Bullismo? Un`indagine sul fenomeno delle

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Bullismo? Un`indagine sul fenomeno delle
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dell’osservatorio sociale
Provincia di Prato
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dell’osservatorio sociale
Collana coordinata da Michele Parpajola
Il tessuto sociale ed economico del territorio pratese sta attraversando rapide quanto profonde
trasformazioni ma al tempo stesso si caratterizza per i forti elementi di continuità con la storia e la
tradizione locale.
Il passaggio da un modello di stato sociale “tradizionale” ad uno di welfare mix, dove accanto al
servizio pubblico assumono sempre più rilevanza la progettualità e il lavoro delle organizzazioni del
terzo settore, la sperimentazione a livello regionale - avviata anche nell’area pratese - di nuove forme
per la programmazione e gestione dei servizi socio-sanitari: la Società della Salute, laddove per “salute”
si intende - nel senso più ampio del termine - il benessere sociale del cittadino, sono fenomeni che
richiedono un forte ripensamento delle politiche sociali integrate.
Il processo di ridimensionamento delle famiglie, l’emergere di nuove tipologie familiari ed il mutato
ruolo delle donne all’interno della famiglia e nel mercato lavorativo con la conseguente necessità di
conciliazione dei tempi di cura e lavoro, nonché la complessità delle dinamiche migratorie con la progressiva stabilizzazione delle comunità migranti determinano una costante evoluzione della struttura
demografica dell’area provinciale e producono nuove forme di bisogno e domande inedite di servizi.
Sono questi alcuni dei cambiamenti significativi che pongono con forza una duplice esigenza: da un
lato sviluppare attività di analisi e ricerca finalizzate alla costruzione di scenari, di sintesi interpretative
utili alla programmazione e alla governance locale, dall’altro promuovere una costante azione di diffusione sul territorio delle conoscenze acquisite per discutere, riflettere sui risultati degli studi realizzati.
È dal desiderio di rispondere, almeno in parte, a questa necessità che nasce la collana editoriale le
tele dell’osservatorio sociale promossa e realizzata dalla Provincia di Prato in collaborazione con Asel
srl - Agenzia di Servizi per le Economie Locali.
La collana si articola in pubblicazioni monografiche su rilevanti tematiche sociali individuate e scelte
sulla base delle molteplici attività di ricerca svolta in questi anni dall’Osservatorio Sociale Provinciale
unitamente alle indicazioni e agli orientamenti espressi dagli attori locali del pubblico e del privato
sociale attivi sul territorio.
Le tele dell’osservatorio sociale intendono rappresentare un utile strumento di divulgazione
dedicato ad amministratori locali, operatori dei servizi pubblici e privati, studiosi, a tutti i cittadini che
abbiano interesse a conoscere ed approfondire teorie, buone prassi, esperienze e metodologie d’intervento utili per comprendere la complessità e l’evoluzione delle dinamiche sociali in atto e contribuire
così alla ridefinizione e alla crescita del sistema di welfare locale.
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Comitato scientifico della collana
GUIDO FERRARI
Università degli Studi di Firenze
MAURIZIO BAUSSOLA
Università Cattolica del Sacro Cuore
BRUNO DE LEO
Ministero dell’Economia e delle Finanze
GABI DEI OTTATI
Università degli Studi di Firenze
FRANCESCO GIUNTA
Università degli Studi di Firenze
LAURA LEONARDI
Università degli Studi di Firenze
FABIO SFORZI
Università degli Studi di Parma
Via Ricasoli, 25 - Prato - Tel. 0574 534578
e-mail: [email protected]
sito web: www.provincia.prato.it
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Provincia di Prato
Bullismo
Un’indagine-fenomeno delle prepotenze nelle
scuole superiori del territorio pratese
di
VALENTINA CIPRIANI ED ELENA MICHELONI
Prato, novembre 2007
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Prefazione
Chi sono i bulli di oggi? sono ragazzi che esercitano deliberatamente e con frequenza prepotenze
verso chi si mostra più debole. Un fenomeno complesso che interessa anche le scuole della nostra
provincia, seppur non in maniera drammatica.
Questa ricerca nasce con lo scopo non solo di capire le dinamiche che si instaurano fra vittima
e carnefice ma punta anche a comprendere la natura sociale del contesto in cui il fenomeno bullismo
prende campo. Il bullo è solo uno fra gli attori in scena, per capirne il comportamento è necessario
soffermarsi anche sul sistema di valori, sulle necessità e le richieste dei ragazzi. Il terreno di coltura
del bullo è trasversale, non esiste una provenienza specifica, ma esistono semmai difficoltà relazionali
e situazioni di disagio. Maggiori sono gli studi e i progetti che analizzano il problema e più facile
sarà comprendere le cause e limitare gli abusi.
La ricerca - condotta su un campione di ragazzi delle scuole superiori pratesi - è uno strumento
utile per sensibilizzare studenti, ma anche famiglie e insegnanti, verso la comprensione di un
problema dalle molte sfaccettature che può essere affrontato e risolto anche attraverso il riconoscimento, l’accettazione e la comunicazione delle emozioni e bisogni dei ragazzi stessi.
Un importante dato che emerge dalla ricerca, e che sollecita opportune riflessioni, è la richiesta
di poter avere strumenti utili alla comprensione del fenomeno per poi poter agire da soli; agli
adulti i ragazzi chiedono comprensione ma non accettano la loro intromissione nella soluzione.
Irene Gorelli
Assessore alle Politiche Sociali
Provincia di Prato
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INDICE
Introduzione
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PARTE I. Il bullismo come fenomeno psicosociale
1.1 Cos’è il bullismo
1.2 Una relazione in gioco: chi, come, dove, quando...
1.3 ... e perché? Il bullismo fra cause e conseguenze
1.4 L’entità del fenomeno. I dati internazionali ed italiani
pag. 17
pag. 17
pag. 19
pag. 20
pag. 25
PARTE II. Come contrastare il fenomeno
Dall’informazione alla mediazione tra pari
2.1 Pratica educativa mirata e prevenzione: uno sguardo all’Europa
2.2 Interventi in Italia
2.3 Contributi dalla Toscana
2.4 L’esperienza dell’Istituto Professionale Datini
nella provincia di Prato
pag. 29
pag. 29
pag. 31
pag. 34
pag. 37
PARTE III. La ricerca
3.1 Metodologia
3.2 Analisi e discussione dei risultati
3.3 Focus-group: i partecipanti alla ricerca a confronto
3.4 Note finali
pag. 43
pag. 43
pag. 44
pag. 71
pag. 75
Conclusioni
pag. 77
Bibliografia
pag. 79
Sitografia
pag. 83
Appendici
pag. 84
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Dedichiamo questo libro ai ragazzi che hanno partecipato alla ricerca
e ringraziamo per la disponibilità i presidi ed i professori delle scuole coinvolte.
Alle professoresse Matilde Griffo dell’USP di Prato, Norma di Mauro dell’Istituto Professionale
Datini, Vincenza Fasulo del Liceo Scientifico Livi,
Rosanna Farabella dell’Istituto Tecnico Dagomari,
Lucia Azzini e Marilena Bagnoli dell’Istituto d’Arte Bernini di Montemurlo,
un ringraziamento speciale
per aver messo a disposizione il loro tempo e la loro professionalità.
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Introduzione
INTRODUZIONE
Comportamenti come impaurire, sottomettere, umiliare con prese in giro e pettegolezzi, escludere
qualcuno dai giochi e dai discorsi, minacciare per ottenere denaro od oggetti caratterizzano da tempo
memorabile gli ambienti di aggregazione giovanile, in particolare la scuola. Atti del genere vengono
raccontati da giovani ed adulti, quindi non è fuori luogo pensare che si perpetuino di generazione in
generazione. Frasi tipo “a scuola adesso i professori si scandalizzano per niente. Queste cose ci sono
sempre state eppure siamo cresciuti bene”, oppure, “per due spintoni o prese in giro non è mai morto
nessuno, anzi si impara a difendersi”, esprimono un’opinione diffusa in Italia e legittimano l’interesse
che da qualche decennio le scienze psicologiche e sociologiche nutrono per le dinamiche e le relazioni
di potere in contesti educativi.
Nonostante sia sempre esistito, il bullismo è stato per molto tempo un fenomeno inosservato ed
“innominato”, perciò privo di significato e senza una chiara definizione. A renderlo percepibile e leggibile sono stati i cambiamenti culturali e scientifici relativi al tema delle prepotenze tra bambini e ragazzi.
La nostra società, infatti, ha subito profonde trasformazioni nell’ultimo secolo: l’incontro di popoli
diversi, la complessa ed instabile convivenza di tradizioni, il processo d’integrazione fra più culture
spingono ad una riflessione importante su ciò che caratterizza la nostra comunità. La figura del soldato,
del combattente, di chi si impone con determinazione e incisività, si collega bene all’idea di una società
liberale in cui la competizione è costante e a vincere è il più forte. Oggi, nonostante il nostro sia un
paese in cui la competizione e la sopraffazione rappresentino delle coordinate di vita, prevalgono in
maniera spesso contraddittoria valori come la pace, il dialogo, la tolleranza, la risoluzione non violenta
dei conflitti: tutta una serie di atteggiamenti a lungo considerati normali, consueti e non connotabili
come problema, iniziano oggi ad essere oggetto di esame.
Questo slittamento di pensiero si è unito anche ad una svolta avvenuta all’interno della comunità
scientifica. L’Italia, attenta all’evolversi della situazione nelle nazioni in “emergenza bullismo”, ha diretto lo sguardo al proprio contesto e si è interrogata sulla propria condizione rispetto al fenomeno.
Possiamo tranquillamente affermare che la sensibilità verso il tema del bullismo è aumentata grazie al
prezioso contributo delle prime ricerche italiane coordinate da Ada Fonzi1.
Si assiste ad un chiaro scollamento tra i valori trasmessi ai giovani e ciò che essi devono toccare con
mano ogni giorno, sia in casa che a scuola. Prendiamo, ad esempio, un professore che durante una
lezione di educazione civica esorta uno studente a dire la sua opinione, per poi schernirlo davanti al
resto della classe se ha espresso un concetto poco chiaro. Oppure, un genitore che sistematicamente
dice al figlio di “non urlare”, urlando a sua volta. A tutto questo si aggiunge l’educazione alla pace in un
paese che ha partecipato ad azioni offensive verso altri paesi definiti “più deboli”.
Concetti come tolleranza, dialogo, confronto vengono in realtà passati con modalità comunicative
fortemente ambigue. Non stupiamoci se, nonostante la nostra sia “idealmente” una cultura di pace
1 Professoressa di Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione presso l’Università degli Studi di Firenze.
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Introduzione
(vista anche la matrice cattolica), una percentuale preoccupante di adolescenti italiani presenta atteggiamenti “bullistici”2. Fra i giovani la prevaricazione è sempre più diffusa e c’è da chiedersi se gli adulti
di riferimento, con il loro ruolo chiave nei processi di socializzazione ed educazione del ragazzo, la
stiano utilizzando per primi nelle loro relazioni quotidiane.
Diventa necessario, non solo indagare l’entità del problema ed agire nelle scuole dove c’è un’emergenza, ma affrontare anche la questione della cultura che sorregge il fenomeno, poiché è questa a
legittimare diffusamente il ricorso a quelle violenze e prepotenze che possono esprimersi anche in
forme diverse dal bullismo. Per comprendere il bullismo è, pertanto, d’obbligo muoversi dagli stili
educativi parentali ai comportamenti assunti dagli adulti significativi, dal modello educativo seguito
dall’insegnante alla posizione dell’istituto scolastico, dall’atteggiamento sociale alle decisioni istituzionali.
Ma chi è il bullo?
Bullo è chi compie deliberatamente e frequentemente prepotenze verso chi sente più debole. Sarebbe però un errore pensare che da solo possa dare avvio ad un fenomeno così complesso: di fatto, il
bullo è soltanto uno degli attori in scena.
Con questo contributo si cercherà di dare una definizione del fenomeno, di comprendere la sua
matrice sociale e le caratteristiche degli attori coinvolti, di riassumere le possibili cause e conseguenze
delle prepotenze e di fornire un quadro sintetico dell’entità del bullismo in Italia (prima parte).
Successivamente saranno illustrati gli interventi attuati per affrontare il problema del bullismo, con
un rapido sguardo all’Europa e con una rassegna dei contributi italiani: in particolare, saranno descritti
i progetti presentati in Toscana e nella provincia di Prato, come “Incontriamoci”dell’Istituto Tecnico
Professionale Datini (seconda parte).
Infine, sarà presentata la ricerca, condotta da Asel srl3 per l’Osservatorio Sociale della Provincia di
Prato, che ha coinvolto quattro scuole superiori del territorio. Dopo una descrizione della metodologia
e dei risultati ottenuti con un questionario e con due focus group, si passerà a tracciare una possibile
linea di intervento da attuare a livello provinciale (terza parte).
La scelta della Provincia di interessarsi alle scuole superiori sembra andare in una direzione diversa
dalle principali linee di ricerca, legate soprattutto alla scuola dell’obbligo. Per quanto riguarda le superiori, il panorama di ricerche e di interventi è infatti più limitato. Questo può essere spiegato con la
diminuzione del fenomeno delle prepotenze e delle violenze all’aumentare dell’età dei ragazzi, come
indicato dalla letteratura.
In realtà, l’ambito delle scuole superiori costituisce lo sfondo in cui modalità di interazione disadattive
e distorte possono stabilizzarsi e costituire un problema sempre più difficile da affrontare. Per questo in
altre nazioni, come Olanda, Belgio Spagna, Lussemburgo, Francia, Finlandia, il Ministero per l’Educazione ha varato un piano nazionale di contrasto al bullismo, valido anche per gli Istituti secondari (cosa
che in Italia manca ed è auspicabile che avvenga).
2 A partire dal mese di novembre 2006 la cronaca nazionale ha riportato sulle prime pagine di tutti i quotidiani episodi
allarmanti di prevaricazioni e violenze agite all’interno del mondo scolastico.
3 Agenzia di Servizi per le Economie Locali - Provincia di Prato.
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Introduzione
La ricerca che viene proposta in questo volume vuole “fotografare” la situazione delle scuole superiori della provincia di Prato rispetto al fenomeno delle prepotenze fra adolescenti. Il presente lavoro si
pone, quindi, come stimolo alla riflessione sul bullismo stesso, affinché venga maggiormente indagato,
compreso ed efficacemente affrontato. Interrogarsi sullo stato delle cose è il passo iniziale per capire ed
attrezzarsi a contrastare il problema laddove esiste.
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Il bullismo come fenomeno psicosociale
Parte I. Il bullismo come fenomeno psicosociale
Ci sono due dimensioni che possono descrivere molto bene il fenomeno del bullismo: quella del
potere individuale all’interno della relazione e quella del potere sociale all’interno del gruppo. Le prepotenze, le angherie, le umiliazioni trovano terreno fertile quando un gruppo si allontana dalla convivenza civile e democratica ed avalla la posizione dispotica di alcuni. La persona che si trova a vivere in
questo “stato di non diritto” può essere più facilmente vittima se ha scarso potere nella relazione, o
bullo se al contrario ha grandi capacità di azione all’interno di questa dinamica. Il bullismo è un fatto
psicosociale proprio per questo, poiché riguarda profondamente la psicologia dell’individuo, si genera
da una particolare relazione interpersonale, coinvolge il sistema collettivo ad ogni suo livello ed esprime una cultura prevaricatrice e prepotente. A tal proposito, le ricerche campionarie svolte per l’annuale Rapporto Nazionale sulla Condizione dell’Infanzia e dell’Adolescenza (Eurispes e Telefono Azzurro,
2005) offrono dell’adolescente italiano due rappresentazioni altamente dicotomiche: arrabbiati, annoiati, aggressivi e prematuramente autonomi da una parte; bisognosi di protezione, emotivamente fragili
e per molto tempo dipendenti dall’altra. Non è da escludere quindi che il bullismo, se incontra la
tolleranza sociale, possa nutrirsi anche di questa “impreparazione” alla convivenza coi bisogni e con la
diversità altrui.
1.1 Cos’è il bullismo
Nell’immaginario collettivo il bullo è da sempre l’antagonista che dà risalto alle straordinarie qualità
morali del “buono”, il capro espiatorio malvagio prima o poi punito dalla giustizia sociale, l’ostacolo al
successo e alla realizzazione personale. In Italia, l’atteggiamento comune assunto nei confronti del
bullo è stato di silenziosa sopportazione perché il “prepotente” della scuola, del quartiere o del paese si
è rivelato per anni una figura tollerata in quanto presenza naturale all’interno di una comunità, come
fosse una norma anche la presenza di un leader prevaricatore. Di fatto, il bullo “all’italiana” è ridimensionato nel suo aspetto violento e pericoloso, al punto che si è parlato spesso di “bulletto” in modo fin
troppo benevolo e permissivo. Forse questo atteggiamento ha contribuito a ritardare l’interesse dell’Italia per il tema e giustifica in parte la maggior diffusione del bullismo nel nostro Paese rispetto al resto
dell’Europa. Aldilà, però, del profilo romanzato e dell’immagine che la letteratura, la cinematografia e la
visione popolare rimandano, il bullo emerge dalla cronaca nazionale e dal lavoro scientifico degli ultimi
anni come protagonista di un complesso ed articolato fenomeno.
Porre rimedio al bullismo potrebbe, di primo acchito, sembrare un bisogno sociale “portato alla
luce” senza segnali di necessità da parte della comunità. In realtà, la risposta all’interesse scientifico per
il fenomeno rivela tutt’altro pensiero: dalla famiglia alla scuola si è sollevato un alto consenso ed una
forte partecipazione, affinché siano comprese le dinamiche del fenomeno e si trovi finalmente una
modalità efficace ed adeguata per fronteggiare le prepotenze fra gli alunni di tutte le età.
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Il bullismo come fenomeno psicosociale
Il termine bullismo è entrato in Italia come neologismo poco dopo, e forse non a caso, che in un
articolo Ada Fonzi (Fonzi, 1995) ne ha evidenziato la preoccupante presenza nel nostro Paese. Tradotto
dall’inglese bullying, la parola bullismo si riferisce ad una condizione in cui vi è la presenza di un
prevaricato e di un prevaricatore (Fonzi, 1997). Riconoscendo la radice relazionale del fenomeno, l’Italia ha quindi adottato il significato anglosassone del vocabolo, che definisce il bullo non soltanto “un
giovinastro spavaldo e violento” ma un “individuo che impiega la propria forza o potere per intimidire
o ledere un individuo più debole”.
La comunità scientifica sta cercando ora di conoscere e comprendere la consistenza e la fisionomia
del fenomeno (Olweus, 1973, 1977, 1993; Perry, Kusel & Perry, 1988; Sharp & Smith, 1994; Fonzi,
1997, 1999; Menesini, 2000) e questo è possibile grazie ad una chiara e condivisa definizione che permette comparazioni cross-culturali. L’autore al quale si deve tale definizione, grazie al suo pionieristico
sforzo ed impegno costante nella ricerca sul bullismo in ambito scolastico, è il norvegese Dan Olweus.
Ad oggi, è comunemente condiviso che “uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato
o vittimizzato quando” tale studente “viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo alle azioni
offensive messe in atto da parte di uno o più compagni. Un’azione viene definita offensiva quando una
persona infligge intenzionalmente o arreca un danno o un disagio a un’altra” (Olweus, 1993).
Il bullismo, perciò, non è un atteggiamento o un atto aggressivo, ma un vero e proprio processo
dinamico che parte dalla relazione prepotente-vittima. Tale relazione deve, inoltre, presentare le seguenti caratteristiche:
1. Intenzionalità: il bullo agisce deliberatamente con lo scopo di dominare l’altro arrecandogli danno
o disagio.
2. Sistematicità: le prepotenze agite e subite sono costanti e frequenti nel tempo. Le offese occasionali
e non gravi o un solo esecrabile evento di prevaricazione non sono registrabili come forme di bullismo,
proprio perché in letteratura si indicano come tali sole prepotenze frequenti nel tempo rivolte alle
solite vittime.
3. Asimmetria nella relazione: nella relazione bullo-vittima c’è un chiaro squilibrio di potere; mentre
il prevaricato ha difficoltà a difendersi e si trova in una posizione di impotenza, il prevaricatore è
generalmente più grande o più forte della vittima. Pertanto, i litigi tra due soggetti pressoché della
stessa forza o i casi di lotta fisica messi in atto per gioco non sono considerati episodi di bullismo. Non
di rado accade, però, che per episodi in cui si assiste ad un’alternanza di ruoli tra le diverse figure
coinvolte, piuttosto che ad un’asimmetria di potere, si faccia riferimento improprio a forme di bullismo.
Il bullismo si manifesta attraverso differenti modalità. Le forme indirette sono osservabili e caratterizzate da aggressioni compiute direttamente nei confronti della vittima attraverso mezzi fisici o verbali
(Olweus, 1993; Fonzi, 1997). Il contatto fisico tra il bullo e la vittima può quindi avvenire attraverso
pugni, botte, calci, percosse di varia natura ed intensità. La stessa violenza, tuttavia, può essere diretta
anche agli oggetti della vittima, che vengono così danneggiati o rubati. I mezzi verbali sono le minacce,
le ingiurie, gli insulti e le derisioni verso la vittima, con possibili gesti di scherno o comportamenti che
la mettono in ridicolo. Le forme indirette, meno brutali ma comunque dannose, sono l’isolamento,
l’allontanamento o l’esclusione dal gruppo, la diffusione di maldicenze e storie inventate a scapito della
vittima (Olweus, 1993; Fonzi, 1997).
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Il bullismo come fenomeno psicosociale
1.2 Una relazione in gioco: chi, come, dove, quando...
I protagonisti delle prepotenze sono:
- il bullo, che le compie,
- la vittima, che le subisce,
- lo spettatore, che assiste e per ciò appartiene allo scenario del bullismo.
Gli studi e le ricerche degli ultimi 30 anni ci permettono di descrivere ciascuna figura in sottotipi dal
profilo psicologico e comportamentale più preciso. L’articolazione del fenomeno in questi termini non
risponde ad un piacere tassonomico fine a se stesso, ma alla necessità di conoscere il bullismo nei suoi
meccanismi di funzionamento e mantenimento, per orientarsi nella prevenzione e nell’intervento. È
così possibile distinguere oggi il bullo dominante da quello gregario, la vittima passiva da quella provocatrice, lo spettatore attivo dall’ “outsider ”4.
Sappiamo che il bullo dominante utilizza la propria forza e la violenza per ottenere ciò che desidera
senza curarsi dell’altro. Agisce con impulsività, si arrabbia facilmente e tollera con difficoltà le frustrazioni. Il suo atteggiamento oppositivo, provocatorio ed aggressivo è generalizzato e mira alla sottomissione
dell’altro in segno del proprio potere. Fisicamente più forte del coetaneo, prevarica ed umilia la sua
vittima; mantiene un atteggiamento negativo di fronte alle regole e manipola il rapporto con l’altro a
proprio vantaggio. Ha un’opinione piuttosto positiva di sé, si dimostra sicuro, quasi mai ansioso ed ha
probabili difficoltà di comunicazione.
Il bullo gregario, o passivo, assume il ruolo di aiutante del bullo dominante. Esegue gli ordini e non
prende iniziativa: più incerto, più ansioso e meno popolare del classico bullo, ricerca la stima del gruppo appoggiando le vessazioni; rispetto al bullo dominante è più incline ad esperienze empatiche e a
sensi di colpa nei confronti della vittima.
La vittima sottomessa, o passiva, è generalmente timorosa, insicura, sensibile e cauta. È un soggetto che si valuta negativamente, che non ha fiducia nelle proprie capacità e che ha difficoltà nelle relazioni con i coetanei. La vittima passiva non è in grado di difendersi e non ha la vicinanza del gruppo, dal
quale spesso è esclusa. Il comportamento goffo ed impacciato la rende facilmente bersaglio dei suoi
persecutori, di fronte ai quali reagisce chiudendosi in se stessa o piangendo. Tende a negare il problema
e a subire passivamente e con rassegnazione le aggressioni. Spesso la vittima sceglie di non parlare di
ciò che le accade per vergogna o per timore di essere ulteriormente maltrattata. Soggetti particolarmente a rischio di prepotenze e giochi di potere da parte dei bulli sono giovani extracomunitari e giovani
disabili.
La vittima provocatrice è un soggetto che, pur in netto svantaggio fisico rispetto al bullo, replica le
azioni aggressive dell’altro. Nel ruolo di sfidante e di vittima, combina modalità di reazione prepotenti
e timorose.
Spesso è un maschio, con bassa autostima e dal comportamento irrequieto, impulsivo ed offensivo.
È probabile che abbia problemi di concentrazione ed iperattività. La vittima provocatrice assume atteggiamenti che creano tensione e irritazione nei coetanei (nel gruppo di amici, in classe, ecc.) e negli
adulti, i quali reagiscono spesso a suo danno.
4 Le definizioni che seguiranno sono il frutto di una revisione e di un lavoro di sintesi dei contributi sul tema presenti in
letteratura. Per la conoscenza dei testi si rimanda alla bibliografia e sitografia finali.
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Il bullismo come fenomeno psicosociale
Oltre al coinvolgimento dei bulli e delle vittime, il fenomeno si manifesta in più espressioni anche
per la presenza di bambini e ragazzi spettatori, che assistono alle prepotenze o ne sono a conoscenza.
Ben 4 episodi di bullismo su 5 avvengono davanti al gruppo dei pari (Craig e Pepler, 1997): dato che
siamo di fronte ad un fenomeno difficilmente segnalato dai ragazzi, ciò significa che nella maggior parte
dei casi le azioni bullistiche passano sotto gli occhi di molte persone senza che siano denunciate o si
intervenga in alcun modo. È questo il caso della cosiddetta maggioranza silenziosa o outsider. L’individuo che vi appartiene cerca di non essere coinvolto dimostrandosi indifferente di fronte alle prepotenze. L’omertà a cui si assiste è forse una delle risorse più potenti per il perpetuarsi del fenomeno, in
quanto approva e rinforza su un piano sociale, oltre che individuale, il ricorso alla violenza nella relazione con l’altro.
Il sostenitore incita, apprezza e sostiene apertamente il bullo mentre il difensore cerca di interrompere le vessazioni prendendo le parti della vittima, confortandola ed alleandosi con lei. Sono spesso le
femmine ad assumere il ruolo del soccorritore.
Il bullismo è quindi un fenomeno di gruppo che coinvolge tutti i presenti, siano essi attivi, passivi o
neutrali nel sostenere o contrastare le angherie.
Le ricerche sostengono che la facile distinzione di genere che si fa, pensando al bullismo come ad
“una cosa da maschi”, valga solo per le modalità con le quali si agiscono le prepotenze: di fatto, i
protagonisti possono essere sia maschi che femmine, anche se quest’ultime con una frequenza assai
minore. Un maschio è generalmente un prepotente diretto che aggredisce, soprattutto fisicamente,
vittime di entrambi i sessi. Una femmina è più facilmente una prevaricatrice indiretta di un’altra femmina. Stessa distinzione per le vittime, poiché un maschio riceve maggiormente aggressioni dirette rispetto ad una femmina, vittima quest’ultima di prepotenze più indirette.
Spesso il protagonista ha un’età compresa fra i 7-8 e i 14-18 anni: più è giovane più agisce o subisce
attacchi fisici (come percosse, furti, brutti scherzi) anziché verbali (prese in giro ripetute, minacce,
provocazioni);
Gli ambienti dove gli episodi di bullismo hanno luogo con frequenza sono quelli dei plessi scolastici: in aula, nel corridoio, in bagno, nel cortile, in palestra, nei laboratori e in zone appartate e non
vigilate dell’istituto. Talvolta le prepotenze, anche se con frequenza meno accentuata, si verificano alle
fermate degli autobus e sui mezzi di trasporto, nei locali e luoghi di ritrovo di massa,come le discoteche,
i bar, le sale-giochi, giardini e parchi pubblici. Anche i momenti in cui le azioni bullistiche prendono
scena ruotano spesso attorno ai tempi scolastici: prima di entrare a scuola, durante la ricreazione,
durante la permanenza in aula, all’uscita da scuola, nel tragitto che il ragazzo percorre fra casa e scuola.
