Il Tempio di Gerusalemme: dallo spazio sacro alla sua
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Il Tempio di Gerusalemme: dallo spazio sacro alla sua
Il Tempio di Gerusalemme: dallo spazio sacro alla sua negazione Luca Mazzinghi Il Tempio di Gerusalemme, il luogo vuoto della presenza di Dio “Abiterò in mezzo agli israeliti e sarò il loro Dio”. Con queste parole, il Dio di Israele, YHWH, si rivolge a Mosè (Esodo 29,45) al termine delle istruzioni dategli circa la costruzione della tenda della Dimora che, nel corso del cammino del deserto, dovrà ospitare la presenza di questo stesso Dio. Ma resta vero il fatto che Israele non ha mai pensato allo spazio del Tempio – sia esso la Tenda mobile del deserto, sia esso il Tempio di Gerusalemme – come alla reale abitazione di Dio. Al momento in cui il re Salomone è descritto nell’atto di consacrare il Tempio da lui stesso fatto costruire, Tempio del quale ha preso possesso la nube della gloria di Dio, il narratore gli pone in bocca questa frase emblematica: “Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco, i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ti ho costruita” (1Re 8,27). Il Tempio è dunque, per Israele, soltanto il segno di una presenza; il Dio di Israele, infatti, è YHWH, Yahweh, ovvero “colui che c’è”, il Presente; non ha bisogno di un Tempio per manifestarsi in mezzo agli uomini; sono gli israeliti che ne hanno bisogno, non tanto lui. Per questo motivo il Tempio non è un assoluto; Israele è nato senza Tempio; è vissuto nei suoi molti esili senza Tempio e, da duemila anni, da quando il Tempio fu distrutto dalle legioni di Tito, vive senza Tempio. Il cuore della vita di Israele è, infatti, piuttosto la Torah, la legge data a Mosè. Nonostante tutto ciò, il Tempio rimane il luogo della presenza, la sede dove Dio “ha deciso di 128 porre il suo nome”, come si esprimono diversi testi biblici. Un breve sguardo alla struttura del Tempio ci permetterà di coglierne meglio il significato. Ricordiamo prima di tutto che parleremo qui del cosiddetto “secondo Tempio”, quello che conosciamo meglio dalle fonti storiche, ovvero il Tempio ricostruito dagli israeliti dopo il ritorno dall’esilio babilonese, a partire dal 520 a.C. circa e completamente restaurato da Erode il Grande, negli anni successivi al 36 a.C., Tempio che verrà distrutto dalle legioni romane nel 70 d.C. Un semplice e fin troppo superficiale esame della topografia del Tempio ci aiuterà a coglierne il significato per la vita e per la fede di Israele. Il Tempio di Gerusalemme all’inizio del I sec. d.C. occupa quasi un quarto della superficie della città; uno spazio sacro all’interno di una città sacra, la cui intera vita ruota attorno al Tempio stesso. Qui per “sacro” dobbiamo intendere una idea tipicamente biblica ed ebraica: sacro è qualcosa che appartiene alla sfera di Dio, il cui contatto, senza le dovute cautele, rende impuro l’uomo e ne minaccia la vita. Se il cortile interno del recinto del Tempio era aperto anche ai non ebrei (il cosiddetto “atrio dei pagani”) non così era per il resto del santuario, il cui accesso era rigorosamente limitato ai membri del popolo santo, cioè agli israeliti, pena la morte. Ma le separazioni relative alla santità del Tempio non terminano qua. Il cortile riservato agli israeliti è a sua volta suddiviso in due parti, la prima delle quali è consentita alle donne, mentre la seconda è loro preclusa. La donna, infatti, non è direttamente ammessa a parteci- pare al culto e la sua frequente impurità (legata per esempio al parto o più semplicemente al ciclo mestruale) la rende