area dossier
Transcript
area dossier
area dossier 6 luglio 2007 5 Officine Ffs, la storia esemplare Franco ricorda bene il 25 aprile: quel giorno ha saputo che il suo posto non c’è più. E il mondo gli è crollato addosso di Stefano Guerra Quella delle Officine Ffs di Bellinzona può sembrare una delle tante ristrutturazioni in atto nel settore industriale. Ma in realtà il caso delle Officine racconta meglio di qualunque altro come sta cambiando il mondo del lavoro. Ci spiega cosa vuol dire liberalizzare e privatizzare un servizio pubblico, abbattere le frontiere, esporsi alla concorrenza e avere come unico obiettivo l’aumento della produttività. Ci racconta di come cambiano i lavoratori e i direttori, i rapporti con i sindacati e la classe politica, ma anche l’organizzazione dei trasporti a livello europeo. A raccontarla, quella delle Officine di Bellinzona non è una ristrutturazione come tante altre... Franco s’è posto più volte la domanda: “che senso ha arrivare a 50 anni passati e ritrovarsi senza nulla in mano?” Noa». Aveva avuto qualche avvisaglia, per cui la lettera di trasferimento ricevuta lo scorso 25 aprile non è giunta del tutto inaspettata. All’inizio è stata durissima: «Mi sono posto più volte la domanda: che senso ha arrivare alla mia età e ritrovarsi senza nulla in mano? Mi sono chiuso in me stesso, evito gli amici in modo che non mi commiserino, e una sera sono rimasto a lungo seduto su un muretto a cercare di capire cosa mi stava succedendo. Ho chiesto degli ansiolitici al dottore, ma per finire li ho messi in un cassetto: se comincio a prenderli mi abituo, mi dicevo…». Piano piano però Franco si sta risollevando: «Stringi il nodo che hai in gola e tiri avanti. Non posso permettermi di buttarmi giù, anche se ogni tanto lo sfogo c’è». Alla sua età, Franco si è ritrovato sui banchi di scuola. Alla Labor Transfert di Camorino ha seguito un corso per individuare nuovi sbocchi professionali e per riuscire a “vendersi” meglio sul mercato del lavoro. Ne sono uscite due ipotesi «che non avrei mai immaginato»: la prima nell’ambito “ricerca e sicurezza”, la seconda nei “viaggi”. Franco da lunedì scorso le sta approfondendo recandosi ogni giorno negli uffici del Noa, a due passi dalle Officine, dove spera che i collocatori delle Ffs gli diano una mano a trovare un nuovo lavoro, possibilmente all’interno dell’azienda. Avrà tempo gros- Viaggiare con i fari puntati sui clienti Ffs Cargo cavalca la liberalizzazione del mercato ferroviario. Ruolo secondario per le Officine di Bellinzona di Stefano Guerra Cosa sono oggi le Officine Ffs di Bellinzona (Obe)? Come stanno? E in quale direzione stanno andando? I vertici di Ffs Cargo non cessano di ripeterlo: lo stabilimento della capitale è «strategicamente ben posizionato anche per il futuro» e verrà «ulteriormente potenziato». Il direttore generale Daniel Nordmann a fine aprile era sceso in Ticino per annunciare che le Officine di Bellinzona verranno «completamente rimodernate»: 30 milioni di franchi fino al 2011 per una nuova sala prove locomotive (già in funzione dallo scorso anno), nuovi capannoni, un nuovo centro di lavorazione dei carrelli e un magazzino “rimodernato”. Ffs Cargo, insomma, «offre alle Officine di Bellinzona un ottimo futuro». La realtà è più complessa. E non la si può cogliere senza ampliare l’orizzonte dell’analisi. Og- gi, infatti, le Obe – e l’intero settore no. Perciò non tranquillizza sapere “manutenzione” di Ffs Cargo cui ap- che l’azienda vi investirà 30 milioni partengono – hanno di fatto un ruo- nei prossimi 5 anni, né che lo stabilo secondario nella strategia di un’a- limento della capitale naviga da anzienda che (sono parole sue) viaggia ni nelle cifre nere (mentre Ffs Cargo con i «fari puntati sui clienti», pe- continua a rincorrerle). Nei piani alnetrando in maniera aggressiva nei ti della sede Ffs Cargo di Basilea, le mercati italiano e tedesco. Come si “gloriose” Officine sono ormai parte dice in gergo, le di un passato che Obe e in generale non tornerà: se ne il settore “manustanno accorgentenzione” del mado sia i politici loIn questo dossier teriale rotabile cali (pagina 11) Il direttore vecchio stile p. 6 (ma ormai anche sia i sindacati, un L’attivista logorato p. 7 il traffico interno, tempo solidamenQuando si privatizza p. 8 con una rete di te radicati alle OfLe logiche del mercato p. 9 base sensibilmenficine, oggi disCome cambia il lavoro p. 10 te ridotta) sono orientati di fronte Le Officine e la città p. 11 fuori dal “core bualla determinazioUn secolo di lotte p. 12 siness” (il busine con cui l’azienness strategico) di da si adegua alle Ffs Cargo, società leggi del mercato che in Europa negli ultimi anni si è (pagine 8 e 9). distinta per lo zelo con il quale ha Ma la realtà è più complessa anche cavalcato la liberalizzazione del per altri motivi. “Puntare i fari sui mercato ferroviario delle merci su clienti” al di là delle frontiere signifirotaia. La direzione pare tracciata, ca inevitabilmente e all’interno della strategia com- lasciare delle zomerciale di Ffs Cargo le Obe so- ne d’ombra in no una variabile di secondo pia- Svizzera, a Bellinzona come altrove: alle Obe assistiamo così all’introduzione di metodi di management dei processi lavorativi di dubbia efficacia (pagina 10); al ricorso crescente a lavoratori interinali (pagina 8) che di fatto rimpiazzano quelli impiegati in pianta stabile, in calo da anni e a rischio di ricollocamento soprattutto se in età avanzata (pagina 5); alla scomparsa della figura del direttore “vecchio stampo”, del “capo Officina”, sostituito da dirigenti manager (pagina 6) portavoci di interessi slegati dalla realtà locale, bellinzonese e regionale. E allora, in quale direzione stanno andando le Officine di Bellinzona? Il «potenziamento», la «modernizzazione» annunciate da Nordmann sono un passo da salutare oppure da guardare con sospetto? Prefigurano un consolidamento delle Obe quale officina della grande manutenzione, oppure un suo “snellimento”, altre esternalizzazioni di settori d’attività, una crescente spe- Ffs Franco* ricorda bene quei giorni 24 e 25 aprile: l’avviso «alle 16.10 circa» che l’indomani sarebbe dovuto «andar su» dal capo-reparto («non sapevo ancora perché»); l’incontro col suo superiore che alle 8 di mattina gli consegna la lettera dove sta scritto che il suo posto è soppresso; la firma della “ricevuta”; il mondo che pochi minuti dopo «mi crolla addosso»; il collasso del collega, come lui congedato la mattina stessa; la telefonata alla moglie che resta senza parole dall’altra parte del filo; i figli che fanno fatica a capire; i genitori anziani ai quali non dice nulla, e che la mattina del 26 leggendo sui giornali dei tagli alle Officine esclamano: «iè matt». Mercoledì 25 aprile. Scende in Ticino Daniel Nordmann, direttore generale di Ffs Cargo. «Le Officine di Bellinzona sono strategicamente ben posizionate ma troppo care», dice in una conferenza stampa. Lo stabilimento va «ammodernato», la produttività «sensibilmente aumentata»: metodo Kaizen (vedi a pagina 10), metodo MultiMoment, più flessibilità nell’impiego della manodopera, 30 milioni nei prossimi cinque anni, 70 posti di lavoro in meno, 25 persone trasferite al Noa. Franco un paio d’ore prima aveva saputo che il suo posto era stato soppresso e che lui era una delle 7 persone che già nel 2007 sarebbero state trasferite al programma di riqualifica “Nuovo orientamento e attività professionale” (Noa). Una mazzata a 50 anni passati per lui e la sua famiglia. Franco era entrato alle Officine negli anni ’80. Ha lavorato nel reparto carrozze fino a pochi anni fa, quando a Bellinzona è stata tolta la manutenzione dei mezzi del traffico viaggiatori. Da allora ha svolto diverse mansioni all’interno dello stabilimento, vivendo una sorta di riqualifica “empirica” all’interno delle Officine, una soluzione sempre meno praticata da quando è stato inventato il Noa per collocare i dipendenti in esubero in altri servizi delle Ffs, ma anche al di fuori di esse («Perché, con tutto il rispetto, ti puoi ritrovare anche a spostare merci alla Migros…», dice). In fondo Franco sospettava che prima o poi sarebbe stato «scaricato nella somodo due anni, a salario pressoché garantito: «Le Officine mi hanno dato tanto, sia umanamente che professionalmente. Certo che oggi ho un’età che non è facile. Dovrò adattarmi…», dice. * Nome fittizio. La vera identità è conosciuta alla redazione. D’accordo con il nostro interlocutore, alcuni particolari della sua testimonianza sono stati omessi o leggermente modificati, senza alterare la sostanza del suo racconto. cializzazione, altre riduzioni di personale e, in un futuro più o meno prossimo, la cessione a terzi dell’intera struttura o di alcune sue parti, come del resto avvenuto a Bienne? Non lo sappiamo. Certo che quando il direttore generale di Ffs Cargo afferma che «nel mercato liberalizzato vinceranno i migliori, non i più grandi» (1) c’è poco da stare tranquilli. Tranquilli lo si è ancor meno sapendo che oggi per la riparazione e la manutenzione dei loro carri merci gli operatori privati del settore ferroviario scelgono un’officina o un impianto di servizio soprattutto in funzione della prossimità di questi al mercato dei loro principali clienti (pagina 9). E non si può che essere inquieti leggendo gli studi delle maggiori ditte di consulenza specializzate nel traffico merci su rotaia, tutte più o meno d’accordo sulla necessità per le ex compagnie ferroviarie statali di concentrarsi sulle attività commerciali disfandosi – cioè affidandola a terzi (privati) – della manutenzione del materiale rotabile. In questo dossier, un viaggio alle Officine e nei suoi dintorni, alla ricerca di voci “altre” su una realtà che il mercato sta modificando in profondità. (1) Corriere Ffs, 18 ottobre 2006 area dossier 6 6 luglio 2007 “Si lavorava come una famiglia, più alla buona” Alfredo Keller è stato direttore delle Officine di Bellinzona dal ’73 al ’91. Sul futuro dice: “Stanno preparando le condizioni per la vendita” mento federale dei trasporti), che ammonisce parafrasando il critico e A 78 anni, e dopo 17 di pensione, storico della letteratura italiana Alfredo Keller segue ancora «con Francesco De Sanctis: «Ricordatedispiacere» e occhio critico «le peri- vi, o managers, che prima di essere pezie» delle Officine Ffs di Bellinzo- ingegneri siete uomini!». na che lui diresse (assieme a quelle Ancora in regime di monopolio ferdi Biasca, esistite fino a pochi anni roviario, le Officine Ffs di Bellinzona fa) dal 1° settembre 1973 al 28 feb- sotto la sua direzione disponevano braio 1991. Oggi deplora «la mega- di «ottime capacità, tecnologiche e lomania» dei dirigenti di Ffs Cargo, organizzative, per eseguire la mae non può fare a meno di provare un nutenzione di tutti i veicoli: locomocerto rimpianto per quei tempi in tive, carrozze viaggiatori, carri cui una delle più importanti indu- merci», ricorda l’ex direttore nella strie del Ticino era «un po’ come sua casa di Bellinzona-Carasso. I una famiglia, più alla buona». mestieri rappresentati erano numeDi origini zurighesi ma nato e cre- rosi: «sulle locomotive lavoravano sciuto a Chiasso, dove il padre si era meccanici, elettromeccanici, elettrasferito negli anni ’20, Alfredo tronici, riparatori dei grossi motori Keller si è laureato in ingegneria al elettrici; sulle carrozze c’erano, olPolitecnico di Zurigo. Una quindici- tre a meccanici ed elettromeccanici, na d’anni all’Amministrazione dei anche metalcostruttori, falegnami, telefoni (a Zurigo dapprima, quindi sellai, pittori; e sui singoli pezzi laalla direzione generale a Berna), poi voravano meccanici, metalcostrutil ritorno definitivo in Ticino nel tori, saldatori». Una situazione mu1969, come vice del direttore del- tata radicalmente nel 2000 a seguito della “divisional’Officina Viktor delle Wiedmer. Keller “Assunsi anche i primi lizzazione” Ffs, con la consenon ha mai