Bullismo? Un`indagine sul fenomeno delle
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Bullismo? Un`indagine sul fenomeno delle
1 2 dell’osservatorio sociale Provincia di Prato 3 4 dell’osservatorio sociale Collana coordinata da Michele Parpajola Il tessuto sociale ed economico del territorio pratese sta attraversando rapide quanto profonde trasformazioni ma al tempo stesso si caratterizza per i forti elementi di continuità con la storia e la tradizione locale. Il passaggio da un modello di stato sociale “tradizionale” ad uno di welfare mix, dove accanto al servizio pubblico assumono sempre più rilevanza la progettualità e il lavoro delle organizzazioni del terzo settore, la sperimentazione a livello regionale - avviata anche nell’area pratese - di nuove forme per la programmazione e gestione dei servizi socio-sanitari: la Società della Salute, laddove per “salute” si intende - nel senso più ampio del termine - il benessere sociale del cittadino, sono fenomeni che richiedono un forte ripensamento delle politiche sociali integrate. Il processo di ridimensionamento delle famiglie, l’emergere di nuove tipologie familiari ed il mutato ruolo delle donne all’interno della famiglia e nel mercato lavorativo con la conseguente necessità di conciliazione dei tempi di cura e lavoro, nonché la complessità delle dinamiche migratorie con la progressiva stabilizzazione delle comunità migranti determinano una costante evoluzione della struttura demografica dell’area provinciale e producono nuove forme di bisogno e domande inedite di servizi. Sono questi alcuni dei cambiamenti significativi che pongono con forza una duplice esigenza: da un lato sviluppare attività di analisi e ricerca finalizzate alla costruzione di scenari, di sintesi interpretative utili alla programmazione e alla governance locale, dall’altro promuovere una costante azione di diffusione sul territorio delle conoscenze acquisite per discutere, riflettere sui risultati degli studi realizzati. È dal desiderio di rispondere, almeno in parte, a questa necessità che nasce la collana editoriale le tele dell’osservatorio sociale promossa e realizzata dalla Provincia di Prato in collaborazione con Asel srl - Agenzia di Servizi per le Economie Locali. La collana si articola in pubblicazioni monografiche su rilevanti tematiche sociali individuate e scelte sulla base delle molteplici attività di ricerca svolta in questi anni dall’Osservatorio Sociale Provinciale unitamente alle indicazioni e agli orientamenti espressi dagli attori locali del pubblico e del privato sociale attivi sul territorio. Le tele dell’osservatorio sociale intendono rappresentare un utile strumento di divulgazione dedicato ad amministratori locali, operatori dei servizi pubblici e privati, studiosi, a tutti i cittadini che abbiano interesse a conoscere ed approfondire teorie, buone prassi, esperienze e metodologie d’intervento utili per comprendere la complessità e l’evoluzione delle dinamiche sociali in atto e contribuire così alla ridefinizione e alla crescita del sistema di welfare locale. 5 Comitato scientifico della collana GUIDO FERRARI Università degli Studi di Firenze MAURIZIO BAUSSOLA Università Cattolica del Sacro Cuore BRUNO DE LEO Ministero dell’Economia e delle Finanze GABI DEI OTTATI Università degli Studi di Firenze FRANCESCO GIUNTA Università degli Studi di Firenze LAURA LEONARDI Università degli Studi di Firenze FABIO SFORZI Università degli Studi di Parma Via Ricasoli, 25 - Prato - Tel. 0574 534578 e-mail: [email protected] sito web: www.provincia.prato.it 6 Provincia di Prato Bullismo Un’indagine-fenomeno delle prepotenze nelle scuole superiori del territorio pratese di VALENTINA CIPRIANI ED ELENA MICHELONI Prato, novembre 2007 7 8 Prefazione Chi sono i bulli di oggi? sono ragazzi che esercitano deliberatamente e con frequenza prepotenze verso chi si mostra più debole. Un fenomeno complesso che interessa anche le scuole della nostra provincia, seppur non in maniera drammatica. Questa ricerca nasce con lo scopo non solo di capire le dinamiche che si instaurano fra vittima e carnefice ma punta anche a comprendere la natura sociale del contesto in cui il fenomeno bullismo prende campo. Il bullo è solo uno fra gli attori in scena, per capirne il comportamento è necessario soffermarsi anche sul sistema di valori, sulle necessità e le richieste dei ragazzi. Il terreno di coltura del bullo è trasversale, non esiste una provenienza specifica, ma esistono semmai difficoltà relazionali e situazioni di disagio. Maggiori sono gli studi e i progetti che analizzano il problema e più facile sarà comprendere le cause e limitare gli abusi. La ricerca - condotta su un campione di ragazzi delle scuole superiori pratesi - è uno strumento utile per sensibilizzare studenti, ma anche famiglie e insegnanti, verso la comprensione di un problema dalle molte sfaccettature che può essere affrontato e risolto anche attraverso il riconoscimento, l’accettazione e la comunicazione delle emozioni e bisogni dei ragazzi stessi. Un importante dato che emerge dalla ricerca, e che sollecita opportune riflessioni, è la richiesta di poter avere strumenti utili alla comprensione del fenomeno per poi poter agire da soli; agli adulti i ragazzi chiedono comprensione ma non accettano la loro intromissione nella soluzione. Irene Gorelli Assessore alle Politiche Sociali Provincia di Prato 9 10 INDICE Introduzione pag. 13 PARTE I. Il bullismo come fenomeno psicosociale 1.1 Cos’è il bullismo 1.2 Una relazione in gioco: chi, come, dove, quando... 1.3 ... e perché? Il bullismo fra cause e conseguenze 1.4 L’entità del fenomeno. I dati internazionali ed italiani pag. 17 pag. 17 pag. 19 pag. 20 pag. 25 PARTE II. Come contrastare il fenomeno Dall’informazione alla mediazione tra pari 2.1 Pratica educativa mirata e prevenzione: uno sguardo all’Europa 2.2 Interventi in Italia 2.3 Contributi dalla Toscana 2.4 L’esperienza dell’Istituto Professionale Datini nella provincia di Prato pag. 29 pag. 29 pag. 31 pag. 34 pag. 37 PARTE III. La ricerca 3.1 Metodologia 3.2 Analisi e discussione dei risultati 3.3 Focus-group: i partecipanti alla ricerca a confronto 3.4 Note finali pag. 43 pag. 43 pag. 44 pag. 71 pag. 75 Conclusioni pag. 77 Bibliografia pag. 79 Sitografia pag. 83 Appendici pag. 84 11 Dedichiamo questo libro ai ragazzi che hanno partecipato alla ricerca e ringraziamo per la disponibilità i presidi ed i professori delle scuole coinvolte. Alle professoresse Matilde Griffo dell’USP di Prato, Norma di Mauro dell’Istituto Professionale Datini, Vincenza Fasulo del Liceo Scientifico Livi, Rosanna Farabella dell’Istituto Tecnico Dagomari, Lucia Azzini e Marilena Bagnoli dell’Istituto d’Arte Bernini di Montemurlo, un ringraziamento speciale per aver messo a disposizione il loro tempo e la loro professionalità. 12 Introduzione INTRODUZIONE Comportamenti come impaurire, sottomettere, umiliare con prese in giro e pettegolezzi, escludere qualcuno dai giochi e dai discorsi, minacciare per ottenere denaro od oggetti caratterizzano da tempo memorabile gli ambienti di aggregazione giovanile, in particolare la scuola. Atti del genere vengono raccontati da giovani ed adulti, quindi non è fuori luogo pensare che si perpetuino di generazione in generazione. Frasi tipo “a scuola adesso i professori si scandalizzano per niente. Queste cose ci sono sempre state eppure siamo cresciuti bene”, oppure, “per due spintoni o prese in giro non è mai morto nessuno, anzi si impara a difendersi”, esprimono un’opinione diffusa in Italia e legittimano l’interesse che da qualche decennio le scienze psicologiche e sociologiche nutrono per le dinamiche e le relazioni di potere in contesti educativi. Nonostante sia sempre esistito, il bullismo è stato per molto tempo un fenomeno inosservato ed “innominato”, perciò privo di significato e senza una chiara definizione. A renderlo percepibile e leggibile sono stati i cambiamenti culturali e scientifici relativi al tema delle prepotenze tra bambini e ragazzi. La nostra società, infatti, ha subito profonde trasformazioni nell’ultimo secolo: l’incontro di popoli diversi, la complessa ed instabile convivenza di tradizioni, il processo d’integrazione fra più culture spingono ad una riflessione importante su ciò che caratterizza la nostra comunità. La figura del soldato, del combattente, di chi si impone con determinazione e incisività, si collega bene all’idea di una società liberale in cui la competizione è costante e a vincere è il più forte. Oggi, nonostante il nostro sia un paese in cui la competizione e la sopraffazione rappresentino delle coordinate di vita, prevalgono in maniera spesso contraddittoria valori come la pace, il dialogo, la tolleranza, la risoluzione non violenta dei conflitti: tutta una serie di atteggiamenti a lungo considerati normali, consueti e non connotabili come problema, iniziano oggi ad essere oggetto di esame. Questo slittamento di pensiero si è unito anche ad una svolta avvenuta all’interno della comunità scientifica. L’Italia, attenta all’evolversi della situazione nelle nazioni in “emergenza bullismo”, ha diretto lo sguardo al proprio contesto e si è interrogata sulla propria condizione rispetto al fenomeno. Possiamo tranquillamente affermare che la sensibilità verso il tema del bullismo è aumentata grazie al prezioso contributo delle prime ricerche italiane coordinate da Ada Fonzi1. Si assiste ad un chiaro scollamento tra i valori trasmessi ai giovani e ciò che essi devono toccare con mano ogni giorno, sia in casa che a scuola. Prendiamo, ad esempio, un professore che durante una lezione di educazione civica esorta uno studente a dire la sua opinione, per poi schernirlo davanti al resto della classe se ha espresso un concetto poco chiaro. Oppure, un genitore che sistematicamente dice al figlio di “non urlare”, urlando a sua volta. A tutto questo si aggiunge l’educazione alla pace in un paese che ha partecipato ad azioni offensive verso altri paesi definiti “più deboli”. Concetti come tolleranza, dialogo, confronto vengono in realtà passati con modalità comunicative fortemente ambigue. Non stupiamoci se, nonostante la nostra sia “idealmente” una cultura di pace 1 Professoressa di Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione presso l’Università degli Studi di Firenze. 13 Introduzione (vista anche la matrice cattolica), una percentuale preoccupante di adolescenti italiani presenta atteggiamenti “bullistici”2. Fra i giovani la prevaricazione è sempre più diffusa e c’è da chiedersi se gli adulti di riferimento, con il loro ruolo chiave nei processi di socializzazione ed educazione del ragazzo, la stiano utilizzando per primi nelle loro relazioni quotidiane. Diventa necessario, non solo indagare l’entità del problema ed agire nelle scuole dove c’è un’emergenza, ma affrontare anche la questione della cultura che sorregge il fenomeno, poiché è questa a legittimare diffusamente il ricorso a quelle violenze e prepotenze che possono esprimersi anche in forme diverse dal bullismo. Per comprendere il bullismo è, pertanto, d’obbligo muoversi dagli stili educativi parentali ai comportamenti assunti dagli adulti significativi, dal modello educativo seguito dall’insegnante alla posizione dell’istituto scolastico, dall’atteggiamento sociale alle decisioni istituzionali. Ma chi è il bullo? Bullo è chi compie deliberatamente e frequentemente prepotenze verso chi sente più debole. Sarebbe però un errore pensare che da solo possa dare avvio ad un fenomeno così complesso: di fatto, il bullo è soltanto uno degli attori in scena. Con questo contributo si cercherà di dare una definizione del fenomeno, di comprendere la sua matrice sociale e le caratteristiche degli attori coinvolti, di riassumere le possibili cause e conseguenze delle prepotenze e di fornire un quadro sintetico dell’entità del bullismo in Italia (prima parte). Successivamente saranno illustrati gli interventi attuati per affrontare il problema del bullismo, con un rapido sguardo all’Europa e con una rassegna dei contributi italiani: in particolare, saranno descritti i progetti presentati in Toscana e nella provincia di Prato, come “Incontriamoci”dell’Istituto Tecnico Professionale Datini (seconda parte). Infine, sarà presentata la ricerca, condotta da Asel srl3 per l’Osservatorio Sociale della Provincia di Prato, che ha coinvolto quattro scuole superiori del territorio. Dopo una descrizione della metodologia e dei risultati ottenuti con un questionario e con due focus group, si passerà a tracciare una possibile linea di intervento da attuare a livello provinciale (terza parte). La scelta della Provincia di interessarsi alle scuole superiori sembra andare in una direzione diversa dalle principali linee di ricerca, legate soprattutto alla scuola dell’obbligo. Per quanto riguarda le superiori, il panorama di ricerche e di interventi è infatti più limitato. Questo può essere spiegato con la diminuzione del fenomeno delle prepotenze e delle violenze all’aumentare dell’età dei ragazzi, come indicato dalla letteratura. In realtà, l’ambito delle scuole superiori costituisce lo sfondo in cui modalità di interazione disadattive e distorte possono stabilizzarsi e costituire un problema sempre più difficile da affrontare. Per questo in altre nazioni, come Olanda, Belgio Spagna, Lussemburgo, Francia, Finlandia, il Ministero per l’Educazione ha varato un piano nazionale di contrasto al bullismo, valido anche per gli Istituti secondari (cosa che in Italia manca ed è auspicabile che avvenga). 2 A partire dal mese di novembre 2006 la cronaca nazionale ha riportato sulle prime pagine di tutti i quotidiani episodi allarmanti di prevaricazioni e violenze agite all’interno del mondo scolastico. 3 Agenzia di Servizi per le Economie Locali - Provincia di Prato. 14 Introduzione La ricerca che viene proposta in questo volume vuole “fotografare” la situazione delle scuole superiori della provincia di Prato rispetto al fenomeno delle prepotenze fra adolescenti. Il presente lavoro si pone, quindi, come stimolo alla riflessione sul bullismo stesso, affinché venga maggiormente indagato, compreso ed efficacemente affrontato. Interrogarsi sullo stato delle cose è il passo iniziale per capire ed attrezzarsi a contrastare il problema laddove esiste. 15 16 Il bullismo come fenomeno psicosociale Parte I. Il bullismo come fenomeno psicosociale Ci sono due dimensioni che possono descrivere molto bene il fenomeno del bullismo: quella del potere individuale all’interno della relazione e quella del potere sociale all’interno del gruppo. Le prepotenze, le angherie, le umiliazioni trovano terreno fertile quando un gruppo si allontana dalla convivenza civile e democratica ed avalla la posizione dispotica di alcuni. La persona che si trova a vivere in questo “stato di non diritto” può essere più facilmente vittima se ha scarso potere nella relazione, o bullo se al contrario ha grandi capacità di azione all’interno di questa dinamica. Il bullismo è un fatto psicosociale proprio per questo, poiché riguarda profondamente la psicologia dell’individuo, si genera da una particolare relazione interpersonale, coinvolge il sistema collettivo ad ogni suo livello ed esprime una cultura prevaricatrice e prepotente. A tal proposito, le ricerche campionarie svolte per l’annuale Rapporto Nazionale sulla Condizione dell’Infanzia e dell’Adolescenza (Eurispes e Telefono Azzurro, 2005) offrono dell’adolescente italiano due rappresentazioni altamente dicotomiche: arrabbiati, annoiati, aggressivi e prematuramente autonomi da una parte; bisognosi di protezione, emotivamente fragili e per molto tempo dipendenti dall’altra. Non è da escludere quindi che il bullismo, se incontra la tolleranza sociale, possa nutrirsi anche di questa “impreparazione” alla convivenza coi bisogni e con la diversità altrui. 1.1 Cos’è il bullismo Nell’immaginario collettivo il bullo è da sempre l’antagonista che dà risalto alle straordinarie qualità morali del “buono”, il capro espiatorio malvagio prima o poi punito dalla giustizia sociale, l’ostacolo al successo e alla realizzazione personale. In Italia, l’atteggiamento comune assunto nei confronti del bullo è stato di silenziosa sopportazione perché il “prepotente” della scuola, del quartiere o del paese si è rivelato per anni una figura tollerata in quanto presenza naturale all’interno di una comunità, come fosse una norma anche la presenza di un leader prevaricatore. Di fatto, il bullo “all’italiana” è ridimensionato nel suo aspetto violento e pericoloso, al punto che si è parlato spesso di “bulletto” in modo fin troppo benevolo e permissivo. Forse questo atteggiamento ha contribuito a ritardare l’interesse dell’Italia per il tema e giustifica in parte la maggior diffusione del bullismo nel nostro Paese rispetto al resto dell’Europa. Aldilà, però, del profilo romanzato e dell’immagine che la letteratura, la cinematografia e la visione popolare rimandano, il bullo emerge dalla cronaca nazionale e dal lavoro scientifico degli ultimi anni come protagonista di un complesso ed articolato fenomeno. Porre rimedio al bullismo potrebbe, di primo acchito, sembrare un bisogno sociale “portato alla luce” senza segnali di necessità da parte della comunità. In realtà, la risposta all’interesse scientifico per il fenomeno rivela tutt’altro pensiero: dalla famiglia alla scuola si è sollevato un alto consenso ed una forte partecipazione, affinché siano comprese le dinamiche del fenomeno e si trovi finalmente una modalità efficace ed adeguata per fronteggiare le prepotenze fra gli alunni di tutte le età. 17 Il bullismo come fenomeno psicosociale Il termine bullismo è entrato in Italia come neologismo poco dopo, e forse non a caso, che in un articolo Ada Fonzi (Fonzi, 1995) ne ha evidenziato la preoccupante presenza nel nostro Paese. Tradotto dall’inglese bullying, la parola bullismo si riferisce ad una condizione in cui vi è la presenza di un prevaricato e di un prevaricatore (Fonzi, 1997). Riconoscendo la radice relazionale del fenomeno, l’Italia ha quindi adottato il significato anglosassone del vocabolo, che definisce il bullo non soltanto “un giovinastro spavaldo e violento” ma un “individuo che impiega la propria forza o potere per intimidire o ledere un individuo più debole”. La comunità scientifica sta cercando ora di conoscere e comprendere la consistenza e la fisionomia del fenomeno (Olweus, 1973, 1977, 1993; Perry, Kusel & Perry, 1988; Sharp & Smith, 1994; Fonzi, 1997, 1999; Menesini, 2000) e questo è possibile grazie ad una chiara e condivisa definizione che permette comparazioni cross-culturali. L’autore al quale si deve tale definizione, grazie al suo pionieristico sforzo ed impegno costante nella ricerca sul bullismo in ambito scolastico, è il norvegese Dan Olweus. Ad oggi, è comunemente condiviso che “uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato quando” tale studente “viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni. Un’azione viene definita offensiva quando una persona infligge intenzionalmente o arreca un danno o un disagio a un’altra” (Olweus, 1993). Il bullismo, perciò, non è un atteggiamento o un atto aggressivo, ma un vero e proprio processo dinamico che parte dalla relazione prepotente-vittima. Tale relazione deve, inoltre, presentare le seguenti caratteristiche: 1. Intenzionalità: il bullo agisce deliberatamente con lo scopo di dominare l’altro arrecandogli danno o disagio. 2. Sistematicità: le prepotenze agite e subite sono costanti e frequenti nel tempo. Le offese occasionali e non gravi o un solo esecrabile evento di prevaricazione non sono registrabili come forme di bullismo, proprio perché in letteratura si indicano come tali sole prepotenze frequenti nel tempo rivolte alle solite vittime. 3. Asimmetria nella relazione: nella relazione bullo-vittima c’è un chiaro squilibrio di potere; mentre il prevaricato ha difficoltà a difendersi e si trova in una posizione di impotenza, il prevaricatore è generalmente più grande o più forte della vittima. Pertanto, i litigi tra due soggetti pressoché della stessa forza o i casi di lotta fisica messi in atto per gioco non sono considerati episodi di bullismo. Non di rado accade, però, che per episodi in cui si assiste ad un’alternanza di ruoli tra le diverse figure coinvolte, piuttosto che ad un’asimmetria di potere, si faccia riferimento improprio a forme di bullismo. Il bullismo si manifesta attraverso differenti modalità. Le forme indirette sono osservabili e caratterizzate da aggressioni compiute direttamente nei confronti della vittima attraverso mezzi fisici o verbali (Olweus, 1993; Fonzi, 1997). Il contatto fisico tra il bullo e la vittima può quindi avvenire attraverso pugni, botte, calci, percosse di varia natura ed intensità. La stessa violenza, tuttavia, può essere diretta anche agli oggetti della vittima, che vengono così danneggiati o rubati. I mezzi verbali sono le minacce, le ingiurie, gli insulti e le derisioni verso la vittima, con possibili gesti di scherno o comportamenti che la mettono in ridicolo. Le forme indirette, meno brutali ma comunque dannose, sono l’isolamento, l’allontanamento o l’esclusione dal gruppo, la diffusione di maldicenze e storie inventate a scapito della vittima (Olweus, 1993; Fonzi, 1997). 18 Il bullismo come fenomeno psicosociale 1.2 Una relazione in gioco: chi, come, dove, quando... I protagonisti delle prepotenze sono: - il bullo, che le compie, - la vittima, che le subisce, - lo spettatore, che assiste e per ciò appartiene allo scenario del bullismo. Gli studi e le ricerche degli ultimi 30 anni ci permettono di descrivere ciascuna figura in sottotipi dal profilo psicologico e comportamentale più preciso. L’articolazione del fenomeno in questi termini non risponde ad un piacere tassonomico fine a se stesso, ma alla necessità di conoscere il bullismo nei suoi meccanismi di funzionamento e mantenimento, per orientarsi nella prevenzione e nell’intervento. È così possibile distinguere oggi il bullo dominante da quello gregario, la vittima passiva da quella provocatrice, lo spettatore attivo dall’ “outsider ”4. Sappiamo che il bullo dominante utilizza la propria forza e la violenza per ottenere ciò che desidera senza curarsi dell’altro. Agisce con impulsività, si arrabbia facilmente e tollera con difficoltà le frustrazioni. Il suo atteggiamento oppositivo, provocatorio ed aggressivo è generalizzato e mira alla sottomissione dell’altro in segno del proprio potere. Fisicamente più forte del coetaneo, prevarica ed umilia la sua vittima; mantiene un atteggiamento negativo di fronte alle regole e manipola il rapporto con l’altro a proprio vantaggio. Ha un’opinione piuttosto positiva di sé, si dimostra sicuro, quasi mai ansioso ed ha probabili difficoltà di comunicazione. Il bullo gregario, o passivo, assume il ruolo di aiutante del bullo dominante. Esegue gli ordini e non prende iniziativa: più incerto, più ansioso e meno popolare del classico bullo, ricerca la stima del gruppo appoggiando le vessazioni; rispetto al bullo dominante è più incline ad esperienze empatiche e a sensi di colpa nei confronti della vittima. La vittima sottomessa, o passiva, è generalmente timorosa, insicura, sensibile e cauta. È un soggetto che si valuta negativamente, che non ha fiducia nelle proprie capacità e che ha difficoltà nelle relazioni con i coetanei. La vittima passiva non è in grado di difendersi e non ha la vicinanza del gruppo, dal quale spesso è esclusa. Il comportamento goffo ed impacciato la rende facilmente bersaglio dei suoi persecutori, di fronte ai quali reagisce chiudendosi in se stessa o piangendo. Tende a negare il problema e a subire passivamente e con rassegnazione le aggressioni. Spesso la vittima sceglie di non parlare di ciò che le accade per vergogna o per timore di essere ulteriormente maltrattata. Soggetti particolarmente a rischio di prepotenze e giochi di potere da parte dei bulli sono giovani extracomunitari e giovani disabili. La vittima provocatrice è un soggetto che, pur in netto svantaggio fisico rispetto al bullo, replica le azioni aggressive dell’altro. Nel ruolo di sfidante e di vittima, combina modalità di reazione prepotenti e timorose. Spesso è un maschio, con bassa autostima e dal comportamento irrequieto, impulsivo ed offensivo. È probabile che abbia problemi di concentrazione ed iperattività. La vittima provocatrice assume atteggiamenti che creano tensione e irritazione nei coetanei (nel gruppo di amici, in classe, ecc.) e negli adulti, i quali reagiscono spesso a suo danno. 4 Le definizioni che seguiranno sono il frutto di una revisione e di un lavoro di sintesi dei contributi sul tema presenti in letteratura. Per la conoscenza dei testi si rimanda alla bibliografia e sitografia finali. 19 Il bullismo come fenomeno psicosociale Oltre al coinvolgimento dei bulli e delle vittime, il fenomeno si manifesta in più espressioni anche per la presenza di bambini e ragazzi spettatori, che assistono alle prepotenze o ne sono a conoscenza. Ben 4 episodi di bullismo su 5 avvengono davanti al gruppo dei pari (Craig e Pepler, 1997): dato che siamo di fronte ad un fenomeno difficilmente segnalato dai ragazzi, ciò significa che nella maggior parte dei casi le azioni bullistiche passano sotto gli occhi di molte persone senza che siano denunciate o si intervenga in alcun modo. È questo il caso della cosiddetta maggioranza silenziosa o outsider. L’individuo che vi appartiene cerca di non essere coinvolto dimostrandosi indifferente di fronte alle prepotenze. L’omertà a cui si assiste è forse una delle risorse più potenti per il perpetuarsi del fenomeno, in quanto approva e rinforza su un piano sociale, oltre che individuale, il ricorso alla violenza nella relazione con l’altro. Il sostenitore incita, apprezza e sostiene apertamente il bullo mentre il difensore cerca di interrompere le vessazioni prendendo le parti della vittima, confortandola ed alleandosi con lei. Sono spesso le femmine ad assumere il ruolo del soccorritore. Il bullismo è quindi un fenomeno di gruppo che coinvolge tutti i presenti, siano essi attivi, passivi o neutrali nel sostenere o contrastare le angherie. Le ricerche sostengono che la facile distinzione di genere che si fa, pensando al bullismo come ad “una cosa da maschi”, valga solo per le modalità con le quali si agiscono le prepotenze: di fatto, i protagonisti possono essere sia maschi che femmine, anche se quest’ultime con una frequenza assai minore. Un maschio è generalmente un prepotente diretto che aggredisce, soprattutto fisicamente, vittime di entrambi i sessi. Una femmina è più facilmente una prevaricatrice indiretta di un’altra femmina. Stessa distinzione per le vittime, poiché un maschio riceve maggiormente aggressioni dirette rispetto ad una femmina, vittima quest’ultima di prepotenze più indirette. Spesso il protagonista ha un’età compresa fra i 7-8 e i 14-18 anni: più è giovane più agisce o subisce attacchi fisici (come percosse, furti, brutti scherzi) anziché verbali (prese in giro ripetute, minacce, provocazioni); Gli ambienti dove gli episodi di bullismo hanno luogo con frequenza sono quelli dei plessi scolastici: in aula, nel corridoio, in bagno, nel cortile, in palestra, nei laboratori e in zone appartate e non vigilate dell’istituto. Talvolta le prepotenze, anche se con frequenza meno accentuata, si verificano alle fermate degli autobus e sui mezzi di trasporto, nei locali e luoghi di ritrovo di massa,come le discoteche, i bar, le sale-giochi, giardini e parchi pubblici. Anche i momenti in cui le azioni bullistiche prendono scena ruotano spesso attorno ai tempi scolastici: prima di entrare a scuola, durante la ricreazione, durante la permanenza in aula, all’uscita da scuola, nel tragitto che il ragazzo percorre fra casa e scuola. 