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6 luglio 2007
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Officine Ffs, la storia esemplare
Franco ricorda bene il 25 aprile: quel giorno ha saputo che il suo posto non c’è più. E il mondo gli è crollato addosso
di Stefano Guerra
Quella delle Officine Ffs di Bellinzona può
sembrare una delle tante ristrutturazioni in
atto nel settore industriale. Ma in realtà il
caso delle Officine racconta meglio di qualunque altro come sta cambiando il mondo del
lavoro. Ci spiega cosa vuol dire liberalizzare e
privatizzare un servizio pubblico, abbattere le
frontiere, esporsi alla concorrenza e avere
come unico obiettivo l’aumento della produttività. Ci racconta di come cambiano i lavoratori e i direttori, i rapporti con i sindacati e la
classe politica, ma anche l’organizzazione dei
trasporti a livello europeo. A raccontarla,
quella delle Officine di Bellinzona non è una
ristrutturazione come tante altre...
Franco s’è posto più volte la domanda: “che senso ha arrivare a 50 anni passati e ritrovarsi senza nulla in mano?”
Noa». Aveva avuto qualche avvisaglia, per cui la lettera di trasferimento ricevuta lo scorso 25 aprile
non è giunta del tutto inaspettata.
All’inizio è stata durissima: «Mi sono posto più volte la domanda: che
senso ha arrivare alla mia età e ritrovarsi senza nulla in mano? Mi
sono chiuso in me stesso, evito gli
amici in modo che non mi commiserino, e una sera sono rimasto a lungo seduto su un muretto a cercare
di capire cosa mi stava succedendo.
Ho chiesto degli ansiolitici al dottore, ma per finire li ho messi in un
cassetto: se comincio a prenderli mi
abituo, mi dicevo…». Piano piano
però Franco si sta risollevando:
«Stringi il nodo che hai in gola e tiri
avanti. Non posso permettermi di
buttarmi giù, anche se ogni tanto lo
sfogo c’è».
Alla sua età, Franco si è ritrovato
sui banchi di scuola. Alla Labor
Transfert di Camorino ha seguito un
corso per individuare nuovi sbocchi
professionali e per riuscire a “vendersi” meglio sul mercato del lavoro. Ne sono uscite due ipotesi «che
non avrei mai immaginato»: la prima nell’ambito “ricerca e sicurezza”, la seconda nei “viaggi”. Franco
da lunedì scorso le sta approfondendo recandosi ogni giorno negli uffici
del Noa, a due passi dalle Officine,
dove spera che i collocatori delle Ffs
gli diano una mano a trovare un
nuovo lavoro, possibilmente all’interno dell’azienda. Avrà tempo gros-
Viaggiare con i fari puntati sui clienti
Ffs Cargo cavalca la liberalizzazione del mercato ferroviario. Ruolo secondario per le Officine di Bellinzona
di Stefano Guerra
Cosa sono oggi le Officine Ffs di Bellinzona (Obe)? Come stanno? E in
quale direzione stanno andando?
I vertici di Ffs Cargo non cessano di
ripeterlo: lo stabilimento della capitale è «strategicamente ben posizionato anche per il futuro» e verrà
«ulteriormente potenziato». Il direttore generale Daniel Nordmann a
fine aprile era sceso in Ticino per
annunciare che le Officine di Bellinzona verranno «completamente rimodernate»: 30 milioni di franchi fino al 2011 per una nuova sala prove
locomotive (già in funzione dallo
scorso anno), nuovi capannoni, un
nuovo centro di lavorazione dei carrelli e un magazzino “rimodernato”.
Ffs Cargo, insomma, «offre alle Officine di Bellinzona un ottimo
futuro».
La realtà è più complessa. E non la
si può cogliere senza ampliare l’orizzonte dell’analisi. Og-
gi, infatti, le Obe – e l’intero settore no. Perciò non tranquillizza sapere
“manutenzione” di Ffs Cargo cui ap- che l’azienda vi investirà 30 milioni
partengono – hanno di fatto un ruo- nei prossimi 5 anni, né che lo stabilo secondario nella strategia di un’a- limento della capitale naviga da anzienda che (sono parole sue) viaggia ni nelle cifre nere (mentre Ffs Cargo
con i «fari puntati sui clienti», pe- continua a rincorrerle). Nei piani alnetrando in maniera aggressiva nei ti della sede Ffs Cargo di Basilea, le
mercati italiano e tedesco. Come si “gloriose” Officine sono ormai parte
dice in gergo, le
di un passato che
Obe e in generale
non tornerà: se ne
il settore “manustanno accorgentenzione” del mado sia i politici loIn questo dossier
teriale
rotabile
cali (pagina 11)
Il direttore vecchio stile p. 6
(ma ormai anche
sia i sindacati, un
L’attivista logorato
p. 7
il traffico interno,
tempo solidamenQuando si privatizza
p. 8
con una rete di
te radicati alle OfLe logiche del mercato
p. 9
base sensibilmenficine, oggi disCome cambia il lavoro
p. 10
te ridotta) sono
orientati di fronte
Le Officine e la città
p. 11
fuori dal “core bualla determinazioUn secolo di lotte
p. 12
siness” (il busine con cui l’azienness strategico) di
da si adegua alle
Ffs Cargo, società
leggi del mercato
che in Europa negli ultimi anni si è (pagine 8 e 9).
distinta per lo zelo con il quale ha Ma la realtà è più complessa anche
cavalcato la liberalizzazione del per altri motivi. “Puntare i fari sui
mercato ferroviario delle merci su clienti” al di là delle frontiere signifirotaia. La direzione pare tracciata, ca inevitabilmente
e all’interno della strategia com- lasciare delle zomerciale di Ffs Cargo le Obe so- ne d’ombra in
no una variabile di secondo pia- Svizzera,
a
Bellinzona come altrove: alle Obe
assistiamo così all’introduzione di
metodi di management dei processi
lavorativi di dubbia efficacia (pagina
10); al ricorso crescente a lavoratori
interinali (pagina 8) che di fatto rimpiazzano quelli impiegati in pianta
stabile, in calo da anni e a rischio di
ricollocamento soprattutto se in età
avanzata (pagina 5); alla scomparsa
della figura del direttore “vecchio
stampo”, del “capo Officina”, sostituito da dirigenti manager (pagina
6) portavoci di interessi slegati dalla
realtà locale, bellinzonese e regionale.
E allora, in quale direzione stanno
andando le Officine di Bellinzona? Il
«potenziamento», la «modernizzazione» annunciate da Nordmann sono un passo da salutare oppure da
guardare con sospetto? Prefigurano
un consolidamento delle Obe quale
officina della grande manutenzione,
oppure un suo “snellimento”, altre
esternalizzazioni di settori d’attività,
una crescente spe-
Ffs
Franco* ricorda bene quei giorni 24
e 25 aprile: l’avviso «alle 16.10 circa» che l’indomani sarebbe dovuto
«andar su» dal capo-reparto («non
sapevo ancora perché»); l’incontro
col suo superiore che alle 8 di mattina gli consegna la lettera dove sta
scritto che il suo posto è soppresso;
la firma della “ricevuta”; il mondo
che pochi minuti dopo «mi crolla
addosso»; il collasso del collega, come lui congedato la mattina stessa;
la telefonata alla moglie che resta
senza parole dall’altra parte del filo;
i figli che fanno fatica a capire; i genitori anziani ai quali non dice nulla, e che la mattina del 26 leggendo
sui giornali dei tagli alle Officine
esclamano: «iè matt».
Mercoledì 25 aprile. Scende in Ticino Daniel Nordmann, direttore generale di Ffs Cargo. «Le Officine di
Bellinzona sono strategicamente
ben posizionate ma troppo care»,
dice in una conferenza stampa. Lo
stabilimento va «ammodernato», la
produttività «sensibilmente aumentata»: metodo Kaizen (vedi a pagina
10), metodo MultiMoment, più flessibilità nell’impiego della manodopera, 30 milioni nei prossimi cinque
anni, 70 posti di lavoro in meno, 25
persone trasferite al Noa. Franco un
paio d’ore prima aveva saputo che il
suo posto era stato soppresso e che
lui era una delle 7 persone che già
nel 2007 sarebbero state trasferite
al programma di riqualifica “Nuovo
orientamento e attività professionale” (Noa). Una mazzata a 50 anni
passati per lui e la sua famiglia.
Franco era entrato alle Officine negli
anni ’80. Ha lavorato nel reparto
carrozze fino a pochi anni fa, quando a Bellinzona è stata tolta la manutenzione dei mezzi del traffico
viaggiatori. Da allora ha svolto diverse mansioni all’interno dello stabilimento, vivendo una sorta di riqualifica “empirica” all’interno delle
Officine, una soluzione sempre meno praticata da quando è stato inventato il Noa per collocare i dipendenti in esubero in altri servizi delle
Ffs, ma anche al di fuori di esse
(«Perché, con tutto il rispetto, ti
puoi ritrovare anche a spostare
merci alla Migros…», dice). In fondo Franco sospettava che prima o
poi sarebbe stato «scaricato nella
somodo due anni, a salario pressoché garantito: «Le Officine mi hanno
dato tanto, sia umanamente che
professionalmente. Certo che oggi
ho un’età che non è facile. Dovrò
adattarmi…», dice.
* Nome fittizio. La vera identità è conosciuta alla redazione. D’accordo con il nostro interlocutore, alcuni particolari della
sua testimonianza sono stati omessi o leggermente modificati, senza alterare la sostanza del suo racconto.
cializzazione, altre riduzioni di personale e, in un futuro più o meno
prossimo, la cessione a terzi dell’intera struttura o di alcune sue parti,
come del resto avvenuto a Bienne?
Non lo sappiamo. Certo che quando
il direttore generale di Ffs Cargo afferma che «nel mercato liberalizzato vinceranno i migliori, non i più
grandi» (1) c’è poco da stare tranquilli. Tranquilli lo si è ancor meno
sapendo che oggi per la riparazione
e la manutenzione dei loro carri
merci gli operatori privati del settore ferroviario scelgono un’officina o
un impianto di servizio soprattutto
in funzione della prossimità di questi al mercato dei loro principali
clienti (pagina 9). E non si può che
essere inquieti leggendo gli studi
delle maggiori ditte di consulenza
specializzate nel traffico merci su
rotaia, tutte più o meno d’accordo
sulla necessità per le ex compagnie
ferroviarie statali di concentrarsi
sulle attività commerciali disfandosi
– cioè affidandola a terzi (privati) –
della manutenzione del materiale
rotabile.
In questo dossier, un viaggio alle Officine e nei suoi dintorni, alla ricerca
di voci “altre” su una realtà che il
mercato sta modificando in profondità.
(1)
Corriere Ffs, 18 ottobre 2006
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6 luglio 2007
“Si lavorava come una famiglia, più alla buona”
Alfredo Keller è stato direttore delle Officine di Bellinzona dal ’73 al ’91. Sul futuro dice: “Stanno preparando le condizioni per la vendita”
mento federale dei trasporti), che
ammonisce parafrasando il critico e
A 78 anni, e dopo 17 di pensione, storico della letteratura italiana
Alfredo Keller segue ancora «con Francesco De Sanctis: «Ricordatedispiacere» e occhio critico «le peri- vi, o managers, che prima di essere
pezie» delle Officine Ffs di Bellinzo- ingegneri siete uomini!».
na che lui diresse (assieme a quelle Ancora in regime di monopolio ferdi Biasca, esistite fino a pochi anni roviario, le Officine Ffs di Bellinzona
fa) dal 1° settembre 1973 al 28 feb- sotto la sua direzione disponevano
braio 1991. Oggi deplora «la mega- di «ottime capacità, tecnologiche e
lomania» dei dirigenti di Ffs Cargo, organizzative, per eseguire la mae non può fare a meno di provare un nutenzione di tutti i veicoli: locomocerto rimpianto per quei tempi in tive, carrozze viaggiatori, carri
cui una delle più importanti indu- merci», ricorda l’ex direttore nella
strie del Ticino era «un po’ come sua casa di Bellinzona-Carasso. I
una famiglia, più alla buona».
mestieri rappresentati erano numeDi origini zurighesi ma nato e cre- rosi: «sulle locomotive lavoravano
sciuto a Chiasso, dove il padre si era meccanici, elettromeccanici, elettrasferito negli anni ’20, Alfredo tronici, riparatori dei grossi motori
Keller si è laureato in ingegneria al elettrici; sulle carrozze c’erano, olPolitecnico di Zurigo. Una quindici- tre a meccanici ed elettromeccanici,
na d’anni all’Amministrazione dei anche metalcostruttori, falegnami,
telefoni (a Zurigo dapprima, quindi sellai, pittori; e sui singoli pezzi laalla direzione generale a Berna), poi voravano meccanici, metalcostrutil ritorno definitivo in Ticino nel tori, saldatori». Una situazione mu1969, come vice del direttore del- tata radicalmente nel 2000 a seguito della “divisional’Officina
Viktor
delle
Wiedmer.