fatto operai stranieri, ma guente attribuzione mistero delle sue simpatie politiche. ad alcuni non andò giù” delle Officine della capitale alla DiviHa passato l’adolesione Cargo delle scenza respirando aria di antifascismo lungo il confine Ffs: così «con le carrozze viaggiatoa Chiasso durante l’ultima guerra ri se n’è andato anche il sapere di (visse da vicino la morte del macchi- diverse categorie di artigiani, come nista Lindoro Bezzola, mitragliato a ad esempio i sellai». morte da un caccia americano; il fi- Keller interpretò in modo attivo il glio di Lindoro, Mario, diventerà an- suo ruolo di direttore: «Ero spesso ni dopo capo del personale alle Offi- fuori dal mio ufficio, a contatto con cine, braccio destro di Keller). Mem- il personale, verificando di persona bro fondatore dell’Associazione e “mettendo il naso” nei problemi svizzera inquilini di Bellinzona e tecnici che si presentavano quotidintorni agli inizi degli anni ’70, l’ex dianamente: così restavo aggiornanumero 1 delle Officine è sempre to, tastavo con mano sia le problestato vicino alla sinistra radicale: il matiche tecniche sia i rapporti tra Partito socialista autonomo-Psa pri- le diverse categorie del personale. ma, il Movimento per il socialismo- Ricevevo gli ordini dall’alto, ma per Mps oggi (quale candidato al Gran me era altrettanto importante aveconsiglio alle ultime elezioni canto- re un feedback dagli operai. E non nali). Fino a pochi anni fa è stato at- ho mai sentito barricate, lavoravativo nel Pv, il gruppo pensionati del mo tutti per lo stesso scopo». Con Sindacato del personale dei traspor- Keller direttore, alle Officine di Belti (Sev). E da quando si è costituito il linzona il personale arrivò a superacomitato “Giù le mani dall’Officina!” re quota 700. Gli chiediamo: non si non è raro sentirlo criticare pubbli- è esagerato, ad esempio assumendo camente la politica portata avanti con disinvoltura personale poco dagli attuali dirigenti di Ffs Cargo qualificato, oggi “in esubero”? (l’ex sindacalista Daniel Nordmann) «Avevamo bisogno anche di operai o dai “compagni” Benedikt Weibel senza tirocinio – ribatte Keller –, so(socialista, ex capo delle Ffs) e Mo- prattutto per la riparazione dei carritz Leuenberger (capo del Diparti- ri merci, e trovarli non era facile: è di Stefano Guerra vero, abbiamo assunto anche parecchia gente senza qualifiche, ma allora era una necessità». Verso la fine degli anni ’70, inoltre, l’ex direttore sfatò il tabù che voleva che solo gli svizzeri avessero diritto a un posto “in ferrovia”. Vennero assunti i primi italiani, poi alcuni extra-europei, «e ad alcuni operai di casa nostra questo non andò giù, almeno in un primo tempo», rammenta. Aldilà di occasionali screzi, Alfredo Keller ricorda di avere sempre intrattenuto rapporti cordiali ma franchi con il personale. «Se c’erano problemi, li risolvevamo tra di noi: i rappresentanti della Commissione del personale venivano direttamente da me e ne parlavamo assieme, il sindacato interveniva poco». Ciò accadeva anche quando si trattava di discutere di assenze, uno degli assilli di Alfredo Keller che entrò in rotta contro i medici compiacenti, dal certificato facile: «una battaglia contro i mulini a ricorda. vento», Battaglia con i dottori da un lato, dialogo col personale – a volte duro, ma sempre «usando un po’ di psicologia» – dall’altro. Invece Keller ha sempre intrattenuto «rapporti conflittuali» con la politica ticinese. Prima di tornare in Ticino e di firmare il contratto con le Officine, mise i puntini sulle “i”: «“voglio essere indipendente dalle forze politiche, perché so come vanno le cose qui”, dissi». Poi, da direttore, nessuna grossa pressione, ma tante sollecitazioni puntuali più o meno dirette. In un’occasione la sua inflessibilità gli costò persino l’ostilità di un suo stretto collaboratore che, appoggiato da influenti personaggi politici della regione cui era stata negata una raccomandazione, a cavallo tra il 1979 e il 1980 tentò senza riuscirvi – anzi, pagandone le conseguenze con un trasferimento – una sorte di “golpe” nei suoi confronti. «Giunsi al punto – ricorda Keller – di esporre all’albo un “editto” nel quale c’era scritto che “la raccomandazione toglie dignità a chi la domanda”: volevo far capire che se qualcuno aveva una promozione era perché se l’era meritata e in base ai regolamenti della Ferrovia e dell’Officina, e non grazie alle buone parole di un perso- naggio “influente”». Tempi andati. Al giorno d’oggi le maggiori pressioni sui dirigenti dello Stabilimento industriale di Bellinzona non provengono più dalla realtà sociale e politica locale (con i suoi traffici di influenze più o meno sotterranei), bensì dai calcoli contabili e dalle priorità transnazionali dei vertici dell’azienda stessa. Nonostante le loro rassicurazioni, Keller è pessimista: «È bello sapere che investono, ma sarebbe meglio sapere qual è la meta finale che vogliono raggiungere. Ho l’impressione che stiano preparando le condizioni per la vendita: entro quanto tempo non lo so, ma mi pare che questa sia la loro visione». Come un giornalista non può visitare le Officine e incontrarne il capo In questa pagina, oltre a un ritratto di Alfredo Keller (articolo sopra), avreste dovuto leggere un’intervista all’attuale direttore delle Officine Ffs di Bellinzona. Volevamo cogliere l’occasione da un lato per cercare di capire in che direzione sta andando lo stabilimento della capitale, dall’altro per conoscere meglio Paul Haener e il suo modo di interpretare il ruolo che riveste dall’aprile 2004. Invece, dovete accontentarvi per ora delle rassicurazioni di Ffs Cargo circa il futuro delle Officine di Bellinzona e di quel poco che molti sanno già del suo direttore (vedi riquadrato a lato). Noi, da giornalisti indipendenti, ce l’abbiamo messa tutta. E siamo sicuri che anche le nostre sollecite interlocutrici abbiano fatto il possibile. Sta di fatto che già a metà maggio avevamo telefonato alla direzione delle Officine per chiedere se era possibile intervistare Paul Haener e visitare lo stabilimento. Il 1. giugno arriva l’ok da Bellinzona: intervista e visita fissate per venerdì 15 giugno, domande da inoltrare in anticipo, entro venerdì 8. Fatto: venerdì 8 inoltriamo le domande. Lunedì 11 arriva una e- mail dalla direzione delle Officine: venerdì 15 Haener è fuori ufficio, propongono lunedì 25 dalle 14 alle 16. È il primo atto di un batti e ribatti telefonico e via e-mail che dopo altri due rinvii sfocia una decina di giorni più tardi in una telefonata dalla sede di Ffs Cargo: «Mi dispiace, ma neanche lunedì 25 va bene. In ogni caso – ci fanno sapere da Basilea – il signor Rytz (Christoph, responsabile media di Ffs Cargo, ndr) dice che non c’è nulla di nuovo da dire rispetto alla conferenza stampa di fine aprile. Forse ci saranno novità dopo l’estate». «Mi dispiace – si rammarica la nostra gentile e disponibile interlocutrice –. Normalmente non è così: è stato un accumularsi di circostanze» (come la momentanea indisponibilità del responsabile della comunicazione per le Ffs in Ticino, che si occupa dell’accesso dei giornalisti ai vari servizi dell’azienda, ndr). Una domanda: al di là delle circostanze attenuanti, possibile che sia tanto complicato oggi mettere piede alle Officine di Bellinzona (tanto più che stanno a un tiro di schioppo dalla casa di chi scrive…)? s.g. Alfredo Keller era un capo officina, Paul Haener è un manager: cambia il modo di intendere il ruolo di direttore Paul Haener Il direttore è un Udc. E si fa gli affari suoi Paul Haener, l’attuale direttore delle Officine Ffs di Bellinzona, è nato il 20 aprile 1944 a Zullwil (Soletta), risiede a Claro, ed è ingegnere. A Registro di commercio figura quale liquidatore (già presidente) della TiConnect Sa e dal 2000 presidente del consiglio d’amministrazione della TiEngineering Group, società anonima con sede a Cadempino che si occupa tra l’altro di «sviluppo, progettazione, costruzione e commercializzazione di macchine, apparecchi ed attrezzature industriali (…), acquisizione di componenti (…), consulting d’impresa, design ed engineering di procedure aziendali (…)». In passato Haener aveva lavorato per la Ambrosetti Technologies, la Franco ditta che fu di Ambrosetti; è stato inoltre nel gruppo di lavoro che nella seconda metà degli anni ’90 affiancò l’economista Carlo Pelanda nella preparazione del Libro Bianco per il rilancio economico del Cantone voluto dalla ex ministra delle finanze Marina Masoni. Candidato Udc (non eletto) alle elezioni per il Gran Consiglio nel 2003, è arrivato alle Officine di Bellinzona come consulente al momento della partenza di Erich Bütikofer (direttore dal 1999), congedato senza complimenti da Ffs Cargo nel marzo 2003 assieme all’omologo di Bienne: un anno dopo, nell’aprile 2004, è subentrato al direttore “lampo” Stefano Colombo che poche settimane prima aveva preso il posto del direttore ad interim Luca Bernasconi. A differenza dei suoi predecessori (con l’eccezione di Colombo), Paul Haener non vanta una carriera in ferrovia. Nell’autunno 2004 è rimasto coinvolto nell’“affare TiEngineering Group”: un mandato da 1,1 milioni di franchi per l’acquisizione di pezzi per gli impianti di climatizzazione da installare nelle cabine di guida delle locomotive Re4/4 e Re6/6, mandato aggiudicato in buona parte alla ditta di cui Haener è presidente. Al termine di una verifica, Ffs Cargo concludeva che: Haener «non ha osservato tutte le prescrizioni in materia» (e lo stesso direttore «ne è particolarmente dispiaciuto»); «Ffs Cargo non è stata assolutamente danneggiata finanziariamente. Al contrario (…)»; «Negli ultimi sei mesi, Paul Haener ha svolto un lavoro eccellente. Grazie alle misure da lui stesso introdotte (…), lo Stabilimento industriale ha intrapreso passi decisivi verso un aumento della produttività richiesto con urgenza». Chi, sul fronte opposto, ha a che fare con Paul Haener gli riconosce un pregio: la franchezza («dice le cose come stanno, senza tanti giri di parole»). s.g. Ffs L’intervista che non c’è area dossier 6 luglio 2007 7 L’operaio-sindacalista che non rinuncia a battersi Da 28 anni lavora alle Officine, da 22 lotta per i diritti degli operai: Gianni Frizzo non si sente solo, anche se affiora una certa stanchezza nato sui banchi di scuola: due giorni la settimana, per due anni, all’Arti e Dice che deve scrivere, mettere tutto mestieri di Bellinzona per ottenere nero su bianco. Ogni pezzetto di car- un certificato di manutentore di veita va bene: un bigliettino, un angolo coli ferroviari. Da allora lavora nel di foglio, lo spazio tra parole e frasi reparto avvolgitori. già redatte da altri. Scrivere subito, Quando si parla di sindacato, Gianni per dare un’immediata sicurezza Frizzo si infiamma. «Grandi denuncalligrafica a sensazioni e idee, ma ce, proclami, ultimatum: ma l’azienanche per evitare che queste poi da (Ffs Cargo, ndr) ha sempre tirato sfuggano: per non ritrovarsi un gior- dritto per la sua strada. Il sindacato no a doverle cercare frugando nelle invece è rimasto indietro, arranca, e secche della memoria. Logico che ha perso la capacità di mobilitare i oggi l’archivio personale di que- lavoratori». Iscritto al Sindacato del st’uomo di 51 anni scoppi. Un picco- personale dei trasporti (Sev) dal ’79, lo locale nello scantinato e un arma- dal ’93 Frizzo è presidente della sedio nello studio al zione materiale roprimo piano della (Rm) dello La sua casa è piena tabile sua casa di San Vitstesso Sev, carica di appunti personali alla quale nel 2000 tore trattengono a stento appunti peraggiunta quella e documenti sindacali sidi èpresidente sonali e documenti della sindacali, aziendali Commissione del e “politici” accumulati in 28 anni di personale (Cope) del settore manuOfficine, 22 di militanza sindacale tenzione in Ticino. Un doppio ruolo attiva, 7 di presidenza della Com- che non piace alla direzione delle missione del personale, 12 di