1.3 ... e perché? Il bullismo fra cause e conseguenze Ogni comportamento umano è il risultato di un “complesso gioco di azioni e retroazioni” (Fonzi, 1997), oltre che di componenti genetiche, evolutive ed ambientali che concorrono a disegnare la linea di crescita individuale. Non c’è un’unica causa, né un insieme di elementi che determina l’insorgere del problema. Per spiegare le origini del bullismo è necessario ricorrere ad un’ottica “multifattoriale”, tenere cioè presente l’insieme dei fattori che, interagendo tra loro, sono in grado di darci una spiegazione sul suo avvio. 20 Il bullismo come fenomeno psicosociale Gli elementi che contribuiscono all’espressione della vulnerabilità individuale rispetto al fenomeno sono aspecifici, ovvero, non riscontrabili solo in questo quadro problematico. Ad essere specifica è la loro interazione, che varia sia in base ai diversi contesti di azione e di appartenenza (la dimensione familiare, sociale ed ecologica) sia in relazione al tempo (età, fasi dello sviluppo, ecc.). Il bullismo si configura quindi come un processo che si costruisce nel tempo e all’interno di relazioni. E come tale, al pari di ogni altro fenomeno, va considerato un “fatto sociale” (Eurispes-Telefono Azzurro, 2002). È ripetuto in letteratura che il bullismo non è appannaggio esclusivo del genere maschile; sembra però che un maschio corra un rischio maggiore di entrare nel fenomeno rispetto ad una femmina. Nel gioco delle parti, i maschi risultano più attivamente coinvolti nel fare prepotenze (Lagerspetz et al., 1982; Whitney e Smith, 1993), mentre le femmine sono più propense ad assumere comportamenti prosociali (Hoffman, 1977 in Menesini e Gini 2000). I soggetti che più di altri restano coinvolti in certe dinamiche si trovano negli anni della scuola elementare-media ed all’inizio delle superiori. A livello della scuola primaria i bambini non hanno sviluppato in modo completo abilità cognitive fondamentali per instaurare delle relazioni sociali di tipo soddisfacente (Miller, 1983). Ciò determina una certa “incompetenza” sociale: in altre parole i bambini di questa età non sono in grado di comprendere che alcuni tipi di comportamento non devono essere adottati. Molto spesso accade che il bullo della scuola primaria non capisca che è sbagliato infliggere prepotenze ad altri compagni perché non riesce ad associare alla prepotenza il significato di comportamento negativo. Allo stesso tempo, la vittima non possiede ancora quelle determinate abilità sociali che le permettono di difendersi e di gestire il momentaneo squilibrio di potere. Una riflessione aggiuntiva che potrebbe permettere di giustificare la diminuzione della quantità di popolazione scolastica interessata dal fenomeno del bullismo nel passaggio dalla scuola primaria alla scuola secondaria, è data dal fatto che i soggetti d’età diversa hanno differenti rappresentazioni dello stesso evento (Levorato, 1988). È possibile che i ragazzi della scuola secondaria abbiano una rappresentazione, di ciò che è il bullismo, diversa dagli alunni più piccoli: la maggiore esperienza delle relazioni tra coetanei permette loro di circoscrivere il fenomeno delle prepotenze a specifiche dinamiche sociali; al contrario i bambini della scuola primaria associano, impropriamente, al bullismo una gamma più vasta d’eventi. L’evolversi del fenomeno in una prospettiva longitudinale di vita è ormai chiaro grazie alle tante ricerche sul tema: il numero dei giovani coinvolti si riduce progressivamente nel passaggio tra le scuole primarie e quelle secondarie di primo grado mentre, più significativamente, nel passaggio della scuola secondaria dal primo al secondo grado gli episodi “bullistici” si fanno meno numerosi e meno frequenti. Inoltre, con l’aumento dell’età le aggressioni cambiano forma, in quanto si riducono gli attacchi fisici ed aumentano le prepotenze verbali. Nonostante la portata del fenomeno diminuisca con la crescita del bambino, ci si scontra con l’aggravamento delle prevaricazioni e con l’irrigidirsi dei ruoli di bullo e di vittima: la forza ed il grado di pericolosità delle azioni messe in atto contro l’altro crescono in adolescenza al punto di tradursi, nei casi più estremi, in veri e propri comportamenti devianti. Si esce così dal fenomeno del bullismo per entrare in quello della devianza minorile a cui appartiene un’ampia gamma di comportamenti antisociali. Gli studi che si occupano di indagare i fattori di vulnerabilità al fenomeno hanno individuato nel temperamento, ovvero nel substrato biologico di fondo del carattere, uno degli elementi che possono predisporre un soggetto all’aggressività. Fondamentale è anche l’esperienza di attaccamento alla figura 21 Il bullismo come fenomeno psicosociale accudente che il bambino fa nei primi anni di vita; secondo la teoria dell’attaccamento (Bowlby 1969, 1988) vi è nell’uomo la tendenza innata a ricercare la vicinanza della figura significativa ogni volta si costituiscano situazioni di pericolo o dolore. Il modo in cui la figura di accudimento risponde ai bisogni di protezione e cura del bambino è fondamentale per lo sviluppo di modalità di relazione adeguate. Sembra che un accudimento negativo, senza coinvolgimento o calore favorisca nel bambino comportamenti aggressivi. Gli aspetti psicologici che soggiacciono al comportamento del bullo sembrano essere: un forte bisogno di potere e dominio (per cui sembrano godere nel controllare e sottomettere gli altri) ed una componente strumentale (per la quale i bulli spesso costringono le vittime a procurare loro denaro, sigarette o oggetti di valore). Inoltre, sia la condizione di vittima che di bullo appare legata a difficoltà nel riconoscere e valutare le emozioni e i loro specifici segnali emotivi, specialmente per le vittime per quanto riguarda la rabbia, il che potrebbe impedire loro di riconoscere il potenziale aggressore per potersene difendere; ed inoltre l’incapacità di leggere tale emozione potrebbe impedire il controllo delle proprie manifestazioni comportamentali provocando ulteriormente la rabbia dell’altro. Nei bulli si riscontra invece una generale immaturità nel riconoscimento delle emozioni, che soprattutto riguarda la felicità. Inoltre, nelle vittime appare scadente la capacità di raccontarsi, in quanto producono storie meno complete ed utilizzano uno stile narrativo meno evoluto rispetto ai bulli. L’unico punto in cui sono i bulli a differenziarsi dalle vittime e dal gruppo di controllo in senso negativo è quello che riguarda il disimpegno morale, processo per cui si può giustificare un’azione violenta sostenendo che la si fa a fin di bene, o che contravvenire a una norma “non è poi così grave”. Un altro meccanismo psicologico implicato nella relazione vittima-prepotente è l’empatia. Per empatia si intende la capacità di un individuo di comprendere e condividere gli stati emotivi sperimentati da un’altra persona. Si può condividere la gioia, ma anche la sofferenza altrui. Probabilmente i soggetti che prevaricano i propri compagni difettano fortemente di capacità empatiche dal momento che sembrano non rendersi conto delle sofferenze che inducono in quei ragazzi che subiscono le loro prevaricazioni. Anche le vittime, non riconoscendo le emozioni (specie la rabbia), hanno una scarsa abilità nel sintonizzarsi affettivamente con i compagni: interagiscono così in modo spesso inadeguato e stimolano l’aggressività dei compagni. Pare, pertanto, che in termini di rappresentazioni mentali nei confronti del “diverso”, sia i bulli che le vittime abbiano scarsa plasticità, povertà strutturale rappresentativa, un repertorio ristretto di modalità comunicative e scarsa capacità di tenere conto delle caratteristiche dell’altro nel dosare il grado di intimità nei suoi confronti. Nuove ricerche hanno messo in risalto il peso degli stili educativi parentali nell’emergere del bullismo, attribuendo particolare importanza alla coercizione ed alla permissività. I modelli educativi e le condizioni che possono aver favorito durante l’infanzia lo sviluppo di atteggiamenti ostili ed aggressivi verso l’ambiente, sono i risultati di un atteggiamento negativo di fondo, caratterizzato da mancanza di calore e di coinvolgimento da parte dei genitori ed, in particolare, della figura che principalmente si prende cura del bambino nei primi anni di età (in genere la madre). Un atteggiamento educativo permissivo e tollerante invece non pone chiari limiti al comportamento del bambino, sia esso aggressivo o sregolato. In sostanza, l’uso coercitivo del “potere” da parte del genitore, poco amore, poca cura e troppa libertà nell’infanzia sembrano essere le condizioni che contribuiscono fortemente allo sviluppo di un modello 22 Il bullismo come fenomeno psicosociale aggressivo. L’ambiente familiare, oltre a favorire l’origine di certi atteggiamenti, rinforza tali modalità di relazione prepotenti durante tutta la crescita del ragazzo: mentre le vittime sono accomunate da uno stile educativo parentale di indifferenza, i bulli sono spesso oggetto di un atteggiamento di approvazione da parte dei familiari. Vi sono poi spesso problemi familiari di fondo: rapporti conflittuali tra i genitori, divorzio, disturbi psichiatrici, alcolismo, tossicodipendenza, ecc. Sia in Italia che in Inghilterra i soggetti implicati nel bullismo presentano alcune caratteristiche simili per quanto riguarda la rete dei rapporti familiari: nelle famiglie dei bambini bulli risulta spesso l’assenza del padre naturale a casa, un basso grado di coesione sia tra i genitori che tra il bambino ed ogni genitore; questa invece risulta più alta nel caso delle vittime. Mentre si è visto che il grado di istruzione dei genitori ed il livello socio-economico non sembrano correlati alle condotte dei figli, a livello sociale i fattori di gruppo favoriscono l’emergere di comportamenti aggressivi e passivi fra ragazzi. All’interno del gruppo si assiste ad un indebolimento del controllo e dell’inibizione delle condotte negative e si sviluppa una riduzione della responsabilità individuale. Questi fattori fanno sì che in presenza di ragazzi aggressivi, anche coloro che generalmente non lo sono, lo possano diventare spingendo il gruppo verso la ricerca di una vittima. Risulta evidente da molti studi che, sia nei ragazzi che negli adulti, il comportamento aggressivo può essere stimolato dall’osservazione degli atteggiamenti e dei comportamenti di un “modello” che agisce aggressivamente e ancor più se questo viene valutato positivamente dall’osservatore come duro, coraggioso e forte. L’osservazione di un modello che viene ricompensato per il comportamento aggressivo porta ad una diminuzione delle inibizioni dell’osservatore nei confronti della propria aggressività. Nel bullismo questo meccanismo agisce in quanto il bullo (modello) viene ricompensato dalla vittoria riportata sulla vittima, ed inoltre il suo comportamento risulta produrre scarse conseguenze negative da parte sia degli insegnanti che dei genitori e dei coetanei. Maggiormente influenzabili in tal senso sono i ragazzi insicuri e dipendenti (passivi, gregari), che non godono di considerazione all’interno del gruppo dei coetanei e desiderano affermarsi. Questo processo può essere definito “contagio sociale”. Infine, certi studenti non aggressivi possono partecipare ad episodi di bullismo per una diminuzione e diluizione del senso di responsabilità individuale che riduce il senso di colpa dopo l’episodio collettivo; questo può accompagnarsi ad una distorsione cognitiva che porta a percepire gradualmente la vittima come persona incapace, che “merita” di essere molestata. La recente individuazione di “altre figure” che agiscono le prepotenze, o che le assistono, ha permesso di comprendere come il processo di “cristallizzazione” della relazione sia più probabile. E’ proprio di questo gran numero di soggetti coinvolti nel fenomeno che si sta sempre più tenendo conto per contrastare il bullismo. Il contesto relazionale che si produce con il bullismo è tipico di un sistema chiuso, problematico che non ha trovato sbocchi per uno sviluppo evolutivo corretto della relazione tra pari. In assenza di ciò prendono spazio le dinamiche negative dove i rapporti interni tra i compagni si ritualizzano in comportamenti di sopraffazione e svalorizzazione dell’altro, di passività e d’impotenza, oppure in atteggiamenti d’indifferenza e di non intervento. In generale qualsiasi gruppo produce sia identità individuali, sia identità di gruppo che si possono, talvolta, fissare in relazioni e comportamenti ripetitivi e negativi, assegnando ruoli, stereotipi ed etichette che durano nel tempo. Il bullismo, come fenomeno che si genera e si mantiene nel gruppo classe, non fa eccezione. La scuola ha un ruolo fondamentale nei processi di adattamento/disadattamento dei 23 Il bullismo come fenomeno psicosociale bambini e dei ragazzi, poiché assume notevole rilevanza ponendosi come fattore di protezione o di rischio rispetto ai possibili percorsi evolutivi. La qualità dell’esperienza scolastica viene qui intesa in senso globale: non solo come successo o insuccesso scolastico, ma anche come socializzazione, condivisione di esperienze, partecipazione, crescita cognitiva ed affettiva del singolo e del gruppo. Le condizioni della scuola e la sua organizzazione possono costituire un elemento di prevenzione o di aggravio delle dinamiche di prevaricazione. Nel contesto extrascolastico un ragazzo che subisce una prepotenza può scegliere di non stare più con quel gruppo; a scuola ciò non è possibile, essendo obbligato a condividere con gli stessi compagni almeno un intero anno scolastico. Per la vittima di prepotenze tutto ciò ha conseguenze a breve e a lungo termine. Spesso la vittima non trova le condizioni per il riscatto, perché non ci sono né condizioni ambientali di tutela fisica, né l’aiuto di un adulto che interrompa la routine. Il bullo non trova, invece, il contenimento necessario all’impulsività e all’aggressività, in un contesto in cui si sente perfettamente a proprio agio e che gli appare senza regole; non trova adulti che lo possano aiutare a raggiungere la consapevolezza e ad uscire dal ruolo che si è costruito e che talvolta è l’unico modo che conosce per socializzare (Costantini, 2000). Alcune ricerche hanno dimostrato che non esiste correlazione tra la frequenza degli episodi di bullismo e l’ampiezza della scuola e della classe, né tanto meno che il fenomeno si manifesti con maggior incidenza nelle grandi città. Per concludere, sembra essere fondamentale l’attenzione dell’adulto ai processi relazionali e alle dinamiche interpersonali che si stabiliscono all’interno della scuola. Le statistiche riferiscono che un bambino su tre all’interno della scuola dell’obbligo subisce prepotenze, e se è vero che poi il numero di ragazzi coinvolti diminuisce al passaggio alla scuola secondaria, è altrettanto vero che i protagonisti del fenomeno vanno incontro ad un alto rischio psicosociale. Alcuni studi condotti longitudinalmente hanno cercato di affrontare l’argomento ed hanno portato a disegnare per lo più scenari di tipo disadattivo. Non stupisce che i bulli, avendo una certa incapacità a rispettare le regole, incorrano più facilmente in comportamenti problematici, quali abuso di alcool o di altre sostanze, e in azioni criminali. Lo status di adulto “antisociale” o “deviante” deriva sicuramente dalla loro condotta impulsiva, irrequieta ed aggressiva, ma anche dalla reputazione agli occhi di chi li circonda: i bulli non possono comportarsi in altro modo in quanto da loro ci si aspetta solo questo. Le vittime manifestano, invece, a lungo termine un maggior numero di episodi depressivi, una stima di sé più bassa, un’elevata percentuale di abbandoni scolastici, problemi nel realizzarsi in ambito professionale e un maggior numero di suicidi. I nostri protagonisti poggiano quindi su una struttura disadattiva, che si articolata diversamente. Entrambi, cioè, si differenziano dai compagni non coinvolti nel fenomeno per evidenti connotazioni maladattive, che nei bulli si traducono talvolta in disturbi nella condotta e nelle vittime più probabilmente in disturbi affettivi. Si può, in ultimo, sottolineare che l’estensione o la riduzione del fenomeno del bullismo dipende in buona parte dalla volontà e dal coinvolgimento degli adulti interessati, sia familiari che educatori, poiché hanno la possibilità, oltre che la responsabilità, di assicurare al bambino le condizioni migliori per il suo sviluppo e di favorire la consapevolezza dei valori della socialità fin dall’infanzia. 24 Il bullismo come fenomeno psicosociale 1.4 L’entità del fenomeno. I dati internazionali ed italiani Il bullismo è stato studiato a livello internazionale (Olweus, 1978; Slee, Murray-Harvey, Saebel, Taki, 1997; Rigby, 1997; Whitney e Smith, 1993) e i dati hanno mostrato che porzioni significative della popolazione scolastica di diverse nazioni sono coinvolte nel fenomeno delle prepotenze. In Norvegia e in Spagna il 15% degli alunni sembra essere implicato in episodi di bullismo, in Irlanda l’8%, nel Regno Unito il 27%, in Giappone il 12,5% e in Canada il 20% (Fonzi, 1997). Nello specifico, i Paesi della Scandinavia sono stati i primi a occuparsi del problema del bullismo. Nel 1983 all’interno di una campagna nazionale antibullismo, promossa dal Ministero della Pubblica Istruzione norvegese, furono coinvolte 715 scuole per un arco di età che variava dagli 8 ai 16 anni. Per l’occasione fu utilizzato un questionario appositamente creato da Olweus (Olweus, 1979, 1991). Dai risultati emergeva che circa il 15% del campione complessivo era stato coinvolto nel fenomeno del bullismo: approssimativamente il 9% degli studenti rientrava nella categoria di vittima, il 7% in quella di bullo. La più grande e vasta indagine che coinvolse più di 6.000 alunni di scuola elementare e media fu condotta in Gran Bretagna da Whitney e Smith nel 1993. Secondo i risultati ottenuti il 27% degli alunni di scuola elementare e il 10% di quelli di scuola media affermavano di essere stati vittima di prepotenza durante il periodo scolastico, mentre i bulli risultavano essere il 12% del campione nella scuola elementare e il 6% nella scuola media. Dal 1999 al 2002 il fenomeno è stato indagato anche in Paesi non Europei come Israele, Giappone e Stati Uniti. A Gerusalemme è stata condotta un’indagine che ha coinvolto circa 2.000 ragazzi tra i 14 e 16 anni e gli indici del fenomeno sono risultati molto elevati. Infatti il 39,5% delle ragazze e il 50,3% dei ragazzi hanno dichiarato di subire azioni bullistiche, mentre il 27,0% delle ragazze e il 57,1% dei ragazzi ha affermato di agirle (Gofin, Palti e Gordon, 2002). In Giappone la percentuale di vittime è del 12,7% per i ragazzi e dell’8,3% per le ragazze, mentre i bulli dichiarati sono il 6,7% dei maschi e il 12,4 % delle femmine (Smith, Morita, e al., 1999). Infine negli Stati Uniti si stima che quasi il 30% dei giovani (oltre 5,7 milioni), nonostante assuma forme differenti a seconda di maschi e femmine, sia coinvolto in fenomeni di bullismo come bullo, come vittima o bullo e vittima nello stesso tempo. Prima di passare ad illustrare la situazione italiana abbiamo scelto di presentare una breve carrellata del fenomeno a livello internazionale per mostrare come, al di là delle differenze culturali e di contesto, il bullismo sia un fenomeno presente nelle società industriali avanzate che segnala una situazione più complessa di disagio sulla quale è necessario intervenire (Iannacone, 2005). Il primo progetto di ricerca sul fenomeno del bullismo in Italia risale al 1993, curato da Ada Fonzi, coinvolse 1.379 scolari delle ultime tre classi delle scuole elementari e delle tre classi della scuola media. A tale progetto ne sono seguiti altri e allo stato attuale disponiamo di dati che riguardano molte città italiane distribuiti in tutta la penisola (Iannacone, 2005). Dovendo fare una sintesi delle ricerche si può affermare che in Italia il fenomeno sembra avere dimensioni più elevate rispetto ai dati degli altri paesi europei, sia per quanto riguarda i prevaricatori che per quanto riguarda le vittime. Circa il 40% degli studenti di scuola elementare e il 28% degli studenti di scuola media dichiara d’aver subito delle prepotenze “qualche volta” o “piuttosto spesso”, mentre il 20% e il 15% dichiara di aver inflitto prepotenze ad altri compagni con la stessa frequenza 25 Il bullismo come fenomeno psicosociale (Menesini et al., 1997). Si nota quindi una significativa diminuzione della percentuale nel passaggio dalla scuola elementare a quella media. Allo stato attuale, disponiamo di dati sulle ultime classi delle scuole elementari e sulle scuole medie relativi a tutta penisola. Si può vedere dalla tab. 1 che il bullismo è ampiamente diffuso nelle scuole italiane, seppur con differenze di rilevo tra le diverse province. Tab.1 Scuole Elementari* Prepotenze subite Prepotenze agite M ** F** Torino 35,1% 35,2% Milano 51,9% 48,3% Bologna 46,5% 37,1% Firenze 41,0% 50,6% Roma Nd Nd Napoli 50,1% 45,6% Cosenza 21,9% 16,8% Palermo 39,4% 39,6% Cagliari 57,5% 30,7% *Classi terze, quarte e quinte ** M (maschi); F (femmine) M 30,4% 48,5% 34,9% 33,3% Nd 43,6% 13,8% 26,6% 42,4% F 24,8% 39,5% 31,5% 13,5% Nd 31,9% 6,7% 31,8% 19,4% Scuole Medie Prepotenze subite Prepotenze agite M 19,2% 32,0% Nd 29,2% 14,4% 29,6% 10,6% 17,5% Nd F 16,5% 29,8% Nd 31,2% 19,4% 32,3% 16,9% 25,7% Nd M 21,7% 37,9% Nd 28,5% 20,5% 33,1% 10,9% 19,9% Nd F 10,0% 30,9% Nd 15,1% 12,8% 30,3% 8,4% 20,2% Nd Fonte: Iannacone (2005). Il Bullismo scolastico. Un fenomeno da prevenire e contrastare. Queste ricerche sono nate per rispondere ad esigenze locali, pertanto, il quadro riportato dalla tabella non deriva da un progetto di ricerca su scala nazionale finalizzato a rilevare e monitorare il fenomeno nel nostro paese. È importante sottolineare, inoltre, che i dati sul bullismo relativi alle scuole superiori siano davvero ridotti, nonostante segnalazioni e fatti di cronaca mettano in luce come esso riguardi non solo fasce di età inferiori. Indagini nazionali che includono anche ragazzi delle scuole superiori, sono state realizzate dal Telefono Azzurro e da Eurispes (“Rapporto Nazionale sulla Condizione dell’Infanzia e dell’Adolescenza”). I dati pubblicati nel “5° Rapporto” (2004) indicano che il 33% degli intervistati, la cui età è compresa tra i 12 e i 18 anni, ha dichiarato che nella propria scuola si verificano continui atti di prepotenza nei confronti dei compagni. La stessa indagine è stata ripetuta nel 2005 e, in base al “6° Rapporto” Eurispes-Telefono Azzurro, emerge che circa il 40% dei ragazzi delle elementari, il 25% delle scuole medie e il 15% delle scuole superiori ha subito soprusi e prevaricazioni dai propri compagni. Le prepotenze subite risultano essere per il 26,5% di natura fisica e per il 39,2% di natura verbale. Scendendo ancora di più nello specifico possiamo notare come, per la maggior parte di casi relativi alle prepotenze verbali, i bulli ricorrano a prese in giro (41,9%), ad offese (30,1%), a mettere in giro voci sul conto delle loro vittime (23,9%). In relazione alle prepotenze di tipo fisico i bulli ricorrono spesso a pugni e spinte (16,9%). Per quanto riguarda la comunicazione della prepotenza subita, una larga fetta del campione dichiara di non dirlo a nessuno (46,4% in relazione ad adulti della scuola, 36,4% in relazione ad adulti di casa, 26 Il bullismo come fenomeno psicosociale 24,2% in relazione a coetanei e amici). Gli amici, i coetanei, i pari in generale restano comunque il confidente privilegiato quando si tratta di raccontare episodi di bullismo agiti e subiti5. A conclusione, la possibile e corretta quantificazione del fenomeno non è ostacolata esclusivamente dall’assenza di un’indagine globale ed estesa ad un campione italiano rappresentativo, ma anche dalla reticenza dei ragazzi coinvolti, specie delle vittime che hanno paura di riferire gli episodi per paura di rappresaglie e vendette. Piccoli drammi vanno in scena ogni giorno, soprattutto a scuola, senza che gli adulti si accorgano di niente. Infatti, una ricerca condotta contemporaneamente su studenti, genitori ed insegnanti, ha messo in luce che la percezione del bullismo da parte degli alunni, misurata con strumenti di autovalutazione, non trova uguale riscontro da parte di insegnanti e genitori, i quali sembrano sottostimare la presenza di prepotenze nella scuola. (Stockdale et al., 2002). Sempre secondo l’indagine Eurispes-Telefono Azzurro del 2005, nel 2002 un adolescente su tre (33,5%) rispondeva “sì” alla domanda “si verificano minacce o atti di prepotenza nella tua scuola da parte di compagni?”, percentuale che nel 2004 è salita al 35,4%. L’85% degli episodi di bullismo avviene in presenza del gruppo e la maggior parte di questi resta avvolta nel silenzio degli spettatori (“maggioranza silenziosa”). 5 Per i dati relativi all’età ed ai luoghi delle prepotenze rimandiamo al par. 1.2. 27 28 Come contrastare il fenomeno Parte II. Come contrastare il fenomeno Dall’informazione alla mediazione tra pari Il bullismo è un fenomeno trasversale ed è quindi difficile e anche semplicistico sostenere che il bullo proviene da un certo ambiente sociale piuttosto che da un altro; è senz’altro più opportuno sostenere che il bullismo si nutre di disagio e di difficoltà relazionali. Bulli e vittime hanno infatti atteggiamenti disadattivi nel rapportarsi con l’altro. A farne le spese per primi sono coloro che subiscono gli atti del bullo, ma gli stessi violenti si ritroveranno a fare i conti con la loro problematicità, di cui l’aggressività è solo la parte visibile, la punta di un iceberg, di un malessere pericoloso e a rischio di cronicizzazione. I protagonisti, nonostante il rischio maggiore ci sia per chi subisce e agisce le prepotenze, non sono solo i bulli e le vittime. Gli spettatori, come fa notare soprattutto la letteratura più recente, sono coinvolti nel fenomeno poiché partecipano alle dinamiche relazionali che possono sostenere o smorzare atteggiamenti bullistici (ad esempio con il silenzio o al contrario denunciando episodi di prepotenza). Evitando sterili divisioni in buoni e cattivi, con il rischio di prendere posizioni estreme di accusa o di difesa verso i ragazzi, una strada per affrontare il problema è cercare di fare emergere paure, emozioni, sentimenti aiutando a prendere consapevolezza dei comportamenti violenti e delle conseguenze che questi provocano. In questo capitolo illustreremo le pratiche di intervento relative al bullismo tenendo in considerazione la natura contestuale e relazionale del fenomeno, in quanto spesso è importante agire proprio sugli elementi ambientali che contribuiscono ad alimentare e a mantenere vive certe dinamiche. 