Keller
“Assunsi anche i primi lizzazione”
Ffs, con la consenon ha mai fatto
operai stranieri, ma guente attribuzione
mistero delle sue
simpatie politiche. ad alcuni non andò giù” delle Officine della
capitale alla DiviHa passato l’adolesione Cargo delle
scenza respirando
aria di antifascismo lungo il confine Ffs: così «con le carrozze viaggiatoa Chiasso durante l’ultima guerra ri se n’è andato anche il sapere di
(visse da vicino la morte del macchi- diverse categorie di artigiani, come
nista Lindoro Bezzola, mitragliato a ad esempio i sellai».
morte da un caccia americano; il fi- Keller interpretò in modo attivo il
glio di Lindoro, Mario, diventerà an- suo ruolo di direttore: «Ero spesso
ni dopo capo del personale alle Offi- fuori dal mio ufficio, a contatto con
cine, braccio destro di Keller). Mem- il personale, verificando di persona
bro fondatore dell’Associazione e “mettendo il naso” nei problemi
svizzera inquilini di Bellinzona e tecnici che si presentavano quotidintorni agli inizi degli anni ’70, l’ex dianamente: così restavo aggiornanumero 1 delle Officine è sempre to, tastavo con mano sia le problestato vicino alla sinistra radicale: il matiche tecniche sia i rapporti tra
Partito socialista autonomo-Psa pri- le diverse categorie del personale.
ma, il Movimento per il socialismo- Ricevevo gli ordini dall’alto, ma per
Mps oggi (quale candidato al Gran me era altrettanto importante aveconsiglio alle ultime elezioni canto- re un feedback dagli operai. E non
nali). Fino a pochi anni fa è stato at- ho mai sentito barricate, lavoravativo nel Pv, il gruppo pensionati del mo tutti per lo stesso scopo». Con
Sindacato del personale dei traspor- Keller direttore, alle Officine di Belti (Sev). E da quando si è costituito il linzona il personale arrivò a superacomitato “Giù le mani dall’Officina!” re quota 700. Gli chiediamo: non si
non è raro sentirlo criticare pubbli- è esagerato, ad esempio assumendo
camente la politica portata avanti con disinvoltura personale poco
dagli attuali dirigenti di Ffs Cargo qualificato, oggi “in esubero”?
(l’ex sindacalista Daniel Nordmann) «Avevamo bisogno anche di operai
o dai “compagni” Benedikt Weibel senza tirocinio – ribatte Keller –, so(socialista, ex capo delle Ffs) e Mo- prattutto per la riparazione dei carritz Leuenberger (capo del Diparti- ri merci, e trovarli non era facile: è
di Stefano Guerra
vero, abbiamo assunto anche parecchia gente senza qualifiche, ma allora era una necessità». Verso la fine degli anni ’70, inoltre, l’ex direttore sfatò il tabù che voleva che solo
gli svizzeri avessero diritto a un posto “in ferrovia”. Vennero assunti i
primi italiani, poi alcuni extra-europei, «e ad alcuni operai di casa nostra questo non andò giù, almeno in
un primo tempo», rammenta.
Aldilà di occasionali screzi, Alfredo
Keller ricorda di avere sempre intrattenuto rapporti cordiali ma franchi con il personale. «Se c’erano
problemi, li risolvevamo tra di noi: i
rappresentanti della Commissione
del personale venivano direttamente da me e ne parlavamo assieme, il
sindacato interveniva poco». Ciò accadeva
anche
quando si trattava
di discutere di assenze, uno degli
assilli di Alfredo
Keller che entrò in
rotta contro i medici compiacenti,
dal certificato facile: «una battaglia
contro i mulini a
ricorda.
vento»,
Battaglia con i dottori da un lato,
dialogo col personale – a volte duro,
ma sempre «usando un po’ di psicologia» – dall’altro.
Invece Keller ha
sempre intrattenuto «rapporti conflittuali» con la
politica
ticinese.
Prima di tornare
in Ticino e di firmare il contratto
con le Officine, mise i puntini sulle
“i”: «“voglio essere
indipendente dalle
forze
politiche,
perché so come
vanno le cose qui”,
dissi». Poi, da direttore,
nessuna
grossa pressione,
ma tante sollecitazioni puntuali più
o meno dirette.
In un’occasione la
sua inflessibilità gli costò persino
l’ostilità di un suo stretto collaboratore che, appoggiato da influenti
personaggi politici della regione cui
era stata negata una raccomandazione, a cavallo tra il 1979 e il 1980
tentò senza riuscirvi – anzi, pagandone le conseguenze con un trasferimento – una sorte di “golpe” nei
suoi confronti. «Giunsi al punto – ricorda Keller – di esporre all’albo un
“editto” nel quale c’era scritto che
“la raccomandazione toglie dignità
a chi la domanda”: volevo far capire che se qualcuno aveva una promozione era perché se l’era meritata e in base ai regolamenti della
Ferrovia e dell’Officina, e non grazie alle buone parole di un perso-
naggio “influente”».
Tempi andati. Al giorno d’oggi le
maggiori pressioni sui dirigenti dello Stabilimento industriale di Bellinzona non provengono più dalla realtà sociale e politica locale (con i suoi
traffici di influenze più o meno sotterranei), bensì dai calcoli contabili
e dalle priorità transnazionali dei
vertici dell’azienda stessa. Nonostante le loro rassicurazioni, Keller
è pessimista: «È bello sapere che investono, ma sarebbe meglio sapere
qual è la meta finale che vogliono
raggiungere. Ho l’impressione che
stiano preparando le condizioni per
la vendita: entro quanto tempo non
lo so, ma mi pare che questa sia la
loro visione».
Come un giornalista non può visitare le Officine e incontrarne il capo
In questa pagina, oltre a un ritratto di
Alfredo Keller (articolo sopra), avreste dovuto leggere un’intervista all’attuale direttore delle Officine Ffs di
Bellinzona. Volevamo cogliere l’occasione da un lato per cercare di capire
in che direzione sta andando lo stabilimento della capitale, dall’altro per
conoscere meglio Paul Haener e il suo
modo di interpretare il ruolo che riveste dall’aprile 2004. Invece, dovete
accontentarvi per ora delle rassicurazioni di Ffs Cargo circa il futuro delle
Officine di Bellinzona e di quel poco
che molti sanno già del suo direttore
(vedi riquadrato a lato). Noi, da giornalisti indipendenti, ce l’abbiamo
messa tutta. E siamo sicuri che anche
le nostre sollecite interlocutrici abbiano fatto il possibile. Sta di fatto che
già a metà maggio avevamo telefonato alla direzione delle Officine per
chiedere se era possibile intervistare
Paul Haener e visitare lo stabilimento. Il 1. giugno arriva l’ok da Bellinzona: intervista e visita fissate per venerdì 15 giugno, domande da inoltrare in anticipo, entro venerdì
8. Fatto: venerdì 8 inoltriamo le domande.
Lunedì 11 arriva una e-
mail dalla direzione delle Officine: venerdì 15 Haener è fuori ufficio, propongono lunedì 25 dalle 14 alle 16. È
il primo atto di un batti e ribatti telefonico e via e-mail che dopo altri due
rinvii sfocia una decina di giorni più
tardi in una telefonata dalla sede di
Ffs Cargo: «Mi dispiace, ma neanche
lunedì 25 va bene. In ogni caso – ci
fanno sapere da Basilea – il signor
Rytz (Christoph, responsabile media
di Ffs Cargo, ndr) dice che non c’è
nulla di nuovo da dire rispetto alla
conferenza stampa di fine aprile.
Forse ci saranno novità dopo l’estate». «Mi dispiace – si rammarica la
nostra gentile e disponibile interlocutrice –. Normalmente non è così: è
stato un accumularsi di circostanze»
(come la momentanea indisponibilità
del responsabile della comunicazione
per le Ffs in Ticino, che si occupa dell’accesso dei giornalisti ai vari servizi
dell’azienda, ndr). Una domanda: al
di là delle circostanze attenuanti,
possibile che sia tanto complicato oggi mettere piede alle Officine di
Bellinzona (tanto più che
stanno a un tiro di schioppo dalla casa di chi
scrive…)?
s.g.
Alfredo Keller era un capo officina, Paul Haener è un manager: cambia il modo di intendere il ruolo di direttore
Paul Haener
Il direttore è un Udc. E si fa gli affari suoi
Paul Haener, l’attuale direttore
delle Officine Ffs di Bellinzona, è
nato il 20 aprile 1944 a Zullwil
(Soletta), risiede a Claro, ed è ingegnere. A Registro di commercio
figura quale liquidatore (già presidente) della TiConnect Sa e dal
2000 presidente del consiglio
d’amministrazione della TiEngineering Group, società anonima
con sede a Cadempino che si occupa tra l’altro di «sviluppo, progettazione, costruzione e commercializzazione di macchine,
apparecchi ed attrezzature industriali (…), acquisizione di componenti (…), consulting d’impresa, design ed engineering di procedure aziendali (…)».
In passato Haener aveva lavorato
per la Ambrosetti Technologies, la
Franco
ditta
che
fu
di
Ambrosetti; è stato inoltre nel
gruppo di lavoro che nella seconda metà degli anni ’90 affiancò
l’economista Carlo Pelanda nella
preparazione del Libro Bianco per
il rilancio economico del Cantone
voluto dalla ex ministra delle finanze Marina Masoni. Candidato
Udc (non eletto) alle elezioni per il
Gran Consiglio nel 2003, è arrivato alle Officine di Bellinzona come
consulente al momento della partenza di Erich Bütikofer (direttore dal 1999), congedato senza
complimenti da Ffs Cargo nel
marzo 2003 assieme all’omologo
di Bienne: un anno dopo, nell’aprile 2004, è subentrato al direttore “lampo” Stefano Colombo
che poche settimane prima aveva
preso il posto del direttore ad interim Luca Bernasconi.
A differenza dei suoi predecessori
(con l’eccezione di Colombo), Paul
Haener non vanta una carriera in
ferrovia. Nell’autunno 2004 è rimasto coinvolto nell’“affare TiEngineering Group”: un mandato da
1,1 milioni di franchi per l’acquisizione di pezzi per gli impianti di
climatizzazione da installare nelle
cabine di guida delle locomotive
Re4/4 e Re6/6, mandato aggiudicato in buona parte alla ditta di
cui Haener è presidente. Al termine di una verifica, Ffs Cargo concludeva che: Haener «non ha osservato tutte le prescrizioni in
materia» (e lo stesso direttore «ne
è particolarmente dispiaciuto»);
«Ffs Cargo non è stata assolutamente danneggiata finanziariamente. Al contrario (…)»; «Negli
ultimi sei mesi, Paul Haener ha
svolto un lavoro eccellente. Grazie alle misure da lui stesso introdotte (…), lo Stabilimento industriale ha intrapreso passi decisivi verso un aumento della produttività richiesto con urgenza».
Chi, sul fronte opposto, ha a che
fare con Paul Haener gli riconosce
un pregio: la franchezza («dice le
cose come stanno, senza tanti giri
di parole»).
s.g.