Muni- Officine e che anche all’interno del cipio e decine e decine di riunioni, Sev qualcuno non vede di buon ocassemblee, manifestazioni, serate chio. Lui lo difende con «la necessiinformative e congressi. Bruna, la tà che il sindacato si rafforzi sul moglie, ha tentato più volte di fare luogo di lavoro». pulizia: «“alt, toca mia!”, non tocca- La «latitanza sindacale» e la deterre» si è sempre sentita rispondere. minazione con la quale Ffs Cargo Sulla terrazza di casa, a pochi metri porta avanti la sua offensiva stratedalle rotaie della vecchia linea in gica per adeguarsi alla “realtà” del disuso Bellinzona-Mesocco, Gianni mercato, hanno messo Gianni FrizFrizzo avverte: «Ho bisogno di pa- zo di fronte a nuove sfide. Da un laletti, altrimenti vado in mille dire- to, l’operaio-sindacalista volente o zioni». È un generoso, e quando si nolente oggi si ritrova a giocare su racconta – in dialetto “d’in su”, del un terreno che conosce poco, a conMoesano – è un fiume in piena. È di frontarsi con i vertici dell’azienda su origini vicentine, ma nato e cresciu- temi relativamente nuovi come i meto tra Roveredo e San Vittore dove i todi di gestione del personale, il lagenitori si trasferirono definitiva- voro interinale, il livello dei prezzi mente alla fine degli anni ’50. Spo- sul mercato della manutenzione, sato con Bruna, due figli di 29 anni e ecc. Uno sforzo enorme, che per «un 25 anni (il primo educatore in for- testardo come me», afferma, si tramazione, il secondo grafico), nonno duce tra le altre cose in ore di navidi due nipoti, Gianni Frizzo è entra- gazione su internet alla ricerca di teto alle Officine Ffs di Bellinzona il 1o sti d’approfondimento sul Kaizen marzo 1979. Di formazione tappez- (vedi a pagina 10)… Dall’altro, vi è la ziere-decoratore, per vent’anni ha faticosa presa di coscienza che ogni riparato e sostituito i rivestimenti cosa ha i suoi tempi: «Ho cambiato dei sedili di carrozze e locomotive. atteggiamento, sia nel rapporto con «Fino al patatrac», esclama: la chiu- il prossimo che con i miei colleghi – sura del reparto selleria a seguito racconta Gianni Frizzo –. Prima, dell’attribuzione dello stabilimento quando si organizzavano manifestadella capitale alla divisione merci zioni e pochi si facevano vivi, tendedelle Ffs, con la conseguente perdita vo a prendermela con loro, ad accudelle carrozze. Gianni Frizzo lo ri- sarli di passività. Poco a poco però corda come uno dei momenti più du- ho maturato la convinzione che mori della sua vita. Si è trattato, a 44 bilitare delle persone in difesa del anni, di imparare un nuovo mestie- loro posto di lavoro è un impegno di re. Assieme ad alcuni colleghi è tor- lunga durata. Ma ho dovuto fare Gianni Frizzo era tappezziere, ma poi hanno chiuso il reparto selleria. Così ha dovuto imparare un altro mestiere tutto un lavoro su me stesso per sindacale, di soddisfazioni e bei moconvincermi». Non si sente mai so- menti ma anche di delusioni cocenti lo? gli chiediamo: «No, solo no. Molti e una costante frustrazione di fondo, colleghi mi spingono: “vai avanti, in Gianni Frizzo affiora una certa siamo con te”. Forse ho troppa fidu- stanchezza. «22 anni sono un po’ cia nella gente, non lo so. Ma è un tanti, forse sarebbe ora di farsi da fatto che il disagio c’è, lo si sente parte», dice sorridendo. «Vengo solanche se lo si vede poco. È troppo lecitato spesso sul posto di lavoro, e comodo stare a contare gli operai nel limite del possibile ascolto sempresenti a una manifestazione: i mo- pre, cerco di dare una mano. In certi tivi che spingono qualcuno a non momenti – confessa – mi sento stanuscire allo scoperto possono essere co, vuoto, schiacciato da problemi che ti “prendono” molti, dalla manHo un vancanza d’abitudine “I colleghi mi spingono: troppo. taggio: che mi rialla paura perché forse ho troppa sollevo velocemenc’è una famiglia da mantenere, ecc. Se fiducia nella gente” te, e che riesco a dare il meglio di i lavoratori non si me quando sono fanno vedere è perché non si sentono abbastanza pro- sotto pressione. Devo sempre lottatetti, ma questa protezione non glie- re per trovare la giusta tensione, il la posso dare io, è responsabilità dei punto di equilibrio tra quel rilassavertici sindacali. Io non giudico nes- mento che mi fa paura perché non suno, posso parlare solo per me: non mi permetterebbe di dare il meglio sono un incosciente, e ci penso ogni di me e quel sano rilassamento che giorno al rischio di perdere il lavoro. invece mi aiuta a non rivangare il Ma a un certo punto devi fare una passato, a non rimuginare su proscelta: io non ce la faccio a rinuncia- blemi sindacali che mi fanno prenre a battermi per le mie idee, per i dere rabbia». «Ultimamente – osserva – qualche passo avanti lo sto favalori in cui credo». Dopo oltre un ventennio di militanza cendo: la biografia di Tiziano Terza- “Il collega interinale non se la sente” Carlo racconta la sua esperienza: disoccupato, il posto alle Officine gliel’ha trovato l’Adecco per 21 franchi l’ora di Stefano Guerra L’appuntamento è alle 17 in un bar a un tiro di schioppo dalle Officine Ffs di Bellinzona. Carlo* è appena uscito dal lavoro. Arriva solo. Quando un paio di settimane fa l’avevamo contattato per chiedergli di raccontarci la sua esperienza di lavoratore Adecco alle Officine, ci aveva detto che avrebbe trasmesso l’invito a un collega, anch’egli “interinale”. «Glie l’ho chiesto, ma non se la sente. Preferisce non esporsi». Oggi sei qui, domani chissà. Nell’era dell’adeguamento delle ex regie federali alle esigenze del mercato, neppure alle Officine Ffs di Bellinzona ha senso parlare ancora di “posto fisso”. È così per chiunque: per chi ha un contratto a tempo indeterminato, per chi alle Officine è entrato quando il posto di lavoro era detto sicuro, e a maggior ragione per i cosiddetti “interinali”, ingaggiati a partire dal 2002 tramite l’agenzia di collocamento Adecco e, in misura minore, dalla Man- power. Per la settantina di lavoratori Adecco e Manpower attualmente impiegati a Bellinzona (vedi tabella a pagina 8), alcuni dei quali “interinali” da anni, l’incertezza è la regola. Il contratto di Carlo almeno prevede un mese di disdetta, ed è già qualcosa nel mondo del lavoro precario. Ma il salario è quel che è (sui 21 franchi netti all’ora) e le speranze di assunzione al termine del periodo di prova di tre mesi sono ridotte al lumicino, tanto più adesso che Ffs Cargo ha appena annunciato la volontà di tagliare 70 posti di lavoro nello stabilimento della capitale. A lui comunque per ora va bene così: «questo lavoro ho dovuto accettarlo perché avevo terminato il diritto alla disoccupazione, ma non ho l’intenzione di passare una vita alle Officine. Se dovessero farmi una proposta di assunzione credo che l’accetterei, ma continuerei a guardarmi in giro». Carlo, 30enne bellinzonese, è entrato alle Officine pochi mesi fa al termine di un lungo periplo professionale. Terminato l’apprendistato aveva trovato un posto fisso in una grossa ditta della regione. Cinque anni con un buon contratto, poi la ditta è fallita. Da allora, salvo una parentesi di un paio d’anni, una serie di lavori precari che duravano qualche mese, in attesa di una nomina mai arrivata. Poi la disoccupazione, con sei mesi di programma occupazionale. Scaduto il termine quadro Carlo si è ritrovato senza un’entrata, una situazione critica ma sopportabile non avendo una famiglia a carico. Passa qualche settimana e trova un impiego con un contratto a tempo determinato. Nel frattempo viene a sapere da un conoscente (anch’egli lavoratore “interinale”) che alle Officine Ffs di Bellinzona cercano personale. Si rivolge all’agenzia Adecco, e la cosa in breve tempo va in porto: «In genere sono abbastanza contrario a queste agenzie, però li devo ringraziare perché mi hanno aiutato in un momento critico», dice. Durante le prime due settimane alle Officine Carlo ri- ceve un’istruzione da un collega più anziano. Il lavoro che deve svolgere ha poco a che vedere con la sua formazione, anche se Carlo in passato si è per forza di cose dovuto arrangiare a fare un po’ di tutto. «Praticamente da subito sono stato produttivo: dopo 15 giorni lavoravo già autonomamente, facendo le stesse cose delle persone che sono lì da vent’anni. E il fatto di fare qualcosa di completamente nuovo mi provocava stress. Adesso però mi sento sicuro». Il lavoro è duro, e «per chi ha quasi sempre lavorato all’aria aperta e ora non vede la luce del sole tutto il giorno» lo è ancor di più. All’inizio la polvere alla quale non è abituato gli provoca disturbi respiratori, un problema subito risolto grazie all’uso di una maschera. In generale, comunque, le condizioni di lavoro sono buone e gli addetti alla sicurezza si dimostrano disponibili: «Non fanno certo speculazioni su salute e sicurezza. E se tu chiedi qualcosa ti ven- ni, il romanzo “Cecità” di José Saramago...». Quando la frustrazione affiora, Gianni Frizzo oggi dichiara di volersi «liberare un giorno da tutte le etichette: di partito, di sindacato, eccetera». Qualche passo l’ha già fatto: pochi anni fa restituì la tessera del Partito socialista, avvicinandosi poi alla sinistra radicale ticinese; inoltre, assieme a Bruna – e, occasionalmente, ai figli e alla mamma Fernanda – da qualche anno ha scoperto nel variegato movimento noglobal nuove ragioni di speranza, o semplicemente un’inedita dimensione dello star bene. Quando smette di parlare di questioni sindacali e la rabbia sbolle, il sindacalista-noglobal si entusiasma parlando del Forum sociale europeo di Firenze nel 2002, di quello di Parigi nel 2004, o di una manifestazione contro la guerra in Iraq a Berna nel 2003. Scherzando, dice che un giorno scriverà un libro sulla sua vita di sindacalista. Se e quando lo farà, non sarà più per trattenere, per evitare che qualcosa sfugga. Sarà per lasciar andare, e allora qualcos’altro arriverà. gono incontro in ogni modo». Con i colleghi di lavoro, sia quelli “interinali” che quelli “fissi”, le cose funzionano bene. Il suo superiore non gli fa pesare la sua condizione: «Però questa è la realtà del mio reparto, negli altri non so com’è…». Carlo dice di non subire particolari pressioni per svolgere più velocemente il suo lavoro. Il Kaizen (metodo importato dal Giappone in corso di sperimentazione a Bellinzona, e che secondo i dirigenti di Ffs Cargo dovrebbe aumentare la produttività nei suoi stabilimenti di manutenzione, vedi a pagina 10) lo lascia tra l’indifferenza e la perplessità: «Tutto può servire, ma a me per ora sembrano teorie. Come si fa a paragonare le Officine con la Toyota? La Toyota produce auto nuove, qui facciamo manutenzione, e per giunta lavoriamo con diversi macchinari vecchi. In ogni caso dovranno passare anni prima che si possano vedere i frutti. E poi mi chiedo quanto costano quelle persone che stanno lì a controllare come lavoriamo». «Ci sono altri problemi, più importanti, da affrontare», dice Carlo. * Nome fittizio. La vera identità è conosciuta alla redazione. D’accordo con il nostro interlocutore, alcuni particolari della sua testimonianza sono stati omessi o leggermente modificati, senza alterare la sostanza del suo racconto. Ffs di Stefano Guerra area dossier 8 In troppi a far manutenzione Forte concorrenza per le Officine, che fare? Parla Roger Derungs del sindacato Sev Lunedì 2 luglio arriva la notizia. Il progetto “Zephyros”, che prevedeva l’appalto alla ditta privata Stadler di una parte della manutenzione delle carrozze della Divisione Ffs Viaggiatori, è stato ritirato. Lo ha reso noto il Sev in una nota stampa, sottolineando che l’abbandono di “Zephyros” permette di salvaguardare 100 posti di lavoro all’Officina Ffs di Winterthur. Una buona notizia per il personale e il sindacato Sev che si era opposto al progetto. area ne ha parlato con Roger Derungs, vicepresidente della sottofederazione materiale rotabile (Rm) del sindacato Sev, allargando il discorso alla