2.1 Pratica educativa mirata e prevenzione: uno sguardo all’Europa Come già affermato il fenomeno del bullismo è ormai diventato paradigmatico; per far fronte a tale realtà ormai consolidata, nelle scuole delle diverse nazioni sono stati messi in atto dei metodi di prevenzione e alcune pratiche educative. Le proposte per affrontare il problema vanno dall’impostazione interventista di emergenza, come l’intervento sul gruppo classe nel caso venga rilevata la presenza di vittime e bulli, alle pratiche di prevenzione che si propongono di lavorare nelle scuole anche dove non è presente il problema nell’ottica di creare una cultura antibullismo. Sia si tratti di azioni mirate di intervento specifico, che di modelli di prevenzione, la letteratura internazionale parla di una politica scolastica globale (Olweus, 1991; Sharp e Smith, 1994) in cui si vedano coinvolti allievi, staff docente e non docente (inclusi direttori e presidi) e genitori. È necessario perciò che gli interventi siano rivolti a tutti gli alunni perché al fine di un cambiamento stabile e duraturo risulta maggiormente efficace agire non sui bulli e sulle loro vittime, ma sulla comunità degli spettatori (Iannacone, 2005). In altre parole l’intervento psicologico diretto unicamente al bullo è inefficace; il bullo non è moti29 Come contrastare il fenomeno vato al cambiamento dato che le sue azioni non sono percepite da lui come un problema, ma lo sono solo per la vittima, gli insegnanti e il contesto. D’altra parte l’intervento diretto sulla vittima, pur efficace a fini individuali, non lo è per quanto riguarda la riduzione del fenomeno del bullismo - quella vittima cesserà di essere tale e il bullo ne cercherà un’altra nel medesimo contesto. Per questi motivi è importante attuare un programma di intervento pluriennale a carattere preventivo, diretto al gruppo classe/ scuola. L’obiettivo è fornire agli alunni un’occasione di crescita attraverso il dialogo e la condivisione di pensieri, emozioni e ed azioni. La consapevolezza acquisita diventerà risorsa e sostegno per ciascun membro della classe (Iannacone, 2005). A tale proposito, due sono le esperienze che risultano particolarmente rilevanti per complessità, spessore teorico e risonanza avuta nella letteratura internazionale: l’esperienza scandinava, promossa da Dan Olweus nel 1993, e quella inglese riportata da Sharp e Smith nel loro contributo del 1994. Tali progetti presentano tratti comuni e prevedono entrambi un’articolazione dell’intervento a più livelli: da quello istituzionale a quello del singolo coinvolto nel problema. Più precisamente i livelli sono i seguenti: - l’organizzazione della scuola (insegnanti, genitori, studenti e personale non docente); - il gruppo di apprendimento e la classe; - il livello individuale (i singoli studenti, gli insegnati). Nel primo livello, diretto all’intera scuola, si definisce una politica scolastica “antibullismo”, che prevede la partecipazione di alunni e di adulti nella definizione di obiettivi e strategie di intervento. È necessario conoscere quale sia l’entità degli episodi di bullismo e monitorare la loro variazione nel tempo, sia attraverso segnalazioni dirette, che tramite questionari. Sempre a livello di scuola si devono prevedere incontri e dibattiti in cui genitori, insegnanti e personale non docente prendano coscienza del fenomeno e comprendano l’importanza dell’intervento e della costruzione di un buon clima scolastico. È inoltre prevista la supervisone degli spazi che i ragazzi occupano durante la ricreazione o la pausa pranzo, in cui si potrebbero verificare tali eventi. Oltre alla semplice “sorveglianza” potrebbe essere utile predisporre ambienti più adeguati per la ricreazione per favorire la socializzazione. Il secondo livello, costituito dal gruppo classe, prevede la definizione di regole antibullismo, attraverso stimoli letterari, cinematografici o role-playing, e la progettazione di attività volte a migliorare il rapporto sia tra alunni che tra alunni e insegnanti, come ad esempio l’apprendimento cooperativo . Il terzo ed ultimo livello è quello individuale e prevede l’intervento sul comportamento di bulli e vittime, attraverso colloqui diretti con loro e con i loro genitori. Contemporaneamente se in un bambino sono presenti delle difficoltà nelle relazioni con i coetanei è necessario permettergli di acquisire tali abilità sociali. Interventi a più livelli, a differenza dell’intervento mirato su singolo, che oltre a essere stigmatizzante è anche inefficace, sono in grado di attivare un processo di cambiamento non solo tra i bambini target, ma anche nel clima e nelle norme del sistema scolastico nel suo complesso. I due progetti sono stati sperimentati per periodi superiori ad un anno su campioni numerosi di soggetti. I risultati sono stati più che positivi, essendo il fenomeno diminuito del 50% in Scandinavia e del 25% in Inghilterra. Interventi di tipo ecologico, sistemico e integrato sono stati applicati in alcune scuole anche in Italia. Mentre in Inghilterra e in Scandinavia sono usati pacchetti operativi dalla matrice strettamente 30 Come contrastare il fenomeno comportamentale6, il modello italiano, pur non vantando interventi sistematizzati come quelli di Olweus e Sharp e Smith, si sta delineando con una sua specificità senza dubbio più relazionale (Panzavolta, 2004). La cultura anglosassone, da sempre preferisce un approccio centrato sulle conseguenze comportamentali, piuttosto che sulle cause, perciò l’intervento si snoda dall’ individuazione del fenomeno all’applicazione di protocolli d’intervento per la rieducazione e il contenimento. L’approccio italiano, invece, più razionalista e più teorico, predilige gli aspetti eziologici e preventivi, preferendo attività dirette a tutti gli attori coinvolti (genitori, insegnanti, educatori, amministratori, ecc.). Nel contesto italiano sono infatti molte le iniziative volte alla prevenzione del fenomeno quali le attività di rafforzamento delle competenze sociali e relazionali (le cosiddette life skills), delle strategie di coping (cioè di gestione di situazioni problematiche o difficoltose) dell’alunno e di monitoraggio da parte dei genitori e degli insegnanti. Si registrano anche numerose attività di ricerca-azione nella scuola, documentate in Internet e mirate alla diffusione di buone pratiche trasferibili (Panzavolta, 2004). In Italia gli esperti si occupano di bullismo da un decennio e grazie a tale esperienza è stato possibile oltre agli approcci classici, cioè più strettamente curriculari, introdurre modalità di intervento più innovative, volte a potenziare le risorse dei ragazzi attraverso un processo di progressiva responsabilizzazione dei ruoli di aiuto o di supporto tra pari. Il modello italiano, oltre alla formazione e alla sensibilizzazione di docenti, genitori e studenti, punta alla promozione di stili di comunicazione e partecipazione democratica dei ragazzi, attraverso la cooperazione, la mediazione tra pari, il peer support, l’ascolto attivo e la gestione dialogica dei conflitti. Ad ogni modo la specificità dell’intervento italiano sarà definita in modo più approfondito nel paragrafo successivo. 2.2 Interventi in Italia L’interesse della comunità scientifica per il tema del bullismo ha avuto da una parte l’effetto di sensibilizzare la popolazione italiana rispetto alla complessità e alla natura subdola del fenomeno, dall’altra quello di allertare gli agenti coinvolti nel processo educativo (genitori, insegnanti, dirigenti ecc.) riguardo al fronteggiamento e alla risoluzione del problema. Su questa linea, i ricercatori inizialmente hanno indagato la fenomenologia del bullismo nel nostro Paese, successivamente hanno avviato la sperimentazione dei progetti di intervento per ridurre l’entità del problema nelle scuole interessate ad affrontarlo. Ciò che però manca per rendere il loro un contributo rilevante su fascia nazionale è la partecipazione in larga scala, anziché a livello locale, dell’intero sistema scolastico ed istituzionale italiano. Di fatto, creare rispetto al fenomeno una mobilità generale (dal micro livello gruppale al macro livello istituzionale) delineerebbe in modo chiaro e deciso quale dovrebbe essere l’atteggiamento sociale di fronte al bullismo e dichiarerebbe una vera e propria posizione antibullismo da parte dell’Italia. Che questo avvenga è utile per poter intervenire in maniera preventiva sui prodromi del disagio, sapendo che l’intervento sul singolo protagonista del bullismo ha effetti nello specifico e a breve termine senza che il fenomeno si riduca davvero. Anche per questo l’Italia, piuttosto che assumere una posizio6 Gli Oggetti Didattici sono un esempio di pacchetto operativo anglosassone. Descritti come un kit pratico, forniscono all’adulto informazione utili per riconoscere il fenomeno ed intervenire. 31 Come contrastare il fenomeno ne repressiva o punitiva nei confronti dell’atto e dell’agente, ha scelto un approccio strutturato ed ecologico coinvolgendo il gruppo, la classe, la famiglia, la scuola e l’amministrazione. Ridurre il fenomeno, quindi, ha forti implicazioni psicoeducative, poiché significa promuovere il benessere psicofisico dell’individuo nella relazione attraverso l’affermazione dei suoi diritti ed il riconoscimento dei suoi doveri su un piano sia personale che gruppale. Da un breve esame degli interventi promossi in Italia, fra i metodi più diffusi per aiutare i giovani coinvolti nella dinamica “bullista”, vi è quello della partecipazione attiva e democratica alla vita scolastica. Questo “percorso italiano” alla prevenzione e al contenimento del fenomeno (attraverso programmi di intervento pluriennale, tecniche e strumenti diversamente strutturati) ha come obiettivi: 1. l’acquisizione di consapevolezza rispetto al problema delle prepotenze; 2. la responsabilizzazione alla risoluzione del problema delle prepotenze; 3. la costruzione di una cultura di mediazione e di solidarietà nella scuola. Il primo obiettivo richiama la necessità di cambiamenti significativi rispetto alla consapevolezza e alla riflessione sul problema da parte dei ragazzi, degli insegnanti e dei genitori. Attualmente questo è raggiunto attraverso il lavoro curricolare (Menesini e Smorti, 1997), canale privilegiato della comunicazione scolastica, e l’uso di tecniche in grado di dare ai ragazzi la possibilità di ragionare sui concetti legati al tema del bullismo. Oltre alle scienze, al diritto, alla storia, anche la letteratura ed la cinematografia sono mezzi potenti per svelare esperienze personali ed emozioni significative legate al fenomeno. Pertanto, può risultare attraente e suggestivo per i giovani nel corso della loro carriera scolastica creare anche dei cineforum o dei “circoli di lettura”, cioè, degli spazi di incontro durante i quali poter discutere i temi che emergono dalla visione di un film o dalla lettura di un brano. L’insegnante, inoltre, può servirsi della rappresentazione teatrale e del role-playing (cioè la personificazione dei ruoli, ad esempio di prevaricatori e di vittime), non solo per passare i contenuti della materia, ma anche per far conoscere i processi che entrano in gioco nelle relazioni fra due o più elementi. Gli alunni hanno così modo di esplorare le loro emozioni attraverso scenette che ripropongono dinamiche di prepotenza; possono fare vere e proprie rappresentazioni sul tema per altri alunni e per le famiglie, al fine di sollevare una riflessione comune e condivisibile; possono infine proporre soluzioni nuove ed alternative attraverso le quali rileggere gli eventi sociali, attuali, storici e letterari. Il secondo obiettivo riguarda la pratica ed il rispetto dei diritti e dei doveri di ognuno per una convivenza responsabile e democratica all’interno del gruppo. Per incrementare le abilità socio-relazionali e gli atteggiamenti critici necessari perché ciò avvenga, si è fatto spesso ricorso ai circoli di qualità (Menesini, 2000), piccoli gruppi di giovani che si incontrano settimanalmente con lo scopo di trovare soluzioni ai problemi interpersonali e sociali legati, in questo caso, al problema del bullismo. La cooperazione tra pari ed il coinvolgimento dell’adulto consentono la partecipazione attiva e costante degli alunni alla vita scolastica e hanno il potere di veicolare con il confronto ed il dibattito una politica antisopraffazione. Brevemente, le fasi di questo approccio di problem-solving sono: 1. Identificazione del problema. I CQ propongono una lista dei problemi che il gruppo intende affrontare in relazione al bullismo; una volta che questa è completa decidono a quali problemi dare la priorità mediante votazione. 2. Analisi del problema. I ragazzi considerano ora le possibili cause del problema, esaminandolo nei 32 Come contrastare il fenomeno suoi diversi aspetti tramite il diagramma del “Perché? Perché?”. Si tratta di un percorso a ritroso che, partendo dal problema stesso, si domanda il perché di questo, nell’intento di arrivarne alle cause e alle origini. Dopo averne discusso il gruppo approfondisce ulteriormente cercando di rintracciare il maggior numero di informazioni relative al problema tramite interviste, osservazioni dirette o colloqui. 3. Elaborazione di una soluzione. Una volta identificate ed analizzate le cause, i membri dei circoli iniziano a suggerire possibili soluzioni attraverso la tecnica del “Come? Come?”, una tecnica analoga alla precedente che si propone di esplorare la fattibilità di alcune soluzioni alternative e di valutarne costi e benefici. 4. Presentazione di una soluzione. I ragazzi preparano la presentazione della propria soluzione al gruppo dirigente (insegnanti e preside) che ha il compito di facilitare la realizzazione di questa se risulta adeguata. Gli alunni devono essere incoraggiati a preparare bene la loro presentazione: dovranno ripeterla a voce alta e fare esercizio parlando direttamente al pubblico, senza appunti, con tono sicuro e in maniera chiara, dimostrando competenza sul problema e capacità persuasive. 5. Riesame della soluzione. Se il gruppo dirigente decide di attuare la soluzione proposta deve valutarne l’efficacia ed informarne il circolo che l’aveva avanzata; se invece la soluzione non viene accettata, deve esservi una discussione tra circolo e gruppo dirigente per valutare le ragioni di tale decisioni. In questo caso il CQ passerà in rassegna altre soluzioni per modificare la propria proposta . Il terzo obiettivo è raggiunto grazie all’attivazione di programmi di supporto (Menesini, 2003) e mediazione tra coetanei (Coppola De Vanna, 2000), in grado di mobilitare la maggioranza silenziosa, cioè il gruppo di bambini e ragazzi che non si schiera di fronte alle prepotenze fra compagni, ma che può avere un ruolo significativo nel fermare gli episodi di prevaricazione violenta e nel costruire esperienze di aiuto e di solidarietà all’interno della classe. Partendo dal presupposto che i ragazzi si rivolgono spesso ai propri compagni per chiedere aiuto in momenti di difficoltà o preoccupazione, questo tipo di intervento promuove l’ascolto e la conoscenza reciproca. L’educazione tra pari, altrimenti detta peer mediation o “supporto tra coetanei”, è un approccio piuttosto complesso poiché richiede spazi e tempi considerevoli da parte delle classi. In alcune scuole dell’Italia è stato possibile fronteggiare il fenomeno del bullismo sperimentando una forma particolare di questo intervento, cioè “l’operatore-amico” (Menesini & Benelli, 1999; Menesini 2003). Introdotto nel nostro Paese nell’ambito di un progetto Europeo contro la violenza a scuola (Violence in school, as. 1997/19998), questo modello prevede l’attivazione di una figura di sostegno come punto di riferimento per i compagni nel corso della vita di classe. La prima fase di realizzazione del progetto comporta la sensibilizzazione della classe al problema delle prepotenze; successivamente vengono selezionati 3-4 ragazzi per il training di operatore-amico, durante il quale si lavora perché i partecipanti acquisiscano competenze specifiche di ascolto attivo, comunicazione non verbale, comprensione delle emozioni, e problem-solving per aiutare il compagno in difficoltà. Successivamente gli operatori-amici intervengono all’interno della classe per sostenere prontamente il compagno vessato, fermare le prepotenze e migliorare il clima del gruppo. Dopo alcuni mesi saranno i “vecchi” operatori a guidare nella pratica i nuovi operatori, eletti tra quanti hanno partecipato al training. Tale sperimentazione ha dimostrato che il coinvolgimento dei coetanei ha un forte potere di cambiamento, se indirizzato allo sviluppo delle abilità prosociali dei ragazzi, dell’empatia e della capacità di mettersi nei panni dell’altro. 33 Come contrastare il fenomeno Per concludere, esistono attualmente in Italia molte vie di accesso per comprendere il fenomeno del bullismo: riviste, manuali, guide (ad es. il quaderno pubblicato dal Telefono Azzurro), convegni (come quello di Lucca del 2006), documentazioni in Internet, risorse web, progetti ed attività di ricercaazione nella scuola (come il progetto di ricerca “Nature and Prevention of Bullying” della Commissione Europea che coinvolge il dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Firenze ed il Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Calabria). Quello che potrebbe implementare il successo di tante iniziative ed interventi resta, chiaramente, la sinergia di intenti e di sforzi nel fronteggiare il problema da parte della famiglia, della scuola e dell’Istituzione. 2.3 Contributi dalla Toscana Anche in Toscana, da una decina di anni, il fenomeno del bullismo è al centro di studi e progetti molto interessanti, volti a capirne la cause ed a limitare le violenze. Tutte le azioni che partono da questi lavori e che puntano a capire, monitorare e contrastare prepotenze ed aggressioni, prendono avvio dal principio che le forme di bullismo sono manifestazioni di un problema che può essere affrontato coinvolgendo i ragazzi in percorsi di educazione all’affettività e alla comunicazione empatica. L’acquisizione di competenze sociali e di strumenti adeguati di comunicazione verbale e non verbale può aiutare, infatti, a ridurre sia l’aggressività che la passività, componenti di quel “gioco crudele”, in cui gli atteggiamenti del bullo, della vittima e del contesto risultano profondamente intrecciati. Attualmente sono molte le province della Toscana che hanno attivato dei progetti di formazione sulle tematiche del bullismo rivolti a studenti, insegnanti e genitori. I programmi antibullismo, che la Toscana è stata in grado di maturare, possono rappresentare un punto di partenza importante per altre iniziative, sia a livello regionale che nazionale. Durante il convegno “Bulli, vittime e spettatori: quali complicità?”, organizzato il 21 Aprile 2006 dalla Provincia di Lucca con il sostegno della Regione ed il patrocinio dell’Università degli Studi di Firenze, sono stati presentati i progetti finora attivati in Toscana, con l’intento di fornire una sorta di mappatura delle proposte e, come sostenuto dall’assessore Salvatori, “di offrire un trampolino di lancio per iniziative specifiche a livello nazionale”. Durante tale convengo è stato dato uno spazio anche all’iniziativa dell’Istituto Datini di Prato, alla quale sarà dedicato il paragrafo successivo. I box che seguono sono estratti dal sito: Hhttp://www.primapagina.regione.toscana.it/index.php?codice=16067 Progetti attivati nella Provincia di Lucca 1. “Contrasto dei fenomeni di bullismo e di violenza giovanile. Ricerca azione di prevenzione del fenomeno; Palo Alto... e non solo. Ruoli e positività nella scuola”. Direzione didattica di Porcari Montecarlo. Obiettivo: aumentare l’agio per diminuire il disagio: sviluppare la positività, valorizzando le potenzialità di cui ciascuna persona è portatrice. Strumenti e azioni: corso di formazione per insegnanti e genitori, incontri periodici, sportello di ascolto, percorso di ricerca, pubblicazione, convegno finale, divulgazione on-line. 34 Come contrastare il fenomeno 2. “R.A.P. Ragazzi Anti-Prepotenze. Modelli di intervento antibullismo: l’operatore amico”. Istituto comprensivo A. Manzoni, Marlia e Scuola media Nottolini, Lammari. Obiettivo: promuovere l’etica della responsabilità e della cura nei ragazzi al fine di favorire attenzione, sensibilità, rispetto e aiuto verso l’altro. Strumenti e azioni: formazione e sensibilizzazione di insegnanti e genitori sul percorso di intervento, selezione degli operatori, training dell’operatore a cura di un esperto, interventi nelle classi, supervisione di un insegnante e di uno psicologo, filmati e articoli. 3. “Contrasto dei fenomeni di bullismo e di violenza giovanile. Progetto Bullismo Versilia”. Istituto Professionale per l’Industria e l’Artigianato ‘Michelangelo’ di Seravezza. Obiettivo: definizione di strategie innovative e di strumenti di analisi per affrontare in un’ottica sistemica ‘un caso difficile’. Strumenti e azioni: formazione e sensibilizzazione degli insegnanti, progettazione di interventi insieme ad operatori esterni, formazione degli studenti, lavoro di gruppo, role-playing, laboratori creativi, utilizzo di internet, creazione di materiale multimediale. 4. “Contrasto dei fenomeni di bullismo e di violenza giovanile. Educazione affettiva e relazionale con l’altro sesso”. Istituto Magistrale ‘Chini’ di Camaiore. Obiettivo: promuovere la conoscenza dei fenomeni di molestia e violenza nelle relazioni di coppia e approfondire le dinamiche e le situazioni che possono scatenarle. Strumenti e azioni: formazione per i docenti e per i rappresentanti degli studenti, percorsi di lavoro in classe, incontri di supervisione e valutazione dell’attuazione del progetto. 5. “Contrasto dei fenomeni di bullismo e di violenza giovanile. Il bullismo nelle scuole superiori: conoscenze e percorsi di intervento”. ITI Borgo a Mozzano, Liceo Scient. Castelnuovo, IPSIA Castelnuovo, ITI ‘Don Lazzeri’ Viareggio, ITI Piaggia Viareggio, IPSIA Seravezza, Ist. Magistr. ‘Chini’ Camaiore, Liceo Class. ‘Machiavelli’, Liceo pedagogico e delle Scuole sociali ‘Paladini’, Liceo Scient. ‘Vallisneri’, ITI ‘Fermi’, IPSIA ‘Giorgi’, Ist. Profess. per il turismo ‘Pertini’. Obiettivo: realizzare un percorso di collaborazione tra scuola e università per facilitare la rilevazione e la conoscenza del fenomeno, promuovere un percorso di consapevolezza e cambiamento interno alla scuola. Strumenti e azioni: rilevazione di dati per rilevare incidenza e stabilità del fenomeno con particolare riferimento a comportamenti extrascolastici, al rendimento scolastico, al consumo di sostanze psicoattive; incontri congiunti e non con studenti e docenti, convegni e volumi. Progetti attivati nel Comune di Livorno 1. “Sotto un cielo di emozioni” e “Sotto un cielo di emozioni... di nuovo” ricerca-azione con/per l’adolescenza. Scuole medie ‘G. Borsi’ e ‘Michelangelo’. Obiettivo: l’idea è aprire o riaprire le basi emotive della comunicazione genitori-figli, insegnanti-alunni, adulti-minori, nella convinzione che la consapevolezza emotiva permette una comunicazione più efficace. Strumenti e azioni: corso di formazione per i docenti, laboratori con i genitori e con i ragazzi, spettacolo messo in 35 Come contrastare il fenomeno scena dai ragazzi, ricerca in collaborazione con il Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Firenze, dispense, filmati, opuscoli. 2. “Scegliamo insieme... per crescere” e “Incontriamoci per scegliere”. Laboratori di accompagnamento per genitori impegnati con i figli nella scelta della scuola secondaria. Scuola media ‘G. Borsi’, Istituto Comprensivo ‘Micali’. Obiettivo: sostenere e valorizzare le esperienze di vita quotidiana dei genitori portatrici di significativi percorsi educativi e relazionali, sia per creare occasioni di confronto per ridurre eventuali stati di ansia legati ai rapporti interpersonali che per incrementare la consapevolezza della necessità di un rapporto empatico con i figli e della elaborazione di strategie relazionali. Strumenti e azioni: laboratori interattivi, incontri tra docenti e pedagoghi, attività nelle classi, filmati, dispense, opuscoli. 3. Genitori-insegnanti in rete. Sportelli di ascolto per i genitori nelle scuole dell’obbligo della città di Livorno. Scuole primarie e secondarie di primo grado della città. Obiettivo: sostenere la funzione genitoriale come asse fondamentale per la promozione dell’agio di vivere dei minori e quindi come prevenzione primaria del disagio relazionale. Strumenti e azioni: formazione della persona alla relazione e all’ascolto, formazione dell’insegnante alle tecniche dell’accoglienza e dell’accompagnamento, sviluppo di competenze ed esperienze nella collaborazione con e fra servizi anche di enti diversi, supervisione, tutoraggio, depliant, opuscoli. 4. Tra sorrisi e parole” genitori e figli riflettono, sorridendo, sulla società che cambia. Ciclo di film per ragazzi/e e genitori. Istituto Comprensivo ‘Micali’. Obiettivo: invitare alla riflessione, allo scambio di esperienze e alla discussione genitori e figli dopo la visione di film comici dove viene offerta una lettura originale della realtà. Strumenti e aizoni: proiezioni, spettacoli comici, concorsi a premi, attività in classe, dibattiti, opuscoli, dispense. 5. “Cinefamiglia” ciclo di film per ragazzi/e e genitori. Scuole medie ‘G. Bartolena’, ‘G. Borsi’, ‘G. Mazzini’, Istituto Comprensivo ‘Micali’. Prima edizione del programma precedentemente descritto. Progetti attivati nel comune di Firenze 1. “Bande creative. Una ricerca-intervento sulle potenzialità e sui fattori di rischio nei comportamenti giovanili all’interno della scuola”. Facoltà di Scienze della Formazione e di Psicologia, Ist. Profess. Alberg. ‘A. Saffi’. Obiettivo: educare alla convivenza civile studenti dell scuole medie superiori. Stimolare riflessioni, far acquisire coscienza dei propri atti, contribuire alla crescita di individui capaci di stabilire relazioni di gruppo che incrementino il benessere individuale e collettivo. Strumenti e azioni: percorsi formativi per gli studenti, riflessioni e confronti con i docenti, monitoraggi, ricerche, questionari, dispense, filmati, opuscoli, relazioni e atti. 36 Come contrastare il fenomeno Progetti attivati nella provincia di Massa e Carrara e Azienda USL 1 1. “Crescere tra i banchi di scuola”. Allievi e docenti di tutte le classi V delle scuole elementari della provincia. Obiettivo: verificare l’incidenza del fenomeno nelle scuole elementari, esaminare i diversi tipi di prepotenza e le differenze di sesso dei protagonisti, analizzare modalità, luoghi e attori. Strumenti e azioni: questionari, disegni, ricerche, interventi a convegni. Progetti attivati nella provincia di Prato 1. “Incontriamoci”. Istituto Professionale per i Servizi Sociali, commerciali, turistici e della pubblicità ‘Francesco Datini’. Obiettivo: conoscenza e consapevolezza del fenomeno, saperlo riconoscere, capacità da parte di genitori ed educatori di rapportarsi al fenomeno in modo corretto ed efficace, da parte dei ‘bulli’ di riconoscere il proprio disagio e quello della vittima e di modificare il proprio atteggiamento, da parte della vittima di acquisire consapevolezza della propria condizione e di attivare risorse e strumenti utili a produrre un cambiamento, da parte degli adolescenti ‘testimoni’ di collaborare per ridurlo, da parte di tutti gli adolescenti di acquisire conoscenze, risorse e strumenti necessari a prevenirlo. Strumenti e azioni: informazione, responsabilizzazione e sensibilizzazione, creazione di moduli didattici, incontri, diffusione di materiale, laboratori per ragazzi, visioni di filmati, realizzazione di spot, cortometraggi e spettacoli teatrali. Esistono, oltre a quelle citate, altre iniziative promosse dalle scuole e dalle AA.SS.LL, che dimostrano come l’esigenza di interventi di contrasto e di prevenzione del fenomeno sia sempre meno un bisogno circoscritto. A tal proposito, è necessario citare il lavoro promosso dalla Regione Toscana di sostegno ad iniziative di contrasto dei fenomeni di bullismo - nell’ambito più ampio del progetto “Una Toscana per i giovani” (vedi sito Regione Toscana) -. Questi interventi, destinati a genitori, insegnanti e alunni, hanno visto la collaborazione positiva di enti locali, scuole (elementari, medie inferiori e medie superiori), Università, Aziende USL ed associazioni (culturali, di servizio, ecc.). Le azioni di prevenzione, informazione e sensibilizzazione che ne sono seguite segnalano la presenza, a livello regionale, delle risorse necessarie per un piano d’intervento maggiormente strutturato. 