di compluvio,
come si riteneva una volta in passato, ma si sono verificati anche nelle zone di
crinale e nelle zone di cresta quindi anche lontane dalla linee di circolazione
dell’acqua. Alcune piante morte sono state ritrovate proprio lungo le strade poderali,
a conferma di quel che si diceva sulla circolazione del fungo che è un parassita
radicale legato comunque all’acqua o alla fanghiglia per la sua diffusione. Però alcuni
focolai sono sorti all’interno del castagneti senza nessun legame neanche con le
strade o con la circolazione almeno superficiale delle acque.
Il decorso della malattia può essere vario: o si ha immediatamente la morte della
pianta oppure sintomi di prolungata sofferenza, con la pianta che sopravvive per tre o
quattro anni lottando contro la malattia. Le condizioni climatiche predisponenti sono
quelle già citate, il fungo si avvantaggia degli inverni caldi ed infatti quest’anno c’è
stato il primo inverno un pochino più freddo del solito, che ha di fatto un po’ bloccato
la malattia, almeno per quanto riguarda i castagneti del Mugello che stiamo
seguendo. Inverni secchi e caldi ma soprattutto, come si diceva, primavere piovose e
autunni piovosi per quanto riguarda la diffusione del patogeno.
La Phytophthora cambivora, almeno per gli studi che sono stati fatti a Firenze, risulta
il parassita che si ritrova comunemente nei focolai indagati, spesso associato ad altre
Phytophthorae il cui ruolo non è ancora molto chiaro nello sviluppo della malattia.
Phytophthora cinnamomi è stata trovata solo una volta in bosco, almeno fin ora. Solo
a Latina, quindi per il momento i focolai della P. cinnamomi sono molto rari, tenete
presente che la P. cinnamomi è polifaga e tende ad ammazzare molte specie, quindi
è un patogeno molto più pericoloso di quello che potrebbe essere la P. cambivora.
Arriviamo a che tipo di lotta si potrebbe fare per cercare di salvaguardare i castagneti
minacciati dal mal dell’inchiostro. Qui siamo ancora all’inizio: abbiamo infatti condotto
la sperimentazione solo negli ultimi anni. Sicuramente non possiamo ricorrere alla
lotta chimica che è contraria a quel discorso di naturalità del prodotto e del
castagneto che vogliamo salvaguardare. Quindi, “no” alla lotta chimica, che oltretutto
risulta estremamente difficile nell’ambito montano, intervenendo su apparati radicali
molto sviluppati. “Si”, invece, al miglioramento delle condizioni del suolo, cercare di
favorire tutti quelli che sono gli antagonisti nei
confronti del fungo patogeno, quindi ripristino
degli equilibri naturali del terreno cercando di
favorire la parte viva degli apparati radicali.
La
diapositiva
ceppaia
di
che
una
vedete,
pianta
mostra
colpita
dal
una
mal
dell’inchiostro che per metà è morta ma per metà è ancora viva, ha ancora dei ributti.
L’obbiettivo sarebbe cercare di favorire con gli interventi, la parte viva dell’apparato
radicale in modo tale che la pianta possa reagire alle infezioni e sia possibile
bloccare le infezioni stesse. Quindi, siamo ricorsi alla concimazione con concime
organico,
fondamentalmente
basate
sull’uso di pollina e concime organico
complesso con micro elementi che sono tutti prodotti ammessi dalla coltivazione
biologica, e perciò non vanno contro neanche i protocolli richiesti per i contributi del
biologico. I risultati sono stati abbastanza buoni. Probabilmente questi interventi
favoriscono tutta la micro flora del terreno e forse vengono favoriti in qualche modo,
anche se su questo punto ci sono parecchi dubbi, anche i funghi micorrizici, che la
ricerca ha già individuato come possibili antagonisti del fungo patogeno, anche se
poi non c’è stato lo sviluppo dalla parte di laboratorio alla parte applicativa di campo.
I risultati di questi interventi di lotta al momento sono l’unica cosa che abbiamo in
mano. Questa è la sperimentazione che è stata condotta nel Mugello.