questione delle Officine Ffs di Bellinzona. Roger Derungs, all’ultima assemblea dei delegati della vostra sottofederazione e al congresso dello stesso Sev sono state votate delle risoluzioni per bloccare il progetto “Zephyros” avviato in collaborazione tra Ffs e Stadler Rail. Di cosa si trattava e perché vi preoccupava tanto? È un dato di fatto che in Europa c’è una sovracapacità del 30 per cento nel settore della manutenzione del materiale rotabile. Per essere pronta ad affrontare le sfide future la Divisione viaggiatori delle Ffs ha cercato nuove vie. Da un lato con l’ottimizzazione dei processi lavorativi nevralgici e con un consolidamento sul proprio territorio di riferimento. D’altro lato anche cooperando con terzi, come è il caso del progetto “Zephyros”, che doveva essere applicato solo per la Divisione traffico viaggiatori e non per Ffs Cargo, e dunque non riguardava le Officine di Bellinzona. Accan- Ffs Sulla rete liberalizzata tutti sono contro tutti to alla rinuncia al progetto “Zephyros” abbiamo anche chiesto che non vi sia nessuna esternalizzazione di prestazioni e la pattuizione di un contingente minimo di collaboratori per tutta la durata del Contratto collettivo di lavoro. Come giudica la posizione di Ffs Cargo nel mercato svizzero ed europeo della manutenzione del materiale rotabile? Nella manutenzione e nella revisione di locomotive Cargo direi che Ffs Cargo ha una buona posizione, perché proprio sulle tipiche locomotive svizzere ma anche sulle Siemens abbiamo un buon capitale di conoscenze tecniche e buoni collaboratori. Inoltre è noto che le Officine di Bellinzona eseguono lavori e revisioni anche sulle locomotive del traffico viaggiatori. Per quel che riguarda la manutenzione di carri merci a medio termine le prospettive sono buone. In più vengono trasferiti dei lavori a Bellinzona che prima si svolgevano a Bienne. E pure il risanamento fonico dei carri merci, che sarà concluso presumibilmente nel 2009, si fa a Bellinzona. In quel momento verrà cancellato il posto di lavoro di quei 30 collaboratori temporanei che attualmente danno man forte per questi lavori. Come interpreta le ultime misure annunciate da Ffs Cargo (soppressione di 70 posti di lavoro, investimenti dell’ordine di 30 milioni) per le Officine di Bellinzona? Naturalmente è una pillola amara da mandare giù se nel sito di Bellinzona vengono cancellati 70 posti di lavoro. Questi 70 posti di lavoro dovrebbero essere cancellati su un periodo di tre anni ricorrendo alle fluttuazioni naturali, così che non dovrebbero essere necessari licenziamenti. Ma questa è una piccola consolazione, perché i 70 posti vanno comunque persi. Ora è compito dei partner sociali sorvegliare questa riduzione di posti di lavoro 6 luglio 2007 Ffs Cargo in cifre Ffs Cargo in Svizzera Collaboratori 2000 3500 Clienti Rete in km 2954 Punti di servizio 323 (private 90) Carri consegnati giornalmente 9000 Treni al giorno 2000 Settore manutenzione in Svizzera Collaboratori Sedi Veicoli in manutenzione 900 1 stabilimento industriale (Bellinzona) 1 stabilimento industriale partner (Bienne) 5 impianti di manutenzione 10 squadre mobili Carri merci 20 000 Locomotive di linea 570 Locomotiva di manovra 900 Mezzi di servizio e carri speciali 1000 Ffs Cargo international Collaboratori 1400 Clienti 430 Piattaforme in Italia e Germania 6 Carri al giorno 5200 Treni giornalieri 300 I conti di Ffs Cargo Risultato d’esercizio 2004: Risultato d’esercizio 2005: Risultato d’esercizio 2006: – 2.8 milioni di franchi – 165.7 milioni di franchi (gravato da accantonamenti per ristrutturazioni di 110 milioni di franchi) – 37.3 milioni di franchi e trovare in loco le migliori soluzioni per il personale interessato. È già l’ennesima ristrutturazione di Ffs Cargo. Per questo motivo il Sev ha posto chiare condizioni anche alla direzione di Ffs Cargo. Gli investimenti di 30 milioni negli impianti di produzione e nella modernizzazione sono naturalmente necessari per la pressione esercitata dalla già ricordata sovracapacità del 30 per cento nel settore della manutenzione, e questo per poter produrre in maniera più conveniente. Questo però promette anche nel contempo di creare 300 posti di lavoro sull’importante asse strategico Nord-Sud. Secondo lei le Officine Ffs di Bellinzona rischiano di subire a medio termine la stessa sorte (semipriva- tizzazione o vendita) di quelle di Bienne? Come impedirlo? Se lo sapessi cercherei già oggi le soluzioni per impedire la vendita o la semiprivatizzazione cui si accennava. Ma come ho già detto, una totale esternalizzazione della manutenzione è molto pericolosa anche per Ffs Cargo. Per allentare la tensione dovuta a questo 30 per cento di sovracapacità c’è soltanto una soluzione: concludere un contratto collettivo di lavoro di obbligatorietà generale di buon livello e sociale per tutte le ditte attive nella manutenzione del materiale rotabile in tutta Europa e certificare che la qualità della manutenzione del materiale rotabile si situi ad un elevato standard di sicurezza. s.g. Sono sempre più gli interinali Appaltando i lavori Ma il loro numero scompare per l’uso ambiguo delle cifre da parte di Ffs Cargo di Stefano Guerra Parola di Paul Haener: (…) «l’effettivo del personale delle Officine di Bellinzona è costante e non ha subito diminuzioni, tanto che al 31 dicembre 2003 gli Fte ammontavano a 417 e al 30 aprile 2007 assommavano a 416» (Corriere delle officine, edizione 5/07, 19 giugno 2007). Il direttore delle Officine Ffs di Bellinzona non racconta frottole. Effettivamente, se vogliamo ragionare in termini di “Full Time Equivalent” (Fte, “equivalente in tempo completo” o unità occupazionali a tempo pieno), è corretto affermare che allo stabilimento di Bellinzona il personale è rimasto stabile negli ultimi anni. La realtà, però, è più complessa. Vediamo perché. Prima di tutto, gli Fte sono i posti (o unità occupazionali) a tempo pieno. Un Fte può equivalere a una persona (o “testa” in gergo aziendale) se questa è occupata a tempo completo (100 per cento), oppure a due persone se queste sono occupate a tempo parziale (entrambe al 50 per cento, o una al 60 e l’altra al 40 per cento, ecc.), o addirittura a 3 e più persone. L’Fte misura quindi il grado occupazionale effettivo all’interno di un’azienda, non il numero di “teste” impiegate. Siccome non tutte le persone lavorano a tempo completo, l’Fte è sempre inferiore al numero di “teste”. In termini di contabilità aziendale, l’utilizzo del parametro Fte invece di quello delle “teste” è indispensabile per avere un preciso controllo dei costi. Quando però un’azienda lo usa nei rapporti con i mass-media e il pubblico in generale, ecco che allora il parametro Fte può trasformarsi in un tra- I veri numeri Le conseguenze dell’esternalizzazione sull’impiego di Francesco Bonsaver Evoluzione collaboratori (assunti in pianta stabile) e personale temporaneo (“interinali”) alle Officine di Bellinzona, 1990-2007* anno Collaboratori stabili “interinali” 19901 19931 19951 19981 20001 20011 20021 20031 2004 2005 2006 20075 570 540 520 483 430 431 426 411 408 383 380 373 0 0 0 0 0 0 162 173 sconosciuto 324 sconosciuto 68 bocchetto, se non in un efficace strumento di propaganda atto a mascherare una realtà ben più sfaccettata. Quando Ffs Cargo afferma che verranno soppressi 70 posti di lavoro nello stabilimento di Bellinzona, dobbiamo capire che cadranno 70 “teste” (persone in carne e ossa) oppure che verranno cancellati 70 Fte, equivalenti a più di 70 “teste”? Andate a chiedere se fa lo stesso a chi perde il lavoro! In secondo luogo, i vertici di Ffs Cargo e la direzione delle Officine di Bellinzona tendono con regolarità crescente a mettere in un unico calderone i collaboratori assunti in pianta stabile con contratto Ffs e il personale interinale ingaggiato tramite le agenzie Adecco e Manpower. Un’integrazione statistica dei cosiddetti “interinali”, una sorta di normalizzazione contabile dei lavoratori precari che * Tutti i dati si riferiscono alle “teste”, non alle unità occupazionali a tempo pieno (Fte). Salvo dove specificato, è riportata la situazione al 1. gennaio dell’anno indicato. 1) compresi i collaboratori dell’Officina di Biasca, chiusa nel 2004 2) al mese di settembre 3) al mese di marzo 4) al mese di agosto 5) al 31 aprile 2007 Fonte: Ffs Cargo ha un doppio effetto: da un lato viene mascherato il calo costante e ultradecennale del numero di collaboratori assunti in pianta stabile (perdipiù dal 2002 alle Officine vige un virtuale blocco delle assunzioni, per cui il calo “naturale” degli effettivi in pianta stabile è compensato solo saltuariamente da nuove assunzioni); d’altro canto, “diluendo” in un dato generale il numero degli “interinali”, l’azienda può affermare che l’effettivo «non ha subito diminuzioni», omettendo però di dire che quest’ultimo può essere mantenuto “costante” solo ricorrendo in maniera crescente a lavoratori precari che “sostituiscono” i collaboratori in uscita dalle Officine a causa di pensionamenti o partenze volontarie. Esternalizzare, il verbo magico. Nel linguaggio manageriale si preferisce usare “outsourcing”. Vuol dire appaltare ad altri i lavori che prima facevi tu. In termini economici significa eliminare le parti del processo produttivo che generano costi per concentrarsi su quelle che danno i profitti. È una scelta obbligata per chi intraprende la via della ricerca massima di profitto attraverso una produttività accresciuta. È un elemento insito in questo periodo neoliberista, ovvero del capitalismo spietato perché sicuro di non incontrare ostacoli sul suo cammino. Alle Officine di Bellinzona, l’apice dell’esternalizzazione si è tradotto nell’appalto della forza lavoro. Dal 2002 Ffs Cargo ha stipulato con l’agenzia interinale Adecco un contratto per la fornitura di manodopera. Dagli iniziali 16 lavoratori temporanei su un totale di 426 collaboratori del 2002, si è passati ai 68 temporanei attuali su 373 posti (vedi scheda a lato). L’esternalizzazione ha avuto altre conseguenze sui posti di lavoro delle Officine. Ad esempio, ha comportato la quasi totale eliminazione del reparto falegnameria, passata da un decina di falegnami ad uno solo. Le tavole grezze di legno che servono per sostituire le assi dei vagoni venivano una volta prodotte dagli operai delle Officine, ora invece giungono dalla Germania. Lo stesso dicasi per i bulloni o i pezzi in ferro in generale utilizzati dal personale delle Officine per sostituire quelli lo- gorati dei carri che arrivano per essere risistemati. Una volta erano prodotti in loco, ora è la Debrunner, una ditta svizzero-tedesca con filiale a Giubiasco, che regolarmente riempie gli scaffali del magazzino delle Officine. L’esternalizzazione presenta degli svantaggi pratici, come nel caso dei pezzi di legno usati per fermare i vagoni (i cunei). Per motivi di sicurezza, i cunei fabbricati all’interno delle Officine erano dotati di un manico. Quelli giunti dalla ditta esterna ne erano però sprovvisti. Così, il personale delle Officine ha dovuto modificarli appositamente. Altro esempio d’esternalizzazione, la produzione di pezzi meccanici per la tornitura, anch’essa a suo tempo fatta in casa. Ora è la filiale di Grancia della Damec, la cui sede è a Coira, ad avere l’appalto. E gli affari sembrano andarle bene, visto che è previsto un ampliamento importante della fabbrica di Grancia. Ma è molto difficile conoscere tutte le operazioni di esternalizzazione condotte finora dai vertici Ffs Cargo. Malgrado sia una ditta pubblica, queste operazioni sono coperte dal segreto. Un’operazione è però diventata di dominio pubblico nel 2004. La ditta TiEngineering di Cadempino, di cui il direttore delle Officine Paul Häner è anche presidente, si aggiudicata una comanda da 1,1 milioni di franchi per dei pezzi d’impianti di climatizzazione. Quando l’opinione pubblica è venuta a conoscenza di questa transazione in odore di conflitto d’interessi, la