Ffs
L’intervista che non c’è
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6 luglio 2007
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L’operaio-sindacalista che non rinuncia a battersi
Da 28 anni lavora alle Officine, da 22 lotta per i diritti degli operai: Gianni Frizzo non si sente solo, anche se affiora una certa stanchezza
nato sui banchi di scuola: due giorni
la settimana, per due anni, all’Arti e
Dice che deve scrivere, mettere tutto mestieri di Bellinzona per ottenere
nero su bianco. Ogni pezzetto di car- un certificato di manutentore di veita va bene: un bigliettino, un angolo coli ferroviari. Da allora lavora nel
di foglio, lo spazio tra parole e frasi reparto avvolgitori.
già redatte da altri. Scrivere subito, Quando si parla di sindacato, Gianni
per dare un’immediata sicurezza Frizzo si infiamma. «Grandi denuncalligrafica a sensazioni e idee, ma ce, proclami, ultimatum: ma l’azienanche per evitare che queste poi da (Ffs Cargo, ndr) ha sempre tirato
sfuggano: per non ritrovarsi un gior- dritto per la sua strada. Il sindacato
no a doverle cercare frugando nelle invece è rimasto indietro, arranca, e
secche della memoria. Logico che ha perso la capacità di mobilitare i
oggi l’archivio personale di que- lavoratori». Iscritto al Sindacato del
st’uomo di 51 anni scoppi. Un picco- personale dei trasporti (Sev) dal ’79,
lo locale nello scantinato e un arma- dal ’93 Frizzo è presidente della sedio nello studio al
zione materiale roprimo piano della
(Rm) dello
La sua casa è piena tabile
sua casa di San Vitstesso Sev, carica
di appunti personali alla quale nel 2000
tore trattengono a
stento appunti peraggiunta quella
e
documenti sindacali sidi èpresidente
sonali e documenti
della
sindacali, aziendali
Commissione
del
e “politici” accumulati in 28 anni di personale (Cope) del settore manuOfficine, 22 di militanza sindacale tenzione in Ticino. Un doppio ruolo
attiva, 7 di presidenza della Com- che non piace alla direzione delle
missione del personale, 12 di Muni- Officine e che anche all’interno del
cipio e decine e decine di riunioni, Sev qualcuno non vede di buon ocassemblee, manifestazioni, serate chio. Lui lo difende con «la necessiinformative e congressi. Bruna, la tà che il sindacato si rafforzi sul
moglie, ha tentato più volte di fare luogo di lavoro».
pulizia: «“alt, toca mia!”, non tocca- La «latitanza sindacale» e la deterre» si è sempre sentita rispondere.
minazione con la quale Ffs Cargo
Sulla terrazza di casa, a pochi metri porta avanti la sua offensiva stratedalle rotaie della vecchia linea in gica per adeguarsi alla “realtà” del
disuso Bellinzona-Mesocco, Gianni mercato, hanno messo Gianni FrizFrizzo avverte: «Ho bisogno di pa- zo di fronte a nuove sfide. Da un laletti, altrimenti vado in mille dire- to, l’operaio-sindacalista volente o
zioni». È un generoso, e quando si nolente oggi si ritrova a giocare su
racconta – in dialetto “d’in su”, del un terreno che conosce poco, a conMoesano – è un fiume in piena. È di frontarsi con i vertici dell’azienda su
origini vicentine, ma nato e cresciu- temi relativamente nuovi come i meto tra Roveredo e San Vittore dove i todi di gestione del personale, il lagenitori si trasferirono definitiva- voro interinale, il livello dei prezzi
mente alla fine degli anni ’50. Spo- sul mercato della manutenzione,
sato con Bruna, due figli di 29 anni e ecc. Uno sforzo enorme, che per «un
25 anni (il primo educatore in for- testardo come me», afferma, si tramazione, il secondo grafico), nonno duce tra le altre cose in ore di navidi due nipoti, Gianni Frizzo è entra- gazione su internet alla ricerca di teto alle Officine Ffs di Bellinzona il 1o sti d’approfondimento sul Kaizen
marzo 1979. Di formazione tappez- (vedi a pagina 10)… Dall’altro, vi è la
ziere-decoratore, per vent’anni ha faticosa presa di coscienza che ogni
riparato e sostituito i rivestimenti cosa ha i suoi tempi: «Ho cambiato
dei sedili di carrozze e locomotive. atteggiamento, sia nel rapporto con
«Fino al patatrac», esclama: la chiu- il prossimo che con i miei colleghi –
sura del reparto selleria a seguito racconta Gianni Frizzo –. Prima,
dell’attribuzione dello stabilimento quando si organizzavano manifestadella capitale alla divisione merci zioni e pochi si facevano vivi, tendedelle Ffs, con la conseguente perdita vo a prendermela con loro, ad accudelle carrozze. Gianni Frizzo lo ri- sarli di passività. Poco a poco però
corda come uno dei momenti più du- ho maturato la convinzione che mori della sua vita. Si è trattato, a 44 bilitare delle persone in difesa del
anni, di imparare un nuovo mestie- loro posto di lavoro è un impegno di
re. Assieme ad alcuni colleghi è tor- lunga durata. Ma ho dovuto fare
Gianni Frizzo era tappezziere, ma poi hanno chiuso il reparto selleria. Così ha dovuto imparare un altro mestiere
tutto un lavoro su me stesso per sindacale, di soddisfazioni e bei moconvincermi». Non si sente mai so- menti ma anche di delusioni cocenti
lo? gli chiediamo: «No, solo no. Molti e una costante frustrazione di fondo,
colleghi mi spingono: “vai avanti, in Gianni Frizzo affiora una certa
siamo con te”. Forse ho troppa fidu- stanchezza. «22 anni sono un po’
cia nella gente, non lo so. Ma è un tanti, forse sarebbe ora di farsi da
fatto che il disagio c’è, lo si sente parte», dice sorridendo. «Vengo solanche se lo si vede poco. È troppo lecitato spesso sul posto di lavoro, e
comodo stare a contare gli operai nel limite del possibile ascolto sempresenti a una manifestazione: i mo- pre, cerco di dare una mano. In certi
tivi che spingono qualcuno a non momenti – confessa – mi sento stanuscire allo scoperto possono essere co, vuoto, schiacciato da problemi
che ti “prendono”
molti, dalla manHo un vancanza d’abitudine
“I colleghi mi spingono: troppo.
taggio: che mi rialla paura perché
forse ho troppa
sollevo velocemenc’è una famiglia da
mantenere, ecc. Se
fiducia nella gente” te, e che riesco a
dare il meglio di
i lavoratori non si
me quando sono
fanno vedere è perché non si sentono abbastanza pro- sotto pressione. Devo sempre lottatetti, ma questa protezione non glie- re per trovare la giusta tensione, il
la posso dare io, è responsabilità dei punto di equilibrio tra quel rilassavertici sindacali. Io non giudico nes- mento che mi fa paura perché non
suno, posso parlare solo per me: non mi permetterebbe di dare il meglio
sono un incosciente, e ci penso ogni di me e quel sano rilassamento che
giorno al rischio di perdere il lavoro. invece mi aiuta a non rivangare il
Ma a un certo punto devi fare una passato, a non rimuginare su proscelta: io non ce la faccio a rinuncia- blemi sindacali che mi fanno prenre a battermi per le mie idee, per i dere rabbia». «Ultimamente – osserva – qualche passo avanti lo sto favalori in cui credo».
Dopo oltre un ventennio di militanza cendo: la biografia di Tiziano Terza-
“Il collega interinale non se la sente”
Carlo racconta la sua esperienza: disoccupato, il posto alle Officine gliel’ha trovato l’Adecco per 21 franchi l’ora
di Stefano Guerra
L’appuntamento è alle 17 in un bar
a un tiro di schioppo dalle Officine
Ffs di Bellinzona. Carlo* è appena
uscito dal lavoro. Arriva solo. Quando un paio di settimane fa l’avevamo contattato per chiedergli di raccontarci la sua esperienza di lavoratore Adecco alle Officine, ci aveva
detto che avrebbe trasmesso l’invito
a un collega, anch’egli “interinale”.
«Glie l’ho chiesto, ma non se la sente. Preferisce non esporsi».
Oggi sei qui, domani chissà. Nell’era
dell’adeguamento delle ex regie federali alle esigenze del mercato,
neppure alle Officine Ffs di Bellinzona ha senso parlare ancora di “posto fisso”. È così per chiunque: per
chi ha un contratto a tempo indeterminato, per chi alle Officine è entrato quando il posto di lavoro era detto sicuro, e a maggior ragione per i
cosiddetti “interinali”, ingaggiati a
partire dal 2002 tramite
l’agenzia di collocamento Adecco
e, in misura minore, dalla Man-
power. Per la settantina di lavoratori Adecco e Manpower attualmente
impiegati a Bellinzona (vedi tabella
a pagina 8), alcuni dei quali “interinali” da anni, l’incertezza è la regola. Il contratto di Carlo almeno prevede un mese di disdetta, ed è già
qualcosa nel mondo del lavoro precario. Ma il salario è quel che è (sui
21 franchi netti all’ora) e le speranze di assunzione al termine del periodo di prova di tre mesi sono ridotte al lumicino, tanto più adesso
che Ffs Cargo ha appena annunciato la volontà di tagliare 70 posti di
lavoro nello stabilimento della capitale. A lui comunque per ora va bene così: «questo lavoro ho dovuto
accettarlo perché avevo terminato
il diritto alla disoccupazione, ma
non ho l’intenzione di passare una
vita alle Officine. Se dovessero farmi una proposta di assunzione credo che l’accetterei, ma continuerei
a guardarmi in giro».
Carlo, 30enne bellinzonese, è entrato alle Officine pochi mesi fa al
termine di un
lungo
periplo
professionale. Terminato l’apprendistato aveva trovato un posto fisso
in una grossa ditta della regione.
Cinque anni con un buon contratto,
poi la ditta è fallita. Da allora, salvo
una parentesi di un paio d’anni, una
serie di lavori precari che duravano
qualche mese, in attesa di una nomina mai arrivata. Poi la disoccupazione, con sei mesi di programma
occupazionale. Scaduto il termine
quadro Carlo si è ritrovato senza
un’entrata, una situazione critica
ma sopportabile non avendo una famiglia a carico. Passa qualche settimana e trova un impiego con un
contratto a tempo determinato. Nel
frattempo viene a sapere da un conoscente (anch’egli lavoratore “interinale”) che alle Officine Ffs di Bellinzona cercano personale. Si rivolge all’agenzia Adecco, e la cosa in
breve tempo va in porto: «In genere
sono abbastanza contrario a queste
agenzie, però li devo ringraziare
perché mi hanno aiutato in un momento critico», dice.
Durante le prime due settimane alle
Officine
Carlo ri-
ceve un’istruzione da un collega più
anziano. Il lavoro che deve svolgere
ha poco a che vedere con la sua formazione, anche se Carlo in passato
si è per forza di cose dovuto arrangiare a fare un po’ di tutto. «Praticamente da subito sono stato produttivo: dopo 15 giorni lavoravo già
autonomamente, facendo le stesse
cose delle persone che sono lì da
vent’anni. E il fatto di fare qualcosa
di completamente nuovo mi provocava stress. Adesso però mi sento
sicuro».
Il lavoro è duro, e «per chi ha quasi
sempre lavorato all’aria aperta e
ora non vede la luce del sole tutto il
giorno» lo è ancor di più. All’inizio
la polvere alla quale non è abituato
gli provoca disturbi respiratori, un
problema subito risolto grazie all’uso di una maschera. In generale, comunque, le condizioni di lavoro sono buone e gli addetti alla sicurezza
si dimostrano disponibili: «Non fanno certo speculazioni
su salute e sicurezza. E se tu
chiedi qualcosa ti ven-
ni, il romanzo “Cecità” di José Saramago...».
Quando la frustrazione affiora,
Gianni Frizzo oggi dichiara di volersi «liberare un giorno da tutte le etichette: di partito, di sindacato, eccetera». Qualche passo l’ha già fatto: pochi anni fa restituì la tessera
del Partito socialista, avvicinandosi
poi alla sinistra radicale ticinese;
inoltre, assieme a Bruna – e, occasionalmente, ai figli e alla mamma
Fernanda – da qualche anno ha scoperto nel variegato movimento noglobal nuove ragioni di speranza, o
semplicemente un’inedita dimensione dello star bene. Quando smette di
parlare di questioni sindacali e la
rabbia sbolle, il sindacalista-noglobal si entusiasma parlando del Forum sociale europeo di Firenze nel
2002, di quello di Parigi nel 2004, o
di una manifestazione contro la
guerra in Iraq a Berna nel 2003.
Scherzando, dice che un giorno scriverà un libro sulla sua vita di sindacalista. Se e quando lo farà, non sarà più per trattenere, per evitare che
qualcosa sfugga. Sarà per lasciar
andare, e allora qualcos’altro arriverà.
gono incontro in ogni modo». Con i
colleghi di lavoro, sia quelli “interinali” che quelli “fissi”, le cose funzionano bene. Il suo superiore non
gli fa pesare la sua condizione: «Però questa è la realtà del mio reparto, negli altri non so com’è…». Carlo
dice di non subire particolari pressioni per svolgere più velocemente il
suo lavoro. Il Kaizen (metodo importato dal Giappone in corso di
sperimentazione a Bellinzona, e che
secondo i dirigenti di Ffs Cargo dovrebbe aumentare la produttività
nei suoi stabilimenti di manutenzione, vedi a pagina 10) lo lascia tra
l’indifferenza e la perplessità: «Tutto può servire, ma a me per ora
sembrano teorie. Come si fa a paragonare le Officine con la Toyota? La
Toyota produce auto nuove, qui facciamo manutenzione, e per giunta
lavoriamo con diversi macchinari
vecchi. In ogni caso dovranno passare anni prima che si possano vedere i frutti. E poi mi chiedo quanto
costano quelle persone che stanno lì
a controllare come lavoriamo». «Ci
sono altri problemi, più importanti,
da affrontare», dice Carlo.
* Nome fittizio. La vera identità è conosciuta alla redazione. D’accordo con il nostro interlocutore, alcuni particolari della
sua testimonianza sono stati omessi o leggermente modificati, senza alterare la sostanza del suo racconto.