Nella foto vedete una pianta trattata,
in primo piano, e una pianta non
trattata, in secondo piano. I risultati
finora, che sono stati confermati
anche
dalle
indagini
degli
ultimi
mesi, mostrano che le piante trattate
hanno risposto bene, quasi tutte
sono ancora vive, per il momento,
che è un buon risultato; alcune, anzi
una buona parte, sono in piena ripresa, mentre le piante testimone hanno avuto un
peggioramento dello stato di sofferenza ed in alcuni casi sono morte, alcune piante
trattate sono morte lo stesso, perché in realtà il problema si basa sul “quando”
riusciamo a intervenire per bloccare la malattia. Se il fungo ha già ben colonizzato
l’apparato radicale non c’è concimazione che possa aiutare la pianta.
La concimazione può essere aiutata in alcuni casi dalle potature, anche se su questo
punto bisogna stare un po’ cauti perché le indicazioni sono contraddittorie. In alcuni
casi la potatura ha favorito la ripresa degli apparati radicali in altri casi il risultato è
stato
decisamente poco incoraggiante. Perciò al momento le tecniche di
concimazione sono l’unica arma che abbiamo a disposizione per contenere la
malattia. In realtà, una cosa importante che si è verificata nel Mugello, i castanicoltori
hanno capito anche l’importanza di proseguire e mantenere una gestione sul suolo
che sia abbastanza compatibile con l’esigenza della pianta. Quindi evitare
l’asportazione continua del materiale dal castagneto, il rilascio dello sfalcio, il rilascio
delle foglie e la restituzione sotto forma anche di compost dei ricci, delle foglie e di
quant’altro materiale viene raccolto all’interno del castagneto. Questo è un
cambiamento culturale che è abbastanza importante anche per il futuro.
Attenzione!
Giustamente il prof. Anselmi ha
ricordato il problema dei vivaii,
questa diapositiva vi mostra com’è
normalmente un vivaio di castagno.
Vedete le piante morte, che sono
morte per il mal dell’inchiostro, e
accanto piante vive. Non per parlar
male dei vivaisti, ma generalmente
il vivaista ha l’esigenza di vendere
le piante, quindi voi non siete sicuri che nel terreno che si portano dietro non ci siano
anche le spore del fungo. Il problema già accennato è che non abbiamo ancora i
sistemi per certificare completamente la sanità del materiale. Che i vivai siano
responsabili di alcuni focolai del mal dell’inchiostro, è abbastanza appurato, almeno
in un paio di casi siamo sicuri che il mal dell’inchiostro è partito da piantine messe a
dimora. Sicuramente la presenza della Phytophthora nei vivai potrebbe anche
spiegare l’elevatissimo tasso di fallimenti che abbiamo nei nuovi impianti,
generalmente con le piantine prese appunto nei vivai. Quindi prevenzione, usare il
più possibile materiale certificato e sano e nel futuro forse potranno essere utilizzati
porta-innesti resistenti, è una linea di ricerca che viene portata avanti però per il
momento siamo ancora abbastanza lontani da un’applicazione possibile.
Interventi agronomici sono proponibili per alcune situazioni, così come pure e
giustamente riportato il discorso della buona gestione delle acque all’interno dei
castagneti.
Altri interventi come la sconcatura prevista nel metodo Gandolfo, che veniva
proposto nel passato, sono di fatto improponibili sulle piante adulte in una normale
castanicoltura ed oltretutto hanno il grosso difetto di essere legati ad inverni freddi.
In questo momento il futuro di questa malattia dipende chiaramente dall’andamento
climatico. Riteniamo che la malattia sia ubiquitaria nei castagneti e che questo nuovo
riscoppio sia strettamente legato come già si diceva all’andamento climatico in questi
ultimi 30 anni.
Passiamo al cancro del castagno, ossia alla Cryphonectria
parasitica che è l’agente patogeno del cancro del
castagno, di cui qui vedete un infezione virulenta mortale.
Questo parassita è da considerarsi ormai naturalizzato se
non endemico in Europa. L’impatto
della
malattia
è
stato
grave
nel
passato, ma adesso in quasi tutti di
castagneti assistiamo a una vigorosa
ripresa
vegetativa.
