Struttura letteraria e teologia della creazione in Rm 8,18-25
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Struttura letteraria e teologia della creazione in Rm 8,18-25
STRUTTURA LETTERARIA E TEOLOGIA DELLA CREAZIONE IN Rm 8,18-25 B. Rossi Anche se esistono molti studi su Rm 8,18-25 1, nessuno ha affrontato direttamente l’analisi letteraria di questi versetti, inoltre questo brano è portato spesso a conferma o a discredito dell’idea della redenzione cosmica, senza cercare di enucleare il senso profondo dell’affermazione paolina. Il nostro lavoro intende essere un contributo alla comprensione di questi due aspetti. I. Delimitazione e articolazione della pericope Date le varie opinioni degli studiosi riguardo alla delimitazione della pericope (Rm 8,18-25) all’interno del capitolo 8 e la loro importanza per la comprensione del testo, è utile dare uno sguardo d’insieme alle medesime. Gli autori convergono, per lo più, nel mettere l’inizio nel v. 18, anche se non manca chi lo pone nel v. 1 o nel .v 16; per la fine, invece, abbiamo una diversità di opinioni più articolata: v. 21, 22, 23 o 27. Il modo migliore per pervenire ad una delimitazione della pericope è quello di utilizzare più criteri convergenti che tengano conto dei vari livelli del testo: grammaticale, letterario, logico, giungendo ad individuare bene la pericope, colta nella sua ricchezza e nel quadro generale in cui s’inserisce. 1. Inizio della pericope Inizio nel v. 16? È la convinzione di de La Calle Flores2 il quale stima che i vv. 16-30 trattino dell’attività dello Spirito e “en razón de esta actividád, encontramos dos divisiones claras, 16-25, el Espiritu testimonia juntamente 1. Riportiamo in calce all’articolo gli studi più notevoli sul soggetto ad alcuni dei quali ci riferiremo nel corso del nostro lavoro. Nel corso dell’esposizione le riferenze di autori isolati ed anche seguiti da cifre, indicanti le pagine, rimandano ai vari commentari. 2. De la Calle Flores, “La esperanza”, 171-186. LA 41 (1991) 87-124 88 B. ROSSI con nosotros que somos hijos de Dios, y 26-30, el Espiritu ayuda nuestra enfermedad” 3. All’interno dell’unità di 8,18-25 distingue i vv.19-25, uniti da un particolare vocabolario escatologico, dai vv.16-18 che “aparentemente quedan fuera de esta unidad, pero son ellos, sin enbargo, los que introducen todo el periodo 19-25” 4. Il v.16 assume un ruolo di “tesis”, il 17a ne è un corollario, il 17b introduce una condizione, mentre il v.18 fa da collegamento, con richiami formali, tra il 17 e i vv. 19-25. L’analisi di de La Calle Flores rivela una buona sensibilità letterariostilistica, che gli permette d’individuare le varie pause ed enfasi nel testo. Penso però che gli elementi da lui sottolineati vadano organizzati un po’ diversamente. Alla sua posizione, infatti, si possono fare le seguenti osservazioni critiche. I vv. 14-15 dovrebbero essere “la transición al tema segundo, actividad . 16-18, a loro volta “introducen todo del Espiritu” 5, trattata nei vv. 1-25 i vv 6 el periodo 19-25” , mentre poi, di fatto, come de La Calle Flores ben dimostra, questo ruolo di collegamento con i vv. 19-25 è svolto solo dal .v 18. Avremmo troppe “introduzioni”. Il v. 16 viene visto come una «tesis: “el Espiritu testimonia juntamente con nosotros que somos hijos de Dios”» 7, di cui il v. 17a sarebbe un corollario, ma riguardo a questo argomento tematico non abbiamo parola nei vv. 19-25 se non nella prospettiva aperta dal 17b, che è “una condición a esta heredidad”, di sofferenza-gloria. È più giusto, quindi, affermare che proprio questa sofferenza-gloria, ripresa in 18, diventa la “tesi” dei versetti seguenti. In sintesi, de La Calle Flores ha bene individuato l’unità dei vv. 18. 19-25, ma non ha dato ragione del perché 16-17, che anche nella sua rappresentazione grafica risultano in strana posizione, debbano essere uniti strutturalmente con i seguenti, quando formalmente e contenutisticamente sembrano far parte di ciò che precede. Inizio nel v. 17? Secondo Cranfield 8 i vv. 12-16 manifestano che siamo figli di Dio affermando che lo Spirito dimora in noi, ed il v. 17 “makes the transition from the subject of obedience (calling God ‘Father’) to that of Christian hope 3. De la Calle Flores, “La esperanza”, 172. 4. De la Calle Flores, “La esperanza”, 172. 5. De la Calle Flores, “La esperanza”, 172. 6. De la Calle Flores, “La esperanza”, 172. 7. De la Calle Flores, “La esperanza”, 172. 8. Cranfield, “Some Observations”, 224-230; C. E. B. Cranfield, A Critical and Exegetical Commentary on the Epistle to the Romans I-II (ICC), Edimburg 1975-1979, 404s. RM 8,18-25 89 (that to be indwelt by the Holy Spirit is to be possessed of the gift of hope…)” 9. Questa scelta, di fatto, appare poco fondata sia dal punto di vista letterarioformale che da quello contenutistico. Infatti eij di 17a introduce una condizionale della realtà, che si rapporta a modo di conclusione (dev) al v. 16. Inoltre, l’ipotetica della realtà unita alla proposizione finale del v. 17b, pur avendo elementi che nel 18 formeranno la tesi della pericope 18-25, è ugualmente congiunta concettualmente e sintatticamente con ciò che precede. Contenutisticamente, poi, il v. 17 non parla espressamente di speranza, cosa che invece sarebbe richiesta se fosse, come dice Cranfield 10, la transizione al tema della “speranza”. Si può quindi dire che non vi siano valide motivazioni formali o contenutistiche per fare del v. 17 il “terminus a quo” della pericope. Inizio nel v. 19? Questa soluzione11 è suggerita dal fatto che il v. 18 per i suoi richiami col v. 17 sembra così connesso con questo, da fare del 19 l’inizio della pericope seguente. In realtà il v. 19 non può essere l’inizio sia perché validi motivi, come vedremo subito dopo, reclamano una distinzione tra il v. 17 e il .v 18, sia perché a causa del gavr iniziale, il v. 19 non può separarsi dal .v 18 essendone una spiegazione-esemplificazione. Inizio nel v. 18? È la teoria più probabile su cui convengono quasi tutti i commentatori 12. A favore di questa ipotesi infatti stanno le seguenti motivazioni: la presenza della formula logivzomai ga;r o{ti, che, come formula di introduzione, spezza l’andamento del testo invitando a soffermarsi e, 9. Cranfield, “Some Observations”, 224. 10. Certo la decodificazione, che fa Cranfield (cfr “Some observations”, 224) attribuendo lo “sperare” all’attività dello Spirito nel cuore del cristiano, ha la sua validità teologica, ma, affinché un passo possa essere considerato transizione ad un nuovo soggetto deve avere anche formalmente ed espressamente il contenuto o almeno un accenno ad esso. 11. G. Barbaglio, Le lettere di Paolo I-II, Città di Castello 1980, 379; Biedermann, Erlösung, 69-72; I. de La Potterie, “Le chrétien conduit par l’Esprit dans son cheminement eschatologique (Rom 8,14)”, in The Law of the Spirit in Rm 7 and 8 (Monographic Series of “Benedictina” Biblical Ecumenical Section 1), ed. L. de Lorenzi, Rome 1976, 229s; P. Iovino, Chiesa e tribolazione. Il tema della Qli'yi" nelle lettere di S. Paolo (Collana della facoltà teologica di Sicilia 1), Palermo 1985, 114-126; A. Maillot, L’épître aux Romains. Epître de l’oecumenisme et theologie de l’histoire, Paris – Genève 1984, 213; M. Vellanickal. The Divine Sonship of Christians in the Joannine Writings (AnBib 72), Rome 1977, 81-85; così pure nei loro studi: Dulau, Fromman, Reithmayr, Stengel, Trucco. 12. Anche se raramente si preoccupano di motivare la scelta: Balz, Best, Bindeman, Lagrange, Lietzmman, Michel, Schlatter, Schlier, Schmidt, Viard, Vögtle, Wilckens. 