Ffs Cargo si era premurata di affermare che l’azienda non era stata danneggiata economicamente dall’acquisto, malgrado «il direttore non abbia osservato tutte le prescrizioni in materia». area dossier 6 luglio 2007 9 Mercato in espansione, ma... Cargo aveva manifestato l’intenzione di cedere l’Officina di Bienne, ma poi «È un momento magico. Tutte le aveva finito per lasciar perdere. Poaziende che producono carri oggi so- trebbe tornare in corsa qualora anno oberate di lavoro. E il futuro non che le Officine di Bellinzona – o una può che essere la manutenzione». parte di esse – venissero messe sul Ne è «convinto» Aleardo Cattaneo, mercato? «Abbiamo un buon rapporamministratore delegato della Fer- to con loro. Il problema è che hanno riere Cattaneo Sa (vedi riquadrato un costo orario troppo elevato. Puoi sotto). A fargli eco è Giuseppe For- sì ridurre l’organico, ma fino a un gia, che gestisce la manutenzione certo punto: poi ci sono dei costi fissi della nutrita flotta della Aae (vedi ri- che restano», taglia corto Cattaneo. quadrato a destra) ed è responsabile La Aae da tempo noleggia alle Ffs delle operazioni in Sud-Europa per principalmente carri per il traffico la stessa azienda: «Il traffico merci convenzionale, che vengono riparati su rotaia crescerà ancora. Il 90 per e sottoposti a revisione nelle officine delle Ferrovie fedecento dei nostri rali. Oggi l’azienda nuovi investimenti è destinato all’ac- Le Officine di Bellinzona e le Ffs hanno un rapporto contratquisto di carri per avranno un futuro per vari serviil traffico intermose si specializzeranno tuale zi di manutenzione dale (essenzialdei carri Aae alle mente casse mobili e semirimorchi per traffici su rotaia- Officine di Bellinzona e all’impianto gomma-nave-aereo), un settore in di Chiasso, così come per la manutenzione mobile. A breve questa colfortissima espansione». Un produttore (Cattaneo) e un acqui- laborazione potrebbe anche sfociare rente-noleggiante (Forgia), entrambi in un accordo specifico riguardante con un occhio attento al mercato del l’elaborazione e la lavorazione di almateriale rotabile e a quello specifico cuni componenti dei carri Aae, ad della manutenzione dei carri merci, esempio le sale (ruote). Giuseppe segmento nel quale si trovano oggi a Forgia intravede in una specializzagiocare le Officine di Bellinzona. Il zione di questo tipo un possibile primo si era fatto avanti quando Ffs sbocco per le Officine della capitale, di Stefano Guerra Ferriere Cattaneo L’unica che fa carri merci La Ferriere Cattaneo – fondata nel 1870 a Faido, trasferitasi nel 1932 a Giubiasco – costruisce vagoni ferroviari da oltre mezzo secolo. Dal 1948 dal suo stabilimento ne sono usciti più di 5 mila di 30 tipi diversi: dal modello L4 a due assi in acciaio e legno alla serie di “Taschenwagen” o “carri tasca” oggi giunta al numero 5, passando dai primi carri “Wippen” a 4 assi per la neonata Hupac a metà anni ’60. Quando la Ferriere inizia l’attività, il fabbisogno di carri e locomotive è enorme e una mezza dozzina di aziende produce materiale rotabile in Svizzera, in buona parte per le Ffs. Il merca- to tiene per decenni. Poi, una quindicina di anni fa, l’inizio del declino. Oggi, assieme ad Alstom, Bombardier, Stadler e Josef Meyer Waggon, la Ferriere è una delle poche aziende rimaste a produrre materiale rotabile in Svizzera, l’unica che costruisce carri merci. Attori storici dell’industria ferroviaria elvetica come Schindler, Adtranz (acquistati da Bombardier) e Fiat/Sig (ripresa da Alstom) sono invece stati spazzati via, risucchiati nel vortice dei processi di concentrazione e ridimensionamento che ha conosciuto il settore a partire dai primi anni ’90. s.g. tanto più che «il mercato dei componenti cresce e le officine in Europa sono sovraccariche di lavoro». Per il collaboratore dell’Aae lo stabilimento di Bellinzona «è di fronte a una grande sfida», determinata in buona parte dal fatto che «molti carri che potrebbero lavorare gli passano sotto il naso». Le Officine della capitale, infatti, si trovano sì sull’asse di transito principale Nord-Sud, ma sono comunque lontane dai mercati dei loro maggiori clienti. Il criterio geografico-logistico per la Aae è “centrale” nella scelta degli stabilimenti ferroviari ai quali affidare la riparazione e la revisione dei suoi carri. «Al cliente dobbiamo garantire una altissima produttività dei mezzi che gli noleggiamo, non possiamo perdere tempo nel trasferimento dei carri in un’officina lontana dal luogo dove ce li consegnano», dice Forgia. Stesso discorso per la manutenzione corrente, di servizio e i piccoli interventi di riparazione: «Noi dell’Aae concentriamo le attività di manutenzione dei carri laddove il cliente ha il suo mercato. Per fornire un servizio ottimale al cliente i carri che gli noleggiamo vengono assistiti nelle vicinanze delle due estremità di questo percorso Nord-Sud, che va grossomodo dal porto di Rotterdam all’Italia settentrionale». Le Officine di Bellinzona sono «una struttura tecnologicamente all’avanguardia in Europa, che offre comunque un servizio di qualità, con un personale che ha una profonda cultura ferroviaria, un atout che non tutti hanno», riconosce Forgia. Però, oltre alla distanza geografica dai mercati dei principali clienti di Ffs Cargo, lo stabilimento della capitale presenta altri handicap: «la Svizzera per noi è meno attrattiva anche perché essendo fuori dall’Unione europea abbiamo una serie di situazioni particolari, come ad esempio lo sdoganamento dei pezzi di ricambio, che sovraccaricherebbero ulteriormente la nostra logistica. Le Officine poi dovrebbero essere più snelle, flessibili, riducendo anche i costi generali, compresi quelli della manodopera che in Svizzera sono leggermente superiori rispetto alla Germania e all’Italia», conclude il collaboratore dell’Aae. Alle Officine di Bellinzona il lavoro passa sotto il naso, ma non si ferma Ahaus Alstätter Eisenbahn Ag Cavalca la liberalizzazione Con una flotta di 23 mila carri, e con investimenti previsti per l’acquisto di 2-3 mila carri all’anno da qui al 2011, la Ahaus Alstätter Eisenbahn Ag (Aae) – nata alla fine degli anni ’80 nel Nord-Reno Westfalia – è una delle imprese ferroviarie private leader in Europa nel noleggio di carri. L’azienda, che oggi ha sede a Baar (Zugo), ha cavalcato sin dai suoi esordi il processo di liberalizzazione del settore ferroviario europeo, inserendosi con successo in una nicchia di mercato formatasi una ventina d’anni fa quando le compagnie ferroviarie nazionali iniziavano a ridurre le ordinazioni di materiale rotabile. Al semplice noleggio di Se ci sono gli azionisti ma non i politici La Commissione europea 15 anni fa aprì il trasporto merci su rotaia alla concorrenza: il bilancio di un esperto di Francesco Bonsaver Il traffico merci su ferrovia era in calo in Europa dal 1970. Inoltre, il flusso del traffico essendo sempre più internazionale mal si coniugava con le logiche delle ferrovie nazionali. Partendo da questi due presupposti, la Commissione europea ha elaborato tre pacchetti ferroviari per promuovere la liberalizzazione del settore. Il primo pacchetto (Direttiva 440 del 1991) prevedeva una liberalizzazione nel traffico internazionale attraverso una separazione tra l’operatore e il gestore della rete. Si è quindi suddivisa la rete dal trasporto, sia delle merci che dei viaggiatori. Questa è stata la premessa per aprire la rete ad altri operatori. Un secondo pacchetto, emanato nel 2003, ha ulteriormente accelerato il processo di liberalizzazione nei trasporti merci. Lo scorso 20 giugno un terzo pacchetto è stato approvato dalle autorità europee; affinché entri in vigore manca solo la ratifica dell’assemblea plenaria del Parlamento europeo prevista in settembre. Il pacchetto prevede entro il 2010 di liberalizzare anche il traffico viaggiatori. Per meglio capire le dinamiche del settore dei trasporti ferroviari, in particolare di quello merci, area ha interpellato un esperto, Roman Rudel, collaboratore presso l’Istituto di ricerche economiche in Ticino. Signor Rudel, in Svizzera a che punto siamo con la liberalizzazione? Siamo legati all’andamento dell’Ue. In Svizzera è stata introdotta nel 2000 con la divisione tra Ffs infrastruttura, Ffs cargo e Ffs viaggiatori. Le Ffs sono contrarie ad una separazione totale, vogliono mantenere un controllo dell’intero processo che riguarda il settore dei trasporti ferroviari. L’accesso alla rete svizzera di trasporto merci è ora libero. Nel traffico combinato ad esempio partecipano 16 attori. La concorrenza quindi è molto presente. Se da un lato però la concorrenza entra in casa, dall’altro anche imprese svizzere escono dal territorio come ad esempio Hupac. Per sopravvivere alla liberalizzazione del mercato, le ex compagnie statali hanno messo in atto diverse strategie. Tra queste, Ffs Cargo sembra aver scelto la via della specializzazione avendo infatti in dotazione 39 carri merci differenti a seconda del tipo di trasporto, nell’ottica di offrire un servizio personalizzato ai suoi clienti. Le Officine potrebbero sopravvivere proprio grazie a questa specializzazione? È una conclusione un po’ troppo semplicistica. O abbiamo officine di monopolio statale garantite al 100 per cento in un mercato che però a seguito della liberalizzazione si sta erodendo oppure vi è la possibilità di posizionarsi in un mercato libero che sta crescendo, sviluppando delle competenze particolari. Questi sono i due scenari. Quello su cui non posso esprimermi è se le Officine hanno gli spazi di manovra per crescere cercando dei nuovi clienti. Immagino di sì, in ragione della posizione geografica. Quali le prospettive future di Ffs Cargo? Cosa dovrebbe fare per sopravvivere in questo mercato? Sicuramente l’asse Nord-Sud è uno dei suoi punti forti. Per ora si stanno muovendo bene, acquisendo nuovi settori di mercato mantenendo un buon rapporto tra prezzo e qualità. Ciò dovrebbe garantire lavoro per le Officine. Molti osservatori sostengono che la privatizzazione significa inevitabilmente riduzione dei diritti dei lavoratori. Sono assolutamente a favore di un mantenimento di condizioni di lavoro dignitose. Ma vista la concorrenza nel settore dei trasporti, soprattutto con quello stradale, è inevitabile che certi diritti garantiti, penso al caso italiano, siano ridimensionati. Sono diritti che non esistono più in nessun settore. Allo stesso tempo, non credo che sia una politica intelligente e lungimirante quella fatta sulle spalle del personale. Il rispetto della dignità dei lavoratori è fondamentale affinché un’impresa possa crescere sul lungo periodo. Bernhard Kunz, presidente Hupac, ha recentemente affermato che è in atto un processo di rimonopolizzazione del mercato. Ci sono tendenze in atto in questo senso. La Deutsche Bahn (Db) fa la parte del leone nel mercato europeo, dominando la catena logistica del trasporto. Chi governa il flusso delle merci, decide anche quale mezzo usare. Lo stesso processo di oligopoli lo si è visto nel settore energetico, dove ad una prima fase di liberalizzazione, ne è seguita una caratterizzata dal predominio di tre oligopoli privati che gestiscono il sistema. Il processo di liberalizzazione significa dunque passare carri ben presto la Aae ha affiancato un servizio completo di assistenza ai suoi clienti pubblici e privati, offrendo loro una sorta di “pacchetto completo” che comprende anche la manutenzione preventiva durante le soste d’esercizio, l’intervento di squadre mobili in caso di guasto, l’eventuale trasferimento in un’officina e la sorveglianza dei lavori di riparazione e revisione, il reperimento di pezzi di ricambio e il trasporto del carro merci nuovamente nel luogo concordato con il cliente. Uno dei clienti storici dell’Aae sono le Ffs, alle quali oggi l’azienda noleggia 600 carri circa, quasi tutti usati nel traffico convenzionale in Svizzera. da un sistema di monopolio statale