Ffs
di Stefano Guerra
area dossier
8
In troppi a far manutenzione
Forte concorrenza per le Officine, che fare? Parla Roger Derungs del sindacato Sev
Lunedì 2 luglio arriva la notizia. Il
progetto “Zephyros”, che prevedeva
l’appalto alla ditta privata Stadler di
una parte della manutenzione delle
carrozze della Divisione Ffs Viaggiatori, è stato ritirato. Lo ha reso noto il
Sev in una nota stampa, sottolineando che l’abbandono di “Zephyros”
permette di salvaguardare 100 posti
di lavoro all’Officina Ffs di Winterthur. Una buona notizia per il personale e il sindacato Sev che si era opposto al progetto. area ne ha parlato
con Roger Derungs, vicepresidente
della sottofederazione materiale rotabile (Rm) del sindacato Sev, allargando il discorso alla questione delle Officine Ffs di Bellinzona.
Roger Derungs, all’ultima assemblea dei delegati della vostra sottofederazione e al congresso dello
stesso Sev sono state votate delle
risoluzioni per bloccare il progetto
“Zephyros” avviato in collaborazione tra Ffs e Stadler Rail. Di cosa si
trattava e perché vi preoccupava
tanto?
È un dato di fatto che in Europa c’è
una sovracapacità del 30 per cento
nel settore della manutenzione del
materiale rotabile. Per essere pronta
ad affrontare le sfide future la Divisione viaggiatori delle Ffs ha cercato
nuove vie. Da un lato con l’ottimizzazione dei processi lavorativi nevralgici e con un consolidamento sul proprio territorio di riferimento. D’altro
lato anche cooperando con terzi, come è il caso del progetto “Zephyros”,
che doveva essere applicato solo per
la Divisione traffico viaggiatori e non
per Ffs Cargo, e dunque non riguardava le Officine di Bellinzona. Accan-
Ffs
Sulla rete liberalizzata tutti sono contro tutti
to alla rinuncia al progetto “Zephyros” abbiamo anche chiesto che non
vi sia nessuna esternalizzazione di
prestazioni e la pattuizione di un contingente minimo di collaboratori per
tutta la durata del Contratto collettivo
di lavoro.
Come giudica la posizione di Ffs
Cargo nel mercato svizzero ed europeo della manutenzione del materiale rotabile?
Nella manutenzione e nella revisione
di locomotive Cargo direi che Ffs Cargo ha una buona posizione, perché
proprio sulle tipiche locomotive svizzere ma anche sulle Siemens abbiamo un buon capitale di conoscenze
tecniche e buoni collaboratori. Inoltre
è noto che le Officine di Bellinzona
eseguono lavori e revisioni anche sulle locomotive del traffico viaggiatori.
Per quel che riguarda la manutenzione di carri merci a medio termine le
prospettive sono buone. In più vengono trasferiti dei lavori a Bellinzona
che prima si svolgevano a Bienne. E
pure il risanamento fonico dei carri
merci, che sarà concluso presumibilmente nel 2009, si fa a Bellinzona. In
quel momento verrà cancellato il posto di lavoro di quei 30 collaboratori
temporanei che attualmente danno
man forte per questi lavori.
Come interpreta le ultime misure
annunciate da Ffs Cargo (soppressione di 70 posti di lavoro, investimenti dell’ordine di 30 milioni) per
le Officine di Bellinzona?
Naturalmente è una pillola amara da
mandare giù se nel sito di Bellinzona
vengono cancellati 70 posti di lavoro.
Questi 70 posti di lavoro dovrebbero
essere cancellati su un periodo di tre
anni ricorrendo alle fluttuazioni naturali, così che non dovrebbero essere
necessari licenziamenti. Ma questa è
una piccola consolazione, perché i 70
posti vanno comunque persi. Ora è
compito dei partner sociali sorvegliare questa riduzione di posti di lavoro
6 luglio 2007
Ffs Cargo in cifre
Ffs Cargo in Svizzera
Collaboratori
2000
3500
Clienti
Rete in km
2954
Punti di servizio
323 (private 90)
Carri consegnati giornalmente 9000
Treni al giorno
2000
Settore manutenzione in Svizzera
Collaboratori
Sedi
Veicoli in manutenzione
900
1 stabilimento industriale (Bellinzona)
1 stabilimento industriale partner
(Bienne)
5 impianti di manutenzione
10 squadre mobili
Carri merci 20 000
Locomotive di linea 570
Locomotiva di manovra 900
Mezzi di servizio e carri speciali 1000
Ffs Cargo international
Collaboratori
1400
Clienti
430
Piattaforme in Italia e Germania 6
Carri al giorno
5200
Treni giornalieri
300
I conti di Ffs Cargo
Risultato d’esercizio 2004:
Risultato d’esercizio 2005:
Risultato d’esercizio 2006:
– 2.8 milioni di franchi
– 165.7 milioni di franchi (gravato da
accantonamenti per ristrutturazioni di 110 milioni di franchi)
– 37.3 milioni di franchi
e trovare in loco le migliori soluzioni
per il personale interessato. È già
l’ennesima ristrutturazione di Ffs
Cargo. Per questo motivo il Sev ha posto chiare condizioni anche alla direzione di Ffs Cargo. Gli investimenti di
30 milioni negli impianti di produzione e nella modernizzazione sono naturalmente necessari per la pressione
esercitata dalla già ricordata sovracapacità del 30 per cento nel settore
della manutenzione, e questo per poter produrre in maniera più conveniente. Questo però promette anche
nel contempo di creare 300 posti di
lavoro sull’importante asse strategico
Nord-Sud.
Secondo lei le Officine Ffs di Bellinzona rischiano di subire a medio
termine la stessa sorte (semipriva-
tizzazione o vendita) di quelle di
Bienne? Come impedirlo?
Se lo sapessi cercherei già oggi le soluzioni per impedire la vendita o la
semiprivatizzazione cui si accennava.
Ma come ho già detto, una totale
esternalizzazione della manutenzione
è molto pericolosa anche per Ffs Cargo. Per allentare la tensione dovuta a
questo 30 per cento di sovracapacità
c’è soltanto una soluzione: concludere un contratto collettivo di lavoro di
obbligatorietà generale di buon livello
e sociale per tutte le ditte attive nella
manutenzione del materiale rotabile
in tutta Europa e certificare che la
qualità della manutenzione del materiale rotabile si situi ad un elevato
standard di sicurezza.
s.g.
Sono sempre più gli interinali Appaltando i lavori
Ma il loro numero scompare per l’uso ambiguo delle cifre da parte di Ffs Cargo
di Stefano Guerra
Parola di Paul Haener: (…) «l’effettivo
del personale delle Officine di Bellinzona è costante e non ha subito diminuzioni, tanto che al 31 dicembre
2003 gli Fte ammontavano a 417 e al
30 aprile 2007 assommavano a 416»
(Corriere delle officine, edizione 5/07,
19 giugno 2007). Il direttore delle Officine Ffs di Bellinzona non racconta
frottole. Effettivamente, se vogliamo
ragionare in termini di “Full Time
Equivalent” (Fte, “equivalente in tempo completo” o unità occupazionali a
tempo pieno), è corretto affermare che
allo stabilimento di Bellinzona il personale è rimasto stabile negli ultimi anni.
La realtà, però, è più complessa. Vediamo perché. Prima di tutto, gli Fte
sono i posti (o unità occupazionali) a
tempo pieno. Un Fte può equivalere a
una persona (o “testa” in gergo aziendale) se questa è occupata a tempo
completo (100 per cento), oppure a
due persone se queste sono occupate a
tempo parziale (entrambe al 50 per
cento, o una al 60 e l’altra al 40 per
cento, ecc.), o addirittura a 3 e più persone. L’Fte misura quindi il grado occupazionale effettivo all’interno di
un’azienda, non il numero di “teste”
impiegate. Siccome non tutte le persone lavorano a tempo completo, l’Fte è
sempre inferiore al numero di “teste”.
In termini di contabilità aziendale, l’utilizzo del parametro Fte invece di
quello delle “teste” è indispensabile
per avere un preciso controllo dei costi. Quando però un’azienda lo usa
nei rapporti con i mass-media e
il pubblico in generale, ecco
che allora il parametro Fte
può trasformarsi in un tra-
I veri numeri
Le conseguenze dell’esternalizzazione sull’impiego
di Francesco Bonsaver
Evoluzione collaboratori (assunti in pianta stabile) e personale
temporaneo (“interinali”) alle Officine di Bellinzona, 1990-2007*
anno
Collaboratori stabili
“interinali”
19901
19931
19951
19981
20001
20011
20021
20031
2004
2005
2006
20075
570
540
520
483
430
431
426
411
408
383
380
373
0
0
0
0
0
0
162
173
sconosciuto
324
sconosciuto
68
bocchetto, se non in un efficace strumento di propaganda atto a mascherare una realtà ben più sfaccettata.
Quando Ffs Cargo afferma che verranno soppressi 70 posti di lavoro nello
stabilimento di Bellinzona, dobbiamo
capire che cadranno 70 “teste” (persone in carne e ossa) oppure che verranno cancellati 70 Fte, equivalenti a più
di 70 “teste”? Andate a chiedere se fa
lo stesso a chi perde il lavoro!
In secondo luogo, i vertici di Ffs Cargo
e la direzione delle Officine di Bellinzona tendono con regolarità crescente a
mettere in un unico calderone i collaboratori assunti in pianta stabile con
contratto Ffs e il personale interinale
ingaggiato tramite le agenzie Adecco
e Manpower. Un’integrazione
statistica dei cosiddetti “interinali”, una sorta di normalizzazione contabile dei lavoratori precari che
* Tutti i dati si riferiscono
alle “teste”, non alle unità
occupazionali a tempo
pieno (Fte). Salvo dove
specificato, è riportata la
situazione al 1. gennaio
dell’anno indicato.
1) compresi i collaboratori dell’Officina di Biasca, chiusa nel 2004
2) al mese di settembre
3) al mese di marzo
4) al mese di agosto
5) al 31 aprile 2007
Fonte: Ffs Cargo
ha un doppio effetto: da un lato viene
mascherato il calo costante e ultradecennale del numero di collaboratori
assunti in pianta stabile (perdipiù dal
2002 alle Officine vige un virtuale
blocco delle assunzioni, per cui il calo
“naturale” degli effettivi in pianta stabile è compensato solo saltuariamente
da nuove assunzioni); d’altro canto,
“diluendo” in un dato generale il numero degli “interinali”, l’azienda può
affermare che l’effettivo «non ha subito diminuzioni», omettendo però di
dire che quest’ultimo può essere mantenuto “costante” solo ricorrendo in
maniera crescente a lavoratori precari che “sostituiscono” i collaboratori in
uscita dalle Officine a causa di pensionamenti o partenze volontarie.
Esternalizzare, il verbo magico. Nel
linguaggio manageriale si preferisce
usare “outsourcing”. Vuol dire appaltare ad altri i lavori che prima facevi tu.
In termini economici significa eliminare le parti del processo produttivo che
generano costi per concentrarsi su
quelle che danno i profitti. È una scelta
obbligata per chi intraprende la via
della ricerca massima di profitto attraverso una produttività accresciuta. È
un elemento insito in questo periodo
neoliberista, ovvero del capitalismo
spietato perché sicuro di non incontrare ostacoli sul suo cammino. Alle Officine di Bellinzona, l’apice dell’esternalizzazione si è tradotto nell’appalto della forza lavoro. Dal 2002 Ffs Cargo ha
stipulato con l’agenzia interinale Adecco un contratto per la fornitura di manodopera. Dagli iniziali 16 lavoratori
temporanei su un totale di 426 collaboratori del 2002, si è passati ai 68 temporanei attuali su 373 posti (vedi scheda a lato).
L’esternalizzazione ha avuto altre conseguenze sui posti di lavoro delle Officine. Ad esempio, ha comportato la
quasi totale eliminazione del reparto
falegnameria, passata da un decina di
falegnami ad uno solo. Le tavole grezze di legno che servono per sostituire
le assi dei vagoni venivano una volta
prodotte dagli operai delle Officine, ora
invece giungono dalla Germania. Lo
stesso dicasi per i bulloni o i pezzi in
ferro in generale utilizzati dal personale delle Officine per sostituire quelli lo-
gorati dei carri che arrivano per essere
risistemati. Una volta erano prodotti in
loco, ora è la Debrunner, una ditta
svizzero-tedesca con filiale a Giubiasco, che regolarmente riempie gli scaffali del magazzino delle Officine.
L’esternalizzazione presenta degli
svantaggi pratici, come nel caso dei
pezzi di legno usati per fermare i vagoni (i cunei). Per motivi di sicurezza, i
cunei fabbricati all’interno delle Officine erano dotati di un manico. Quelli
giunti dalla ditta esterna ne erano però
sprovvisti. Così, il personale delle Officine ha dovuto modificarli appositamente. Altro esempio d’esternalizzazione, la produzione di pezzi meccanici per la tornitura, anch’essa a suo
tempo fatta in casa. Ora è la filiale di
Grancia della Damec, la cui sede è a
Coira, ad avere l’appalto. E gli affari
sembrano andarle bene, visto che è
previsto un ampliamento importante
della fabbrica di Grancia. Ma è molto
difficile conoscere tutte le operazioni di
esternalizzazione condotte finora dai
vertici Ffs Cargo. Malgrado sia una ditta pubblica, queste operazioni sono coperte dal segreto. Un’operazione è però diventata di dominio pubblico nel
2004. La ditta TiEngineering di Cadempino, di cui il direttore delle Officine Paul Häner è anche presidente, si
aggiudicata una comanda da 1,1 milioni di franchi per dei pezzi d’impianti
di climatizzazione. Quando l’opinione
pubblica è venuta a conoscenza di
questa transazione in odore di conflitto
d’interessi, la Ffs Cargo si era premurata di affermare che l’azienda non
era stata danneggiata economicamente dall’acquisto, malgrado «il
direttore non abbia osservato tutte
le prescrizioni in materia».
area dossier
6 luglio 2007
9
Mercato in espansione, ma...