90 B. ROSSI per così dire, a riprendere fiato per continuare il discorso. Ognuno dei tre termini di questa formula introduttoria, poi, ha un ruolo specifico nel ribadire uno stacco dal versetto precedente; logivzomai, infatti, è, nel cap. 8, la prima apparizione di una prima persona singolare; ne troveremo un’altra solo al v. 38. Inoltre l’uso che viene fatto dilogivzomai nel NT rafforza la sua singolarità e importanza in questo v. 18: Paolo lo usa 19 volte nella lettera ai Romani e solo qui alla prima persona singolare. Le altre due volte in cui è usato così (cfr 2 Cor 10,2; 11,5) ha, come qui, un senso assai forte 13. Tutto questo sottolinea il valore di questa prima persona singolare, che, proprio a causa della sua singolarità, stabilisce una forte cesura. Ga;r: ha un valore metabatico e perciò collega-separa ciò che precede da ciò che segue, come se avesse il valore di “così”, “pertanto”. ”Oti: sia che abbia un valore “dichiarativo” o “recitativo”, come sembra più probabile, unito a logivzomai fa sì che la frase seguente (v. 18b) assuma un carattere di tesi generale, che riprende la tematica del v. 17 e la fa procedere verso un nuovo sviluppo. La determinazione temporale nu'n kairou', mevllousan dovxan è il secondo motivo a favore di un inizio della pericope nel v. 18, in quanto l’accentuazione temporale del presente con la sua connotazione escatologica è un elemento stilistico che produce una distinzione da ciò che precede 14. Inoltre, una lettura attenta dei vari motivi letterari del c.8 (movimento delle persone, discorso espositivo-dialogico) mette in evidenza come lo stile argomentativo acquista col v. 18 una connotazione molto differente. Rom 8,18-25 sembra assumere i lineamenti di una parentesi esplicativa o di una precisazione necessaria sul concetto espresso in 8,17. Infine, un’ulteriore ragione per fare iniziare la pericope in 8,18 è l’unità di vocabolario che si riscontra nei versetti precedenti e quindi la diversità di questi con 18-25. La sezione 8,1-17 ruota intorno ai seguenti termini 15: 13. Cfr ad esempio Cambier, “L’ésperance et la salut”, 84; Cranfield, 408; O. Michel, Der Brief an die Römer (KEK IV), Göttingen 197814, 265. 14. Sempre nel capitolo 8 altre due determinazioni temporali segnano l’inizio di pericopi. In questo v. 18, però, oltre che dall’avverbionu'n, il riferimento temporale è dato dal termine kairov", “momento presente”, in opposizione a mellouvsan dovxan, “gloria futura”. 15. Ordinando i termini secondo una certa connessione di pensiero all’interno del testo abbiamo il seguente schema: katavkrima v. 1 eijrhvnh v. 6 katakrivnw vv. 3.34 dikaiosuvnh v. 10 e[cqra v. 4 ejleuqerovw vv. 2.21 dikaivwma v. 4 pneu'ma vv. 2.4.5.6.9.10.11. ojfeilevth" v. 12 13.14.15.16.26.27. 91 RM 8,18-25 -katavkrima –katakrivnw –e[cqra –dikaivoma –ojfeilevth" -dikaiosuvnh –eijrhvnh –ejleuqerovw –pneu'ma -aJmartiva –qavnato" –qanatovw –qnhtov" –ajpoqnhvskw –nekrov" -ajduvnato" –duvnamai -frovnhma –fronevw -savrx –sw'ma -zwhv –zavw –zowpoievw –ejgeivrw -klhronovmo" –sugklhronovmo" –novmo" -peripatevw –a[gw -lambavnw -oijkevw –ejnoikevw La concentrazione di queste parole nei vv. 1-17, specie nella contrapposizione antitetica savrx –pneu'ma, ci permette di parlare di una buona unità di vocabolario, come aveva sottolineato il Feuillet 16. Questa unità di vocabolario, di stile e di contenuto 17 offre un valido motivo per porre una cesura in 8,18, che apre una parentesi esplicativa di 8,17. Alcuni termini negativi, infatti, quali katavkrima, aJmartiva, qavnato", novmo", savrx trovano un collegamento sintetico nel v. 17 sumpav ( scomen). A loro volta paqhvmata e dovxa del v. 18 diventano riprese letterario-contenutistiche molto evidenti, aJmartiva qavnato" qanatovw qnhtov" ajpoqvnhvskw nekrov" savrx sw'ma ajduvnato" duvnamai frovnema fronevw zwhv zavw vv. 2.3.4.7. vv. 2.6.38 vv. 13.36 v. 11 vv. 13.14 vv. 10.11.34 vv. 3.4.5.6.7.8.9. 12.13 vv. 10.11.13.23 v. 3 vv. 7.8.39 vv. 6.7.27 v. 5 vv. 2.6.10.38 vv. 12.13 zwopoievw ejgeivrw v. 11 vv. 11 oikevw ejnoikevw vv. 9.11 v. 11 novmo" vv. 2. 3.4.7 klhronovmo" sugklhronovmo" v. 17 v. 17 peripatevw a[gw vv. 1.4 v. 14 lambavnw v. 15 16. Cfr A. Feuillet, “Le plan salvifique de Dieu d’après l’épître aux Romains. Essai sur la structure littéraire de l’épître et sa signification théologique”, RB 57 (1950) 276. 17. Dopo che Paolo aveva parlato della deplorevole condizione dell’uomo sotto il regime del peccato, della morte e della legge (cfr 5,12-7,25) in 8,1 riafferma significativamente che “non c’è dunque ora nessuna condanna per coloro che sono in Cristo Gesù”. La nuova legge, quella dello Spirito, permette a chi vive secondo essa di essere libero dalle aspirazioni della carne per perseverare e vivere nello Spirito il quale attesta la nostra figliolanza che ha come conseguenza la vita, l’eredità e la gloria futura. 92 B. ROSSI che fanno avanzare il pensiero verso qualcosa di nuovo o almeno di integrativo, in quanto il pensiero di 8,1-17, va poi continuato nei vv. 26-27. Riepilogando, a favore di 18 come inizio di pericope, abbiamo: la formula introduttoria logivzomai gavr o{ti con il suo significato pregnante, la determinazione temporale nu'n kairou', l’unità di stile, di vocabolario e di contenuto dei versetti precedenti, l’unità formale e contenutistica dei vv. 1825, unità che vedremo in seguito, ed infine le riprese-gancio tra i versetti 17 e 18, le quali mettono bene in evidenza il valore metabatico del gavr e danno, inoltre, la ragione dello sviluppo di tutta la pericope. 2. Fine della pericope La delimitazione di questo secondo estremo presenta una problematica molto più complessa del precedente. In base alle diverse opinioni, dobbiamo prendere in considerazione l’ipotesi di porlo in uno dei seguenti versetti: 21, 22, 23, 25, 27. Fine nel v. 21? Philippe Rolland, nella sua struttura della Lettera ai Romani, considera i vv. 8,12-21, come facenti parte di una sezione 18 che intitola: “La vie nouvelle des enfants de Dieu est un dûr arrachement à l’esclavage” 19 , sezione che divide in due paragrafi, vv. 12-17 e 18-21, con suddivisioni specifiche. Dal v. 22 fino al .v 30 abbiamo poi, secondo lui, un’altra sezione: “Les biens spirituels dèjà recus sont les prémices de notre adoption glorieuse” 20, pure composta di due paragrafi: vv. 22-27 e 28-30. I vv. 18-21 formano, senza dubbio, una unità compatta, con inclusioni formali e contenutistiche, in parte evidenziate dallo stesso Rolland 21, che 18. Cfr Ph. Rolland, Epître aux Romains. Texte grec structuré, Rome 1980, 29. Anche H. Luz considera i vv. 19-21 come una unità che ha per soggetto la creazione, mentre vv. 22-30 i cristiani: “…zwei parallelen Gedankengängen … für die Schöpfung in vv. 19-21, für die Christen … in vv. 22-30”, Das Geschichtsverständnis des Paulus (BEvTh 49), München 1968 377. Balz, Heilsvertrauen, 34 n. 22, facendo una nota su Luz, afferma che l’unità riguardante la creazione non è 19-21, ma 19-22. Mentre Luz è più sensibile all’andamento del testo (anche se pure lui argomenta considerando 19-22 come unità), Balz si fonda più su un criterio di contenuto. 19. Rolland, Texte grec, 29. 20. Rolland, Texte grec, 30. 21. Oltre alle inclusioni notate da Rolland, ci sono altri richiami all’interno del testo che offrono una armonica compattezza dell’unità 19-21: ad esempio tevknwn tou' qeou' di 21 è una ripresa di uiJw'n tou' qeou' di 19, ma Rolland non lo evidenzia e, preferendo marcare una inclusione della sezione 12-21, lo mette in relazione con uiJoi; qeou' di 14. RM 8,18-25 93 sottolinea una inclusione tra dovxan del v. 18 e dovxh" del v. 21 e un’altra tra ktivsew" del v. 19 e ktivsi" del v. 21. È pure vero, inoltre, che oi[damen ga;r o{ti del v. 22 costituisce una pausa nell’andamento del testo e che potrebbe contraddistinguere l’inizio di una pericope. Nonostante questi elementi, però, non è possibile separare i vv. 18-21 dai vv . 22-25 come se appartenessero a due pericopi diverse e questo sia per unità di vocabolario, sia per la costruzione formale e contenutistica dei vv. 18-25.Ammessa comunque la pausa del v. 22 e l’unità dei vv . 18-21, possiamo dire che la pericope 18-25 è come la bifora di un palazzo trecentesco: la finestra è una sola, ma con due archetti, che, connessi l’un l’altro, la sostengono e ne compongono l’armonia. Così è della pericope 18-25: l’andamento del pensiero e del testo è a due riprese all’interno del medesimo tema e nella stessa unità formale. Fine nel v. 22? Questa ipotesi è sostenuta, ad esempio, da Lamarche – Le Dû che, nel loro valido lavoro sulla struttura dei cc. 5-8, pensano che il v. 22 sia un’inclusione del .v 1822. Accettando questo avremmo il discorso troncato bruscamente e inspiegabilmente. Inoltre, poi, una volta ammesso che il v. 22 sia la fine della pericope, il .v 23 dovrebbe essere l’inizio di una nuova, ma questo è impossibile per i seguenti motivi: perché ouj movnon dev è disgiuntivo metabatico, continua cioè, pur nella distinzione, l’argomentazione precedente tendendo ad ampliarne il contenuto; perché il vocabolario conduce alla unione dei vv. 22-23: – suv il n di sustenavzei e di sunwdivnei è ripreso concettualmente con ouj movnon (aujthv ellittico) dev, ajlla; kai; aujtoi;, –stenavzomen del v. 23 richiama formalmente sustenavzei ed è contenutisticamente affine a sunwdivnei, perché i vv. 23-25 non possono essere separati da quelli precedenti: formalmente infatti ajpekdecovmenoi del v. 23 si lega a ajpekdevcetai del v. 19, come 22. P. Lamarche – Ch. Le Dû, Epître aux Romains V-VIII. Structure littéraire et sens, Paris 1980, 70-73. 