Dalla città alla Mandria – pedalata del 25 aprile

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Dalla città alla Mandria – pedalata del 25 aprile
Dalla città alla Mandria – pedalata del 25 aprile 2014. Il modo per
ricordare il 25 aprile 1945 parte da un luogo di Torino in cui dagli anni
successivi alla industrializzazione si sono maggiormente concentrate le
industrie, specie quelle pesanti come le Ferriere della Fiat, la Grandi
Motori, la Savigliano al cui interno le maestranze acquisiscono una
coscienza civile che in alcuni casi si scontra con l’ideologia dominante
imposta dal Fascismo tant’è che il Duce ha sempre individuato Torino come una città a lui ostile. A Torino la stazione
Dora (abbattuta nel 2011) è un obiettivo sensibile nelle incursioni aeree dei bombardieri alleati ed anche le fabbriche
intorno sono spesso danneggiate. Intorno alla piazza alcune lapidi
ricordano il sacrificio dei partigiani uccisi dai fascisti. Tra questi (c.
Vigevano 48) ricordiamo i nomi di Luigi Bongiovanni ed Edoardo
Romanelli uno autista e l’altro tecnico della Wamar colpiti nei pressi
dello stabilimento da schegge e proiettili negli scontri che precedettero
la Liberazione. Al murales sul luogo in cui caddero i Sappisti Luigi
Grassi, Francesco Marengo e Corrado Prassuit sul retro dello
stabilimento della Superga (ingresso da via Luini) si potrebbe attribuire
il significato dell’indifferenza odierna per certi episodi che sarebbero
potuti capitare ai nostri padri, episodi dai quali è nata la nostra società
democratica. Un altro luogo in cui traspare indifferenza è la lapide sul muro dedicata a Domenico Brero (via Foligno
2) all’interno d’un edificio industriale (Simbi) ormai in abbandono in cui i writers hanno abbondantemente espresso
la loro colorata “creatività”. Di fronte, sul parapetto della ex ferrovia Torino Ceres (ora sotterranea) altri tre martiri
sono Renato Lavezzaro, Salvatore Novelli ed Arnaldo Zanotti, mentre all’angolo di via Salvini (ora pedonale) in
corrispondenza dell’osteria in cui si incontravano gli antifascisti compaiono i nomi di Sergio Maina, Antonio
Ferrarese, Bruno Negrini, Olao Capatti, Aldo Gagnor e Alberto Campadelli qui catturati e trucidati poi al Pian del Lot
nei pressi del colle delle Maddalene tra i 27 che furono fucilati lassù il 2 aprile 1944.
Nel ricordo del ruolo delle donne, tutt’altro che secondario, un’altra lapide (via
Giachino 24) troviamo il nome di Adriana Minetto che perse la vita proprio il giorno
della Liberazione. Poco distante (via Giachino 24) un secondo martire è Almerigo Duò,
fucilato al Martinetto. Per ritrovare il silenzio che ci aiuta a riflettere sui valori che ci
accomunano con quelli che hanno preso parte alla Liberazione ci immergiamo in un
ambiente più naturale seguendo il corso del fiume (la Dora Riparia) le cui acque
arrivano dalla valle di Susa, luoghi in cui durante i bombardamenti sulla città a luglio
del 1943 oltre 25mila torinesi cercarono scampo tra i 338mila che abbandonarono la
città, fatta allora di 465mila abitanti, ⅔ dei quali però solo nottetempo. Tra i
capannoni trasformati delle ex ferriere Fiat (in pieno Parco Dora) un‘ opera scultorea
assai simbolica ci ricorda la fatica ed il disagio degli operai impiegati nelle lavorazioni
siderurgiche a caldo che in quegli anni erano state riconvertite dal Regime tutte a fini bellici. E’ tra queste persone
che le Sap (Squadre di Azione Partigiana) e altre formazioni antifasciste trovavano gli attivisti che nel marzo ’43 e ’44
organizzarono i grandi scioperi. Questo ci fa capire che non di soli martiri è fatta la Resistenza ma di persone che pur
credendo nel valore del lavoro si ribellavano alla sua strumentalizzazione a fini bellici. Il nostro tragitto attraversato il
grande parco della Pellerina ci farà transitare a ridosso del carcere delle Vallette e questo ci farà pensare a tutti quei
prigionieri che per idee politiche sono stati imprigionati o mandati all’esilio o quelli che furono reclusi nel braccio
della morte nel carcere delle Nuove dopo l’8 settembre ‘43, ora adibito a museo. Forse questa natura in fiore e l’aria
profumata ci farà anche pensare alla libertà e ai “fiori rossi” che addobbano in questi giorni tutti i luoghi di sofferenza
tra cui il Martinetto. Passato il confine di Torino a Savonera (frazione di Collegno) il nome d’una via ci ricorda le
“staffette partigiane” ed il ruolo importante che la bicicletta ebbe per questi antifascisti che come Gino Bartali, tra il
1943 e il 1944, trasferì foto e documenti necessari per gli ebrei nascosti in chiese e conventi, celandoli all’interno
della canna della bicicletta. E da questa fondamentale funzione che è nata la collaborazione tra Fiab e Anpi 5 anni or
sono per far nascere “Resistere, pedalare resistere” che ha preso piede nella coscienza di molte federate italiane. E’
di fatto da alleanze che è nata la nostra nazione e allora perché non ricordare quella che coinvolse Luigi Ganna,
vincitore del primo Giro d’Italia nel 1909, che donò alla 121ª Brigata Garibaldi dieci biciclette prodotte dalla sua
fabbrica. Lasciata Savonera si entra nel comune di Venaria Reale i cui nomi dei martiri nella lotta di Liberazione sono
ricordati in oltre 30 intitolazioni toponomastiche, la prima delle quali in ordine cronologico fu dedicata ad Andrea
Mensa. Egli, dopo la cattura e la morte di Paolo Braccini, assumerà man mano funzioni importanti nel C.L.N. Alta
Italia fino a diventare capo dei servizi della divisione Garibaldi del Piemonte. Spesso in questa missione lo affiancava
Teresa, una donna eccezionale di Barbania dedita alla causa antifascista e valida staffetta partigiana. Un aggancio a
Paolo Braccini e agli altri condannati a morte lo troviamo nella lapide posta nel 1985 in via Luini 90 (chiesa di S.