Cargo aveva manifestato l’intenzione
di cedere l’Officina di Bienne, ma poi
«È un momento magico. Tutte le aveva finito per lasciar perdere. Poaziende che producono carri oggi so- trebbe tornare in corsa qualora anno oberate di lavoro. E il futuro non che le Officine di Bellinzona – o una
può che essere la manutenzione». parte di esse – venissero messe sul
Ne è «convinto» Aleardo Cattaneo, mercato? «Abbiamo un buon rapporamministratore delegato della Fer- to con loro. Il problema è che hanno
riere Cattaneo Sa (vedi riquadrato un costo orario troppo elevato. Puoi
sotto). A fargli eco è Giuseppe For- sì ridurre l’organico, ma fino a un
gia, che gestisce la manutenzione certo punto: poi ci sono dei costi fissi
della nutrita flotta della Aae (vedi ri- che restano», taglia corto Cattaneo.
quadrato a destra) ed è responsabile La Aae da tempo noleggia alle Ffs
delle operazioni in Sud-Europa per principalmente carri per il traffico
la stessa azienda: «Il traffico merci convenzionale, che vengono riparati
su rotaia crescerà ancora. Il 90 per e sottoposti a revisione nelle officine
delle Ferrovie fedecento dei nostri
rali. Oggi l’azienda
nuovi investimenti
è destinato all’ac- Le Officine di Bellinzona e le Ffs hanno un
rapporto contratquisto di carri per
avranno un futuro
per vari serviil traffico intermose si specializzeranno tuale
zi di manutenzione
dale
(essenzialdei carri Aae alle
mente casse mobili
e semirimorchi per traffici su rotaia- Officine di Bellinzona e all’impianto
gomma-nave-aereo), un settore in di Chiasso, così come per la manutenzione mobile. A breve questa colfortissima espansione».
Un produttore (Cattaneo) e un acqui- laborazione potrebbe anche sfociare
rente-noleggiante (Forgia), entrambi in un accordo specifico riguardante
con un occhio attento al mercato del l’elaborazione e la lavorazione di almateriale rotabile e a quello specifico cuni componenti dei carri Aae, ad
della manutenzione dei carri merci, esempio le sale (ruote). Giuseppe
segmento nel quale si trovano oggi a Forgia intravede in una specializzagiocare le Officine di Bellinzona. Il zione di questo tipo un possibile
primo si era fatto avanti quando Ffs sbocco per le Officine della capitale,
di Stefano Guerra
Ferriere Cattaneo
L’unica che fa carri merci
La Ferriere Cattaneo – fondata
nel 1870 a Faido, trasferitasi nel
1932 a Giubiasco – costruisce
vagoni ferroviari da oltre mezzo
secolo. Dal 1948 dal suo stabilimento ne sono usciti più di 5 mila di 30 tipi diversi: dal modello
L4 a due assi in acciaio e legno
alla serie di “Taschenwagen” o
“carri tasca” oggi giunta al numero 5, passando dai primi carri “Wippen” a 4 assi per la neonata Hupac a metà anni ’60.
Quando la Ferriere inizia l’attività, il fabbisogno di carri e locomotive è enorme e una mezza
dozzina di aziende produce materiale rotabile in Svizzera, in
buona parte per le Ffs. Il merca-
to tiene per decenni. Poi, una
quindicina di anni fa, l’inizio del
declino. Oggi, assieme ad Alstom, Bombardier, Stadler e Josef Meyer Waggon, la Ferriere è
una delle poche aziende rimaste
a produrre materiale rotabile in
Svizzera, l’unica che costruisce
carri merci. Attori storici dell’industria ferroviaria elvetica come
Schindler, Adtranz (acquistati
da Bombardier) e Fiat/Sig (ripresa da Alstom) sono invece
stati spazzati via, risucchiati nel
vortice dei processi di concentrazione e ridimensionamento
che ha conosciuto il settore a
partire dai primi anni ’90.
s.g.
tanto più che «il mercato dei componenti cresce e le officine in Europa
sono sovraccariche di lavoro».
Per il collaboratore dell’Aae lo stabilimento di Bellinzona «è di fronte a
una grande sfida», determinata in
buona parte dal fatto che «molti carri che potrebbero lavorare gli passano sotto il naso». Le Officine della
capitale, infatti, si trovano sì sull’asse di transito principale Nord-Sud,
ma sono comunque lontane dai mercati dei loro maggiori clienti. Il criterio geografico-logistico per la Aae è
“centrale” nella scelta degli stabilimenti ferroviari ai quali affidare la
riparazione e la revisione dei suoi
carri. «Al cliente dobbiamo garantire
una altissima produttività dei mezzi
che gli noleggiamo, non possiamo
perdere tempo nel trasferimento dei
carri in un’officina lontana dal luogo
dove ce li consegnano», dice Forgia.
Stesso discorso per la manutenzione
corrente, di servizio e i piccoli interventi di riparazione: «Noi dell’Aae
concentriamo le attività di manutenzione dei carri laddove il cliente ha
il suo mercato. Per fornire un servizio ottimale al cliente i carri che gli
noleggiamo vengono assistiti nelle
vicinanze delle due estremità di questo percorso Nord-Sud, che va grossomodo dal porto di Rotterdam all’Italia settentrionale».
Le Officine di Bellinzona sono «una
struttura tecnologicamente all’avanguardia in Europa, che offre comunque un servizio di qualità, con
un personale che ha una profonda
cultura ferroviaria, un atout che non
tutti hanno», riconosce Forgia. Però,
oltre alla distanza geografica dai
mercati dei principali clienti di Ffs
Cargo, lo stabilimento della capitale
presenta altri handicap: «la Svizzera
per noi è meno attrattiva anche perché essendo fuori dall’Unione europea abbiamo una serie di situazioni
particolari, come ad esempio lo sdoganamento dei pezzi di ricambio,
che sovraccaricherebbero ulteriormente la nostra logistica. Le Officine
poi dovrebbero essere più snelle,
flessibili, riducendo anche i costi generali, compresi quelli della manodopera che in Svizzera sono leggermente superiori rispetto alla Germania e all’Italia», conclude il collaboratore dell’Aae.
Alle Officine di Bellinzona il lavoro passa sotto il naso, ma non si ferma
Ahaus Alstätter Eisenbahn Ag
Cavalca la liberalizzazione
Con una flotta di 23 mila carri, e
con investimenti previsti per l’acquisto di 2-3 mila carri all’anno da
qui al 2011, la Ahaus Alstätter Eisenbahn Ag (Aae) – nata alla fine
degli anni ’80 nel Nord-Reno
Westfalia – è una delle imprese ferroviarie private leader in Europa
nel noleggio di carri. L’azienda,
che oggi ha sede a Baar (Zugo), ha
cavalcato sin dai suoi esordi il processo di liberalizzazione del settore ferroviario europeo, inserendosi con successo in una nicchia di
mercato formatasi una ventina
d’anni fa quando le compagnie ferroviarie nazionali iniziavano a ridurre le ordinazioni di materiale
rotabile. Al semplice noleggio di
Se ci sono gli azionisti ma non i politici
La Commissione europea 15 anni fa aprì il trasporto merci su rotaia alla concorrenza: il bilancio di un esperto
di Francesco Bonsaver
Il traffico merci su ferrovia era in calo
in Europa dal 1970. Inoltre, il flusso del
traffico essendo sempre più internazionale mal si coniugava con le logiche
delle ferrovie nazionali. Partendo da
questi due presupposti, la Commissione europea ha elaborato tre pacchetti
ferroviari per promuovere la liberalizzazione del settore. Il primo pacchetto
(Direttiva 440 del 1991) prevedeva una
liberalizzazione nel traffico internazionale attraverso una separazione tra l’operatore e il gestore della rete. Si è
quindi suddivisa la rete dal trasporto,
sia delle merci che dei viaggiatori. Questa è stata la premessa per aprire la rete ad altri operatori. Un secondo pacchetto, emanato nel 2003, ha ulteriormente accelerato il processo di liberalizzazione nei trasporti merci. Lo scorso 20 giugno un terzo pacchetto è stato
approvato dalle autorità europee; affinché entri in vigore manca solo la ratifica dell’assemblea plenaria del Parlamento europeo prevista in settembre.
Il pacchetto prevede entro il 2010 di liberalizzare anche il traffico viaggiatori.
Per meglio capire le dinamiche del settore dei trasporti
ferroviari, in particolare di
quello merci, area ha interpellato un esperto,
Roman Rudel, collaboratore presso
l’Istituto di ricerche economiche in Ticino.
Signor Rudel, in Svizzera a che punto siamo con la liberalizzazione?
Siamo legati all’andamento dell’Ue. In
Svizzera è stata introdotta nel 2000
con la divisione tra Ffs infrastruttura,
Ffs cargo e Ffs viaggiatori. Le Ffs sono
contrarie ad una separazione totale,
vogliono mantenere un controllo dell’intero processo che riguarda il settore
dei trasporti ferroviari. L’accesso alla
rete svizzera di trasporto merci è ora
libero. Nel traffico combinato ad esempio partecipano 16 attori. La concorrenza quindi è molto presente. Se da
un lato però la concorrenza entra in
casa, dall’altro anche imprese svizzere
escono dal territorio come ad esempio
Hupac.
Per sopravvivere alla liberalizzazione del mercato, le ex compagnie statali hanno messo in atto diverse strategie. Tra queste, Ffs Cargo sembra
aver scelto la via della specializzazione avendo infatti in dotazione 39
carri merci differenti a seconda del
tipo di trasporto, nell’ottica di offrire
un servizio personalizzato ai suoi
clienti. Le Officine potrebbero sopravvivere proprio grazie a questa
specializzazione?
È una conclusione un po’ troppo semplicistica. O abbiamo officine di monopolio statale garantite al 100 per cento
in un mercato che però a seguito della
liberalizzazione si sta erodendo oppure vi è la possibilità di posizionarsi in
un mercato libero che sta crescendo,
sviluppando delle competenze particolari. Questi sono i due scenari. Quello
su cui non posso esprimermi è se le Officine hanno gli spazi di manovra per
crescere cercando dei nuovi clienti. Immagino di sì, in ragione della posizione
geografica.
Quali le prospettive future di Ffs Cargo? Cosa dovrebbe fare per sopravvivere in questo mercato?
Sicuramente l’asse Nord-Sud è uno dei
suoi punti forti. Per ora si stanno muovendo bene, acquisendo nuovi settori
di mercato mantenendo un buon rapporto tra prezzo e qualità. Ciò dovrebbe garantire lavoro per le Officine.
Molti osservatori sostengono che la
privatizzazione significa inevitabilmente
riduzione dei diritti dei lavoratori.
Sono assolutamente a favore di un
mantenimento di condizioni di lavoro
dignitose. Ma vista la concorrenza nel
settore dei trasporti, soprattutto con
quello stradale, è inevitabile che certi
diritti garantiti, penso al caso italiano,
siano ridimensionati. Sono diritti che
non esistono più in nessun settore. Allo
stesso tempo, non credo che sia una
politica intelligente e lungimirante
quella fatta sulle spalle del personale. Il
rispetto della dignità dei lavoratori è
fondamentale affinché un’impresa
possa crescere sul lungo periodo.
Bernhard Kunz, presidente Hupac,
ha recentemente affermato che è in
atto un processo di rimonopolizzazione del mercato.
Ci sono tendenze in atto in questo senso. La Deutsche Bahn (Db) fa la parte
del leone nel mercato europeo, dominando la catena logistica del trasporto.
Chi governa il flusso delle merci, decide anche quale mezzo usare. Lo stesso
processo di oligopoli lo si è visto nel
settore energetico, dove ad una prima
fase di liberalizzazione, ne è seguita
una caratterizzata dal predominio di
tre oligopoli privati che gestiscono il sistema.