inabile alla presenza nel luogo santo. Neppure gli israeliti maschi e adulti, tuttavia, possono essere ammessi all’interno dell’edificio vero e proprio, dove solo i sacerdoti possono entrare ed esclusivamente per svolgere i riti prescritti, dopo accurati rituali di purificazione. Questa progressiva separazione del sacro dal profano mette in evidenza la santità del Dio di Israele, che non può essere incontrato dagli uomini in modo diretto. Solo al sommo sacerdote, poi, è consentito l’ingresso nella parte più interna del santuario, il “Santo dei Santi”, la cella che più di ogni altra cosa rappresenta la presenza invisibile del Dio di Israele. Ora, questa cella è vuota; nel Tempio salomonico, distrutto dai babilonesi nel 586 a.C., la tradizione biblica vi collocava la celebre “Arca dell’Alleanza” la quale, a sua volta, avrebbe contenuto – probabilmente con ben scarso fondamento storico – le tavole della Legge donate da Dio a Mosè. Il Tempio di Erode, invece, è nel suo interno un santuario vuoto; o meglio, è del tutto vuota la cella del “Santo dei Santi”. È ben nota la testimonianza di Tacito relativa a Pompeo; quando questi nel 63 a.C. prende possesso di Gerusalemme, ha l’occasione di entrare nel Tempio e di penetrare fin nel Santo dei Santi, credendovi di trovare qualche immagine di questo Dio così singolare. Ma, con suo grande disappunto, trova la cella vuota; Tacito, da buon romano, non comprende, come del resto non comprese Pompeo, e scrive che egli si trovò di fronte nulla intus deum effigie, vacuam sedem 1 129 et inania arcana (Historiae, V,9). Il Dio di Israele non ha bisogno di immagini (cfr. già Esodo 20,3ss); il Tempio è il segno di una presenza che è reale nel momento stesso in cui è invisibile. Ulteriore separazione, dunque: la città santa separata dal resto del mondo; il Tempio separato dalla città; il cortile separato dai pagani prima e dalle donne poi; il santuario separato dagli uomini e il Santo dei Santi dai sacerdoti: alla fine Dio stesso è separato con il vuoto dalle immagini sensibili. Al di là degli stili utilizzati dai costruttori del Tempio (che erano basati su modelli fenici all’epoca di Salomone e su modelli ellenistici a quella di Erode), conta dunque la disposizione dello “spazio sacro” che fa del Tempio stesso un segno del Dio invisibile e non rappresentabile, del Dio tre volte santo (cfr. Isaia 6) che richiede una adeguata separazione dal “profano” perché l’uomo possa alla fine sperimentarne la presenza. A scanso di equivoci, ricordiamo che questa presenza non va soltanto intesa come una presenza regale, maestosa e terribile quasi che la sacralità del Tempio nasca da una visione quasi magica di un Dio capace di terrorizzare l’uomo. Il Dio di Israele, infatti, è il Dio “misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore” (cfr. Esodo 34,5). La sua presenza è a favore dell’uomo; tuttavia l’uomo non può accostarsi impunemente a lui. Queste poche note relative alla realtà del Tempio di Gerusalemme ci sono indispensabili per comprendere la portata della polemica che il Nuovo Testamento conduce proprio contro quel Tempio, che ben presto cessò di essere il centro della vita della nuova fede cristiana, benché secondo la stessa testimonianza biblica gli stessi apostoli e persino Paolo lo frequentassero ancora con una certa assiduità (c. vari passi in Atti 1-5). Quali furono le ragioni di questo cambiamento e quali le conseguenze sull’idea di “spazio sacro” per i cristiani? Gesù, il nuovo Tempio di Dio Sono noti, nei Vangeli, i passi nei quali Gesù entra in polemica con il Tempio di Gerusalemme; in particolare