ad un monopolio privato? L’idea finale della Db è di essere presto quotata in borsa, quindi privatizzata. Il passaggio da monopolio statale a privato è l’obiettivo, ma non è detto che vada tutto così liscio. Gli operatori sul mercato sono tanti ed è possibile che contrastino il processo. Parlare ora di monopolio in Europa è prematuro. È certo però che vi è una pressione forte in questo senso. Ma il trasporto non potrebbe essere considerato un bene pubblico? Non si potrebbe immaginare di evitare la privatizzazione e passare ad una ferrovia europea pubblica sulla quale sia possibile esercitare un controllo sociale? Il problema è che nascerebbe un ente pubblico di enormi dimensioni difficile da gestire. Sì, ma la liberalizzazione non ha dato migliori garanzie di gestione. Basti pensare a quanto successo con la liberalizzazione delle ferrovie inglesi, alla quale è poi seguita una inversione di marcia visto il fallimento dell’esperienza privata. Ma in Inghilterra il processo di liberalizzazione era stato fatto male. Ora si è imparato dal caso inglese e si sono apportati dei correttivi. Se però la Db finisce in borsa, l’interesse preminente non è più collettivo ma diventa quello degli azionisti. Non lo vedo come un problema. È la politica che deve essere molto chiara nel definire le regole precise. È questo che attualmente fa difetto. Ffs Come due operatori privati ticinesi vedono le prospettive delle Officine di Bellinzona area dossier 10 6 luglio 2007 Una filosofia produttiva importata dall’Oriente Christian Marazzi spiega il toyotismo, un processo lavorativo entrato anche alle Officine per migliorare il rendimento. E far felici gli azionisti Per comprendere il Kaizen è necessario capire il contesto in cui è nato. Christian Marazzi, economista e ricercatore, lo ha spiegato ad una serata dedicata alla ristrutturazione delle Officine organizzata dal Movimento per il socialismo. Tra la cinquantina di persone presenti, una trentina di lavoratori delle Officine. Nella sala l’attenzione era massima per capire le origini di questo nome esotico (Kaizen) e le ragioni per cui è stato deciso di attuarlo all’interno delle Officine. Le ragioni illustrate da Marazzi mostrano una realtà meno rosea di quella fornita dai vertici delle Officine quando hanno spiegato agli operai la bontà di adottare il progetto Kaizen per il loro lavoro. Nel ricordarsi la presentazione del Kaizen fatta dai consulenti svizzerotedeschi ai lavoratori, un operaio dell’Officina presente in sala, ha scrollato il capo, affermando: «un teatro!». Il Kaizen è uno degli elementi costitutivi del processo lavorativo conosciuto con il nome di “toyotismo”. È stato introdotto alla Toyota verso gli anni 40, ma ha conosciuto la sua fama mondiale verso gli anni 70. Una filosofia produttiva che ben si prestava in quegli anni alla nuova strategia politica emergente in risposta alla crisi della società capitalista di stile fordista, segnata da una crisi del profitto, della crescita economica e della capacità di appropriarsi della ricchezza prodotta dai lavoratori. Una strategia principalmente caratterizzata da due aspetti. Il primo la finanziarizzazione dell’economia: il padronato, incapace di recuperare la ricchezza dai lavoratori, è andato a cercarla nei capitali borsistici. Secondo aspetto, la ricerca del profitto in quei settori che fino ad allora erano considerati dei beni pubblici, come i trasporti o la comunicazione. Queste nuove terre di conquista per i capitalisti, sommate all’importanza dei capitali finanziari, hanno avuto tra le molte conseguenze quella di fare dell’azionista l’unico attore degno di interesse. Tutti gli altri soggetti che ruotano attorno all’impresa, quali i lavoratori e la comunità nella quale è inserita, ad esempio, non hanno nessun peso per l’azienda. Un operaio al lavoro nelle Officine Ffs di Bellinzona: “Ci hanno fatto capire che a chi non va bene se ne può anche andare. Ce l’hanno imposto il Kaizen” L’unica preoccupazione dell’impresa è soddisfare l’interesse dell’azionista, infischiandosene delle responsabilità sociali che invece la ditta presenta ugualmente. Più recentemente, con l’avvento del discorso neoliberista della privatizzazione dei beni comuni quali le ex regie federali, il cliente è diventato il protagonista assoluto. «Privatizzando e creando più concorrenza, a guadagnarci saranno i clienti, perché i prezzi si abbasseranno» è un motivo ricorrente del discorso neoliberale. Marazzi fa però notare che ci si dimentica di dire che i clienti sono anche cittadini e lavoratori. E come tali hanno degli interessi che possono essere diversi da quelli del cliente. «Provocatoriamente» dice Marazzi «si può dire che anche il mercato della droga sia orientato esclusivamente verso il cliente. Ma Il senso del Kaizen “Cambiare per migliorare” KaiZen, parola composta d’origine giapponese che significa letteralmente Kai: cambiare e Zen: per migliorare. L’idea che sta alla base è un costante cambiamento di piccoli procedimenti del processo di produzione per arrivare ad ottenere una migliore produttività. Un concetto che è stato applicato per la prima volta nelle fabbriche automobilistiche della Toyota agli inizi del 1960, dunque quasi 50 anni fa. Alle Officine di Bellinzona il metodo Kaizen è stato introdotto nell’agosto 2006. Sulla prima pagina delle schede di presentazione del Kaizen campeggia una frase storica: «per sopravvivere sul mercato della manutenzione dobbiamo avere il sopravvento sulla concorrenza» firmato Dr. Johannes Keil. Chi è costui? Nient’altro che il direttore generale della Deutsche Bahn, le ferrovie tedesche. Per sopravvivere dunque che cosa bisogna fare? «Incrementare la filosofia Kaizen per incrementare di almeno il 12 per cento in 3 anni la produttività» spiega la direzione Ffs Cargo. In pratica, bisogna lottare contro lo spreco inteso come tutto ciò che non porti valore alla produzione. Il controllo, la preparazione, prelevare gli strumenti necessari, sono tutti considerati una perdita di tempo, uno spreco. Utile è solo saldare, tornire, verniciare. Il metodo Kaizen indica sette punti per la caccia allo spreco. Il lavoro in team è fondamentale. Il fatto che in una squadra i lavoratori siano interinali o fissi, con paghe sostanzialmente diverse, resta un dettaglio. Vi risparmiamo la descrizione dei successivi 3 punti del Kaizen che sono “ordine e pulizia”, “standardizzazione”, “Management visuale”, per soffermarci sul quinto punto: “Just in time”. La sua traduzione aiuta di per sé a capirne il significato: giusto in tempo. Eliminare i costi di stoccaggio del materiale, delegandolo ad una ditta esterna. Far lavorare gli operai solo quando è necessario, flessibilizzando il loro tempo di lavoro (vedi scheda a fianco). Questo, in sintesi, è il metodo Kaizen. Provare per credere. le conseguenze quali la dipendenza per il cliente e le conseguenze sociali dell’impresa droga non possono però venire ignorate». Un tipico esempio di filosofia aziendale orientata al cliente è la Wal Mart, la numero uno mondiale nella vendita al dettaglio. I prezzi per i clienti sono effettivamente bassi, ma il costo da pagare socialmente è importante: salari e condizioni di lavoro infime, qualità dei prodotti scadente e rispetto ambientale nullo. «Non sono convinto che l’ideologia del consumatore sia valida» afferma Marazzi che prosegue: «Nel settore dei trasporti la tanto invocata razionalizzazione implica dei trasferimenti di oneri sulla società». Riassumendo: nell’impianto ideologico dell’aziendalizzazione l’unico attore che merita rispetto è l’azionista, e per farlo contento, bisogna ridurre i prezzi per ottenere più clienti. E per abbassare i prezzi è necessario ridurre i costi del personale e migliorarne la produttività. Qui interviene la filosofia toyota e i suoi strumenti, quali il Kaizen. Questo in sintesi il ragionamento che sta dietro all’aziendalizzazione delle Ffs Cargo. «Immaginare di esportare il modello Toyota è lecito purché si tenga conto dei pre-requisiti politico-sociali in cui il toyotismo è nato» chiarisce Marazzi, che spiega: «Nell’azienda giapponese “toyotizzata” il personale era segmentato in 3 grandi gruppi. Un terzo dei lavoratori era basato su un concetto di lealtà, si trattava cioè di operai ai quali il posto di lavoro era garantito (addirittura “ereditario” da padre in figlio) e beneficiavano di vantaggi di sicurezza sociale. Il Welfare statale era sostituito dal Welfare aziendale. Un altro terzo dei lavoratori era considerato “fluttuante” e normalmente apparteneva a ditte esterne, dette in outsourcing. Le condizioni di lavoro erano peggiori dei “leali”, e così come fluttuanti non beneficiavano di norme di sicurezza sociale. L’ultimo terzo dei lavoratori era costituito da lavoratori temporanei, che non godevano di alcuna protezione». «In Svizzera siamo già andati oltre» osserva Marazzi «il primo gruppo, quello dei leali, non esiste più. La flessibilizzazione ormai riguarda tutti». Anche la struttura del salario del toyotismo è sostanzialmente diversa da quella delle Officine. Alla Toyota essa riproponeva la differenza fra i tre gruppi. I leali si vedevano premiata la loro fedeltà aziendale attraverso una migliore retribuzione. «L’importo del salario era indice della memoria monetaria di fedeltà alla ditta» afferma Marazzi «Venivano pagati per il loro senso di appartenenza alla ditta, non tanto per le loro funzioni. Si trattava dunque di una struttura salariale basata su una concezione corporativista e non produttivista come invece presuppone l’impostazione neoliberista attuale delle Officine». I processi di ristrutturazione in atto, con licenziamenti che colpiscono anche chi alle Officine lavora da molto tempo, «costituiscono una cancellazione della memoria d’impresa. Una concezione che fa a pugni con il toyotismo giapponese, basato invece su un terzo di operai fedeli». Rendere tutti precari, permette di polverizzare la soggettività operaia e la capacità di difendersi collettivamente. Il sindacato è concepito unicamente come aziendale. Solo questo tipo d’ambiente lavorativo è ideale per introdurre il toyotismo. «In realtà si sta introducendo un sistema che altrove ha già dimostrato di essere in crisi» afferma Marazzi, per poi concludere: «Discutere delle Officine significa discuterne come bene comune, come luogo di ridefinizione di democrazia, del governo delle imprese». Democrazia all’interno delle Officine? Un giovane lavoratore, pure presente alla serata, ha preso la parola per raccontare cosa lui e i suoi colleghi si sono sentiti dire al momento della presentazione del Kaizen «ci hanno fatto capire che a chi non va bene se ne può anche andare. Ce l’hanno imposto, il Kaizen». Orari di lavoro La flessibilità a senso unico La flessibilizzazione del tempo di lavoro è una delle trasformazioni principali delle condizioni di lavoro fortemente voluta dalla direzione di Ffs Cargo per arrivare ad aumentare la produttività degli operai. La flessibilizzazione oraria significa far lavorare gli operai quando conviene alla ditta. In altre parole, scaricare sui lavoratori i rischi aziendali di produzione. Concretamente, alle Officine, vuol dire estendere gli orari di lavoro dalle 4 alle 22, invece del normale orario di esercizio dell’officina dalle 6.30 alle 16.45. Al giovedì l’operaio saprà quando lavorerà la settimana successiva. Conscia di una possibile resistenza degli operai a questo modello orario, la direzione delle Officine di Bellinzona ha imposto la flessibilità, cercando di tenere all’oscuro sia la Commissione del personale (Cope) che i sindacati sul progetto. Lo attesta il fitto scambio di corrispondenza tra la direzione delle Officine e il sindacato Sev, il quale lamenta una violazione del diritto di esprimersi su eventuali modifiche del tempo di lavoro sia della Commissione del personale che dei sindacati stessi. Ciò ben- ché il Contratto collettivo delle Ffs imponga chiaramente l’obbligo di consultazione di queste istanze. Le risposte della direzione lasciano chiaramente intendere che nel caso specifico non ritiene interlocutori né la Cope dell’Officina, né i sindacati. Unico interlocutore ritenuto valido, il personale genericamente definito. La prima mossa della direzione è stata di sottoporre ai collaboratori un formulario, non anonimo, dal titolo “Domande sulla flessibilità”. Un questionario farcito di domande inerenti la sfera personale, quali “Il suo partner ha un impiego con orari fissi?” oppure “È un genitore monoparentale o si prende cura di una persona anziana?”