Il processo di liberalizzazione significa
dunque passare
carri ben presto la Aae ha affiancato un servizio completo di assistenza ai suoi clienti pubblici e privati, offrendo loro una sorta di
“pacchetto completo” che comprende anche la manutenzione
preventiva durante le soste d’esercizio, l’intervento di squadre mobili in caso di guasto, l’eventuale trasferimento in un’officina e la sorveglianza dei lavori di riparazione
e revisione, il reperimento di pezzi
di ricambio e il trasporto del carro
merci nuovamente nel luogo concordato con il cliente. Uno dei
clienti storici dell’Aae sono le Ffs,
alle quali oggi l’azienda noleggia
600 carri circa, quasi tutti usati nel
traffico convenzionale in Svizzera.
da un sistema di monopolio statale
ad un monopolio privato?
L’idea finale della Db è di essere presto
quotata in borsa, quindi privatizzata. Il
passaggio da monopolio statale a privato è l’obiettivo, ma non è detto che
vada tutto così liscio. Gli operatori sul
mercato sono tanti ed è possibile che
contrastino il processo. Parlare ora di
monopolio in Europa è prematuro. È
certo però che vi è una pressione forte
in questo senso.
Ma il trasporto non potrebbe essere
considerato un bene pubblico? Non
si potrebbe immaginare di evitare la
privatizzazione e passare ad una ferrovia europea pubblica sulla quale
sia possibile esercitare un controllo
sociale?
Il problema è che nascerebbe un ente
pubblico di enormi dimensioni difficile
da gestire.
Sì, ma la liberalizzazione non ha dato
migliori garanzie di gestione. Basti
pensare a quanto successo con la liberalizzazione delle ferrovie inglesi,
alla quale è poi seguita una inversione di marcia visto il fallimento dell’esperienza privata.
Ma in Inghilterra il processo di liberalizzazione era stato fatto male. Ora si è
imparato dal caso inglese e si sono apportati dei correttivi.
Se però la Db finisce in borsa, l’interesse preminente non è più collettivo
ma diventa quello degli azionisti.
Non lo vedo come un problema. È la
politica che deve essere molto chiara
nel definire le regole precise. È questo
che attualmente fa difetto.
Ffs
Come due operatori privati ticinesi vedono le prospettive delle Officine di Bellinzona
area dossier
10
6 luglio 2007
Una filosofia produttiva importata dall’Oriente
Christian Marazzi spiega il toyotismo, un processo lavorativo entrato anche alle Officine per migliorare il rendimento. E far felici gli azionisti
Per comprendere il Kaizen è necessario capire il contesto in cui è nato.
Christian Marazzi, economista e ricercatore, lo ha spiegato ad una serata dedicata alla ristrutturazione
delle Officine organizzata dal Movimento per il socialismo. Tra la cinquantina di persone presenti, una
trentina di lavoratori delle Officine.
Nella sala l’attenzione era massima
per capire le origini di questo nome
esotico (Kaizen) e le ragioni per cui è
stato deciso di attuarlo all’interno
delle Officine. Le ragioni illustrate da
Marazzi mostrano una realtà meno
rosea di quella fornita dai vertici delle Officine quando hanno spiegato
agli operai la bontà di adottare il
progetto Kaizen per il loro lavoro.
Nel ricordarsi la presentazione del
Kaizen fatta dai consulenti svizzerotedeschi ai lavoratori, un operaio
dell’Officina presente in sala, ha
scrollato il capo, affermando: «un
teatro!».
Il Kaizen è uno degli elementi costitutivi del processo lavorativo conosciuto con il nome di “toyotismo”. È
stato introdotto alla Toyota verso gli
anni 40, ma ha conosciuto la sua fama mondiale verso gli anni 70. Una
filosofia produttiva che ben si prestava in quegli anni alla nuova strategia
politica emergente in risposta alla
crisi della società capitalista di stile
fordista, segnata da una crisi del
profitto, della crescita economica e
della capacità di appropriarsi della
ricchezza prodotta dai lavoratori.
Una strategia principalmente caratterizzata da due aspetti. Il primo la
finanziarizzazione dell’economia: il
padronato, incapace di recuperare la
ricchezza dai lavoratori, è andato a
cercarla nei capitali borsistici. Secondo aspetto, la ricerca del profitto
in quei settori che fino ad allora erano considerati dei beni pubblici, come i trasporti o la comunicazione.
Queste nuove terre di conquista per i
capitalisti, sommate all’importanza
dei capitali finanziari, hanno avuto
tra le molte conseguenze quella di fare dell’azionista l’unico attore degno
di interesse. Tutti gli altri soggetti
che ruotano attorno all’impresa,
quali i lavoratori e la comunità nella
quale è inserita, ad esempio, non
hanno nessun peso per l’azienda.
Un operaio al lavoro nelle Officine Ffs di Bellinzona: “Ci hanno fatto capire che a chi non va bene se ne può anche andare. Ce l’hanno imposto il Kaizen”
L’unica preoccupazione dell’impresa
è soddisfare l’interesse dell’azionista, infischiandosene delle responsabilità sociali che invece la ditta presenta ugualmente.
Più recentemente, con l’avvento del
discorso neoliberista della privatizzazione dei beni comuni quali le ex
regie federali, il cliente è diventato il
protagonista assoluto. «Privatizzando e creando più concorrenza, a
guadagnarci saranno i clienti, perché i prezzi si abbasseranno» è un
motivo ricorrente del discorso neoliberale. Marazzi fa però notare che
ci si dimentica di dire che i clienti
sono anche cittadini e lavoratori. E
come tali hanno degli interessi che
possono essere diversi da quelli del
cliente. «Provocatoriamente» dice
Marazzi «si può dire che anche il
mercato della droga sia orientato
esclusivamente verso il cliente. Ma
Il senso del Kaizen
“Cambiare per migliorare”
KaiZen, parola composta d’origine giapponese che significa letteralmente Kai: cambiare e Zen:
per migliorare. L’idea che sta alla
base è un costante cambiamento
di piccoli procedimenti del processo di produzione per arrivare
ad ottenere una migliore produttività. Un concetto che è stato applicato per la prima volta nelle
fabbriche automobilistiche della
Toyota agli inizi del 1960, dunque quasi 50 anni fa. Alle Officine di Bellinzona il metodo Kaizen è stato introdotto nell’agosto
2006. Sulla prima pagina delle
schede di presentazione del Kaizen campeggia una frase storica:
«per sopravvivere sul mercato
della manutenzione dobbiamo
avere il sopravvento sulla concorrenza» firmato Dr. Johannes
Keil. Chi è costui? Nient’altro
che il direttore generale della
Deutsche Bahn, le ferrovie tedesche. Per sopravvivere dunque
che cosa bisogna fare? «Incrementare la filosofia Kaizen per
incrementare di almeno il 12 per
cento in 3 anni la produttività»
spiega la direzione Ffs Cargo. In
pratica, bisogna lottare contro lo
spreco inteso come tutto ciò che
non porti valore alla produzione.
Il controllo, la preparazione, prelevare gli strumenti necessari,
sono tutti considerati una perdita
di tempo, uno spreco. Utile è solo
saldare, tornire, verniciare. Il
metodo Kaizen indica sette punti
per la caccia allo spreco. Il lavoro
in team è fondamentale. Il fatto
che in una squadra i lavoratori
siano interinali o fissi, con paghe
sostanzialmente diverse, resta
un dettaglio. Vi risparmiamo la
descrizione dei successivi 3 punti
del Kaizen che sono “ordine e
pulizia”, “standardizzazione”,
“Management visuale”, per soffermarci sul quinto punto: “Just
in time”. La sua traduzione aiuta
di per sé a capirne il significato:
giusto in tempo. Eliminare i costi
di stoccaggio del materiale, delegandolo ad una ditta esterna.
Far lavorare gli operai solo
quando è necessario, flessibilizzando il loro tempo di lavoro (vedi scheda a fianco).
Questo, in sintesi, è il metodo
Kaizen. Provare per credere.
le conseguenze quali la dipendenza
per il cliente e le conseguenze sociali
dell’impresa droga non possono però venire ignorate». Un tipico esempio di filosofia aziendale orientata
al cliente è la Wal Mart, la numero
uno mondiale nella vendita al dettaglio. I prezzi per i clienti sono effettivamente bassi, ma il costo da pagare socialmente è importante: salari e
condizioni di lavoro infime, qualità
dei prodotti scadente e rispetto ambientale nullo. «Non sono convinto
che l’ideologia del consumatore sia
valida» afferma Marazzi che prosegue: «Nel settore dei trasporti la
tanto invocata razionalizzazione implica dei trasferimenti di oneri sulla
società».
Riassumendo: nell’impianto ideologico dell’aziendalizzazione l’unico
attore che merita rispetto è l’azionista, e per farlo contento, bisogna ridurre i prezzi per ottenere più clienti. E per abbassare i prezzi è necessario ridurre i costi del personale e
migliorarne la produttività. Qui interviene la filosofia toyota e i suoi
strumenti, quali il Kaizen. Questo in
sintesi il ragionamento che sta dietro
all’aziendalizzazione delle Ffs Cargo.
«Immaginare di esportare il modello
Toyota è lecito purché si tenga conto
dei pre-requisiti politico-sociali in
cui il toyotismo è nato» chiarisce
Marazzi, che spiega: «Nell’azienda
giapponese “toyotizzata” il personale era segmentato in 3 grandi gruppi. Un terzo dei lavoratori era basato su un concetto di lealtà, si trattava cioè di operai ai quali il posto di
lavoro era garantito (addirittura
“ereditario” da padre in figlio) e beneficiavano di vantaggi di sicurezza
sociale. Il Welfare statale era sostituito dal Welfare aziendale. Un altro
terzo dei lavoratori era considerato
“fluttuante” e normalmente apparteneva a ditte esterne, dette in outsourcing. Le condizioni di lavoro
erano peggiori dei “leali”, e così come fluttuanti non beneficiavano di
norme di sicurezza sociale. L’ultimo
terzo dei lavoratori era costituito da
lavoratori temporanei, che non godevano di alcuna protezione». «In
Svizzera siamo già andati oltre» osserva Marazzi «il primo gruppo,
quello dei leali, non esiste più. La
flessibilizzazione ormai riguarda
tutti».
Anche la struttura del
salario del toyotismo è
sostanzialmente
diversa da quella delle
Officine. Alla Toyota essa riproponeva la differenza fra i tre gruppi. I leali
si vedevano premiata la loro fedeltà
aziendale attraverso una migliore retribuzione. «L’importo del salario
era indice della memoria monetaria
di fedeltà alla ditta» afferma Marazzi «Venivano pagati per il loro senso
di appartenenza alla ditta, non tanto per le loro funzioni. Si trattava
dunque di una struttura salariale
basata su una concezione corporativista e non produttivista come invece presuppone l’impostazione neoliberista attuale delle Officine». I processi di ristrutturazione in atto, con
licenziamenti che colpiscono anche
chi alle Officine lavora da molto tempo, «costituiscono una cancellazione
della memoria d’impresa. Una concezione che fa a pugni con il toyotismo giapponese, basato invece su un
terzo di operai fedeli». Rendere tutti
precari, permette di polverizzare la
soggettività operaia e la capacità di
difendersi collettivamente. Il sindacato è concepito unicamente come
aziendale. Solo questo tipo d’ambiente lavorativo è ideale per introdurre il toyotismo. «In realtà si sta
introducendo un sistema che altrove
ha già dimostrato di essere in crisi»
afferma Marazzi, per poi concludere:
«Discutere delle Officine significa
discuterne come bene comune, come
luogo di ridefinizione di democrazia,
del governo delle imprese».
Democrazia all’interno delle Officine? Un giovane lavoratore, pure
presente alla serata, ha preso la parola per raccontare cosa lui e i suoi
colleghi si sono sentiti dire al momento della presentazione del Kaizen «ci hanno fatto capire che a chi
non va bene se ne può anche andare.
Ce l’hanno imposto, il Kaizen».
Orari di lavoro
La flessibilità a senso unico
La flessibilizzazione del tempo
di lavoro è una delle trasformazioni principali delle condizioni
di lavoro fortemente voluta dalla
direzione di Ffs Cargo per arrivare ad aumentare la produttività degli operai. La flessibilizzazione oraria significa far lavorare gli operai quando conviene
alla ditta. In altre parole, scaricare sui lavoratori i rischi aziendali di produzione. Concretamente, alle Officine, vuol dire
estendere gli orari di lavoro dalle 4 alle 22, invece del normale
orario di esercizio dell’officina
dalle 6.30 alle 16.45. Al giovedì
l’operaio saprà quando lavorerà
la settimana successiva.
Conscia di una possibile resistenza degli operai a questo modello orario, la direzione delle
Officine di Bellinzona ha imposto la flessibilità, cercando di tenere all’oscuro sia la Commissione del personale (Cope) che i
sindacati sul progetto. Lo attesta
il fitto scambio di corrispondenza tra la direzione delle Officine
e il sindacato Sev, il quale lamenta una violazione del diritto
di esprimersi su eventuali modifiche del tempo di lavoro sia della Commissione del personale
che dei sindacati stessi. Ciò ben-
ché il Contratto collettivo delle
Ffs imponga chiaramente l’obbligo di consultazione di queste
istanze. Le risposte della direzione lasciano chiaramente intendere che nel caso specifico
non ritiene interlocutori né la
Cope dell’Officina, né i sindacati.