1.3 ... e perché? Il bullismo fra cause e conseguenze
Ogni comportamento umano è il risultato di un “complesso gioco di azioni e retroazioni” (Fonzi,
1997), oltre che di componenti genetiche, evolutive ed ambientali che concorrono a disegnare la linea
di crescita individuale. Non c’è un’unica causa, né un insieme di elementi che determina l’insorgere del
problema. Per spiegare le origini del bullismo è necessario ricorrere ad un’ottica “multifattoriale”, tenere cioè presente l’insieme dei fattori che, interagendo tra loro, sono in grado di darci una spiegazione
sul suo avvio.
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Il bullismo come fenomeno psicosociale
Gli elementi che contribuiscono all’espressione della vulnerabilità individuale rispetto al fenomeno
sono aspecifici, ovvero, non riscontrabili solo in questo quadro problematico. Ad essere specifica è la
loro interazione, che varia sia in base ai diversi contesti di azione e di appartenenza (la dimensione
familiare, sociale ed ecologica) sia in relazione al tempo (età, fasi dello sviluppo, ecc.). Il bullismo si
configura quindi come un processo che si costruisce nel tempo e all’interno di relazioni. E come tale, al
pari di ogni altro fenomeno, va considerato un “fatto sociale” (Eurispes-Telefono Azzurro, 2002).
È ripetuto in letteratura che il bullismo non è appannaggio esclusivo del genere maschile; sembra
però che un maschio corra un rischio maggiore di entrare nel fenomeno rispetto ad una femmina. Nel
gioco delle parti, i maschi risultano più attivamente coinvolti nel fare prepotenze (Lagerspetz et al.,
1982; Whitney e Smith, 1993), mentre le femmine sono più propense ad assumere comportamenti
prosociali (Hoffman, 1977 in Menesini e Gini 2000).
I soggetti che più di altri restano coinvolti in certe dinamiche si trovano negli anni della scuola
elementare-media ed all’inizio delle superiori. A livello della scuola primaria i bambini non hanno sviluppato in modo completo abilità cognitive fondamentali per instaurare delle relazioni sociali di tipo
soddisfacente (Miller, 1983). Ciò determina una certa “incompetenza” sociale: in altre parole i bambini
di questa età non sono in grado di comprendere che alcuni tipi di comportamento non devono essere
adottati. Molto spesso accade che il bullo della scuola primaria non capisca che è sbagliato infliggere
prepotenze ad altri compagni perché non riesce ad associare alla prepotenza il significato di comportamento negativo. Allo stesso tempo, la vittima non possiede ancora quelle determinate abilità sociali che
le permettono di difendersi e di gestire il momentaneo squilibrio di potere. Una riflessione aggiuntiva
che potrebbe permettere di giustificare la diminuzione della quantità di popolazione scolastica interessata dal fenomeno del bullismo nel passaggio dalla scuola primaria alla scuola secondaria, è data dal
fatto che i soggetti d’età diversa hanno differenti rappresentazioni dello stesso evento (Levorato, 1988).
È possibile che i ragazzi della scuola secondaria abbiano una rappresentazione, di ciò che è il bullismo,
diversa dagli alunni più piccoli: la maggiore esperienza delle relazioni tra coetanei permette loro di
circoscrivere il fenomeno delle prepotenze a specifiche dinamiche sociali; al contrario i bambini della
scuola primaria associano, impropriamente, al bullismo una gamma più vasta d’eventi.
L’evolversi del fenomeno in una prospettiva longitudinale di vita è ormai chiaro grazie alle tante
ricerche sul tema: il numero dei giovani coinvolti si riduce progressivamente nel passaggio tra le scuole
primarie e quelle secondarie di primo grado mentre, più significativamente, nel passaggio della scuola
secondaria dal primo al secondo grado gli episodi “bullistici” si fanno meno numerosi e meno frequenti. Inoltre, con l’aumento dell’età le aggressioni cambiano forma, in quanto si riducono gli attacchi fisici
ed aumentano le prepotenze verbali. Nonostante la portata del fenomeno diminuisca con la crescita del
bambino, ci si scontra con l’aggravamento delle prevaricazioni e con l’irrigidirsi dei ruoli di bullo e di
vittima: la forza ed il grado di pericolosità delle azioni messe in atto contro l’altro crescono in adolescenza al punto di tradursi, nei casi più estremi, in veri e propri comportamenti devianti. Si esce così dal
fenomeno del bullismo per entrare in quello della devianza minorile a cui appartiene un’ampia gamma
di comportamenti antisociali.
Gli studi che si occupano di indagare i fattori di vulnerabilità al fenomeno hanno individuato nel
temperamento, ovvero nel substrato biologico di fondo del carattere, uno degli elementi che possono
predisporre un soggetto all’aggressività. Fondamentale è anche l’esperienza di attaccamento alla figura
21
Il bullismo come fenomeno psicosociale
accudente che il bambino fa nei primi anni di vita; secondo la teoria dell’attaccamento (Bowlby 1969,
1988) vi è nell’uomo la tendenza innata a ricercare la vicinanza della figura significativa ogni volta si
costituiscano situazioni di pericolo o dolore. Il modo in cui la figura di accudimento risponde ai bisogni
di protezione e cura del bambino è fondamentale per lo sviluppo di modalità di relazione adeguate.
Sembra che un accudimento negativo, senza coinvolgimento o calore favorisca nel bambino comportamenti aggressivi.
Gli aspetti psicologici che soggiacciono al comportamento del bullo sembrano essere: un forte bisogno di potere e dominio (per cui sembrano godere nel controllare e sottomettere gli altri) ed una
componente strumentale (per la quale i bulli spesso costringono le vittime a procurare loro denaro,
sigarette o oggetti di valore). Inoltre, sia la condizione di vittima che di bullo appare legata a difficoltà
nel riconoscere e valutare le emozioni e i loro specifici segnali emotivi, specialmente per le vittime per
quanto riguarda la rabbia, il che potrebbe impedire loro di riconoscere il potenziale aggressore per
potersene difendere; ed inoltre l’incapacità di leggere tale emozione potrebbe impedire il controllo
delle proprie manifestazioni comportamentali provocando ulteriormente la rabbia dell’altro. Nei bulli
si riscontra invece una generale immaturità nel riconoscimento delle emozioni, che soprattutto riguarda la felicità.
Inoltre, nelle vittime appare scadente la capacità di raccontarsi, in quanto producono storie meno
complete ed utilizzano uno stile narrativo meno evoluto rispetto ai bulli.
L’unico punto in cui sono i bulli a differenziarsi dalle vittime e dal gruppo di controllo in senso
negativo è quello che riguarda il disimpegno morale, processo per cui si può giustificare un’azione
violenta sostenendo che la si fa a fin di bene, o che contravvenire a una norma “non è poi così grave”.
Un altro meccanismo psicologico implicato nella relazione vittima-prepotente è l’empatia. Per empatia
si intende la capacità di un individuo di comprendere e condividere gli stati emotivi sperimentati da
un’altra persona. Si può condividere la gioia, ma anche la sofferenza altrui. Probabilmente i soggetti che
prevaricano i propri compagni difettano fortemente di capacità empatiche dal momento che sembrano
non rendersi conto delle sofferenze che inducono in quei ragazzi che subiscono le loro prevaricazioni.
Anche le vittime, non riconoscendo le emozioni (specie la rabbia), hanno una scarsa abilità nel
sintonizzarsi affettivamente con i compagni: interagiscono così in modo spesso inadeguato e stimolano
l’aggressività dei compagni. Pare, pertanto, che in termini di rappresentazioni mentali nei confronti del
“diverso”, sia i bulli che le vittime abbiano scarsa plasticità, povertà strutturale rappresentativa, un repertorio ristretto di modalità comunicative e scarsa capacità di tenere conto delle caratteristiche dell’altro nel dosare il grado di intimità nei suoi confronti.
Nuove ricerche hanno messo in risalto il peso degli stili educativi parentali nell’emergere del bullismo,
attribuendo particolare importanza alla coercizione ed alla permissività. I modelli educativi e le condizioni che possono aver favorito durante l’infanzia lo sviluppo di atteggiamenti ostili ed aggressivi verso
l’ambiente, sono i risultati di un atteggiamento negativo di fondo, caratterizzato da mancanza di calore
e di coinvolgimento da parte dei genitori ed, in particolare, della figura che principalmente si prende
cura del bambino nei primi anni di età (in genere la madre). Un atteggiamento educativo permissivo e
tollerante invece non pone chiari limiti al comportamento del bambino, sia esso aggressivo o sregolato.
In sostanza, l’uso coercitivo del “potere” da parte del genitore, poco amore, poca cura e troppa libertà
nell’infanzia sembrano essere le condizioni che contribuiscono fortemente allo sviluppo di un modello
22
Il bullismo come fenomeno psicosociale
aggressivo. L’ambiente familiare, oltre a favorire l’origine di certi atteggiamenti, rinforza tali modalità di
relazione prepotenti durante tutta la crescita del ragazzo: mentre le vittime sono accomunate da uno
stile educativo parentale di indifferenza, i bulli sono spesso oggetto di un atteggiamento di approvazione da parte dei familiari. Vi sono poi spesso problemi familiari di fondo: rapporti conflittuali tra i genitori, divorzio, disturbi psichiatrici, alcolismo, tossicodipendenza, ecc. Sia in Italia che in Inghilterra i
soggetti implicati nel bullismo presentano alcune caratteristiche simili per quanto riguarda la rete dei
rapporti familiari: nelle famiglie dei bambini bulli risulta spesso l’assenza del padre naturale a casa, un
basso grado di coesione sia tra i genitori che tra il bambino ed ogni genitore; questa invece risulta più
alta nel caso delle vittime.
Mentre si è visto che il grado di istruzione dei genitori ed il livello socio-economico non sembrano
correlati alle condotte dei figli, a livello sociale i fattori di gruppo favoriscono l’emergere di comportamenti aggressivi e passivi fra ragazzi. All’interno del gruppo si assiste ad un indebolimento del controllo
e dell’inibizione delle condotte negative e si sviluppa una riduzione della responsabilità individuale.
Questi fattori fanno sì che in presenza di ragazzi aggressivi, anche coloro che generalmente non lo sono,
lo possano diventare spingendo il gruppo verso la ricerca di una vittima. Risulta evidente da molti studi
che, sia nei ragazzi che negli adulti, il comportamento aggressivo può essere stimolato dall’osservazione
degli atteggiamenti e dei comportamenti di un “modello” che agisce aggressivamente e ancor più se
questo viene valutato positivamente dall’osservatore come duro, coraggioso e forte. L’osservazione di
un modello che viene ricompensato per il comportamento aggressivo porta ad una diminuzione delle
inibizioni dell’osservatore nei confronti della propria aggressività. Nel bullismo questo meccanismo
agisce in quanto il bullo (modello) viene ricompensato dalla vittoria riportata sulla vittima, ed inoltre il
suo comportamento risulta produrre scarse conseguenze negative da parte sia degli insegnanti che dei
genitori e dei coetanei. Maggiormente influenzabili in tal senso sono i ragazzi insicuri e dipendenti
(passivi, gregari), che non godono di considerazione all’interno del gruppo dei coetanei e desiderano
affermarsi. Questo processo può essere definito “contagio sociale”.
Infine, certi studenti non aggressivi possono partecipare ad episodi di bullismo per una diminuzione e diluizione del senso di responsabilità individuale che riduce il senso di colpa dopo l’episodio
collettivo; questo può accompagnarsi ad una distorsione cognitiva che porta a percepire gradualmente
la vittima come persona incapace, che “merita” di essere molestata.
La recente individuazione di “altre figure” che agiscono le prepotenze, o che le assistono, ha permesso di comprendere come il processo di “cristallizzazione” della relazione sia più probabile. E’ proprio di questo gran numero di soggetti coinvolti nel fenomeno che si sta sempre più tenendo conto per
contrastare il bullismo. Il contesto relazionale che si produce con il bullismo è tipico di un sistema
chiuso, problematico che non ha trovato sbocchi per uno sviluppo evolutivo corretto della relazione tra
pari. In assenza di ciò prendono spazio le dinamiche negative dove i rapporti interni tra i compagni si
ritualizzano in comportamenti di sopraffazione e svalorizzazione dell’altro, di passività e d’impotenza,
oppure in atteggiamenti d’indifferenza e di non intervento.
In generale qualsiasi gruppo produce sia identità individuali, sia identità di gruppo che si possono,
talvolta, fissare in relazioni e comportamenti ripetitivi e negativi, assegnando ruoli, stereotipi ed etichette che durano nel tempo. Il bullismo, come fenomeno che si genera e si mantiene nel gruppo classe,
non fa eccezione. La scuola ha un ruolo fondamentale nei processi di adattamento/disadattamento dei
23
Il bullismo come fenomeno psicosociale
bambini e dei ragazzi, poiché assume notevole rilevanza ponendosi come fattore di protezione o di
rischio rispetto ai possibili percorsi evolutivi. La qualità dell’esperienza scolastica viene qui intesa in
senso globale: non solo come successo o insuccesso scolastico, ma anche come socializzazione, condivisione di esperienze, partecipazione, crescita cognitiva ed affettiva del singolo e del gruppo.
Le condizioni della scuola e la sua organizzazione possono costituire un elemento di prevenzione o
di aggravio delle dinamiche di prevaricazione. Nel contesto extrascolastico un ragazzo che subisce una
prepotenza può scegliere di non stare più con quel gruppo; a scuola ciò non è possibile, essendo
obbligato a condividere con gli stessi compagni almeno un intero anno scolastico. Per la vittima di
prepotenze tutto ciò ha conseguenze a breve e a lungo termine. Spesso la vittima non trova le condizioni per il riscatto, perché non ci sono né condizioni ambientali di tutela fisica, né l’aiuto di un adulto che
interrompa la routine. Il bullo non trova, invece, il contenimento necessario all’impulsività e all’aggressività, in un contesto in cui si sente perfettamente a proprio agio e che gli appare senza regole; non
trova adulti che lo possano aiutare a raggiungere la consapevolezza e ad uscire dal ruolo che si è costruito e che talvolta è l’unico modo che conosce per socializzare (Costantini, 2000).
Alcune ricerche hanno dimostrato che non esiste correlazione tra la frequenza degli episodi di bullismo
e l’ampiezza della scuola e della classe, né tanto meno che il fenomeno si manifesti con maggior incidenza nelle grandi città.
Per concludere, sembra essere fondamentale l’attenzione dell’adulto ai processi relazionali e alle
dinamiche interpersonali che si stabiliscono all’interno della scuola.
Le statistiche riferiscono che un bambino su tre all’interno della scuola dell’obbligo subisce prepotenze, e se è vero che poi il numero di ragazzi coinvolti diminuisce al passaggio alla scuola secondaria,
è altrettanto vero che i protagonisti del fenomeno vanno incontro ad un alto rischio psicosociale. Alcuni
studi condotti longitudinalmente hanno cercato di affrontare l’argomento ed hanno portato a disegnare per lo più scenari di tipo disadattivo. Non stupisce che i bulli, avendo una certa incapacità a rispettare
le regole, incorrano più facilmente in comportamenti problematici, quali abuso di alcool o di altre
sostanze, e in azioni criminali. Lo status di adulto “antisociale” o “deviante” deriva sicuramente dalla
loro condotta impulsiva, irrequieta ed aggressiva, ma anche dalla reputazione agli occhi di chi li circonda: i bulli non possono comportarsi in altro modo in quanto da loro ci si aspetta solo questo. Le vittime
manifestano, invece, a lungo termine un maggior numero di episodi depressivi, una stima di sé più
bassa, un’elevata percentuale di abbandoni scolastici, problemi nel realizzarsi in ambito professionale e
un maggior numero di suicidi.
I nostri protagonisti poggiano quindi su una struttura disadattiva, che si articolata diversamente.
Entrambi, cioè, si differenziano dai compagni non coinvolti nel fenomeno per evidenti connotazioni
maladattive, che nei bulli si traducono talvolta in disturbi nella condotta e nelle vittime più probabilmente in disturbi affettivi.
Si può, in ultimo, sottolineare che l’estensione o la riduzione del fenomeno del bullismo dipende in
buona parte dalla volontà e dal coinvolgimento degli adulti interessati, sia familiari che educatori, poiché hanno la possibilità, oltre che la responsabilità, di assicurare al bambino le condizioni migliori per
il suo sviluppo e di favorire la consapevolezza dei valori della socialità fin dall’infanzia.
24
Il bullismo come fenomeno psicosociale
1.4 L’entità del fenomeno. I dati internazionali ed italiani
Il bullismo è stato studiato a livello internazionale (Olweus, 1978; Slee, Murray-Harvey, Saebel, Taki,
1997; Rigby, 1997; Whitney e Smith, 1993) e i dati hanno mostrato che porzioni significative della
popolazione scolastica di diverse nazioni sono coinvolte nel fenomeno delle prepotenze.
In Norvegia e in Spagna il 15% degli alunni sembra essere implicato in episodi di bullismo, in Irlanda l’8%, nel Regno Unito il 27%, in Giappone il 12,5% e in Canada il 20% (Fonzi, 1997). Nello specifico,
i Paesi della Scandinavia sono stati i primi a occuparsi del problema del bullismo. Nel 1983 all’interno di
una campagna nazionale antibullismo, promossa dal Ministero della Pubblica Istruzione norvegese,
furono coinvolte 715 scuole per un arco di età che variava dagli 8 ai 16 anni. Per l’occasione fu utilizzato
un questionario appositamente creato da Olweus (Olweus, 1979, 1991). Dai risultati emergeva che circa
il 15% del campione complessivo era stato coinvolto nel fenomeno del bullismo: approssimativamente
il 9% degli studenti rientrava nella categoria di vittima, il 7% in quella di bullo.
La più grande e vasta indagine che coinvolse più di 6.000 alunni di scuola elementare e media fu
condotta in Gran Bretagna da Whitney e Smith nel 1993. Secondo i risultati ottenuti il 27% degli alunni
di scuola elementare e il 10% di quelli di scuola media affermavano di essere stati vittima di prepotenza
durante il periodo scolastico, mentre i bulli risultavano essere il 12% del campione nella scuola elementare e il 6% nella scuola media.
Dal 1999 al 2002 il fenomeno è stato indagato anche in Paesi non Europei come Israele, Giappone e
Stati Uniti. A Gerusalemme è stata condotta un’indagine che ha coinvolto circa 2.000 ragazzi tra i 14 e 16
anni e gli indici del fenomeno sono risultati molto elevati. Infatti il 39,5% delle ragazze e il 50,3% dei
ragazzi hanno dichiarato di subire azioni bullistiche, mentre il 27,0% delle ragazze e il 57,1% dei ragazzi
ha affermato di agirle (Gofin, Palti e Gordon, 2002).
In Giappone la percentuale di vittime è del 12,7% per i ragazzi e dell’8,3% per le ragazze, mentre i
bulli dichiarati sono il 6,7% dei maschi e il 12,4 % delle femmine (Smith, Morita, e al., 1999).
Infine negli Stati Uniti si stima che quasi il 30% dei giovani (oltre 5,7 milioni), nonostante assuma
forme differenti a seconda di maschi e femmine, sia coinvolto in fenomeni di bullismo come bullo,
come vittima o bullo e vittima nello stesso tempo.
Prima di passare ad illustrare la situazione italiana abbiamo scelto di presentare una breve carrellata
del fenomeno a livello internazionale per mostrare come, al di là delle differenze culturali e di contesto,
il bullismo sia un fenomeno presente nelle società industriali avanzate che segnala una situazione più
complessa di disagio sulla quale è necessario intervenire (Iannacone, 2005).
Il primo progetto di ricerca sul fenomeno del bullismo in Italia risale al 1993, curato da Ada Fonzi,
coinvolse 1.379 scolari delle ultime tre classi delle scuole elementari e delle tre classi della scuola media. A tale progetto ne sono seguiti altri e allo stato attuale disponiamo di dati che riguardano molte città
italiane distribuiti in tutta la penisola (Iannacone, 2005).
Dovendo fare una sintesi delle ricerche si può affermare che in Italia il fenomeno sembra avere
dimensioni più elevate rispetto ai dati degli altri paesi europei, sia per quanto riguarda i prevaricatori
che per quanto riguarda le vittime. Circa il 40% degli studenti di scuola elementare e il 28% degli
studenti di scuola media dichiara d’aver subito delle prepotenze “qualche volta” o “piuttosto spesso”,
mentre il 20% e il 15% dichiara di aver inflitto prepotenze ad altri compagni con la stessa frequenza
25
Il bullismo come fenomeno psicosociale
(Menesini et al., 1997). Si nota quindi una significativa diminuzione della percentuale nel passaggio
dalla scuola elementare a quella media. Allo stato attuale, disponiamo di dati sulle ultime classi delle
scuole elementari e sulle scuole medie relativi a tutta penisola. Si può vedere dalla tab. 1 che il bullismo
è ampiamente diffuso nelle scuole italiane, seppur con differenze di rilevo tra le diverse province.
Tab.1
Scuole Elementari*
Prepotenze subite
Prepotenze agite
M **
F**
Torino
35,1%
35,2%
Milano
51,9%
48,3%
Bologna
46,5%
37,1%
Firenze
41,0%
50,6%
Roma
Nd
Nd
Napoli
50,1%
45,6%
Cosenza
21,9%
16,8%
Palermo
39,4%
39,6%
Cagliari
57,5%
30,7%
*Classi terze, quarte e quinte
** M (maschi); F (femmine)
M
30,4%
48,5%
34,9%
33,3%
Nd
43,6%
13,8%
26,6%
42,4%
F
24,8%
39,5%
31,5%
13,5%
Nd
31,9%
6,7%
31,8%
19,4%
Scuole Medie
Prepotenze subite
Prepotenze agite
M
19,2%
32,0%
Nd
29,2%
14,4%
29,6%
10,6%
17,5%
Nd
F
16,5%
29,8%
Nd
31,2%
19,4%
32,3%
16,9%
25,7%
Nd
M
21,7%
37,9%
Nd
28,5%
20,5%
33,1%
10,9%
19,9%
Nd
F
10,0%
30,9%
Nd
15,1%
12,8%
30,3%
8,4%
20,2%
Nd
Fonte: Iannacone (2005). Il Bullismo scolastico. Un fenomeno da prevenire e contrastare.
Queste ricerche sono nate per rispondere ad esigenze locali, pertanto, il quadro riportato dalla
tabella non deriva da un progetto di ricerca su scala nazionale finalizzato a rilevare e monitorare il
fenomeno nel nostro paese. È importante sottolineare, inoltre, che i dati sul bullismo relativi alle scuole
superiori siano davvero ridotti, nonostante segnalazioni e fatti di cronaca mettano in luce come esso
riguardi non solo fasce di età inferiori. Indagini nazionali che includono anche ragazzi delle scuole
superiori, sono state realizzate dal Telefono Azzurro e da Eurispes (“Rapporto Nazionale sulla Condizione dell’Infanzia e dell’Adolescenza”). I dati pubblicati nel “5° Rapporto” (2004) indicano che il 33%
degli intervistati, la cui età è compresa tra i 12 e i 18 anni, ha dichiarato che nella propria scuola si
verificano continui atti di prepotenza nei confronti dei compagni. La stessa indagine è stata ripetuta nel
2005 e, in base al “6° Rapporto” Eurispes-Telefono Azzurro, emerge che circa il 40% dei ragazzi delle
elementari, il 25% delle scuole medie e il 15% delle scuole superiori ha subito soprusi e prevaricazioni
dai propri compagni. Le prepotenze subite risultano essere per il 26,5% di natura fisica e per il 39,2% di
natura verbale. Scendendo ancora di più nello specifico possiamo notare come, per la maggior parte di
casi relativi alle prepotenze verbali, i bulli ricorrano a prese in giro (41,9%), ad offese (30,1%), a mettere
in giro voci sul conto delle loro vittime (23,9%). In relazione alle prepotenze di tipo fisico i bulli ricorrono spesso a pugni e spinte (16,9%).
Per quanto riguarda la comunicazione della prepotenza subita, una larga fetta del campione dichiara
di non dirlo a nessuno (46,4% in relazione ad adulti della scuola, 36,4% in relazione ad adulti di casa,
26
Il bullismo come fenomeno psicosociale
24,2% in relazione a coetanei e amici). Gli amici, i coetanei, i pari in generale restano comunque il
confidente privilegiato quando si tratta di raccontare episodi di bullismo agiti e subiti5.
A conclusione, la possibile e corretta quantificazione del fenomeno non è ostacolata esclusivamente
dall’assenza di un’indagine globale ed estesa ad un campione italiano rappresentativo, ma anche dalla
reticenza dei ragazzi coinvolti, specie delle vittime che hanno paura di riferire gli episodi per paura di
rappresaglie e vendette. Piccoli drammi vanno in scena ogni giorno, soprattutto a scuola, senza che gli
adulti si accorgano di niente. Infatti, una ricerca condotta contemporaneamente su studenti, genitori ed
insegnanti, ha messo in luce che la percezione del bullismo da parte degli alunni, misurata con strumenti di autovalutazione, non trova uguale riscontro da parte di insegnanti e genitori, i quali sembrano
sottostimare la presenza di prepotenze nella scuola. (Stockdale et al., 2002). Sempre secondo l’indagine
Eurispes-Telefono Azzurro del 2005, nel 2002 un adolescente su tre (33,5%) rispondeva “sì” alla domanda “si verificano minacce o atti di prepotenza nella tua scuola da parte di compagni?”, percentuale che
nel 2004 è salita al 35,4%. L’85% degli episodi di bullismo avviene in presenza del gruppo e la maggior
parte di questi resta avvolta nel silenzio degli spettatori (“maggioranza silenziosa”).
5 Per i dati relativi all’età ed ai luoghi delle prepotenze rimandiamo al par. 1.2.
27
28
Come contrastare il fenomeno
Parte II. Come contrastare il fenomeno
Dall’informazione alla mediazione tra pari
Il bullismo è un fenomeno trasversale ed è quindi difficile e anche semplicistico sostenere che il
bullo proviene da un certo ambiente sociale piuttosto che da un altro; è senz’altro più opportuno
sostenere che il bullismo si nutre di disagio e di difficoltà relazionali. Bulli e vittime hanno infatti atteggiamenti disadattivi nel rapportarsi con l’altro. A farne le spese per primi sono coloro che subiscono gli
atti del bullo, ma gli stessi violenti si ritroveranno a fare i conti con la loro problematicità, di cui l’aggressività è solo la parte visibile, la punta di un iceberg, di un malessere pericoloso e a rischio di
cronicizzazione. I protagonisti, nonostante il rischio maggiore ci sia per chi subisce e agisce le prepotenze, non sono solo i bulli e le vittime. Gli spettatori, come fa notare soprattutto la letteratura più recente,
sono coinvolti nel fenomeno poiché partecipano alle dinamiche relazionali che possono sostenere o
smorzare atteggiamenti bullistici (ad esempio con il silenzio o al contrario denunciando episodi di
prepotenza).
Evitando sterili divisioni in buoni e cattivi, con il rischio di prendere posizioni estreme di accusa o di
difesa verso i ragazzi, una strada per affrontare il problema è cercare di fare emergere paure, emozioni,
sentimenti aiutando a prendere consapevolezza dei comportamenti violenti e delle conseguenze che
questi provocano.
In questo capitolo illustreremo le pratiche di intervento relative al bullismo tenendo in considerazione la natura contestuale e relazionale del fenomeno, in quanto spesso è importante agire proprio
sugli elementi ambientali che contribuiscono ad alimentare e a mantenere vive certe dinamiche.
2.1 Pratica educativa mirata e prevenzione: uno sguardo all’Europa
Come già affermato il fenomeno del bullismo è ormai diventato paradigmatico; per far fronte a tale
realtà ormai consolidata, nelle scuole delle diverse nazioni sono stati messi in atto dei metodi di prevenzione e alcune pratiche educative.
Le proposte per affrontare il problema vanno dall’impostazione interventista di emergenza, come
l’intervento sul gruppo classe nel caso venga rilevata la presenza di vittime e bulli, alle pratiche di
prevenzione che si propongono di lavorare nelle scuole anche dove non è presente il problema nell’ottica di creare una cultura antibullismo.
Sia si tratti di azioni mirate di intervento specifico, che di modelli di prevenzione, la letteratura
internazionale parla di una politica scolastica globale (Olweus, 1991; Sharp e Smith, 1994) in cui si
vedano coinvolti allievi, staff docente e non docente (inclusi direttori e presidi) e genitori. È necessario
perciò che gli interventi siano rivolti a tutti gli alunni perché al fine di un cambiamento stabile e duraturo risulta maggiormente efficace agire non sui bulli e sulle loro vittime, ma sulla comunità degli spettatori (Iannacone, 2005).