105. Questa opinione è condivisa da vari autori, che invece di seguire dei criteri formali sembrano basarsi più su quelli di contenuto. Siccome col v. 22 sparisce dal testo il soggetto ktivsi", essi fanno terminare con questo versetto il paragrafo riguardante la creazione. Gli stessi autori inseriscono l’unità 19-22 nel quadro più ampio della pericope 18-27 che svolgerebbe una triplice prova in riferimento al v. 18 e cioè la testificazione che viene dal lamento della ktivsi" (vv. 19-22), da quello dell’uomo (vv. 23-25) e dai gemiti dello Spirito (vv. 2627). Fondamentalmente su questa impostazione si trovano i seguenti autori: Balz, Heilsvertrauen, 32-35; Biederman, Erlösung, 69-78; Bindemann, Hoffnung, 29-76; così pure Cranfield, Feuillet, Käsemann, Lagrange, Lietzman, Luz, Michel, von der Osten-Sacken, Paulsen, Schlier, Viard, Wilkens. Altri lavori considerano i vv. 19-22 come un insieme, ma all’interno di unità diverse, per esempio Cambier e Vögtle all’interno di 18-25. Cambier, “L’esperance”, 104; Vögtle, “Röm 8,19-22”, 351-366; cfr anche Gerber, “Röm VIII,18”, 58ss (stessa divisione dei precedenti), de La Calle Flores, “La esperanza”, 169-186. 94 B. ROSSI pure ejlpi;" e ejlpivzw dei vv. 24-25 hanno un aggancio con il .v 20, come mostrerà la nostra struttura. Fine nel v. 23? Questa possibilità non ha nessun fondamento nel testo ed è sostenuta solo con l’intento di analizzare 18-23 in base al loro contenuto o centro di interesse 23. I vv. 23-24, infatti, non possono essere separati: ilth'/ gavr ejlpivdi di 24 è certamente in posizione enfatica ma questo più che separare unisce il movimento interno di 23b e 24a. Il v. 24 inoltre non presenta una novità di vocabolario. Il ripetersi di ejlpiv" –ejlpivzw non risulta nuovo in quanto il termine ejlpiv" è già, pure in posizione enfatica, al v. 20. Questo fa pensare che per Paolo la “speranza” rientra pienamente nel discorso che sta facendo. I vv. 23b e 24a, infine, svolgono un unico tema: la salvezza presente ed escatologica nell’attuale situazione di sofferenza e si affiancano presentandone rispettivamente l’aspetto di già e non ancora: mentre il v. 23b presenta l’attesa di ajpoluvtrwsi", il v. 24a afferma con forza che siamo già salvati th'/ ejlpivdi. Fine nel v. 25. Ci sembra la scelta più valida che trova il suo appoggio su vari motivi. La sintassi e il vocabolario legano inscindibilmente il v. 25 col .v 24, di cui sviluppa il pensiero: il dev assume il senso di “dunque” e quindi ha, probabilmente, un valore conclusivo; il v. 25 si apre con due proposizioni dipendenti o} ouj blevpomen (dipendente relativa prolettica), e eij…ejlpivzomen (dipendente condizionale della realtà) che riprendono sintatticamente due elementi essenziali dell’argomentazione di 8,24bc, confermando così il carattere conclusivo del versetto; ajpekdecovmeqa, oltre all’inclusione formale del secondo movimento della pericope (ajpekdecovmenoi v. 23), iniziata nel v. 22, fissa anche la fine di tutta l’unità riferendosi ad ajpekdevcetai del v. 19 e attraverso di esso al contenuto di 8,18b. Il v. 26 non fa parte dell’unità precedente. Il testo infatti presenta di primo acchito una “empasse”, in quanto wJsauvtw" de; kai; del v. 26 produce grammaticalmente, sintatticamente e logicamente una cesura nel testo 24, ma 23. Ad esempio Lyonnet in “Redemptio ‘cosmica’ ”, 225-242 presenta una valida analisi esegetico-teologica dei vv. 19-23 sotto l’ottica della redenzione cosmica, non preoccupandosi di delimitare la pericope perché gli interessa seguire il contenuto del testo in base al suo interesse di analisi. Cfr Dubarle, “Lois de l’universe”, 11-16; Dulau, “(Rom VIII,19-23)”, 430s; Lambrecht, “Romans 8,18-23”, 28-39: Ogara, “Rom 8,18-23”, 193-201; Schneider, KAINH KTISIS , 40-47; Sisti, “La speranza”, 123-134; Trucco, “Rom 8,19-23”, 320-326. 24. Anche Omero lo usava “… only at the beginning of clauses”, Liddel-Scott, Lexicon, wJsauvtw"; cfr Kühner – Gerth, Grammatik, 655-666; così pure Senofonte lo usava solo “… in initio sectionis proximae”, Sthephanus, wJsauvtw" 2118; lo stesso uso ne fanno gli altri autori classici. RM 8,18-25 95 questa è troppo lieve per poter considerare il versetto come l’inizio di un’altra pericope. L’avverbio wJsauvtw" si rapporta da vicino a qualcosa che precede 25 e la particella dev sembra avere valore di transizione, “poi”, indicando una successione nelle idee. Abbiamo quindi da una parte i vv. 18-25 che formano una unità bene articolata e conclusa, dall’altra i vv. 26-27 26, che sono collegati con qualcosa che li precede. Ponendo bene attenzione al testo ci accorgiamo che possiamo mantenere queste due istanze: i vv. 1825 sono certamente a sé stanti, ma il v. 26 non è inizio di una nuova pericope, non si riferisce direttamente alla pericope precedente, ma al contesto più ampio dei vv. 1-17, specie 14-16. Questo è confermato dalle caratteristiche e dalle differenze di pensiero e di vocabolario dei vv. 2627 e 18-25. I vv. 26-27 infatti attribuiscono allo Spirito un’azione di aiuto nella vita del cristiano: “lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza”, proposizione questa introdotta con wJsauvtw" dev 27. Per rispettare il valore 25. Penso che per questo motivo Balz, Feuillet, Lagrange, Viard ed altri delimitano la pericope, pur nelle rispettive specificità, dal v. 18 al v. 17 e vedono nei vv. 26-27un movimento, il terzo, all’interno di essa, anche se questo non ha in realtà una specifica motivazione. Cfr pure M. De Goedt, “L’intercession de l’Esprit dans la prière chrètienne (Romains 8,26-27)”, Conc(F) 8 (1972 n°79) 25-35; K. Niederwimmer, “Das Gebet des Geistes, Röm 8,26f”, ThZ 20 (1964) 253ss. 26. oi[damen ga;r o{ti di 8,28 introduce un’altra pericope che va fino al v. 30 ed ha il suo specifico vocabolario e tematica peculiare che riguarda l’azione sovrana di Dio nel Piano della Salvezza. Non si può quindi considerare 26-27 e 28-30 come un tutt’uno, pur inquadrandoli in una unità più ampia (vv 18-30), in un certo sviluppo tematico, come fa H. Schlier, La lettera ai Romani (ComTeolNT VI), tr. dal ted. Brescia 1982, 423-452; Cranfield, 403-433; B. Ramazzotti, “La lettera ai Romani”, in Il Messaggio della salvezza vol 7 Le lettere di San Paolo e Lettera agli Ebrei, a cura di A. Dalbesio – M. Galizzi – B. Ramazzotti – P. Dacquino – S. Zedda, dir. G. Canfora, Torino-Leuman 1976, 391.518-532; U. Wilckens, Der Brief an die Römer (EKK VI, 1-3), Zürich – Köln – Neukirchen – Vluyn 1978-1982, II, 146-163; E. Käsemann, An die Römer (HNT 8a), Tübingen 1973, 219-234, e così altri autori. 27. I filologi sono concordi nell’attribuire all’avverbio wJsauvtw" come senso base un valore modale: “parimenti, allo stesso modo, così, come” (cfr Rocci, wJsauvtw" 2072; Moulton – Milligan,wJsauvtw", 703; W. Bauer, A Greek English Lexicon of the New Testament and other Early Christian Literature tr. dal ted. a cura di W. F. Arndt – F. W. Gingrich, Chicago – London 1979, wJsauvtw", 899; F. Zorell, Lexicon Graecum Novi Testamenti, Paris 1961, wJsauvtw", 1495; H. Stephanus, Thesaurus graecae linguae Vol I-IX, Graz 1954, wJsauvtw", 1217-1219). Inoltre esso può avere anche una sfumatura di successione, con il valore di “inoltre”, “in più”, come gli riconoscono espressamente Moulton – Milligan e De Goedt, anche se quest’ultimo autore lo esclude nel caso specifico. Cfr M. De Goedt, “L’intercession”, 27. 