Unico interlocutore ritenuto valido, il personale genericamente
definito.
La prima mossa della direzione
è stata di sottoporre ai collaboratori un formulario, non anonimo, dal titolo “Domande sulla
flessibilità”. Un questionario
farcito di domande inerenti la
sfera personale, quali “Il suo
partner ha un impiego con orari
fissi?” oppure “È un genitore
monoparentale o si prende cura
di una persona anziana?”. Un
formulario che appare più utile
ad una schedatura dei dipendenti che ad un semplice sondaggio d’opinione. Del genere,
se sei disposto ad essere flessibile, ce ne ricorderemo. La tenacia della Cope e del Sev è riuscita esclusivamente a ritardare di
qualche mese l’introduzione della nuova flessibilità oraria, che è
oramai diventata una realtà alle
Officine di Bellinzona.
frabon
Ffs
di Francesco Bonsaver
area dossier
6 luglio 2007
11
La politica cittadina è costretta alla finestra
Il vice sindaco di Bellinzona, Mauro Tettamanti, spiega come il Municipio della città assiste impotente all’erosione degli impieghi federali
«Ferrovie e poste, due cause perse:
non possiamo far altro che lamentarci». Nemmeno il tempo di sedersi
che Mauro Tettamanti ha già cominciato a parlare. Nel suo ufficio al
primo piano di Palazzo Civico, il vicesindaco di Bellinzona non nasconde la sua frustrazione. Da anni il
Municipio assiste impotente all’erosione degli impieghi nelle ex regie
federali (Ffs, Posta, Swisscom), che
nel secolo scorso giocarono un ruolo
centrale nello sviluppo sociale, economico e territoriale della Città. Al
giorno d’oggi – di fronte ad “interlocutori” locali che non decidono più
nulla, ridotti a meri esecutori di
strategie decise altrove e dettate
dalla concorrenza internazionale – i
politici di una Città come Bellinzona
non sanno più cosa fare. Possono – e
lo fanno, sia a livello comunale che
cantonale – scrivere qualche comunicato stampa, chiedere udienza ai
dirigenti di Ffs, Posta e Swisscom, o
presentare atti parlamentari ogni
qual volta viene annunciata una ri-
strutturazione. Non è molto.
«Una caratteristica di ferrovie e poste è che ci tengono ad informare le
autorità prima di comunicare una
decisione: il problema è che a quel
momento la decisione l’hanno già
presa, per cui il nostro parere non
conta più nulla. Possiamo al massimo reagire con un comunicato», afferma Mauro Tettamanti. Anche i
dirigenti di Ffs Cargo ascoltano, sono sempre molto disponibili. «Nella
primavera del 2006, quando l’azienda aveva annunciato tagli alle
Officine, abbiamo scritto a Nordmann, e lui nello spazio di un mese
è venuto qui da Basilea, accompagnato dal direttore Haener. Ma i
giochi erano già fatti», osserva il vicesindaco. Che con i colleghi di Municipio ha adottato una linea di condotta ben precisa nei confronti di
Ffs Cargo, e delle ex regie federali in
generale: «capita che ci invitino alle
loro conferenze stampa, ma noi non
ci andiamo per non far credere che
siamo lì a legittimare la loro politica».
L’80 per cento circa dei lavoratori
delle Officine è domiciliato nel Bellinzonese, ma è difficile sapere
quanti di loro risiedano nella capitale e l’indotto – fiscale e indiretto –
che lo stabilimento e i suoi lavoratori generano alla Città. Al di là dei ragionamenti contabili, Mauro Tettamanti – che come molti a Bellinzona
ha un padre che ha passato una vita
“in ferrovia” – ha a cuore il futuro
dell’Officina e di chi vi lavora. Negli
ultimi comunicati stampa da lui redatti a nome del Municipio viene
espressa «delusione» e «preoccupazione» per «l’ennesima misura di
ristrutturazione». L’Esecutivo deplora inoltre il fatto che «i dirigenti
della sede di Bellinzona non siano
in grado di offrire nessun tipo di garanzia circa il futuro dell’attività
lavorativa in Città, pur continuando
a far massicciamente ricorso al lavoro interinale». Si tratta di atti dovuti, ma assolutamente «innocui»,
dice Tettamanti. Che sulla possibilità di influire sul futuro delle Officine
non si fa illusioni: «non dipenderà
certo da noi se decideranno di chiudere o meno. Tanto più che le mani-
Bellinzona deve gran parte del suo sviluppo alla presenza della ferrovia
zona (Amb) forniscono allo stabilimento, uno dei più grossi consumatori del comprensorio. Il tutto per un
valore annuale di poche decine di
migliaia di franchi: un risparmio irrisorio per le Officine. Che infatti,
stando a un comunicato del Municipio del 13 dicembre 2005, non hanno nemmeno «voluto cogliere l’opportunità» di approfondire queste
«ridotte ma concrete possibilità di
collaborazione». Tettamanti, pur restando pessimista, non si sbilancia
sulle idee di riqualifica del sedime
delle Officine Ffs che il Municipio
aveva vagliato lo scorso anno (vedi
articolo sotto). «Noi per ora non ci
comportiamo come se le Officine dovessero partire. Questa ci sembra
comunque una prospettiva molto
lontana. Semmai ci penseremo a
tempo debito», conclude.
festazioni organizzate a difesa dei
posti di lavoro alle Officine non
hanno radunato una gran folla,
nemmeno tra chi lavora in ferrovia.
Pubblicamente non c’è nessuna indignazione, ma piuttosto rassegnazione». Il Municipio di Bellinzona
aveva anche tentato lo scorso anno
di coinvolgere in un’azione comune
i Comuni dall’Alta Leventina fino a
Contone. «Pochi si sono fatti vivi alla serata che abbiamo organizzato», osserva il vicesindaco mostrando una lista dei partecipanti desolatamente povera di firme.
La Città di Bellinzona, in verità, ha
ben poco da offrire a Ffs Cargo:
qualche agevolazione sui posteggi
riservati ai dipendenti lungo Viale
Officina e un ritocco verso il basso
delle tariffe dell’energia elettrica che
le Aziende municipalizzate di Bellin-
La città e la ferrovia
Quando arrivarono i tudèsc
area - sg
di Stefano Guerra
Nel 1882, quando viene inaugurato il traforo ferroviario del San
Gottardo, a Bellinzona ci si attende una fiumana di turisti.
Succede il contrario. Ben presto
ci si accorge che chi attraversa le
Alpi per venire a sud tira dritto
verso Locarno e Lugano, riservando alla Città al massimo una
veloce visita: «l’avvento della
ferrovia privò Bellinzona della
sua importanza quale stazione
intermedia del traffico NordSud» (1).
Appena eletta capitale, alla Turrita non rimane altro che affermarsi come centro amministrativo e industriale. Nel 1884 viene
prescelta per l’insediamento delle officine di riparazione della
ferrovia del San Gottardo, spuntandola su Altdorf, Biasca, Erstfeld, Giubiasco e Castione. I primi capannoni vengono eretti nella pianura sottostante la stazione, su un terreno offerto dal Municipio e con una superficie complessiva estesa quanto l’intera
città vecchia. Negli anni successivi la Città – fino ad allora abitata quasi esclusivamente nel suo
nucleo storico – comincia a svilupparsi proprio attorno al polo
settentrionale formato da stazio-
ne, Officine, posta vecchia e caserma. Il quartiere nuovo di San
Giovanni, il “quartiere dei ferrovieri”, è la prima zona d’espansione urbanistica della Città. I
suoi primi edifici sono le case
per gli impiegati delle ferrovie.
«Per i loro bambini sorse la scöla tudèsca (1885), per loro la
chiesa di San Giovanni fu ribattezzata gesa tudèsca (ancora
trent’anni fa vi si teneva una
predica in tedesco)», ricordava
una bellinzonese doc, Rosanna
Zeli (2). L’apertura delle Officine
ferroviarie comporta infatti «la
massiccia immigrazione di ferrovieri svizzerotedeschi – principalmente impiegati dei quadri e
operai specializzati –, integrati
da badilanti e carriolanti italiani (…)». Per Bellinzona è «l’inizio del processo di industrializzazione», che porta con sé una
forte crescita demografica: la popolazione della capitale dal 1880
al 1900 raddoppia, passando da
4’038 a 8’255 abitanti (3).
1) Da: Aavv, Insa: Inventario Svizzero di Architettura no. 2, 1850-1920,
Orell Füssli, Zurigo, p. 275.
2) “Bellinzona attraverso un secolo”,
laRegione Ticino, 7 gennaio 1999.
3) Insa…, p. 253 e 276.
Immaginare già oggi il dopo Officine
di Stefano Guerra
È stata la ferrovia – e le Officine in
particolare – a portare il “progresso”
a Bellinzona (vedi riquadrato sopra),
poi a forgiarne più di ogni altri e durante oltre un secolo il carattere.
Pensare la Turrita senza Officine può
perciò sembrare un’eresia. Ma c’è
chi ha osato farlo. Sono alcuni studenti al terzo e quarto anno di architettura dell’Università di Grenoble.
Coordinati dall’architetto bellinzonese Filippo Broggini, due anni fa nell’ambito di un corso master hanno
elaborato alcune idee per la riconversione del comparto delle Officine
(oltre che per la sistemazione di Viale Portone, una delle principali arterie di attraversamento della Città).
Ne è uscita un’esposizione discretamente frequentata a Palazzo Civico,
ma poi di quelle idee, di quei disegni
non se n’è fatto nulla. Broggini non
capisce: «Abbiamo sollecitato, senza
ottenere risposte. Città e Ffs sono
poco sensibili, dimostrano una completa assenza di visione di fronte a
scelte pianifi-
catorie complesse e fondamentali».
Ma cosa si potrebbe fare di questo
sedime di 100 mila metri quadrati
nel cuore di Bellinzona, per il quale
il Piano regolatore cittadino prevede
un Piano particolareggiato con un’eventuale riconversione, anche a tappe, da realizzarsi privilegiando «funzioni d’interesse pubblico e residenziali», oltre a «contenuti commerciali e di servizio»? Gli studenti di Grenoble hanno esplorato tre piste di riflessione. La prima ruotava attorno
all’idea di sfruttare il sedime delle
Officine e la sua prossimità con la
stazione per sviluppare la Stazione
Ticino di AlpTransit, da collegare a
un quartiere che si sviluppi come un
polo tecnologico e di servizi. Se però,
come è apparso chiaro nel frattempo, la Stazione Ticino sorgerà in un
futuro ancora lontano sul Piano di
Magadino, Bellinzona si troverebbe
tagliata fuori dal tracciato Alptransit
e dai traffici internazionali. Allora
per la Città potrebbe entrare in linea
di conto una sorta di zona di interscambio legata al traffico
regionale. «Perdere la
sua centralità legata
alla linea ferrovia-
Che fare di questi spazi: un quartiere fieristico, una zona residenziale o una stazione?
ria per Bellinzona significherebbe
perdere slancio economico e posti di
lavoro. È quanto sta capitando in
Francia nelle zone tagliate fuori dalla rete Tgv, che piano piano si “periferizzano”», spiega Broggini.
La seconda pista di riflessione individuata dagli studenti dell’Università
di Grenoble si è sviluppata invece
nella direzione di un recupero del
sedime delle Officine per scopi residenziali. Ma si tratta di «una varian-
area - sg
Proposte degli studenti di architettura di Grenoble per la riconversione del sedime ignorate dalla politica
te pragmatica, che non risolverebbe
il problema di fondo di Bellinzona:
creare posti di lavoro», osserva l’architetto Broggini. La terza idea, infine, è quella di creare una sorta di
dépendance di Fieramilano, un polo
fieristico con spazi espositivi e congressuali e relative infrastrutture (albergo, un eventuale accesso autostradale ecc.).