Giovanni) che lo ricorda insieme a Giuseppe Perotti, Eusebio Giambone, sul luogo dove si riuniva clandestinamente il
Comitato militare regionale antifascista. Pur non potendo incontrare sul percorso di Venaria tutti gli esempi di strade
il cui nome ricorda uno dei nostri eroi tra esse percorreremo quelle dedicate nell’ordine a Primo Barbi Cinti, Romolo
Tessarin, il già citato Andrea Mensa, Vittorio Scodeggio, Giuseppe Cavallo, Gaetano Amati, buona parte ragazzi
intorno ai vent’anni tutti “con nomi giovani” come il titolo del bel libro dell’Anpi di Venaria redatto nel gennaio 1999
che ne racconta le brevi vite tragicamente interrotte. All’interno del cimitero di Venaria invece un mausoleo
apposito accoglie tutte le spoglie di coloro che hanno dato la vita per il loro ideale. Un altro partigiano infine che
vogliamo ricordare è Carlo Grassi lavoratore inizialmente della Bergougnan quindi della Superga e poi Pirelli. Nel
luogo dove aveva lavorato i suoi colleghi
costruirono una lapide che è ora all’interno
della scuola che dal 1978 porta il suo
nome. Nel corso della cerimonia di
intitolazione il preside pronuncia parole
significative che sottolineano il carattere
popolare della Resistenza che vuole
insegnare ai ragazzi di oggi come la storia
non è fatta solo di grandi personaggi ma è
opera di tutti. L’istituto tecnico Industriale Statale Carlo Grassi è a ridosso di piazza
Stampalia a Torino luogo in cui sull’edificio dell’ex dazio si trova una grande lapide
che riporta ben 57 nomi tutti di Madonna di Campagna. Ma prima di lasciare il comune di Venaria troviamo su via
Cavallo la sede Anpi che riporta sul monumento dedicato ai caduti posto all’interno del grande cortile le date 1945
1995 spiazzo in cui sono anche presenti tabelloni realizzati dagli allievi delle scuole locali che ricordano le partigiane
(la lapide di Francesca Girotto è in via Pavesio) e gli articoli della
nostra costituzione repubblicana. Tra essi il numero 1 che declama
“l’Italia è fondata sul lavoro, la sovranità appartiene al popolo che
la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Se pensiamo
che i principi che la ispirarono siano ormai desueti rammentiamo
una frase dell’ ex presidente della repubblica ed ex partigiano
Sandro Pertini
che recita così: “Ricordare è un dovere,
dimenticare è un delitto”. Ma ciò che sarebbe bene fare è attualizzare continuamente il
contesto che diversamente porta a creare altre discriminazioni ed altre negazioni
ideologiche di libertà e di mancanza di rispetto degno
d’una società adulta. Un lungo pannello che fa da
contorno alla nuova biblioteca civica Tancredi Milone di
Venaria riporta delle frasi tra le quali mi ha colpito quella
che denota forse il giusto atteggiamento verso tutti
questi temi “Restammo in silenzio ma capendo tutto”.
Buona pedalata a tutti da Mario Agnese.
Testo inedito di Carlo Peroncini (direttore della tenuta) sull’attività all’interno della Mandria nella lotta clandestina
per la Liberazione (Estratto). Il 25 luglio 1943 la Bandiera Tricolore fu issata anche alla Mandria, per ordine del
proprietario Marchese Giacomo Medici del Vascello, ad indicare che anche la Mandria partecipava alla gioia per la
fine della tirannia fascista I 45 giorni successivi servirono alla Mandria a preparare gli spiriti per le successive
battaglie. Ogni atto amministrativo, ogni nuova istituzione, ogni manifestazione interna della Mandria, fu improntata
da nuovo spirito di libertà e di indipendenza. La Mandria arrivò all’8 settembre ben preparata alle lotte che
l’aspettavano.