2.4 L’esperienza dell’Istituto Professionale Datini nella provincia di Prato L’Istituto Professionale Datini è il più popoloso istituto scolastico della provincia ed ha avuto il merito di elaborare e portare a compimento un progetto di contrasto al bullismo; progetto che, avvalendosi di numerosi strumenti come l’educazione alla gestione non violenta dei conflitti, ha coinvolto, nell’ottica di un intervento a più livelli, alunni, insegnanti e genitori. Tale progetto costituisce attualmente l’unica iniziativa complessa a livello scolastico in relazione al fenomeno del bullismo sul territorio pratese. “Incontriamoci” (Appendice A), questo il nome dell’insieme delle iniziative svolte al Datini, è partito nel 2002 e, da allora, è stato finanziato ogni anno, con soddisfazione e fiducia da parte dei partner 37 Come contrastare il fenomeno (Regione Toscana e Provincia di Prato). Tale progetto ha avuto come referente la professoressa Matilde Griffo7, inizialmente collaboratrice del Dirigente Scolastico, quindi Vicepreside fino al 2005. Al momento, il progetto è seguito dalla professoressa Norma Di Mauro, che ha sostituito Matilde Griffo, dopo il suo passaggio all’USP. Secondo le parole della stessa prof.ssa Griffo (Convegno “Violenza giovanile e conflitti: il fenomeno del bullismo”, 2003), l’Istituto Datini è da alcuni anni un luogo di espressione del disagio adolescenziale, della difficoltà dei ragazzi, cioè, ad affrontare il passaggio all’età adulta. Spesso, purtroppo è la stessa scuola ad essere intesa dai giovani studenti una fonte del loro disagio, in quanto percepita poco accogliente ed interessante, nonché oppressiva e di ostacolo all’espressione della loro autonomia. È proprio dalla riflessione su questi aspetti che è nata l’esigenza di proporre agli alunni una didattica diversa e particolarmente attenta alla dimensione relazionale. Il tentativo di valorizzare l’ambiente scolastico si è concretizzato nel fare scuola attraverso metodologie creative, positive e coinvolgenti affinché il disagio fosse comunicato e risolto. Dato l’impegno e la sensibilità dimostrata dalle due docenti verso il tema del bullismo, è riportata a seguito la loro diretta testimonianza, che illustra il progetto nei suoi obiettivi, strumenti e risultati. INTERVISTA ALLA PROF.SSA MATILDE GRIFFO (APRILE 2006) D8: Perché la necessità di un progetto come Incontriamoci all’Istituto Datini? Durante la sua esperienza quali sono state le riflessioni che hanno spinto ad attivare il progetto? R: Io sono un’ insegnante di lettere e dal 2000 ho iniziato a collaborare con l’ufficio di presidenza al Datini. Poi, diventando vicepreside con esonero totale dall’insegnamento, mi sono dedicata per quattro anni a collaborare col preside nella gestione dell’istituto. L’Istituto Datini è il più grande della città ed ha un’ utenza molto particolare, in quanto i suoi alunni, pur avendo una grande ricchezza di personalità, spesso sono considerati ragazzi difficili. Questo avviene perché è luogo comune che “al professionale ci vanno i ragazzi meno interessati alla scuola”, per cui la stragrande maggioranza dei ragazzi che si iscrivono al Datini esce col sufficiente dalla scuola media. Inoltre, c’è una forte presenza di alunni stranieri ed anche disagio di varia natura e questo porta nelle classi, spesso nelle classi prime, a situazioni di conflittualità. Essendo vicepreside, mi sono trovata numerose volte a gestire situazioni di conflitto fra ragazzi ed insegnanti. Avevo già proposto sia un progetto sui conflitti sia un corso di aggiornamento per gli insegnanti con l’obiettivo di ampliare le conoscenze relative alla gestione delle dinamiche di classe. Nello stesso periodo la Regione Toscana mi ha chiesto di partecipare ad un progetto di prevenzione al bullismo. Proprio il fatto di voler rispondere alle richieste di sostegno da parte dei colleghi, unito alle situazioni problematiche che quotidianamente dovevo gestire, è stato da stimolo per entrare più dentro alle dinamiche del disagio presente nella scuola. Infatti mediare soltanto fra ragazzi,colleghi e genitori non era più sufficiente. Insieme ad alcuni docenti e ad il CIC, lo sportello 7 Attualmente referente per la formazione del personale scolastico e per le politiche giovanili all’Ufficio Scolastico Provinciale (USP) di Prato. 8 D: domanda; R: risposta. 38 Come contrastare il fenomeno di consulenza che cerca di intervenire nelle situazioni di disagio, ho elaborato il progetto “Incontriamoci. Questo progetto è soprattutto un piano di prevenzione dato che episodi conclamati e ripetuti non sono all’ordine del giorno, mentre sono più presenti circostanze di conflittualità sotterranea (come scherzi pesanti, casi di emarginazione, ecc.). D: Chi è stato coinvolto nel progetto? R: Il progetto ha coinvolto studenti, genitori e docenti perché lo scopo era quello di aprire dei canali di confronto, da qui anche il nome “Incontriamoci”. La partecipazione degli insegnanti è stata, ed è ancora, una parte importante, specie in una scuola come l’Istituto Datini nella quale, se non si cura l’aspetto relazionale, è molto difficile insegnare qualunque materia. Fare lezione in certe situazione non può ridursi ad entrare in classe, aprire il libro, spiegare, chiudere il libro ed uscire. In una scuola dove i livelli di conflittualità possono essere davvero elevati occorrono strategie di insegnamento nuove per far passare i contenuti disciplinare. D: In quali attività sono stati coinvolti i ragazzi? R: I ragazzi sono stati coinvolti in varie attività: si sono aperti laboratori per la gestione dei conflitti, di cinematografia ed altri spazi nei quali i ragazzi si sono sperimentati in giochi di ruolo, cineforum, e di scrittura autobiografica. Il laboratorio di cinematografia è stata la cosa più entusiasmante per loro e per la scuola, poiché insegnanti e studenti hanno progettato film e spot su tematiche inerenti al mondo delle prevaricazioni ed hanno poi seguito la realizzazione in tutte le loro fasi. Il film o gli spot sono stati poi proiettati a tutta la scuola nell’auditorium dell’istituto, che conteneva circa 400 ragazzi. Alcune classi hanno fatto dei laboratori di scrittura con un ricercatore dell’Università di Firenze e produrre del materiale per loro è stato molto gratificante; mentre altre sono state coinvolte con drammatizzazioni legate al Teatro dell’Oppresso. D: Come sono stati coinvolti insegnati e genitori? R: Dato che il progetto era partito con l’ambizione di estendersi a più livelli, in modo da incidere sulle relazione del sistema scuola inteso come “sistema intero”, gli insegnanti sono stati coinvolti in un corso di formazione a cui anche i genitori sono stati invitati a partecipare. Coinvolgerli però non è stato facile poiché hanno partecipato solo coloro che mostravano già sensibilità ed attenzione verso queste tematiche. D: Come mai secondo lei esiste questa difficoltà nel coinvolgere i genitori? R: Non è facile per il genitore rapportarsi a queste tematiche: si ritrova davanti un figlio adolescente spesso sconosciuto e non lo riconosce capace di certi comportamenti; a volte invece tende a colpevolizzarsi e ad avere difficoltà a sostenere la situazione. È vero anche che per un genitore non è molto facile seguire il figlio alle superiori perché spesso la scuola non lo ricerca per un percorso costruttivo, ma limita i contatti al ricevimento o al riaccompagnare il figlio dopo una sospensione. 39 Come contrastare il fenomeno Quando la scuola ha dimostrato continuità nel coinvolgimento del genitore, questo ha risposto positivamente. D: Sono emerse a volte situazioni che richiedevano un intervento più specifico? R: Sì. In alcune classi l’intervento sul gruppo si è snodato parallelamente a quello sul singolo. Quando sono emerse situazioni più difficili, il progetto ha garantito uno spazio in cui i ragazzi potessero essere seguiti più da vicino. D: Dovendo fare un bilancio? R: il progetto è ambizioso anche perché vuole creare un clima particolare nella scuola: se si porta avanti il dialogo e la collaborazione è più facile che episodi di questo tipo vengano affrontati e superati. Interviene sul bullo e la vittima conclamati sarebbe limitante. Possiamo ritenerci soddisfatti dei risultati ottenuti. Come precedentemente detto, la prof.ssa Griffo ha lasciato l’incarico all’Istituto Datini nel settembre del 2005. Al suo posto è subentrata la collega Di Mauro, professoressa e collaboratrice del preside dell’Istituto, alla quale è stato chiesto un aggiornamento sullo stato attuale del progetto. INTERVISTA ALLA PROF.SSA NORMA DI MAURO (APRILE 2006) D: Dalla sua esperienza che quadro potrebbe fornirci del bullismo a scuola? R: Per quanto ho potuto vedere in questi anni di lavoro nelle scuole la prima cosa che mi viene da dire è che il fenomeno del bullismo si annida soprattutto fra le insicurezze. Infatti, sia bullo che vittima sono ragazzi in difficoltà, ragazzi che vivono situazioni emotive delicate. In scuole come il Datini, e negli Istituti Professionali in generale, il fenomeno emerge maggiormente perché abbiamo avuto modo di osservare che certi atteggiamenti sono spesso propri di quei ragazzi che si sentono emarginati, perché hanno avuto una carriera scolastica disastrosa. In questi casi la scuola viene vissuta come una grande gabbia ed il fatto di continuare, doverci stare un altro paio di anni, è motivo di grande insofferenza. In altre parole i ragazzi vengono a scuola sei ore e vivono tutte le sei ore come un’oppressione. D: Se dovesse descrivere i ragazzi coinvolti in episodi di bullismo che caratteristiche le vengono in mente? R: Partendo dal fatto che il bullismo è espressione di un disagio, direi che spesso i bulli sono ragazzi che hanno ancora difficoltà di lettura, e nell’apprendimento in generale, ragazzi in affanno che reagiscono alla fatica di affermarsi in un gruppo attraverso questi atteggiamenti aggressivi, che poi vengono emulati da altri. Questi ragazzi identificano all’interno della classe le vittime, in genere persone più fragili ed isolate socialmente, ed il “gioco crudele” comincia. Il ragazzo più fragile è a sua volta non sorretto perché altrimenti non subirebbe tutto quello che subisce e si creano situazioni all’interno della classe in cui i bulli emergono, diventano un po’ i 40 Come contrastare il fenomeno padroncini e, se ce la fanno, tentano anche di mettere i piedi in testa all’insegnante. Spesso, purtroppo, come corpo docente dobbiamo prendere la decisione di bocciarli. D: Quindi il progetto Incontriamoci è in linea con la politica della scuola? R: In un certo modo sì. Il Datini è una scuola che investe tantissimo sull’accoglienza, il che non significa, come luoghi comuni suggeriscono, promuovere gli studenti senza farli impegnare; significa piuttosto offrire ai ragazzi, che hanno avuto un rapporto disperato con l’istruzione, l’opportuna di ricostruirlo. Purtroppo, situazioni pesanti dal punto di vista relazionale impediscono tutto ciò: il ragazzo, che vive la scuola in maniera sofferente ed ha degli atteggiamenti da bullo, sovverte il mondo all’interno della classe. Perciò, anche quella fascia intermedia di ragazzi, propensi ad impegnarsi in un rapporto più costruttivo con la scuola, rischia di perdersi. Le situazione di relazione conflittuale interferiscono sul rendimento scolastico dei ragazzi, per questo, il progetto è finalizzato a ricostruire un clima più sereno, in cui i conflitti umani vengono adeguatamente gestiti. In linea con questo, attualmente stiamo facendo con i ragazzi formazione sulla gestione dei conflitti. Questo lavoro si è concluso con l’apertura di uno sportello di mediazione fra pari. D: Come è organizzato questo spazio? R: Lo sportello è stato aperto da ragazzi delle quarte e delle quinte più sensibili al problema. L’idea è quella di dare ai ragazzi la possibilità di rivolgersi ai loro pari di fronte a dei problemi, dato che cercare sostegno fra coetanei è molto più facile che chiederlo agli adulti. Inoltre, è difficile che uno studente vada direttamente allo sportello, senza che prima non ci sia una sorta di ponte (mediatore coetaneo) tra il singolo e il servizio che la scuola offre. Purtroppo lo sportello è stato poco frequentato, e l’idea è quella di rilanciare il progetto per l’anno 2006-2007, attivando maggiormente la mediazione tra pari: mandare, cioè, i ragazzi più grandi, che spesso sono passati a loro volta da esperienze difficili e dolorose, a dire ai più piccoli che qualcosa per stare meglio a scuola si può fare. D: Due parole sul coinvolgimento degli adulti...sia genitori che insegnanti. R: Nel progetto “Incontriamoci” abbiamo fatto una grossa formazione per gli insegnanti. Così come i genitori più sensibili hanno partecipato alle attività proposte dalla scuola, anche i corsi per gli insegnanti sono stati seguiti da coloro che di per sé sono più inclini ad impegnarsi su temi come il bullismo, il conflitto ecc... Ai corsi c’è stata una grossa affluenza, ma da parte di chi già crede al cambiamento. L’altro adulto in questione è il genitore. Il lavoro con i genitori è un lavoro difficile perché il genitore segue il ragazzo fino alla terza media, dove c’è ancora un coinvolgimento come rappresentante di classe con riunioni che vanno oltre alla sola informazione sul rendimento scolastico. Se c’è l’emergenza intervengono, altrimenti è più difficile organizzare incontri in orari e momenti diversi. D: Dovendo fare dopo quattro anni un bilancio del progetto Incontriamoci? Sicuramente positivo, perché i ragazzi coinvolti hanno fatto esperienze importanti, come la realiz- 41 Come contrastare il fenomeno zazione di filmati, che noi docenti utilizziamo anche come documentazione. Ecco perché l’idea di costituire un gruppo che lavori con i più giovani: per creare una sorta di eredità, dato che sono state fatte cose molto belle e che sono servite soprattutto ai ragazzi sul momento. L’ambizione di questo “progettino” che abbiamo presentato è che i ragazzi più grandi lavorini intervenendo nelle classi dei più piccoli , che siano da esempio e che comunichino il percorso che hanno fatto. Il nuovo progetto vorrebbe un gruppo di ragazzi di quarta e di quinta come gruppo di mediatori,che entrino per ora nelle classi insieme all’esperto e che possano in futuro presentare altri tipi di interventi, da lasciare agli studenti che verranno dopo di loro. Riassumendo, il Progetto “Incontriamoci” ha avuto, ed ha per alcuni dei laboratori ancora attivi, l’obiettivo di prevenire il bullismo attraverso l’educazione al conflitto e all’espressione costruttiva di sé. Le linee seguite dal progetto dimostrano nuovamente come l’approccio ecologico e relazionale sia quello più idoneo ad affrontare un fenomeno complesso e dinamico come il bullismo. Inoltre, è opportuno specificare che, parallelamente alle varie attività di prevenzione del progetto “Incontriamoci”, gli studenti dell’Istituto Datini hanno partecipato ad una rilevazione del fenomeno delle prepotenze attraverso la compilazione di un questionario, creato dalla prof.ssa Matilde Griffo e dal dott. Massimiliano Radini. Lo stesso questionario, in parte modificato dalle autrici di questa monografia (Appendice B), è stato usato per la ricerca che verrà riportata nella terza parte del volume. Nel complesso, il lavoro dell’Istituto rappresenta un intervento principe, al quale ispirarsi per eventuali nuovi progetti riguardanti non solo la ricerca e la rilevazione del fenomeno (come è avvenuto nel caso del lavoro che andremo a presentare successivamente), ma anche la prevenzione e l’intervento sul territorio pratese. 42 La ricerca Parte III. La ricerca La presente ricerca parte dall’esigenza dell’Osservatorio Sociale di Prato di rilevare l’esistenza o meno del fenomeno del bullismo nelle scuole superiori9 pratesi, dato che, anche a livello provinciale, vi è l’intenzione di rendere possibili azioni di indagine e di prevenzione coordinate sul territorio (senza limitarsi ad interventi scollegati da scuola a scuola). L’Osservatorio Sociale ha preso le mosse dal progetto realizzato dall’Istituto Datini per avviare questa esplorazione e per capire se e come sia diffuso il fenomeno delle prepotenze nelle scuole. Il lavoro ha coinvolto quattro Istituti della Provincia: l’Istituto Professionale Datini, il Liceo Scientifico Carlo Livi, l’Istituto Statale d’Arte Bernini e l’Istituto Tecnico Commerciale Dagomari. Questa indagine pilota può svelare molto sull’attuale condizione degli adolescenti pratesi rispetto al fenomeno, nonostante alcuni limiti, dal punto di vista della campionatura, relativi al bilanciamento per sesso, per scuola e per classi, dovuti a contingenze del periodo di rilevazione dei dati (vacanze pasquali ed elezioni politiche 2006). La finalità di questo lavoro è quella di fornire dei dati su cui riflettere e da cui, eventualmente, partire per progettare una rilevazione ad ampio raggio. Coinvolgere quattro scuole di formazione diversa è sicuramente un esperimento conoscitivo ricco di spunti e dà a questo studio un valore aggiunto, dato che poco si sa sul bullismo nelle scuole superiori. Considerato che la letteratura scientifica sottolinea importanti cambiamenti del fenomeno soprattutto in relazione all’età ed al genere dell’individuo, questa indagine si propone di esplorare eventuali correlazioni anche con altri aspetti, quali la provenienza, il livello di istruzione dei genitori, la composizione familiare, il rapporto che i ragazzi hanno con i compagni, con i genitori e con gli insegnanti. L’obiettivo della ricerca è quindi quello di indagare gli atteggiamenti ed i comportamenti degli studenti adolescenti rispetto al tema delle prevaricazioni, per rilevare sia l’entità del fenomeno che i valori sottostanti ad eventuali atteggiamenti aggressivi e/o passivi; oltre a questo, di dare anche un quadro relativo al clima familiare e scolastico associato a comportamenti legati al fenomeno. 3.1 Metodologia Il campione della ricerca è costituito da 349 soggetti appartenenti a 4 scuole: 96 studenti dell’Istituto Tecnico Commerciale Dagomari (su 698), 80 dell’Istituto Professionale Datini (su 1154), 62 dell’Istituto Statale d’Arte Bernini di Montemurlo (su 249), 111 del Liceo Scientifico Livi (su 686)10. La fascia di età del campione va dai 14 ai 21 anni e comprende 153 maschi e 193 femmine (in 3 casi il sesso non è stato indicato). L’indagine è stata condotta nel mese di Aprile del 2006 e la raccolta dati è avvenuta all’interno della scuola, grazie alla disponibilità di presidi e insegnanti. Dopo avere spiegato ai ragazzi che si chiedeva la loro partecipazione ad una ricerca della Provincia, relativa alle prepotenze e alle prevaricazioni nella scuola superiore, ad ognuno di loro è stato consegnato un questionario anonimo. Tale questionario è già stato utilizzato per l’indagine svolta al Datini nel 43 La ricerca 2003. Per questa ricerca, il questionario è stato modificato con l’aggiunta di alcuni items e la variazione della pagina iniziale di presentazione. Il questionario può essere diviso in tre parti: una prima parte è relativa a dati anagrafici ed informativi (sesso, età, classe, presenza di fratelli e sorelle, abitudini nel tempo libero ecc.) con lo scopo di ottenere una descrizione del campione in termini sociodemografici ed attitudinali; una seconda parte del questionario esplora, attraverso l’accordo o il disaccordo con alcune affermazioni, l’atteggiamento verso l’uso dell’aggressività; infine, l’ultima parte indaga, chiedendo al soggetto di esprimersi su eventuali prepotenze agite, subite o assistite, il comportamento relativo alle prevaricazioni. Oltre alla somministrazione del questionario, studenti, genitori, presidi ed insegnanti sono stati invitati a partecipare a due focus group sul tema del bullismo, per ottenere, accanto a dati quantitativi, anche dati qualitativi che aiutassero meglio a comprendere frequenze e percentuali. Per l’analisi dei dati sono state utilizzate statistiche descrittive, quali frequenze, percentuali ed incroci fra variabili. 3.2 Analisi e discussione dei dati Il campione, come detto precedentemente, è costituito da 349 studenti delle scuole superiori della provincia di Prato. I primi grafici (graf.1, graf.2 e graf.3), oltre a mostrare l’insieme di studenti diviso per istituti, fanno vedere in dettaglio come le distribuzione per genere e per classe siano abbastanza equilibrate. Grafico n°1. Distribuzione del campione per scuola 44 La ricerca Grafico n°2. Distribuzione del campione per classe Grafico n°3. Distribuzione del campione per genere La descrizione del campione si muoverà su tre piani: individuale, familiare e scolastico. Il primo tentativo è dunque quello di descrivere lo studente pratese della scuola superiore in termini sociodemografici ed attitudinali. Un importante indicatore descrittivo è dato dalla provenienza del ragazzo (tab.2). Il 12,0% degli studenti dichiara di provenire da un’altra regione d’Italia, mentre 9 su 100 dichiarano di venire da un’altra Nazione. Tab. 2. Provenienza da un’altra regione italiana? % N° casi No 297 85,1 Sì 42 12,0 Non risp. 10 2,9 da un’altra nazione? N° casi % 310 88,8 34 9,7 5 1,4 45 La ricerca Nell’esperienza scolastica di 76 ragazzi risulta almeno una bocciatura ed il 69,6% del campione dichiara di aver letto negli ultimi due mesi almeno un libro che non fosse di testo. È altamente probabile che la maggior parte del tempo libero (tab.3) lo trascorrano con i loro amici (71,1%); meno probabile è la compagnia dei familiari (10,3%) ed ancor più raro è il caso in cui il ragazzo rimanga spesso solo (6,9%). Tab.3. Con chi trascorri più spesso il tuo tempo libero? N° casi da solo 24 con i miei amici 248 con i miei familiari 36 altro 4 non risponde 37 % 6,9 71,1 10,3 1,1 10,6 In riferimento al senso di convivenza e di giustizia, sono stati indagati i valori ritenuti più importanti dai ragazzi. L’assunto di partenza di questa ricerca è che la società porti indubbiamente il suo contributo in tal senso, attraverso la trasmissione familiare e generazionale ed i mutamenti socio-politici. I valori che vengono acquisiti durante la giovinezza restano relativamente stabili per l’intero corso della vita e soffermarsi su quelli degli adolescenti di oggi ci permette non solo di conoscere la condizione giovanile contemporanea, ma di avere anche delle indicazioni sulla società di domani. Dalle risposte ottenute durante l’indagine si nota come il rispetto degli altri e di sé, oltre alla libertà di pensiero ed espressione, siano ritenuti valori molto importanti. Attraverso l’incrocio delle prime e seconde risposte date dai ragazzi, sembra infatti che la visione più probabile del rapporto con l’altro sia quella di convivenza rispettosa, anche se una buona parte degli studenti punta alla realizzazione personale mediante la libertà di fare tutto ciò che si vuole e la ricchezza economica (tab.4). Tab.4. Scala di valori il rispetto degli altri la libertà di fare tutto ciò che voglio la lealtà la solidarietà la fama l’uguaglianza di possibilità per tutti tolleranza di opinioni/comportamenti diversi la realizzazione personale la libertà di pensiero ed espressione la giustizia la ricchezza economica il rispetto delle regole la conoscenza non risponde N° casi 91 40 36 10 7 17 12 34 49 18 9 11 8 7 46 % 26,1 11,5 10,3 2,9 2,0 4,9 3,4 9,7 14,0 5,2 2,6 3,2 2,3 2,0 La ricerca Rispetto alla complessità del campione, diventa estremamente interessante indagare le stesse variabili in base alla diversa realtà scolastica. Le differenze più significative si hanno per quanto riguarda la percentuale di ragazzi ripetenti: si va dal 36,3% del Datini al 2,7% del Livi, con gli altri due istituti che discostano anch’essi significativamente dall’esperienza del Liceo. Mentre la percentuale dei maschi del Dagomari (59,4%) e del Livi (59,5%) supera quelle delle femmine, al Datini (66,3% di femmine) e al Bernini (93,5% di femmine) la percentuale di femmine rispetto a quella maschile è schiacciante. Per le altre variabili, possiamo riferire che il Livi è l’unico istituto ad avere più studenti con genitori toscani (55,9%), mentre il Dagomari è la scuola ad avere percentuale più alta di ragazzi con genitori di nazionalità straniera (18,8%). Per quanto riguarda la scala dei valori, al primo posto tutti gli istituti concordano sul “rispetto dell’altro”; come seconda risposta emergono invece delle differenze, poiché Dagomari (12,5%) e Bernini (12,9%) indicano “la libertà di fare tutto ciò che voglio”, mentre Datini (18,8%) e LIvi (17,1%) indicano “la libertà di pensiero ed espressione”. Rivolgiamoci adesso al contesto familiare per delineare ulteriormente la condizione sociale dello studente di Prato. La maggior parte dei giovani che hanno partecipato all’indagine appartiene ad una famiglia in cui uno od entrambi i genitori provengono da un’altra regione (51,6%). Il 12,6% dei ragazzi ha genitori di nazionalità straniera (tab.5). Tab.5. Provenienza dei genitori No Sì non risp. da un’altra regione italiana? N° casi % 163 46,7 180 51,6 6 1,7 da un’altra Nazione? N° casi % 299 85,7 44 12,6 6 1,7 La maggioranza dei genitori dei ragazzi coinvolti nell’indagine ha licenza media (il 39,3% delle madri ed il 35,8% dei padri), seguono i diplomati (37,0% delle madri e 30,9% dei padri), ed infine i laureati (l’8,3% delle madri e l’8,9% dei padri). Il 73,9% dei partecipanti all’indagine non è figlio unico e, di questi, il 37,2% è secondogenito, mentre il 27,8% è primogenito. Gli studenti sembrano avere un dialogo con la madre piuttosto frequente (40,1%), mentre col padre si fa più raro, anche se presente in buona percentuale (25,8%). Una maggioranza evidente giudica l’interesse dei genitori per la propria esperienza scolastica decisamente buono (51,6%), mentre l’8,6% dei ragazzi si sposta verso una valutazione negativa. Per quanto riguarda la comprensione dei propri sentimenti da parte dei genitori, una netta maggioranza dichiara di essere abbastanza capita (55,3%) ed il 24,4% dei ragazzi di essere molto capito; da tenere in considerazione è quasi il 20,0% di risposte negative a questa domanda (graf.4). 