San Camillo e il buon umore

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San Camillo e il buon umore
San Camillo e il buon umore
San Camillo viene sempre raffigurato come persona alquanto taciturna, severa, molto
esigente con se stesso e gli altri nell’osservanza scrupolosa delle regole ... A volte, viene da
pensare che abbia trascorso una vita poco “gioiosa”, tutta spesa per fare penitenza dei peccati
giovanili, sempre immersa nel duro servizio dei malati, molto provata da pesanti malattie (le
cinque misericordie o carezze divine) e ancor più dall’aridità di spirito.
Leggendo bene i suoi scritti, però, si intravedono squarci della sua interiorità che proiettano
sul lettore segni di una personalità capace di osservare e giudicare persone ed eventi in
maniera piacevole, scherzosa, ironica. Difatti, sembrerebbe strano che - dopo tanti anni vissuti
nella spensieratezza, nel divertimento, nel gioco, con soldati di ventura - Camillo abbia perso
del tutto la capacità di guardare la vita con un sano distacco e una saggia “leggerezza”. Ritengo
che ne sia rimasta traccia, come un fiume carsico, nella sua vita. In una Regola Camillo
richiedeva: “Tutto l’aspetto mostri piuttosto giocondità e allegrezza che tristezza o affetto
disordinato”. Dalla lunga frequentazione con San Filippo Neri qualcosa della personalità di
questo santo dev’essergli rimasta.
A sostegno di questa tesi riporto alcune sue affermazioni.
Incitava i suoi religiosi a non essere tiepidi nella carità verso gli infermi e lo faceva con
immagini che si imprimevano facilmente nella memoria per la loro freschezza e simpatia: “Un
Ministro degli Infermi senza carità è come un pesce fuori d’acqua, che presto muore. È come un
corpo senz’anima, un soldato senz’armi. Somiglia ad un asino macilento, che sia coperto di una
bellissima e ricchissima gualdrappa ... O poveri questi tali, che sono degni d’essere pianti come
si piangono i morti nel nostro paese!. .. Poveri marinai d’acqua dolce che si perdono e affogano
in un bicchier d’acqua!».
Di fronte alla carità tutto passava in seconda posizione, anche la preghiera. Ed esprimeva
questa sua convinzione in modo esplicito e pittoresco:
“Non è buona la pietà che taglia le braccia alla carità e fa diventare gli uomini di piombo”. E
come commentare queste due bellissime espressioni? “O fratello, e che frutto hai cavato dalla
tua orazione se non ti si può toccar la punta del naso?”. “È vero che sei pronto all’orazione, ma
che ti serve se per muoverti ti bisogna la carta da navigare?”. E con simpatica modestia diceva
di sé. “lo non so, nelle mie orazioni, andar troppo per le cime degli alberi”.
Detto di passaggio: non si creda affatto che San Camillo sollecitasse alla poca preghiera,
anzi è vero l’opposto e lui fu un grande contemplativo! Una sola frase per fugare questo
pensiero: “Guai a quel religioso che si contenta solamente dell’ora di orazione mentale che fa la
mattina, andando poi tutto il resto del giorno distratto qua e là con la mente; questo tale si
troverà la sera con le mani piene di mosche e di vento”.
E non perdeva occasione per richiamarli alla bellezza della carità. Così accadde per strada di
ritorno dalla recita solenne dei vespri in una chiesa di Roma. Ad un suo religioso, che non finiva
di elogiare i canti e le musiche, Camillo rispose: “A me più gusto avrebbe dato un’altra musica”.
Quale? Chiese meravigliato il confratello. E Camillo: «A me piace quella musica che fanno i
poveri infermi nell’ospedale, quando molti insieme chiamando, dicono: “Padre dammi a
sciacquare la bocca, rifammi il letto, riscaldami i piedi”, e questa è la musica che dovrebbe
principalmente piacere ai Ministri degli Infermi».
Gli era sufficiente sentire parlare di carità per farlo diventare allegro: “Era tanto intrinseca
questa carità verso li poveri che continuamente di questa parlava e quando noi li raccontavamo
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d’aver fatto alcun’opera tale, esso ci ascoltava con molta allegrezza e spesso ci domandava di
cose simili”.