emergono quei testi nei quali Gesù scaccia i venditori dal Tempio (Matteo 21,12-13; Marco 11,15-17; Luca 19,45-46; Giovanni 2,13-22), compiendo così un gesto profetico che mira alla purificazione del Tempio stesso considerato da Gesù come “casa di preghiera”. Da 130 questo punto di vista, l’azione di Gesù si iscrive in azioni analoghe dei profeti (cfr. Geremia 7) già per i quali il Tempio non poteva essere considerato una garanzia di successo per Israele. La polemica di Gesù contro il Tempio, come quella dei profeti, è volta a restaurarne il vero significato. Più radicali sono invece quei passi nei quali Gesù afferma di voler distruggere il Tempio e di ricostruirlo in tre giorni (cfr. Mt 26,61; Mc 14,58), riferendosi però, come specifica Giovanni, al “tempio” del suo corpo (Gv 2,19); su queste parole si baserà una buona parte del processo giudaico condotto presso il sinedrio. È interessante per noi approfondire proprio questo punto: parlando di se stesso come del “Tempio”, Gesù in qualche modo intende sostituirsi ad esso. Questa almeno è la lettura che gli evangelisti hanno dato delle parole di Gesù anche in un’altra occasione: quando ne descrivono la morte, Matteo, Marco e Luca ricordano che “il velo del Tempio si squarciò in due, dall’alto in basso” (Matteo 27,51; Marco 15,38; Luca 23,45). Il velo del Tempio non è altro che la cortina che separa il Santo dal Santo dei Santi, segno del luogo inaccessibile dove solo il sommo sacerdote può entrare una sola volta all’anno. In questo modo, gli evangelisti vogliono mostrare che con la morte di Gesù il Tempio di Gerusalemme ha perso ormai il suo scopo: l’accesso verso Dio è adesso diretto, senza più mediazioni rituali. Il Tempio ha cioè radicalmente perduto la sua funzione di “spazio sacro”. Per il Vangelo di Giovanni, in particolare, il culto come strumento di mediazione attraverso luoghi e gesti è abolito (cfr. il dialogo con la samaritana in Giovanni 4,1-44) e il vero spazio sacro (cfr. ancora Gv 2,19) è Gesù stesso, come Figlio di Dio e Parola fatta carne che “ha posto la sua tenda in mezzo a noi” (Gv 1,14). Se i cristiani hanno ancora bisogno di luoghi per riunirsi, non hanno più bisogno di uno spazio sacro perché il luogo della presenza di Dio, la manifestazione della sua “gloria”, nel linguaggio giovanneo, è Gesù stesso (cfr. tutto il prologo di Giovanni; Gv 1,1-18). 2 Pagine prededenti: 1 Arco di Tito, bassorilievo raffigurante i soldati romani con il candelabro d’oro a sette bracci sottratto al Tempio di Gerusalemme 2 Alec Garrard ricostruzione del Tempio di Erode 3 E. P. Sanders Area del Tempio erodiano, i cortili e il santuario: Fortezza Antonia (1), Muro portante (2), Strada presso il muro portante (3), Arco di Wilson sulla valle del Tyropeon (4), Arco di Robinson (5), Botteghe (6), Portici (7), Portico reale (8), Porta di uscita (9), Porta d’ingresso (10), Portico di Salomone (11), Monte degli Ulivi (12), Cortile dei gentili (13), Ingresso alla piazza, collegato da un tunnel alla porta d’ingresso (14), Uscita dalla piazza collegata alla porta di uscita (15), Balaustra e gradinate interdette ai gentili (16), Spianata interna e gradini (17), Muro interno (18), La prospettiva aperta dal vangelo di Giovanni è confermata e ampliata nella Lettera agli Ebrei, uno scritto della seconda generazione cristiana, in seguito attribuito a Paolo. All’inizio del capitolo 8, al cuore della lettera, leggiamo: Porta Est per israeliti maschi (19), Porte Sud e Nord per israeliti femmine (20), Cortile delle donne (21), Portici interni (22), Muro di separazione tra uomini e donne (23), Seconda