In altre parole l’intervento psicologico diretto unicamente al bullo è inefficace; il bullo non è moti29
Come contrastare il fenomeno
vato al cambiamento dato che le sue azioni non sono percepite da lui come un problema, ma lo sono
solo per la vittima, gli insegnanti e il contesto. D’altra parte l’intervento diretto sulla vittima, pur efficace
a fini individuali, non lo è per quanto riguarda la riduzione del fenomeno del bullismo - quella vittima
cesserà di essere tale e il bullo ne cercherà un’altra nel medesimo contesto. Per questi motivi è importante attuare un programma di intervento pluriennale a carattere preventivo, diretto al gruppo classe/
scuola. L’obiettivo è fornire agli alunni un’occasione di crescita attraverso il dialogo e la condivisione di
pensieri, emozioni e ed azioni. La consapevolezza acquisita diventerà risorsa e sostegno per ciascun
membro della classe (Iannacone, 2005).
A tale proposito, due sono le esperienze che risultano particolarmente rilevanti per complessità,
spessore teorico e risonanza avuta nella letteratura internazionale: l’esperienza scandinava, promossa
da Dan Olweus nel 1993, e quella inglese riportata da Sharp e Smith nel loro contributo del 1994. Tali
progetti presentano tratti comuni e prevedono entrambi un’articolazione dell’intervento a più livelli: da
quello istituzionale a quello del singolo coinvolto nel problema. Più precisamente i livelli sono i seguenti:
- l’organizzazione della scuola (insegnanti, genitori, studenti e personale non docente);
- il gruppo di apprendimento e la classe;
- il livello individuale (i singoli studenti, gli insegnati).
Nel primo livello, diretto all’intera scuola, si definisce una politica scolastica “antibullismo”, che
prevede la partecipazione di alunni e di adulti nella definizione di obiettivi e strategie di intervento. È
necessario conoscere quale sia l’entità degli episodi di bullismo e monitorare la loro variazione nel
tempo, sia attraverso segnalazioni dirette, che tramite questionari. Sempre a livello di scuola si devono
prevedere incontri e dibattiti in cui genitori, insegnanti e personale non docente prendano coscienza
del fenomeno e comprendano l’importanza dell’intervento e della costruzione di un buon clima scolastico. È inoltre prevista la supervisone degli spazi che i ragazzi occupano durante la ricreazione o la
pausa pranzo, in cui si potrebbero verificare tali eventi. Oltre alla semplice “sorveglianza” potrebbe
essere utile predisporre ambienti più adeguati per la ricreazione per favorire la socializzazione.
Il secondo livello, costituito dal gruppo classe, prevede la definizione di regole antibullismo, attraverso stimoli letterari, cinematografici o role-playing, e la progettazione di attività volte a migliorare il
rapporto sia tra alunni che tra alunni e insegnanti, come ad esempio l’apprendimento cooperativo .
Il terzo ed ultimo livello è quello individuale e prevede l’intervento sul comportamento di bulli e
vittime, attraverso colloqui diretti con loro e con i loro genitori. Contemporaneamente se in un bambino sono presenti delle difficoltà nelle relazioni con i coetanei è necessario permettergli di acquisire tali
abilità sociali.
Interventi a più livelli, a differenza dell’intervento mirato su singolo, che oltre a essere stigmatizzante
è anche inefficace, sono in grado di attivare un processo di cambiamento non solo tra i bambini target,
ma anche nel clima e nelle norme del sistema scolastico nel suo complesso. I due progetti sono stati
sperimentati per periodi superiori ad un anno su campioni numerosi di soggetti. I risultati sono stati
più che positivi, essendo il fenomeno diminuito del 50% in Scandinavia e del 25% in Inghilterra.
Interventi di tipo ecologico, sistemico e integrato sono stati applicati in alcune scuole anche in
Italia. Mentre in Inghilterra e in Scandinavia sono usati pacchetti operativi dalla matrice strettamente
30
Come contrastare il fenomeno
comportamentale6, il modello italiano, pur non vantando interventi sistematizzati come quelli di Olweus
e Sharp e Smith, si sta delineando con una sua specificità senza dubbio più relazionale (Panzavolta,
2004).
La cultura anglosassone, da sempre preferisce un approccio centrato sulle conseguenze comportamentali, piuttosto che sulle cause, perciò l’intervento si snoda dall’ individuazione del fenomeno all’applicazione di protocolli d’intervento per la rieducazione e il contenimento. L’approccio italiano, invece,
più razionalista e più teorico, predilige gli aspetti eziologici e preventivi, preferendo attività dirette a
tutti gli attori coinvolti (genitori, insegnanti, educatori, amministratori, ecc.). Nel contesto italiano sono
infatti molte le iniziative volte alla prevenzione del fenomeno quali le attività di rafforzamento delle
competenze sociali e relazionali (le cosiddette life skills), delle strategie di coping (cioè di gestione di
situazioni problematiche o difficoltose) dell’alunno e di monitoraggio da parte dei genitori e degli
insegnanti. Si registrano anche numerose attività di ricerca-azione nella scuola, documentate in Internet
e mirate alla diffusione di buone pratiche trasferibili (Panzavolta, 2004).
In Italia gli esperti si occupano di bullismo da un decennio e grazie a tale esperienza è stato possibile
oltre agli approcci classici, cioè più strettamente curriculari, introdurre modalità di intervento più
innovative, volte a potenziare le risorse dei ragazzi attraverso un processo di progressiva
responsabilizzazione dei ruoli di aiuto o di supporto tra pari. Il modello italiano, oltre alla formazione e
alla sensibilizzazione di docenti, genitori e studenti, punta alla promozione di stili di comunicazione e
partecipazione democratica dei ragazzi, attraverso la cooperazione, la mediazione tra pari, il peer support,
l’ascolto attivo e la gestione dialogica dei conflitti. Ad ogni modo la specificità dell’intervento italiano
sarà definita in modo più approfondito nel paragrafo successivo.
2.2 Interventi in Italia
L’interesse della comunità scientifica per il tema del bullismo ha avuto da una parte l’effetto di
sensibilizzare la popolazione italiana rispetto alla complessità e alla natura subdola del fenomeno, dall’altra quello di allertare gli agenti coinvolti nel processo educativo (genitori, insegnanti, dirigenti ecc.)
riguardo al fronteggiamento e alla risoluzione del problema. Su questa linea, i ricercatori inizialmente
hanno indagato la fenomenologia del bullismo nel nostro Paese, successivamente hanno avviato la
sperimentazione dei progetti di intervento per ridurre l’entità del problema nelle scuole interessate ad
affrontarlo. Ciò che però manca per rendere il loro un contributo rilevante su fascia nazionale è la
partecipazione in larga scala, anziché a livello locale, dell’intero sistema scolastico ed istituzionale italiano. Di fatto, creare rispetto al fenomeno una mobilità generale (dal micro livello gruppale al macro
livello istituzionale) delineerebbe in modo chiaro e deciso quale dovrebbe essere l’atteggiamento sociale di fronte al bullismo e dichiarerebbe una vera e propria posizione antibullismo da parte dell’Italia.
Che questo avvenga è utile per poter intervenire in maniera preventiva sui prodromi del disagio, sapendo che l’intervento sul singolo protagonista del bullismo ha effetti nello specifico e a breve termine
senza che il fenomeno si riduca davvero. Anche per questo l’Italia, piuttosto che assumere una posizio6 Gli Oggetti Didattici sono un esempio di pacchetto operativo anglosassone. Descritti come un kit pratico, forniscono all’adulto informazione utili per riconoscere il fenomeno ed intervenire.
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Come contrastare il fenomeno
ne repressiva o punitiva nei confronti dell’atto e dell’agente, ha scelto un approccio strutturato ed
ecologico coinvolgendo il gruppo, la classe, la famiglia, la scuola e l’amministrazione. Ridurre il fenomeno, quindi, ha forti implicazioni psicoeducative, poiché significa promuovere il benessere psicofisico
dell’individuo nella relazione attraverso l’affermazione dei suoi diritti ed il riconoscimento dei suoi
doveri su un piano sia personale che gruppale. Da un breve esame degli interventi promossi in Italia,
fra i metodi più diffusi per aiutare i giovani coinvolti nella dinamica “bullista”, vi è quello della partecipazione attiva e democratica alla vita scolastica. Questo “percorso italiano” alla prevenzione e al
contenimento del fenomeno (attraverso programmi di intervento pluriennale, tecniche e strumenti
diversamente strutturati) ha come obiettivi:
1. l’acquisizione di consapevolezza rispetto al problema delle prepotenze;
2. la responsabilizzazione alla risoluzione del problema delle prepotenze;
3. la costruzione di una cultura di mediazione e di solidarietà nella scuola.
Il primo obiettivo richiama la necessità di cambiamenti significativi rispetto alla consapevolezza e
alla riflessione sul problema da parte dei ragazzi, degli insegnanti e dei genitori. Attualmente questo è
raggiunto attraverso il lavoro curricolare (Menesini e Smorti, 1997), canale privilegiato della comunicazione scolastica, e l’uso di tecniche in grado di dare ai ragazzi la possibilità di ragionare sui concetti
legati al tema del bullismo. Oltre alle scienze, al diritto, alla storia, anche la letteratura ed la cinematografia sono mezzi potenti per svelare esperienze personali ed emozioni significative legate al fenomeno.
Pertanto, può risultare attraente e suggestivo per i giovani nel corso della loro carriera scolastica creare
anche dei cineforum o dei “circoli di lettura”, cioè, degli spazi di incontro durante i quali poter discutere i temi che emergono dalla visione di un film o dalla lettura di un brano. L’insegnante, inoltre, può
servirsi della rappresentazione teatrale e del role-playing (cioè la personificazione dei ruoli, ad esempio
di prevaricatori e di vittime), non solo per passare i contenuti della materia, ma anche per far conoscere
i processi che entrano in gioco nelle relazioni fra due o più elementi. Gli alunni hanno così modo di
esplorare le loro emozioni attraverso scenette che ripropongono dinamiche di prepotenza; possono
fare vere e proprie rappresentazioni sul tema per altri alunni e per le famiglie, al fine di sollevare una
riflessione comune e condivisibile; possono infine proporre soluzioni nuove ed alternative attraverso le
quali rileggere gli eventi sociali, attuali, storici e letterari.
Il secondo obiettivo riguarda la pratica ed il rispetto dei diritti e dei doveri di ognuno per una
convivenza responsabile e democratica all’interno del gruppo. Per incrementare le abilità socio-relazionali e gli atteggiamenti critici necessari perché ciò avvenga, si è fatto spesso ricorso ai circoli di qualità
(Menesini, 2000), piccoli gruppi di giovani che si incontrano settimanalmente con lo scopo di trovare
soluzioni ai problemi interpersonali e sociali legati, in questo caso, al problema del bullismo. La cooperazione tra pari ed il coinvolgimento dell’adulto consentono la partecipazione attiva e costante degli
alunni alla vita scolastica e hanno il potere di veicolare con il confronto ed il dibattito una politica
antisopraffazione. Brevemente, le fasi di questo approccio di problem-solving sono:
1. Identificazione del problema. I CQ propongono una lista dei problemi che il gruppo intende affrontare in relazione al bullismo; una volta che questa è completa decidono a quali problemi dare la
priorità mediante votazione.
2. Analisi del problema. I ragazzi considerano ora le possibili cause del problema, esaminandolo nei
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Come contrastare il fenomeno
suoi diversi aspetti tramite il diagramma del “Perché? Perché?”. Si tratta di un percorso a ritroso che,
partendo dal problema stesso, si domanda il perché di questo, nell’intento di arrivarne alle cause e
alle origini. Dopo averne discusso il gruppo approfondisce ulteriormente cercando di rintracciare il
maggior numero di informazioni relative al problema tramite interviste, osservazioni dirette o colloqui.
3. Elaborazione di una soluzione. Una volta identificate ed analizzate le cause, i membri dei circoli
iniziano a suggerire possibili soluzioni attraverso la tecnica del “Come? Come?”, una tecnica analoga
alla precedente che si propone di esplorare la fattibilità di alcune soluzioni alternative e di valutarne
costi e benefici.
4. Presentazione di una soluzione. I ragazzi preparano la presentazione della propria soluzione al
gruppo dirigente (insegnanti e preside) che ha il compito di facilitare la realizzazione di questa se
risulta adeguata. Gli alunni devono essere incoraggiati a preparare bene la loro presentazione: dovranno ripeterla a voce alta e fare esercizio parlando direttamente al pubblico, senza appunti, con
tono sicuro e in maniera chiara, dimostrando competenza sul problema e capacità persuasive.
5. Riesame della soluzione. Se il gruppo dirigente decide di attuare la soluzione proposta deve valutarne l’efficacia ed informarne il circolo che l’aveva avanzata; se invece la soluzione non viene accettata,
deve esservi una discussione tra circolo e gruppo dirigente per valutare le ragioni di tale decisioni. In
questo caso il CQ passerà in rassegna altre soluzioni per modificare la propria proposta .
Il terzo obiettivo è raggiunto grazie all’attivazione di programmi di supporto (Menesini, 2003) e mediazione tra coetanei (Coppola De Vanna, 2000), in grado di mobilitare la maggioranza silenziosa,
cioè il gruppo di bambini e ragazzi che non si schiera di fronte alle prepotenze fra compagni, ma che
può avere un ruolo significativo nel fermare gli episodi di prevaricazione violenta e nel costruire
esperienze di aiuto e di solidarietà all’interno della classe. Partendo dal presupposto che i ragazzi si
rivolgono spesso ai propri compagni per chiedere aiuto in momenti di difficoltà o preoccupazione,
questo tipo di intervento promuove l’ascolto e la conoscenza reciproca. L’educazione tra pari, altrimenti detta peer mediation o “supporto tra coetanei”, è un approccio piuttosto complesso poiché
richiede spazi e tempi considerevoli da parte delle classi. In alcune scuole dell’Italia è stato possibile
fronteggiare il fenomeno del bullismo sperimentando una forma particolare di questo intervento,
cioè “l’operatore-amico” (Menesini & Benelli, 1999; Menesini 2003). Introdotto nel nostro Paese
nell’ambito di un progetto Europeo contro la violenza a scuola (Violence in school, as. 1997/19998),
questo modello prevede l’attivazione di una figura di sostegno come punto di riferimento per i compagni nel corso della vita di classe. La prima fase di realizzazione del progetto comporta la
sensibilizzazione della classe al problema delle prepotenze; successivamente vengono selezionati 3-4
ragazzi per il training di operatore-amico, durante il quale si lavora perché i partecipanti acquisiscano
competenze specifiche di ascolto attivo, comunicazione non verbale, comprensione delle emozioni,
e problem-solving per aiutare il compagno in difficoltà. Successivamente gli operatori-amici intervengono all’interno della classe per sostenere prontamente il compagno vessato, fermare le prepotenze
e migliorare il clima del gruppo. Dopo alcuni mesi saranno i “vecchi” operatori a guidare nella pratica
i nuovi operatori, eletti tra quanti hanno partecipato al training. Tale sperimentazione ha dimostrato
che il coinvolgimento dei coetanei ha un forte potere di cambiamento, se indirizzato allo sviluppo
delle abilità prosociali dei ragazzi, dell’empatia e della capacità di mettersi nei panni dell’altro.
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Come contrastare il fenomeno
Per concludere, esistono attualmente in Italia molte vie di accesso per comprendere il fenomeno del
bullismo: riviste, manuali, guide (ad es. il quaderno pubblicato dal Telefono Azzurro), convegni (come
quello di Lucca del 2006), documentazioni in Internet, risorse web, progetti ed attività di ricercaazione nella scuola (come il progetto di ricerca “Nature and Prevention of Bullying” della Commissione Europea che coinvolge il dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Firenze ed il
Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Calabria). Quello che potrebbe implementare il successo di tante iniziative ed interventi resta, chiaramente, la sinergia di intenti e di sforzi nel
fronteggiare il problema da parte della famiglia, della scuola e dell’Istituzione.
2.3 Contributi dalla Toscana
Anche in Toscana, da una decina di anni, il fenomeno del bullismo è al centro di studi e progetti
molto interessanti, volti a capirne la cause ed a limitare le violenze. Tutte le azioni che partono da questi
lavori e che puntano a capire, monitorare e contrastare prepotenze ed aggressioni, prendono avvio dal
principio che le forme di bullismo sono manifestazioni di un problema che può essere affrontato coinvolgendo i ragazzi in percorsi di educazione all’affettività e alla comunicazione empatica. L’acquisizione
di competenze sociali e di strumenti adeguati di comunicazione verbale e non verbale può aiutare,
infatti, a ridurre sia l’aggressività che la passività, componenti di quel “gioco crudele”, in cui gli atteggiamenti del bullo, della vittima e del contesto risultano profondamente intrecciati.
Attualmente sono molte le province della Toscana che hanno attivato dei progetti di formazione
sulle tematiche del bullismo rivolti a studenti, insegnanti e genitori.
I programmi antibullismo, che la Toscana è stata in grado di maturare, possono rappresentare un
punto di partenza importante per altre iniziative, sia a livello regionale che nazionale.
Durante il convegno “Bulli, vittime e spettatori: quali complicità?”, organizzato il 21 Aprile 2006
dalla Provincia di Lucca con il sostegno della Regione ed il patrocinio dell’Università degli Studi di
Firenze, sono stati presentati i progetti finora attivati in Toscana, con l’intento di fornire una sorta di
mappatura delle proposte e, come sostenuto dall’assessore Salvatori, “di offrire un trampolino di lancio
per iniziative specifiche a livello nazionale”. Durante tale convengo è stato dato uno spazio anche all’iniziativa dell’Istituto Datini di Prato, alla quale sarà dedicato il paragrafo successivo. I box che seguono
sono estratti dal sito:
Hhttp://www.primapagina.regione.toscana.it/index.php?codice=16067
Progetti attivati nella Provincia di Lucca
1. “Contrasto dei fenomeni di bullismo e di violenza giovanile. Ricerca azione di prevenzione del
fenomeno; Palo Alto... e non solo. Ruoli e positività nella scuola”. Direzione didattica di Porcari
Montecarlo. Obiettivo: aumentare l’agio per diminuire il disagio: sviluppare la positività, valorizzando le potenzialità di cui ciascuna persona è portatrice. Strumenti e azioni: corso di formazione per insegnanti e genitori, incontri periodici, sportello di ascolto, percorso di ricerca, pubblicazione, convegno finale, divulgazione on-line.
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Come contrastare il fenomeno
2. “R.A.P. Ragazzi Anti-Prepotenze. Modelli di intervento antibullismo: l’operatore amico”. Istituto
comprensivo A. Manzoni, Marlia e Scuola media Nottolini, Lammari. Obiettivo: promuovere l’etica della responsabilità e della cura nei ragazzi al fine di favorire attenzione, sensibilità, rispetto e
aiuto verso l’altro. Strumenti e azioni: formazione e sensibilizzazione di insegnanti e genitori sul
percorso di intervento, selezione degli operatori, training dell’operatore a cura di un esperto,
interventi nelle classi, supervisione di un insegnante e di uno psicologo, filmati e articoli.
3. “Contrasto dei fenomeni di bullismo e di violenza giovanile. Progetto Bullismo Versilia”. Istituto
Professionale per l’Industria e l’Artigianato ‘Michelangelo’ di Seravezza. Obiettivo: definizione di
strategie innovative e di strumenti di analisi per affrontare in un’ottica sistemica ‘un caso difficile’. Strumenti e azioni: formazione e sensibilizzazione degli insegnanti, progettazione di interventi insieme ad operatori esterni, formazione degli studenti, lavoro di gruppo, role-playing,
laboratori creativi, utilizzo di internet, creazione di materiale multimediale.
4. “Contrasto dei fenomeni di bullismo e di violenza giovanile. Educazione affettiva e relazionale
con l’altro sesso”. Istituto Magistrale ‘Chini’ di Camaiore. Obiettivo: promuovere la conoscenza
dei fenomeni di molestia e violenza nelle relazioni di coppia e approfondire le dinamiche e le
situazioni che possono scatenarle. Strumenti e azioni: formazione per i docenti e per i rappresentanti degli studenti, percorsi di lavoro in classe, incontri di supervisione e valutazione dell’attuazione del progetto.
5. “Contrasto dei fenomeni di bullismo e di violenza giovanile. Il bullismo nelle scuole superiori:
conoscenze e percorsi di intervento”. ITI Borgo a Mozzano, Liceo Scient. Castelnuovo, IPSIA
Castelnuovo, ITI ‘Don Lazzeri’ Viareggio, ITI Piaggia Viareggio, IPSIA Seravezza, Ist. Magistr. ‘Chini’ Camaiore, Liceo Class. ‘Machiavelli’, Liceo pedagogico e delle Scuole sociali ‘Paladini’, Liceo
Scient. ‘Vallisneri’, ITI ‘Fermi’, IPSIA ‘Giorgi’, Ist. Profess. per il turismo ‘Pertini’. Obiettivo: realizzare un percorso di collaborazione tra scuola e università per facilitare la rilevazione e la conoscenza del fenomeno, promuovere un percorso di consapevolezza e cambiamento interno alla
scuola. Strumenti e azioni: rilevazione di dati per rilevare incidenza e stabilità del fenomeno con
particolare riferimento a comportamenti extrascolastici, al rendimento scolastico, al consumo di
sostanze psicoattive; incontri congiunti e non con studenti e docenti, convegni e volumi.
Progetti attivati nel Comune di Livorno
1. “Sotto un cielo di emozioni” e “Sotto un cielo di emozioni... di nuovo” ricerca-azione con/per
l’adolescenza. Scuole medie ‘G. Borsi’ e ‘Michelangelo’. Obiettivo: l’idea è aprire o riaprire le basi
emotive della comunicazione genitori-figli, insegnanti-alunni, adulti-minori, nella convinzione
che la consapevolezza emotiva permette una comunicazione più efficace. Strumenti e azioni:
corso di formazione per i docenti, laboratori con i genitori e con i ragazzi, spettacolo messo in
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Come contrastare il fenomeno
scena dai ragazzi, ricerca in collaborazione con il Dipartimento di Psicologia dell’Università degli
Studi di Firenze, dispense, filmati, opuscoli.
2. “Scegliamo insieme... per crescere” e “Incontriamoci per scegliere”. Laboratori di accompagnamento per genitori impegnati con i figli nella scelta della scuola secondaria. Scuola media ‘G.
Borsi’, Istituto Comprensivo ‘Micali’. Obiettivo: sostenere e valorizzare le esperienze di vita quotidiana dei genitori portatrici di significativi percorsi educativi e relazionali, sia per creare occasioni di confronto per ridurre eventuali stati di ansia legati ai rapporti interpersonali che per
incrementare la consapevolezza della necessità di un rapporto empatico con i figli e della elaborazione di strategie relazionali. Strumenti e azioni: laboratori interattivi, incontri tra docenti e
pedagoghi, attività nelle classi, filmati, dispense, opuscoli.
3. Genitori-insegnanti in rete. Sportelli di ascolto per i genitori nelle scuole dell’obbligo della città
di Livorno. Scuole primarie e secondarie di primo grado della città. Obiettivo: sostenere la funzione genitoriale come asse fondamentale per la promozione dell’agio di vivere dei minori e
quindi come prevenzione primaria del disagio relazionale. Strumenti e azioni: formazione della
persona alla relazione e all’ascolto, formazione dell’insegnante alle tecniche dell’accoglienza e
dell’accompagnamento, sviluppo di competenze ed esperienze nella collaborazione con e fra
servizi anche di enti diversi, supervisione, tutoraggio, depliant, opuscoli.
4. Tra sorrisi e parole” genitori e figli riflettono, sorridendo, sulla società che cambia. Ciclo di film
per ragazzi/e e genitori. Istituto Comprensivo ‘Micali’. Obiettivo: invitare alla riflessione, allo
scambio di esperienze e alla discussione genitori e figli dopo la visione di film comici dove viene
offerta una lettura originale della realtà. Strumenti e aizoni: proiezioni, spettacoli comici, concorsi a premi, attività in classe, dibattiti, opuscoli, dispense.
5. “Cinefamiglia” ciclo di film per ragazzi/e e genitori. Scuole medie ‘G. Bartolena’, ‘G. Borsi’, ‘G.
Mazzini’, Istituto Comprensivo ‘Micali’. Prima edizione del programma precedentemente descritto.
Progetti attivati nel comune di Firenze
1. “Bande creative. Una ricerca-intervento sulle potenzialità e sui fattori di rischio nei comportamenti giovanili all’interno della scuola”. Facoltà di Scienze della Formazione e di Psicologia, Ist.
Profess. Alberg. ‘A. Saffi’. Obiettivo: educare alla convivenza civile studenti dell scuole medie
superiori. Stimolare riflessioni, far acquisire coscienza dei propri atti, contribuire alla crescita di
individui capaci di stabilire relazioni di gruppo che incrementino il benessere individuale e collettivo. Strumenti e azioni: percorsi formativi per gli studenti, riflessioni e confronti con i docenti, monitoraggi, ricerche, questionari, dispense, filmati, opuscoli, relazioni e atti.
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Come contrastare il fenomeno
Progetti attivati nella provincia di Massa e Carrara e Azienda USL 1
1. “Crescere tra i banchi di scuola”. Allievi e docenti di tutte le classi V delle scuole elementari della
provincia. Obiettivo: verificare l’incidenza del fenomeno nelle scuole elementari, esaminare i
diversi tipi di prepotenza e le differenze di sesso dei protagonisti, analizzare modalità, luoghi e
attori. Strumenti e azioni: questionari, disegni, ricerche, interventi a convegni.
Progetti attivati nella provincia di Prato
1. “Incontriamoci”. Istituto Professionale per i Servizi Sociali, commerciali, turistici e della pubblicità ‘Francesco Datini’. Obiettivo: conoscenza e consapevolezza del fenomeno, saperlo riconoscere, capacità da parte di genitori ed educatori di rapportarsi al fenomeno in modo corretto ed
efficace, da parte dei ‘bulli’ di riconoscere il proprio disagio e quello della vittima e di modificare
il proprio atteggiamento, da parte della vittima di acquisire consapevolezza della propria condizione e di attivare risorse e strumenti utili a produrre un cambiamento, da parte degli adolescenti
‘testimoni’ di collaborare per ridurlo, da parte di tutti gli adolescenti di acquisire conoscenze,
risorse e strumenti necessari a prevenirlo. Strumenti e azioni: informazione, responsabilizzazione
e sensibilizzazione, creazione di moduli didattici, incontri, diffusione di materiale, laboratori per
ragazzi, visioni di filmati, realizzazione di spot, cortometraggi e spettacoli teatrali.
Esistono, oltre a quelle citate, altre iniziative promosse dalle scuole e dalle AA.SS.LL, che dimostrano
come l’esigenza di interventi di contrasto e di prevenzione del fenomeno sia sempre meno un bisogno
circoscritto. A tal proposito, è necessario citare il lavoro promosso dalla Regione Toscana di sostegno ad
iniziative di contrasto dei fenomeni di bullismo - nell’ambito più ampio del progetto “Una Toscana per
i giovani” (vedi sito Regione Toscana) -. Questi interventi, destinati a genitori, insegnanti e alunni, hanno visto la collaborazione positiva di enti locali, scuole (elementari, medie inferiori e medie superiori),
Università, Aziende USL ed associazioni (culturali, di servizio, ecc.). Le azioni di prevenzione, informazione e sensibilizzazione che ne sono seguite segnalano la presenza, a livello regionale, delle risorse
necessarie per un piano d’intervento maggiormente strutturato.
2.4 L’esperienza dell’Istituto Professionale Datini nella provincia di Prato
L’Istituto Professionale Datini è il più popoloso istituto scolastico della provincia ed ha avuto il
merito di elaborare e portare a compimento un progetto di contrasto al bullismo; progetto che,
avvalendosi di numerosi strumenti come l’educazione alla gestione non violenta dei conflitti, ha coinvolto, nell’ottica di un intervento a più livelli, alunni, insegnanti e genitori. Tale progetto costituisce
attualmente l’unica iniziativa complessa a livello scolastico in relazione al fenomeno del bullismo sul
territorio pratese.