96 B. ROSSI correlativo modale di wJsauvtw" 28 dobbiamo risalire indietro ai vv. 1-17, specie 14-16 29 che descrivono come i vv. 26-27 l’attività dello Spirito nella vita del cristiano. Il vocabolario stesso poi porta ad un accostamento dei vv. 26-27 più con 1-16 che con 18-25: vv. 26-27 pneu'ma (ter) sunantilambavnei vv. 1-16 pneu'ma (15 volte cfr n.19) lavbete (v. 15 bis) vv. 18-25 pneu'ma 28. È opportuno soffermare l’attenzione sul problema sollevato dal valore di wJsauvtw" e kai; nella locuzione wJsauvtw" de; kai;. In base alla traduzione dei commentatori si possono distinguere tre gruppi: 1) in cui wJsauvtw" è tradotto con valore modale e kai; con quello correlativo-disgiuntivorafforzativo e riferito a ciò che segue “nello stesso modo anche lo Spirito…” (nelle rispettive lingue: CEI, Lagrange, Iacono, Michel, Schlier, ed. ted., Viard, Leenhard, De Goedt, Käsemann, Lietzmann, Wilckens); 2) in cui wJsauvtw" è modale e kai; perde la sua funzione avverbiale, cioè il valore di “même, aussi” e diviene “particule de fonction” (per tale distinzione cfr K. Humbert, Sintaxe Grecque (Collection de Philologie Classique II), Paris 19603, 724 p. 412), diviene, in altri termini, semplice correlativo; così, ad esempio, B. Ramazzotti neanche lo traduce: “Allo stesso modo lo Spirito ci soccorre…”, “Romani”, 518; oppure si potrebbe tradurre con: “Come, poi, lo Spirito…” o “Inoltre, nello stesso modo, lo Spirito…”, cfr TOB, BJ, RSV, Sanday – Headlam; 3) in cui wJsauvtw" è modale e kai; avverbiale, però non allacciato a ciò che segue ma a ciò che precede, come intende Cranfield, 404: “And in like manner the spirit also helps our weakness…”, in tal senso pure Barret, Maillot, Best, Murray, nei lori rispettivi commentari. Dando una valutazione di questo materiale si devono escludere tutte le traduzioni che danno a wJsauvtw" un valore avverbiale “aussi”, “même”, riferito a ciò che segue come “nello stesso modo anche lo Spirito viene in soccorso alla nostra debolezza…” perché secondo il testo lo Spirito è l’unico soccorritore e non ce ne sono altri (cfr De Goedt, “L’intercession”, 27-28). Invece ammesso che 8,26s, proprio in base all’uso e al valore di wJsauvtw", rimandino a qualcosa che precede la pericope 8,18-25, wJsauvtw" può avere senza difficoltà: 1) il suo tipico valore modale, trovandosi così a mettere in relazione azioni simili di un unico soggetto: come lo Spirito testifica al Padre (v. 15) che siamo Figli, così intercede per noi al Padre (vv. 26-27); 2) il senso di “inoltre”, “in più”, ed esprime così il susseguirsi delle azioni: lo Spirito testifica, inoltre intercede. Per di più wJsauvtw" può essere considerato sia come avverbio in riferimento a ciò che precede (cfr Lc.20,31): “nello stesso modo lo Spirito anche …”, o con il secondo valore di wJsauvtw", “inoltre lo Spirito anche…”; sia come particella funzionale: “nello stesso modo, poi, lo Spirito…”, o “in più, poi, lo Spirito…”. Per il valore di kai;, cfr Abel, Grammaire, § 78a p. 34; BDR, Grammatica, § 442, 532-542; K. Humbert, Syntaxe, §725-729, 412-425; M. Zerwick, Graecitas Biblica Novi Testamenti exemplis illustratur, Romae 19665, nn. 450-460, 152-157. 29. Questo è già stato suggerito da Fahy, Maillot, Michel, Viard; in più Michel e Viard non escludono che 26-27 oltre a riferirsi a 14-17, possono rapportarsi anche ai versetti immediatamente precedenti. Lo Schlier, poi contesta apertamente l’opinione del Michel e altri, ma non è convincente perché non adduce nessun motivo: “…wJsauvtw" de; kai; (v. 26) presuppone uno stenavzei, il verbo tematico dei vv. 22 e 23, e non va riallacciato, come fanno ad esempio Bisping, Estio, Lietzmann e in parte Michel al v. 16 oppure (Tommaso) al v.11”, Schlier, 411. 97 RM 8,18-25 ajsqeneiva (concettualmente) → (formalmente) → frovnhma tou' pneuvmato" proseuxwvmeqa (concettualmente) → uJperentugcavnei ejntugcavnei stenagmoi'" kata; savrka hjsqevnei (v. 3) frovnhma tou' pneuvmato" krazwvmen che esprime la preghiera messianica summarturei' (relazione concettuale tra l’intercedere e il testimoniare) stenavzomen sustenavzei sunwdivnei Infine, anche guardando il contenuto vediamo che Paolo dopo aver presentato in un primo momento (vv. 1-17) lo Spirito come vita del cristiano, garanzia di appartenenza a Cristo, testificatore di figliolanza e luogo di preghiera, in un secondo momento (vv. 26-27) ritorna sul medesimo argomento e precisa ancora di più il ruolo dello Spirito nella sua qualità di aiuto nella vita del cristiano e di intercessore nei rapporti con il Padre 30. Nei vv. 18-25 l’Apostolo ha sentito il bisogno di fare una parentesi esplicativa ed una precisazione del v. 17 31. A conclusione possiamo dire che appare fondato che il v. 25 costituisca la fine della pericope che inizia al v. 18. Questa affermazione si fonda su motivi positivi, quali l’unità interna di 18-25 e su motivi negativi: la distinzione dei vv. 26-27 dai precedenti 32. 30. Cfr K. Niederwimmer, “Das Gebet”, 252-265; J. Cambier, “La prière de l’Esprit, fondament de l’espérance. Rom 8,26-27”, in 16e Dimanche ordinaire. ASeign 46/2 (1970) 11-17; Vallauri, “I gemiti”, 95-113; G. W. MacRae, “Expository Articles. Romans 8:26-27”, Interp. 34 (1980) 288-292; E. A. Obegno, “The Spirit Intercession Motif in Paul”, ET 95 (1983-84) 360-364. 31. Se ci domandiamo perché Paolo ha separato in due parti (1-17; 26-27) il discorso riguardante lo Spirito e il cristiano, una ipotesi la possiamo ricavare dal fatto che Paolo, parlando dell’attività dello Spirito, sottolinea con suvn (summarturei', sugklhronovmoi, sumpavscomen, sundoxasqw'men, sunantilambavnein nel v. 26) la dimensione di comunione della nuova realtà umana in Cristo e nello Spirito. Continuando su questa ottica, Paolo ha voluto portare il discorso (18-25) sul suvn del creato con l’uomo, nella loro tensione, di sofferenza e di gloria, redentivo-escatologica. Una volta offerto questo nuovo argomento, l’apostolo torna a concludere il suo discorso (vv. 26-27) sullo Spirito nella vita del cristiano. 32. Un articolo di J. May, con prospettive diverse dalla nostra, offre una valida analisi linguistica della nostra pericope. In base ad una certa scelta di lessemi con criterio semantico delle opposizioni strutturali, dell’uso delle particelle argomentative etc. l’autore arriva alle nostre medesime conclusioni sia per l’unità 18-25, che chiama secondo intesto (il primo intesto è costituito dai vv. 1-17), che per le sue suddivisioni, che chiama stage I. e stage II. etc. Nell’appendice I (intexte 2) e II (stage 2.3) si possono costatare graficamente le corrispondenze di analisi, cfr May, Romans 8:18-25, 26-32.45-46. 98 B. ROSSI 3. Articolazione di Rm 8,18-25 Dopo aver delimitato la pericope, passiamo ora a descriverne la struttura. L’analisi della pericope dal punto di vista del vocabolario, della costruzione sintattica e del contenuto, presentata in queste pagine, ci porta alla composizione grafica della struttura ora proposta. La pericope appare chiaramente unitaria e armonicamente suddivisa in due parti strutturate in modo uguale al loro interno. I. suddivisione: vv. 18-21: sofferenze presenti e gloria futura A) v. 18certezza del futuro di gloria: a) Logivzomai ga;r o{ti b) oujk a[xia ta; paqhvmata tou' nu'n kairou' c) pro;" th;n mevllousan dovxan ajpokalufqh'nai eij" hJma'" B) v. 19la creazione in attesa impaziente: hJ ga;r ajpokaradokiva th'" ktivsew" th;n ajpokavluyin tw'n uiJw'n tou' qeou' ajpekdevcetai C) v. 20: la sottomissione della creazione alla vanità: a) th'/ ga;r mataiovthti hJ ktivsi" uJpetavgh b) oujc eJkou'sa ajlla; dia; to;n uJpotavxanta c) ejf∆ eJlpivdi B') v. 21la liberazione della creazione per la gloria: a) o{ti kai; aujth; hJ ktivsi" ejleuqerwqhvsetai b) ajpo; th'" douleiva" th'" fqora'" c) eij" th;n ejleuqerivan th'" dovxh" tw'n tevknwn tou' qeou' II. suddivisione: vv. 22-25: salvezza universale della ktivsi" e dell’uomo A) v. 22il soffrire della creazione: a) oi[damen ga;r o{ti b) pa'sa hJ ktivsi" sustenavzei kai; sunwdivnei a[cri tou' nu'n B) v. 23creazione ed umanità gementi aspettando l’uiJoqesiva: a) ouj movnon dev, ajlla; kai; aujtoi; th;n ajparch;n tou' pneuvmato" e[conte" RM 8,18-25 99 b) hJmei'" kai; aujtoi; ejn eJautoi'" stenavzomen uiJoqesivan ajpekdecovmenoi, th;n ajpoluvtrwsin tou' swvmato" hJmw'n C) v. 24salvati per la speranza: a) th'/ ga;r ejlpivdi ejswvqhmen b) ejlpi;" de; blepomevnh oujk e[stin ejlpiv" c) o} ga;r blevpeih tiv" ejlpivzei… B') v. 25attesa nella pazienza: a) eij de; o} ouj blevpomen ejlpivzomen, b) di∆ uJpomonh'" ajpekdecovmeqa 4. Unità della pericope Anzitutto il vocabolario ci indica la coesione interna di tutta la pericope 8,1825 e nello stesso tempo la sua suddivisione in due parti: vv. 18-21 e 22-25. A. Coesione generale Formalmente: ktivsi": ejlpiv": ejlpivzw: ajpekdevcomai: hJmei'" (vari casi): nu'n: 19.20.21.22.23 (ellittico) 20.24ter 4.25 19.23.25 18.23bis+25 (verbi I persona plurale) 18.22 Varie particelle di collegamento: gavr: o{ti: dev: ajllav: 19.20.22.24.25 18.21.22 23.24.25 20.23 Concettualmente: paqhvmata (18) - douleiva (22) - sustenavzw - sunwdivnw (22) - stenavzomen (23) - mev l lousan dov x an (18) - aj p okav l uyin (19) - uiJ o qesiv a ajpoluvtrwsin (23) - hJma'" (18) - uiJw'n tou' Qeou' (19) - tevknwn tou' Qeou' (21) - hJmei'" (23). 