. Un formulario che appare più utile ad una schedatura dei dipendenti che ad un semplice sondaggio d’opinione. Del genere, se sei disposto ad essere flessibile, ce ne ricorderemo. La tenacia della Cope e del Sev è riuscita esclusivamente a ritardare di qualche mese l’introduzione della nuova flessibilità oraria, che è oramai diventata una realtà alle Officine di Bellinzona. frabon Ffs di Francesco Bonsaver area dossier 6 luglio 2007 11 La politica cittadina è costretta alla finestra Il vice sindaco di Bellinzona, Mauro Tettamanti, spiega come il Municipio della città assiste impotente all’erosione degli impieghi federali «Ferrovie e poste, due cause perse: non possiamo far altro che lamentarci». Nemmeno il tempo di sedersi che Mauro Tettamanti ha già cominciato a parlare. Nel suo ufficio al primo piano di Palazzo Civico, il vicesindaco di Bellinzona non nasconde la sua frustrazione. Da anni il Municipio assiste impotente all’erosione degli impieghi nelle ex regie federali (Ffs, Posta, Swisscom), che nel secolo scorso giocarono un ruolo centrale nello sviluppo sociale, economico e territoriale della Città. Al giorno d’oggi – di fronte ad “interlocutori” locali che non decidono più nulla, ridotti a meri esecutori di strategie decise altrove e dettate dalla concorrenza internazionale – i politici di una Città come Bellinzona non sanno più cosa fare. Possono – e lo fanno, sia a livello comunale che cantonale – scrivere qualche comunicato stampa, chiedere udienza ai dirigenti di Ffs, Posta e Swisscom, o presentare atti parlamentari ogni qual volta viene annunciata una ri- strutturazione. Non è molto. «Una caratteristica di ferrovie e poste è che ci tengono ad informare le autorità prima di comunicare una decisione: il problema è che a quel momento la decisione l’hanno già presa, per cui il nostro parere non conta più nulla. Possiamo al massimo reagire con un comunicato», afferma Mauro Tettamanti. Anche i dirigenti di Ffs Cargo ascoltano, sono sempre molto disponibili. «Nella primavera del 2006, quando l’azienda aveva annunciato tagli alle Officine, abbiamo scritto a Nordmann, e lui nello spazio di un mese è venuto qui da Basilea, accompagnato dal direttore Haener. Ma i giochi erano già fatti», osserva il vicesindaco. Che con i colleghi di Municipio ha adottato una linea di condotta ben precisa nei confronti di Ffs Cargo, e delle ex regie federali in generale: «capita che ci invitino alle loro conferenze stampa, ma noi non ci andiamo per non far credere che siamo lì a legittimare la loro politica». L’80 per cento circa dei lavoratori delle Officine è domiciliato nel Bellinzonese, ma è difficile sapere quanti di loro risiedano nella capitale e l’indotto – fiscale e indiretto – che lo stabilimento e i suoi lavoratori generano alla Città. Al di là dei ragionamenti contabili, Mauro Tettamanti – che come molti a Bellinzona ha un padre che ha passato una vita “in ferrovia” – ha a cuore il futuro dell’Officina e di chi vi lavora. Negli ultimi comunicati stampa da lui redatti a nome del Municipio viene espressa «delusione» e «preoccupazione» per «l’ennesima misura di ristrutturazione». L’Esecutivo deplora inoltre il fatto che «i dirigenti della sede di Bellinzona non siano in grado di offrire nessun tipo di garanzia circa il futuro dell’attività lavorativa in Città, pur continuando a far massicciamente ricorso al lavoro interinale». Si tratta di atti dovuti, ma assolutamente «innocui», dice Tettamanti. Che sulla possibilità di influire sul futuro delle Officine non si fa illusioni: «non dipenderà certo da noi se decideranno di chiudere o meno. Tanto più che le mani- Bellinzona deve gran parte del suo sviluppo alla presenza della ferrovia zona (Amb) forniscono allo stabilimento, uno dei più grossi consumatori del comprensorio. Il tutto per un valore annuale di poche decine di migliaia di franchi: un risparmio irrisorio per le Officine. Che infatti, stando a un comunicato del Municipio del 13 dicembre 2005, non hanno nemmeno «voluto cogliere l’opportunità» di approfondire queste «ridotte ma concrete possibilità di collaborazione». Tettamanti, pur restando pessimista, non si sbilancia sulle idee di riqualifica del sedime delle Officine Ffs che il Municipio aveva vagliato lo scorso anno (vedi articolo sotto). «Noi per ora non ci comportiamo come se le Officine dovessero partire. Questa ci sembra comunque una prospettiva molto lontana. Semmai ci penseremo a tempo debito», conclude. festazioni organizzate a difesa dei posti di lavoro alle Officine non hanno radunato una gran folla, nemmeno tra chi lavora in ferrovia. Pubblicamente non c’è nessuna indignazione, ma piuttosto rassegnazione». Il Municipio di Bellinzona aveva anche tentato lo scorso anno di coinvolgere in un’azione comune i Comuni dall’Alta Leventina fino a Contone. «Pochi si sono fatti vivi alla serata che abbiamo organizzato», osserva il vicesindaco mostrando una lista dei partecipanti desolatamente povera di firme. La Città di Bellinzona, in verità, ha ben poco da offrire a Ffs Cargo: qualche agevolazione sui posteggi riservati ai dipendenti lungo Viale Officina e un ritocco verso il basso delle tariffe dell’energia elettrica che le Aziende municipalizzate di Bellin- La città e la ferrovia Quando arrivarono i tudèsc area - sg di Stefano Guerra Nel 1882, quando viene inaugurato il traforo ferroviario del San Gottardo, a Bellinzona ci si attende una fiumana di turisti. Succede il contrario. Ben presto ci si accorge che chi attraversa le Alpi per venire a sud tira dritto verso Locarno e Lugano, riservando alla Città al massimo una veloce visita: «l’avvento della ferrovia privò Bellinzona della sua importanza quale stazione intermedia del traffico NordSud» (1). Appena eletta capitale, alla Turrita non rimane altro che affermarsi come centro amministrativo e industriale. Nel 1884 viene prescelta per l’insediamento delle officine di riparazione della ferrovia del San Gottardo, spuntandola su Altdorf, Biasca, Erstfeld, Giubiasco e Castione. I primi capannoni vengono eretti nella pianura sottostante la stazione, su un terreno offerto dal Municipio e con una superficie complessiva estesa quanto l’intera città vecchia. Negli anni successivi la Città – fino ad allora abitata quasi esclusivamente nel suo nucleo storico – comincia a svilupparsi proprio attorno al polo settentrionale formato da stazio- ne, Officine, posta vecchia e caserma. Il quartiere nuovo di San Giovanni, il “quartiere dei ferrovieri”, è la prima zona d’espansione urbanistica della Città. I suoi primi edifici sono le case per gli impiegati delle ferrovie. «Per i loro bambini sorse la scöla tudèsca (1885), per loro la chiesa di San Giovanni fu ribattezzata gesa tudèsca (ancora trent’anni fa vi si teneva una predica in tedesco)», ricordava una bellinzonese doc, Rosanna Zeli (2). L’apertura delle Officine ferroviarie comporta infatti «la massiccia immigrazione di ferrovieri svizzerotedeschi – principalmente impiegati dei quadri e operai specializzati –, integrati da badilanti e carriolanti italiani (…)». Per Bellinzona è «l’inizio del processo di industrializzazione», che porta con sé una forte crescita demografica: la popolazione della capitale dal 1880 al 1900 raddoppia, passando da 4’038 a 8’255 abitanti (3). 1) Da: Aavv, Insa: Inventario Svizzero di Architettura no. 2, 1850-1920, Orell Füssli, Zurigo, p. 275. 2) “Bellinzona attraverso un secolo”, laRegione Ticino, 7 gennaio 1999. 3) Insa…, p. 253 e 276. Immaginare già oggi il dopo Officine di Stefano Guerra È stata la ferrovia – e le Officine in particolare – a portare il “progresso” a Bellinzona (vedi riquadrato sopra), poi a forgiarne più di ogni altri e durante oltre un secolo il carattere. Pensare la Turrita senza Officine può perciò sembrare un’eresia. Ma c’è chi ha osato farlo. Sono alcuni studenti al terzo e quarto anno di architettura dell’Università di Grenoble. Coordinati dall’architetto bellinzonese Filippo Broggini, due anni fa nell’ambito di un corso master hanno elaborato alcune idee per la riconversione del comparto delle Officine (oltre che per la sistemazione di Viale Portone, una delle principali arterie di attraversamento della Città). Ne è uscita un’esposizione discretamente frequentata a Palazzo Civico, ma poi di quelle idee, di quei disegni non se n’è fatto nulla. Broggini non capisce: «Abbiamo sollecitato, senza ottenere risposte. Città e Ffs sono poco sensibili, dimostrano una completa assenza di visione di fronte a scelte pianifi- catorie complesse e fondamentali». Ma cosa si potrebbe fare di questo sedime di 100 mila metri quadrati nel cuore di Bellinzona, per il quale il Piano regolatore cittadino prevede un Piano particolareggiato con un’eventuale riconversione, anche a tappe, da realizzarsi privilegiando «funzioni d’interesse pubblico e residenziali», oltre a «contenuti commerciali e di servizio»? Gli studenti di Grenoble hanno esplorato tre piste di riflessione. La prima ruotava attorno all’idea di sfruttare il sedime delle Officine e la sua prossimità con la stazione per sviluppare la Stazione Ticino di AlpTransit, da collegare a un quartiere che si sviluppi come un polo tecnologico e di servizi. Se però, come è apparso chiaro nel frattempo, la Stazione Ticino sorgerà in un futuro ancora lontano sul Piano di Magadino, Bellinzona si troverebbe tagliata fuori dal tracciato Alptransit e dai traffici internazionali. Allora per la Città potrebbe entrare in linea di conto una sorta di zona di interscambio legata al traffico regionale. «Perdere la sua centralità legata alla linea ferrovia- Che fare di questi spazi: un quartiere fieristico, una zona residenziale o una stazione? ria per Bellinzona significherebbe perdere slancio economico e posti di lavoro. È quanto sta capitando in Francia nelle zone tagliate fuori dalla rete Tgv, che piano piano si “periferizzano”», spiega Broggini. La seconda pista di riflessione individuata dagli studenti dell’Università di Grenoble si è sviluppata invece nella direzione di un recupero del sedime delle Officine per scopi residenziali. Ma si tratta di «una varian- area - sg Proposte degli studenti di architettura di Grenoble per la riconversione del sedime ignorate dalla politica te pragmatica, che non risolverebbe il problema di fondo di Bellinzona: creare posti di lavoro», osserva l’architetto Broggini. La terza idea, infine, è quella di creare una sorta di dépendance di Fieramilano, un polo fieristico con spazi espositivi e congressuali e relative infrastrutture (albergo, un eventuale accesso autostradale ecc.). Tutte le proposte, come detto, sono finite in un cassetto. «Stiamo perdendo una chance per ricreare un nuovo pezzo di Città», afferma Broggini. Per Bellinzona e il Ticino l’“industria” su cui puntare è il turismo, sostiene l’architetto: «la capitale non può accontentarsi dei suoi castelli per i prossimi 50 anni. Il sedime delle Officine in questo senso è un’opportunità strategica, e ha molti atouts: ha un accesso privilegiato dalla stazione, si trova nel cuore della Città, è vicino alle uscite autostradali.La cosa va studiata con una prospettiva pianificatoria a lungo termine, magari in collaborazione con le Ffs. Però dobbiamo cominciare adesso». «Il dramma è che i nostri politici ragionano solo sull’arco di quattro anni. Bisogna che si sveglino dal loro