“Incontriamoci” (Appendice A), questo il nome dell’insieme delle iniziative svolte al Datini, è partito
nel 2002 e, da allora, è stato finanziato ogni anno, con soddisfazione e fiducia da parte dei partner
37
Come contrastare il fenomeno
(Regione Toscana e Provincia di Prato). Tale progetto ha avuto come referente la professoressa Matilde
Griffo7, inizialmente collaboratrice del Dirigente Scolastico, quindi Vicepreside fino al 2005. Al momento, il progetto è seguito dalla professoressa Norma Di Mauro, che ha sostituito Matilde Griffo, dopo il
suo passaggio all’USP.
Secondo le parole della stessa prof.ssa Griffo (Convegno “Violenza giovanile e conflitti: il fenomeno
del bullismo”, 2003), l’Istituto Datini è da alcuni anni un luogo di espressione del disagio adolescenziale,
della difficoltà dei ragazzi, cioè, ad affrontare il passaggio all’età adulta. Spesso, purtroppo è la stessa
scuola ad essere intesa dai giovani studenti una fonte del loro disagio, in quanto percepita poco accogliente ed interessante, nonché oppressiva e di ostacolo all’espressione della loro autonomia. È proprio
dalla riflessione su questi aspetti che è nata l’esigenza di proporre agli alunni una didattica diversa e
particolarmente attenta alla dimensione relazionale. Il tentativo di valorizzare l’ambiente scolastico si è
concretizzato nel fare scuola attraverso metodologie creative, positive e coinvolgenti affinché il disagio
fosse comunicato e risolto.
Dato l’impegno e la sensibilità dimostrata dalle due docenti verso il tema del bullismo, è riportata a
seguito la loro diretta testimonianza, che illustra il progetto nei suoi obiettivi, strumenti e risultati.
INTERVISTA ALLA PROF.SSA MATILDE GRIFFO (APRILE 2006)
D8: Perché la necessità di un progetto come Incontriamoci all’Istituto Datini? Durante la sua
esperienza quali sono state le riflessioni che hanno spinto ad attivare il progetto?
R: Io sono un’ insegnante di lettere e dal 2000 ho iniziato a collaborare con l’ufficio di presidenza al
Datini. Poi, diventando vicepreside con esonero totale dall’insegnamento, mi sono dedicata per
quattro anni a collaborare col preside nella gestione dell’istituto. L’Istituto Datini è il più grande
della città ed ha un’ utenza molto particolare, in quanto i suoi alunni, pur avendo una grande
ricchezza di personalità, spesso sono considerati ragazzi difficili. Questo avviene perché è luogo
comune che “al professionale ci vanno i ragazzi meno interessati alla scuola”, per cui la stragrande
maggioranza dei ragazzi che si iscrivono al Datini esce col sufficiente dalla scuola media. Inoltre, c’è
una forte presenza di alunni stranieri ed anche disagio di varia natura e questo porta nelle classi,
spesso nelle classi prime, a situazioni di conflittualità.
Essendo vicepreside, mi sono trovata numerose volte a gestire situazioni di conflitto fra ragazzi ed
insegnanti. Avevo già proposto sia un progetto sui conflitti sia un corso di aggiornamento per gli
insegnanti con l’obiettivo di ampliare le conoscenze relative alla gestione delle dinamiche di classe.
Nello stesso periodo la Regione Toscana mi ha chiesto di partecipare ad un progetto di prevenzione
al bullismo. Proprio il fatto di voler rispondere alle richieste di sostegno da parte dei colleghi, unito
alle situazioni problematiche che quotidianamente dovevo gestire, è stato da stimolo per entrare
più dentro alle dinamiche del disagio presente nella scuola. Infatti mediare soltanto fra
ragazzi,colleghi e genitori non era più sufficiente. Insieme ad alcuni docenti e ad il CIC, lo sportello
7 Attualmente referente per la formazione del personale scolastico e per le politiche giovanili all’Ufficio Scolastico Provinciale
(USP) di Prato.
8 D: domanda; R: risposta.
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Come contrastare il fenomeno
di consulenza che cerca di intervenire nelle situazioni di disagio, ho elaborato il progetto “Incontriamoci.
Questo progetto è soprattutto un piano di prevenzione dato che episodi conclamati e ripetuti non
sono all’ordine del giorno, mentre sono più presenti circostanze di conflittualità sotterranea (come
scherzi pesanti, casi di emarginazione, ecc.).
D: Chi è stato coinvolto nel progetto?
R: Il progetto ha coinvolto studenti, genitori e docenti perché lo scopo era quello di aprire dei
canali di confronto, da qui anche il nome “Incontriamoci”. La partecipazione degli insegnanti è
stata, ed è ancora, una parte importante, specie in una scuola come l’Istituto Datini nella quale, se
non si cura l’aspetto relazionale, è molto difficile insegnare qualunque materia. Fare lezione in
certe situazione non può ridursi ad entrare in classe, aprire il libro, spiegare, chiudere il libro ed
uscire. In una scuola dove i livelli di conflittualità possono essere davvero elevati occorrono strategie di insegnamento nuove per far passare i contenuti disciplinare.
D: In quali attività sono stati coinvolti i ragazzi?
R: I ragazzi sono stati coinvolti in varie attività: si sono aperti laboratori per la gestione dei conflitti,
di cinematografia ed altri spazi nei quali i ragazzi si sono sperimentati in giochi di ruolo, cineforum,
e di scrittura autobiografica. Il laboratorio di cinematografia è stata la cosa più entusiasmante per
loro e per la scuola, poiché insegnanti e studenti hanno progettato film e spot su tematiche inerenti
al mondo delle prevaricazioni ed hanno poi seguito la realizzazione in tutte le loro fasi. Il film o gli
spot sono stati poi proiettati a tutta la scuola nell’auditorium dell’istituto, che conteneva circa 400
ragazzi.
Alcune classi hanno fatto dei laboratori di scrittura con un ricercatore dell’Università di Firenze e
produrre del materiale per loro è stato molto gratificante; mentre altre sono state coinvolte con
drammatizzazioni legate al Teatro dell’Oppresso.
D: Come sono stati coinvolti insegnati e genitori?
R: Dato che il progetto era partito con l’ambizione di estendersi a più livelli, in modo da incidere
sulle relazione del sistema scuola inteso come “sistema intero”, gli insegnanti sono stati coinvolti in
un corso di formazione a cui anche i genitori sono stati invitati a partecipare.
Coinvolgerli però non è stato facile poiché hanno partecipato solo coloro che mostravano già sensibilità ed attenzione verso queste tematiche.
D: Come mai secondo lei esiste questa difficoltà nel coinvolgere i genitori?
R: Non è facile per il genitore rapportarsi a queste tematiche: si ritrova davanti un figlio adolescente
spesso sconosciuto e non lo riconosce capace di certi comportamenti; a volte invece tende a
colpevolizzarsi e ad avere difficoltà a sostenere la situazione. È vero anche che per un genitore non
è molto facile seguire il figlio alle superiori perché spesso la scuola non lo ricerca per un percorso
costruttivo, ma limita i contatti al ricevimento o al riaccompagnare il figlio dopo una sospensione.
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Come contrastare il fenomeno
Quando la scuola ha dimostrato continuità nel coinvolgimento del genitore, questo ha risposto
positivamente.
D: Sono emerse a volte situazioni che richiedevano un intervento più specifico?
R: Sì. In alcune classi l’intervento sul gruppo si è snodato parallelamente a quello sul singolo.
Quando sono emerse situazioni più difficili, il progetto ha garantito uno spazio in cui i ragazzi
potessero essere seguiti più da vicino.
D: Dovendo fare un bilancio?
R: il progetto è ambizioso anche perché vuole creare un clima particolare nella scuola: se si porta
avanti il dialogo e la collaborazione è più facile che episodi di questo tipo vengano affrontati e
superati. Interviene sul bullo e la vittima conclamati sarebbe limitante. Possiamo ritenerci soddisfatti dei risultati ottenuti.
Come precedentemente detto, la prof.ssa Griffo ha lasciato l’incarico all’Istituto Datini nel settembre del 2005. Al suo posto è subentrata la collega Di Mauro, professoressa e collaboratrice del
preside dell’Istituto, alla quale è stato chiesto un aggiornamento sullo stato attuale del progetto.
INTERVISTA ALLA PROF.SSA NORMA DI MAURO (APRILE 2006)
D: Dalla sua esperienza che quadro potrebbe fornirci del bullismo a scuola?
R: Per quanto ho potuto vedere in questi anni di lavoro nelle scuole la prima cosa che mi viene da
dire è che il fenomeno del bullismo si annida soprattutto fra le insicurezze. Infatti, sia bullo che
vittima sono ragazzi in difficoltà, ragazzi che vivono situazioni emotive delicate.
In scuole come il Datini, e negli Istituti Professionali in generale, il fenomeno emerge maggiormente perché abbiamo avuto modo di osservare che certi atteggiamenti sono spesso propri di quei
ragazzi che si sentono emarginati, perché hanno avuto una carriera scolastica disastrosa. In questi
casi la scuola viene vissuta come una grande gabbia ed il fatto di continuare, doverci stare un altro
paio di anni, è motivo di grande insofferenza. In altre parole i ragazzi vengono a scuola sei ore e
vivono tutte le sei ore come un’oppressione.
D: Se dovesse descrivere i ragazzi coinvolti in episodi di bullismo che caratteristiche le vengono in
mente?
R: Partendo dal fatto che il bullismo è espressione di un disagio, direi che spesso i bulli sono ragazzi
che hanno ancora difficoltà di lettura, e nell’apprendimento in generale, ragazzi in affanno che
reagiscono alla fatica di affermarsi in un gruppo attraverso questi atteggiamenti aggressivi, che poi
vengono emulati da altri. Questi ragazzi identificano all’interno della classe le vittime, in genere
persone più fragili ed isolate socialmente, ed il “gioco crudele” comincia.
Il ragazzo più fragile è a sua volta non sorretto perché altrimenti non subirebbe tutto quello che
subisce e si creano situazioni all’interno della classe in cui i bulli emergono, diventano un po’ i
40
Come contrastare il fenomeno
padroncini e, se ce la fanno, tentano anche di mettere i piedi in testa all’insegnante. Spesso, purtroppo, come corpo docente dobbiamo prendere la decisione di bocciarli.
D: Quindi il progetto Incontriamoci è in linea con la politica della scuola?
R: In un certo modo sì. Il Datini è una scuola che investe tantissimo sull’accoglienza, il che non
significa, come luoghi comuni suggeriscono, promuovere gli studenti senza farli impegnare; significa piuttosto offrire ai ragazzi, che hanno avuto un rapporto disperato con l’istruzione, l’opportuna di ricostruirlo. Purtroppo, situazioni pesanti dal punto di vista relazionale impediscono tutto
ciò: il ragazzo, che vive la scuola in maniera sofferente ed ha degli atteggiamenti da bullo, sovverte
il mondo all’interno della classe. Perciò, anche quella fascia intermedia di ragazzi, propensi ad
impegnarsi in un rapporto più costruttivo con la scuola, rischia di perdersi. Le situazione di relazione conflittuale interferiscono sul rendimento scolastico dei ragazzi, per questo, il progetto è finalizzato a ricostruire un clima più sereno, in cui i conflitti umani vengono adeguatamente gestiti.
In linea con questo, attualmente stiamo facendo con i ragazzi formazione sulla gestione dei conflitti. Questo lavoro si è concluso con l’apertura di uno sportello di mediazione fra pari.
D: Come è organizzato questo spazio?
R: Lo sportello è stato aperto da ragazzi delle quarte e delle quinte più sensibili al problema. L’idea
è quella di dare ai ragazzi la possibilità di rivolgersi ai loro pari di fronte a dei problemi, dato che
cercare sostegno fra coetanei è molto più facile che chiederlo agli adulti. Inoltre, è difficile che uno
studente vada direttamente allo sportello, senza che prima non ci sia una sorta di ponte (mediatore
coetaneo) tra il singolo e il servizio che la scuola offre.
Purtroppo lo sportello è stato poco frequentato, e l’idea è quella di rilanciare il progetto per l’anno
2006-2007, attivando maggiormente la mediazione tra pari: mandare, cioè, i ragazzi più grandi, che
spesso sono passati a loro volta da esperienze difficili e dolorose, a dire ai più piccoli che qualcosa
per stare meglio a scuola si può fare.
D: Due parole sul coinvolgimento degli adulti...sia genitori che insegnanti.
R: Nel progetto “Incontriamoci” abbiamo fatto una grossa formazione per gli insegnanti. Così come
i genitori più sensibili hanno partecipato alle attività proposte dalla scuola, anche i corsi per gli
insegnanti sono stati seguiti da coloro che di per sé sono più inclini ad impegnarsi su temi come il
bullismo, il conflitto ecc... Ai corsi c’è stata una grossa affluenza, ma da parte di chi già crede al
cambiamento.
L’altro adulto in questione è il genitore. Il lavoro con i genitori è un lavoro difficile perché il genitore segue il ragazzo fino alla terza media, dove c’è ancora un coinvolgimento come rappresentante
di classe con riunioni che vanno oltre alla sola informazione sul rendimento scolastico. Se c’è
l’emergenza intervengono, altrimenti è più difficile organizzare incontri in orari e momenti diversi.
D: Dovendo fare dopo quattro anni un bilancio del progetto Incontriamoci?
Sicuramente positivo, perché i ragazzi coinvolti hanno fatto esperienze importanti, come la realiz-
41
Come contrastare il fenomeno
zazione di filmati, che noi docenti utilizziamo anche come documentazione. Ecco perché l’idea di
costituire un gruppo che lavori con i più giovani: per creare una sorta di eredità, dato che sono
state fatte cose molto belle e che sono servite soprattutto ai ragazzi sul momento. L’ambizione di
questo “progettino” che abbiamo presentato è che i ragazzi più grandi lavorini intervenendo nelle
classi dei più piccoli , che siano da esempio e che comunichino il percorso che hanno fatto. Il
nuovo progetto vorrebbe un gruppo di ragazzi di quarta e di quinta come gruppo di mediatori,che
entrino per ora nelle classi insieme all’esperto e che possano in futuro presentare altri tipi di interventi, da lasciare agli studenti che verranno dopo di loro.
Riassumendo, il Progetto “Incontriamoci” ha avuto, ed ha per alcuni dei laboratori ancora attivi,
l’obiettivo di prevenire il bullismo attraverso l’educazione al conflitto e all’espressione costruttiva di sé.
Le linee seguite dal progetto dimostrano nuovamente come l’approccio ecologico e relazionale sia
quello più idoneo ad affrontare un fenomeno complesso e dinamico come il bullismo.
Inoltre, è opportuno specificare che, parallelamente alle varie attività di prevenzione del progetto
“Incontriamoci”, gli studenti dell’Istituto Datini hanno partecipato ad una rilevazione del fenomeno
delle prepotenze attraverso la compilazione di un questionario, creato dalla prof.ssa Matilde Griffo e dal
dott. Massimiliano Radini. Lo stesso questionario, in parte modificato dalle autrici di questa monografia
(Appendice B), è stato usato per la ricerca che verrà riportata nella terza parte del volume.
Nel complesso, il lavoro dell’Istituto rappresenta un intervento principe, al quale ispirarsi per eventuali nuovi progetti riguardanti non solo la ricerca e la rilevazione del fenomeno (come è avvenuto nel
caso del lavoro che andremo a presentare successivamente), ma anche la prevenzione e l’intervento sul
territorio pratese.
42
La ricerca
Parte III. La ricerca
La presente ricerca parte dall’esigenza dell’Osservatorio Sociale di Prato di rilevare l’esistenza o
meno del fenomeno del bullismo nelle scuole superiori9 pratesi, dato che, anche a livello provinciale, vi
è l’intenzione di rendere possibili azioni di indagine e di prevenzione coordinate sul territorio (senza
limitarsi ad interventi scollegati da scuola a scuola). L’Osservatorio Sociale ha preso le mosse dal progetto realizzato dall’Istituto Datini per avviare questa esplorazione e per capire se e come sia diffuso il
fenomeno delle prepotenze nelle scuole. Il lavoro ha coinvolto quattro Istituti della Provincia: l’Istituto
Professionale Datini, il Liceo Scientifico Carlo Livi, l’Istituto Statale d’Arte Bernini e l’Istituto Tecnico
Commerciale Dagomari.
Questa indagine pilota può svelare molto sull’attuale condizione degli adolescenti pratesi rispetto al
fenomeno, nonostante alcuni limiti, dal punto di vista della campionatura, relativi al bilanciamento per
sesso, per scuola e per classi, dovuti a contingenze del periodo di rilevazione dei dati (vacanze pasquali
ed elezioni politiche 2006).
La finalità di questo lavoro è quella di fornire dei dati su cui riflettere e da cui, eventualmente,
partire per progettare una rilevazione ad ampio raggio.
Coinvolgere quattro scuole di formazione diversa è sicuramente un esperimento conoscitivo ricco
di spunti e dà a questo studio un valore aggiunto, dato che poco si sa sul bullismo nelle scuole superiori. Considerato che la letteratura scientifica sottolinea importanti cambiamenti del fenomeno soprattutto in relazione all’età ed al genere dell’individuo, questa indagine si propone di esplorare eventuali
correlazioni anche con altri aspetti, quali la provenienza, il livello di istruzione dei genitori, la composizione familiare, il rapporto che i ragazzi hanno con i compagni, con i genitori e con gli insegnanti.
L’obiettivo della ricerca è quindi quello di indagare gli atteggiamenti ed i comportamenti degli studenti adolescenti rispetto al tema delle prevaricazioni, per rilevare sia l’entità del fenomeno che i valori
sottostanti ad eventuali atteggiamenti aggressivi e/o passivi; oltre a questo, di dare anche un quadro
relativo al clima familiare e scolastico associato a comportamenti legati al fenomeno.
3.1 Metodologia
Il campione della ricerca è costituito da 349 soggetti appartenenti a 4 scuole: 96 studenti dell’Istituto Tecnico Commerciale Dagomari (su 698), 80 dell’Istituto Professionale Datini (su 1154), 62 dell’Istituto Statale d’Arte Bernini di Montemurlo (su 249), 111 del Liceo Scientifico Livi (su 686)10. La fascia di
età del campione va dai 14 ai 21 anni e comprende 153 maschi e 193 femmine (in 3 casi il sesso non è
stato indicato). L’indagine è stata condotta nel mese di Aprile del 2006 e la raccolta dati è avvenuta
all’interno della scuola, grazie alla disponibilità di presidi e insegnanti.
Dopo avere spiegato ai ragazzi che si chiedeva la loro partecipazione ad una ricerca della Provincia,
relativa alle prepotenze e alle prevaricazioni nella scuola superiore, ad ognuno di loro è stato consegnato un questionario anonimo. Tale questionario è già stato utilizzato per l’indagine svolta al Datini nel
43
La ricerca
2003. Per questa ricerca, il questionario è stato modificato con l’aggiunta di alcuni items e la variazione
della pagina iniziale di presentazione. Il questionario può essere diviso in tre parti: una prima parte è
relativa a dati anagrafici ed informativi (sesso, età, classe, presenza di fratelli e sorelle, abitudini nel
tempo libero ecc.) con lo scopo di ottenere una descrizione del campione in termini sociodemografici
ed attitudinali; una seconda parte del questionario esplora, attraverso l’accordo o il disaccordo con
alcune affermazioni, l’atteggiamento verso l’uso dell’aggressività; infine, l’ultima parte indaga, chiedendo al soggetto di esprimersi su eventuali prepotenze agite, subite o assistite, il comportamento relativo
alle prevaricazioni.
Oltre alla somministrazione del questionario, studenti, genitori, presidi ed insegnanti sono stati
invitati a partecipare a due focus group sul tema del bullismo, per ottenere, accanto a dati quantitativi,
anche dati qualitativi che aiutassero meglio a comprendere frequenze e percentuali.
Per l’analisi dei dati sono state utilizzate statistiche descrittive, quali frequenze, percentuali ed incroci fra variabili.
3.2 Analisi e discussione dei dati
Il campione, come detto precedentemente, è costituito da 349 studenti delle scuole superiori della
provincia di Prato.
I primi grafici (graf.1, graf.2 e graf.3), oltre a mostrare l’insieme di studenti diviso per istituti, fanno
vedere in dettaglio come le distribuzione per genere e per classe siano abbastanza equilibrate.
Grafico n°1. Distribuzione del campione per scuola
44
La ricerca
Grafico n°2. Distribuzione del campione per classe
Grafico n°3. Distribuzione del campione per genere
La descrizione del campione si muoverà su tre piani: individuale, familiare e scolastico. Il primo
tentativo è dunque quello di descrivere lo studente pratese della scuola superiore in termini
sociodemografici ed attitudinali. Un importante indicatore descrittivo è dato dalla provenienza del ragazzo (tab.2). Il 12,0% degli studenti dichiara di provenire da un’altra regione d’Italia, mentre 9 su 100
dichiarano di venire da un’altra Nazione.
Tab. 2. Provenienza
da un’altra regione italiana?
%
N° casi
No
297
85,1
Sì
42
12,0
Non risp.
10
2,9
da un’altra nazione?
N° casi
%
310
88,8
34
9,7
5
1,4
45
La ricerca
Nell’esperienza scolastica di 76 ragazzi risulta almeno una bocciatura ed il 69,6% del campione dichiara di aver letto negli ultimi due mesi almeno un libro che non fosse di testo. È altamente probabile che la
maggior parte del tempo libero (tab.3) lo trascorrano con i loro amici (71,1%); meno probabile è la
compagnia dei familiari (10,3%) ed ancor più raro è il caso in cui il ragazzo rimanga spesso solo (6,9%).
Tab.3. Con chi trascorri più spesso il tuo tempo libero?
N° casi
da solo
24
con i miei amici
248
con i miei familiari
36
altro
4
non risponde
37
%
6,9
71,1
10,3
1,1
10,6
In riferimento al senso di convivenza e di giustizia, sono stati indagati i valori ritenuti più importanti
dai ragazzi. L’assunto di partenza di questa ricerca è che la società porti indubbiamente il suo contributo
in tal senso, attraverso la trasmissione familiare e generazionale ed i mutamenti socio-politici. I valori
che vengono acquisiti durante la giovinezza restano relativamente stabili per l’intero corso della vita e
soffermarsi su quelli degli adolescenti di oggi ci permette non solo di conoscere la condizione giovanile
contemporanea, ma di avere anche delle indicazioni sulla società di domani. Dalle risposte ottenute
durante l’indagine si nota come il rispetto degli altri e di sé, oltre alla libertà di pensiero ed espressione,
siano ritenuti valori molto importanti. Attraverso l’incrocio delle prime e seconde risposte date dai
ragazzi, sembra infatti che la visione più probabile del rapporto con l’altro sia quella di convivenza
rispettosa, anche se una buona parte degli studenti punta alla realizzazione personale mediante la
libertà di fare tutto ciò che si vuole e la ricchezza economica (tab.4).
Tab.4. Scala di valori
il rispetto degli altri
la libertà di fare tutto ciò che voglio
la lealtà
la solidarietà
la fama
l’uguaglianza di possibilità per tutti
tolleranza di opinioni/comportamenti diversi
la realizzazione personale
la libertà di pensiero ed espressione
la giustizia
la ricchezza economica
il rispetto delle regole
la conoscenza
non risponde
N° casi
91
40
36
10
7
17
12
34
49
18
9
11
8
7
46
%
26,1
11,5
10,3
2,9
2,0
4,9
3,4
9,7
14,0
5,2
2,6
3,2
2,3
2,0
La ricerca
Rispetto alla complessità del campione, diventa estremamente interessante indagare le stesse variabili in base alla diversa realtà scolastica. Le differenze più significative si hanno per quanto riguarda la
percentuale di ragazzi ripetenti: si va dal 36,3% del Datini al 2,7% del Livi, con gli altri due istituti che
discostano anch’essi significativamente dall’esperienza del Liceo.
Mentre la percentuale dei maschi del Dagomari (59,4%) e del Livi (59,5%) supera quelle delle
femmine, al Datini (66,3% di femmine) e al Bernini (93,5% di femmine) la percentuale di femmine
rispetto a quella maschile è schiacciante.
Per le altre variabili, possiamo riferire che il Livi è l’unico istituto ad avere più studenti con genitori
toscani (55,9%), mentre il Dagomari è la scuola ad avere percentuale più alta di ragazzi con genitori di
nazionalità straniera (18,8%).
Per quanto riguarda la scala dei valori, al primo posto tutti gli istituti concordano sul “rispetto dell’altro”; come seconda risposta emergono invece delle differenze, poiché Dagomari (12,5%) e Bernini
(12,9%) indicano “la libertà di fare tutto ciò che voglio”, mentre Datini (18,8%) e LIvi (17,1%) indicano
“la libertà di pensiero ed espressione”.
Rivolgiamoci adesso al contesto familiare per delineare ulteriormente la condizione sociale dello
studente di Prato. La maggior parte dei giovani che hanno partecipato all’indagine appartiene ad una
famiglia in cui uno od entrambi i genitori provengono da un’altra regione (51,6%). Il 12,6% dei ragazzi
ha genitori di nazionalità straniera (tab.5).
Tab.5. Provenienza dei genitori
No
Sì
non risp.
da un’altra regione italiana?
N° casi
%
163
46,7
180
51,6
6
1,7
da un’altra Nazione?
N° casi
%
299
85,7
44
12,6
6
1,7
La maggioranza dei genitori dei ragazzi coinvolti nell’indagine ha licenza media (il 39,3% delle madri ed il 35,8% dei padri), seguono i diplomati (37,0% delle madri e 30,9% dei padri), ed infine i laureati
(l’8,3% delle madri e l’8,9% dei padri). Il 73,9% dei partecipanti all’indagine non è figlio unico e, di
questi, il 37,2% è secondogenito, mentre il 27,8% è primogenito.
Gli studenti sembrano avere un dialogo con la madre piuttosto frequente (40,1%), mentre col padre
si fa più raro, anche se presente in buona percentuale (25,8%).
Una maggioranza evidente giudica l’interesse dei genitori per la propria esperienza scolastica decisamente buono (51,6%), mentre l’8,6% dei ragazzi si sposta verso una valutazione negativa. Per quanto
riguarda la comprensione dei propri sentimenti da parte dei genitori, una netta maggioranza dichiara di
essere abbastanza capita (55,3%) ed il 24,4% dei ragazzi di essere molto capito; da tenere in considerazione è quasi il 20,0% di risposte negative a questa domanda (graf.4).
47
La ricerca
Grafico n°4. I tuoi genitori comprendono in generale i tuoi sentimenti?
A seguito, sono riportate le due tabelle che dall’analisi delle frequenza risultano più interessanti
rispetto al confronto fra scuole. Le percentuali sul titolo di studio dei genitori rivelano un importante
scostamento del Livi dal resto delle altre scuole: un numero considerevole di ragazzi del liceo dichiara
di avere genitori diplomati o laureati (tab.6 e tab.7).
Tab.6. Titolo di studio della madre per scuola
Non so
Licenza elem.
Licenza media
Diploma
Laurea
Non risponde
Totale
DAGOMARI
8,3%
4,2%
40,6%
38,5%
7,3%
1,0%
100,0%
DATINI
3,8%
12,5%
56,3%
25,0%
2,5%
100,0%
ISA
14,5%
6,5%
43,5%
29,0%
1,6%
4,8%
100,0%
LIVI
3,6%
3,6%
23,4%
48,6%
17,1%
3,6%
100,0%
Totale
6,9%
6,3%
39,3%
37,0%
8,3%
2,3%
100,0%
DATINI
5,0%
17,5%
43,8%
27,5%
1,3%
5,0%
100,0%
ISA
22,6%
17,7%
32,3%
14,5%
8,1%
4,8%
100,0%
LIVI
2,7%
7,2%
27,9%
38,7%
19,8%
3,6%
100,0%
Totale
8,3%
12,6%
35,8%
30,9%
8,9%
3,4%
100,0%
Tab.7. Titolo di studio del padre per scuola
Non so
Licenza elem.
Licenza media
Diploma
Laurea
Non risponde
Totale
DAGOMARI
8,3%
11,5%
40,6%
35,4%
3,1%
1,0%
100,0%
48
La ricerca
Il dialogo con i genitori è un altro aspetto importante per capire come i ragazzi stanno nel nucleo
familiare. Il Datini ha le percentuali più basse per la frequenza di dialogo sia con la madre (56,3%) che
con il padre (30,1%). Negli altri istituti tali percentuali superano rispettivamente il 60,0% e il 35,0%.