100 B. ROSSI B. Coesione interna di entrambe le parti vv. 18-21 vv. 22-25 dovxa: sustenavzw/sunwdivnw/stenavzw uiJo;"/tevknon tou' Qeou' hJmei'"/hJmw'n/uiJoqesivan ajpokaluvptw/-kavluyi": ejlpiv" 18.21 22.23b 19.21 23 ab 18.19 20.24ter ejlpivzw uJpetavgh/uJpetavxanta: ejleuqerovw/ejleuqeriva: blevpw: ktivsi": ajpekdevcomai: 24.25 20ab 21ac 24bis. 25 19.20.21 23.25 L’analisi della costruzione sintattica e del contenuto, poi, ci porta alle stesse conclusioni: unità della pericope e sua suddivisione in due parti: v. 18 (A):logivzomai ga;r o{ti annunzio di tema parola gancio: rivelare v. 19 (B):hJ gavr applicazione alla ktivsi" dell’annunzio del tema v. 20 (C):th'/ gavr motivazione della situazione presente della ktivsi" v. 21 (B'): o{ti si riafferma la liberazione futura dalla situazione presente Inclusione prima parte uiJw'n t. qeou' - tevknwn t. qeou' v. 22 (A):oi[damen ga;r o{ti ripresa parziale del tema parola gancio: sottomettere v. 23 (B):ouj movnon dev, ajlla; kaiv applicazione dell’annunzio del tema non solo alla ktivsi" ma anche all’uomo v. 24 (C):th'/ ga;r motivazione (nell’aspetto positivo) della situazione dell’uomo v. 25 (B'): eij dev si riafferma che l’uomo attende di vedere realizzato nel presente ciò che aspetta con pazienza Inclusione seconda parte ajpekdecovmenoiÉajpekdecovmeqa Inclusione generale ajpekdevcetai - ajpekdecovmeqa RM 8,18-25 101 In 18 (A) si annuncia il tema generale, ripreso poi parzialmente in 22 (A): entrambi i versetti sono aperti da formule introduttorie. I versetti 19, 23 (B, B') passano ad uno sviluppo del tema. La transizione è contrassegnata da rispettive particelle che svolgono il medesimo ruolo (gavr, ouj movnon dev kai;) e da rispettive parole gancio ajpokalufqh'nai/ajpokavluyin, sustenavzei/ stenavzomen. Il parallelo di 19 con 23 presenta pure degli aspetti formali e concettuali molto interessanti: v. 19:ktivsi" (mondo materiale) → rivelazione figli di Dio → aspetta v. 23: noi (figli di Dio)→ aspettiamo → redenzione del corpo (elemento materiale). Il punto centrale delle due suddivisioni (vv. 20 e 24) è introdotto nello stesso modo (th/' gavr) e cerca di dare una ragione storica dei rispettivi contenuti specifici (creazione e uomo). Anche il confronto parallelo dei due versetti rivela delle notevoli somiglianze: v. 20: ktivsi" + aoristo passivo + ejlpivdi v. 24: ejlpivdi + aoristo passivo + hJmei§" (implicito nel verbo). I vv. 21 e 25 (B, B'), in cui si ribadisce rispettivamente l’affermazione dei vv. 19 e 23, sono introdotti da particelle che svolgono un medesimo ruolo assicurativo: il v. 21 introdotto da un o{ti causale, il v. 25 da eij dev, condizione della realtà. L’andamento del discorso si presenta quindi armonicamente ben strutturato: un’affermazione (vv. 18 e 22) viene riferita alla creazione (v. 19) o all’uomo (v. 23), se ne dà una spiegazione (v . 20 e 24), e, mediante una causale (v. 21) o una ipotetica della realtà (v. 25), si ribadisce il riferimento. La pericope si presenta quindi saldamente unita e chiaramente composta da due sezioni: vv. 18-21 (formati da 63 parole) e vv . 22-25 (formati da 62 parole). 5. Suddivisione della pericope e analisi della struttura La suddivisione della pericope non pone grossi problemi in quanto oi[damen ga;r o{ti del v. 22 è certamente un chiaro elemento letterario per stabilire una divisione della pericope in due parti: vv 18-21 e vv. 22-25. Questa espressione infatti è una formula molto comune e stereotipata 33, che serve 33. Questa formula stereotipa, oi[damen ga;r o{ti, è usata solo da Paolo nel NT:, e costitu- isce una valida pausa nel testo in tutti i passi in cui si trova ed esattamente: oi[damen ga;r o{ti : Rm 2,2 (alcuni mss. hanno dev); 7,14; 8,22; 1Tm 1,8. oi[damen de; o{ti: Rm 3,19; 8,28; 2Cor 5,1. v 102 B. ROSSI qui a Paolo per introdurre uno sviluppo significativo sull’attesa del rinnovamento escatologico di tutta la creazione, sviluppo che vede la creazione e l’uomo uniti in un solo gemito di sofferente attesa che la salvezza portata da Cristo raggiunga il suo compimento definitivo. La suddivisione della prima parte è poi determinata anche dall’inclusione formale contenutistica tra dovxan ajpokalufqh'nai eij" hJma'" di 8,18c e th'" dovxh" tw'n tevknwn tou' qeou' di 8,21c, inclusione che non pregiudica l’unità generale, date le numerose riprese letterarie che enucleeremo. Passiamo ora ad analizzare la struttura interna di ciascuna delle due parti, che si presentano con un movimento A B C B', e in esse dei singoli versetti. Prima suddivisione: vv.18-21 “Le sofferenze presenti non tengono il confronto con la gloria futura: la ktivsi" passerà dalla schiavitù alla libertà”. Questi versetti sono concatenati tra loro in forma antitetica secondo uno schema A B C B': il v. 18 è il primo momento (A) della struttura: l’annuncio tematico; il v. 19 è il secondo (B) in cui si dà una esemplificazione della tesi del v. 18; nel .v 20, che è il punto (C) della struttura, si ha un ulteriore sviluppo riguardo alla ktivsi"; la causale del v. 21, infine, costituisce il momento di ritorno (B') rapportandosi formalmente e contenutisticamente al v. 19, come si può vedere dall’analisi seguente. V. 18 (A) : dà la dichiarazione del tema di tutta la pericope 18-25 e della prima parte di essa: 18-21. È costituito da tre stichi, il primo dei quali (a) è una formula introduttoria, logivzomai ga;r o{ti e gli altri due (b.c), che sono l’enucleazione vera e propria della tesi, sono costruiti in modo antitetico e chiastico (b X c). L’antitesi è duplice: in primo luogo, la realtà presente descritta come sofferenza (paqhvmata) si oppone alla realtà futura presentata come gloria (dovxa); le rispettive qualificazioni temporali, poi, contrastano in modo da dare maggiore rilievo ai due concetti nella struttura della frase greca. Graficamente si può così rappresentare: b. oujk a[xia ta; paqhvmata c. pro;" th;n mevllousan tou' nu'n kairou' dovxan ajpokalufqh'nai Così pure la formula più personale oi[da ga;r o{ti: Rm 7,18; 15,29; 2Cor 9,2; Fil 1,19; (fuori di Paolo solo in Mt 28,5) o dialogica oi[date ga;r o{ti: Gal 4,13; Fil 4,15; 1Tes 2,1; 3,3; queste due ultime locuzioni sono sempre una certa sottolineatura nei rispettivi passi, ma non come oi[damen ga;r/de; o{ti. RM 8,18-25 103 V. 19 (B):il secondo momento della struttura in cui è data una esemplificazione della tematica (cfr gavr). Il nu'n kairov" di 18 viene interpretato come ajpokaradokiva th'" ktivsew" che attende th;n ajpokavluyin tw'n uiJw'n tou' qeou' . L’annuncio del tema del v.18 trova così una sua applicazione quanto al soggetto: la creazione, e quanto alla realtà futura: la rivelazione dei figli di Dio. Formalmente abbiamo un richiamo tra ajpokavluyin di 19 e la forma verbale ajpokalufqh'nai di 18: sono due parole-gancio che marcano il passaggio tra l’annuncio del tema e lo sviluppo di esso. “Rivelazione” e “rivelare” si trovano in posizione diversa, in quanto il sostantivo è l’oggetto atteso nel presente, mentre il verbo si riferisce ad un oggetto futuro; il risultato della costruzione comunque è simile ed implica una relazione concettuale tra dovxa e ajpokavluyi", hJma'" e uiJw'n tou' qeou'. V. 20 (C):questo terzo momento, composto di tre stichi, si trova al centro della prima suddivisione. La parte iniziale (a) allarga il discorso sulla ktivsi" risalendo indietro al suo “background” storico, per dare una spiegazione (ga;r più esplicativo che causale) del v.19. La posizione enfatica di mataiovthti crea anche una accentuazione su uJpetavgh che, oltre a riferirsi alla ktivsi", regge anche ejf∆ eJlpivdi ipotesi questa da confermare a livello esegetico. L’incidentale dello stico (b) delucida il rapporto tra ktivsi" e uJpetavgh ; con ejf∆ eJlpivdi (c) il testo si riporta ad una tensione futura. Anche questo versetto è composto in forma antitetico-inclusiva; infatti i due concetti antitetici di th'/ mataiovthti e ejf∆ eJlpivdi sono posti all’inizio e alla fine della frase e incorniciano l’idea della