Assistenza i prigionieri inglesi. Nella primavera del 1943 fu costituito nella cascina Peppinella un campo di lavoro per
prigionieri di guerra con cento inglesi ed un corpo di guardia di una trentina di militari dell’esercito italiano.
L’Amministrazione della Mandria forniva di sua iniziativa generi alimentari freschi assai graditi. L’8 settembre il
campo fu eliminato insieme ai militari del corpo di guardia che in parte ritornarono a casa, in parte andarono a
formare le bande partigiane in montagna e qualcuno rimase a lavorare in cascina alla Peppinella sotto protezione
dell’Amministrazione per tutto il periodo clandestino. Le armi furono in parte distrutte ed in parte occultate ma
nessuna cadde in mano tedesca. Dei prigionieri riuscirono a dirigersi in Svizzera mentre quelli che rimasero in
Mandria furono aiutati dall’Amministrazione e costruirono nascondigli nei boschi che furono smantellati quando i
rastrellamenti si intensificarono a tal punto da renderli insicuri. Gli aiuti, a volte anche in denaro, dati ai prigionieri
inglesi, mettevano a rischio di rappresaglia sia il proprietario sia i dipendenti, mezzadri o affittuari e il 12 ottobre
1943, a seguito d’un rastrellamento fu incendiata la cascina Bonini e persero la vita l’affittuario Michele Frisatti e il
garzone Giacomo Druetta accusati di aver dato ospitalità agli inglesi. Il Proprietario aiutò personalmente la vedova
con una somma in contanti di 15mila lire nonché un’agevolazione del doppio sull’affitto della cascina.
Assistenza a ebrei e dipendenti. All’interno della Mandria erano pure presenti in clandestinità famiglie di ebrei e i
dipendenti che disertavano la chiamata militare venivano avviati al lavoro e pagati come normali lavoratori e,
nonostante la presenza interna di reparti militari, nessuno di essi fu catturato. All’interno della Mandria venivano
distribuiti grano e generi alimentari alle famiglie senza tessera annonaria. La Mandria inoltre proteggeva e dava un
nuovo lavoro a giovani sbandati abitanti dei paesi intorno ed anche ex lavoratori occupati nelle fabbriche di
materiale bellico di Torino che ne volavano impedire la produzione.
Presidi militari nella Mandria. Nell’aprile del 1944 l’Aeronautica Repubblicana volle stabilire un distaccamento del
campo di Venaria che trovò la massima resistenza del Proprietario e dell’Amministrazione creando difficoltà d’ogni
sorta nel trovare alloggiamenti e servizi e i militari vivevano continuamente sotto minaccia dei partigiani che invece
erano protetti tant’è che non riuscirono mai a conoscerne i nascondigli né a catturarne alcuno. Successe persino che
una trentina di avieri furono essi stessi disertori e, portando con sé le armi e munizioni andarono ad ingrossare le
squadre partigiane. A settembre del 1944 gli avieri furono sostituiti da reparti della “Folgore” e da allora il terrore di
rastrellamenti e arresti di dipendenti aumentò culminati con l’episodio del 28 giugno 1944. In quell’occasione lo
stesso direttore Carlo Peroncini insieme al veterinario, una guardia giurata ed alcuni operai furono imprigionati nella
caserma dell’aeroporto di Venaria liberati per intercessione del Proprietario che convinse i capi partigiani a restituire
la camionetta sequestrata agli avieri. All’interno della Mandria fu allestita una prigione in cui vennero reclusi in
permanenza una decina di ostaggi sotto minaccia di fucilazione. Non si verificò mai nessun atto di spionaggio.
Aiuti ai partigiani. La Mandria aprì subito i suoi cancelli alle prime formazioni partigiane mettendo a disposizione
boschi, cascine e mezzi. La guarnigione dei carabinieri di Caselle per non essere avviata in Germania disertò al
completo insieme al comandante Maresciallo Sola e con l’intero equipaggiamento si accamparono con le tende nei
boschi nella regione Basso Miola. L’intesa tra dipendenti e rifugiati fu sempre assai efficace tant’è che mai nessun
partigiano fu catturato nella Mandria. Notevoli gli aiuti in mezzi e alimenti che vanno dagli autocarri ai cavalli e suini
o bovini, per non parlare del latte, il grano e altri cereali, carburanti e persino 6 biciclette. Si calcola che la selvaggina
cacciata dai partigiani solo nel 1944 ammonti a 5mila fagiani, 2mila lepri e 60 cervi.
L’insurrezione del 26 aprile vide il comitato interno della Mandria pronto a sostenere l’ultima battaglia e il C.L.N. di
Torino si espresse immediatamente con un plauso per l’opera svolta durante tutto il periodo di clandestinità.