torpore, altrimenti un giorno anche questo sedime pregiato verrà parcellizzato e fatto oggetto di speculazione», conclude Filippo Broggini. area dossier 12 6 luglio 2007 Un secolo ricco di lotte sindacali e politiche Nella storia delle Officine di Bellinzona e Biasca molti interventi a difesa dei posti di lavoro, ben prima della liberalizzazione degli anni ‘90 di Fabrizio Viscontini * In questo breve intervento cercheremo di dimostrare che la storia delle Officine di riparazione di Bellinzona è stata condizionata nel corso del Novecento dall’evoluzione congiunturale e che parallelamente le forze sindacali e le autorità politiche cantonali e comunali avevano cercato a più riprese di intervenire allo scopo di salvaguardare i posti di lavoro presenti. Questo molto prima che si imponessero negli anni Novanta del secolo scorso anche nel settore ferroviario alcuni principi del neoliberismo, quali, con la revisione nel 1996 della Legge sulle ferrovie, l’abolizione per le Ffs degli obblighi nei confronti del traffico regionale ed il loro passaggio, a partire dal 1° gennaio 1999, da Regia federale in società anonima a statuto speciale, che ha aperto la via alla privatizzazione. Quando nel 1879 la Direzione della ferrovia del Gottardo decise di costruire una grande officina riparazioni nella quale sarebbero stati impiegati non meno di 200 operai, ben 10 località (Svitto, Flüelen, Altdorf, Erstfeld, Göschenen, Faido, Biasca, Le Officine Ffs di Bellinzona furono a lungo il più importante stabilimento industriale del Ticino, dando lavoro fino a 700 operai Bellinzona, Giubiasco e Lamone) presentarono tra il settembre del 1882 ed il gennaio del 1883 la loro ed il 1919 della riduzione dell’orario ci, poi smentite, sull’eventualità di Officine di Bellinzona si batterono candidatura. La battaglia fu aspra e giornaliero di lavoro. Si interessò una loro chiusura. All’epoca vi lavo- con gli altri iscritti al sindacato per combattuta da Bellinzona, Biasca ed anche della sicurezza sociale, per- ravano ben 700 operai e rappresen- l’adeguamento dei salari, ma data la Altdorf con degli opuscoli che cerca- ché non era presente per gli operai tavano la sola “grande industria” precaria situazione economica con vano di mettere in cattiva luce i con- nessuna istituzione previdenziale. presente nel Cantone. scarsi risultati. Nel 1948 fu aperta correnti e di dimostrare gli imman- Dopo la nazionalizzazione delle Il periodo fra il 1920 ed il 1936 fu in l’Officina di riparazione carri di Biacabili vantaggi delle singole località. compagnie ferroviarie, nel 1910 an- generale di crisi economica e fu uni- sca. Nel capoluogo della Riviera si Alla fine fu la capitale del Cantone a che gli operai delle Officine furono camente grazie alla svalutazione del formò un gruppo sindacale che aderì spuntarla, benché le condizioni im- ammessi alla cassa pensione delle franco svizzero ed alla politica gene- alla sezione bellinzonese. poste dalla Società del Gottardo alla ferrovie. Essi furono però pagati fino rale di riarmo che si uscì dal mara- Gli anni del “boom” economico furocittà avessero causato numerose po- al 1947 in base ad un salario orario sma congiunturale. L’elettrificazione no contrassegnati fino al 1970 per le lemiche. L’Officina centrale venne e quindi, essendo esclusi dalla legge della linea ferroviaria del San Got- Ffs da buoni risultati di bilancio. Fu costruita a Bellinzona fra il 1886 ed sui funzionari, non ricevevano uno tardo fra il 1920 ed il 1922 fu una questo un periodo di importanti conil 1890. stipendio. La commissione operaia misura di razionalizzazione causata quiste sindacali anche per gli impieFra il 1896 ed il 1920 si ebbe a livel- si occupò di difendere i soci che re- dal passaggio da una situazione di gati nelle Officine di Bellinzona: adelo generale un peclamavano un mi- quasi monopolio da parte della linea guamento delle classi salariali, auriodo di veloce sviIl passaggio alle Ffs glior trattamento del San Gottardo ad una maggiore mento dei giorni di vacanza e riduluppo economico salariale ed una concorrenzialità da parte di altre zione delle ore di lavoro. L’anno che (fase A del ciclo di nel 1909 mise a rischio migliore classifica- vie. A causa della svalutazione mo- diede da questo punto di vista magKondratieff), che netaria attuata nei paesi confinanti, giori soddisfazioni alla sezione fu il le conquiste sindacali zione. non si arrestò con Gli operai delle Of- anche le tariffe applicate dalla Sviz- 1963. lo scoppio del Primo ficine di Bellinzona zera dovettero essere adeguate al ri- La recessione della metà degli anni conflitto mondiale. Per quanto ri- parteciparono allo sciopero generale basso. Il Consiglio di Stato interven- Settanta ebbe delle conseguenze guarda la Ferrovia del Gottardo, a del novembre 1918 con i ferrovieri ne a due riprese con le Rivendicazio- molto negative sul traffico ferroviapartire dal 1897 si assistette ad un della stessa località e con quelli di ni ticinesi del 1924-1925 e del 1938 rio. A partire dal 1971 il movimento veloce incremento del traffico viag- Airolo e di Biasca. Al movimento, per difendere gli interessi ferroviari delle merci attraverso la Svizzera digiatori ed a un continuo aumento di che fu poco seguito dalle maestranze cantonali minacciati soprattutto dal- minuì, anche sulla linea del San Gotquello merci. Di conseguenza si eb- ticinesi, aderirono pure gli scalpelli- la diminuzione dei posti di lavoro, in tardo. Il fenomeno è imputabile a dibero anche delle eccedenze di eser- ni della Riviera, della Leventina ed i modo particolare nelle località di versi fattori. Nel 1971 l’abbandono cizio. Nell’Officina di Bellinzona, che metallurgici di Bodio. Il passaggio Biasca e di Bellinzona. della convertibilità del dollaro in oro era entrata in servizio nel 1891, era- nel 1909 degli operai delle Officine Nel novembre del 1919 si costituì il provocò il passaggio da un sistema no allora attivi circa 500 operai. Nel di Bellinzona dalla florida Compa- Sev (Federazione svizzera dei ferro- di cambi fissi ad uno di cambi flessi1899 venne fondata l’Unione Operai gnia del Gottardo alle Ffs, che ri- vieri) e di conseguenza tutte le sezio- bili con un aumento del valore reale delle Officine di Bellinzona, sezione scontravano dei crescenti deficit, mi- ni degli operai delle officine entraro- del franco svizzero. Parallelamente dell’Aust (Unione degli operai delle se a rischio le conquiste sindacali ot- no a far parte della sottofederazione calò nuovamente, come all’inizio deimprese svizzere di trasporto). Essa tenute fino a quel momento. In que- degli operai delle officine Waw. Nel gli anni Venti, l’attrattività delle nosi occupò ripetutamente fra il 1900 gli anni corsero addirittura delle vo- periodo in questione gli operai delle stre tariffe ferroviarie. A tutto ciò bi- Ma dal 2000 nulla è più come prima Le Officine di Bellinzona aprirono i battenti nel 1874: una cronologia dagli anni del vapore alla liberalizzazione 1871 costituzione della Ferrovia del Gottardo - Gottardbahn 1874 apertura dei tratti ferroviari Biasca-Bellinzona e Bellinzona-Locarno; costruzione delle officine di riparazione della Ferrovia del Gottardo (Officine di Bellinzona, Obe) accanto alla stazione di Bellinzona 1882 inaugurazione della linea ferroviaria del San Gottardo 1886-1890 costruzione delle nuove officine di riparazione della Ferrovia del Gottardo sul sedime attuale 1899 nasce l’Unione operai ferrovieri Bellinzona-Biasca (Wav) 1901 sciopero di protesta alle Obe a causa di licenziamenti 1909 nazionalizzazione della Ferrovia del Gottardo 1918 sciopero generale 1919 elettrificazione della linea del San Gottardo; ampliamento delle Obe con costruzione del primo capannone per il montaggio di locomotive (loc) elettriche; costituzione del sindacato unitario Sev (Federazione svizzera dei ferrovieri) 1920 costruzione della stazione di smistamento di San Paolo (Arbedo) 1947 subordinazione degli operai delle Officine Ffs allo statuto di funzionario federale 1948 il deposito loc di Biasca diventa Officina di riparazione carri 1976 le Ffs tentano di chiudere le Officine di Biasca metà anni ‘80 lavori di risanamento delle carrozze contenenti amianto alle Obe 1999 Le Ffs vengono trasformate in società anonima (unica proprietaria è la Confederazione) e “divisionalizzate”: Divisione viaggiatori, Divisione infrastruttura e Ffs Cargo (settore merci) 1999 Erich Bütikofer nominato direttore Obe al posto di Ferdinando Gianella gennaio 2000 Attribuzione delle Obe (ribattezzate “Stabilimento industriale Bellinzona”) e dell’Officina di Bienne alla Divisione Ffs Cargo; chiusura della selleria all’Obe estate 2000 le Ffs avviano il progetto “Redesign Service Rollmaterial” (Rsr) per la riorganizzazione della manutenzione e della pulizia del materiale rotabile (1’100 posti in meno fino al 2005, chiusura dell’Officina di Biasca, ecc.) dicembre 2000 Daniel Nordmann assume la direzione di Ffs Cargo 2001 entra in vigo- re il primo contratto collettivo di lavoro delle Ffs a seguito dell’abolizione dello statuto di funzionario federale; Ffs Cargo diventa una società anonima a sé stante 2002 primi lavoratori interinali Adecco all’Obe 2002 fallimento del progetto Transalp di collaborazione fra Ffs Cargo e Trenitalia Cargo dal 2002 Ffs Cargo comanda ad Alstom, Bombardier, Siemens e Vossloh decine di locomotive bi- e policorrente per il traffico transfrontaliero con Germania e Italia 2002-2003 nascita di Swiss Rail Cargo Köln e Swiss Rail Cargo Italy (poi ribattezzate Sbb Cargo Deutschland e Sbb Cargo Italy) marzo 2003 se ne vanno i direttori delle Obe e delle Officine di Bienne: Büti- sogna aggiungere delle cause strutturali (non direttamente legate alla crisi), come la concorrenza del traffico stradale. In questo periodo furono quindi ridimensionati gli impieghi nelle Officine e venne messa in discussione per la prima volta fra il 1976 ed il 1983 l’esistenza dell’Officina riparazioni carri di Biasca. In quell’occasione si ebbero degli interventi a tutti i livelli da parte dei politici ticinesi ed il Sev partecipò a queste rivendicazioni che si tinsero di una componente federalista e miravano anche alla salvaguardia di posti di lavoro nella Regione delle Tre Valli. Un ruolo importante nella questione venne svolto dall’allora direttore delle Officine di Biasca, il faidese Riccardo Cattaneo. * Storico Bibliografia: AaVv: Dizionario storico della Svizzera. Vol. 4°. Locarno, 2005. Pp. 719-732. AaVv: 75 anni Unione ferrovieri Bellinzona-Biasca. 1899-1974. Ennio Bianchi: Cento anni per l’Officina Ffs di Bellinzona e novant’anni per l’Unione Operai Ferrovieri Bellinzona-Biasca. Pp. 5-10. In: AaVv: 1989 Sev. 90 anni di impegno sindacale. Fabrizio Viscontini: Alla ricerca dello sviluppo. La politica economica nel Ticino (1873-1953). Locarno, 2005. Fabrizio Viscontini: Giù le mani dall’Officina! 1976-1983. Bellinzona, 1992. kofer viene sostituito da Stefano Colombo, che lascia l’incarico dopo poche settimane; gli subentra ad interim il direttore attuale Paul Haener 2004 chiusura delle Officine di Biasca 2005 Ffs Cargo chiude con una perdita di esercizio di 165,7 milioni ottobre 2005 annuncio del progetto “Fokus” (ridimensionamento della rete di servizi del traffico a carri completi in Svizzera, in vigore dal maggio 2006) e riduzione dei costi strutturali (personale non operativo) estate 2006 avvio di diversi progetti all’Obe per aumentare la produttività 2007 Ffs Cargo è suddivisa nei settori “Internazionale”, “Svizzera” e “Manutenzione” febbraio 2007 le Officine di Bienne sono rilevate dalla ditta Alstom di cui Ffs Cargo detiene il 49 per cento del capitale 25 aprile 2007 nell’ambito della strategia di riposizionamento del settore “Manutenzione”, Ffs Cargo rende note le misure previste per le Obe: investimenti per 30 milioni di franchi, taglio di 70 posti di lavoro, manutenzione di servizio delle loc di linea tras.g. sferita a Chiasso