sottomissione (uJpetavgh –uJpotavxanta) della creazione alla vanità, una sottomissione orientata alla speranza della liberazione. Il vocabolo ktivsi" (20a) si richiama formalmente a ktivsew" di 19 e a ktivsi" di 21; uJpetavgh ed uJpotavxanta sono un richiamo interno al v. 20. V. 21 (B'):è il movimento finale della Ia parte, composto pure di tre stichi. Questo versetto contiene una causale (o{ti) che si ricollega direttamente al v. 20, formando il motivo della speranza della creazione: in (a) si ribadisce la certezza di un futuro di libertà, dalla situazione attuale e presente di schiavitù (b) verso la libertà della gloria dei figli di Dio (c). La costruzione del versetto si presenta compatta: tra ejleuqerwqhvsetai – ejleuqerivan c’è un rapporto formale e continuativo, tra ktivsi" (che è nella sofferenza) e dovxan tw'n tevknwn tou' qeou' c’è invece una relazione formale ed antitetica, come in 18 tra paqhvmata e dovxan. Anche in 21 la struttura del versetto risulta costruita attraverso il parallelismo antitetico tra ajpo; th'" douleiva" th'" fqora'" (21bis) e eij" th;n ejleuqerivan th'" dovxh", sottolineando così il duplice aspetto di liberazione. Il v. 21, chiudendo la prima parte della pericope, si rapporta sia con la dichiarazione di tema del v.18, affermando che ci sarà un cambiamento nel 104 B. ROSSI futuro, (18b//21ab: formalmente: v. 18 dovxan//dovxh" v. 21, concettualmente: v.18 hJma'"//tevknwn tou' qeou' v. 21), sia con lo sviluppo del tema del .v 19 formando così l’inclusione globale della suddivisione: formalmente: v. 19 ktivsew" uiJw'n tou' qeou' concettualmente: ajpokavluyin v. 21 ktivsi" tevknwn tou' qeou' ejleuqerwqhvsetai-ejleuqerivan ed infine 21b si riferisce concettualmente al v.20: dalla schiavitù (21b), a cui la ktivsi" era stata sottomessa (20a), mataiovthti è presupposto da doulevia" con cui si riallaccia pure in concetto, alla libertà (21ab). Seconda suddivisione: vv. 22-25“La salvezza universale della creazione e dell’uomo”. Questi versetti risultano antitetici nelle loro affermazioni principali ed hanno una struttura A B C B' come quella della prima suddivisione: il v. 22 è il punto (A) in cui viene ripreso l’annuncio del tema generale, mentre il 23 (B) applica questo tema generale alla realtà umana; nel v. 24, che dà un’affermazione di ordine generale, abbiamo il punto centrale (C) della seconda suddivisione; infine v. 25 (B') con dei richiami formali-contenutistici include questa suddivisione riferendosi al v. 23, e, insieme, tutta la pericope con un evidente richiamo del verbo ajpekdevcomai. V. 22 (A):ha un ruolo molto simile a quello del v. 18 della prima suddivisione: dopo la formula introduttoria, stico a, oi[damen ga;r o{ti, lo stico b riprende in forma un po’ tronca, l’annuncio di tema del v. 18. Mentre in 18 si parte dalla sofferenza reale (stico b) per stabilire una sproporzione, in meglio, della situazione futura in rapporto all’uomo, eij" hJma'", (stico c), in 22b abbiamo solo l’affermazione del soffrire della creazione: concettualmente: v.18a paqhvmata // v. 22 sustenavzei kai; sunwdivnei formalmente: nu'n kairou // a{cri tou' nu'n Quindi il v. 22 si limita a riprendere dal .v 18 solo ciò che serve per fare l’allargamento-transizione del tema e non riprende lo stico c, che in parte è supplito dal contesto di 23c e da 21bc che è ancora, per così dire, nell’orecchio del lettore. Del resto 22a-23 sono composti dalla ripresa tematica della sofferenza presente di tutta la creazione espressa in termini di partecipazione (notare il RM 8,18-25 105 suvn dei due verbi composti) e da una chiarificazione di tale partecipazione (v. 23) che unisce l’aspetto cosmologico e quello antropologico della salvezza universale. V. 23 (B):in (a) il testo presenta la transizione-ampliata del soggetto della sofferenza, ed in (b) si concentra su coloro che hanno la primizia dello Spirito che pure soffrono in attesa della figliolanza e della redenzione dei corpi. Il verbo sustenavzw fa da parola-gancio tra il v. 22 e il .v 23, mentre hJmei'"-hJma'" fanno inclusione con 23b, enfatizzando così la specificità antropologica del versetto. V. 24 (C):è la parte centrale della IIa suddivisione. Lo stico (a) risale indietro nel passato per dare una spiegazione (gavr argomentativo più che causale) di 23b e offrire una affermazione di carattere generale: possiamo attendere la pienezza di figliolanza, la redenzione del corpo, perché siamo stati salvati per / nella speranza. Il v. 24bc è una incidentale che descrive la ejlpiv" o, meglio ancora, come la ejlpiv" deve presentarsi per rapportarsi con la swthriva (cfr 24a). V. 25 (B'):25a si rifà mediante ejlpivzomen alla problematica sulla speranza del v. 24 e, concettualmente, mediante o} ouj blevpomen alla realtà futura che si aspetta e che non si vede; la uiJoqesiva/ajpoluvtrwsin del 23b. La uJpomonh; dello stico presuppone i dolori di cui al v. 23 (cfr . 22b) ed infine ajpekdecovmeno" rapportandosi ad ajpekdecovmenoi di 23b, include formalmente tutta la sezione e, riferendosi ad ajpekdevcetai, v. 19b, tutta la pericope, accentuando la tensione della realtà presente ed il senso dell’attesa paziente. Possiamo quindi dire che Rm 8,18-25 rivela un ricco intreccio letterario che mette in evidenza il soggetto della pericope: la sofferenza, in cui si trovano la creazione e l’uomo nella situazione attuale, avrà un cambiamento in gloria e redenzione completa nel compimento escatologico della realtà. II. Il presente e il futuro della Creazione Alla luce degli elementi letterari e strutturali possiamo presentare le affermazioni di Paolo in Rm 8,18-25 come una teologia della ktivsi". Dai termini usati, dai riferimenti e dalla collocazione del testo appare infatti chiaramente che egli colloca il suo discorso all’interno della comprensione teologica dell’universale piano di Dio. 106 B. ROSSI 1. La creazione nella Storia della Salvezza Come prima cosa è necessario sottolineare dunque l’impianto teologico di tutta la riflessione sulla ktivsi" che nasce dalla pericope Rm 8,18-25 dove non si tratta di un breve trattato di escatologia cosmica, ma di un approfondimento della riflessione sull’azione salvifica di Dio in Cristo 34, un approfondimento che esplicitamente inserisce la creazione sotto l’ambito di questa azione. Contesto prossimo della pericope è infatti la teologia del capitolo ottavo il quale si presenta all’interno della lettera come un inno all’azione salvifica del Padre rivelata e compiuta nell’opera redentrice del Figlio col dono dello Spirito; in alcuni versetti (vv. 28-30) lo sguardo di Paolo risale anche indietro fino all’ordinamento divino pre-storico e rivela la presente condizione aperta al compimento futuro. L’impianto di tutto il capitolo 8 è profondamente teologico, è Dio che muove tutta l’opera redentiva la quale procede dal suo amore e nel suo amore avrà compimento. Il pensiero della pericope 8,18-25 si colloca in certo modo al centro di tutto il capitolo: Paolo vi presenta dunque una visione universale che abbraccia il cosmo e l’uomo descrivendoli nella loro specifica attesa che racchiude un aspetto di sofferenza, ma anche di certezza del compimento di salvezza. All’opera di distruzione, di divisione e di morte causata da Adamo con conseguenze cosmiche (cfr 5,12), secondo quanto su questo tema conosceva e condivideva delle affermazioni bibliche veterotestamentarie e del giudaismo extrabiblico in generale, alla luce della sua fede cristiana l’Apostolo contrappone qui un quadro di ricomposizione armonica di tutta la realtà, debitrice per questo all’opera di Cristo e dello Spirito. Abbiamo quindi l’annuncio di un unico progetto di salvezza, annuncio nel quale l’affermazione del coinvolgimento della creazione intera si presenta quasi come un postulato dell’unicità del piano salvifico di Dio creatore: unica salvezza dal cui influsso niente e nessuno resta escluso 35, un’unica attesa della piena manife34. “L’attesa escatologica di S. Paolo ha le sue radici nella concezione della storia della salvezza…”, S. Zedda, “Escatologia progressiva e realtà terrestri secondo San Paolo”, Jalones de la Historia de la salvacion en el Antiguo Testamento y Nuevo Testamento. XXVI Semana Biblica Española. Colloquio Biblico internacional (Madrid 6-11 Sep. 1965), Madrid 1969, 176; cfr M. Carrez, “La signification actuelle pour l’histoire du salut du visible et de l’invisible dans la pensée paulinienne”, Oikonomia. Heilsgeschichte als Thema der Theologie. Festschrift O. Culmann, Heraus. F. Christ, Hamburgh 1967, 116 (109-117); Feuillet, “Le plan salvifique de Dieu d’après l’épître aux Romains”; vedi anche J. Moltmann, Dio nella creazione. Dottrina ecologica della creazione (BTCont 38), tr. dal ted., Brescia 1986, 71-75. 