Forte
ripresa
vegetativa che è legata al fenomeno
dell’ipovirulenza. Questo fenomeno fa si che il fungo invada la
corteccia senza arrivare al cambio, la pianta può reagire e di fatto
non viene danneggiata, convive con la malattia e continua, dal punto di vista
produttivo, a produrre frutto senza nessun problema.
Quello che è la realtà dei nostri castagneti,
adesso, è che le forme ipovirulente della
malattia: il cancro cicatrizzante attivo che è
quello arrossato, il manicotto arrossato, quello
che vedete in alto, e il cancro cicatrizzato che
è l’infezione nella fase finale - il manicotto
nerastro
che
vedete sul pollone in basso, sono ormai predominanti
nella
maggior
parte
dei
castagneti
italiani
ed
assicurano all’interno dei castagneti un inoculo in
massima parte ipovirulento; per cui sappiamo che
gran
parte
delle
infezioni
che
avverranno
nel
castagneto si svilupperanno in infezioni buone, in
infezioni
ipovirulente,
e
in
questo
fenomeno,
giustamente lo si diceva prima, non ha nessun merito
la ricerca, diciamo che è stato in questo caso un
classico gran colpo di fortuna che è avvenuto in Italia.
È quello che ci permette adesso di essere qui a
parlare
di
castanicoltura
perché
altrimenti
non
avremmo più neanche un castagno come è successo negli Stati Uniti.
Il fenomeno dell’ipovirulenza è legato alla presenza nel
micelio del fungo di un hypovirus, forse non solo a quello,
ma soprattutto alla presenza di questo hypovirus che
viaggia nella popolazione del fungo, popolazione che è
caratterizzata dalla presenza dei gruppi di compatibilità
vegetativa.
I gruppi di compatibilità fin’ora determinati sono 64. Man
mano che aumentiamo il campionamento ne troviamo di
nuovi e sempre nuove linee saltano fuori. Ma la cosa
importante è che queste nuove linee virulente del fungo
non sono mai correlate ai riscoppi significativi di malattia.
Un fattore che incide tantissimo sulla diffusione dell’ipovirulenza è il fatto che i ceppi
che contengono il dsRNA riescono a superare brillantemente le barriere genetiche
imposte dalla compatibilità vegetativa e a diffondere l’ipovirus nella popolazione del
fungo con una grandissima efficacia.
Quale gestione per la malattia? Innanzitutto l’accurata valutazione dei danni e il
monitoraggio dei castagneti è una cosa fondamentale, perché noi ci troviamo di
fronte ad un’entità biologica, un fungo, che è sempre soggetto a continue variazioni
legate al clima, legate soprattutto all’andamento climatico, ma anche alla comparsa
di nuove linee o di nuovi ceppi, quindi il monitoraggio continuo deve essere
considerato come base della gestione.
La realtà che ci troviamo di fronte generalmente,
quella
più
dall’assenza
comune
di
ormai,
disseccamenti
è
caratterizzata
recenti
e
dalla
presenza di numerosi cancri anormali (come nei
castagneti nella diapositiva a destra), in questo caso
si passa ormai alla normale gestione dei castagneti,
non c’è nessun problema e infatti i castanicoltori quasi
non si accorgono dell’esistenza della malattia. Non è
che i danni siano assenti perché, come abbiamo detto
prima, il cancro è ormai endemico quindi non ce lo
leviamo più dai piedi. lo abbiamo nei nostri castagneti
e dobbiamo conviverci. Ma i danni sono sempre
limitati, limitati a qualche piccolo rametto, limitati a
qualche pollone del sottobosco e non incidono sulla produzione. Anche in situazioni
che apparentemente possono sembrare più disastrose, come questa, dove tantissimi
rami
sono
dissecati,
ci
ritroviamo
in
presenza in realtà di vecchi danni e non ci
sono rami dissecati recentemente; in questo
caso le piante possono essere facilmente
recuperabili con un semplice ed adeguato
intervento di potatura normalmente eseguiti.
Più
complesse
queste,
dove
sono
vedete
situazioni,
il
come
disseccamento
recente di grosse branche. Ciò dimostra che ci
sono delle linee più virulente del fungo, quindi per
lo meno una maggiore pericolosità del parassita.