Tutte le proposte, come detto, sono
finite in un cassetto. «Stiamo perdendo una chance per ricreare un
nuovo pezzo di Città», afferma Broggini. Per Bellinzona e il Ticino l’“industria” su cui puntare è il turismo,
sostiene l’architetto: «la capitale
non può accontentarsi dei suoi castelli per i prossimi 50 anni. Il sedime delle Officine in questo senso è
un’opportunità strategica, e ha molti atouts: ha un accesso privilegiato
dalla stazione, si trova nel cuore
della Città, è vicino alle uscite autostradali.La cosa va studiata con una
prospettiva pianificatoria a lungo
termine, magari in collaborazione
con le Ffs. Però dobbiamo cominciare adesso». «Il dramma è che i
nostri politici ragionano solo sull’arco di quattro anni. Bisogna che si
sveglino dal loro torpore, altrimenti
un giorno anche questo sedime
pregiato verrà parcellizzato e fatto
oggetto di speculazione»,
conclude Filippo Broggini.
area dossier
12
6 luglio 2007
Un secolo ricco di lotte sindacali e politiche
Nella storia delle Officine di Bellinzona e Biasca molti interventi a difesa dei posti di lavoro, ben prima della liberalizzazione degli anni ‘90
di Fabrizio Viscontini *
In questo breve intervento cercheremo di dimostrare che la storia delle
Officine di riparazione di Bellinzona
è stata condizionata nel corso del
Novecento dall’evoluzione congiunturale e che parallelamente le forze
sindacali e le autorità politiche cantonali e comunali avevano cercato a
più riprese di intervenire allo scopo
di salvaguardare i posti di lavoro
presenti. Questo molto prima che si
imponessero negli anni Novanta del
secolo scorso anche nel settore ferroviario alcuni principi del neoliberismo, quali, con la revisione nel 1996
della Legge sulle ferrovie, l’abolizione per le Ffs degli obblighi nei confronti del traffico regionale ed il loro
passaggio, a partire dal 1° gennaio
1999, da Regia federale in società
anonima a statuto speciale, che ha
aperto la via alla privatizzazione.
Quando nel 1879 la Direzione della
ferrovia del Gottardo decise di costruire una grande officina riparazioni nella quale sarebbero stati impiegati non meno di 200 operai, ben
10 località (Svitto, Flüelen, Altdorf,
Erstfeld, Göschenen, Faido, Biasca,
Le Officine Ffs di Bellinzona furono a lungo il più importante stabilimento industriale del Ticino, dando lavoro fino a 700 operai
Bellinzona, Giubiasco e Lamone)
presentarono tra il settembre del
1882 ed il gennaio del 1883 la loro ed il 1919 della riduzione dell’orario ci, poi smentite, sull’eventualità di Officine di Bellinzona si batterono
candidatura. La battaglia fu aspra e giornaliero di lavoro. Si interessò una loro chiusura. All’epoca vi lavo- con gli altri iscritti al sindacato per
combattuta da Bellinzona, Biasca ed anche della sicurezza sociale, per- ravano ben 700 operai e rappresen- l’adeguamento dei salari, ma data la
Altdorf con degli opuscoli che cerca- ché non era presente per gli operai tavano la sola “grande industria” precaria situazione economica con
vano di mettere in cattiva luce i con- nessuna istituzione previdenziale. presente nel Cantone.
scarsi risultati. Nel 1948 fu aperta
correnti e di dimostrare gli imman- Dopo la nazionalizzazione delle Il periodo fra il 1920 ed il 1936 fu in l’Officina di riparazione carri di Biacabili vantaggi delle singole località. compagnie ferroviarie, nel 1910 an- generale di crisi economica e fu uni- sca. Nel capoluogo della Riviera si
Alla fine fu la capitale del Cantone a che gli operai delle Officine furono camente grazie alla svalutazione del formò un gruppo sindacale che aderì
spuntarla, benché le condizioni im- ammessi alla cassa pensione delle franco svizzero ed alla politica gene- alla sezione bellinzonese.
poste dalla Società del Gottardo alla ferrovie. Essi furono però pagati fino rale di riarmo che si uscì dal mara- Gli anni del “boom” economico furocittà avessero causato numerose po- al 1947 in base ad un salario orario sma congiunturale. L’elettrificazione no contrassegnati fino al 1970 per le
lemiche. L’Officina centrale venne e quindi, essendo esclusi dalla legge della linea ferroviaria del San Got- Ffs da buoni risultati di bilancio. Fu
costruita a Bellinzona fra il 1886 ed sui funzionari, non ricevevano uno tardo fra il 1920 ed il 1922 fu una questo un periodo di importanti conil 1890.
stipendio. La commissione operaia misura di razionalizzazione causata quiste sindacali anche per gli impieFra il 1896 ed il 1920 si ebbe a livel- si occupò di difendere i soci che re- dal passaggio da una situazione di gati nelle Officine di Bellinzona: adelo generale un peclamavano un mi- quasi monopolio da parte della linea guamento delle classi salariali, auriodo di veloce sviIl passaggio alle Ffs glior trattamento del San Gottardo ad una maggiore mento dei giorni di vacanza e riduluppo
economico
salariale ed una concorrenzialità da parte di altre zione delle ore di lavoro. L’anno che
(fase A del ciclo di nel 1909 mise a rischio migliore classifica- vie. A causa della svalutazione mo- diede da questo punto di vista magKondratieff),
che
netaria attuata nei paesi confinanti, giori soddisfazioni alla sezione fu il
le conquiste sindacali zione.
non si arrestò con
Gli operai delle Of- anche le tariffe applicate dalla Sviz- 1963.
lo scoppio del Primo
ficine di Bellinzona zera dovettero essere adeguate al ri- La recessione della metà degli anni
conflitto mondiale. Per quanto ri- parteciparono allo sciopero generale basso. Il Consiglio di Stato interven- Settanta ebbe delle conseguenze
guarda la Ferrovia del Gottardo, a del novembre 1918 con i ferrovieri ne a due riprese con le Rivendicazio- molto negative sul traffico ferroviapartire dal 1897 si assistette ad un della stessa località e con quelli di ni ticinesi del 1924-1925 e del 1938 rio. A partire dal 1971 il movimento
veloce incremento del traffico viag- Airolo e di Biasca. Al movimento, per difendere gli interessi ferroviari delle merci attraverso la Svizzera digiatori ed a un continuo aumento di che fu poco seguito dalle maestranze cantonali minacciati soprattutto dal- minuì, anche sulla linea del San Gotquello merci. Di conseguenza si eb- ticinesi, aderirono pure gli scalpelli- la diminuzione dei posti di lavoro, in tardo. Il fenomeno è imputabile a dibero anche delle eccedenze di eser- ni della Riviera, della Leventina ed i modo particolare nelle località di versi fattori. Nel 1971 l’abbandono
cizio. Nell’Officina di Bellinzona, che metallurgici di Bodio. Il passaggio Biasca e di Bellinzona.
della convertibilità del dollaro in oro
era entrata in servizio nel 1891, era- nel 1909 degli operai delle Officine Nel novembre del 1919 si costituì il provocò il passaggio da un sistema
no allora attivi circa 500 operai. Nel di Bellinzona dalla florida Compa- Sev (Federazione svizzera dei ferro- di cambi fissi ad uno di cambi flessi1899 venne fondata l’Unione Operai gnia del Gottardo alle Ffs, che ri- vieri) e di conseguenza tutte le sezio- bili con un aumento del valore reale
delle Officine di Bellinzona, sezione scontravano dei crescenti deficit, mi- ni degli operai delle officine entraro- del franco svizzero. Parallelamente
dell’Aust (Unione degli operai delle se a rischio le conquiste sindacali ot- no a far parte della sottofederazione calò nuovamente, come all’inizio deimprese svizzere di trasporto). Essa tenute fino a quel momento. In que- degli operai delle officine Waw. Nel gli anni Venti, l’attrattività delle nosi occupò ripetutamente fra il 1900 gli anni corsero addirittura delle vo- periodo in questione gli operai delle stre tariffe ferroviarie. A tutto ciò bi-
Ma dal 2000 nulla è più come prima
Le Officine di Bellinzona aprirono i battenti nel 1874: una cronologia dagli anni del vapore alla liberalizzazione
1871 costituzione della Ferrovia del
Gottardo - Gottardbahn
1874 apertura dei tratti ferroviari Biasca-Bellinzona e Bellinzona-Locarno;
costruzione delle officine di riparazione della Ferrovia del Gottardo (Officine di Bellinzona, Obe) accanto alla
stazione di Bellinzona
1882 inaugurazione della linea ferroviaria del San Gottardo
1886-1890 costruzione delle nuove officine di riparazione della Ferrovia
del Gottardo sul sedime attuale
1899 nasce l’Unione operai ferrovieri
Bellinzona-Biasca (Wav)
1901 sciopero di protesta alle Obe a
causa di licenziamenti
1909 nazionalizzazione della Ferrovia
del Gottardo
1918 sciopero generale
1919 elettrificazione della
linea del San Gottardo;
ampliamento delle Obe
con costruzione del
primo capannone per il montaggio di
locomotive (loc) elettriche; costituzione del sindacato unitario Sev (Federazione svizzera dei ferrovieri)
1920 costruzione della stazione di smistamento di San Paolo (Arbedo)
1947 subordinazione degli operai delle
Officine Ffs allo statuto di funzionario
federale
1948 il deposito loc di Biasca diventa
Officina di riparazione carri
1976 le Ffs tentano di chiudere le Officine di Biasca
metà anni ‘80 lavori di risanamento
delle carrozze contenenti amianto alle Obe
1999 Le Ffs vengono trasformate in società anonima (unica proprietaria è
la Confederazione) e “divisionalizzate”: Divisione viaggiatori, Divisione
infrastruttura e Ffs Cargo (settore
merci)
1999 Erich Bütikofer nominato direttore Obe al posto di Ferdinando Gianella
gennaio 2000 Attribuzione delle Obe
(ribattezzate “Stabilimento industriale Bellinzona”) e dell’Officina di Bienne alla Divisione Ffs Cargo; chiusura
della selleria all’Obe
estate 2000 le Ffs avviano il progetto
“Redesign Service Rollmaterial” (Rsr)
per la riorganizzazione della manutenzione e della pulizia del materiale
rotabile (1’100 posti in meno fino al
2005, chiusura dell’Officina di Biasca, ecc.)
dicembre 2000 Daniel Nordmann assume la direzione di Ffs Cargo
2001 entra in vigo-
re il primo contratto collettivo di lavoro delle Ffs a seguito dell’abolizione dello statuto di funzionario federale; Ffs Cargo diventa una società
anonima a sé stante
2002 primi lavoratori interinali Adecco
all’Obe
2002 fallimento del progetto Transalp
di collaborazione fra Ffs Cargo e Trenitalia Cargo
dal 2002 Ffs Cargo comanda ad Alstom, Bombardier, Siemens e Vossloh decine di locomotive bi- e policorrente per il traffico transfrontaliero
con Germania e Italia
2002-2003 nascita di Swiss Rail Cargo
Köln e Swiss Rail Cargo Italy (poi ribattezzate Sbb Cargo Deutschland e
Sbb Cargo Italy)
marzo 2003 se
ne vanno i direttori delle Obe e
delle Officine di
Bienne: Büti-
sogna aggiungere delle cause strutturali (non direttamente legate alla
crisi), come la concorrenza del traffico stradale. In questo periodo furono
quindi ridimensionati gli impieghi
nelle Officine e venne messa in discussione per la prima volta fra il
1976 ed il 1983 l’esistenza dell’Officina riparazioni carri di Biasca. In
quell’occasione si ebbero degli interventi a tutti i livelli da parte dei politici ticinesi ed il Sev partecipò a queste rivendicazioni che si tinsero di
una componente federalista e miravano anche alla salvaguardia di posti
di lavoro nella Regione delle Tre Valli. Un ruolo importante nella questione venne svolto dall’allora direttore
delle Officine di Biasca, il faidese
Riccardo Cattaneo.
* Storico
Bibliografia:
AaVv: Dizionario storico della Svizzera.
Vol. 4°. Locarno, 2005. Pp. 719-732.
AaVv: 75 anni Unione ferrovieri Bellinzona-Biasca. 1899-1974.
Ennio Bianchi: Cento anni per l’Officina
Ffs di Bellinzona e novant’anni per l’Unione Operai Ferrovieri Bellinzona-Biasca.
Pp. 5-10. In: AaVv: 1989 Sev. 90 anni di
impegno sindacale.
Fabrizio Viscontini: Alla ricerca dello sviluppo. La politica economica nel Ticino
(1873-1953). Locarno, 2005.
Fabrizio Viscontini: Giù le mani dall’Officina! 1976-1983. Bellinzona, 1992.
kofer viene sostituito da Stefano Colombo, che lascia l’incarico dopo poche settimane; gli subentra ad interim il direttore attuale Paul Haener
2004 chiusura delle Officine di Biasca
2005 Ffs Cargo chiude con una perdita
di esercizio di 165,7 milioni
ottobre 2005 annuncio del progetto
“Fokus” (ridimensionamento della
rete di servizi del traffico a carri completi in Svizzera, in vigore dal maggio
2006) e riduzione dei costi strutturali
(personale non operativo)
estate 2006 avvio di diversi progetti all’Obe per aumentare la produttività
2007 Ffs Cargo è suddivisa nei settori
“Internazionale”, “Svizzera” e “Manutenzione”
febbraio 2007 le Officine di Bienne sono rilevate dalla ditta Alstom di cui
Ffs Cargo detiene il 49 per cento del
capitale
25 aprile 2007 nell’ambito della strategia di riposizionamento del settore
“Manutenzione”, Ffs Cargo rende note le misure previste per le Obe: investimenti per 30 milioni di franchi, taglio di 70 posti di lavoro, manutenzione di servizio delle loc di linea tras.g.
sferita a Chiasso