È nota a tutti la gioia di S. Camillo per l’appartenenza all’Ordine dei Ministri degli Infermi.
Scriveva a P. Alessandro Gallo: “E la sappia che per grazia di Nostro Signore mi trovo tanto
contento che non baratteria il mio stato per tutto il mondo, e per qual si voglia altro stato non
ne lasciandolo nessuno”. E ai professi e novizi di Napoli: “O felici e beati noi se tal bene
sappiamo riconoscere; e se contento e allegrezza speciale si ritrova tra i Religiosi noi non
abbiamo la minor parte”.
Questa gioia l’ha espressa tantissime volte durante la sua vita, in particolare, con le note
“beatitudini”. “Beati voi, Padri e Fratelli, che avete fatto questa elezione di vita perché questa
Religione precede le altre ... Beati e felici i Ministri degli Infermi che sapranno conoscere il gran
bene della loro vocazione! Beati voi, Fratelli, e ringraziate Dio che vi è toccata la pietanza grossa
della carità agli infermi per il che siate sicuri di guadagnare il cielo.
Beati e felici quei Ministri degli Infermi che gusteranno di questo santo liquore celeste, le
opere di carità negli ospedali. Beato e felice quel Ministro degli Infermi che consumerà la sua
vita in questo santo servizio con le mani dentro la pasta della carità!». E i suoi confratelli
sapevano bene di quale ‘pasta’ parlava! Lo spiegò un giorno ad un compagno: “Vedi, è color
dell’oro ed è oro veramente perché con esso si compra la vita eterna”.
La presenza di S. Camillo era piacevole e cercata anche da persone di alto rango. E così
desiderava per i suoi religiosi. A questo proposito, un giorno accompagnò un novizio al
banchetto di nozze di sua sorella (cosa invece proibita solo alcuni decenni fa!). Vedendo il
novizio in un atteggiamento troppo riservato, lo incoraggiò a comportarsi in modo più gioioso e
a non vergognarsi “perché anche Nostro Signore Gesù Cristo volle una volta ritrovarsi alle nozze
in Cana di Galilea”.
Il P. Vanti scriveva: «Un testimone afferma che Camillo era “allegrissimo”. I più attestano
che traspariva dalla sua persona una “modesta allegria e giocondità”; che era di una
piacevolezza edificante; che col suo parlare semplice dava soddisfazione a tutti, umili e grandi.
I cardinali Baronio e Tarugi lo invitavano qualche volta alla loro tavola per godere della sua
conversazione, sempre ispirata a una gioiosa carità».
Anche con i suoi confratelli amava trascorrere momenti felici. Racconta il Cicatelli: “Soleva
essere nella sua familiare conversazione allegro, e giocondo, amando e lodando molto quelli
che stavano allegri nel servigio del Signore. Quando si ritrovava in alcuna vigna con i suoi
Religiosi esso tal volta per dar contento a loro che così lo pregavano, s’indusse anche a giocare
alla piastrella ... E perdendo la sua partita esso era dei primi ad inginocchiarsi nella presenza di
tutti, e a recitar detti salmi, o altra orazione”.
“Era unico in consolare i sudditi e con la sua prudenza e benignità ne fece restare molti
nella religione, che erano già tentati di partirsi” (Cicatelli).
Ed era anche un buon ascoltatore, ma se gli si voleva far perdere tempo in discorsi inutili
aveva le sue strategie di difesa. Di fronte ad un gentiluomo, che andava per le lunghe con
discorsi futili, S. Camillo “si addormentò e per lo meno finse di dormire”. Immagino che, a quel
punto il nostro gentiluomo, se non era stato rispettoso del paziente ascolto del santo lo sarà
stato almeno del suo sonno.