Anche
in
questo
caso
bisogna
intervenire
inizialmente con interventi colturali, il vecchio e
sempre
efficace
eventualmente,
se
“taglia
proprio
e
la
brucia”
ed,
situazione
non
dovesse migliorare si potrebbe intervenire anche
introducendo
l’ipovirulenza
attraverso
le
inoculazioni artificiali: le inoculazioni combinate
che intravedete sullo sfondo e che sono state poi il
sistema adottato per la prova eseguita in Alto
Adige negli anni scorsi con risultati abbastanza
positivi.
Si
tratta
praticamente
di
introdurre
l’ipovirulenza nel castagneto ricreando infezioni
simili a quelle ipovirulente naturali; assolutamente sconsigliabili sono invece le
inoculazioni curative perché sono improponibili dal punto di vista economico e anche
poco efficaci dal punto di vista pratico. Attenzione che i riscoppi di malattia possono
essere correlati a situazioni climatiche particolari tipo una forte grandinata o momenti
di stress idrico. L’importante è valutare anche nel tempo la progressione dei danni,
finora noi abbiamo visto che l’ipovirulenza è in grado di mantenersi nel tempo e che
anche i piccoli riscoppi di malattia tendono poi a rientrare negli anni successivi, dopo
degli adeguati interventi selvicolturali. Però come abbiamo detto la situazione va
sempre valutata anno per anno, va sempre continuato il monitoraggio perché siamo
di fronte ad un’entità, appunto, biologica, quindi in continua evoluzione.
Gli innesti sono ancora un problema, perché il punto di innesto è facilmente
suscettibile agli attacchi letali anche dei ceppi ipovirulenti. Per il momento i migliori
interventi di protezione sono stati
ottenuti
utilizzando
il
mastice
biologico messo a punto dal CNR, il
Cerafix Plus, che però funziona,
ovviamente, se è impiegato anche
con una corretta esecuzione degli
innesti, e su questo punto magari
anche dal punto di vista tecnico non
si è insistito tanto. Perciò devo
ancora insistere sulla corretta esecuzione dei tagli, ed anche degli interventi
successivi, impalcatura, potatura verde eccetera, che sono fondamentali per la
salvaguardia degli innesti.
Sulle potature, che sono un intervento gestionale comunque
fondamentale, c’è da dire che i grossi tagli difficilmente sono
attaccati dal cancro, perché disseccano più rapidamente. Più
pericolosi sono i tagli sul tessuto ancora verde. Anche qui i
criteri di base sono soprattutto legati alla corretta esecuzione
dei tagli stessi che dovrebbero garantire la pianta anche da
problemi successivi legati alle carie.
Si sta mettendo a punto un mastice biologico per le potature
sul verde, sulle potature piccole, che attualmente è in fase avanzata di
sperimentazione ma ancora non è disponibile, forse tra qualche anno sarà pronto.
Riassumendo, per il cancro la lotta consiste fondamentalmente nel lasciare agire
l’ipovirulenza, quindi intervenire soprattutto per eliminare la malattia nella forma
virulenta, con la normale eliminazione del secco recente trovato in giro per i
castagneti. L’eliminazione vuol dire tagliare e bruciare, non lasciare la ramaglia,
comunque distruggerlo perché le spore del fungo si mantengono sul materiale
tagliato e accatastato, si mantengono e si diffondono.
Sotto questo aspetto è importante mantenere un’adeguata informazione e
formazione dei tecnici e degli operatori che devono per lo meno sapere riconoscere i
diversi di tipi di cancro che avete visto in queste diapositive.
Questo è il cancro che noi consideriamo intermedio perché ha
partenza da virulento e poi si blocca e non diventa più
pericoloso, comunque è una forma che consigliamo di
eliminare perché potrebbe mantenere un inoculo virulento.
Questo per quanto riguarda il cancro.
Anch’io ho messo la foto della Fersa, perché si è guadagnata i
titoli
e
l’apparizione
sulla
stampa, vista la sua comparsa
eccezionale di quest’anno.
Qui come lotta non consigliamo assolutamente niente,
se proprio volete il raccogliere ed eliminare la foglia
potrebbe essere già sufficiente a ridurre l’inoculo, ma fondamentalmente abbiamo
bisogno di agosti non piovosi o per lo meno di estati non troppo piovose.