porta Est per israeliti maschi(24), Altare per sacrifici (25), Cortile degli israeliti (26), Parapetto di separazione tra sacerdoti e laici (27), Cortile dei sacerdoti (28), Ingresso al santuario (29), Hekal (30), Devir (31), Piani superiori (32) 3 131 “noi abbiamo un sommo sacerdote così grande che si è assiso alla destra del trono della maestà dei cieli, ministro del santuario e della vera tenda che il Signore e non un uomo ha costruito” (Eb 8,1-2). Il servizio dei sacerdoti ebrei svolto secondo la Legge mosaico è solo un’ombra della realtà (Eb 8,5). Il capitolo 9, poi, ricorda per filo e per segno la disposizione e la struttura del Tempio di Gerusalemme, per concludere che “Cristo, invece, venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mani d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione, non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue entrò una volta per sempre nel santuario, procurandoci una redenzione eterna” (Eb 9,11-12). Con queste espressioni, l’autore della lettera agli Ebrei vuole prima di tutto far comprendere ai suoi ascoltatori che tutto ciò che la Scrittura dice del Tempio si compie realmente in Cristo; il Tempio non è stato inutile, ma in Cristo non serve più. È in lui, infatti, che l’umanità ottiene la salvezza ed è soprattutto in lui che gli uomini possono avere accesso diretto a Dio, senza più bisogno della mediazione rituale del Tempio materiale. Nella Gerusalemme celeste descritta dall’Apocalisse, il veggente autore del libro non vede alcun tempio in essa, perché il tempio dei cristiani è l’Agnello, cioè Cristo stesso (cfr. Ap 21,22). È evidente che un tale discorso ha una enorme portata nella valutazione del Tempio cristiano che non può più essere inteso come spazio sacro al modo del Tempio ebraico di Gerusalemme. Ma prima di trarre qualche conclusione su questo argomento è necessario dire ancora qualcosa su un altro aspetto della visione cristiana relativa al Tempio, ovvero quei passi nei quali sono i cristiani stessi ad essere chiamati “Tempio di Dio”. I cristiani, tempio vivente di Dio “Santo è il tempio di Dio che siete voi!” (1Corinzi 3,17); questa frase di Paolo arriva al termine di un testo polemico (1Cor 3,10-17) nel quale Paolo proclama arditamente un fatto nuovo. Per i cristiani, nell’ottica di Paolo, non c’è più bisogno del Tempio perché la presenza di Dio è in loro, attraverso il dono dello Spirito Santo. Se il Tempio di Gerusa- 132 lemme, infatti, era il luogo (o almeno il segno) della presenza di Dio, il nuovo luogo della presenza di Dio è adesso l’uomo stesso. La comunità cristiana, pertanto, rivendica per se stessa l’essere il vero Tempio di Dio, che evidentemente non permette di attribuire più alcuna importanza al Tempio materiale. Tutto ciò nasce dalla profonda convinzione che animava la prima comunità cristiana, che cioè ogni credente è animato da quello Spirito che in modo privilegiato si era posato su Gesù (Gv 1,32-33). In altre parole, Dio non “abita” più un luogo materiale – nel quale peraltro non si pensava abitasse realmente – ma “abita” con il suo Spirito l’intimo stesso degli uomini. Se Gesù è il luogo della presenza di Dio lo sono anche i cristiani, nei quali abita lo Spirito (cfr. anche 1Cor 6,19). In altri testi del Nuovo Testamento (1Pietro 2,5 e Romani 12,1) i credenti vengono descritti come “pietre vive” che insieme costituiscono un “edificio spirituale” cioè quel Tempio vivente che è la chiesa. In questa chiesa-tempio vivente il cristiano ritrova i due elementi che caratterizzavano il Tempio di Gerusalemme: la ricerca della presenza di Dio e