47 La ricerca Grafico n°4. I tuoi genitori comprendono in generale i tuoi sentimenti? A seguito, sono riportate le due tabelle che dall’analisi delle frequenza risultano più interessanti rispetto al confronto fra scuole. Le percentuali sul titolo di studio dei genitori rivelano un importante scostamento del Livi dal resto delle altre scuole: un numero considerevole di ragazzi del liceo dichiara di avere genitori diplomati o laureati (tab.6 e tab.7). Tab.6. Titolo di studio della madre per scuola Non so Licenza elem. Licenza media Diploma Laurea Non risponde Totale DAGOMARI 8,3% 4,2% 40,6% 38,5% 7,3% 1,0% 100,0% DATINI 3,8% 12,5% 56,3% 25,0% 2,5% 100,0% ISA 14,5% 6,5% 43,5% 29,0% 1,6% 4,8% 100,0% LIVI 3,6% 3,6% 23,4% 48,6% 17,1% 3,6% 100,0% Totale 6,9% 6,3% 39,3% 37,0% 8,3% 2,3% 100,0% DATINI 5,0% 17,5% 43,8% 27,5% 1,3% 5,0% 100,0% ISA 22,6% 17,7% 32,3% 14,5% 8,1% 4,8% 100,0% LIVI 2,7% 7,2% 27,9% 38,7% 19,8% 3,6% 100,0% Totale 8,3% 12,6% 35,8% 30,9% 8,9% 3,4% 100,0% Tab.7. Titolo di studio del padre per scuola Non so Licenza elem. Licenza media Diploma Laurea Non risponde Totale DAGOMARI 8,3% 11,5% 40,6% 35,4% 3,1% 1,0% 100,0% 48 La ricerca Il dialogo con i genitori è un altro aspetto importante per capire come i ragazzi stanno nel nucleo familiare. Il Datini ha le percentuali più basse per la frequenza di dialogo sia con la madre (56,3%) che con il padre (30,1%). Negli altri istituti tali percentuali superano rispettivamente il 60,0% e il 35,0%. Entriamo finalmente nell’ambito della scuola per conoscere il clima della classe ed il rapporto che gli studenti del nostro campione hanno con i compagni. Dai risultati sembra che il rapporto con i propri compagni di classe sia molto soddisfacente (graf.5): questo risulta chiaro anche dal tempo “non programmato” che lo studente trascorre con loro, come l’intervallo (42,4%) o il tempo libero fuori da scuola (23,85%). Grafico n°5. Come stai con i tuoi compagni di classe? Il clima appare buono anche all’interno della scuola in generale (69,0%) e l’esperienza di essere frequentemente isolato dai propri compagni di classe riguarda l’8,0% del campione. Per quanto riguarda il rapporto con gli insegnanti, il 70,8 % degli studenti si dichiara soddisfatto di questo ed è bassa la percentuale di quanti lo valutano negativamente (13,8%). Il dato sembra trovare sostegno anche nel fatto che l’81,9% dei ragazzi racconta quello che accade loro a scuola e che, di questi, il 6,3% sceglie di parlarne proprio ad un docente purché fidato. Il primo punto di riferimento per il ragazzo all’interno della scuola è comunque un compagno (53,0%) ed al secondo posto il gruppo dei compagni di classe (20,1%). Sembra che i ragazzi preferiscano parlare di quello che accade a scuola a persone esterne all’ambiente scolastico (93,1%). Fra i confidenti privilegiati ci sono il migliore amico (28,4%), i genitori (27,2%) ed il gruppo di amici esterni alla scuola (25,2%), come si può vedere dal grafico. Dal confronto fra istituti, può essere segnalata la maggiore tendenza del Livi a non raccontare all’interno della scuola le esperienze scolastiche personali (26,1%), mentre il Datini ha la percentuale più alta (93,8%) per il comportamento opposto (tab.8). Controtendenza per il Dagomari per quanto riguarda “a chi racconti fuori dall’ambiente scolastico quello che ti succede a scuola”: al primo posto indica il gruppo di amici (34,1%), mentre gli altri tre istituti si accordano sulla confidenza fatta ad un singolo amico fidato (tab.9). 49 La ricerca Tab.8. Racconti a all’interno della scuola quello che ti succede? no sì Non risp. DAGOMARI 15,6% 84,4% - DATINI 6,3% 93,8% - ISA 12,9% 80,6% 6,5% LIVI 26,1% 72,1% 1,8% Totale 16,3% 81,9% 1,7% ISA 34,5% 25,5% 32,7% 7,3% - LIVI 31,1% 24,3% 33,0% 10,7% 1,0% Totale 31,7% 28,2% 30,4% 9,3% 0,3% Tab.9. A chi racconti quello che ti succede a scuola? Amico fidato Gruppo amici Genitori Familiari Non risp. DAGOMARI 29,3% 34,1% 26,8% 9,8% - DATINI 33,3% 29,2% 29,2% 8,3% - Le tabelle successive (tab.10 e tab.11 ) riportano le percentuali di accordo del campione con specifici atteggiamenti prepotenti. I ragazzi che hanno risposto al questionario dichiarano in maggioranza (75,6%) che un compagno non è giustificato a picchiarne un altro se questo non fa ciò che gli dice di fare; allo stesso tempo il ricorso allo scontro fisico con un altro ragazzo è concepito (30,9%) come giustificabile solo nel caso in cui ci si debba difendere da un’aggressione; figurano comunque un discreto numero di ragazzi che dichiarano disaccordo anche in questo caso (22,1%). La violenza, intesa come difesa, è percepita come una resa dei conti sbagliata che mette dalla parte del torto anche se insultati (33,5%). La maggioranza crede che si debba dimostrare la propria paura in certe circostanze (30,7%), anche se una parte importante sostiene che sia più giusto non farlo (14,0%). I ragazzi sono d’accordo sull’intervento punitivo degli insegnanti quando un ragazzo picchia un compagno (34,1%). Dimostrare la propria superiorità non è considerato un modo per ottenere ammirazione (41,0%), tant’è che un’alta frequenza di studenti pensa all’isolamento dei prepotenti come al modo più giusto di rispondere al loro atteggiamento (57,4%). Di fatto, non viene poi utilizzata come strategia per arginare la prepotenza, poiché chi si dichiara spesso prevaricatore non si sente isolato dai compagni. La maggior parte degli studenti del campione sostiene che non va preso in giro un compagno, soprattutto se questo non si diverte (61,3%). Quale debba essere il comportamento delle ragazze nei confronti dei prepotenti non è chiaro: alcuni ritengono che queste li debbano odiare (30,4%), altri non accettano che questo avvenga (39,8%). La maggioranza pensa che l’altro possa anche avere ragione (48,4%), ma questo non impedisce al 58,7% di difendere ad oltranza ed in qualunque modo un amico anche se ha torto. La maggioranza ritiene che prima o poi chi cerca sempre di litigare riceverà una lezione (38,7%) e che non si acquista valore, in senso positivo, se te la prendi con uno che non c’entra (62,5%). Una parte consistente, seppur in minoranza (35,5%), ritiene che sia meglio farsi i fatti propri e non dire niente a nessuno quando dei compagni fanno a botte. Per avere un quadro di sintesi facilmente leggibile rispetto agli atteggiamenti del campione nei con50 La ricerca fronti delle prepotenze, sono riportate le affermazioni che nel questionario si riferiscono agli atteggiamenti indagati: la lettera di siglatura permette di leggere le tabelle successive. A. Se un compagno non fa ciò che un altro gli dice, quest’ultimo sarà giustificato a dargli uno schiaffo. B. Fare a botte è ammissibile solo nel caso ci si debba difendere da un’aggressione: negli altri casi non lo è mai. C. Anche se si ricevono degli insulti, reagire con violenza significa mettersi dalla parte del torto. D. È giusto dimostrare di non avere paura di fare a botte con dei compagni, a prescindere dalle circostanze. E. I professori dovrebbero sempre punire chi picchia un compagno. F. Dimostrare la propria superiorità è un modo per essere ammirati. G. Bisognerebbe isolare i compagni prepotenti, così capirebbero che il loro modo di fare è ingiusto. H. Prendere in giro un compagno è divertente, soprattutto se lui non si diverte. I. Le ragazze dovrebbero odiare chi passa il tempo a litigare. L. Non bisogna mai dare ragione all’altro. M. Chi assiste ad una zuffa in cui è coinvolto un proprio amico dovrebbe sempre proteggerlo in qualunque modo, anche se è palesemente in torto. N. Chi cerca sempre di litigare prima o poi riceverà una bella lezione. O. Se te la prendi con uno che non c’entra, gli altri si rendono conto quanto vali. P. Se dei compagni fanno a botte è meglio farsi i fatti propri e non dire niente a nessuno, non si sa mai! Tab.10. Atteggiamenti del campione nei confronti delle prepotenze ATTEGGIAMENTI (%) completamente in disacc. abbastanza in disacc. moderatamente in disacc. moderatamente d’acc. abbastanza d’acc. completamente d’acc. non so non risponde A 75,6 10,0 4,9 2,0 1,7 2,0 2,3 1,4 B 6,9 8,6 6,6 16,0 30,9 28,4 1,4 1,1 C 7,2 7,7 8,6 12,9 27,5 33,5 1,4 1,1 51 D 30,7 16,3 9,7 12,9 14,0 8,0 7,4 0,9 E 7,2 5,7 6,9 14,3 26,9 34,1 3,2 1,7 F 41,0 26,1 8,9 10,3 4,3 6,6 1,4 1,4 G 12,9 12,6 13,5 20,1 20,1 17,2 2,9 0,9 La ricerca Tab.11. Atteggiamenti del campione nei confronti delle prepotenze ATTEGGIAMENTI (%) completamente in disacc. abbastanza in disacc. moderatamente in disacc. moderatamente d’acc. abbastanza d’acc. completamente d’acc. non so non risponde H 61,3 15,5 6,9 4,6 5,4 4,3 1,1 0,9 I 23,5 16,3 11,5 13,5 16,9 6,3 10,9 1,1 L 48,4 18,1 11,5 6,3 3,2 3,4 7,7 1,4 M 9,2 13,8 13,5 19,2 18,3 21,2 3,4 1,4 N 3,4 4,3 2,6 16,9 27,5 38,7 5,2 1,4 O 62,5 9,2 3,4 6,0 4,9 7,7 5,2 1,1 P 21,8 19,2 17,2 15,5 12,0 8,0 5,2 1,1 Rispetto alla variabile di genere, le differenze più interessanti si riferiscono al grado e non alla tendenza di accordo e disaccordo. Le femmine, in linea generale, condannano il ricorso ad atteggiamenti aggressivi in modo maggiore rispetto ai maschi e giustificano meno il ricorso ad agiti prepotenti anche nel caso di difesa di un amico in una disputa (maschi 69,9% vs femmine 49,7%) o di difesa personale (maschi 27,5% vs femmine 16,1%). Fra le scuole ci sono alcune differenze rispetto agli atteggiamenti riportati nel questionario. Anche qui, tali differenze non riguardano la direzione di risposta (accordo-disaccordo), ma il grado con cui i ragazzi si dicono d’accordo con l’affermazione. L’unico caso in cui c’è una controtendenza è quello del Dagomari che si distingue dagli altri istituti poiché ritiene giusto, in larga percentuale, che le ragazze odino i ragazzi più litigiosi (42,7% vs 35,9%); oltre il 50,0% degli studenti delle altre tre scuole non è d’accordo che questo avvenga. Il 31,3% dei ragazzi del Datini è in disaccordo con il ricorso alle botte solo nel caso in cui ci si debba difendere da una aggressione; nelle altre scuole la percentuale si aggira intorno al 20,0% (la più bassa percentuale è del Livi con il 17,1% di disaccordo). Il Dagomari, con il 31,2% di disaccordo, è l’istituto che meno equipara l’atto violento ad un atto sbagliato in risposta ad insulti ricevuti (Datini 21,4%, Bernini 12,9% e Livi 24,3%). Una buona percentuale vede il Dagomari (21,9%), il Datini (23,8) ed il Livi (22,5%) d’accordo sul fatto che mostrare la propria superiorità sia un modo per ottenere ammirazione dagli altri (Bernini 14,5%). Al Datini (68,8%) ed al Livi (58,5%), più che nelle altre scuole (Dagomari 50,1% e Bernini 51,6%), si pensa che isolare il prepotente sia un buon modo per fargli capire che il suo atteggiamento è ingiusto. Una chiara maggioranza non è d’accordo con la presa in giro del compagno, specie se questo non si diverte, ma, guardando alla scuola che più tollera questo atteggiamento, il Livi presenta la percentuale più alta col 18,9% (Dagomari 12,5%, Datini 16,4%, Bernini 6,4%). Il liceo (16,2%) ritiene più degli altri istituti (Dagomari 7,4%, Datini 15,0%, Bernini 12,9%) che non si debba mai dare ragione all’altro, mentre il Dagomari ha la percentuale più alta di chi non ammette che questo accada (83,3%). Tutti d’accordo nel difendere un amico in una zuffa anche se ha torto: chi però oscilla di più in questo atteggiamento è il Bernini (48,0% di accordo vs 40,3% di disaccordo), mentre il Dagomari (63,5%) ha la percentuale più alta di accordo. L’Istituto d’arte con il 24,2% ritiene il prendersela con uno che non c’entra dimostri 52 La ricerca quanto una persona valga (Dagomari 18,7% Datini 17,7% e Livi 16,2%). Il Livi in testa (61,3%) ritiene che farsi i fatti propri o non dire niente se si vedono dei compagni fare a botte sia l’atteggiamento meno giusto da tenere; il Dagomari presenta la forbice più piccola rispetto a questo atteggiamento (54,1% di accordo vs 41,7% di disaccordo). Si giunge, dopo una visione d’insieme degli atteggiamenti più probabili nei confronti delle prevaricazioni da parte del campione, a conoscere quanti studenti dichiarano di avere subito, agito od assistito a prepotenze. Si passa, cioè, dall’esame degli atteggiamenti verso le prepotenze all’esame del comportamento prepotente vero e proprio. Dalla tabella 12 si vede che la maggioranza del campione sostiene di non avere mai subito prepotenze, mentre il 24,7% dichiara di essere stato “vittima” (da raramente a sempre) di episodi aggressivi negli ultimi due mesi. Dividendo in due fasce chi afferma di avere subito prepotenze almeno una volta11, si nota che esiste una parte di studenti sporadicamente oggetto di prevaricazioni (21,5% - 75 soggetti), ed una minoranza del 3,2% (11 soggetti) per la quale queste prepotenze sembrano essere costanti all’interno della scuola. Tab.12. Quante volte hai subito prepotenze negli ultimi 2 mesi? Mai Raramente Ogni tanto Spesso Sempre Non ricordo Non risponde N° casi 253 48 27 9 2 5 5 % 72,5 13,8 7,7 2,6 0,6 1,4 1,4 Per quanto riguarda l’agire prepotenze, possiamo notare (tab.13) come il 75,9% del campione dichiari di non essere mai stato prepotente coi compagni. Anche in questo caso esiste un 22,2% che dichiara di essere stato protagonista di prepotenze almeno una volta ed un 1,8% (6 soggetti) dichiara di essere quasi costantemente agente di prevaricazioni. Tab. 13. Quante volte hai agito prepotenza negli ultimi 2 mesi? Mai Raramente Ogni tanto Spesso Sempre Non risponde N° casi 265 47 24 3 3 7 % 75,9 13,5 6,9 0,9 0,9 2,0 53 La ricerca Prendendo in esame la parte del campione che sostiene di avere assistito a prepotenze (37,0%), la tabella 14 mostra che il 5,8% sostiene di essere testimone di comportamenti del genere in maniera molto frequente (spesso- sempre). Tab. 14. Quante volte ai assistito a episodi di prepotenza negli ultimi 2 mesi? Mai Raramente Ogni tanto Spesso Sempre Non risponde N° casi 214 56 53 18 2 6 % 61,3 16,0 15,2 5,2 0,6 1,7 Esiste quindi un bilanciamento di numero dei casi all’interno del campione tra chi agisce prepotenze e chi le subisce (22,0% circa), mentre il numero degli spettatori è più considerevole (37,0%). Anche nei casi dichiarati come più costanti la percentuale di testimoni è molto più alta (5,8%) rispetto a quella di chi dichiara di subire (3,2%) o agire prepotenze (1,8%). Dall’analisi dei risultati per scuola (graf.6, graf.7 e graf.8), si vede che il Livi si evidenzia come l’istituto in cui il fenomeno delle prepotenze subite è meno presente (18,9%), seguito da Bernini (30,6%), dal Dagomari (31,2%) ed infine dal Datini (32,5%). Prendendo in esame la frequenza con cui si dichiara di subire prepotenze, il Livi presenta una percentuale del 2,7% rispetto alle categorie spesso e sempre, seconda solo al Datini (7,5%). È in queste due scuole che le prepotenze subite coinvolgono più facilmente le stesse persone e sembra che rispondano ad uno dei criteri con cui il fenomeno del bullismo è discriminabile: la sistematicità delle aggressioni che lo stesso individuo subisce nel tempo. Al Dagomari si rileva un’alta frequenza, rispetto alle altre scuole, di alunni che subiscono prepotenze ogni tanto (12,5%); pare quindi ridotta la sistematicità delle aggressioni subite in questo istituto, che conta comunque un buon numero di ragazzi coinvolti in questa dinamica. La scuola che si definisce “più prepotente” è quella del Datini (29,5%), ma andando ad esaminare nello specifico i risultati notiamo che i ragazzi che dichiarano di agire prepotenze spesso e sempre (1,3%) sono in percentuale minore rispetto al Dagomari (2,1%) ed al Bernini (4,1%). Il Livi risulta la scuola in cui i ragazzi si definiscono meno prepotenti ed in cui vi è meno sistematicità delle prevaricazioni agite da parte del singolo. Per quanto riguarda gli spettatori delle prepotenze, il Datini registra la percentuale più alta (52,5%), seguito dal Bernini (36,2%), dal Livi (34,5%) ed infine dal Dagomari (29,5%). In altre parole, possiamo ipotizzare che al Datini un ragazzo su due assista ripetutamente nel corso dell’anno scolastico a prepotenze agite/subite da parte dei suoi compagni. Un altro dato che colpisce è la presenza al Livi di alcuni ragazzi che hanno dichiarato di aver assistito negli ultimi due mesi ripetutamente ad episodi di prepotenze. Se consideriamo il numero dei casi anziché le percentuali, possiamo vedere come una modalità di relazione prepotente sia altamente diffusa tra i ragazzi e che in pochi ma preoccupanti casi il rischio di bullismo sia assai elevato: 6 casi di prevaricazioni subite spesso negli ultimi due mesi al Datini, 3 casi 54 La ricerca al Livi ed uno sia al Dagomari che al Berinini; 2 casi al Dagomari di aggressioni agite quasi quotidianamente negli ultimi 2 mesi, 3 al Bernini ed uno al Datini; infine 7 spettatori abituali al Datini, 4 al Dagomari, 5 al Bernini e 2 al Livi. In quest’ultimo istituto altri 2 spettatori si dichiarano sempre presenti agli episodi di prepotenze, svelando più chiaramente il loro ruolo di sostenitore o della vittima o del bullo. Sembra esserci una sostanziale differenza fra chi sistematicamente ricorre alla prevaricazione e chi lo fa occasionalmente. Questa distinzione ci tornerà utile quando parleremo di interventi possibili nella provincia di Prato. Grafico 6. Prepotenze subite negli ultimi due mesi: percentuali 55 56 La ricerca Grafico 7. Prepotenze agite negli ultimi due mesi: percentuali Grafico 8. Prepotenze assistite negli ultimi due mesi: percentuali 57 58 La ricerca Un dato, che può in parte sostenere i risultati che pervengono dalla letteratura scientifica, riguarda la differenza di ruolo da parte di maschi e femmine. È vero che ragazzi e ragazze possono ugualmente entrare nelle dinamiche del fenomeno delle prepotenze, ma si fa meno evidente la distinzione di genere per il ruolo di prepotente (circa il 27,0% dei maschi ed il 18,0% delle femmine) e di vittima (circa il 24,0% di entrambi i sessi); inoltre, il ruolo di agente prosociale12, notoriamente attribuito alle femmine, non solo non differenzia significativamente i due sessi, ma pende leggermente a favore dei maschi (33,3% vs 21,4%)13, anche meno passivi di fronte a scene di prepotenze (42,9% dei maschi e 50,0% delle femmine)14. Nel questionario è stata data la possibilità agli alunni di indicare almeno due valori da loro ritenuti importanti. Dall’analisi degli incroci fra scala valoriale e prepotenze subite, agite ed assistite (graf.9), colpisce il fatto che chi subisce frequentemente (spesso e sempre) prepotenze abbia principi poco compatibili tra loro. Per semplificare quanto detto, è come se i valori, nei quali credono questi ragazzi, si polarizzassero attorno all’individualismo, inteso come realizzazione personale, libertà di fare tutto ciò che si vuole (punteggi elevati in seconda risposta) e ricchezza economica, ed attorno al senso di comunanza, inteso come solidarietà, giustizia e tolleranza (punteggi elevati in seconda risposta). Grafico 9. Valori e prepotenze subite 1° risposta: numero dei casi 59 La ricerca Per quanto riguarda invece coloro che agiscono le prepotenze possiamo notare (graf.10) che chi attua questi comportamenti in modo più costante e frequente (spesso e sempre) crede soprattutto in valori come la fama, la libertà di fare ciò che si vuole, la realizzazione personale, la ricchezza economica (punteggi elevati in seconda risposta). Grafico 10. Valori e prepotenze agite 1° risposta: numero dei casi Andando a vedere, infine, la scala dei valori relativa a coloro che assistono alle prepotenze, ciò che spicca maggiormente è che questi ragazzi ritengono molto importanti la ricchezza economica, la libertà di fare ciò che si vuole, la realizzazione personale, ma anche la giustizia e la tolleranza (graf.11). Bassi sono i punteggi per la solidarietà e questo dà modo di ipotizzare come più probabile un atteggiamento, seppur di disapprovazione rispetto alle aggressioni assistite, di delega nei confronti dell’intervento. 60 La ricerca Grafico 13. Valori e prepotenze assistite 1° risposta: numero dei casi Dall’esame della relazione fra i tre modelli di comportamento (agire, subire e assistere a prepotenze) e la classe frequentata, possiamo vedere come il fenomeno venga subito soprattutto dagli studenti delle prime classi: i ragazzi al primo anno che dichiarano di non avere mai subito prepotenze sono il 60,3%, contro il 73,4% dei ragazzi delle seconde, il 66,2% delle terze, il 73,0% delle quarte ed infine l’88,2% delle quinte. Inoltre nelle prime classi ci sono più casi di prepotenze subite sistematicamente: 4 soggetti di prima superiore dichiarano di subire spesso prepotenze, un caso di subirle sempre; 3 soggetti di seconda superiore dichiarano di essere spesso oggetto di prevaricazioni. Andando avanti con l’età, sono meno i casi in cui i ragazzi dichiarano di essere oggetto, in modo pressoché costante, di prevaricazioni da parte dei compagni (un caso in terza classe dichiara di subire sempre prepotenze, 2 casi in quarta classe riportano di essere spesso oggetto di prevaricazioni). Anche chi agisce le prepotenze sembra appartenere a classi più giovani (soprattutto in prima e in terza), mentre con l’aumentare degli anni i ragazzi dichiarano sempre più di non agire nessun tipo di prevaricazione. I ragazzi che dichiarano di non avere mai agito prepotenze sono infatti il 69,1% di coloro che appartengono alle prime, il 78,1% dei frequentanti le seconde, il 67,6% degli alunni delle terze, l’80,6% di quelli delle quarte e l’84,4% dei ragazzi delle quinte. Per quanto riguarda la frequenza con cui le prepotenze vengono messe in atto, ci sono solo 3 soggetti che dichiarano di compiere prepotenze spesso (uno in prima, uno in terza e uno in quarta) o sempre (due casi in seconda classe). Il resto 61 La ricerca dei ragazzi che ammette di compiere prevaricazioni si distribuisce nelle fasce di frequenza raramente ed ogni tanto con percentuali che decrescono con l’aumentare dell’età. Per quanto riguarda gli spettatori colpisce come i ragazzi di quinta (68,4%) dichiarino, più dei compagni più piccoli, di non essere testimoni di violenze (63,9% in prima, 60,9% in seconda, 59,5% in terza, 59,7% in quarta). Questi dati sembrano andare nella stessa direzione dei lavori riportati in letteratura, che affermano che il fenomeno tende a diminuire con l’età. Molto interessante è vedere cosa intendono i ragazzi del campione, che dichiarano di subire, agire ed assistere a prepotenze raramente, ogni tanto e spesso in termini numerici. Incrociando le frequenze (numero di episodi) con la “percezione” di frequenza notiamo che, approssimativamente, per raramente si intende da 0 a 4 episodi, per ogni tanto dai 3 ai 10, per spesso dai 6 ai 25 e per sempre sopra 25. Ci sono stati, però, casi in cui il raramente era decifrato con 10 volte ed il sempre con 5: questo non consente di semplificare in termini numerici precisi le categorie di frequenza che sono state interpretate in modo molto soggettivo dai ragazzi del campione. Dall’analisi delle risposte fornite dal campione è possibile ricavare un quadro descrittivo su chi agisce le prevaricazioni, sulle forme di prevaricazione, e sui luoghi e sui momenti in cui esse avvengono. A partire da questo, si può anche analizzare il modo in cui il ragazzo, oggetto di prepotenze, si spiega ciò che subisce. Vediamo nel dettaglio i dati ricavati. Il prevaricatore è generalmente interno al gruppo classe (vedi tab.15): nel 26,4% è un compagno, nell’8,8% è una compagna mentre nel 13,2% si tratta di un gruppo di compagni/e. Il fenomeno può uscire dal gruppo classe, ma rimane comunque circoscritto alla scuola. Infatti il 17,6% dei ragazzi dichiara di subire prevaricazioni da alunni della scuola, anche se appartenenti ad una classe diversa. Nel caso in cui chi compie prepotenze provenga da un’altra classe, sembra comunque appartenere allo stesso anno scolastico di colui che le subisce (25,3%). È importante, però, sottolineare che il 42,9% di coloro che hanno dichiarato di subire prepotenze non ha risposto a questa domanda e il 19,8% ha dichiarato di non ricordare la classe del prevaricatore. Quindi il 62,7% di ragazzi che hanno subito prepotenze non ha fornito nessuna risposta sulla classe di appartenenza di chi le ha messe in atto. Tab.15. Prevalentemente da parte di chi sono state compiute queste prepotenze? 1° risposta % N° casi da un compagno della mia classe 24 26,4 da una compagna della mia classe 8 8,8 da un gruppo di compagni della classe 12 13,2 da un alunno della scuola esterno alla classe 5 5,5 da un’alunna della scuola esterno alla classe 6 6,6 da un gruppo della scuola esterni alla classe 3 3,3 da persone esterne alla scuola 16 17,6 altro 10 11,0 non ricordo 6 6,6 non risponde 1 1,1 62 2° risposta N° casi % 2 5,7 1 2,9 3 8,6 2 5,7 1 2,9 3 8,6 10 28,6 5 14,3 7 20,0 1 2,9 La ricerca In genere, si tratta di prepotenze sotto forma di insulti (68,1%), ma esiste comunque una percentuale del 5,5% che dichiara di avere subito minacce fisiche, oltre ad un 9,9% che sostiene di essere stato oggetto di violenze fisiche (tab.16). Tab.16. Nella maggior parte dei casi, che tipo di prepotenze hai subito? insulti minacce di riferire ad altri storie personali screditanti vere o false minacce di azioni contro persone a me care minacce fisiche riferire ad altri storie personali screditanti vere o false azioni contro persone a me care violenze fisiche non ricordo non risponde N° casi 62 1 1 5 2 2 9 7 2 % 68,1 1,1 1,1 5,5 2,2 2,2 9,9 7,7 2,2 Il 70,3% di coloro che subiscono prepotenze, non attribuisce mai la ragione al prevaricatore, mentre il 15,4% gliela riconosce raramente. La spiegazione delle prepotenze, fornita da chi le subisce (tab.17), è soprattutto in relazione al proprio aspetto fisico, al modo di parlare e pensare (25,3%) ed al comportamento in generale (16,5%); ma c’è anche chi sostiene che queste prepotenze siano in qualche modo la reazione ad un proprio comportamento messo in atto precedentemente (14,3%). Il 22,0% dei ragazzi che subiscono prepotenze riconducono l’episodio ad “altri motivi” non specificati. Tab.17. Nella maggior parte dei casi in cui è successo, cosa pensi abbia scatenato il loro comportamento? il mio aspetto fisico, il mio modo di muovermi, di parlare, di pensare il mio modo di vestire oggetti da me posseduti il mio comportamento in generale un mio particolare comportamento verso di loro ciò che sono, fanno o hanno persone a me legate un altro motivo: non ricordo non risponde N° casi 23 4 1 15 13 1 20 13 1 % 25,3 4,4 1,1 16,5 14,3 1,1 22,0 14,3 1,1 Le prepotenze avvengono soprattutto in aula (36,3%), in luoghi extrascolastici (33,0%) e nel corridoio dell’istituto (14,3%). Coloro che subiscono prepotenze dichiarano che queste capitano principal63 La ricerca mente fuori dall’orario scolastico (30,8%), nel momento della ricreazione (24,2%) o, addirittura, durante le ore di lezione (18,7%). Il 16,5% sostiene di non ricordare. Prendendo in esame le risposte di chi ha dichiarato di agire prepotenze vediamo (tab.18) che nella maggior parte dei casi le prepotenze sono agite insieme a dei compagni della stessa classe (48,1%), mentre risultano ugualmente probabili episodi in cui si agisce da soli (20,8%) o con persone che non sono compagni né di classe né di scuola (26,0%). Tab.18. La maggior parte delle volte, con chi eri? N° casi 16 3 37 1 16 3 1 da solo con uno o più compagni/e di una classe inferiore con uno o più compagni/e della mia classe con uno o più compagni/e di una classe superiore con altri non ricordo non risponde % 20,8 3,9 48,1 1,3 20,8 3,9 1,3 Vediamo (tab.19), inoltre, come l’oggetto di tali prepotenze sia per la maggioranza un compagno (29,9%) o una compagna di classe (20,8%), mentre, al secondo posto, si tratta di persone esterne alla scuola. Il 20,5% dei ragazzi non fornisce indicazioni sulla persona verso cui ha indirizzato il comportamento prepotente; dall’esame invece delle risposte date, nel caso in cui il prepotente non sia una compagno di classe, le aggressioni sembrano comunque agite verso persone di una classe dello stesso anno (19,5%). È comunque importante riportare che il 67,3% dei ragazzi che agiscono prepotenze verso ragazzi/e non appartenenti alla classe ha scelto di non fornire nessuna indicazione a proposito. Tab.19. Risposte alla domanda “Prevalentemente verso chi sono state compiute queste prepotenze?” verso un compagno della mia classe verso una compagna della mia classe verso un gruppo di compagni della classe verso un alunno della scuola esterno alla classe verso un’alunna della scuola esterna alla classe verso un gruppo della scuola esterni alla classe verso persone esterne alla scuola verso altri non ricordo non risponde 1° risposta N° casi % 23 29,9 16 20,8 6 7,8 2 2,6 1 1,3 3 3,9 15 19,5 1 1,3 9 11,7 1 1,3 64 2° risposta N° casi % 5 12,8 6 15,4 3 7,7 2 5,1 2 5,1 2 5,1 7 17,9 4 8,0 2 5,1 6 15,4 La ricerca In linea con le analisi precedenti, i ragazzi che agiscono prepotenze dichiarano che nella maggior parte dei casi (66,2%) si tratta di insulti (tab.20), motivati (come riportato in tab.21) principalmente dal comportamento generale di chi li ha subiti (29,9%) o collegati ad un particolare comportamento che il prevaricato ha avuto verso il prevaricatore (29,9%). In terza posizione (20,8%) troviamo la motivazione relativa all’aspetto fisico, al modo di muoversi e pensare della “vittima”. Il pentimento in seguito a queste azioni risulta essere per lo più assente (35,1%) o raro (41,6%), anche se nel 22,1% dei casi chi ha agito prepotenze si è mostrato dispiaciuto dell’azione compiuta. Tab.20. Nella maggior parte dei casi, che tipo di prepotenze hai inflitto? insulti minacce di riferire ad altri storie personali screditanti vere o false minacce fisiche riferire ad altri storie personali vere o false che possono screditare azioni contro oggetti personali azioni contro persone care violenze fisiche altro non ricordo N° casi 51 1 3 3 1 1 4 9 4 % 66,2 1,3 3,9 3,9 1,3 1,3 5,2 11,7 5,2 Tab.21. Nella maggior parte dei casi in cui è successo, cosa ti ha spinto a fare ciò che hai fatto? il suo aspetto fisico, il mio modo di muovermi, di parlare, o di pensare il suo modo di vestire il suo comportamento in generale un suo particolare comportamento verso di loro un altro motivo: non ricordo non risponde N° casi 16 2 23 23 5 7 1 % 20,8 2,6 29,9 29,9 6,5 9,1 1,3 Le prepotenze compiute e dichiarate avvengono soprattutto in aula (39,0%) o in luoghi diversi da quelli scolastici (29,9%), durante momenti fuori dall’orario scolastico (32,9%) e la ricreazione (25,0%). Il 17,1% degli episodi sono avvenuti durante la lezione. Chi ha assistito alla prepotenze dichiara che queste principalmente sono state compiute o da un compagno di classe (27,9%), o da un gruppo di compagni di classe (24,8%). In terza posizione troviamo le prepotenze messe in atto da persone esterne alla scuola (18,6%). Interessante notare che il 12,5%, in seconda scelta, dichiari che le prepotenze agite siano opera di un gruppo di ragazzi della scuola, ma di una classe diversa dalla propria (tab.22). 