Più
pericoloso,
più
importante
invece per il discorso qualità del
frutto è il discorso sulla presenza
della
Ciboria
batschiana
nella
castagna. Questo fungo si riscontra
normalmente nei castagneti, sulle
castagne ammuffite, sulle castagne
annerite rimaste nel castagneto.
Fruttifica
generalmente
durante
tutto il periodo autunnale, si diffonde tantissimo durante i periodi piovosi, e la raccolta
durante il periodo piovoso porta generalmente a gravi perdite.
L’anno scorso, ad esempio, un’azienda di Salorno ha perso l’80% della produzione,
proprio per questo problema. Quindi i danni sono notevoli, anche se il castanicoltore
generalmente tende a vendere il prodotto prima che possano emergere i sintomi,
però questo parassita incide sulla qualità generale del prodotto, sulla sua immagine e
quindi sulla sua capacità di conquistare e di tenere il mercato.
Questo fungo insieme agli altri problemi di conservazione della castagna è
responsabile della perdita di notevoli quantità di marroni.
Che tipo di intervento: sicuramente all’interno del castagneto la ripulitura, per
allontanare le castagne colpite e infette che rimangono nel terreno, però è quasi
impossibile eliminarle completamente. Tra l’altro sappiamo ancora poco per quanto
riguarda proprio la biologia del fungo. Gli interventi di curatura per il trattamento del
marrone è sicuramente fondamentale. Per la conservazione buoni risultati sono dati
sia dalla sterilizzazione che dalla conservazione in atmosfera controllata. Comunque
in generale è un punto che anche il castanicoltore deve tener presente proprio per
mantenere l’alta qualità a garanzia del buon prezzo del marrone.
Qualità del frutto e quindi dobbiamo parlare delle cydie e cioè della Pammene
fasciana, della Cydia fagiglandana e della Cydia
splendana.
Per vostra fortuna in Trentino l’Istituto Agrario di San
Michele
all’Adige,
sarebbe
dottor
meglio
Angeli
ma
dire
in
il
Cydia splendana
prima
persona, ha condotto negli ultimi anni uno studio molto
Pammene fasciana
dettagliato sulla presenza di questi parassiti. Uno studio
che
obbiettivi,
inizialmente
ha
valutare
perseguito
l’incidenza
3
degli
insetti carpofagi, le specie presenti, il tipo di danno e
l’epoca del danno; poi l’adeguamento e la messa a
punto delle tecniche di monitoraggio, quindi con
Cydia fagiglandana
erogatori migliori, miscele ferormonali migliori, vari modelli di trappole e diverso
posizionamento delle trappole stesse. Il terzo e ultimo obiettivo finale è stato quello di
cercare di definire tecniche di difesa biologica attraverso la confusione sessuale ed il
disorientamento.
Questo tipo di lavoro ha permesso di trovare all’interno dei castagneti trentini che
l’incidenza del balanino è praticamente nulla, non è stato mai ritrovato finora. Mentre
le due Cydie sono presenti. Questi sono alcuni degli strumenti utilizzati. Gli inneschi
è le trappole che
vengono
utilizzati
per il monitoraggio
insieme
alla
raccolta continuata
con le reti sotto i
castagneti dei ricci caduti, un lavoro durato alcuni anni.
L’andamento della presenza delle tre specie: è stato trovato che la Pammene
fasciana compare fondamentalmente col suo picco nel mese di giugno durante la
fase iniziale di formazione del riccio, mentre la Cydia Fagiglandana ha due picchi
spostati tra luglio ed agosto e la C. splendana è l’ultima ad apparire (fine agosto), ed
è sicuramente quella più dannosa, quella che colpisce direttamente il riccio già
maturo, il riccio già pronto.
Il controllo e la raccolta. Prima parliamo un po’ dell’incidenza del danno. L’annata
peggiore è stata nel 1995: a Castione il danno è stato pari al 25% sul marrone, quindi
un danno sicuramente ed economicamente notevole. In altri casi ad esempio a
Drena è stato anche più alto.
C’è comunque una notevole variabilità di anno in anno.
Da quello che è stato osservato sui ricci raccolti, si è visto che fondamentalmente la
Pammene fasciana fa un danno molto limitato e agisce come una cascola naturale
dei ricci senza grosse perdite.