35. Cfr G. Colombo, “La teologia della creazione”, in Bilancio della teologia del XX secolo, Roma 1972, 55s. RM 8,18-25 107 stazione della salvezza stessa, attesa vissuta nella ejlpiv" dell’uomo e nel gemito universale di tutta quanta la creazione che sustenavzei kai; sunwdivnei a[cri tou' nu'n (8,22). Lo schema che Paolo segue in Rom 8,18-25 è chiaramente quello di: creazione buona-creazione sottomessa alla vanità-ricreazione come partecipazione alla gloria. Già l’A.T. parlava, del resto, di una creazione uscita buona dalle mani di Dio creatore, corrotta poi in conseguenza del peccato e rinnovata nel futuro dell’intervento salvifico messianico. L’intento di Paolo è quello di affermare che sotto a tutto c’è un processo in atto, l’unico progetto di Dio in Cristo. Il suo dominio sulla natura e la sua signoria sulla storia passata e futura s’inseriscono in una medesima intenzionalità salvifica: realizzare in Cristo il mistero presente in lui (8,28-30). È chiaro quindi che per l’Apostolo non è possibile accedere alla comprensione del creato con metodi puramente cosmologici e filosofici, perché il creato non è fuori della storia salvifica. La creazione per lui è tutta nell’ambito della soteriologia e come tale ha una dimensione teologica: solo alla luce del piano di Dio può essere compresa e solo nell’ambito dell’azione di Dio si realizza per quello che è. La pericope 8,18-25 sottintende proprio questa visione teologica della creazione e il suo inserimento nella storia della salvezza quando presenta come facente parte delle comprensioni fondamentali e generali del sapere del credente (cfr il senso di oi[damen ga;r o{ti 8,22) l’affermazione che la creazione, privata del suo senso e della sua vera realtà per il peccato, attende (ajpokaradokiva…ajpekdevcetai) di ritrovare il suo significato nella presenza pienamente manifesta di Dio. 2. La corruzione della creazione La pericope parla di un assoggettamento della creazione alla vanità. Di fatto per Paolo come abbiamo detto si parla di un intervento storico preciso realizzatosi appunto nell’ambito del succedersi dei momenti della storia. La condizione di mataiovth" e di fqorav è dovuta ad un intervento di sottomissione: la creazione è stata sottomessa (uJpetavgh) alla nullità e ciò ha ferito la sua vera e profonda dimensione. Questa ci fa dire che per Paolo, prima di tale momento la creazione, conformemente alla sua natura e al suo significato più vero, non fosse sottomessa alla nullità e alla corruzione. Il pensiero di Paolo comunque non si sviluppa fino a costruire una dottrina dello stato originale. Di certo si può dire che per lui il peccato ha causato uno sconvolgimento cosmico. In Rom 8,18-25 possiamo vedere la natura 108 B. ROSSI in certo modo deviata (mataiovth") dal momento che viene spezzato il legame che risaliva a Dio attraverso l’uomo, deviata e tolta dal suo “naturale” ambito teologico dal momento che a causa dell’uomo e nell’uomo stesso non è più riferita a Dio né in contatto con la sua gloria. Per precisione e completezza in riferimento al v. 21 dobbiamo dire che non basta considerare l’aspetto morale di questa corruzione, cioè il fatto che l’uomo non la riferisca più a Dio o ne fa un uso errato. Per Paolo la creazione soffre nel suo intimo, geme per una ferita che potremmo dire “fisica”, essa infatti è sotto la schiavitù della corruzione, e fqorav come indica l’uso paolino della parola, è una corruzione nell’ordine fisico. Cosa veramente significhino mataiovth" e fqorav si può capire comunque alla luce dei passi in cui Paolo parla delle caratteristiche che la creazione ha quale rivelazione di Dio. In vista di una più ampia comprensione della teologia di Paolo si deve unire l’affermazione della pericope a quella degli altri testi che richiamano il dato della sua comunicazione o affermano in positivo la sua dimensione di verità e consistenza dichiarandola praticamente una rivelazione di Dio. Per comprendere questo è determinante rifarsi all’articolazione della lettera ai Romani. Gli studiosi hanno ormai messo bene in evidenza la stretta relazione tra il c. 5 e il c. 8 36. Un chiaro rapporto tra questi si trova nell’entrata del peccato nel mondo e la triste situazione in cui si trova la creazione. In 5,12 leggiamo: dia; tou'to w{sper di∆ eJno;" ajnqrwvpou hJ aJmartiva eij" to;n kovsmon eijsh'lqen kai; dia; th'" aJmartiva" oJ qavnato", kai; ou{tw" eij" pavnta" ajnqrwvpou" oJ qavnato" dih'lqen, ejf∆ w|/ pavnte" h{marton. L’accento del verso è posto sulla realtà sovrana della aJmartiva e quindi del qavnato": essa è entrata nel mondo a causa di Adamo e a raggiunto la sua efficacia mortifera mediante i singoli peccati degli uomini; quindi la morte, frutto del peccato è divenuta nutrimento amaro di tutta l’umanità. Il testo vuole personalizzare la aJmartiva (cfr l’articolo hJ), essa non è la semplice visualizzazione della paravbasi" di Adamo, quanto invece il potere stesso del peccato, del male che ha fatto la sua entrata nel mondo attraverso la breccia adamitica e che tende ad espandere il suo dominio con tutte le forze. Prova di questo è l’estensione del qavnato" il quale è ritenuto, nel senso più ampio, opera e frutto della aJmartiva. Il sostantivo qavnato" poi è una realtà plurivalente che ha sia un senso fisico che spirituale, come dimostra il gioco forza dell’argomentazione di 5,14a. 36. Cfr B. Rossi, “Struttura letteraria e articolazione teologica di Rom 1,1-11,16”, LA 38 (1988) 100 e rispettive note. RM 8,18-25 109 Il raffronto tra Rm 5,12 e la nostra pericope diviene ora più esplicito: kovsmo" rinvia a ktivsi", di∆ eJno;" ajnqrwvpou rimanda dia; to;n uJpotavxanta così qavnato" racchiude e domina come subalterni i concetti di mataiovth" e fqorav. Tutto ciò che non è vita ed ha in sé il disfacimento va compreso nella sfera del qavnato". Il peccato dell’uomo ha quindi deturpato il piano originario di Dio, e ciò lo si costata anche dalla corruzione e dal gemito della creazione. La causa dello stato della ktivsi" va pertanto riferita all’uomo, ma non che questo abbia il potere di sottomettere la creazione alla vanità e alla corruzione. Sottostante a questa condizione c’è il disegno e la volontà divina che ha accomunato entro un’unica cornice il quadro della salvezza universale concernente, con tinte e accentuazioni diverse, la creazione e l’uomo. Ne segue che una lettura esclusivamente antropologica del dato paolino non coglie appieno la prospettiva teologico-cristologica della storia della salvezza. 3. L’attesa della creazione Per Paolo, infatti, erede della tradizione biblica veterotestamentaria, la creazione ha il senso della sua esistenza nell’essere continuamente creata da Dio e nell’essere quindi sua continua manifestazione. Egli, infatti, con la sua parola che fonda nell’esistenza pone la realtà in una tensione tra se stesso come origine e come fine; il togliere questo rapporto fa cadere la realtà creata in uno stato di mataiovth" e fqorav, snatura la creazione che non si trova più nell’ordine di Dio. Questo tono dell’attesa è il dato che maggiormente caratterizza la pericope Rom 8,18-25 ed è in fondo proprio il vocabolario dell’attesa e della speranza che, come abbiamo visto in precedenza, dà coesione interna alla pericope stessa. Nella tensione della storia salvifica che viene vista secondo lo schema creazione-cadutaricreazione, il creato è qui presentato da Paolo nel momento preciso del presente storico salvifico che portando i segni di un momento di corruzione anela verso una dovxa che, se pur operante, resta comunque futura. Questo dato ci fa legittimamente affermare che il creato stesso ha un futuro nel piano di Dio. In quanto la ktivsi" è da Dio è anche a lui ordinata (eij" aujto;n). Egli è il futuro della sua opera non solo in senso temporale, ma anche logico: senza l’orientamento al creatore il creato perde la sua dovxa e da ajlhvqeia si trasforma in yeu'do" (Rm 1,25), per questo una volta toccato dal peccato e coinvolto nella caduta diventa anelante verso una completa restaurazione che sia ulteriore dono di dovxa e di ajlhvqeia (Rm 8,18-25). 