Entriamo finalmente nell’ambito della scuola per conoscere il clima della classe ed il rapporto che
gli studenti del nostro campione hanno con i compagni. Dai risultati sembra che il rapporto con i
propri compagni di classe sia molto soddisfacente (graf.5): questo risulta chiaro anche dal tempo “non
programmato” che lo studente trascorre con loro, come l’intervallo (42,4%) o il tempo libero fuori da
scuola (23,85%).
Grafico n°5. Come stai con i tuoi compagni di classe?
Il clima appare buono anche all’interno della scuola in generale (69,0%) e l’esperienza di essere
frequentemente isolato dai propri compagni di classe riguarda l’8,0% del campione. Per quanto riguarda il rapporto con gli insegnanti, il 70,8 % degli studenti si dichiara soddisfatto di questo ed è bassa la
percentuale di quanti lo valutano negativamente (13,8%). Il dato sembra trovare sostegno anche nel
fatto che l’81,9% dei ragazzi racconta quello che accade loro a scuola e che, di questi, il 6,3% sceglie di
parlarne proprio ad un docente purché fidato. Il primo punto di riferimento per il ragazzo all’interno
della scuola è comunque un compagno (53,0%) ed al secondo posto il gruppo dei compagni di classe
(20,1%). Sembra che i ragazzi preferiscano parlare di quello che accade a scuola a persone esterne
all’ambiente scolastico (93,1%). Fra i confidenti privilegiati ci sono il migliore amico (28,4%), i genitori
(27,2%) ed il gruppo di amici esterni alla scuola (25,2%), come si può vedere dal grafico.
Dal confronto fra istituti, può essere segnalata la maggiore tendenza del Livi a non raccontare all’interno della scuola le esperienze scolastiche personali (26,1%), mentre il Datini ha la percentuale più alta
(93,8%) per il comportamento opposto (tab.8). Controtendenza per il Dagomari per quanto riguarda “a
chi racconti fuori dall’ambiente scolastico quello che ti succede a scuola”: al primo posto indica il
gruppo di amici (34,1%), mentre gli altri tre istituti si accordano sulla confidenza fatta ad un singolo
amico fidato (tab.9).
49
La ricerca
Tab.8. Racconti a all’interno della scuola quello che ti succede?
no
sì
Non risp.
DAGOMARI
15,6%
84,4%
-
DATINI
6,3%
93,8%
-
ISA
12,9%
80,6%
6,5%
LIVI
26,1%
72,1%
1,8%
Totale
16,3%
81,9%
1,7%
ISA
34,5%
25,5%
32,7%
7,3%
-
LIVI
31,1%
24,3%
33,0%
10,7%
1,0%
Totale
31,7%
28,2%
30,4%
9,3%
0,3%
Tab.9. A chi racconti quello che ti succede a scuola?
Amico fidato
Gruppo amici
Genitori
Familiari
Non risp.
DAGOMARI
29,3%
34,1%
26,8%
9,8%
-
DATINI
33,3%
29,2%
29,2%
8,3%
-
Le tabelle successive (tab.10 e tab.11 ) riportano le percentuali di accordo del campione con specifici atteggiamenti prepotenti. I ragazzi che hanno risposto al questionario dichiarano in maggioranza
(75,6%) che un compagno non è giustificato a picchiarne un altro se questo non fa ciò che gli dice di
fare; allo stesso tempo il ricorso allo scontro fisico con un altro ragazzo è concepito (30,9%) come
giustificabile solo nel caso in cui ci si debba difendere da un’aggressione; figurano comunque un discreto numero di ragazzi che dichiarano disaccordo anche in questo caso (22,1%). La violenza, intesa come
difesa, è percepita come una resa dei conti sbagliata che mette dalla parte del torto anche se insultati
(33,5%). La maggioranza crede che si debba dimostrare la propria paura in certe circostanze (30,7%),
anche se una parte importante sostiene che sia più giusto non farlo (14,0%). I ragazzi sono d’accordo
sull’intervento punitivo degli insegnanti quando un ragazzo picchia un compagno (34,1%). Dimostrare
la propria superiorità non è considerato un modo per ottenere ammirazione (41,0%), tant’è che un’alta
frequenza di studenti pensa all’isolamento dei prepotenti come al modo più giusto di rispondere al loro
atteggiamento (57,4%). Di fatto, non viene poi utilizzata come strategia per arginare la prepotenza,
poiché chi si dichiara spesso prevaricatore non si sente isolato dai compagni.
La maggior parte degli studenti del campione sostiene che non va preso in giro un compagno,
soprattutto se questo non si diverte (61,3%). Quale debba essere il comportamento delle ragazze nei
confronti dei prepotenti non è chiaro: alcuni ritengono che queste li debbano odiare (30,4%), altri non
accettano che questo avvenga (39,8%). La maggioranza pensa che l’altro possa anche avere ragione
(48,4%), ma questo non impedisce al 58,7% di difendere ad oltranza ed in qualunque modo un amico
anche se ha torto. La maggioranza ritiene che prima o poi chi cerca sempre di litigare riceverà una
lezione (38,7%) e che non si acquista valore, in senso positivo, se te la prendi con uno che non c’entra
(62,5%). Una parte consistente, seppur in minoranza (35,5%), ritiene che sia meglio farsi i fatti propri e
non dire niente a nessuno quando dei compagni fanno a botte.
Per avere un quadro di sintesi facilmente leggibile rispetto agli atteggiamenti del campione nei con50
La ricerca
fronti delle prepotenze, sono riportate le affermazioni che nel questionario si riferiscono agli atteggiamenti indagati: la lettera di siglatura permette di leggere le tabelle successive.
A. Se un compagno non fa ciò che un altro gli dice, quest’ultimo sarà giustificato a dargli uno schiaffo.
B. Fare a botte è ammissibile solo nel caso ci si debba difendere da un’aggressione: negli altri casi non
lo è mai.
C. Anche se si ricevono degli insulti, reagire con violenza significa mettersi dalla parte del torto.
D. È giusto dimostrare di non avere paura di fare a botte con dei compagni, a prescindere dalle
circostanze.
E. I professori dovrebbero sempre punire chi picchia un compagno.
F. Dimostrare la propria superiorità è un modo per essere ammirati.
G. Bisognerebbe isolare i compagni prepotenti, così capirebbero che il loro modo di fare è ingiusto.
H. Prendere in giro un compagno è divertente, soprattutto se lui non si diverte.
I. Le ragazze dovrebbero odiare chi passa il tempo a litigare.
L. Non bisogna mai dare ragione all’altro.
M. Chi assiste ad una zuffa in cui è coinvolto un proprio amico dovrebbe sempre proteggerlo in qualunque modo, anche se è palesemente in torto.
N. Chi cerca sempre di litigare prima o poi riceverà una bella lezione.
O. Se te la prendi con uno che non c’entra, gli altri si rendono conto quanto vali.
P. Se dei compagni fanno a botte è meglio farsi i fatti propri e non dire niente a nessuno, non si sa mai!
Tab.10. Atteggiamenti del campione nei confronti delle prepotenze
ATTEGGIAMENTI (%)
completamente in disacc.
abbastanza in disacc.
moderatamente in disacc.
moderatamente d’acc.
abbastanza d’acc.
completamente d’acc.
non so
non risponde
A
75,6
10,0
4,9
2,0
1,7
2,0
2,3
1,4
B
6,9
8,6
6,6
16,0
30,9
28,4
1,4
1,1
C
7,2
7,7
8,6
12,9
27,5
33,5
1,4
1,1
51
D
30,7
16,3
9,7
12,9
14,0
8,0
7,4
0,9
E
7,2
5,7
6,9
14,3
26,9
34,1
3,2
1,7
F
41,0
26,1
8,9
10,3
4,3
6,6
1,4
1,4
G
12,9
12,6
13,5
20,1
20,1
17,2
2,9
0,9
La ricerca
Tab.11. Atteggiamenti del campione nei confronti delle prepotenze
ATTEGGIAMENTI (%)
completamente in disacc.
abbastanza in disacc.
moderatamente in disacc.
moderatamente d’acc.
abbastanza d’acc.
completamente d’acc.
non so
non risponde
H
61,3
15,5
6,9
4,6
5,4
4,3
1,1
0,9
I
23,5
16,3
11,5
13,5
16,9
6,3
10,9
1,1
L
48,4
18,1
11,5
6,3
3,2
3,4
7,7
1,4
M
9,2
13,8
13,5
19,2
18,3
21,2
3,4
1,4
N
3,4
4,3
2,6
16,9
27,5
38,7
5,2
1,4
O
62,5
9,2
3,4
6,0
4,9
7,7
5,2
1,1
P
21,8
19,2
17,2
15,5
12,0
8,0
5,2
1,1
Rispetto alla variabile di genere, le differenze più interessanti si riferiscono al grado e non alla tendenza di accordo e disaccordo. Le femmine, in linea generale, condannano il ricorso ad atteggiamenti
aggressivi in modo maggiore rispetto ai maschi e giustificano meno il ricorso ad agiti prepotenti anche
nel caso di difesa di un amico in una disputa (maschi 69,9% vs femmine 49,7%) o di difesa personale
(maschi 27,5% vs femmine 16,1%).
Fra le scuole ci sono alcune differenze rispetto agli atteggiamenti riportati nel questionario. Anche
qui, tali differenze non riguardano la direzione di risposta (accordo-disaccordo), ma il grado con cui i
ragazzi si dicono d’accordo con l’affermazione. L’unico caso in cui c’è una controtendenza è quello del
Dagomari che si distingue dagli altri istituti poiché ritiene giusto, in larga percentuale, che le ragazze
odino i ragazzi più litigiosi (42,7% vs 35,9%); oltre il 50,0% degli studenti delle altre tre scuole non è
d’accordo che questo avvenga. Il 31,3% dei ragazzi del Datini è in disaccordo con il ricorso alle botte
solo nel caso in cui ci si debba difendere da una aggressione; nelle altre scuole la percentuale si aggira
intorno al 20,0% (la più bassa percentuale è del Livi con il 17,1% di disaccordo). Il Dagomari, con il
31,2% di disaccordo, è l’istituto che meno equipara l’atto violento ad un atto sbagliato in risposta ad
insulti ricevuti (Datini 21,4%, Bernini 12,9% e Livi 24,3%). Una buona percentuale vede il Dagomari
(21,9%), il Datini (23,8) ed il Livi (22,5%) d’accordo sul fatto che mostrare la propria superiorità sia un
modo per ottenere ammirazione dagli altri (Bernini 14,5%). Al Datini (68,8%) ed al Livi (58,5%), più
che nelle altre scuole (Dagomari 50,1% e Bernini 51,6%), si pensa che isolare il prepotente sia un buon
modo per fargli capire che il suo atteggiamento è ingiusto.
Una chiara maggioranza non è d’accordo con la presa in giro del compagno, specie se questo non si
diverte, ma, guardando alla scuola che più tollera questo atteggiamento, il Livi presenta la percentuale
più alta col 18,9% (Dagomari 12,5%, Datini 16,4%, Bernini 6,4%). Il liceo (16,2%) ritiene più degli altri
istituti (Dagomari 7,4%, Datini 15,0%, Bernini 12,9%) che non si debba mai dare ragione all’altro, mentre il Dagomari ha la percentuale più alta di chi non ammette che questo accada (83,3%). Tutti d’accordo nel difendere un amico in una zuffa anche se ha torto: chi però oscilla di più in questo atteggiamento
è il Bernini (48,0% di accordo vs 40,3% di disaccordo), mentre il Dagomari (63,5%) ha la percentuale
più alta di accordo. L’Istituto d’arte con il 24,2% ritiene il prendersela con uno che non c’entra dimostri
52
La ricerca
quanto una persona valga (Dagomari 18,7% Datini 17,7% e Livi 16,2%). Il Livi in testa (61,3%) ritiene
che farsi i fatti propri o non dire niente se si vedono dei compagni fare a botte sia l’atteggiamento meno
giusto da tenere; il Dagomari presenta la forbice più piccola rispetto a questo atteggiamento (54,1% di
accordo vs 41,7% di disaccordo).
Si giunge, dopo una visione d’insieme degli atteggiamenti più probabili nei confronti delle
prevaricazioni da parte del campione, a conoscere quanti studenti dichiarano di avere subito, agito od
assistito a prepotenze. Si passa, cioè, dall’esame degli atteggiamenti verso le prepotenze all’esame del
comportamento prepotente vero e proprio. Dalla tabella 12 si vede che la maggioranza del campione
sostiene di non avere mai subito prepotenze, mentre il 24,7% dichiara di essere stato “vittima” (da
raramente a sempre) di episodi aggressivi negli ultimi due mesi. Dividendo in due fasce chi afferma di
avere subito prepotenze almeno una volta11, si nota che esiste una parte di studenti sporadicamente
oggetto di prevaricazioni (21,5% - 75 soggetti), ed una minoranza del 3,2% (11 soggetti) per la quale
queste prepotenze sembrano essere costanti all’interno della scuola.
Tab.12. Quante volte hai subito prepotenze negli ultimi 2 mesi?
Mai
Raramente
Ogni tanto
Spesso
Sempre
Non ricordo
Non risponde
N° casi
253
48
27
9
2
5
5
%
72,5
13,8
7,7
2,6
0,6
1,4
1,4
Per quanto riguarda l’agire prepotenze, possiamo notare (tab.13) come il 75,9% del campione dichiari di non essere mai stato prepotente coi compagni. Anche in questo caso esiste un 22,2% che
dichiara di essere stato protagonista di prepotenze almeno una volta ed un 1,8% (6 soggetti) dichiara di
essere quasi costantemente agente di prevaricazioni.
Tab. 13. Quante volte hai agito prepotenza negli ultimi 2 mesi?
Mai
Raramente
Ogni tanto
Spesso
Sempre
Non risponde
N° casi
265
47
24
3
3
7
%
75,9
13,5
6,9
0,9
0,9
2,0
53
La ricerca
Prendendo in esame la parte del campione che sostiene di avere assistito a prepotenze (37,0%), la
tabella 14 mostra che il 5,8% sostiene di essere testimone di comportamenti del genere in maniera
molto frequente (spesso- sempre).
Tab. 14. Quante volte ai assistito a episodi di prepotenza negli ultimi 2 mesi?
Mai
Raramente
Ogni tanto
Spesso
Sempre
Non risponde
N° casi
214
56
53
18
2
6
%
61,3
16,0
15,2
5,2
0,6
1,7
Esiste quindi un bilanciamento di numero dei casi all’interno del campione tra chi agisce prepotenze e chi le subisce (22,0% circa), mentre il numero degli spettatori è più considerevole (37,0%). Anche
nei casi dichiarati come più costanti la percentuale di testimoni è molto più alta (5,8%) rispetto a quella
di chi dichiara di subire (3,2%) o agire prepotenze (1,8%).
Dall’analisi dei risultati per scuola (graf.6, graf.7 e graf.8), si vede che il Livi si evidenzia come l’istituto in cui il fenomeno delle prepotenze subite è meno presente (18,9%), seguito da Bernini (30,6%), dal
Dagomari (31,2%) ed infine dal Datini (32,5%). Prendendo in esame la frequenza con cui si dichiara di
subire prepotenze, il Livi presenta una percentuale del 2,7% rispetto alle categorie spesso e sempre,
seconda solo al Datini (7,5%). È in queste due scuole che le prepotenze subite coinvolgono più facilmente le stesse persone e sembra che rispondano ad uno dei criteri con cui il fenomeno del bullismo è
discriminabile: la sistematicità delle aggressioni che lo stesso individuo subisce nel tempo. Al Dagomari
si rileva un’alta frequenza, rispetto alle altre scuole, di alunni che subiscono prepotenze ogni tanto
(12,5%); pare quindi ridotta la sistematicità delle aggressioni subite in questo istituto, che conta comunque un buon numero di ragazzi coinvolti in questa dinamica.
La scuola che si definisce “più prepotente” è quella del Datini (29,5%), ma andando ad esaminare
nello specifico i risultati notiamo che i ragazzi che dichiarano di agire prepotenze spesso e sempre
(1,3%) sono in percentuale minore rispetto al Dagomari (2,1%) ed al Bernini (4,1%). Il Livi risulta la
scuola in cui i ragazzi si definiscono meno prepotenti ed in cui vi è meno sistematicità delle prevaricazioni
agite da parte del singolo.
Per quanto riguarda gli spettatori delle prepotenze, il Datini registra la percentuale più alta (52,5%),
seguito dal Bernini (36,2%), dal Livi (34,5%) ed infine dal Dagomari (29,5%). In altre parole, possiamo
ipotizzare che al Datini un ragazzo su due assista ripetutamente nel corso dell’anno scolastico a prepotenze agite/subite da parte dei suoi compagni. Un altro dato che colpisce è la presenza al Livi di alcuni
ragazzi che hanno dichiarato di aver assistito negli ultimi due mesi ripetutamente ad episodi di prepotenze. Se consideriamo il numero dei casi anziché le percentuali, possiamo vedere come una modalità
di relazione prepotente sia altamente diffusa tra i ragazzi e che in pochi ma preoccupanti casi il rischio
di bullismo sia assai elevato: 6 casi di prevaricazioni subite spesso negli ultimi due mesi al Datini, 3 casi
54
La ricerca
al Livi ed uno sia al Dagomari che al Berinini; 2 casi al Dagomari di aggressioni agite quasi quotidianamente negli ultimi 2 mesi, 3 al Bernini ed uno al Datini; infine 7 spettatori abituali al Datini, 4 al Dagomari,
5 al Bernini e 2 al Livi. In quest’ultimo istituto altri 2 spettatori si dichiarano sempre presenti agli episodi
di prepotenze, svelando più chiaramente il loro ruolo di sostenitore o della vittima o del bullo.
Sembra esserci una sostanziale differenza fra chi sistematicamente ricorre alla prevaricazione e chi
lo fa occasionalmente. Questa distinzione ci tornerà utile quando parleremo di interventi possibili nella
provincia di Prato.
Grafico 6. Prepotenze subite negli ultimi due mesi: percentuali
55
56
La ricerca
Grafico 7. Prepotenze agite negli ultimi due mesi: percentuali
Grafico 8. Prepotenze assistite negli ultimi due mesi: percentuali
57
58
La ricerca
Un dato, che può in parte sostenere i risultati che pervengono dalla letteratura scientifica, riguarda
la differenza di ruolo da parte di maschi e femmine. È vero che ragazzi e ragazze possono ugualmente
entrare nelle dinamiche del fenomeno delle prepotenze, ma si fa meno evidente la distinzione di genere per il ruolo di prepotente (circa il 27,0% dei maschi ed il 18,0% delle femmine) e di vittima (circa il
24,0% di entrambi i sessi); inoltre, il ruolo di agente prosociale12, notoriamente attribuito alle femmine, non solo non differenzia significativamente i due sessi, ma pende leggermente a favore dei maschi
(33,3% vs 21,4%)13, anche meno passivi di fronte a scene di prepotenze (42,9% dei maschi e 50,0% delle
femmine)14.
Nel questionario è stata data la possibilità agli alunni di indicare almeno due valori da loro ritenuti
importanti. Dall’analisi degli incroci fra scala valoriale e prepotenze subite, agite ed assistite (graf.9),
colpisce il fatto che chi subisce frequentemente (spesso e sempre) prepotenze abbia principi poco
compatibili tra loro. Per semplificare quanto detto, è come se i valori, nei quali credono questi ragazzi,
si polarizzassero attorno all’individualismo, inteso come realizzazione personale, libertà di fare tutto ciò
che si vuole (punteggi elevati in seconda risposta) e ricchezza economica, ed attorno al senso di comunanza, inteso come solidarietà, giustizia e tolleranza (punteggi elevati in seconda risposta).
Grafico 9. Valori e prepotenze subite 1° risposta: numero dei casi
59
La ricerca
Per quanto riguarda invece coloro che agiscono le prepotenze possiamo notare (graf.10) che chi
attua questi comportamenti in modo più costante e frequente (spesso e sempre) crede soprattutto in
valori come la fama, la libertà di fare ciò che si vuole, la realizzazione personale, la ricchezza economica
(punteggi elevati in seconda risposta).
Grafico 10. Valori e prepotenze agite 1° risposta: numero dei casi
Andando a vedere, infine, la scala dei valori relativa a coloro che assistono alle prepotenze, ciò che
spicca maggiormente è che questi ragazzi ritengono molto importanti la ricchezza economica, la libertà
di fare ciò che si vuole, la realizzazione personale, ma anche la giustizia e la tolleranza (graf.11). Bassi
sono i punteggi per la solidarietà e questo dà modo di ipotizzare come più probabile un atteggiamento,
seppur di disapprovazione rispetto alle aggressioni assistite, di delega nei confronti dell’intervento.
60
La ricerca
Grafico 13. Valori e prepotenze assistite 1° risposta: numero dei casi
Dall’esame della relazione fra i tre modelli di comportamento (agire, subire e assistere a prepotenze) e la classe frequentata, possiamo vedere come il fenomeno venga subito soprattutto dagli studenti
delle prime classi: i ragazzi al primo anno che dichiarano di non avere mai subito prepotenze sono il
60,3%, contro il 73,4% dei ragazzi delle seconde, il 66,2% delle terze, il 73,0% delle quarte ed infine
l’88,2% delle quinte. Inoltre nelle prime classi ci sono più casi di prepotenze subite sistematicamente:
4 soggetti di prima superiore dichiarano di subire spesso prepotenze, un caso di subirle sempre; 3
soggetti di seconda superiore dichiarano di essere spesso oggetto di prevaricazioni. Andando avanti con
l’età, sono meno i casi in cui i ragazzi dichiarano di essere oggetto, in modo pressoché costante, di
prevaricazioni da parte dei compagni (un caso in terza classe dichiara di subire sempre prepotenze, 2
casi in quarta classe riportano di essere spesso oggetto di prevaricazioni).
Anche chi agisce le prepotenze sembra appartenere a classi più giovani (soprattutto in prima e in
terza), mentre con l’aumentare degli anni i ragazzi dichiarano sempre più di non agire nessun tipo di
prevaricazione. I ragazzi che dichiarano di non avere mai agito prepotenze sono infatti il 69,1% di
coloro che appartengono alle prime, il 78,1% dei frequentanti le seconde, il 67,6% degli alunni delle
terze, l’80,6% di quelli delle quarte e l’84,4% dei ragazzi delle quinte. Per quanto riguarda la frequenza
con cui le prepotenze vengono messe in atto, ci sono solo 3 soggetti che dichiarano di compiere prepotenze spesso (uno in prima, uno in terza e uno in quarta) o sempre (due casi in seconda classe). Il resto
61
La ricerca
dei ragazzi che ammette di compiere prevaricazioni si distribuisce nelle fasce di frequenza raramente ed
ogni tanto con percentuali che decrescono con l’aumentare dell’età.
Per quanto riguarda gli spettatori colpisce come i ragazzi di quinta (68,4%) dichiarino, più dei compagni più piccoli, di non essere testimoni di violenze (63,9% in prima, 60,9% in seconda, 59,5% in terza,
59,7% in quarta). Questi dati sembrano andare nella stessa direzione dei lavori riportati in letteratura,
che affermano che il fenomeno tende a diminuire con l’età.
Molto interessante è vedere cosa intendono i ragazzi del campione, che dichiarano di subire, agire
ed assistere a prepotenze raramente, ogni tanto e spesso in termini numerici. Incrociando le frequenze
(numero di episodi) con la “percezione” di frequenza notiamo che, approssimativamente, per raramente si intende da 0 a 4 episodi, per ogni tanto dai 3 ai 10, per spesso dai 6 ai 25 e per sempre sopra 25. Ci
sono stati, però, casi in cui il raramente era decifrato con 10 volte ed il sempre con 5: questo non
consente di semplificare in termini numerici precisi le categorie di frequenza che sono state interpretate
in modo molto soggettivo dai ragazzi del campione.
Dall’analisi delle risposte fornite dal campione è possibile ricavare un quadro descrittivo su chi
agisce le prevaricazioni, sulle forme di prevaricazione, e sui luoghi e sui momenti in cui esse avvengono.
A partire da questo, si può anche analizzare il modo in cui il ragazzo, oggetto di prepotenze, si spiega ciò
che subisce. Vediamo nel dettaglio i dati ricavati.
Il prevaricatore è generalmente interno al gruppo classe (vedi tab.15): nel 26,4% è un compagno,
nell’8,8% è una compagna mentre nel 13,2% si tratta di un gruppo di compagni/e. Il fenomeno può
uscire dal gruppo classe, ma rimane comunque circoscritto alla scuola. Infatti il 17,6% dei ragazzi dichiara di subire prevaricazioni da alunni della scuola, anche se appartenenti ad una classe diversa. Nel
caso in cui chi compie prepotenze provenga da un’altra classe, sembra comunque appartenere allo
stesso anno scolastico di colui che le subisce (25,3%). È importante, però, sottolineare che il 42,9% di
coloro che hanno dichiarato di subire prepotenze non ha risposto a questa domanda e il 19,8% ha
dichiarato di non ricordare la classe del prevaricatore. Quindi il 62,7% di ragazzi che hanno subito
prepotenze non ha fornito nessuna risposta sulla classe di appartenenza di chi le ha messe in atto.
Tab.15. Prevalentemente da parte di chi sono state compiute queste prepotenze?
1° risposta
%
N° casi
da un compagno della mia classe
24
26,4
da una compagna della mia classe
8
8,8
da un gruppo di compagni della classe
12
13,2
da un alunno della scuola esterno alla classe
5
5,5
da un’alunna della scuola esterno alla classe
6
6,6
da un gruppo della scuola esterni alla classe
3
3,3
da persone esterne alla scuola
16
17,6
altro
10
11,0
non ricordo
6
6,6
non risponde
1
1,1
62
2° risposta
N° casi
%
2
5,7
1
2,9
3
8,6
2
5,7
1
2,9
3
8,6
10
28,6
5
14,3
7
20,0
1
2,9
La ricerca
In genere, si tratta di prepotenze sotto forma di insulti (68,1%), ma esiste comunque una percentuale del 5,5% che dichiara di avere subito minacce fisiche, oltre ad un 9,9% che sostiene di essere stato
oggetto di violenze fisiche (tab.16).
Tab.16. Nella maggior parte dei casi, che tipo di prepotenze hai subito?
insulti
minacce di riferire ad altri storie personali screditanti vere o false
minacce di azioni contro persone a me care
minacce fisiche
riferire ad altri storie personali screditanti vere o false
azioni contro persone a me care
violenze fisiche
non ricordo
non risponde
N° casi
62
1
1
5
2
2
9
7
2
%
68,1
1,1
1,1
5,5
2,2
2,2
9,9
7,7
2,2
Il 70,3% di coloro che subiscono prepotenze, non attribuisce mai la ragione al prevaricatore, mentre
il 15,4% gliela riconosce raramente. La spiegazione delle prepotenze, fornita da chi le subisce (tab.17),
è soprattutto in relazione al proprio aspetto fisico, al modo di parlare e pensare (25,3%) ed al comportamento in generale (16,5%); ma c’è anche chi sostiene che queste prepotenze siano in qualche modo
la reazione ad un proprio comportamento messo in atto precedentemente (14,3%). Il 22,0% dei ragazzi
che subiscono prepotenze riconducono l’episodio ad “altri motivi” non specificati.
Tab.17. Nella maggior parte dei casi in cui è successo, cosa pensi abbia scatenato il loro comportamento?
il mio aspetto fisico, il mio modo di muovermi, di parlare, di pensare
il mio modo di vestire
oggetti da me posseduti
il mio comportamento in generale
un mio particolare comportamento verso di loro
ciò che sono, fanno o hanno persone a me legate
un altro motivo:
non ricordo
non risponde
N° casi
23
4
1
15
13
1
20
13
1
%
25,3
4,4
1,1
16,5
14,3
1,1
22,0
14,3
1,1
Le prepotenze avvengono soprattutto in aula (36,3%), in luoghi extrascolastici (33,0%) e nel corridoio dell’istituto (14,3%). Coloro che subiscono prepotenze dichiarano che queste capitano principal63
La ricerca
mente fuori dall’orario scolastico (30,8%), nel momento della ricreazione (24,2%) o, addirittura, durante le ore di lezione (18,7%). Il 16,5% sostiene di non ricordare.