Più significative sono la Fagiglandana e la Splendana che possono incidere anche
per 24/28% sulla perdita di prodotto.
Su piccole produzioni sicuramente queste sono perdite molto pesanti.
Il lavoro di monitoraggio, la messa a punto di diverse miscele di ferormoni, appunto
per valutare la loro efficacia nel monitoraggio stesso e nella cattura. Queste sono le
miscele, che non vi sto ad illustrare ma ve le mostro perché sono tante, per farvi
capire anche il lavoro che c’è stato dietro, che son state saggiate sulla Cydia
fagiglandana, vedete che alcune hanno avuto dei buoni risultati.
Vi faccio notare, anche se si vede poco, che c’è scritto: castagno e faggio. Perché la
Cydia fagiglandana va anche sul faggio, ha una presenza anche sul faggio. Questo
anche
per
ricordare
come
questi
insetti
sono
una
normale
componente
dell’ecosistema del castagno e quindi non possiamo pensare di eliminarli
completamente, ma dobbiamo riuscire ad arrivare a tollerarne la presenza per
quanto riguarda la produzione.
Anche per la Cydia splendana è stata fatta la stessa prova, e anche qui sono state
individuate le miscele molto efficaci per la cattura, perlomeno per il monitoraggio.
Qual è il problema? Il problema è come cercare di mettere queste conoscenze a
servizio di una tecnica di lotta biologica.
Dalle prove fatte si è visto che i problemi pratici sono notevoli e sono legati
soprattutto alla distribuzione di questo insetto nell’interno della chioma. Come vedete
in questo grafico la presenza maggiore è nelle parti più alte, nelle parti centrali e
nelle parti alte del castagno, quindi si va dai quattro agli otto metri. Questo vi fa già
capire che intervenire mettendo le trappole ed i diffusori diventa una pratica
difficilmente proponibile in una normale castanicoltura, quindi siamo ancora sotto
questo aspetto a livello di studio, a livello di prove preliminari.
Al momento possiamo dire quindi che la difesa del frutto è ancora, per quanto
riguarda la cydia, è ancora legata alle tecniche agronomiche tradizionali, la pulizia, la
formazione delle ricciaie su cemento, fuori dal castagneto, che porta all’eliminazione
delle cydie che fuggono nel terreno, ed ovviamente l’eliminazione costante del
bacato.
Le prospettive per il controllo biologico sono buone per il futuro
e probabilmente sono legate a quelle che sono le tecniche che
stanno
prendendo
piede
anche
nella
frutticultura.
Fondamentalmente forse non tanto la confusione sessuale
perché
è
difficile
saturare
di
ferormoni
l’ambiente
del
castagneto, ma probabilmente la tecnica di “attract and kill” e la tecnica del
disorientamento possono avere delle prospettive buone, se si riuscirà a trovare un
sistema molto pratico per poterle applicare all’interno del castagneto.
Concludendo, possiamo dire che attualmente per la difesa delle malattie abbiamo
delle tecniche per salvaguardare i castagneti nel pieno rispetto della loro naturalità e
quindi per salvaguardare anche il prodotto, chiaramente tollerando una certa perdita,
però salvaguardandone la maggior parte.
È necessario che queste tecniche siano recepite dai castanicoltori per migliorare
sempre di più tutti i vari passaggi di gestione e quindi ha notevole importanza la
divulgazione, la formazione continua. Come anche ha notevole importanza il
monitoraggio continuo.
Il pericolo dell’introduzione del mal dell’inchiostro è
reale, così come lo è il pericolo di altri nuovi
parassiti: quest’anno infatti è stato ritrovato in
primavera un nuovo insetto che attacca le piante di
castagno,
probabilmente
importato
dalla
Cina.
Vedete che qualche problema c’è sempre.
Quindi è fondamentale il monitoraggio continuo e anche consultare i tecnici quando
occorre. Mi fa un po’ ridere infatti il discorso della siccità nei castagneti comparso in
questi giorni sul giornale, magari il giornalista poteva consultarsi con S. Michele e
forse si evitava di parlare di siccità dopo uno degli agosti più piovosi degli ultimi
vent’anni.
Grazie.