65 La ricerca Tab.22 . Prevalentemente da parte di chi sono state compiute queste prepotenze? da un compagno della mia classe da una compagna della mia classe da un gruppo di compagni della mia classe da un alunno della scuola esterno alla classe da un’ alunna della scuola esterno alla classe da un gruppo della scuola esterno alla classe da persone esterne alla scuola altro non ricordo non risponde 1° risposta N° casi % 36 27,9 7 5,4 32 24,8 11 8,5 4 3,1 7 5,4 24 18,6 3 2,3 3 2,3 2 1,6 2° risposta N° casi 6 5 12 2 2 7 9 3 0 10 % 10,7 8,9 21,4 3,6 3,6 12,5 16,1 5,4 0,0 17,9 Nel caso in cui il prepotente non appartenga alla stessa classe, si tratta nella maggior parte dei casi di studenti dello stesso anno (15,5%). A seguito, troviamo studenti di una classe superiore (10,9%) ed infine (7,8%) di una classe inferiore. Interessante notare come anche in questa domanda il 48,8% non dichiari la classe del prepotente (tab.23). Gli spettatori dichiarano di assistere soprattutto ad insulti (63,6%), ma esistono anche percentuali che si aggirano attorno al 15,0%, relative alle minacce fisiche ed al ricorso a violenza fisica (tab.24). Tab.23. Se queste prepotenze sono state compiute da qualcuno non appartenente alla tua classe, ma appartenente alla tua scuola, prevalentemente di che classe faceva parte? facevano parte di una classe inferiore facevano parte di una classe dello stesso anno della mia facevano parte di una classe superiore non ricordo non risponde 66 N° casi 10 20 14 22 63 % 7,8 15,5 10,9 17,1 48,8 La ricerca Tab.24. Nella maggior parte dei casi, a che tipo di prepotenze hai assistito? insulti minacce di riferire ad altri storie personali screditanti vere o false minacce di azioni contro propri oggetti minacce fisiche riferire ad altri storie personali vere o false che possono screditare azioni contro propri oggetti azioni contro persone care violenze fisiche altro non ricordo non risponde N° casi 82 1 2 17 1 2 1 19 1 1 2 % 63,6 0,8 1,6 13,2 0,8 1,6 0,8 14,7 0,8 0,8 1,6 Dall’esame della reazione di chi ha assistito alle prepotenze (tab.25), possiamo vedere che il 24,8% dei ragazzi dichiara di non avere fatto niente, il 23,3% di essere intervenuto cercando di pacificare la situazione e il 20,9% è intervenuto appoggiando una delle due parti. Tab.25. Nella maggior parte dei casi, come ti sei comportato? mi sono messo in mezzo appoggiando una delle parti sono andato a chiamare altri compagni in aiuto di una delle parti sono rimasto, ma non ho fatto né detto niente non ho fatto niente: me ne sono andato sono andato a chiamare altri compagni per farli smettere sono andato a chiamare un professore sono intervenuto cercando di pacificare la situazione altro non ricordo non risponde N° casi 27 7 32 13 3 1 30 4 9 3 % 20,9 5,4 24,8 10,1 2,3 0,8 23,3 3,1 7,0 2,3 Si arriva, in ultimo, a vedere come i ragazzi percepiscono i loro compagni di classe. Il 44,1% del campione dichiara che nella propria classe sono presenti prepotenti abituali (tab.26) e, dovendo indicarne il numero, parla in maggioranza di un’unica persona (28,6%). Sono indicate comunque in buona percentuale anche più presenze nella classe: il 21,4% parla di due prepotenti in classe, il 20,1% di tre e il 14,3% di quattro. 67 La ricerca Tab.26. Nella tua classe sono presenti compagni che reputi abbiano un abituale comportamento prepotente? sì no non so non risponde N° casi 154 144 46 5 % 44,1 41,3 13,2 1,4 Il 41,3% degli studenti ha dichiarato di avere compagni di classe che sono oggetto abituale di comportamenti prepotenti (tab.27). Nello specifico, dovendo quantificare i compagni presi di mira, il 27,8%, indica una persona, il 38,8% due, il 12,5% tre ed il 7,6% quattro. Tab.27. Risposta alla domanda “Nella tua classe sono presenti compagni che reputi essere oggetto abituale di comportamenti prepotenti da parte di altri?” sì no non so non risponde N° casi 144 136 59 10 % 41,3 39,0 16,9 2,8 Dall’esame dei dati ottenuti con questa ricerca è possibile fornire un quadro di sintesi rispetto al fenomeno delle prepotenze. Come prima cosa, possiamo dare una descrizione sommaria dei protagonisti, dei luoghi e dei tempi delle prevaricazioni. Il prepotente, in genere, agisce solo o in compagnia di ragazzi della stessa classe, ed il suo comportamento aggressivo è indirizzato verso un compagno della stessa età o della stessa classe. Principalmente le prevaricazioni avvengono durante la ricreazione o fuori dall’orario scolastico, ed in posti diversi dall’aula (anche se l’aula resta un luogo probabile). Le prepotenze sono soprattutto insulti, anche se il ricorso alla minaccia fisica ed alla violenza fisica vera e propria sono comunque presenti. Degli spettatori che assistono agli episodi di prepotenza si individuano principalmente tre tipi: chi interviene per interrompere il conflitto, chi interviene per sostenere una delle parti e chi non interviene affatto. Il campione si divide in maniera omogenea fra le tre categorie, anche se lo spettatore passivo resta il più probabile. Andando avanti, è interessante vedere come le motivazioni presunte da chi subisce prepotenze non corrispondano, a livello di percentuale, a quelle dichiarate da chi le agisce. Mentre il prevaricatore motiva i suoi gesti ricorrendo al comportamento del compagno prevaricato, i ragazzi “vittimizzati” ritengono di essere stati oggetto di prepotenze principalmente per il loro aspetto fisico e per il loro modo di muoversi, parlare o pensare. In altre parole, chi agisce prepotenze mette l’accento su ciò che si fa, chi le subisce su ciò che si è. 68 La ricerca Inoltre, dall’indagine sugli atteggiamenti, si può rilevare che la gran parte dei ragazzi tiranneggiati concorda spesso con il ricorso alla violenza ed all’aggressività nella relazione con l’altro. Frasi come “se un compagno non fa ciò che un altro gli dice, quest’ultimo sarà giustificato a dargli uno schiaffo”; “non bisogna mai dare ragione all’altro”; “chi assiste ad una zuffa in cui è coinvolto un proprio amico dovrebbe sempre proteggerlo in qualunque modo, anche se è palesemente in torto” trovano il sostegno dei ragazzi che si dicono oggetto di prepotenze da parte di altri. Gli stessi ragazzi si mostrano in disaccordo con le frasi “bisognerebbe isolare i compagni prepotenti, così capirebbero che il loro modo di fare è ingiusto”; “le ragazze dovrebbero odiare chi passa il tempo a litigare” e infine “chi cerca sempre di litigare prima o poi riceverà una bella lezione”. Questi dati colpiscono perché coloro che si dichiarano oggetto di prevaricazioni sembrano essere i primi a reputare che il comportamento prepotente non debba avere conseguenze (né in termini di giudizio negativo da parte degli altri, né in termini di contrasti con gli altri). Dall’altra parte, ci sono anche ragazzi che, subendo prepotenze, condannano i comportamenti di cui sono oggetto. Impressiona, ad ogni modo, che l’atteggiamento di critica non sia poi così diffuso. Possiamo perciò sostenere che i ragazzi oggetto di prepotenze si dividono in due categorie: una che condanna le prepotenze, che crede nella punizione da parte dell’autorità (insegnante) e che non ammette il ricorso alla violenza nemmeno per difesa; ed una, invece, che condivide il ricorso all’aggressività e che pensa che l’altro non debba mai avere ragione. Chi dichiara di agire prepotenze sostiene, in linea di massima, che l’atteggiamento aggressivo sia un modo per ottenere rispetto ed ammirazione, ma anche una modalità relazionale che, in alcune circostanze, rappresenta la norma (ed in quanto tale non “denunciabile”). Questi ragazzi, infatti, mostrano alto accordo con affermazioni del tipo “è giusto dimostrare di non avere paura di fare a botte con dei compagni, a prescindere dalle circostanze”; “dimostrare la propria superiorità è un modo per essere ammirati”; “non bisogna mai dare ragione all’altro”; “chi assiste ad una zuffa in cui è coinvolto un proprio amico dovrebbe sempre proteggerlo in qualunque modo, anche se è palesemente in torto” e “se dei compagni fanno a botte è meglio farsi i fatti propri e non dire niente a nessuno: non si sa mai!”. Gli stessi ragazzi sono altamente in disaccordo con l’affermazione “i professori dovrebbero sempre punire chi picchia un compagno”. Nel caso di coloro che assistono spesso ad agiti prepotenti possiamo notare come questi spesso abbiano un atteggiamento favorevole circa il ricorso all’aggressività. Infatti, gli spettatori affermano che “se un compagno non fa ciò che un altro gli dice, quest’ultimo sarà giustificato a dargli uno schiaffo”; “è giusto dimostrare di non avere paura di fare a botte con dei compagni, a prescindere dalle circostanze”, “dimostrare la propria superiorità è un modo per essere ammirati, “prendere in giro un compagno è divertente, soprattutto se lui non si diverte”; “non bisogna mai dare ragione all’altro”; “se dei compagni fanno a botte è meglio farsi i fatti propri e non dire niente a nessuno: non si sa mai!”. Gli stessi ragazzi mostrano un disaccordo notevole con le seguenti affermazioni: “anche se si ricevono degli insulti, reagire con violenza significa mettersi dalla parte del torto”; “i professori dovrebbero sempre punire chi picchia un compagno”; “chi cerca sempre di litigare prima o poi riceverà una bella lezione”. Mettendo insieme questi tre possibili atteggiamenti dei protagonisti, si può ipotizzare che il prepotente abbia criteri di azione simili al suo pubblico ed alla sua vittima. In altre parole chi è coinvolto nelle 69 prepotenze, (prevaricatore, prevaricato e, spettatore) legittima maggiormente il ricorso all’aggressività (visto come modo per avere il rispetto degli altri) e disapprova l’eventuale punizione di questi atteggiamenti. Dall’altra parte, chi si dichiara estraneo alle prepotenze ha una critica maggiore per il ricorso alla violenza ed è più favorevole alla punizione ed all’isolamento dei prevaricatori. Quanto detto riguarda la totalità del campione. Sulla differenza tra scuole possiamo dire che è confermato l’andamento generale, ma che gli istituti si distinguono per alcuni aspetti. Nello specifico, gli studenti del Dagomari si presentano maggiormente in disaccordo rispetto all’isolamento dei compagni prepotenti ed al fatto che comportamenti aggressivi mettano automaticamente dalla parte del torto chi li agisce; sostengono, inoltre, più delle altre scuole, la necessità di proteggere sempre e comunque un amico in una zuffa, anche se ha palesemente torto. Il Datini è la scuola che mostra più accordo sul ricorso alla violenza (è alto l’accordo con l’espressione “se un compagno non fa ciò che un altro gli dice, quest’ultimo sarà giustificato a dargli uno schiaffo” ed il disaccordo con “fare a botte è ammissibile solo nel caso ci si debba difendere da un’aggressione: negli altri casi non lo è mai” ). L’Istituto Bernini è quello che mostra il disaccordo più alto sia verso il riconoscimento della violenza come un modo per essere ammirati e per divertirsi, sia verso gli atteggiamenti “omertosi” di fronte ad azioni aggressive. L’Isitituto Bernini, frequentato quasi esclusivamente da ragazze, presenta un alto disaccordo verso il comportamento aggressivo nelle sue varie forme: ricordiamo che le femmine mostrano un atteggiamento di critica verso le prepotenze in modo maggiore rispetto ai maschi, che spesso ne giustificano il ricorso per difendere un amico o per difendere la ragione. Il Livi si pone sulla stessa linea dell’Istituto Bernini, anche se meno polarizzato sulla condanna della violenza e dell’aggressività nella relazione. Partendo dai dati ricavati da questa indagine, si è cercato di individuare le caratteristiche che sembrano diversificare dal resto del campione i soggetti che dichiarano di subire prepotenze. La maggior parte di coloro che si dicono oggetto di prevaricazioni frequenta le prime classi, nella maggior parte dei casi è figlio unico e dichiara di avere un buon dialogo sia con la madre che con il padre. In alta percentuale dichiara anche di stare male con in compagni e di avere un brutto rapporto con gli insegnati. Inoltre, nonostante sia presente un dialogo con i genitori, giudica male l’interesse da parte loro per la propria esperienza scolastica. La madre di chi dichiara di subire prepotenze nella maggior parte dei casi ha un diploma o una laurea. Rispetto agli episodi prepotenti di cui sono oggetto, questi ragazzi si confidano in particolare con un compagno o con i compagni di classe, ma può succedere che parlino anche ad un insegnante fidato o ad un bidello. Le figure del prepotente e dello spettatore sembrano meno inquadrabili rispetto a quella della persona vittimizzata: di fatto, sono poche le caratteristiche che emergono e che li distinguono dal resto del campione. Si può però sostenere che coloro che dichiarano di agire prepotenze in maniera sistematica definiscono, nella quasi totalità dei casi, pessimo il loro rapporto con l’insegnante. Rispetto alle prepotenze agite, i ragazzi si confidano con un compagno o con i compagni di classe. A differenza dei ragazzi “vittimizzati”, i ragazzi prevaricatori non si rivolgono agli adulti. Dall’analisi dei dati relativa allo spettatore emerge che spesso questo è figlio unico e che si confida con un compagno o i compagni di classe; anche in questo caso l’adulto non viene considerato un possibile confidente. 70 Per concludere, è importante sottolineare come in alcuni casi (domande sulla classe del prepotente o sulla motivazione delle prepotenze) spesso i ragazzi abbiano scelto di non riportare nessuna informazione. È legittimo chiedersi le ragioni di queste omissioni. A questo ed anche ad altri interrogativi si cercherà di rispondere nel paragrafo successivo, con la testimonianza diretta di alunni, insegnanti, presidi e genitori che hanno partecipato a dei focus group sull’argomento. 3.3 Focus group: i partecipanti alla ricerca a confronto La scelta di utilizzare il focus group come ulteriore metodo di ricerca è nata dalla necessità di approfondire l’argomento, attraverso il confronto tra le persone direttamente coinvolte nelle dinamiche affrontate. Come metodo di ricerca qualitativo, il focus group non fornisce un dato numerico da elaborare statisticamente, ma permette di rileggere il fenomeno attraverso le descrizioni e le riflessioni esposte dai partecipanti; nello specifico, si attinge dall’esperienza personale di docenti, dirigenti scolastici, genitori e ragazzi. Per questo motivo, a seguito della somministrazione dei questionari, si sono svolti due focus group: uno con dodici ragazzi (scelti tra coloro che avevano risposto al questionario) ed uno con dodici adulti (dirigenti scolastici, insegnanti e genitori) delle scuole campione. I due focus group, svolti in parallelo all’Istituto Datini, sono stati audioregistrati ed ai ragazzi è stato garantito l’anonimato. Sia agli adulti che ai ragazzi è stato presentato il lavoro della Provincia spiegandone la finalità generale: quella, cioè, di ricomporre in un quadro di insieme il fenomeno delle prepotenze nelle scuole secondarie superiori della provincia di Prato. Lo scopo dei focus group è stato quello di ricercare ed analizzare esperienze significative, riferibili ad atteggiamenti e comportamenti prepotenti e riconducibili al fenomeno del bullismo. Nello specifico, sono state indagate le seguenti tematiche: 1. Conoscenza del fenomeno. 2. Percezione della presenza (frequenza) e della gravità. 3. Profilo dei protagonisti del fenomeno e dei soggetti coinvolti nella dinamica. 4. Cosa fare per affrontarlo. Questi quattro punti, pur adottando un’impostazione diversa con ragazzi e adulti, sono stati affrontati in entrambi gli incontri. In Appendice C sono riportate le tracce dei due focus group, che hanno avuto una durata di circa 60 minuti. Secondo gli adulti, il fenomeno del bullismo non è abbastanza conosciuto né da ragazzi né da insegnanti, presidi e genitori. L’atteggiamento che va per la maggiore è quello di ricondurre le prepotenze a “cose che sono sempre accadute” ed è proprio questa normalizzazione a fare sì che il fenomeno non venga adeguatamente valutato dai servizi e dalle istituzioni. Questo avviene a causa dell’atteggiamento lassista della società di fronte alla violazione dei diritti e delle regole; non c’è, quindi, da stupirci se il fenomeno delle prepotenze a scuola può diventare un terreno propizio per “l’impianto delle spore della devianza”. Secondo gli adulti coinvolti nell’indagine, molti silenzi sono dettati dalla conformità. Di fatto, sembra che i ragazzi oggetto di prepotenze si conformino ai bulli, che si conformano a loro volta alla società. Il ragazzo “vittimizzato”, riferendosi all’aggressione subita, dice a se stesso che “non è nien71 La ricerca te di grave” per non sentirsi fuori norma. Pare, infine, che la scuola misconosca il fenomeno nella sua complessità, quando non fronteggia adeguatamente la violazione delle regole. I ragazzi da parte loro dichiarano di essere venuti a conoscenza della parola “bullismo” dai giornali. Esclusi i ragazzi dell’Istituto Datini, che sono stati coinvolti nel “Progetto Incontriamoci”, gli altri hanno dichiarato che nelle loro scuole se ne parla poco e l’informazione è affidata ai giornali, alla Tv e allo scambio tra pari. A tale proposito riportiamo la frase di uno studente: “Secondo me molti di quelli che subiscono prepotenze non si difendono perché pensano sia normale, perché pensano che se lo dicono è peggio, perché chi è più tosto ha sempre ragione. Se ci fossero più attività, più momenti in cui parlare di queste cose dove viene fuori che non è così e che questi comportamenti sono sbagliati, magari le cose un po’ cambierebbero”. In altre parole sembra che la conoscenza del fenomeno sia scarsa a livello di scuola, di classe e servizi in generale ed è emersa la necessità di parlare più spesso nelle scuole di bullismo proprio perché dalla consapevolezza si sviluppano percorsi di cambiamento. Analizzando le riflessioni degli adulti, notiamo come il fenomeno delle prepotenze riguarda tutte e quattro le scuole, ma non tutte le realtà lo identificano come bullismo, poiché delle prevaricazioni non viene identificata la frequenza e la sistematicità. Alcuni professori hanno indicato come sporadica la presenza di prevaricazioni nella loro scuola, sollevando però la riflessione di chi, per esperienza personale, ha compreso la natura subdola delle vessazioni più persistenti e dannose. Ciò è stato possibile, a detta di questi ultimi insegnanti, per la maggior attenzione rivolta alle dinamiche relazionali fra gli alunni. All’interno del gruppo sono poi emerse due posizioni: l’adulto che definisce l’aggressione al compagno come una ragazzata occasionale o come, seppur grave, un episodio isolato e l’adulto che si attiva come “attento osservatore” e che legge tali azioni non estemporanee o impreviste, ma come elementi di una dinamica che si mantiene nel tempo. È da questa contrapposizione che i partecipanti al focus hanno ipotizzato che il bullismo sia più un fenomeno sottovalutato e scarsamente percepito dagli adulti anziché un fenomeno inesistente. Per gli adulti i ragazzi sono maggiormente a conoscenza del fenomeno, mentre a loro sfuggono le connotazioni problematiche delle prepotenze che avvengono. Il fatto che gli atteggiamenti prepotenti vengano intesi come “scherzo” o “modi fare” sia rischioso è emerso anche dal focus group dei ragazzi, che definiscono il fenomeno del bullismo come presente nelle loro scuole e nascosto agli occhi degli adulti. Sembra, cioè, che i ragazzi scelgano di gestire il problema senza l’aiuto degli adulti per diverse ragioni, tra cui la vergogna e il timore di interventi punitivi ritenuti inutili o addirittura peggiorativi. A tale proposito diversi ragazzi hanno riportato come esempi gli interventi diretti di genitore su ragazzi “bulli”, che opprimevano i loro figli, ottenendo però solo l’inasprimento delle prevaricazioni. Il fenomeno, in linea di massima, è percepito come ciclico: ci sono i periodi durante i quali “una persona viene presa di mira” e chi agisce prepotenze si influenza a vicenda, e periodi durante i quali non avviene niente. Per quanto riguarda la gravità, chi ha vissuto esperienze di bullismo nella propria scuola riferisce episodi carichi di intensa sofferenza e difficoltà per chiunque fosse coinvolto nella dinamica vittimabullo. Pare che la gravità del fenomeno sia percepita dal genitore, docente o dirigente solo se si fa molta 72 La ricerca attenzione ai processi di interazione. Se, al contrario, le dinamiche di relazione non vengono analizzate, il rischio sociale più probabile è quello di legittimare il comportamento prepotente e rendere più labile il confine tra illegalità e legalità. A tale proposito anche i ragazzi sembrano dividersi in due gruppi: uno che definisce il fenomeno delle prepotenze come grave perché provoca sofferenza, ed uno che tende ad usare come sinonimo di prepotenze il termine “scherzi più pensanti”, sottolineando che chi li subisce esagera nelle reazioni. Sia per gli adulti che per i ragazzi, coloro che sono vittime di prevaricazioni spesso hanno un certo timore a mettere in luce il loro problema, rifiutano di dire quello che subiscono pur stando molto male e spesso arrivano a trovare nell’abbandono scolastico l’unica soluzione per non subire più le prepotenze. In relazione a ciò sia docenti che alunni hanno raccontato di casi specifici. Per tutti i partecipanti, il silenzio è l’unico modo per non apparire diverso agli occhi degli altri, per non essere etichettato come “stupido da parte di genitori e compagni”. Da entrambi i focus emergono due tipi di vittima: 1. Ragazzo/a con caratteristiche meno conformi al resto del gruppo (come “l’essere appassionato allo studio in una classe mediocre” secondo un professore), ad esempio con abbigliamento differente rispetto al resto della classe, con aspetto fisico diverso dall’estetica appoggiata dalla società; con un atteggiamento intellettuale dissonante dalla maggioranza. Aspira alla vicinanza affettiva e alla solidarietà, soffrendo molto per le prepotenze subite. A volte, iperprotetto dai genitori, “non se la sa cavare da solo”. 