S. Camillo era anche molto capace di affrontare con la necessaria serenità i contrattempi
della vita. Accadde che, ritornando con un sacerdote da un’assistenza notturna ad un malato,
trovarono la corda del campanello di casa rotto. Provarono, allora, a chiamare il portinaio che
non li sentiva e, quindi, erano costretti ad attendere sotto la pioggia. S. Camillo, per nulla
scoraggiato o contrariato, disse al compagno: “Fratello, adesso veramente saremmo veri
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Ministri degli Infermi se, così bagnati e infangati come siamo, ci bisognasse star qui tutta la
notte: oppure invece di aprirci uscendo il portinaio tutto collerico per avergli interrotto il sonno,
ci desse quattro buone bastonate. Allora io direi, Fratello mio, che siamo veri Ministri degli
Infermi se così maltrattati avessimo la pazienza e non ci alterassimo. Il Signore ce ne faccia la
grazia per sua misericordia e ce la faccia intendere”. Credo che il buon confratello, in quel
momento, pur non avendo un grande desiderio di imitare i fioretti di S. Francesco, avesse
comunque apprezzato sì la prospettiva del santo fondatore, ma di più la semplice apertura della
porta.
Un giorno S. Camillo sorprese un ladro in camera del priore del Santo Spirito. Gli fece
lasciare quanto aveva rubato, l’ammonì sul suo cattivo comportamento, si fece promettere di
non tornare più e lo lasciò andare. Il Priore ovviamente volle sapere il nome o la fisionomia del
ladro, ma S. Camillo, tra il serio e il divertito, gli rispose: “Ah! Signor Priore, mi meraviglio di
Vostra Signoria, che pretenderebbe che io trattenessi i malfattori, sapendo quanto io sia geloso
dell’onore e della fama del prossimo; le deve bastare che m’ha promesso di non tornarci più”.
Fece tanto per riportare i suoi concittadini di Bucchianico all’unione con Dio e alle pratiche
religiose, in particolare la partecipazione alla santa Messa. Un giorno, vedendo che molti
restavano in piazza piuttosto che entrare in chiesa, andò in mezzo a loro e disse: “Già che voi
non volete venire in chiesa a trovar me e a sentir la parola di Dio, ho risoluto di venire io a
trovar voi, e a fare il saltimbanco spirituale per le anime vostre”, E al termine: “Come gli altri
saltimbanchi alla fine delle loro dicerie vendono alcuna cosa, così io, terminando, non voglio
vendervi, ma regalarvi una cosa devota e benedetta”. E regalò a ciascuno di loro una medaglia
benedetta.
Un giorno il superiore introdusse nella camera di S. Camillo un sarto per cucirgli un nuovo
mantello. Il santo, convinto che quello che aveva lo avrebbe potuto indossare ancora per
almeno altri tre anni, fece resistenza. AI che il superiore - per vincere la sua resistenza - gli disse
che con quel comportamento avrebbe mancato all’obbedienza.
Come ne uscì S. Camillo, stretto fra l’obbedienza e la povertà? Rispose subito: “Fatemelo
anche di velluto se così vuole la santa obbedienza”.
Di fronte ad un invito sgradevole, chi di noi non ha almeno una volta cercato di farsi da
parte, adducendo una motivazione confezionata ad hoc? E venne quel giorno anche per un
buon religioso al quale S. Camillo chiese di andare con lui da Napoli a Roma. Non trovando di
meglio, sul momento, rispose che stava male ed anzi il medico gli aveva prescritto alcune
medicine. Il santo, che tra l’altro, aveva anche il dono di leggere negli animi, capì la vera
malattia del religioso e subito gli prescrisse una terapia migliore: “Il medico vi ha ordinato
questo e questo: sta bene! L’obbedienza poi vi ordina una mula, un feltro, un par di stivali e un
par di speroni con i quali domattina monterete a cavallo e partirete senz’altra replica”. Ed ebbe
ragione: quel religioso la mattina dopo, di buon’ora, s’incamminò con lui verso Roma, fresco
come una rosa!
E quanta gioia quando si trovava in ospedale: il suo paradiso terrestre, il suo giardino fiorito
e profumato. Mentre si prendeva cura di un malato al quale nessuno osava accostarsi senza
ribrezzo, S. Camillo diceva: “Questo è il mio Signore al quale io servo con ardore e allegria”.