Prendendo in esame le risposte di chi ha dichiarato di agire prepotenze vediamo (tab.18) che nella
maggior parte dei casi le prepotenze sono agite insieme a dei compagni della stessa classe (48,1%),
mentre risultano ugualmente probabili episodi in cui si agisce da soli (20,8%) o con persone che non
sono compagni né di classe né di scuola (26,0%).
Tab.18. La maggior parte delle volte, con chi eri?
N° casi
16
3
37
1
16
3
1
da solo
con uno o più compagni/e di una classe inferiore
con uno o più compagni/e della mia classe
con uno o più compagni/e di una classe superiore
con altri
non ricordo
non risponde
%
20,8
3,9
48,1
1,3
20,8
3,9
1,3
Vediamo (tab.19), inoltre, come l’oggetto di tali prepotenze sia per la maggioranza un compagno
(29,9%) o una compagna di classe (20,8%), mentre, al secondo posto, si tratta di persone esterne alla
scuola. Il 20,5% dei ragazzi non fornisce indicazioni sulla persona verso cui ha indirizzato il comportamento prepotente; dall’esame invece delle risposte date, nel caso in cui il prepotente non sia una
compagno di classe, le aggressioni sembrano comunque agite verso persone di una classe dello stesso
anno (19,5%). È comunque importante riportare che il 67,3% dei ragazzi che agiscono prepotenze verso
ragazzi/e non appartenenti alla classe ha scelto di non fornire nessuna indicazione a proposito.
Tab.19. Risposte alla domanda “Prevalentemente verso chi sono state compiute queste prepotenze?”
verso un compagno della mia classe
verso una compagna della mia classe
verso un gruppo di compagni della classe
verso un alunno della scuola esterno alla classe
verso un’alunna della scuola esterna alla classe
verso un gruppo della scuola esterni alla classe
verso persone esterne alla scuola
verso altri
non ricordo
non risponde
1° risposta
N° casi
%
23
29,9
16
20,8
6
7,8
2
2,6
1
1,3
3
3,9
15
19,5
1
1,3
9
11,7
1
1,3
64
2° risposta
N° casi
%
5
12,8
6
15,4
3
7,7
2
5,1
2
5,1
2
5,1
7
17,9
4
8,0
2
5,1
6
15,4
La ricerca
In linea con le analisi precedenti, i ragazzi che agiscono prepotenze dichiarano che nella maggior
parte dei casi (66,2%) si tratta di insulti (tab.20), motivati (come riportato in tab.21) principalmente dal
comportamento generale di chi li ha subiti (29,9%) o collegati ad un particolare comportamento che il
prevaricato ha avuto verso il prevaricatore (29,9%). In terza posizione (20,8%) troviamo la motivazione
relativa all’aspetto fisico, al modo di muoversi e pensare della “vittima”.
Il pentimento in seguito a queste azioni risulta essere per lo più assente (35,1%) o raro (41,6%),
anche se nel 22,1% dei casi chi ha agito prepotenze si è mostrato dispiaciuto dell’azione compiuta.
Tab.20. Nella maggior parte dei casi, che tipo di prepotenze hai inflitto?
insulti
minacce di riferire ad altri storie personali screditanti vere o false
minacce fisiche
riferire ad altri storie personali vere o false che possono screditare
azioni contro oggetti personali
azioni contro persone care
violenze fisiche
altro
non ricordo
N° casi
51
1
3
3
1
1
4
9
4
%
66,2
1,3
3,9
3,9
1,3
1,3
5,2
11,7
5,2
Tab.21. Nella maggior parte dei casi in cui è successo, cosa ti ha spinto a fare ciò che hai fatto?
il suo aspetto fisico, il mio modo di muovermi, di parlare, o di pensare
il suo modo di vestire
il suo comportamento in generale
un suo particolare comportamento verso di loro
un altro motivo:
non ricordo
non risponde
N° casi
16
2
23
23
5
7
1
%
20,8
2,6
29,9
29,9
6,5
9,1
1,3
Le prepotenze compiute e dichiarate avvengono soprattutto in aula (39,0%) o in luoghi diversi da
quelli scolastici (29,9%), durante momenti fuori dall’orario scolastico (32,9%) e la ricreazione (25,0%).
Il 17,1% degli episodi sono avvenuti durante la lezione.
Chi ha assistito alla prepotenze dichiara che queste principalmente sono state compiute o da un
compagno di classe (27,9%), o da un gruppo di compagni di classe (24,8%). In terza posizione troviamo
le prepotenze messe in atto da persone esterne alla scuola (18,6%). Interessante notare che il 12,5%, in
seconda scelta, dichiari che le prepotenze agite siano opera di un gruppo di ragazzi della scuola, ma di
una classe diversa dalla propria (tab.22).
65
La ricerca
Tab.22 . Prevalentemente da parte di chi sono state compiute queste prepotenze?
da un compagno della mia classe
da una compagna della mia classe
da un gruppo di compagni della mia classe
da un alunno della scuola esterno alla classe
da un’ alunna della scuola esterno alla classe
da un gruppo della scuola esterno alla classe
da persone esterne alla scuola
altro
non ricordo
non risponde
1° risposta
N° casi
%
36
27,9
7
5,4
32
24,8
11
8,5
4
3,1
7
5,4
24
18,6
3
2,3
3
2,3
2
1,6
2° risposta
N° casi
6
5
12
2
2
7
9
3
0
10
%
10,7
8,9
21,4
3,6
3,6
12,5
16,1
5,4
0,0
17,9
Nel caso in cui il prepotente non appartenga alla stessa classe, si tratta nella maggior parte dei casi di
studenti dello stesso anno (15,5%). A seguito, troviamo studenti di una classe superiore (10,9%) ed
infine (7,8%) di una classe inferiore. Interessante notare come anche in questa domanda il 48,8% non
dichiari la classe del prepotente (tab.23). Gli spettatori dichiarano di assistere soprattutto ad insulti
(63,6%), ma esistono anche percentuali che si aggirano attorno al 15,0%, relative alle minacce fisiche ed
al ricorso a violenza fisica (tab.24).
Tab.23. Se queste prepotenze sono state compiute da qualcuno non appartenente alla tua classe, ma
appartenente alla tua scuola, prevalentemente di che classe faceva parte?
facevano parte di una classe inferiore
facevano parte di una classe dello stesso anno della mia
facevano parte di una classe superiore
non ricordo
non risponde
66
N° casi
10
20
14
22
63
%
7,8
15,5
10,9
17,1
48,8
La ricerca
Tab.24. Nella maggior parte dei casi, a che tipo di prepotenze hai assistito?
insulti
minacce di riferire ad altri storie personali screditanti vere o false
minacce di azioni contro propri oggetti
minacce fisiche
riferire ad altri storie personali vere o false che possono screditare
azioni contro propri oggetti
azioni contro persone care
violenze fisiche
altro
non ricordo
non risponde
N° casi
82
1
2
17
1
2
1
19
1
1
2
%
63,6
0,8
1,6
13,2
0,8
1,6
0,8
14,7
0,8
0,8
1,6
Dall’esame della reazione di chi ha assistito alle prepotenze (tab.25), possiamo vedere che il 24,8%
dei ragazzi dichiara di non avere fatto niente, il 23,3% di essere intervenuto cercando di pacificare la
situazione e il 20,9% è intervenuto appoggiando una delle due parti.
Tab.25. Nella maggior parte dei casi, come ti sei comportato?
mi sono messo in mezzo appoggiando una delle parti
sono andato a chiamare altri compagni in aiuto di una delle parti
sono rimasto, ma non ho fatto né detto niente
non ho fatto niente: me ne sono andato
sono andato a chiamare altri compagni per farli smettere
sono andato a chiamare un professore
sono intervenuto cercando di pacificare la situazione
altro
non ricordo
non risponde
N° casi
27
7
32
13
3
1
30
4
9
3
%
20,9
5,4
24,8
10,1
2,3
0,8
23,3
3,1
7,0
2,3
Si arriva, in ultimo, a vedere come i ragazzi percepiscono i loro compagni di classe. Il 44,1% del
campione dichiara che nella propria classe sono presenti prepotenti abituali (tab.26) e, dovendo indicarne il numero, parla in maggioranza di un’unica persona (28,6%). Sono indicate comunque in buona
percentuale anche più presenze nella classe: il 21,4% parla di due prepotenti in classe, il 20,1% di tre e
il 14,3% di quattro.
67
La ricerca
Tab.26. Nella tua classe sono presenti compagni che reputi abbiano un abituale comportamento prepotente?
sì
no
non so
non risponde
N° casi
154
144
46
5
%
44,1
41,3
13,2
1,4
Il 41,3% degli studenti ha dichiarato di avere compagni di classe che sono oggetto abituale di comportamenti prepotenti (tab.27). Nello specifico, dovendo quantificare i compagni presi di mira, il 27,8%,
indica una persona, il 38,8% due, il 12,5% tre ed il 7,6% quattro.
Tab.27. Risposta alla domanda “Nella tua classe sono presenti compagni che reputi essere oggetto abituale di comportamenti prepotenti da parte di altri?”
sì
no
non so
non risponde
N° casi
144
136
59
10
%
41,3
39,0
16,9
2,8
Dall’esame dei dati ottenuti con questa ricerca è possibile fornire un quadro di sintesi rispetto al
fenomeno delle prepotenze.
Come prima cosa, possiamo dare una descrizione sommaria dei protagonisti, dei luoghi e dei tempi
delle prevaricazioni. Il prepotente, in genere, agisce solo o in compagnia di ragazzi della stessa classe,
ed il suo comportamento aggressivo è indirizzato verso un compagno della stessa età o della stessa
classe. Principalmente le prevaricazioni avvengono durante la ricreazione o fuori dall’orario scolastico,
ed in posti diversi dall’aula (anche se l’aula resta un luogo probabile). Le prepotenze sono soprattutto
insulti, anche se il ricorso alla minaccia fisica ed alla violenza fisica vera e propria sono comunque
presenti.
Degli spettatori che assistono agli episodi di prepotenza si individuano principalmente tre tipi: chi
interviene per interrompere il conflitto, chi interviene per sostenere una delle parti e chi non interviene
affatto. Il campione si divide in maniera omogenea fra le tre categorie, anche se lo spettatore passivo
resta il più probabile.
Andando avanti, è interessante vedere come le motivazioni presunte da chi subisce prepotenze non
corrispondano, a livello di percentuale, a quelle dichiarate da chi le agisce. Mentre il prevaricatore
motiva i suoi gesti ricorrendo al comportamento del compagno prevaricato, i ragazzi “vittimizzati” ritengono di essere stati oggetto di prepotenze principalmente per il loro aspetto fisico e per il loro modo di
muoversi, parlare o pensare. In altre parole, chi agisce prepotenze mette l’accento su ciò che si fa, chi le
subisce su ciò che si è.
68
La ricerca
Inoltre, dall’indagine sugli atteggiamenti, si può rilevare che la gran parte dei ragazzi tiranneggiati
concorda spesso con il ricorso alla violenza ed all’aggressività nella relazione con l’altro. Frasi come “se
un compagno non fa ciò che un altro gli dice, quest’ultimo sarà giustificato a dargli uno schiaffo”;
“non bisogna mai dare ragione all’altro”; “chi assiste ad una zuffa in cui è coinvolto un proprio
amico dovrebbe sempre proteggerlo in qualunque modo, anche se è palesemente in torto” trovano il
sostegno dei ragazzi che si dicono oggetto di prepotenze da parte di altri. Gli stessi ragazzi si mostrano
in disaccordo con le frasi “bisognerebbe isolare i compagni prepotenti, così capirebbero che il loro
modo di fare è ingiusto”; “le ragazze dovrebbero odiare chi passa il tempo a litigare” e infine “chi
cerca sempre di litigare prima o poi riceverà una bella lezione”.
Questi dati colpiscono perché coloro che si dichiarano oggetto di prevaricazioni sembrano essere i
primi a reputare che il comportamento prepotente non debba avere conseguenze (né in termini di
giudizio negativo da parte degli altri, né in termini di contrasti con gli altri).
Dall’altra parte, ci sono anche ragazzi che, subendo prepotenze, condannano i comportamenti di
cui sono oggetto. Impressiona, ad ogni modo, che l’atteggiamento di critica non sia poi così diffuso.
Possiamo perciò sostenere che i ragazzi oggetto di prepotenze si dividono in due categorie: una che
condanna le prepotenze, che crede nella punizione da parte dell’autorità (insegnante) e che non ammette il ricorso alla violenza nemmeno per difesa; ed una, invece, che condivide il ricorso all’aggressività e che pensa che l’altro non debba mai avere ragione.
Chi dichiara di agire prepotenze sostiene, in linea di massima, che l’atteggiamento aggressivo sia un
modo per ottenere rispetto ed ammirazione, ma anche una modalità relazionale che, in alcune circostanze, rappresenta la norma (ed in quanto tale non “denunciabile”). Questi ragazzi, infatti, mostrano
alto accordo con affermazioni del tipo “è giusto dimostrare di non avere paura di fare a botte con dei
compagni, a prescindere dalle circostanze”; “dimostrare la propria superiorità è un modo per essere
ammirati”; “non bisogna mai dare ragione all’altro”; “chi assiste ad una zuffa in cui è coinvolto un
proprio amico dovrebbe sempre proteggerlo in qualunque modo, anche se è palesemente in torto” e “se
dei compagni fanno a botte è meglio farsi i fatti propri e non dire niente a nessuno: non si sa mai!”.
Gli stessi ragazzi sono altamente in disaccordo con l’affermazione “i professori dovrebbero sempre punire chi picchia un compagno”.
Nel caso di coloro che assistono spesso ad agiti prepotenti possiamo notare come questi spesso
abbiano un atteggiamento favorevole circa il ricorso all’aggressività. Infatti, gli spettatori affermano che
“se un compagno non fa ciò che un altro gli dice, quest’ultimo sarà giustificato a dargli uno schiaffo”;
“è giusto dimostrare di non avere paura di fare a botte con dei compagni, a prescindere dalle circostanze”, “dimostrare la propria superiorità è un modo per essere ammirati, “prendere in giro un
compagno è divertente, soprattutto se lui non si diverte”; “non bisogna mai dare ragione all’altro”;
“se dei compagni fanno a botte è meglio farsi i fatti propri e non dire niente a nessuno: non si sa
mai!”. Gli stessi ragazzi mostrano un disaccordo notevole con le seguenti affermazioni: “anche se si
ricevono degli insulti, reagire con violenza significa mettersi dalla parte del torto”; “i professori dovrebbero sempre punire chi picchia un compagno”; “chi cerca sempre di litigare prima o poi riceverà
una bella lezione”.
Mettendo insieme questi tre possibili atteggiamenti dei protagonisti, si può ipotizzare che il prepotente abbia criteri di azione simili al suo pubblico ed alla sua vittima. In altre parole chi è coinvolto nelle
69
prepotenze, (prevaricatore, prevaricato e, spettatore) legittima maggiormente il ricorso all’aggressività
(visto come modo per avere il rispetto degli altri) e disapprova l’eventuale punizione di questi atteggiamenti. Dall’altra parte, chi si dichiara estraneo alle prepotenze ha una critica maggiore per il ricorso alla
violenza ed è più favorevole alla punizione ed all’isolamento dei prevaricatori.
Quanto detto riguarda la totalità del campione. Sulla differenza tra scuole possiamo dire che è
confermato l’andamento generale, ma che gli istituti si distinguono per alcuni aspetti.
Nello specifico, gli studenti del Dagomari si presentano maggiormente in disaccordo rispetto all’isolamento dei compagni prepotenti ed al fatto che comportamenti aggressivi mettano automaticamente
dalla parte del torto chi li agisce; sostengono, inoltre, più delle altre scuole, la necessità di proteggere
sempre e comunque un amico in una zuffa, anche se ha palesemente torto.
Il Datini è la scuola che mostra più accordo sul ricorso alla violenza (è alto l’accordo con l’espressione “se un compagno non fa ciò che un altro gli dice, quest’ultimo sarà giustificato a dargli uno
schiaffo” ed il disaccordo con “fare a botte è ammissibile solo nel caso ci si debba difendere da
un’aggressione: negli altri casi non lo è mai” ).
L’Istituto Bernini è quello che mostra il disaccordo più alto sia verso il riconoscimento della violenza
come un modo per essere ammirati e per divertirsi, sia verso gli atteggiamenti “omertosi” di fronte ad
azioni aggressive. L’Isitituto Bernini, frequentato quasi esclusivamente da ragazze, presenta un alto disaccordo verso il comportamento aggressivo nelle sue varie forme: ricordiamo che le femmine mostrano un atteggiamento di critica verso le prepotenze in modo maggiore rispetto ai maschi, che spesso ne
giustificano il ricorso per difendere un amico o per difendere la ragione.
Il Livi si pone sulla stessa linea dell’Istituto Bernini, anche se meno polarizzato sulla condanna della
violenza e dell’aggressività nella relazione.
Partendo dai dati ricavati da questa indagine, si è cercato di individuare le caratteristiche che sembrano diversificare dal resto del campione i soggetti che dichiarano di subire prepotenze.
La maggior parte di coloro che si dicono oggetto di prevaricazioni frequenta le prime classi, nella
maggior parte dei casi è figlio unico e dichiara di avere un buon dialogo sia con la madre che con il
padre. In alta percentuale dichiara anche di stare male con in compagni e di avere un brutto rapporto
con gli insegnati. Inoltre, nonostante sia presente un dialogo con i genitori, giudica male l’interesse da
parte loro per la propria esperienza scolastica. La madre di chi dichiara di subire prepotenze nella
maggior parte dei casi ha un diploma o una laurea. Rispetto agli episodi prepotenti di cui sono oggetto,
questi ragazzi si confidano in particolare con un compagno o con i compagni di classe, ma può succedere che parlino anche ad un insegnante fidato o ad un bidello.
Le figure del prepotente e dello spettatore sembrano meno inquadrabili rispetto a quella della persona vittimizzata: di fatto, sono poche le caratteristiche che emergono e che li distinguono dal resto del
campione. Si può però sostenere che coloro che dichiarano di agire prepotenze in maniera sistematica
definiscono, nella quasi totalità dei casi, pessimo il loro rapporto con l’insegnante. Rispetto alle prepotenze agite, i ragazzi si confidano con un compagno o con i compagni di classe. A differenza dei ragazzi
“vittimizzati”, i ragazzi prevaricatori non si rivolgono agli adulti.
Dall’analisi dei dati relativa allo spettatore emerge che spesso questo è figlio unico e che si confida
con un compagno o i compagni di classe; anche in questo caso l’adulto non viene considerato un
possibile confidente.
70
Per concludere, è importante sottolineare come in alcuni casi (domande sulla classe del prepotente
o sulla motivazione delle prepotenze) spesso i ragazzi abbiano scelto di non riportare nessuna informazione. È legittimo chiedersi le ragioni di queste omissioni. A questo ed anche ad altri interrogativi si
cercherà di rispondere nel paragrafo successivo, con la testimonianza diretta di alunni, insegnanti, presidi e genitori che hanno partecipato a dei focus group sull’argomento.
3.3 Focus group: i partecipanti alla ricerca a confronto
La scelta di utilizzare il focus group come ulteriore metodo di ricerca è nata dalla necessità di approfondire l’argomento, attraverso il confronto tra le persone direttamente coinvolte nelle dinamiche affrontate. Come metodo di ricerca qualitativo, il focus group non fornisce un dato numerico da elaborare statisticamente, ma permette di rileggere il fenomeno attraverso le descrizioni e le riflessioni esposte
dai partecipanti; nello specifico, si attinge dall’esperienza personale di docenti, dirigenti scolastici, genitori e ragazzi.
Per questo motivo, a seguito della somministrazione dei questionari, si sono svolti due focus group:
uno con dodici ragazzi (scelti tra coloro che avevano risposto al questionario) ed uno con dodici adulti
(dirigenti scolastici, insegnanti e genitori) delle scuole campione. I due focus group, svolti in parallelo
all’Istituto Datini, sono stati audioregistrati ed ai ragazzi è stato garantito l’anonimato.
Sia agli adulti che ai ragazzi è stato presentato il lavoro della Provincia spiegandone la finalità generale: quella, cioè, di ricomporre in un quadro di insieme il fenomeno delle prepotenze nelle scuole
secondarie superiori della provincia di Prato.
Lo scopo dei focus group è stato quello di ricercare ed analizzare esperienze significative, riferibili
ad atteggiamenti e comportamenti prepotenti e riconducibili al fenomeno del bullismo. Nello specifico,
sono state indagate le seguenti tematiche:
1. Conoscenza del fenomeno.
2. Percezione della presenza (frequenza) e della gravità.
3. Profilo dei protagonisti del fenomeno e dei soggetti coinvolti nella dinamica.
4. Cosa fare per affrontarlo.
Questi quattro punti, pur adottando un’impostazione diversa con ragazzi e adulti, sono stati affrontati in entrambi gli incontri. In Appendice C sono riportate le tracce dei due focus group, che hanno
avuto una durata di circa 60 minuti.
Secondo gli adulti, il fenomeno del bullismo non è abbastanza conosciuto né da ragazzi né da
insegnanti, presidi e genitori. L’atteggiamento che va per la maggiore è quello di ricondurre le prepotenze a “cose che sono sempre accadute” ed è proprio questa normalizzazione a fare sì che il fenomeno
non venga adeguatamente valutato dai servizi e dalle istituzioni. Questo avviene a causa dell’atteggiamento lassista della società di fronte alla violazione dei diritti e delle regole; non c’è, quindi, da stupirci
se il fenomeno delle prepotenze a scuola può diventare un terreno propizio per “l’impianto delle spore
della devianza”. Secondo gli adulti coinvolti nell’indagine, molti silenzi sono dettati dalla conformità. Di
fatto, sembra che i ragazzi oggetto di prepotenze si conformino ai bulli, che si conformano a loro volta
alla società. Il ragazzo “vittimizzato”, riferendosi all’aggressione subita, dice a se stesso che “non è nien71
La ricerca
te di grave” per non sentirsi fuori norma. Pare, infine, che la scuola misconosca il fenomeno nella sua
complessità, quando non fronteggia adeguatamente la violazione delle regole.
I ragazzi da parte loro dichiarano di essere venuti a conoscenza della parola “bullismo” dai giornali.
Esclusi i ragazzi dell’Istituto Datini, che sono stati coinvolti nel “Progetto Incontriamoci”, gli altri hanno
dichiarato che nelle loro scuole se ne parla poco e l’informazione è affidata ai giornali, alla Tv e allo
scambio tra pari. A tale proposito riportiamo la frase di uno studente: “Secondo me molti di quelli che
subiscono prepotenze non si difendono perché pensano sia normale, perché pensano che se lo dicono
è peggio, perché chi è più tosto ha sempre ragione. Se ci fossero più attività, più momenti in cui parlare
di queste cose dove viene fuori che non è così e che questi comportamenti sono sbagliati, magari le
cose un po’ cambierebbero”.
In altre parole sembra che la conoscenza del fenomeno sia scarsa a livello di scuola, di classe e
servizi in generale ed è emersa la necessità di parlare più spesso nelle scuole di bullismo proprio perché
dalla consapevolezza si sviluppano percorsi di cambiamento.
Analizzando le riflessioni degli adulti, notiamo come il fenomeno delle prepotenze riguarda tutte e
quattro le scuole, ma non tutte le realtà lo identificano come bullismo, poiché delle prevaricazioni non
viene identificata la frequenza e la sistematicità. Alcuni professori hanno indicato come sporadica la
presenza di prevaricazioni nella loro scuola, sollevando però la riflessione di chi, per esperienza personale, ha compreso la natura subdola delle vessazioni più persistenti e dannose. Ciò è stato possibile, a
detta di questi ultimi insegnanti, per la maggior attenzione rivolta alle dinamiche relazionali fra gli
alunni.
All’interno del gruppo sono poi emerse due posizioni: l’adulto che definisce l’aggressione al compagno come una ragazzata occasionale o come, seppur grave, un episodio isolato e l’adulto che si attiva
come “attento osservatore” e che legge tali azioni non estemporanee o impreviste, ma come elementi di
una dinamica che si mantiene nel tempo.
È da questa contrapposizione che i partecipanti al focus hanno ipotizzato che il bullismo sia più un
fenomeno sottovalutato e scarsamente percepito dagli adulti anziché un fenomeno inesistente. Per gli
adulti i ragazzi sono maggiormente a conoscenza del fenomeno, mentre a loro sfuggono le connotazioni
problematiche delle prepotenze che avvengono.
Il fatto che gli atteggiamenti prepotenti vengano intesi come “scherzo” o “modi fare” sia rischioso è
emerso anche dal focus group dei ragazzi, che definiscono il fenomeno del bullismo come presente
nelle loro scuole e nascosto agli occhi degli adulti. Sembra, cioè, che i ragazzi scelgano di gestire il
problema senza l’aiuto degli adulti per diverse ragioni, tra cui la vergogna e il timore di interventi
punitivi ritenuti inutili o addirittura peggiorativi. A tale proposito diversi ragazzi hanno riportato come
esempi gli interventi diretti di genitore su ragazzi “bulli”, che opprimevano i loro figli, ottenendo però
solo l’inasprimento delle prevaricazioni.
Il fenomeno, in linea di massima, è percepito come ciclico: ci sono i periodi durante i quali “una
persona viene presa di mira” e chi agisce prepotenze si influenza a vicenda, e periodi durante i quali non
avviene niente.
Per quanto riguarda la gravità, chi ha vissuto esperienze di bullismo nella propria scuola riferisce
episodi carichi di intensa sofferenza e difficoltà per chiunque fosse coinvolto nella dinamica vittimabullo. Pare che la gravità del fenomeno sia percepita dal genitore, docente o dirigente solo se si fa molta
72
La ricerca
attenzione ai processi di interazione. Se, al contrario, le dinamiche di relazione non vengono analizzate,
il rischio sociale più probabile è quello di legittimare il comportamento prepotente e rendere più labile
il confine tra illegalità e legalità.
A tale proposito anche i ragazzi sembrano dividersi in due gruppi: uno che definisce il fenomeno
delle prepotenze come grave perché provoca sofferenza, ed uno che tende ad usare come sinonimo di
prepotenze il termine “scherzi più pensanti”, sottolineando che chi li subisce esagera nelle reazioni.
Sia per gli adulti che per i ragazzi, coloro che sono vittime di prevaricazioni spesso hanno un certo
timore a mettere in luce il loro problema, rifiutano di dire quello che subiscono pur stando molto male
e spesso arrivano a trovare nell’abbandono scolastico l’unica soluzione per non subire più le prepotenze. In relazione a ciò sia docenti che alunni hanno raccontato di casi specifici. Per tutti i partecipanti, il
silenzio è l’unico modo per non apparire diverso agli occhi degli altri, per non essere etichettato come
“stupido da parte di genitori e compagni”.
Da entrambi i focus emergono due tipi di vittima:
1. Ragazzo/a con caratteristiche meno conformi al resto del gruppo (come “l’essere appassionato
allo studio in una classe mediocre” secondo un professore), ad esempio con abbigliamento differente
rispetto al resto della classe, con aspetto fisico diverso dall’estetica appoggiata dalla società; con un
atteggiamento intellettuale dissonante dalla maggioranza. Aspira alla vicinanza affettiva e alla solidarietà, soffrendo molto per le prepotenze subite. A volte, iperprotetto dai genitori, “non se la sa cavare da
solo”.
2. Ragazzo/a con caratteristiche e valori simile al bullo. Punta alla ricchezza e alla fama, provando
dolore per essere preso di mira proprio dal gruppo di cui vorrebbe fare parte. Aspira al potere e non
denuncia i comportamenti aggressivi perché in fondo li condivide. Spesso è bullo a sua volta con altri
ragazzi e non è raro che provochi il suo prevaricatore.
Per quanto riguarda il bullo, unendo i risultati dei due focus group, si vede che adulti e ragazzi sono
in accordo sull’identificare il prevaricatore come maschio, desideroso di potere e convinto che attraverso la paura, la violenza e la prevaricazione si ottenga il rispetto degli altri. Secondo i ragazzi, inoltre,
l’essere extracomunitario non è una variabile legata al fenomeno.