2. Ragazzo/a con caratteristiche e valori simile al bullo. Punta alla ricchezza e alla fama, provando dolore per essere preso di mira proprio dal gruppo di cui vorrebbe fare parte. Aspira al potere e non denuncia i comportamenti aggressivi perché in fondo li condivide. Spesso è bullo a sua volta con altri ragazzi e non è raro che provochi il suo prevaricatore. Per quanto riguarda il bullo, unendo i risultati dei due focus group, si vede che adulti e ragazzi sono in accordo sull’identificare il prevaricatore come maschio, desideroso di potere e convinto che attraverso la paura, la violenza e la prevaricazione si ottenga il rispetto degli altri. Secondo i ragazzi, inoltre, l’essere extracomunitario non è una variabile legata al fenomeno. Da entrambi i focus group, risulta che gli spettatori spesso ricorrono alla figura dell’adulto solo in casi estremi, preferendo gestire la cosa tra ragazzi. Quando lo spettatore non interviene in nessun modo (atteggiamento descritto come più probabile), la motivazione sta nella paura di essere a sua volta vittimizzato, di essere etichettato come spia (questo potrebbe spiegare le omissioni di risposta nella compilazione del questionario sulle informazioni riguardanti il prepotente), di venire escluso dal gruppo oppure sta nel fatto di condividere il comportamento del bullo nei confronti della vittima. Spesso, infatti, i ragazzi che non intervengono pensano che “la vittima se la sia andata a cercare”. Adulti e ragazzi riconoscono nella responsabilizzazione del gruppo classe un modo per fermare le prepotenze. Infatti, da entrambi i gruppi emerge la necessità di un intervento soprattutto su chi non è coinvolto direttamente, ma assiste alle dinamiche bullo-vittima. Viene, cioè, individuato nel lavoro con la maggioranza silenziosa un mezzo potente per affrontare il bullismo. Lo scopo non è isolare il bullo (essendo un fenomeno di relazione, il bullo isolato può trasformarsi nella vittima se la maggioranza si sposta dall’altra parte), bensì promuovere la cultura del dialogo. Secondo gli adulti è importante che la scuola educhi alla tolleranza e la diversità. Tollerare l’altro, 73 La ricerca però, non vuol dire soggiacere a ciò che è diverso, ma andargli incontro in modo costruttivo. La scuola, secondo alcuni insegnanti, deve aiutare i ragazzi a raggiungere un benessere individuale e comune, attraverso il rispetto dei diritti e dei doveri. Altro lavoro proposto dagli adulti è quello dell’educazione al conflitto inteso come confronto e modalità di relazione interattiva che valorizza la diversità. Vi è inoltre l’indicazione di fare lezione in modo più cooperativo per creare uno spazio dove i ragazzi possano apprendere dallo stare insieme. Non meno importante la proposta di corsi di aggiornamento obbligatori e spazi di confronto per gli insegnanti, nonché momenti dedicati all’informazione verso i genitori. I ragazzi hanno sostenuto che l’intervento migliore è quello che mira a togliere al bullo il suo pubblico. Tale intervento secondo gli studenti può essere veicolato solo da una cultura del dialogo e non della punizione; dialogo che insegni ai prepotenti che ci sono altri modi per farsi rispettare. Sembra essere molto importante per i ragazzi il fatto che l’adulto non si sostituisca in nessun modo a loro, ma che li sostenga nel fronteggiare il problema. I ragazzi credono che il miglior modo per contrastare il bullismo sia avere degli spazi per confrontarsi, perché senza quelli anche per uno spettatore idealmente critico verso l’aggressività, denunciare episodi di bullismo diventa difficile. I ragazzi richiedono, inoltre, che l’adulto li educhi “a camminare da soli”, che dia loro consigli, che li ascolti, che li sostenga ma che si tenga da parte al momento del fare qualcosa, lasciando questo compito ai ragazzi stessi. A seguito si presenta uno specchietto riassuntivo dei dati ottenuti dai focus group. TEMA TRATTATO ADULTI RAGAZZI CONOSCENZA DEL FENOMENO Il fenomento è definito poco conosciuto. Il fenomento è definito poco conosciuto, perché non se ne parla. GRAVITÀ E PRESENZA Il fenomeno risulta presente e subdolo in alcune scuole, meno percepito in altre. La gravità delle prepotenze viene percepita da alcuni, ma è presente anche la tendenza a definirle come “ragazzate”. Il fenomeno risulta ciclico e periodico in quasi tutte le scuole. Viene ipotizzato che, nelle scuole dove si dice assente, sia in realtà nascosto. La gravità viene percepita solo in parte in quanto è presente anche la definizione di “scherzo pesante”. TIPOLOGIA PROTAGONISTI FRONTEGGIAMENTO Vittima intesa come “diverso” e alla ricerca di affettività e vicinanza. Vittima aspirante ad un posto nel gruppo di bullo. Bullo desideroso di potere. Spettatore silente bloccato dalla paura o dalla condivisione del comportamento del bullo. Vittima più fragile e iperprotetta dall’ambiente familiare. Vittima provocatrice nei confronti del bullo. Bullo desideroso di potere. Spettatore silente bloccato dalla paura o dalla condivisione del comportamento del bullo. Sinergia territorio e scuola. Lavoro di responsabilizzaizone su maggioranza silenziosa. Educazione al conflitto. Educare4 alla tolleranza e alla diversità. Collaborazione e cooperazione come metodo di insegnamento. Dialogo tra ragazzi e creazioni di spazi di confronto. Rompere il silenzio per togliere il pubblico al bullo. Inutile ricorso a punizioni. Adulto come presenza che sostiene e consiglia, ma che non si sostituisce al ragazzo. 74 La ricerca In ultimo, si descrivono alcune differenze tra le scuole emerse dai focus group. All’Istituto Bernini il fenomeno è considerato sporadico o assente; sia i docenti che gli alunni imputano ciò al fatto che è una scuola prevalentemente femminile e che le ragazze sono meno propense a ricorrere a certi atteggiamenti. È interessante però l’intervento degli studenti di altre scuole, i quali hanno ipotizzato che il fenomeno sia presente, ma nascosto perché espresso attraverso modalità più sottili e meno visibili. Studenti e professori del Livi dichiarano che le prepotenze sono diffuse, ma sottovalutate. Secondo i ragazzi di questa scuola, spesso, vengono sopravvalutati e considerati esageratamente gravi atteggiamenti che rientrano nella normalità, mentre non vengono notati o non considerati come sbagliati comportamenti ripetuti meno eclatanti ma più nocivi. Studenti e professori del Dagomari e del Datini sostengono che il problema ci sia. Gli studenti di queste scuole infatti si sono mostrati molto attivi nell’interrogarsi sui possibili motivi del fenomeno e nel cercare modi per fronteggiarlo. Per concludere, gli adulti di tutte e quattro le realtà hanno sostenuto la necessità di puntare sulla prevenzione e sulla sinergia degli interventi a livello territoriale. Per il gruppo dei ragazzi è importante soprattutto rompere il silenzio che si crea intorno alle prepotenze, in quanto l’atteggiamento critico della maggioranza rende più probabile la loro diminuzione. Per gli studenti di tutte le scuole risulta molto importante che l’adulto si mantenga come punto di riferimento, persona con cui consigliarsi, ma a cui non richiedere intervento diretto. È infatti criticato dalla maggior parte degli studenti l’atteggiamento dell’adulto che si sostituisce al ragazzo e che interviene al posto suo. Uno studente dice: “per quale motivo se è un problema tra ragazzi noi siamo sempre gli ultimi a essere coinvolti nella ricerca di una soluzione? Già parlare di queste cose non è facile, se poi vogliono fare tutto i presidi, i prof. e i genitori...” 3.4 Note finali Se un tempo potevamo più facilmente supporre un ruolo principale delle ragazze nel contrastare il fenomeno delle prepotenze, ora è importante tener presente che femmine e maschi possono parimenti ingaggiare il ruolo di vittima e bullo, oltre che di spettatore inerte. Unendo dati quantitativi e qualitativi, è stato possibile infatti notare che le femmine, pur avendo un atteggiamento più critico verso l’aggressività, di fatto si comportano come i loro compagni maschi. Durante il focus group alcuni studenti hanno appunto definito le femmine prepotenti in modo diverso e più nascosto. Dal lavoro di ricerca, emergono due sottotipi di ragazzi soggetti a prepotenze. Un primo tipo corrisponde al ragazzo15 con ideali di solidarietà e vicinanza affettiva, che tace per paura; più fragile e più timido, sembra distinguersi per qualche caratteristica dal gruppo. Un secondo tipo corrisponde al ragazzo provocatore, aggressivo ed ambizioso di fama e potere, che tace poiché aspira allo stesso status del bullo. Questa distinzione si nota anche per la scala valoriale. Alcuni ragazzi che dichiarano di subire prepo15 Si utilizza genericamente il termine “ragazzo” sottintendendo la possibilità che si tratti di un maschio o di una femmina, in linea con l’osservazione precedente sui risultati relativi alla differenza di genere rispetto al fenomeno. 75 La ricerca tenze sono polarizzati su valori come la solidarietà, il rispetto, ecc., mentre altri si spostano verso valori come la ricchezza economica, la libertà di fare ciò che vogliono e la fama. In letteratura non si trovano relazioni tra status socio-economico e ruolo di bullo e vittima, ma da questo lavoro emerge che i ragazzi, che dicono di subire ripetutamente aggressioni, hanno madri istruite e non sono soddisfatti di come i genitori si interessino alla loro esperienza scolastica. In base a ciò, è naturale chiedersi cosa possa rendere più efficace (e funzionale al benessere del ragazzo oppresso) la comunicazione anche in ambito familiare. Data la presenza nelle scuole pratesi di numerosi ragazzi immigrati, si è voluto indagare il peso di questa variabile nello svolgersi della dinamica prevaricato-prevaricatore. Dall’esame delle risposte al questionario e dai focus group, non emergono dati che indichino il ragazzo extracomunitario un soggetto potenzialmente bullo o vittima. I dati sulle scuole, indicano che il Dagomari presenta molti studenti prevaricati da pochi prepotenti, il Datini riporta lo stesso numero di oppressi ed oppressori ed il Livi ha una percentuale molto elevata di spettatori rispetto al numero esiguo di prepotenti e vittime. L’istituto Datini risulta la scuola in cui il fenomeno sembra avere una dimensione più grande rispetto alle altre: è da considerare, per l’interpretazione del dato, che i suoi studenti hanno fatto un lungo lavoro di sensibilizzazione al fenomeno e che, pertanto, riconoscono e denunciano il fenomeno con minor difficoltà. Un’ultima nota, importante per sviluppare poi una riflessione sulle strategie di intervento, riguarda lo scenario delle scuole che presentano una diffusione maggiore di relazioni prepotenti fra studenti: la maggioranza degli spettatori in questi casi è passiva, assiste, cioè, inerme alle prepotenze. Si può dunque ipotizzare che questo placido consenso abbia un ruolo importante nella “normalizzazione” dell’aggressività come modalità di comunicazione fra i giovani. Le proposte dei ragazzi e degli adulti durante i focus group ribadiscono che il dialogo, il confronto e la rottura del silenzio siano mezzi necessari, ma ancora poco utilizzati, per affrontare il problema delle prepotenze. 9 Il giorno 16 aprile 2006 è stato pubblicato su “Il Tirreno”, nella cronaca di Prato, un articolo che denunciava un episodio di “bullismo in rosa” fra i banchi di scuola dell’Istituto Professionale Datini. 10 I dati relativi al totale di studenti per scuola provengono da “ La scuola pratese: rapporto 2006” di Paolo Sambo e Francesco Maggina per Asel. 11 Per l’analisi di frequenza delle prepotenze agite e subite, è stato scelto di raggruppare la categoria raramente con la categoria ogni tanto e la categoria spesso con quella sempre. Ciò permette una lettura più facile del dato ed evidenzia immediatamente i casi di disagio più evidente. 12 I dati si riferiscono agli studenti del campione che si definiscono spettatori che non hanno mai agito o subito aggressioni (49 soggetti) 13 Voci di riferimento nel questionario (item 70): sono andato a chiamare altri compagni per farli smettere; sono andato a chiamare un professore; sono intervenuto cercando di pacificare la situazione 14 Voci di riferimento nel questionario (item 70): sono rimasto, ma non ho fatto né detto niente; non ho fatto niente: me ne sono andato 76 Conclusioni Conclusioni Da tempo, in Toscana, l’attenzione rivolta al fenomeno delle prepotenze nel mondo della scuola ha maturato percorsi di prevenzione ed intervento molto interessanti. In tale direzione, la provincia di Prato, sensibile ai mutamenti della condizione dei giovani del territorio, ha mosso i suoi primi passi interrogandosi sulla propria situazione. L’intento di questa monografia è stato, quindi, quello di esplorare il fenomeno fra i banchi degli istituti superiori pratesi: si è partiti dal vaglio delle conoscenze sul tema sviluppate a livello internazionale, nazionale e locale, e si è giunti ad un’indagine vera e propria sul territorio. La ricerca ed i focus group condotti per questo lavoro hanno fornito, rispetto al tema delle prevaricazioni, un quadro generale degli atteggiamenti e dei comportamenti più probabili fra gli studenti di età compresa tra i 14 ed i 21 anni. Attraverso l’uso del questionario, l’analisi dei dati e la discussione avvenuta con ragazzi, insegnanti, presidi e genitori nei momenti di gruppo, è emerso che effettivamente il fenomeno delle prepotenze è presente nelle scuole superiori della provincia e che viene vissuto come un “problema”, nonostante i ragazzi tendano spesso a tenerlo nascosto e, come gli adulti, a percepirlo socialmente accettato. Le riflessioni nate dai focus group confermano, in materia di intervento, ciò che la letteratura sul tema sostiene. Sembra, infatti, emergere con forza l’utilità di interventi multilivello, non diretti esclusivamente al singolo ma all’intero sistema scolastico. Interventi sul bullo o sulla vittima, infatti, sono descritti, sia dai ragazzi che dai professori, come inutili e stigmatizzanti quanto le strategie punitive. Per fronteggiare il bullismo ed aiutare i ragazzi coinvolti nel fenomeno a trovare modi relazionali diversi e più costruttivi per rapportarsi all’altro, occorre agire sulla cultura (individuale, familiare, scolastica e sociale) della prepotenza, attraverso interventi volti, in primo luogo, all’acquisizione della consapevolezza del problema. Il fenomeno, in questo senso, è trasversale: trova ostacolo o facilitazione nelle varie dinamiche di gruppo ed è veicolato da una cultura che legittima l’aggressività. In altre parole, intervenire sinergicamente in rete ed a più livelli (studenti, genitori, insegnanti) appare più efficace che ricorrere ad interventi individuali e sporadici. Nel concreto, una linea di intervento percorribile dai professori è quello della formazione attraverso, per esempio, corsi di perfezionamento, che hanno l’obiettivo di stimolare il docente ad una didattica che preveda anche l’apprendimento cooperativo e la creazione di spazi, in cui gli studenti possano confrontarsi in maniera democratica. La suddetta indicazione viene dalla constatazione che il bullismo è un problema relazionale e che la scuola è uno dei suoi palcoscenici. Essa non è solo il posto dove i ragazzi imparano delle nozioni, ma anche il luogo dove si diramano percorsi di crescita attraverso la relazione con l’altro. Questo interpreta bene il pensiero dei professori che hanno partecipato all’indagine, per i quali valutare l’esperienza scolastica di un ragazzo non significa limitarsi a considerare il rendimento scolastico ed il suo approccio alla materia, ma vuol dire apprezzarne la crescita sotto molteplici aspetti. I professori, partecipando come adulti ed educatori ai processi di socializzazione e di sviluppo cognitivo-affettivo dei ragazzi, devono aver caro il loro diretto coinvolgimento nel lavoro di rete finalizzato al fronteggiamento delle prepotenze. 77 Conclusioni I genitori, dal canto loro, potrebbero essere coinvolti in iniziative di sensibilizzazione ed informazione sul fenomeno delle prepotenze. Inoltre, potrebbero essere proposti degli incontri con l’obiettivo di promuovere una comunicazione efficace. L’idea che la comunicazione empatica tra genitori e ragazzi debba essere maggiormente stimolata trova sostegno anche nei dati della ricerca, in quanto i ragazzi vittimizzati non si dichiarano soddisfatti del modo in cui i genitori si interessano alla loro esperienza scolastica pur dialogando molto con loro. Esplorare nuovi modi di comunicare col proprio figlio, può essere un primo passo per raggiungere la condivisione di episodi estremamente imbarazzanti ed umilianti per lui. La logica degli interventi rivolti ai ragazzi coincide con la valutazione che loro stessi fanno del grande potere che ha lo spettatore nella dinamica fra bullo e vittima: avere un pubblico indifferente alle vessazioni o sostenitore delle prevaricazioni alimenta, sia su un piano individuale che sociale, la convinzione che sia legittimo comportarsi prepotentemente per ottenere, da chi è percepito più debole, tutto ciò che si vuole. Sempre secondo i ragazzi, responsabilizzare la “maggioranza silenziosa” e gestire positivamente (in maniera dialogica) il conflitto, sono due modi appropriati per fronteggiare il bullismo. Mantenendo questa linea, sembrano molto utili tutte le attività che hanno l’obiettivo di educare alla tolleranza ed al dialogo, attraverso la partecipazione attiva degli studenti (dai progetti come “L’operatore Amico” ai Circoli di Qualità , dai laboratori di comunicazione assertiva alla peer education). Tutte queste attività permetto al ragazzo di assumere un ruolo di primo piano, attraverso l’esercizio consapevole e democratico dei propri diritti e doveri. I veri protagonisti del processo di cambiamento diventano gli studenti e l’adulto assume il complicato ed importante ruolo di facilitatore. In altre parole, docenti e genitori non si sostituiscono al ragazzo, ma lo accompagnano incoraggiando le diverse forme di partecipazione ed il confronto. I risultati della ricerca, presente in questa monografia, avvalorano ulteriormente l’adozione di un approccio complesso, che includa cioè tutte le figure che ruotano attorno a quella del bullo e della vittima: dato che né prepotenti, né oppressi risultano isolati dal gruppo, è legittimo pensare che sono in molti ad entrare nel “gioco” della prevaricazione. Altre attività suggerite dai risultati della ricerca possono riguardare la competenza emotiva dei ragazzi, ovvero l’insieme delle capacità che permettono al ragazzo di riconoscere, comprendere e rispondere coerentemente alle emozioni altrui e di regolare l’espressione delle proprie. Intervenire, inoltre, sul gruppo degli spettatori (maggioranza silenziosa), partendo dal presupposto che tanti episodi di prepotenza accadono anche perché legittimati da una cultura prevaricatrice di fondo, renderà più probabile la distinzione tra chi sistematicamente ricorre alla prevaricazione e chi lo fa occasionalmente: potrà essere così più facilmente individuato il giovane che esprime, subendo o agendo violenza, un disagio maggiormente radicato. Il punto essenziale rimane affrontare la cultura che sorregge il bullismo e, per fare questo, è importante coinvolgere gli studenti, i genitori, i professori, i presidi e gli amministratori, nella programmazione di interventi volti a minare gli elementi di cui il fenomeno si nutre: mancanza di dialogo, legittimazione dell’aggressività, comunicazione inefficace, passività, ecc... . Abbandonare, in Italia, l’atteggiamento omertoso e lassista nei confronti della prevaricazione diventa, dunque, necessario. La partecipazione degli adulti e dei ragazzi alla realizzazione di questo lavoro è un segnale forte e positivo rispetto all’impegno che la scuola superiore di Prato sembra pronta ad assumersi nei confronti del fenomeno del bullismo. 78 Bibliografia Bibliografia Atti del convegno “Violenza giovanile e conflitti: il fenomeno del bullismo. Analisi di un malessere sociale e interventi di prevenzione a partire dalla realtà scolastica”. Prato, 21 Novembre 2003. AA.VV. (2002). III Rapporto Nazionale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza. Eurispes Telefono Azzurro, Roma. AA.VV. (2004). V Rapporto Nazionale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza. Eurispes Telefono Azzurro, Roma. AA.VV. (2005). VI Rapporto Nazionale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza. Eurispes Telefono Azzurro, Roma. Bowlby, J. (1969). Attachment and Loss. Vol. 1: Attachment. London: Hogarth Press. (Trad. it. Attaccamento e perdita. Vol. 1: L’attaccamento alla madre. 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A survey and extent of bullying in junior/middle and secondary schools. Educational research, 35, 3-25. 81 82 Sitografia Sitografia Articoli on-line: AA.VV. (2005). Il bullismo scolastico. Un fenomeno da prevenire e contrastare. A cura di ABCittà. Milano. Disponibile presso il sito www.famiglia.regione.lombardia.it/min/min_cnv/bull2005.pdf Costantini, A. (2000). Ragazzi aggressivi, adulti in difficoltà. Articolo on-line. Disponibile presso il sito in www.psiconline.it Iannacone, N. (2005). I dati del fenomeno. In “Il bullismo scolastico. Un fenomeno da prevenire e contrastare”. A cura di ABCittà. Milano. Disponibile presso il sito www.famiglia.regione.lombardia.it/ min/min_cnv/bull2005.pdf Panzavolta, S. (2004). Le risorse della rete. Articolo on-line. Disponibile presso il sito www.indire.it Slee, P., Murray-Harvey, K., Saebel, J., & Taki, M. (1997). Bullying in Japan and Australia. Disponibile presso il sito www.caper.com.au Siti utili relativi al fenomeno del bullismo: http://www.arcitoscana.org/giovani/bullismo.htm http://www.bullismo.it http://www.bullismo.orizzontescuola.it http://www.comune.torino.it/novasres http://www.dfes.gov.uk/bullying/index.shtml http://www.dfes.gov.uk/bullying/teachersindex.shtml#a http://www.eurydice.org http://www.forumpa.it/forumpa2002/regionando/home/progetti/47.html http://www.gold.ac.uk/tmr http://www.indire.it http://www.ofsted.gov.uk/publications/docs/3235.pdf http://www.orizzontescuola.it http://www.preventionworksct.org/ssc/bullying.html http://www.primapagina.regione.toscana.it/index.php?codice=16067 http://www.regione.toscana.it http://www.regione.toscana.it/cld/aree_bullismo.html http://www.stopbullyingworld.com http://www.usl7.toscana.it/upload/dl/Educazione_alla_Salute/Progetto_bullismo.pdf http://www.usl7.toscana.it/upload/dl/Educazione_alla_Salute/Progetto_IO_CRESCO.pdf 83 Appendice A Appendice A Specchietto riassuntivo del Progetto “Incontriamoci” Scuola secondaria superiore: Istituto Professionale Datini di Prato Referente del progetto: Matilde Griffo Definizione degli obiettivi * conoscenza e consapevolezza del bullismo da parte di tutti i soggetti coinvolti; * capacità di riconoscere il fenomeno; * capacità da parte di genitori ed educatori di rapportarsi al fenomeno in modo corretto ed efficace; * capacità da parte degli adolescenti “bulli” di riconoscere il proprio disagio e quello della “vittima” e di modificare il proprio atteggiamento; * capacità da parte della “vittima” di acquisire consapevolezza della propria condizione e di attivare le risorse e gli strumenti utili a produrre un cambiamento; * capacità da parte degli adolescenti che si trovano “intorno” ad un fenomeno di bullismo di collaborare perché esso si riduca; * capacità da parte di tutti gli adolescenti di acquisire le conoscenze, le risorse e gli strumenti necessari a prevenire il manifestarsi di fenomeni di bullismo. * recupero dei soggetti che presentano difficoltà di adattamento nelle relazioni con i coetanei per ridurre i comportamenti negativi, di natura aggressiva o di isolamento e per potenziare i comportamenti positivi che facilitano la comunicazione e l’adattamento del singolo ragazzo all’interno e al di fuori del contesto scolastico al fine di stimolare la nascita di un clima classe e scuola più favorevole all’apprendimento. Destinatari * Tutti gli allievi dell’Istituto, con un’attenzione specifica agli studenti delle classi prime e seconde * 200 docenti * 400 genitori Definizione dei principi e delle metodologie Il progetto si ispira ad alcuni principi di fondo nell’intervento sui diversi soggetti coinvolti. Con gli adolescenti si ritiene di dover lavorare prevalentemente sul piano della consapevolezza emozionale, sulla competenza di assertività e sulla capacità di ascolto attivo e di relazione con l’altro e con la diversità, al fine di dar loro gli strumenti e le occasioni perché la loro costruzione di identità non passi necessariamente per l’aggressività, agita o subita. Con gli adulti, docenti e famiglie, si ritiene più utile attivare laboratori sul piano cognitivo ed emozionale, in cui si prende consapevolezza del fenomeno, della capacità di riconoscerlo nei ragazzi, 84 Appendice A della capacità di acquisire consapevolezza dei propri atteggiamenti e comportamenti disfunzionali e di come produrre il cambiamento. Infine si ritiene che occorre offrire a tutti, specie agli adolescenti, in contemporanea e dopo la realizzazione del progetto, luoghi, spazi, persone, che possano accogliere le loro “reazioni positive” al progetto, la loro ricerca di senso e di identità “altre” rispetto a quelle che passano per percorsi di aggressività (richieste di aiuto, di attività “positive”, di interlocutori competenti, ecc.) Strumenti e risorse Le risorse umane coinvolte nel percorso sono individuate in: Docenti dell’Istituto Psicologo operante all’interno del C.I.C. dell’Istituto • Esperti nella conduzione di laboratori • In collaborazione con la Scuola di Cinematografia “Anna Magnani” di Prato • In collaborazione con il Centro Solidarietà Prato • In collaborazione con Università degli Studi di Firenze - Dipartimento di Studi Sociali • In collaborazione con Casa dei Conflitti del Gruppo Abele di Torino Docenti universitari Psicologi, sociologi, operatori sociali, esperti del settore Gli interventi saranno diversamente articolati a seconda dei destinatari Le risorse tecniche sono legate alle aule multimediali dell’Istituto, alla Scuola di Cinematografia “Anna Magnani”, Definizione degli interventi INSEGNANTI ª A livello del singolo insegnante ª A livello dei CdC che si renderanno disponibili o attraverso il docente Coordinatore 3 informazione e sensibilizzazione al fenomeno 3 aggiornamento per acquisizione strumenti 3 creazione moduli didattici 3 utilizzazione di unità didattiche operative 3 collaborazione con l’attività di laboratori teatrali, cinematografici, di scrittura 3 Incontri su richiesta degli insegnanti e dei ragazzi con l’obiettivo di facilitare la gestione creativa del conflitto 3 Analisi dei contesti di crescita dei meccanismi che regolano le risposte violente sia verso se stessi che verso gli altri attraverso colloqui individuali e di gruppo. 3 Progettazione di interventi con una metodologia di uso di linguaggi creativi per intervenire sui disagi dell’individuo attraverso interventi su relazioni e contesti 85 Appendice A 3 Diffusione di materiali e pubblicizzazione di iniziative sulla formazione nonviolenta, la gestione dei conflitti e le competenze comunicative. STUDENTI Sensibilizzazione, rilevazione, risoluzione del fenomeno attraverso diverse attività fruite o a livello di singoli, o di gruppi classe, o di gruppi misti. ª responsabilizzazione del gruppo classe attraverso la consapevolezza delle dinamiche di presa di decisione, la facilitazione dell’ascolto e del dialogo tra i ragazzi ª Interventi di operatore esterno/conduttore di laboratori con i ragazzi basati su: • Disegni • Scrittura • Analisi di autobiografie attraverso esercizi di ascolto attivo e di comunicazione all’interno del gruppo classe o dei laboratori • Esperienza sul concetto di isolamento e sul senso di impotenza (tipiche della personalità sia di vittima che di persecutore) • Trasmissione di competenze di exotopia (a differenza dell’empatia si tratta della conoscenza dell’altro a partire dal cambiamento delle propria cornici implicite di conoscenza della realtà: si valorizza quindi non solo il mettersi nei panni dell’altro ma la relazione di ascolto e di dialogo tra Il soggetto e l’altro come diverso da sé) • Giochi di ruolo • Visione film e filmati • Ripresa filmata delle attività di laboratorio da rivedere e su cui discutere • Esperienza e acquisizione di metodi decisionali basati sul consenso e sulla valorizzazione del conflitto come manifestazione positiva di diversità, di punti di vista diversi ª Moduli didattici con gli insegnanti basati su apprendimento cooperativo ª Moduli didattici con gli insegnanti basati sulla comunicazione ª Lavoro di apprendimento cooperativo sul concetto di “Bullismo” come squilibrio di potere tra un soggetto Maggiore e un soggetto Minore. ª Incontri di classe sistematici con l’applicazione di metodi decisionali basati sul consenso e sulla valorizzazione del conflitto come manifestazione positiva di diversità, di punti di vista diversi ª Azione mirata alla facilitazione della comunicazione tra i membri del gruppo attraverso interventi di tutoraggio sugli studenti nominati nelle classi come portavoce del conflitto attraverso un approccio che valorizzi la percezione e l’ascolto di punti di vista diversi. ª Partecipazione a interventi mirati all’attivazione di percorsi di dialogo tra insegnanti, esperti e famiglie basati su scambio di informazioni ed esperienze di stili educativi nonviolenti ª Progettazione di interventi con una metodologia di uso di linguaggi creativi per intervenire sui disagi dell’individuo attraverso interventi su relazioni e contesti ª Giornate di dibattito a livello di scuola (cfr. assemblee) ª Attività positive comuni da valorizzare nella scuola (spettacoli, mostre, premiazioni, realizzazione di film, manifesti, cd, feste, gite...) 86 Appendice A ª Attivazione laboratori di teatro, cinema, scrittura ª Informazione sulle iniziative presenti sul territorio: coordinamento con l’”Informa- giovani” attivato all’interno della scuola. ª Utilizzazione di uno sportello di ascolto e consulenza per interventi mirati sul disagio ª Recupero dei soggetti che presentano difficoltà di adattamento nelle relazioni con i coetanei per ridurre i comportamenti negativi, di natura aggressiva o di isolamento e per potenziare i comportamenti positivi che facilitano la comunicazione e l’adattamento del singolo ragazzo all’interno e al di fuori del contesto scolastico al fine di stimolare la nascita di un clima classe e scuola più favorevole all’apprendimento. GENITORI Coinvolgimento dei genitori per: 3 informazione e sensibilizzazione al fenomeno attraverso incontri con esperti 3 laboratori esperienziali 3 attivazione sportelli di consulenza 3 attivazione di percorsi di dialogo tra insegnanti, esperti e famiglie attraverso incontri di parent training in cui si riporteranno i risultati emersi e si attiveranno percorsi di scambio e di esperienza di stili educativi nonviolenti. 