il perdono dei peccati: tutto ciò avviene nel momento culminante della vita della comunità cristiana, ovvero la celebrazione eucaristica. Qui il cristiano scopre una presenza fonte di perdono che non è legata a uno spazio sacro (tant’è che i primi cristiani non sentono il bisogno di “chiese”), ma alla comunità stessa, abitata dallo Spirito e vero spazio sacro della presenza di Dio. Conclusioni: l’uomo è lo spazio sacro di Dio Già per quanto riguarda il Tempio di Gerusalemme le Scritture ebraiche avevano ben chiaro come il Tempio non doveva correre il rischio di diventare qualcosa che blocca l’esperienza divina dentro schemi precostituiti. Nel capitolo 7 del secondo libro di Samuele, il profeta Natan ricorda a David che non sarà lui a costruire una casa a Dio, bensì Dio a costruire una casa a lui. Inoltre, non di rado la tradizione ebraica vedrà il Tempio come una “tenda”, sulla falsariga della tenda/santuario costruita da Mosè nel deserto: un luogo provvisorio e mobile, non legato a uno spazio prefissato. Ciò che il cristianesimo dirà sul Tempio non è perciò in diretta opposizione all’intera visione ebraica del Tempio stesso, ma sotto molti punti di vista in continuità con essa. Per il cristianesimo, però, tale provvisorietà del Tempio diviene ancor più evidente e radicale. Non potrà mai essere un Tempio terreno a sostituire il Tempio di Gerusalemme andato distrutto; la vera casa di Dio è in cielo e, sulla terra, il luogo della presenza di Dio è Gesù Cristo, e quindi la comunità dei cristiani, la Chiesa (ancora il testo di Ap 21,22). Quando i cristiani inizieranno a costruire i loro luoghi di culto, le chiese, non penseranno prima di tutto a uno “spazio sacro” nel quale far abitare Dio. Forse le cose cambieranno soltanto con la nascita del culto eucaristico concepito come la presenza dell’ostia consacrata all’interno della chiesa; ma si tratta di una visione senz’altro posteriore. L’edificio-chiesa, che sia esso la basilica del primo cristianesimo, l’edificio romanico o gotico, suggerisce sempre una dimensione di cammino, piuttosto che di staticità e sacralità in senso spaziale. Non c’è tanto spazio sacro quanto piuttosto uno spazio dinamico che invita il cristiano ad andare oltre. Sarà soprattutto con la Controriforma che le chiese acquisteranno una dimensione più statica, intese sempre più come luogo di adorazione, di predicazione, di ascolto e di visione del rito. Ancora oggi sono rare le chiese che invitano i credenti a “camminare” piuttosto che a “fermarsi”. Eppure uno studio dei testi del Nuovo Testamento relativi al Tempio ci mostrano chiaramente come il cristianesimo non concepisce più uno spazio sacro statico, fine a se stesso, una “casa di Dio” che in fondo era già esclusa dalla concezione della Tenda del deserto descritta nel libro dell’Esodo. L’uomo, sia esso l’uomo-Cristo figlio di Dio, sia esso l’essere umano abitato dallo Spirito, è alla fine il vero spazio sacro. Solo in relazione a questa fede l’edificio-chiesa può conservare tutto il suo valore. Bibliografia essenziale Una prima e semplice introduzione al Tempio di Gerusalemme si può facilmente trovare nel n° 4 (1999) de “Il mondo della Bibbia”; ed. ElleDiCi, Leumann (To), con ulteriore e più ampia bibliografia. Sullo spazio sacro nella Scrittura e nella tradizione cristiana si possono consultare S. Dianich, “Luoghi e spostamenti nell’autocoscienza della chiesa” e B. Rossi, “Dalla visione della sacralità giudaica alla rilettura dello spazio e del sacro nell’autore del quarto vangelo”, entrambi in Vivens Homo 8/2 (1997). 4 4 Un soldato israeliano al Muro del Pianto