Da entrambi i focus group, risulta che gli spettatori spesso ricorrono alla figura dell’adulto solo in
casi estremi, preferendo gestire la cosa tra ragazzi. Quando lo spettatore non interviene in nessun modo
(atteggiamento descritto come più probabile), la motivazione sta nella paura di essere a sua volta
vittimizzato, di essere etichettato come spia (questo potrebbe spiegare le omissioni di risposta nella
compilazione del questionario sulle informazioni riguardanti il prepotente), di venire escluso dal gruppo oppure sta nel fatto di condividere il comportamento del bullo nei confronti della vittima. Spesso,
infatti, i ragazzi che non intervengono pensano che “la vittima se la sia andata a cercare”.
Adulti e ragazzi riconoscono nella responsabilizzazione del gruppo classe un modo per fermare le
prepotenze. Infatti, da entrambi i gruppi emerge la necessità di un intervento soprattutto su chi non è
coinvolto direttamente, ma assiste alle dinamiche bullo-vittima. Viene, cioè, individuato nel lavoro con
la maggioranza silenziosa un mezzo potente per affrontare il bullismo. Lo scopo non è isolare il bullo
(essendo un fenomeno di relazione, il bullo isolato può trasformarsi nella vittima se la maggioranza si
sposta dall’altra parte), bensì promuovere la cultura del dialogo.
Secondo gli adulti è importante che la scuola educhi alla tolleranza e la diversità. Tollerare l’altro,
73
La ricerca
però, non vuol dire soggiacere a ciò che è diverso, ma andargli incontro in modo costruttivo. La scuola,
secondo alcuni insegnanti, deve aiutare i ragazzi a raggiungere un benessere individuale e comune,
attraverso il rispetto dei diritti e dei doveri. Altro lavoro proposto dagli adulti è quello dell’educazione
al conflitto inteso come confronto e modalità di relazione interattiva che valorizza la diversità. Vi è
inoltre l’indicazione di fare lezione in modo più cooperativo per creare uno spazio dove i ragazzi possano apprendere dallo stare insieme. Non meno importante la proposta di corsi di aggiornamento obbligatori e spazi di confronto per gli insegnanti, nonché momenti dedicati all’informazione verso i genitori.
I ragazzi hanno sostenuto che l’intervento migliore è quello che mira a togliere al bullo il suo pubblico. Tale intervento secondo gli studenti può essere veicolato solo da una cultura del dialogo e non
della punizione; dialogo che insegni ai prepotenti che ci sono altri modi per farsi rispettare. Sembra
essere molto importante per i ragazzi il fatto che l’adulto non si sostituisca in nessun modo a loro, ma
che li sostenga nel fronteggiare il problema. I ragazzi credono che il miglior modo per contrastare il
bullismo sia avere degli spazi per confrontarsi, perché senza quelli anche per uno spettatore idealmente
critico verso l’aggressività, denunciare episodi di bullismo diventa difficile.
I ragazzi richiedono, inoltre, che l’adulto li educhi “a camminare da soli”, che dia loro consigli, che
li ascolti, che li sostenga ma che si tenga da parte al momento del fare qualcosa, lasciando questo
compito ai ragazzi stessi.
A seguito si presenta uno specchietto riassuntivo dei dati ottenuti dai focus group.
TEMA TRATTATO
ADULTI
RAGAZZI
CONOSCENZA DEL
FENOMENO
Il fenomento è definito poco
conosciuto.
Il fenomento è definito poco
conosciuto, perché non se ne parla.
GRAVITÀ E
PRESENZA
Il fenomeno risulta presente e subdolo in alcune scuole, meno percepito in altre.
La gravità delle prepotenze viene percepita da
alcuni, ma è presente anche la tendenza a definirle come “ragazzate”.
Il fenomeno risulta ciclico e periodico in quasi tutte le scuole. Viene ipotizzato che, nelle
scuole dove si dice assente, sia in realtà nascosto.
La gravità viene percepita solo in parte in quanto è presente anche la definizione di “scherzo
pesante”.
TIPOLOGIA
PROTAGONISTI
FRONTEGGIAMENTO
Vittima intesa come “diverso” e alla ricerca di
affettività e vicinanza.
Vittima aspirante ad un posto nel gruppo di
bullo.
Bullo desideroso di potere.
Spettatore silente bloccato dalla paura o dalla
condivisione del comportamento del bullo.
Vittima più fragile e iperprotetta dall’ambiente familiare.
Vittima provocatrice nei confronti del bullo.
Bullo desideroso di potere.
Spettatore silente bloccato dalla paura o dalla
condivisione del comportamento del bullo.
Sinergia territorio e scuola.
Lavoro di responsabilizzaizone su maggioranza silenziosa.
Educazione al conflitto.
Educare4 alla tolleranza e alla diversità.
Collaborazione e cooperazione come metodo
di insegnamento.
Dialogo tra ragazzi e creazioni di spazi di confronto.
Rompere il silenzio per togliere il pubblico al
bullo.
Inutile ricorso a punizioni.
Adulto come presenza che sostiene e consiglia, ma che non si sostituisce al ragazzo.
74
La ricerca
In ultimo, si descrivono alcune differenze tra le scuole emerse dai focus group.
All’Istituto Bernini il fenomeno è considerato sporadico o assente; sia i docenti che gli alunni imputano ciò al fatto che è una scuola prevalentemente femminile e che le ragazze sono meno propense a
ricorrere a certi atteggiamenti. È interessante però l’intervento degli studenti di altre scuole, i quali
hanno ipotizzato che il fenomeno sia presente, ma nascosto perché espresso attraverso modalità più
sottili e meno visibili.
Studenti e professori del Livi dichiarano che le prepotenze sono diffuse, ma sottovalutate. Secondo
i ragazzi di questa scuola, spesso, vengono sopravvalutati e considerati esageratamente gravi atteggiamenti che rientrano nella normalità, mentre non vengono notati o non considerati come sbagliati comportamenti ripetuti meno eclatanti ma più nocivi.
Studenti e professori del Dagomari e del Datini sostengono che il problema ci sia. Gli studenti di
queste scuole infatti si sono mostrati molto attivi nell’interrogarsi sui possibili motivi del fenomeno e
nel cercare modi per fronteggiarlo.
Per concludere, gli adulti di tutte e quattro le realtà hanno sostenuto la necessità di puntare sulla
prevenzione e sulla sinergia degli interventi a livello territoriale.
Per il gruppo dei ragazzi è importante soprattutto rompere il silenzio che si crea intorno alle prepotenze, in quanto l’atteggiamento critico della maggioranza rende più probabile la loro diminuzione. Per
gli studenti di tutte le scuole risulta molto importante che l’adulto si mantenga come punto di riferimento, persona con cui consigliarsi, ma a cui non richiedere intervento diretto. È infatti criticato dalla
maggior parte degli studenti l’atteggiamento dell’adulto che si sostituisce al ragazzo e che interviene al
posto suo. Uno studente dice: “per quale motivo se è un problema tra ragazzi noi siamo sempre gli
ultimi a essere coinvolti nella ricerca di una soluzione? Già parlare di queste cose non è facile, se poi
vogliono fare tutto i presidi, i prof. e i genitori...”
3.4 Note finali
Se un tempo potevamo più facilmente supporre un ruolo principale delle ragazze nel contrastare il
fenomeno delle prepotenze, ora è importante tener presente che femmine e maschi possono parimenti
ingaggiare il ruolo di vittima e bullo, oltre che di spettatore inerte. Unendo dati quantitativi e qualitativi,
è stato possibile infatti notare che le femmine, pur avendo un atteggiamento più critico verso l’aggressività, di fatto si comportano come i loro compagni maschi. Durante il focus group alcuni studenti
hanno appunto definito le femmine prepotenti in modo diverso e più nascosto.
Dal lavoro di ricerca, emergono due sottotipi di ragazzi soggetti a prepotenze. Un primo tipo corrisponde al ragazzo15 con ideali di solidarietà e vicinanza affettiva, che tace per paura; più fragile e più
timido, sembra distinguersi per qualche caratteristica dal gruppo. Un secondo tipo corrisponde al ragazzo provocatore, aggressivo ed ambizioso di fama e potere, che tace poiché aspira allo stesso status
del bullo.
Questa distinzione si nota anche per la scala valoriale. Alcuni ragazzi che dichiarano di subire prepo15 Si utilizza genericamente il termine “ragazzo” sottintendendo la possibilità che si tratti di un maschio o di una femmina, in
linea con l’osservazione precedente sui risultati relativi alla differenza di genere rispetto al fenomeno.
75
La ricerca
tenze sono polarizzati su valori come la solidarietà, il rispetto, ecc., mentre altri si spostano verso valori
come la ricchezza economica, la libertà di fare ciò che vogliono e la fama.
In letteratura non si trovano relazioni tra status socio-economico e ruolo di bullo e vittima, ma da
questo lavoro emerge che i ragazzi, che dicono di subire ripetutamente aggressioni, hanno madri istruite e non sono soddisfatti di come i genitori si interessino alla loro esperienza scolastica. In base a ciò, è
naturale chiedersi cosa possa rendere più efficace (e funzionale al benessere del ragazzo oppresso) la
comunicazione anche in ambito familiare.
Data la presenza nelle scuole pratesi di numerosi ragazzi immigrati, si è voluto indagare il peso di
questa variabile nello svolgersi della dinamica prevaricato-prevaricatore. Dall’esame delle risposte al
questionario e dai focus group, non emergono dati che indichino il ragazzo extracomunitario un soggetto potenzialmente bullo o vittima.
I dati sulle scuole, indicano che il Dagomari presenta molti studenti prevaricati da pochi prepotenti, il Datini riporta lo stesso numero di oppressi ed oppressori ed il Livi ha una percentuale molto
elevata di spettatori rispetto al numero esiguo di prepotenti e vittime. L’istituto Datini risulta la scuola in
cui il fenomeno sembra avere una dimensione più grande rispetto alle altre: è da considerare, per
l’interpretazione del dato, che i suoi studenti hanno fatto un lungo lavoro di sensibilizzazione al fenomeno e che, pertanto, riconoscono e denunciano il fenomeno con minor difficoltà.
Un’ultima nota, importante per sviluppare poi una riflessione sulle strategie di intervento, riguarda
lo scenario delle scuole che presentano una diffusione maggiore di relazioni prepotenti fra studenti: la
maggioranza degli spettatori in questi casi è passiva, assiste, cioè, inerme alle prepotenze. Si può dunque ipotizzare che questo placido consenso abbia un ruolo importante nella “normalizzazione” dell’aggressività come modalità di comunicazione fra i giovani. Le proposte dei ragazzi e degli adulti durante i
focus group ribadiscono che il dialogo, il confronto e la rottura del silenzio siano mezzi necessari, ma
ancora poco utilizzati, per affrontare il problema delle prepotenze.
9 Il giorno 16 aprile 2006 è stato pubblicato su “Il Tirreno”, nella cronaca di Prato, un articolo che
denunciava un episodio di “bullismo in rosa” fra i banchi di scuola dell’Istituto Professionale Datini.
10 I dati relativi al totale di studenti per scuola provengono da “ La scuola pratese: rapporto 2006” di
Paolo Sambo e Francesco Maggina per Asel.
11 Per l’analisi di frequenza delle prepotenze agite e subite, è stato scelto di raggruppare la categoria
raramente con la categoria ogni tanto e la categoria spesso con quella sempre. Ciò permette una lettura
più facile del dato ed evidenzia immediatamente i casi di disagio più evidente.
12 I dati si riferiscono agli studenti del campione che si definiscono spettatori che non hanno mai
agito o subito aggressioni (49 soggetti)
13 Voci di riferimento nel questionario (item 70): sono andato a chiamare altri compagni per farli
smettere; sono andato a chiamare un professore; sono intervenuto cercando di pacificare la situazione
14 Voci di riferimento nel questionario (item 70): sono rimasto, ma non ho fatto né detto niente;
non ho fatto niente: me ne sono andato
76
Conclusioni
Conclusioni
Da tempo, in Toscana, l’attenzione rivolta al fenomeno delle prepotenze nel mondo della scuola ha
maturato percorsi di prevenzione ed intervento molto interessanti. In tale direzione, la provincia di
Prato, sensibile ai mutamenti della condizione dei giovani del territorio, ha mosso i suoi primi passi
interrogandosi sulla propria situazione. L’intento di questa monografia è stato, quindi, quello di esplorare il fenomeno fra i banchi degli istituti superiori pratesi: si è partiti dal vaglio delle conoscenze sul
tema sviluppate a livello internazionale, nazionale e locale, e si è giunti ad un’indagine vera e propria sul
territorio. La ricerca ed i focus group condotti per questo lavoro hanno fornito, rispetto al tema delle
prevaricazioni, un quadro generale degli atteggiamenti e dei comportamenti più probabili fra gli studenti di età compresa tra i 14 ed i 21 anni.
Attraverso l’uso del questionario, l’analisi dei dati e la discussione avvenuta con ragazzi, insegnanti,
presidi e genitori nei momenti di gruppo, è emerso che effettivamente il fenomeno delle prepotenze è
presente nelle scuole superiori della provincia e che viene vissuto come un “problema”, nonostante i
ragazzi tendano spesso a tenerlo nascosto e, come gli adulti, a percepirlo socialmente accettato.
Le riflessioni nate dai focus group confermano, in materia di intervento, ciò che la letteratura sul
tema sostiene. Sembra, infatti, emergere con forza l’utilità di interventi multilivello, non diretti esclusivamente al singolo ma all’intero sistema scolastico. Interventi sul bullo o sulla vittima, infatti, sono
descritti, sia dai ragazzi che dai professori, come inutili e stigmatizzanti quanto le strategie punitive.
Per fronteggiare il bullismo ed aiutare i ragazzi coinvolti nel fenomeno a trovare modi relazionali
diversi e più costruttivi per rapportarsi all’altro, occorre agire sulla cultura (individuale, familiare, scolastica e sociale) della prepotenza, attraverso interventi volti, in primo luogo, all’acquisizione della consapevolezza del problema. Il fenomeno, in questo senso, è trasversale: trova ostacolo o facilitazione nelle
varie dinamiche di gruppo ed è veicolato da una cultura che legittima l’aggressività. In altre parole,
intervenire sinergicamente in rete ed a più livelli (studenti, genitori, insegnanti) appare più efficace che
ricorrere ad interventi individuali e sporadici.
Nel concreto, una linea di intervento percorribile dai professori è quello della formazione attraverso, per esempio, corsi di perfezionamento, che hanno l’obiettivo di stimolare il docente ad una didattica
che preveda anche l’apprendimento cooperativo e la creazione di spazi, in cui gli studenti possano
confrontarsi in maniera democratica. La suddetta indicazione viene dalla constatazione che il bullismo
è un problema relazionale e che la scuola è uno dei suoi palcoscenici. Essa non è solo il posto dove i
ragazzi imparano delle nozioni, ma anche il luogo dove si diramano percorsi di crescita attraverso la
relazione con l’altro. Questo interpreta bene il pensiero dei professori che hanno partecipato all’indagine, per i quali valutare l’esperienza scolastica di un ragazzo non significa limitarsi a considerare il rendimento scolastico ed il suo approccio alla materia, ma vuol dire apprezzarne la crescita sotto molteplici
aspetti. I professori, partecipando come adulti ed educatori ai processi di socializzazione e di sviluppo
cognitivo-affettivo dei ragazzi, devono aver caro il loro diretto coinvolgimento nel lavoro di rete finalizzato al fronteggiamento delle prepotenze.
77
Conclusioni
I genitori, dal canto loro, potrebbero essere coinvolti in iniziative di sensibilizzazione ed informazione sul fenomeno delle prepotenze. Inoltre, potrebbero essere proposti degli incontri con l’obiettivo
di promuovere una comunicazione efficace. L’idea che la comunicazione empatica tra genitori e ragazzi
debba essere maggiormente stimolata trova sostegno anche nei dati della ricerca, in quanto i ragazzi
vittimizzati non si dichiarano soddisfatti del modo in cui i genitori si interessano alla loro esperienza
scolastica pur dialogando molto con loro. Esplorare nuovi modi di comunicare col proprio figlio, può
essere un primo passo per raggiungere la condivisione di episodi estremamente imbarazzanti ed umilianti per lui.
La logica degli interventi rivolti ai ragazzi coincide con la valutazione che loro stessi fanno del grande potere che ha lo spettatore nella dinamica fra bullo e vittima: avere un pubblico indifferente alle
vessazioni o sostenitore delle prevaricazioni alimenta, sia su un piano individuale che sociale, la convinzione che sia legittimo comportarsi prepotentemente per ottenere, da chi è percepito più debole, tutto
ciò che si vuole. Sempre secondo i ragazzi, responsabilizzare la “maggioranza silenziosa” e gestire positivamente (in maniera dialogica) il conflitto, sono due modi appropriati per fronteggiare il bullismo.
Mantenendo questa linea, sembrano molto utili tutte le attività che hanno l’obiettivo di educare alla
tolleranza ed al dialogo, attraverso la partecipazione attiva degli studenti (dai progetti come “L’operatore Amico” ai Circoli di Qualità , dai laboratori di comunicazione assertiva alla peer education). Tutte
queste attività permetto al ragazzo di assumere un ruolo di primo piano, attraverso l’esercizio consapevole e democratico dei propri diritti e doveri. I veri protagonisti del processo di cambiamento diventano
gli studenti e l’adulto assume il complicato ed importante ruolo di facilitatore. In altre parole, docenti e
genitori non si sostituiscono al ragazzo, ma lo accompagnano incoraggiando le diverse forme di partecipazione ed il confronto.
I risultati della ricerca, presente in questa monografia, avvalorano ulteriormente l’adozione di un
approccio complesso, che includa cioè tutte le figure che ruotano attorno a quella del bullo e della
vittima: dato che né prepotenti, né oppressi risultano isolati dal gruppo, è legittimo pensare che sono in
molti ad entrare nel “gioco” della prevaricazione. Altre attività suggerite dai risultati della ricerca possono riguardare la competenza emotiva dei ragazzi, ovvero l’insieme delle capacità che permettono al
ragazzo di riconoscere, comprendere e rispondere coerentemente alle emozioni altrui e di regolare
l’espressione delle proprie.
Intervenire, inoltre, sul gruppo degli spettatori (maggioranza silenziosa), partendo dal presupposto
che tanti episodi di prepotenza accadono anche perché legittimati da una cultura prevaricatrice di fondo, renderà più probabile la distinzione tra chi sistematicamente ricorre alla prevaricazione e chi lo fa
occasionalmente: potrà essere così più facilmente individuato il giovane che esprime, subendo o agendo violenza, un disagio maggiormente radicato.
Il punto essenziale rimane affrontare la cultura che sorregge il bullismo e, per fare questo, è importante coinvolgere gli studenti, i genitori, i professori, i presidi e gli amministratori, nella programmazione di interventi volti a minare gli elementi di cui il fenomeno si nutre: mancanza di dialogo, legittimazione
dell’aggressività, comunicazione inefficace, passività, ecc... . Abbandonare, in Italia, l’atteggiamento
omertoso e lassista nei confronti della prevaricazione diventa, dunque, necessario.
La partecipazione degli adulti e dei ragazzi alla realizzazione di questo lavoro è un segnale forte e
positivo rispetto all’impegno che la scuola superiore di Prato sembra pronta ad assumersi nei confronti
del fenomeno del bullismo.
78
Bibliografia
Bibliografia
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http://www.gold.ac.uk/tmr
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http://www.ofsted.gov.uk/publications/docs/3235.pdf
http://www.orizzontescuola.it
http://www.preventionworksct.org/ssc/bullying.html
http://www.primapagina.regione.toscana.it/index.php?codice=16067
http://www.regione.toscana.it
http://www.regione.toscana.it/cld/aree_bullismo.html
http://www.stopbullyingworld.com
http://www.usl7.toscana.it/upload/dl/Educazione_alla_Salute/Progetto_bullismo.pdf
http://www.usl7.toscana.it/upload/dl/Educazione_alla_Salute/Progetto_IO_CRESCO.pdf
83
Appendice A
Appendice A
Specchietto riassuntivo del Progetto “Incontriamoci”
Scuola secondaria superiore: Istituto Professionale Datini di Prato
Referente del progetto: Matilde Griffo
Definizione degli obiettivi
* conoscenza e consapevolezza del bullismo da parte di tutti i soggetti coinvolti;
* capacità di riconoscere il fenomeno;
* capacità da parte di genitori ed educatori di rapportarsi al fenomeno in modo corretto ed efficace;
* capacità da parte degli adolescenti “bulli” di riconoscere il proprio disagio e quello della “vittima”
e di modificare il proprio atteggiamento;
* capacità da parte della “vittima” di acquisire consapevolezza della propria condizione e di attivare
le risorse e gli strumenti utili a produrre un cambiamento;
* capacità da parte degli adolescenti che si trovano “intorno” ad un fenomeno di bullismo di collaborare perché esso si riduca;
* capacità da parte di tutti gli adolescenti di acquisire le conoscenze, le risorse e gli strumenti
necessari a prevenire il manifestarsi di fenomeni di bullismo.
* recupero dei soggetti che presentano difficoltà di adattamento nelle relazioni con i coetanei per
ridurre i comportamenti negativi, di natura aggressiva o di isolamento e per potenziare i comportamenti positivi che facilitano la comunicazione e l’adattamento del singolo ragazzo all’interno e al di
fuori del contesto scolastico al fine di stimolare la nascita di un clima classe e scuola più favorevole
all’apprendimento.
Destinatari
* Tutti gli allievi dell’Istituto, con un’attenzione specifica agli studenti delle classi prime e seconde
* 200 docenti
* 400 genitori
Definizione dei principi e delle metodologie
Il progetto si ispira ad alcuni principi di fondo nell’intervento sui diversi soggetti coinvolti.
Con gli adolescenti si ritiene di dover lavorare prevalentemente sul piano della consapevolezza
emozionale, sulla competenza di assertività e sulla capacità di ascolto attivo e di relazione con
l’altro e con la diversità, al fine di dar loro gli strumenti e le occasioni perché la loro costruzione di
identità non passi necessariamente per l’aggressività, agita o subita.
Con gli adulti, docenti e famiglie, si ritiene più utile attivare laboratori sul piano cognitivo ed emozionale, in cui si prende consapevolezza del fenomeno, della capacità di riconoscerlo nei ragazzi,
84
Appendice A
della capacità di acquisire consapevolezza dei propri atteggiamenti e comportamenti disfunzionali
e di come produrre il cambiamento.
Infine si ritiene che occorre offrire a tutti, specie agli adolescenti, in contemporanea e dopo la
realizzazione del progetto, luoghi, spazi, persone, che possano accogliere le loro “reazioni positive” al progetto, la loro ricerca di senso e di identità “altre” rispetto a quelle che passano per percorsi di aggressività (richieste di aiuto, di attività “positive”, di interlocutori competenti, ecc.)
Strumenti e risorse
Le risorse umane coinvolte nel percorso sono individuate in:
 Docenti dell’Istituto
 Psicologo operante all’interno del C.I.C. dell’Istituto
• Esperti nella conduzione di laboratori
• In collaborazione con la Scuola di Cinematografia “Anna Magnani” di Prato
• In collaborazione con il Centro Solidarietà Prato
• In collaborazione con Università degli Studi di Firenze - Dipartimento di Studi Sociali
• In collaborazione con Casa dei Conflitti del Gruppo Abele di Torino
 Docenti universitari
 Psicologi, sociologi, operatori sociali, esperti del settore
Gli interventi saranno diversamente articolati a seconda dei destinatari
Le risorse tecniche sono legate alle aule multimediali dell’Istituto, alla Scuola di Cinematografia “Anna Magnani”,
Definizione degli interventi
INSEGNANTI
ª A livello del singolo insegnante
ª A livello dei CdC che si renderanno disponibili o attraverso il docente Coordinatore
3 informazione e sensibilizzazione al fenomeno
3 aggiornamento per acquisizione strumenti
3 creazione moduli didattici
3 utilizzazione di unità didattiche operative
3 collaborazione con l’attività di laboratori teatrali, cinematografici, di scrittura
3 Incontri su richiesta degli insegnanti e dei ragazzi con l’obiettivo di facilitare la gestione creativa
del conflitto
3 Analisi dei contesti di crescita dei meccanismi che regolano le risposte violente sia verso se stessi
che verso gli altri attraverso colloqui individuali e di gruppo.
3 Progettazione di interventi con una metodologia di uso di linguaggi creativi per intervenire sui
disagi dell’individuo attraverso interventi su relazioni e contesti
85
Appendice A
3 Diffusione di materiali e pubblicizzazione di iniziative sulla formazione nonviolenta, la gestione
dei conflitti e le competenze comunicative.
STUDENTI
Sensibilizzazione, rilevazione, risoluzione del fenomeno attraverso diverse attività fruite o a livello
di singoli, o di gruppi classe, o di gruppi misti.
ª responsabilizzazione del gruppo classe attraverso la consapevolezza delle dinamiche di presa di
decisione, la facilitazione dell’ascolto e del dialogo tra i ragazzi
ª Interventi di operatore esterno/conduttore di laboratori con i ragazzi basati su:
• Disegni
• Scrittura
• Analisi di autobiografie attraverso esercizi di ascolto attivo e di comunicazione all’interno del
gruppo classe o dei laboratori
• Esperienza sul concetto di isolamento e sul senso di impotenza (tipiche della personalità sia di
vittima che di persecutore)
• Trasmissione di competenze di exotopia (a differenza dell’empatia si tratta della conoscenza
dell’altro a partire dal cambiamento delle propria cornici implicite di conoscenza della realtà: si
valorizza quindi non solo il mettersi nei panni dell’altro ma la relazione di ascolto e di dialogo tra Il
soggetto e l’altro come diverso da sé)
• Giochi di ruolo
• Visione film e filmati
• Ripresa filmata delle attività di laboratorio da rivedere e su cui discutere
• Esperienza e acquisizione di metodi decisionali basati sul consenso e sulla valorizzazione del
conflitto come manifestazione positiva di diversità, di punti di vista diversi
ª Moduli didattici con gli insegnanti basati su apprendimento cooperativo
ª Moduli didattici con gli insegnanti basati sulla comunicazione
ª Lavoro di apprendimento cooperativo sul concetto di “Bullismo” come squilibrio di potere tra
un soggetto Maggiore e un soggetto Minore.
ª Incontri di classe sistematici con l’applicazione di metodi decisionali basati sul consenso e sulla
valorizzazione del conflitto come manifestazione positiva di diversità, di punti di vista diversi
ª Azione mirata alla facilitazione della comunicazione tra i membri del gruppo attraverso interventi di tutoraggio sugli studenti nominati nelle classi come portavoce del conflitto attraverso un
approccio che valorizzi la percezione e l’ascolto di punti di vista diversi.
ª Partecipazione a interventi mirati all’attivazione di percorsi di dialogo tra insegnanti, esperti e
famiglie basati su scambio di informazioni ed esperienze di stili educativi nonviolenti
ª Progettazione di interventi con una metodologia di uso di linguaggi creativi per intervenire sui
disagi dell’individuo attraverso interventi su relazioni e contesti
ª Giornate di dibattito a livello di scuola (cfr. assemblee)
ª Attività positive comuni da valorizzare nella scuola (spettacoli, mostre, premiazioni, realizzazione di film, manifesti, cd, feste, gite...)
86
Appendice A
ª Attivazione laboratori di teatro, cinema, scrittura
ª Informazione sulle iniziative presenti sul territorio: coordinamento con l’”Informa- giovani”
attivato all’interno della scuola.
ª Utilizzazione di uno sportello di ascolto e consulenza per interventi mirati sul disagio
ª Recupero dei soggetti che presentano difficoltà di adattamento nelle relazioni con i coetanei per
ridurre i comportamenti negativi, di natura aggressiva o di isolamento e per potenziare i comportamenti positivi che facilitano la comunicazione e l’adattamento del singolo ragazzo all’interno e al di
fuori del contesto scolastico al fine di stimolare la nascita di un clima classe e scuola più favorevole
all’apprendimento.
GENITORI
Coinvolgimento dei genitori per:
3 informazione e sensibilizzazione al fenomeno attraverso incontri con esperti
3 laboratori esperienziali
3 attivazione sportelli di consulenza
3 attivazione di percorsi di dialogo tra insegnanti, esperti e famiglie attraverso incontri di parent
training in cui si riporteranno i risultati emersi e si attiveranno percorsi di scambio e di esperienza di stili educativi nonviolenti.
3 Diffusione di materiali e pubblicizzazione di iniziative sulla formazione nonviolenta, la
gestione dei conflitti e le competenze comunicative.