“lo mi ricordo questo, che andando molte volte per l’ospedale il detto padre Camillo a fare
la carità all’infermi, andava con tanta carità e fervore che la faccia sua era tutta infuocata e
stava fuori di se stesso in tal modo che andava saltando e ballando con viso ridente, non
trovando la bocca del povero infermo, al quale stava in atto di cibarlo e io vedendo questo me
gl’accostai chiamandolo che mi desse la scodella e lui non mi dava risposta perché stava fuori di
se stesso e questo gli durava per un pezzo. E poi rinveniva sospirando e questo io giudico che
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stesse rapito in estasi per il fervore della sua grande carità. E questo è stato molte volte, ed è la
verità”.
La sola vista dell’ospedale già bastava a farlo stare visibilmente meglio: “Appena metto
piede nell’ospedale guarisco da ogni male”. Sì, perché era il luogo prediletto per esercitare
quella carità di cui non si stancava mai di parlare ai suoi religiosi: “Da me non ascolterete altro
che carità ... Sì che, fratelli miei, non vi meravigliate se io vi replico tante volte che siate pietosi
e misericordiosi, perché io son fatto come alcuni preti di villa, che (secondo volgarmente si
dice) non sanno leggere in altri libri che nei loro messali”. Racconta un testimone: “E non
soltanto diventava allegro lui, ma tutto l’ospedale”.
Una sera incontrò un certo Bartolomeo Croce, un medico suo amico, il quale gli domandò
dove andasse a quell’ora. S. Camillo rispose: “A spasso in un bellissimo giardino, tutto pieno di
fiori e frutti, vicino a Castel Sant’Angelo”. “ medico prese sul serio e con meraviglia la risposta.
Allora, il padre sorridendo si spiegò meglio: “Il mio giardino è l’ospedale di Santo Spirito”. Chi
conosce la condizione dell’ospedale all’epoca sa che tutti evitavamo anche solo di passare nelle
vicinanze per il grande fetore, altro che giardino fiorito! Il solo andarci in visita era veramente
una buona opera: cosa che alcuni buoni laici compivano. Con questo scopo un giorno entrarono
in questo ospedale anche alcuni giovani del collegio Salviati. Possiamo immaginare come erano
intenti a trovare il sistema più efficace per difendersi dai cattivi odori. S. Camillo, appena li vide,
colse l’occasione per spronarli a rinnovare questa loro visita: “Figliuoli, quando uscite a prender
aria, venite qui, perché non spira altrove aria più buona di qui”. Cosa avranno pensato quei
giovani?
Scriveva ad un religioso: “Mi ritrovo in Genova nel mio nido del santo ospitale, con mio
grandissimo contento e gusto spirituale”.
Nemmeno l’approssimarsi della morte riuscì a togliere il buon umore a S. Camillo. Ad un
superiore che gli aveva chiesto come stesse, rispose: “Bene e allegramente, soprattutto per
aver avuto la buona nuova di presto camminare e far viaggio per il paradiso”.
E così fu veramente fino agli ultimi giorni. “ P. Fabrizio Turboli, che doveva partire per
Firenze, sua nuova comunità, entrò nella stanza di S. Camillo per salutare il suo fondatore ormai
gravemente malato. Racconta il suddetto padre Fabrizio:
“Egli accarezzandomi mi disse: Padre Fabrizio, non ci vedremo più in questo mondo ma in
paradiso”. Questa tenerezza verso i suoi confratelli lo sentiva sempre nel suo cuore e lo
esprimeva molto spesso, come ricorda un testimone: “Spessissimo serviva al refettorio quando
i padri mangiavano e soprattutto nelle feste solenni. Esercitando quest’opera con umiltà e
incredibile allegria e lavava i piedi inginocchiato per terra e dopo ce li baciava”.
In conclusione, credo che S. Camillo lo si possa immaginare e raffigurare con un viso gioioso
come lo era, in modo speciale, quando esercitava o parlava della carità. E, comunque, a me
piace pensare così il mio amabile e santo fondatore: mentre accarezza ognuno dei suoi figli e,
come Gesù nell’ultima cena, bacia i loro piedi.
padre Renato Salvatore
tratto dalla rivista Camilliani – Camillians 3/2006
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