3 Diffusione di materiali e pubblicizzazione di iniziative sulla formazione nonviolenta, la gestione dei conflitti e le competenze comunicative. Percorsi collaterali e di contesto: ª a livello di scuola: valorizzazione di elementi positivi (mostre, attività, spettacoli, premiazioni, feste, realizzazione di film, cd rom, manifesti, attività redazionali, ecc.) attivazione di interventi mirati per la conoscenza, la prevenzione e la consulenza riguardo al fenomeno ª a livello di territorio: offerta di spazi e di consulenti per condurre: • attività di cooperazione fra i ragazzi • interventi per la prevenzione del fenomeno • attività di informazione, consulenza e supporto per i docenti • attività di informazione, consulenza e supporto per i genitori • realizzazione di film e spot in collaborazione con la Scuola di Cinematografia “Anna Magnani” con sceneggiatura, riprese, attori forniti dai ragazzi. • Realizzazione di performance teatrali • Realizzazione di un’indagine qualitativa 87 Appendice A Tempi di realizzazione Gennaio-dicembre 2004 Verifiche Si ritiene importante, per un progetto di questo tipo, verificarne gli esiti ed il giudizio dei soggetti coinvolti. Per tali verifiche si intende utilizzare due strumenti: • questionari anonimi di valutazione delle esperienze • incontro con i diversi soggetti che hanno partecipato al progetto Tempi e modalità Il progetto si svolgerà tra il gennaio ed il dicembre 2004. Quindi una parte delle attività ricadrà nell’anno scolastico 2003/2004 ed una parte nel 2004/2005 secondo la scansione indicata al punto n°6. A conclusione del percorso, saranno realizzate e diffuse le attività conclusive del progetto (spot, film, spettacoli teatrali, ecc.). 88 Appendice B Appendice B Questionario creato dalla prof.ssa Matilde Griffo e dal dott. Massimiliano Radini. Con il simbolo asterisco (*) vengono segnalati gli item inseriti per la ricerca presentata in questo lavoro dalle autrici dello stesso. OBIETTIVI DELLA RICERCA (*) La ricerca che stiamo svolgendo ci permetterà di conoscere meglio i ragazzi della tua età e capire come è la vita dentro la scuola. La tua opinione sarà fondamentale per il buon esito di questa ricerca. Può capitare qualche volta che tra ragazzi si litighi per un dispetto, per un disaccordo o altro: l’importante è che dopo tutto si risolva nel miglior modo possibile. Altre volte invece un/a tuo/a coetaneo/a che non riesce a difendersi può diventare vittima di continue prepotenze da parte di altri ed essere regolarmente deriso, insultato, isolato, ricattato, o anche picchiato. Per la nostra ricerca è importante capire se queste cose ti sono accadute o se ne sei venuto a conoscenza e qual è il tuo pensiero a proposito. Ciò che conta per rispondere al questionario è la tua esperienza, quindi rispondi senza sentire il parere degli altri e con attenzione alle domande. Non ci sono risposte giuste o sbagliate. Inoltre il questionario è anonimo e quando l’avrai compilato sarà messo insieme a tutti gli altri questionari: per questo motivo rispondi con sincerità e senza preoccupazioni. Grazie per la tua collaborazione. Nota per la compilazione del questionario Se non è altrimenti specificato, la risposta da dare è unica: per ogni domanda devi fare una crocetta sul numero che contraddistingue la risposta da te scelta; se cambi idea: fai un cerchietto sulla vecchia risposta e metti la croce nella nuova. In altri casi ti verrà chiesto di esprimere un numero (es. il numero di componenti della tua classe), che dovrai scrivere nell’apposito spazio: |_| o |_|_|. Nel caso di domande in cui è prevista la possibilità di dare due risposte, ti viene chiesto di esprimere un ordine di preferenza: dovrai inserire 1 nell’apposito spazio per la risposta che per te è principale e 2 per quella secondaria. 89 Appendice B 1. Qual è la tua classe? ______ 2. E la sezione? ______ 3. La tua classe da quante persone è composta? |_|_| 4. Hai mai ripetuto l’anno scolastico? 0 no 1 sì, una sola volta 2 sì, due volte 3 sì, più di due volte 5. Quanti anni hai? |_|_| 6. Di che sesso sei? 0 maschio 1 femmina 7. I tuoi genitori (o uno di loro), provengono da un’altra Regione? (*) 0 no 1 sì 8. ... e tu? (*) 0 no 1 sì 9. I tuoi genitori (o uno di loro) provengono da un’altra Nazione? (*) 0 no 1 sì 10. ... e tu? (*) 0 no 1 sì 11. Ci potresti indicare il titolo di studio dei tuoi genitori? (*) Madre 0 non so 1 licenza elementare o nessun titolo 2 licenza di scuola media inferiore 3 diploma di scuola media superiore 4 laurea Padre 0 1 2 3 4 90 non so licenza elementare o nessun titolo licenza di scuola media inferiore diploma di scuola media superiore laurea Appendice B 12. Sei figlio unico? 0 no 1 sì Se hai risposto ‘sì’ alla domanda n. 12, vai alla n. 16, altrimenti continua 13. Quanti fratelli hai? |_| 14. E quante sorelle? |_| 15. Rispetto ai tuoi fratelli/sorelle, in ordine di nascita, tu sei il ...? |_|° 16. Dialoghi frequentemente con tua madre? 0 non ho madre 1 mai 2 raramente 3 ogni tanto 4 spesso 5 sempre 17. E con tuo padre? 0 non ho padre 1 mai 2 raramente 3 ogni tanto 4 spesso 5 sempre 18. Negli ultimi due mesi, quanti libri non di testo hai letto? |_|_| 19. Con chi trascorri più spesso il tuo tempo libero? (*) 0 da solo 1 in compagnia dei miei amici 2 con i miei familiari 3 altro (specificare)____________________________________________ 20. Come stai con i tuoi compagni di classe? (*) 0 bene 1 abbastanza bene 2 né bene né male 3 abbastanza male 4 male 91 Appendice B 21. Come stai con gli altri ragazzi della tua scuola? (*) 0 bene 1 abbastanza bene 2 né bene né male 3 abbastanza male 4 male 22. Quali sono i momenti che preferisci condividere con i tuoi compagni di classe? (*) 0 L’intervallo 1 le ore di lezione 2 il tragitto da casa a scuola e viceversa 3 il tempo libero 4 mai 23. Ti accade di frequente di restare solo perché i tuoi compagni non vogliono stare con te? (*) 0 no 1 sì 24. Come giudichi il tuo rapporto con i tuoi insegnanti? (*) 0 molto buono 1 abbastanza buono 2 non molto buono 3 per niente buono 25. Come giudichi l’interesse dei tuoi genitori per la tua esperienza scolastica? (*) 0 molto buono 1 abbastanza buono 2 non molto buono 3 per niente buono 26., Racconti a persone del tuo ambiente scolastico quello che ti succede a scuola? (*) 0 no 1 sì 27. Se sì, a chi lo racconti? [puoi dare due risposte, indicando, nel quadratino, con 1 la prima scelta e con 2 la seconda] (*) |_| 0 ad un/a compagno/a di cui mi fido |_| 1 ai compagni di classe |_| 2 ad un insegnante di cui mi fido |_| 3 agli insegnanti |_| 4 ad un bidello |_| 5 altro (specificare)_____________________________________________________ 92 Appendice B 28. Racconti a persone che non sono del tuo ambiente scolastico quello che ti succede a scuola? (*) 0 no 1 sì 29. Se sì, a chi lo racconti? [puoi dare due risposte, indicando, nel quadratino, con 1 la prima scelta e con 2 la seconda] (*) |_| 0 ad un amico o con un’amica di cui mi fido |_| 1 agli amici che frequento all’esterno della scuola |_| 2 ai miei genitori |_| 3 ai familiari (fratelli, zii, nonni, ecc.) |_| 4 ad altri adulti (allenatore, animatore di associazione o della parrocchia, ecc.) |_| 5 altro (specificare)_____________________________________________________ 30. I tuoi genitori comprendono, in generale, i tuoi sentimenti? (*) 0 molto 1 abbastanza 2 poco 3 per niente 31. Fra le seguenti, quale giudichi la cosa più importante nella tua vita? [puoi dare due risposte, indicando, nel quadratino, con 1 la prima scelta e con 2 la seconda] (*) |_| 1 il rispetto degli altri |_| 2 la libertà di fare tutto ciò che voglio |_| 3 la lealtà |_| 4 la solidarietà |_| 5 la fama |_| 6 l’uguaglianza di possibilità per tutti |_| 7 la tolleranza di opinioni e comportamenti diversi dai miei |_| 8 la realizzazione personale |_| 9 la libertà di pensiero ed espressione |_| 10 la giustizia |_| 11 la ricchezza economica |_| 12 il rispetto delle regole |_| 13 la conoscenza 93 Appendice B 32. Esprimi il tuo grado di accordo con la seguente frase: se un compagno non fa ciò che un altro gli dice, quest’ultimo sarà giustificato a dargli uno schiaffo 0 completamente in disaccordo 1 abbastanza in disaccordo 2 moderatamente in disaccordo 3 moderatamente d’accordo 4 abbastanza d’accordo 5 completamente d’accordo 88 non so 33. Esprimi il tuo grado di accordo con la seguente frase: fare a botte è ammissibile solo nel caso ci si debba difendere da un’aggressione: negli altri casi non lo è mai 0 completamente in disaccordo 1 abbastanza in disaccordo 2 moderatamente in disaccordo 3 moderatamente d’accordo 4 abbastanza d’accordo 5 completamente d’accordo 88 non so 34. Esprimi il tuo grado di accordo con la seguente frase: anche se si ricevono degli insulti, reagire con violenza significa mettersi dalla parte del torto 0 completamente in disaccordo 1 abbastanza in disaccordo 2 moderatamente in disaccordo 3 moderatamente d’accordo 4 abbastanza d’accordo 5 completamente d’accordo 88 non so 35. Esprimi il tuo grado di accordo con la seguente frase: è giusto dimostrare di non avere paura di fare a botte con dei compagni, a prescindere dalle circostanze 0 completamente in disaccordo 1 abbastanza in disaccordo 2 moderatamente in disaccordo 3 moderatamente d’accordo 4 abbastanza d’accordo 5 completamente d’accordo 88 non so 94 Appendice B 36. Esprimi il tuo grado di accordo con la seguente frase: i professori dovrebbero sempre punire chi picchia un compagno 0 completamente in disaccordo 1 abbastanza in disaccordo 2 moderatamente in disaccordo 3 moderatamente d’accordo 4 abbastanza d’accordo 5 completamente d’accordo 88 non so 37. Esprimi il tuo grado di accordo con la seguente frase: dimostrare la propria superiorità è un modo per essere ammirati 0 completamente in disaccordo 1 abbastanza in disaccordo 2 moderatamente in disaccordo 3 moderatamente d’accordo 4 abbastanza d’accordo 5 completamente d’accordo 88 non so 38. Esprimi il tuo grado di accordo con la seguente frase: bisognerebbe isolare i compagni prepotenti, così capirebbero che il loro modo di fare è ingiusto 0 completamente in disaccordo 1 abbastanza in disaccordo 2 moderatamente in disaccordo 3 moderatamente d’accordo 4 abbastanza d’accordo 5 completamente d’accordo 88 non so 39. Esprimi il tuo grado di accordo con la seguente frase: prendere in giro un compagno è divertente, soprattutto se lui non si diverte 0 completamente in disaccordo 1 abbastanza in disaccordo 2 moderatamente in disaccordo 3 moderatamente d’accordo 4 abbastanza d’accordo 5 completamente d’accordo 88 non so 95 Appendice B 40. Esprimi il tuo grado di accordo con la seguente frase: le ragazze dovrebbero odiare chi passa il tempo a litigare 0 completamente in disaccordo 1 abbastanza in disaccordo 2 moderatamente in disaccordo 3 moderatamente d’accordo 4 abbastanza d’accordo 5 completamente d’accordo 88 non so 41. Esprimi il tuo grado di accordo con la seguente frase: non bisogna mai dare ragione all’altro 0 completamente in disaccordo 1 abbastanza in disaccordo 2 moderatamente in disaccordo 3 moderatamente d’accordo 4 abbastanza d’accordo 5 completamente d’accordo 88 non so 42. Esprimi il tuo grado di accordo con la seguente frase: chi assiste ad una zuffa in cui è coinvolto un proprio amico dovrebbe sempre proteggerlo in qualunque modo, anche se è palesemente in torto 0 completamente in disaccordo 1 abbastanza in disaccordo 2 moderatamente in disaccordo 3 moderatamente d’accordo 4 abbastanza d’accordo 5 completamente d’accordo 88 non so 43. Esprimi il tuo grado di accordo con la seguente frase: chi cerca sempre di litigare prima o poi riceverà una bella lezione 0 completamente in disaccordo 1 abbastanza in disaccordo 2 moderatamente in disaccordo 3 moderatamente d’accordo 4 abbastanza d’accordo 5 completamente d’accordo 88 non so 96 Appendice B 44. Esprimi il tuo grado di accordo con la seguente frase: se te la prendi con uno che non c’entra, gli altri si rendono conto quanto vali 0 completamente in disaccordo 1 abbastanza in disaccordo 2 moderatamente in disaccordo 3 moderatamente d’accordo 4 abbastanza d’accordo 5 completamente d’accordo 88 non so 45. Esprimi il tuo grado di accordo con la seguente frase: se dei compagni fanno a botte è meglio farsi i fatti propri e non dire niente a nessuno: non si sa mai! 0 completamente in disaccordo 1 abbastanza in disaccordo 2 moderatamente in disaccordo 3 moderatamente d’accordo 4 abbastanza d’accordo 5 completamente d’accordo 88 non so 46. Approssimativamente, negli ultimi 2 mesi, quante volte hai subito prepotenze (fisiche e/o verbali) da parte di altri ragazzi/e? 0 mai 1 raramente 2 ogni tanto 3 spesso 4 sempre 88 non ricordo Se hai risposto ‘mai’ alla domanda n. 46, vai direttamente alla domanda n. 55, altrimenti continua 47. Sapresti essere più preciso e scrivere approssimativamente quante volte hai subito delle prepotenze negli ultimi 2 mesi? |_|_| 97 Appendice B 48. Prevalentemente da parte di chi sono state compiute queste prepotenze? [puoi dare due risposte, indicando, nel quadratino, con 1 la prima scelta e con 2 la seconda] |_| 1 da un compagno della mia classe |_| 2 da una compagna della mia classe |_| 3 da un gruppo di compagni della mia classe |_| 4 da un alunno della scuola esterno alla mia classe |_| 5 da un’alunna della scuola esterna alla mia classe |_| 6 da un gruppo di alunni della scuola esterni alla mia classe |_| 7 da persone esterne alla scuola |_|8 da altri: (specificare) _______________________________________________ |_| 9 da altri: (specificare) ______________________________________________ |_| 88 non ricordo 49. Se queste prepotenze sono state compiute da qualcuno non appartenente alla tua classe, ma appartenente alla tua scuola, nella maggior parte dei casi di che classe faceva/no parte? 1 facevano parte di una classe inferiore 2 facevano parte di una classe dello stesso anno della mia 3 facevano parte di una classe superiore 88 non ricordo 50. Nella maggior parte dei casi, che tipo di prepotenze hai subito? 1 insulti 2 minacce di riferire ad altri storie personali vere o false che potevano screditarmi 3 minacce di azioni contro miei oggetti (furto, distruzione etc. su qualunque oggetto proprio) 4 minacce di azioni contro persone a me care 5 minacce fisiche 6 riferire ad altri storie personali vere o false che potevano screditarmi 7 azioni contro miei oggetti 8 azioni contro persone a me care 9 violenze fisiche 10 altro: (specificare) ______________________________________________________ 88 non ricordo 51. Nella maggior parte dei casi, ritieni che coloro che hanno compiuto quelle azione contro di te avessero ragione? 0 mai 1 raramente 2 ogni tanto 3 spesso 4 sempre 88 non ricordo 98 Appendice B 52. Nella maggior parte dei casi in cui è successo, cosa pensi abbia scatenato il loro comportamento? 1 il mio aspetto fisico, il mio modo di muovermi, di parlare, o di pensare 2 il mio modo di vestire 3 oggetti da me posseduti 4 il mio comportamento in generale 5 un mio particolare comportamento verso di loro 6 ciò che sono, fanno o hanno persone a me legate (genitori, fratelli, amici etc.) 7 un altro motivo: (specificare) _______________________________________________ 88 non so 53. Dove hai subito con maggiore frequenza queste prepotenze? 1 in aula 2 nel corridoio 3 nel bagno 4 nel cortile 5 altrove: (specificare) ______________________________________________________ 88 non ricordo 54. E in che momento prevalentemente? 1 prima di entrare a scuola 2 durante una lezione 3 alla ricreazione 4 all’uscita da scuola 5 in un altro momento: (specificare) ____________________________________________ 88 non ricordo 55. Approssimativamente, quante volte negli ultimi due mesi, da solo o in compagnia, hai compiuto delle prepotenze (fisiche e/o verbali) verso i tuoi compagni? 0 mai 1 raramente 2 ogni tanto 3 spesso 4 sempre 88 non ricordo Se alla domanda n. 55 hai risposto ‘mai’, vai direttamente alla domanda n. 65, altrimenti continua 99 Appendice B 56. Sapresti essere più preciso e scrivere approssimativamente quante volte hai compiuto delle prepotenze negli ultimi 2 mesi? |_|_| 57. La maggior parte delle volte, con chi eri? 1 da solo 2 con uno o più compagni/e di una classe inferiore 3 con uno o più compagni/e della mia classe 4 con uno o più compagni/e di una classe superiore 5 con altri: (specificare) ______________________________________________________ 88 non ricordo 58. Prevalentemente verso chi sono state compiute queste prepotenze? [puoi dare due risposte, indicando, nel quadratino, con 1 la prima scelta e con 2 la seconda] |_| 1 verso un compagno della mia classe |_| 2 verso una compagna della mia classe |_| 3 verso un gruppo di compagni della mia classe |_| 4 verso un alunno della scuola esterno alla mia classe |_| 5 verso un’alunna della scuola esterna alla mia classe |_| 6 verso un gruppo di alunni della scuola esterni alla mia classe |_| 7 verso persone esterne alla scuola |_| 8 verso altri: (specificare) _________________________________________________ |_| 9 verso altri: (specificare) _________________________________________________ |_| 88 non ricordo 59. Se queste prepotenze sono state compiute verso qualcuno non appartenente alla tua classe, ma appartenente alla tua scuola, nella maggior parte dei casi di che classe faceva/no parte? 1 facevano parte di una classe inferiore 2 facevano parte di una classe dello stesso anno della mia 3 facevano parte di una classe superiore 88 non ricordo 60. Nella maggior parte dei casi, che tipo di prepotenze hai inflitto? 1 insulti 2 minacce di riferire ad altri storie personali vere o false che possono screditare 3 minacce di azioni contro oggetti personali (furto, distruzione etc. su qualunque oggetto proprio) 4 minacce di azioni contro persone care 5 minacce fisiche 6 riferire ad altri storie personali vere o false che possono screditare 7 azioni contro oggetti personali 8 azioni contro persone care 100 Appendice B 9 violenze fisiche 10 altro: (specificare) _______________________________________________________ 88 non ricordo 61. Nella maggior parte dei casi in cui è successo, cosa ti ha spinto a fare ciò che hai fatto? 1 il suo aspetto fisico, il suo modo di muoversi, di parlare, o di pensare 2 il suo modo di vestire 3 cose da lui possedute 4 il suo comportamento in generale 5 un suo particolare comportamento verso di me/noi 6 ciò che sono, fanno o hanno persone a lui legate (genitori, fratelli, amici etc.) 7 un altro motivo: (specificare) _______________________________________________ 88 non so 62. Rispetto a tutte le volte che è successo, quanto frequentemente ti sei pentito di ciò che hai fatto? 0 mai 1 raramente 2 ogni tanto 3 spesso 4 sempre 88 non so 63. Normalmente dove hai/avete compiuto queste azioni? 1 in aula 2 nel corridoio 3 nel bagno 4 nel cortile 5 altrove: (specificare) ______________________________________________________ 88 non ricordo 64. E in che momento prevalentemente? 1 prima di entrare a scuola 2 durante una lezione 3 alla ricreazione 4 all’uscita da scuola 5 in un altro momento: (da specificare) ___________________________________________ 88 non ricordo 101 Appendice B 65. Approssimativamente, quante volte negli ultimi due mesi, da solo o in compagnia, hai assistito a delle prepotenze (fisiche e/o verbali) da parte di tuoi compagni verso altri tuoi compagni? 0 mai 1 raramente 2 ogni tanto 3 spesso 4 sempre 88 non ricordo Se alla domanda n. 65 hai risposto ‘mai’, vai direttamente alla domanda n. 71 altrimenti continua 66. Sapresti essere più preciso e scrivere quante volte negli ultimi 2 mesi hai assistito a scene del genere? |_|_| 67. Prevalentemente da parte di chi sono state compiute queste prepotenze? [puoi dare due risposte, indicando, nel quadratino, con 1 la prima scelta e con 2 la seconda] |_| 1 da un compagno della mia classe |_| 2 da una compagna della mia classe |_| 3 da un gruppo di compagni della mia classe |_| 4 da un alunno della scuola esterno alla mia classe |_| 5 da un’alunna della scuola esterna alla mia classe |_| 6 da un gruppo di alunni della scuola esterni alla mia classe |_| 7 da persone esterne alla scuola |_| 8 da altri: (specificare) ___________________________________________________ |_| 9 da altri: (specificare) ___________________________________________________ |_| 88 non ricordo 68. Se queste prepotenze sono state compiute da qualcuno non appartenente alla tua classe, ma appartenente alla tua scuola, prevalentemente di che classe faceva parte? 1 faceva parte di una classe inferiore 2 faceva parte di una classe dello stesso anno della mia 3 faceva parte di una classe superiore 88 non ricordo 69. Nella maggior parte dei casi, a che tipo di prepotenze hai assistito? 1 insulti 2 minacce di riferire ad altri storie personali vere o false che possono screditare 3 minacce di azioni contro propri oggetti (furto, distruzione etc. su qualunque oggetto proprio) 4 minacce di azioni contro persone care 102 Appendice B 5 minacce fisiche 6 riferire ad altri storie personali vere o false che possono screditare 7 azioni contro propri oggetti 8 azioni contro persone care 9 violenze fisiche 10 altro: (specificare) _______________________________________________________ 88 non ricordo 70. Nella maggior parte dei casi, come ti sei comportato? 1 mi sono messo in mezzo appoggiando una delle parti 2 sono andato a chiamare altri compagni in aiuto di una delle parti 3 sono rimasto, ma non ho fatto né detto niente 4 non ho fatto niente: me ne sono andato 5 sono andato a chiamare altri compagni per farli smettere 6 sono andato a chiamare un professore 7 sono intervenuto cercando di pacificare la situazione 8 altro: (specificare) ________________________________________________________ 88 non ricordo 71. Nella tua classe sono presenti compagni che reputi abbiano un abituale comportamento prepotente? 1 Sì 2 No 88 Non so 72. Se hai risposto ‘sì’, potresti indicare approssimativamente quanti sono? |_|_| 73. Nella tua classe sono presenti compagni che reputi essere oggetto abituale di comportamenti prepotenti da parte di altri? 1 Sì 2 No 88 Non so 74. Se hai risposto ‘sì’, quanti sono all’incirca quelli che reputi abituali vittime? |_|_| 103 104 Appendice C Appendice C A seguito sono riportate le tracce dei focus group per l’indagine in profondità. TRACCIA DEL FOCUS GROUP CON ADULTI (condotto da E. Micheloni) 1. Presentazione della definizione data ai ragazzi di continue prepotenze per rispondere al questionario anonimo 2. A presidi, insegnanti e genitori si chiede di descrivere con aggettivi quale pensano sia la situazione, rispetto al fenomeno, nella loro scuola 3. Gli aggettivi vengono riscritti e raggruppati in base alle seguenti categorie: a. conoscenza b. presenza e gravità c. tipologia d. fronteggiamento 4. Approfondimento su categoria “conoscenza”: a. È un fenomeno conosciuto? b. Come ne siete venuti a conoscenza? c. Ve ne hanno parlato le persone coinvolte? d. Siete stati coinvolti, avete partecipato ad incontri in cui si informavano i partecipanti sul fenomeno? 5. Approfondimento su categorie “presenza” e “gravità”: a. È un fenomeno presente nelle vostre scuole? b. Ritenete che siano coinvolte più alunni di quanto si sappia? c. Ritenete sia presente in modo importante? 6. Approfondimento su categoria “tipologia”: a. Pensate ci siano differenze di comportamento tra maschi e femmine? b. Pensate che possa servire sapere se a commettere prepotenze sono maschi o femmine? A che cosa? c. Provate ad immaginarvi una scena in cui una persona che frequenta una classe delle superiori aggredisce intenzionalmente un’altra persona che non e’ in grado di difendersi. Quali caratteristiche fisiche, personali, relazionali ed ambientali avete attribuito alla persona prepotente? Quali alla persona vittima? 7. Approfondimento della categoria “fronteggiamento” a. Secondo voi è un fenomeno difficile da contrastare? 105 Appendice C b. Quando (se) vi siete trovati coinvolti che cosa avete fatto? Che cosa è stato fatto? c. Pensate che si debba intervenire sul fenomeno nelle nostre superiori? Chi dovrebbe promuovere l’intervento? d. Quale dovrebbe essere i ruoli di genitori, insegnanti e presidi nell’intervento? TRACCIA DEL FOCUS GROUP CON I RAGAZZI (condotto da V. Cipriani) Introduzione e spiegazione della ricerca Garanzia dell’anonimato 1. Descrizione del fenomeno a. Nelle vostre scuole è stato consegnato un questionario sul bullismo.... ma voi cosa intendete per “bullismo”? b. Come ne siete venuti a conoscenza? c. Che differenza c’è secondo voi tra prepotenze in generale e bullismo? d. Secondo voi cosa si intende per prepotenze nel bullismo? e. Secondo voi è preoccupante? Se sì perché? Se no perché secondo loro se ne parla tanto? Ai ragazzi è stata fornita la descrizione di bullismo. Da qui si è poi sviluppata la discussione successiva a partire dal punto 2. 2. Presenza e gravità del fenomeno nelle scuole a. Secondo voi nella vostra scuola è presente? b. Secondo voi in che percentuale? Oppure da 1 a 10 c. Se ne parla nella vostra scuola? Oppure secondo voi succede e non si dice? 3. Protagonisti a. Secondo voi quali cose fanno di un ragazzo/a un bullo/a? b. Dovendo fare una specie di identikit come è un bullo/a secondo voi? c. Secondo voi quali cose fanno di un ragazzo/a una vittima? d. Dovendo fare una specie di identikit come è una vittima secondo voi? e. Secondo voi quale è il motivo per cui un ragazzo/a aiuta il bullo? f. Secondo voi quale è il motivo per cui un ragazzo/a sostiene il bullo? g. Secondo voi quale è il motivo per cui un ragazzo/a aiuta la vittima? h. Secondo voi quale è il motivo per cui un ragazzo/a fa l’indifferente? i. Ci sono sia maschi che femmine prepotenti? Secondo voi ci sono differenze tra i maschi e le femmine prepotenti? Se sì quali? j. Secondo voi è più facile che i ragazzi più piccoli subiscano prepotenze dai più grandi? k. Secondo voi come reagisce la persona vittima alle continue prepotenze? Quali possono essere le conseguenze? l. E il bullo? E secondo voi si pente? 106 Appendice C m. Secondo voi a chi lo raccontano sia il bullo che la vittima che hanno fatto/ subito una prepotenza? 4. Strategie della scuola presenti e auspicate dai ragazzi a. Secondo voi cosa viene fatto nelle vostre scuole davanti a queste cose da ragazzi, professori, personale non docente, presidi e genitori? b. E secondo voi cosa dovrebbe essere fatto perché queste cose non avvengano più da ragazzi, professori, personale non docente, presidi e genitori? 107 108 109 Finito di stampare nel mese di novembre da Tipografia La Moderna srl Prato 110 111 112