Percorsi collaterali e di contesto:
ª a livello di scuola:
valorizzazione di elementi positivi (mostre, attività, spettacoli, premiazioni, feste, realizzazione di
film, cd rom, manifesti, attività redazionali, ecc.)
attivazione di interventi mirati per la conoscenza, la prevenzione e la consulenza riguardo al
fenomeno
ª a livello di territorio:
offerta di spazi e di consulenti per condurre:
• attività di cooperazione fra i ragazzi
• interventi per la prevenzione del fenomeno
• attività di informazione, consulenza e supporto per i docenti
• attività di informazione, consulenza e supporto per i genitori
• realizzazione di film e spot in collaborazione con la Scuola di Cinematografia “Anna Magnani”
con sceneggiatura, riprese, attori forniti dai ragazzi.
• Realizzazione di performance teatrali
• Realizzazione di un’indagine qualitativa
87
Appendice A
Tempi di realizzazione
Gennaio-dicembre 2004
Verifiche
Si ritiene importante, per un progetto di questo tipo, verificarne gli esiti ed il giudizio dei soggetti
coinvolti. Per tali verifiche si intende utilizzare due strumenti:
• questionari anonimi di valutazione delle esperienze
• incontro con i diversi soggetti che hanno partecipato al progetto
Tempi e modalità
Il progetto si svolgerà tra il gennaio ed il dicembre 2004. Quindi una parte delle attività ricadrà
nell’anno scolastico 2003/2004 ed una parte nel 2004/2005 secondo la scansione indicata al punto
n°6. A conclusione del percorso, saranno realizzate e diffuse le attività conclusive del progetto
(spot, film, spettacoli teatrali, ecc.).
88
Appendice B
Appendice B
Questionario creato dalla prof.ssa Matilde Griffo e dal dott. Massimiliano Radini.
Con il simbolo asterisco (*) vengono segnalati gli item inseriti per la ricerca presentata in questo lavoro
dalle autrici dello stesso.
OBIETTIVI DELLA RICERCA (*)
La ricerca che stiamo svolgendo ci permetterà di conoscere meglio i ragazzi della tua età e capire
come è la vita dentro la scuola. La tua opinione sarà fondamentale per il buon esito di questa
ricerca.
Può capitare qualche volta che tra ragazzi si litighi per un dispetto, per un disaccordo o altro:
l’importante è che dopo tutto si risolva nel miglior modo possibile.
Altre volte invece un/a tuo/a coetaneo/a che non riesce a difendersi può diventare vittima di continue prepotenze da parte di altri ed essere regolarmente deriso, insultato, isolato, ricattato, o anche
picchiato.
Per la nostra ricerca è importante capire se queste cose ti sono accadute o se ne sei venuto a
conoscenza e qual è il tuo pensiero a proposito.
Ciò che conta per rispondere al questionario è la tua esperienza, quindi rispondi senza sentire il
parere degli altri e con attenzione alle domande.
Non ci sono risposte giuste o sbagliate. Inoltre il questionario è anonimo e quando l’avrai compilato sarà messo insieme a tutti gli altri questionari: per questo motivo rispondi con sincerità e senza
preoccupazioni.
Grazie per la tua collaborazione.
Nota per la compilazione del questionario
Se non è altrimenti specificato, la risposta da dare è unica: per ogni domanda devi fare una crocetta
sul numero che contraddistingue la risposta da te scelta; se cambi idea: fai un cerchietto sulla
vecchia risposta e metti la croce nella nuova.
In altri casi ti verrà chiesto di esprimere un numero (es. il numero di componenti della tua classe),
che dovrai scrivere nell’apposito spazio: |_| o |_|_|.
Nel caso di domande in cui è prevista la possibilità di dare due risposte, ti viene chiesto di esprimere un ordine di preferenza: dovrai inserire 1 nell’apposito spazio per la risposta che per te è principale e 2 per quella secondaria.
89
Appendice B
1. Qual è la tua classe? ______
2. E la sezione? ______
3. La tua classe da quante persone è composta? |_|_|
4. Hai mai ripetuto l’anno scolastico?
0 no
1 sì, una sola volta
2 sì, due volte
3 sì, più di due volte
5. Quanti anni hai? |_|_|
6. Di che sesso sei?
0 maschio
1 femmina
7. I tuoi genitori (o uno di loro), provengono da un’altra Regione? (*)
0 no
1 sì
8. ... e tu? (*)
0 no
1 sì
9. I tuoi genitori (o uno di loro) provengono da un’altra Nazione? (*)
0 no
1 sì
10. ... e tu? (*)
0 no
1 sì
11. Ci potresti indicare il titolo di studio dei tuoi genitori? (*)
Madre
0 non so
1 licenza elementare o nessun titolo
2 licenza di scuola media inferiore
3 diploma di scuola media superiore
4 laurea
Padre
0
1
2
3
4
90
non so
licenza elementare o nessun titolo
licenza di scuola media inferiore
diploma di scuola media superiore
laurea
Appendice B
12. Sei figlio unico?
0 no
1 sì
Se hai risposto ‘sì’ alla domanda n. 12, vai alla n. 16, altrimenti continua
13. Quanti fratelli hai? |_|
14. E quante sorelle? |_|
15. Rispetto ai tuoi fratelli/sorelle, in ordine di nascita, tu sei il ...? |_|°
16. Dialoghi frequentemente con tua madre?
0 non ho madre
1 mai
2 raramente
3 ogni tanto
4 spesso
5 sempre
17. E con tuo padre?
0 non ho padre
1 mai
2 raramente
3 ogni tanto
4 spesso
5 sempre
18. Negli ultimi due mesi, quanti libri non di testo hai letto? |_|_|
19. Con chi trascorri più spesso il tuo tempo libero? (*)
0 da solo
1 in compagnia dei miei amici
2 con i miei familiari
3 altro (specificare)____________________________________________
20. Come stai con i tuoi compagni di classe? (*)
0 bene
1 abbastanza bene
2 né bene né male
3 abbastanza male
4 male
91
Appendice B
21. Come stai con gli altri ragazzi della tua scuola? (*)
0 bene
1 abbastanza bene
2 né bene né male
3 abbastanza male
4 male
22. Quali sono i momenti che preferisci condividere con i tuoi compagni di classe? (*)
0 L’intervallo
1 le ore di lezione
2 il tragitto da casa a scuola e viceversa
3 il tempo libero
4 mai
23. Ti accade di frequente di restare solo perché i tuoi compagni non vogliono stare con te? (*)
0 no
1 sì
24. Come giudichi il tuo rapporto con i tuoi insegnanti? (*)
0 molto buono
1 abbastanza buono
2 non molto buono
3 per niente buono
25. Come giudichi l’interesse dei tuoi genitori per la tua esperienza scolastica? (*)
0 molto buono
1 abbastanza buono
2 non molto buono
3 per niente buono
26., Racconti a persone del tuo ambiente scolastico quello che ti succede a scuola? (*)
0 no
1 sì
27. Se sì, a chi lo racconti? [puoi dare due risposte, indicando, nel quadratino, con 1 la prima
scelta e con 2 la seconda] (*)
|_| 0 ad un/a compagno/a di cui mi fido
|_| 1 ai compagni di classe
|_| 2 ad un insegnante di cui mi fido
|_| 3 agli insegnanti
|_| 4 ad un bidello
|_| 5 altro (specificare)_____________________________________________________
92
Appendice B
28. Racconti a persone che non sono del tuo ambiente scolastico quello che ti succede a scuola? (*)
0 no
1 sì
29. Se sì, a chi lo racconti? [puoi dare due risposte, indicando, nel quadratino, con 1 la prima
scelta e con 2 la seconda] (*)
|_| 0 ad un amico o con un’amica di cui mi fido
|_| 1 agli amici che frequento all’esterno della scuola
|_| 2 ai miei genitori
|_| 3 ai familiari (fratelli, zii, nonni, ecc.)
|_| 4 ad altri adulti (allenatore, animatore di associazione o della parrocchia, ecc.)
|_| 5 altro (specificare)_____________________________________________________
30. I tuoi genitori comprendono, in generale, i tuoi sentimenti? (*)
0 molto
1 abbastanza
2 poco
3 per niente
31. Fra le seguenti, quale giudichi la cosa più importante nella tua vita? [puoi dare due risposte,
indicando, nel quadratino, con 1 la prima scelta e con 2 la seconda] (*)
|_| 1 il rispetto degli altri
|_| 2 la libertà di fare tutto ciò che voglio
|_| 3 la lealtà
|_| 4 la solidarietà
|_| 5 la fama
|_| 6 l’uguaglianza di possibilità per tutti
|_| 7 la tolleranza di opinioni e comportamenti diversi dai miei
|_| 8 la realizzazione personale
|_| 9 la libertà di pensiero ed espressione
|_| 10 la giustizia
|_| 11 la ricchezza economica
|_| 12 il rispetto delle regole
|_| 13 la conoscenza
93
Appendice B
32. Esprimi il tuo grado di accordo con la seguente frase: se un compagno non fa ciò che un altro
gli dice, quest’ultimo sarà giustificato a dargli uno schiaffo
0 completamente in disaccordo
1 abbastanza in disaccordo
2 moderatamente in disaccordo
3 moderatamente d’accordo
4 abbastanza d’accordo
5 completamente d’accordo
88 non so
33. Esprimi il tuo grado di accordo con la seguente frase: fare a botte è ammissibile solo nel caso ci
si debba difendere da un’aggressione: negli altri casi non lo è mai
0 completamente in disaccordo
1 abbastanza in disaccordo
2 moderatamente in disaccordo
3 moderatamente d’accordo
4 abbastanza d’accordo
5 completamente d’accordo
88 non so
34. Esprimi il tuo grado di accordo con la seguente frase: anche se si ricevono degli insulti, reagire
con violenza significa mettersi dalla parte del torto
0 completamente in disaccordo
1 abbastanza in disaccordo
2 moderatamente in disaccordo
3 moderatamente d’accordo
4 abbastanza d’accordo
5 completamente d’accordo
88 non so
35. Esprimi il tuo grado di accordo con la seguente frase: è giusto dimostrare di non avere paura
di fare a botte con dei compagni, a prescindere dalle circostanze
0 completamente in disaccordo
1 abbastanza in disaccordo
2 moderatamente in disaccordo
3 moderatamente d’accordo
4 abbastanza d’accordo
5 completamente d’accordo
88 non so
94
Appendice B
36. Esprimi il tuo grado di accordo con la seguente frase: i professori dovrebbero sempre punire chi
picchia un compagno
0 completamente in disaccordo
1 abbastanza in disaccordo
2 moderatamente in disaccordo
3 moderatamente d’accordo
4 abbastanza d’accordo
5 completamente d’accordo
88 non so
37. Esprimi il tuo grado di accordo con la seguente frase: dimostrare la propria superiorità è un
modo per essere ammirati
0 completamente in disaccordo
1 abbastanza in disaccordo
2 moderatamente in disaccordo
3 moderatamente d’accordo
4 abbastanza d’accordo
5 completamente d’accordo
88 non so
38. Esprimi il tuo grado di accordo con la seguente frase: bisognerebbe isolare i compagni prepotenti, così capirebbero che il loro modo di fare è ingiusto
0 completamente in disaccordo
1 abbastanza in disaccordo
2 moderatamente in disaccordo
3 moderatamente d’accordo
4 abbastanza d’accordo
5 completamente d’accordo
88 non so
39. Esprimi il tuo grado di accordo con la seguente frase: prendere in giro un compagno è divertente, soprattutto se lui non si diverte
0 completamente in disaccordo
1 abbastanza in disaccordo
2 moderatamente in disaccordo
3 moderatamente d’accordo
4 abbastanza d’accordo
5 completamente d’accordo
88 non so
95
Appendice B
40. Esprimi il tuo grado di accordo con la seguente frase: le ragazze dovrebbero odiare chi passa il
tempo a litigare
0 completamente in disaccordo
1 abbastanza in disaccordo
2 moderatamente in disaccordo
3 moderatamente d’accordo
4 abbastanza d’accordo
5 completamente d’accordo
88 non so
41. Esprimi il tuo grado di accordo con la seguente frase: non bisogna mai dare ragione all’altro
0 completamente in disaccordo
1 abbastanza in disaccordo
2 moderatamente in disaccordo
3 moderatamente d’accordo
4 abbastanza d’accordo
5 completamente d’accordo
88 non so
42. Esprimi il tuo grado di accordo con la seguente frase: chi assiste ad una zuffa in cui è coinvolto
un proprio amico dovrebbe sempre proteggerlo in qualunque modo, anche se è palesemente in
torto
0 completamente in disaccordo
1 abbastanza in disaccordo
2 moderatamente in disaccordo
3 moderatamente d’accordo
4 abbastanza d’accordo
5 completamente d’accordo
88 non so
43. Esprimi il tuo grado di accordo con la seguente frase: chi cerca sempre di litigare prima o poi
riceverà una bella lezione
0 completamente in disaccordo
1 abbastanza in disaccordo
2 moderatamente in disaccordo
3 moderatamente d’accordo
4 abbastanza d’accordo
5 completamente d’accordo
88 non so
96
Appendice B
44. Esprimi il tuo grado di accordo con la seguente frase: se te la prendi con uno che non c’entra,
gli altri si rendono conto quanto vali
0 completamente in disaccordo
1 abbastanza in disaccordo
2 moderatamente in disaccordo
3 moderatamente d’accordo
4 abbastanza d’accordo
5 completamente d’accordo
88 non so
45. Esprimi il tuo grado di accordo con la seguente frase: se dei compagni fanno a botte è meglio
farsi i fatti propri e non dire niente a nessuno: non si sa mai!
0 completamente in disaccordo
1 abbastanza in disaccordo
2 moderatamente in disaccordo
3 moderatamente d’accordo
4 abbastanza d’accordo
5 completamente d’accordo
88 non so
46. Approssimativamente, negli ultimi 2 mesi, quante volte hai subito prepotenze (fisiche e/o verbali) da parte di altri ragazzi/e?
0 mai
1 raramente
2 ogni tanto
3 spesso
4 sempre
88 non ricordo
Se hai risposto ‘mai’ alla domanda n. 46, vai direttamente alla domanda n. 55, altrimenti continua
47. Sapresti essere più preciso e scrivere approssimativamente quante volte hai subito delle prepotenze negli ultimi 2 mesi? |_|_|
97
Appendice B
48. Prevalentemente da parte di chi sono state compiute queste prepotenze? [puoi dare due risposte, indicando, nel quadratino, con 1 la prima scelta e con 2 la seconda]
|_| 1 da un compagno della mia classe
|_| 2 da una compagna della mia classe
|_| 3 da un gruppo di compagni della mia classe
|_| 4 da un alunno della scuola esterno alla mia classe
|_| 5 da un’alunna della scuola esterna alla mia classe
|_| 6 da un gruppo di alunni della scuola esterni alla mia classe
|_| 7 da persone esterne alla scuola
|_|8 da altri: (specificare) _______________________________________________
|_| 9 da altri: (specificare) ______________________________________________
|_| 88 non ricordo
49. Se queste prepotenze sono state compiute da qualcuno non appartenente alla tua classe, ma
appartenente alla tua scuola, nella maggior parte dei casi di che classe faceva/no parte?
1 facevano parte di una classe inferiore
2 facevano parte di una classe dello stesso anno della mia
3 facevano parte di una classe superiore
88 non ricordo
50. Nella maggior parte dei casi, che tipo di prepotenze hai subito?
1 insulti
2 minacce di riferire ad altri storie personali vere o false che potevano screditarmi
3 minacce di azioni contro miei oggetti (furto, distruzione etc. su qualunque oggetto proprio)
4 minacce di azioni contro persone a me care
5 minacce fisiche
6 riferire ad altri storie personali vere o false che potevano screditarmi
7 azioni contro miei oggetti
8 azioni contro persone a me care
9 violenze fisiche
10 altro: (specificare) ______________________________________________________
88 non ricordo
51. Nella maggior parte dei casi, ritieni che coloro che hanno compiuto quelle azione contro di te
avessero ragione?
0 mai
1 raramente
2 ogni tanto
3 spesso
4 sempre
88 non ricordo
98
Appendice B
52. Nella maggior parte dei casi in cui è successo, cosa pensi abbia scatenato il loro comportamento?
1 il mio aspetto fisico, il mio modo di muovermi, di parlare, o di pensare
2 il mio modo di vestire
3 oggetti da me posseduti
4 il mio comportamento in generale
5 un mio particolare comportamento verso di loro
6 ciò che sono, fanno o hanno persone a me legate (genitori, fratelli, amici etc.)
7 un altro motivo: (specificare) _______________________________________________
88 non so
53. Dove hai subito con maggiore frequenza queste prepotenze?
1 in aula
2 nel corridoio
3 nel bagno
4 nel cortile
5 altrove: (specificare) ______________________________________________________
88 non ricordo
54. E in che momento prevalentemente?
1 prima di entrare a scuola
2 durante una lezione
3 alla ricreazione
4 all’uscita da scuola
5 in un altro momento: (specificare) ____________________________________________
88 non ricordo
55. Approssimativamente, quante volte negli ultimi due mesi, da solo o in compagnia, hai compiuto
delle prepotenze (fisiche e/o verbali) verso i tuoi compagni?
0 mai
1 raramente
2 ogni tanto
3 spesso
4 sempre
88 non ricordo
Se alla domanda n. 55 hai risposto ‘mai’, vai direttamente alla domanda n. 65, altrimenti continua
99
Appendice B
56. Sapresti essere più preciso e scrivere approssimativamente quante volte hai compiuto delle
prepotenze negli ultimi 2 mesi? |_|_|
57. La maggior parte delle volte, con chi eri?
1 da solo
2 con uno o più compagni/e di una classe inferiore
3 con uno o più compagni/e della mia classe
4 con uno o più compagni/e di una classe superiore
5 con altri: (specificare) ______________________________________________________
88 non ricordo
58. Prevalentemente verso chi sono state compiute queste prepotenze? [puoi dare due risposte,
indicando, nel quadratino, con 1 la prima scelta e con 2 la seconda]
|_| 1 verso un compagno della mia classe
|_| 2 verso una compagna della mia classe
|_| 3 verso un gruppo di compagni della mia classe
|_| 4 verso un alunno della scuola esterno alla mia classe
|_| 5 verso un’alunna della scuola esterna alla mia classe
|_| 6 verso un gruppo di alunni della scuola esterni alla mia classe
|_| 7 verso persone esterne alla scuola
|_| 8 verso altri: (specificare) _________________________________________________
|_| 9 verso altri: (specificare) _________________________________________________
|_| 88 non ricordo
59. Se queste prepotenze sono state compiute verso qualcuno non appartenente alla tua classe, ma
appartenente alla tua scuola, nella maggior parte dei casi di che classe faceva/no parte?
1 facevano parte di una classe inferiore
2 facevano parte di una classe dello stesso anno della mia
3 facevano parte di una classe superiore
88 non ricordo
60. Nella maggior parte dei casi, che tipo di prepotenze hai inflitto?
1 insulti
2 minacce di riferire ad altri storie personali vere o false che possono screditare
3 minacce di azioni contro oggetti personali (furto, distruzione etc. su qualunque oggetto proprio)
4 minacce di azioni contro persone care
5 minacce fisiche
6 riferire ad altri storie personali vere o false che possono screditare
7 azioni contro oggetti personali
8 azioni contro persone care
100
Appendice B
9 violenze fisiche
10 altro: (specificare) _______________________________________________________
88 non ricordo
61. Nella maggior parte dei casi in cui è successo, cosa ti ha spinto a fare ciò che hai fatto?
1 il suo aspetto fisico, il suo modo di muoversi, di parlare, o di pensare
2 il suo modo di vestire
3 cose da lui possedute
4 il suo comportamento in generale
5 un suo particolare comportamento verso di me/noi
6 ciò che sono, fanno o hanno persone a lui legate (genitori, fratelli, amici etc.)
7 un altro motivo: (specificare) _______________________________________________
88 non so
62. Rispetto a tutte le volte che è successo, quanto frequentemente ti sei pentito di ciò che hai fatto?
0 mai
1 raramente
2 ogni tanto
3 spesso
4 sempre
88 non so
63. Normalmente dove hai/avete compiuto queste azioni?
1 in aula
2 nel corridoio
3 nel bagno
4 nel cortile
5 altrove: (specificare) ______________________________________________________
88 non ricordo
64. E in che momento prevalentemente?
1 prima di entrare a scuola
2 durante una lezione
3 alla ricreazione
4 all’uscita da scuola
5 in un altro momento: (da specificare) ___________________________________________
88 non ricordo
101
Appendice B
65. Approssimativamente, quante volte negli ultimi due mesi, da solo o in compagnia, hai assistito
a delle prepotenze (fisiche e/o verbali) da parte di tuoi compagni verso altri tuoi compagni?
0 mai
1 raramente
2 ogni tanto
3 spesso
4 sempre
88 non ricordo
Se alla domanda n. 65 hai risposto ‘mai’, vai direttamente alla domanda n. 71 altrimenti continua
66. Sapresti essere più preciso e scrivere quante volte negli ultimi 2 mesi hai assistito a scene del
genere? |_|_|
67. Prevalentemente da parte di chi sono state compiute queste prepotenze? [puoi dare due risposte, indicando, nel quadratino, con 1 la prima scelta e con 2 la seconda]
|_| 1 da un compagno della mia classe
|_| 2 da una compagna della mia classe
|_| 3 da un gruppo di compagni della mia classe
|_| 4 da un alunno della scuola esterno alla mia classe
|_| 5 da un’alunna della scuola esterna alla mia classe
|_| 6 da un gruppo di alunni della scuola esterni alla mia classe
|_| 7 da persone esterne alla scuola
|_| 8 da altri: (specificare) ___________________________________________________
|_| 9 da altri: (specificare) ___________________________________________________
|_| 88 non ricordo
68. Se queste prepotenze sono state compiute da qualcuno non appartenente alla tua classe, ma
appartenente alla tua scuola, prevalentemente di che classe faceva parte?
1 faceva parte di una classe inferiore
2 faceva parte di una classe dello stesso anno della mia
3 faceva parte di una classe superiore
88 non ricordo
69. Nella maggior parte dei casi, a che tipo di prepotenze hai assistito?
1 insulti
2 minacce di riferire ad altri storie personali vere o false che possono screditare
3 minacce di azioni contro propri oggetti (furto, distruzione etc. su qualunque oggetto proprio)
4 minacce di azioni contro persone care
102
Appendice B
5 minacce fisiche
6 riferire ad altri storie personali vere o false che possono screditare
7 azioni contro propri oggetti
8 azioni contro persone care
9 violenze fisiche
10 altro: (specificare) _______________________________________________________
88 non ricordo
70. Nella maggior parte dei casi, come ti sei comportato?
1 mi sono messo in mezzo appoggiando una delle parti
2 sono andato a chiamare altri compagni in aiuto di una delle parti
3 sono rimasto, ma non ho fatto né detto niente
4 non ho fatto niente: me ne sono andato
5 sono andato a chiamare altri compagni per farli smettere
6 sono andato a chiamare un professore
7 sono intervenuto cercando di pacificare la situazione
8 altro: (specificare) ________________________________________________________
88 non ricordo
71. Nella tua classe sono presenti compagni che reputi abbiano un abituale comportamento prepotente?
1 Sì
2 No
88 Non so
72. Se hai risposto ‘sì’, potresti indicare approssimativamente quanti sono? |_|_|
73. Nella tua classe sono presenti compagni che reputi essere oggetto abituale di comportamenti
prepotenti da parte di altri?
1 Sì
2 No
88 Non so
74. Se hai risposto ‘sì’, quanti sono all’incirca quelli che reputi abituali vittime? |_|_|
103
104
Appendice C
Appendice C
A seguito sono riportate le tracce dei focus group per l’indagine in profondità.
TRACCIA DEL FOCUS GROUP CON ADULTI (condotto da E. Micheloni)
1. Presentazione della definizione data ai ragazzi di continue prepotenze per rispondere al questionario
anonimo
2. A presidi, insegnanti e genitori si chiede di descrivere con aggettivi quale pensano sia la situazione,
rispetto al fenomeno, nella loro scuola
3. Gli aggettivi vengono riscritti e raggruppati in base alle seguenti categorie:
a. conoscenza
b. presenza e gravità
c. tipologia
d. fronteggiamento
4. Approfondimento su categoria “conoscenza”:
a. È un fenomeno conosciuto?
b. Come ne siete venuti a conoscenza?
c. Ve ne hanno parlato le persone coinvolte?
d. Siete stati coinvolti, avete partecipato ad incontri in cui si informavano i partecipanti sul fenomeno?
5. Approfondimento su categorie “presenza” e “gravità”:
a. È un fenomeno presente nelle vostre scuole?
b. Ritenete che siano coinvolte più alunni di quanto si sappia?
c. Ritenete sia presente in modo importante?
6. Approfondimento su categoria “tipologia”:
a. Pensate ci siano differenze di comportamento tra maschi e femmine?
b. Pensate che possa servire sapere se a commettere prepotenze sono maschi o femmine? A che
cosa?
c. Provate ad immaginarvi una scena in cui una persona che frequenta una classe delle superiori
aggredisce intenzionalmente un’altra persona che non e’ in grado di difendersi. Quali caratteristiche fisiche, personali, relazionali ed ambientali avete attribuito alla persona prepotente? Quali
alla persona vittima?
7. Approfondimento della categoria “fronteggiamento”
a. Secondo voi è un fenomeno difficile da contrastare?
105
Appendice C
b. Quando (se) vi siete trovati coinvolti che cosa avete fatto? Che cosa è stato fatto?
c. Pensate che si debba intervenire sul fenomeno nelle nostre superiori? Chi dovrebbe promuovere
l’intervento?
d. Quale dovrebbe essere i ruoli di genitori, insegnanti e presidi nell’intervento?
TRACCIA DEL FOCUS GROUP CON I RAGAZZI (condotto da V. Cipriani)
Introduzione e spiegazione della ricerca
Garanzia dell’anonimato
1. Descrizione del fenomeno
a. Nelle vostre scuole è stato consegnato un questionario sul bullismo.... ma voi cosa intendete per
“bullismo”?
b. Come ne siete venuti a conoscenza?
c. Che differenza c’è secondo voi tra prepotenze in generale e bullismo?
d. Secondo voi cosa si intende per prepotenze nel bullismo?
e. Secondo voi è preoccupante? Se sì perché? Se no perché secondo loro se ne parla tanto?
Ai ragazzi è stata fornita la descrizione di bullismo. Da qui si è poi sviluppata la discussione successiva a
partire dal punto 2.
2. Presenza e gravità del fenomeno nelle scuole
a. Secondo voi nella vostra scuola è presente?
b. Secondo voi in che percentuale? Oppure da 1 a 10
c. Se ne parla nella vostra scuola? Oppure secondo voi succede e non si dice?
3. Protagonisti
a. Secondo voi quali cose fanno di un ragazzo/a un bullo/a?
b. Dovendo fare una specie di identikit come è un bullo/a secondo voi?
c. Secondo voi quali cose fanno di un ragazzo/a una vittima?
d. Dovendo fare una specie di identikit come è una vittima secondo voi?
e. Secondo voi quale è il motivo per cui un ragazzo/a aiuta il bullo?
f. Secondo voi quale è il motivo per cui un ragazzo/a sostiene il bullo?
g. Secondo voi quale è il motivo per cui un ragazzo/a aiuta la vittima?
h. Secondo voi quale è il motivo per cui un ragazzo/a fa l’indifferente?
i. Ci sono sia maschi che femmine prepotenti? Secondo voi ci sono differenze tra i maschi e le
femmine prepotenti? Se sì quali?
j. Secondo voi è più facile che i ragazzi più piccoli subiscano prepotenze dai più grandi?
k. Secondo voi come reagisce la persona vittima alle continue prepotenze? Quali possono essere le
conseguenze?
l. E il bullo? E secondo voi si pente?
106
Appendice C
m. Secondo voi a chi lo raccontano sia il bullo che la vittima che hanno fatto/ subito una prepotenza?
4. Strategie della scuola presenti e auspicate dai ragazzi
a. Secondo voi cosa viene fatto nelle vostre scuole davanti a queste cose da ragazzi, professori,
personale non docente, presidi e genitori?
b. E secondo voi cosa dovrebbe essere fatto perché queste cose non avvengano più da ragazzi,
professori, personale non docente, presidi e genitori?
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Finito di stampare
nel mese di novembre
da Tipografia La Moderna srl
Prato
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