110 B. ROSSI Le parole della pericope affermano dunque esplicitamente che c’è una continuità fra Dio e la sua opera (egli ha sottomesso nella speranza): i gemiti e le doglie insieme con l’attesa indicano la volontà di affermare, nonostante l’esperienza del male e della sofferenza, la bontà possibile del mondo e l’attesa nella speranza della manifestazione del dono di questa bontà. Il cosmo segnato dal peccato rimane ordinato a Dio, i grandi sospiri che non abbandonano mai la storia della creazione e i dolori che accompagnano il cammino storico, le doglie premonitrici e le sofferenze prefiguratrici di un’ultima peregrinazione nell’escaton, rivelano la certezza della speranza e l’attesa della libertà sperata. In altri termini, i dolori e i sospiri indicati in Rom 8,18-25 non sono segni solo di una situazione disperata, ma anche di una speranza che viene direttamente da Dio, che riguarda la sua azione e che dice che nel futuro Dio riserva libertà e gloria. Quest’attesa, dunque, è affermazione del riferimento diretto della creazione a Dio. “Non ci sarebbero, dice Paolo, gemiti, lamenti e lacrime se si trattasse solo di distruzione fisica, psichica o spirituale; se questa distruzione non fosse anche distruzione di qualcosa del tutto diverso e cioè della speranza nella libertà, se in definitiva non ci fosse anche la speranza della libertà. Solo perché sul mondo e sulla terra si libera tale promessa, quel destino di corruzione che si compie nell’annientamento e nella frustrazione è motivo comune e costante di lamento e di sofferenza” 37. Possiamo dire che in fondo la creazione non si lamenta solo per le varie forme di distruzione del mondo. Si lamenta perché ogni distruzione, sia morale che fisica, appare come una minaccia di quella libertà definitiva che l’attende e che verrà quando Dio, mediante Cristo, provocherà nello splendore e nella potenza della libertà anche la trasfigurazione del mondo. 4. La tensione presente-futuro La redenzione operata da Cristo lascia dunque la creazione tutta segnata dalla sua novità, ma ancora coperta di quegli aspetti di finitezza e imperfezione che le fanno attendere la pienezza della sua manifestazione. In Rom 8,17 abbiamo la descrizione della realtà e del senso della vita nella nuova creazione: ei[per sumpavscomen i{na kai; sundoxasqw'men, e ci 37. H. Schlier, Linee fondamentali di una teologia paolina (Bib Cul Rel 17), tr. dal ted., Brescia 1985, 103. RM 8,18-25 111 troviamo di fronte ad un problema che è centrale per la riflessione cristiana, specie paolina, come sia possibile credere che la salvezza è stata ormai già operata se ancora è necessario vivere in una realtà che continuamente è causa di dolore, di sofferenza e di morte. Infatti la sofferenza non può essere negata e Paolo nella sua comprensione, ispirato dal mistero della salvezza, annuncia il senso di questa situazione e dà la chiave di lettura dell’esistenza credente, tribolata nonostante la salvezza ottenuta, dichiarando che questo soffrire è il soffrire di Cristo e come tale è la strada con cui si apre la partecipazione alla sua gloria. Con questa solenne affermazione Paolo fa luce sulla comprensione della realtà ancora oscurata dal dolore ed apre alla penetrazione del senso della salvezza in ogni aspetto della realtà creata, dalle cose ai credenti, toccati dalla salvezza e nell’attesa della sua piena manifestazione. In questa dialettica presente-futuro, che fa da motivo guida al brano, Paolo mira a sottolineare che il rapporto dichiarato nel v. 17 tra patire con Cristo ed essere partecipi della sua gloria, se pure è un rapporto reale, non è tuttavia in proporzione diretta. La sofferenza del momento presente, infatti, non ha lo stesso peso di ciò che si manifesterà nel futuro: la gloria alla quale comunque rimane collegata e che si manifesterà appunto in tutta la sua pienezza; tale gloria supera infinitamente le sofferenze e se pure la sofferenza è per il cristiano un segno dell’autenticità della sua esperienza di fede, essa è soltanto un momento di transizione verso una gloria garantita che attende nell’eternità. 5. Il disegno escatologico di Dio sulla ktivsi" Nel contesto di questo pensiero Paolo pone la sua considerazione sulla situazione della ktivsi" che sottomessa oujc eJkou'sa alla mataiovth" e alla fqorav attende con anelito la libertà nella manifestazione della gloria dei figli di Dio (cfr vv. 19-22) per dire che non rimane niente di dolore che non sia stato in certo modo segnato da questa certezza di superamento e da questa irruzione di gloria che è “nuova creazione”. È questa la chiave di lettura più vera. Dobbiamo, infatti, anzitutto dire che Paolo non ha come primo intento quello di pronunciarsi sullo stato della creazione infraumana nella sua attuale condizione, né di indicare quale sarà la condizione della realtà creata nell’eone futuro o anche come sia avvenuta e in che cosa sia consistito il cambiamento della ktivsi" al momento dell’assoggettamento alla vanità e alla corruzione a causa del peccato dell’uomo. 112 B. ROSSI Futuro come raggiungimento dell’oggetto di speranza Il ricorso al tema della speranza è molto importante, non solo per la comprensione del senso della creazione nella nostra pericope, ma anche per quello di tutta la Lettera, tanto che alcuni autori ne fanno la chiave di lettura della medesima. Paolo, dunque, proprio per sostenere la sicurezza dell’attesa del compimento di gloria dei battezzati e fondare la loro speranza escatologica richiama l’attenzione su un’esperienza generale, che comunque possiamo dire si apre nel suo senso ultimo solo alla conoscenza del credente, che egli sa di poter presupporre comune nei suoi lettori; una realtà condivisa e della quale essi sembrano avere addirittura familiarità (oi[damen ga;r o{ti) perché è un dato della comprensione cristiana della natura e della storia. L’immediata e diretta conseguenza di quanto detto è per Paolo il fatto che tutta la realtà si trova in una condizione di attesa. L’attesa vista come tensione verso un futuro migliore diventa il motivo guida della pericope ricca appunto di termini che indicano proprio attesa e speranza (ajpokaradokiva, ajpekdevcomai, ejlpiv") e danno coesione alla pericope. In Rm 8,18-25 Paolo vuole convalidare proprio questa idea di speranza integrando la discussione della speranza come presente-futuro con lo schema visibile-invisibile, il quale permette di esprimere in qualche modo la presenza inevidente, la vittoria ma oltre la croce, la gloria ma nascosta del risorto e la figliolanza divina di chi crede (8,23). Essere nella speranza significa essere già segnati dalla croce e resurrezione di Cristo che ha dischiuso la speranza è al tempo stesso il punto di arrivo. Il punto focale della speranza infatti non è la beatitudine del singolo, ma l’universale signoria di Dio, quando sarà “tutto in tutti” (l Cor 15,28) 38. Dio non lascia l’ultima parola alle conseguenze del peccato, ma uJpetavgh…ejf∆ eJlpivdi, in modo tale che quanto è segno di sottomissione sia segno di speranza. Alla luce di questo si capisce perché Paolo indichi le sofferenze del cosmo con la terminologia messianica delle doglie del parto, che sono appunto doglie messianiche (…sustenavzei kai; sunwdivnei…). Certo Paolo prende questo termine e questa immagine dalla tradizione biblica con i toni messianico-escatologici che gli sono propri, ma la pregnanza ultima di signi- 38. Come appunto mostra D. M. Stanley presentando Rm 8,19-23 all’interno degli effetti cosmici e soteriologici dell’opera di Cristo; cfr Christ’s Resurrection in Pauline Soteriology (AnBib 13), Rome 19762., 189-195. RM 8,18-25 113 ficato è cristologica. Il fatto che quanto avviene nella natura sia indice di una liberazione non nasce dal basso, dalla natura stessa, ma dall’azione di Dio in Cristo. È l’incarnazione resurrezione, il mistero totale di Cristo che dà la valenza di “doglie del parto” a quelle che nella realtà erano solo conseguenze di un peccato, perché è Cristo che nell’unico progetto fedele del Padre, compie la “ricapitolazione” 39. Dobbiamo ricordare che per Paolo ciò che rende concreto l’unico progetto di amore del Padre non è un rapporto astratto con Dio, ma la realtà umana di Cristo e soprattutto l’avvenimento della sua resurrezione e glorificazione che non è semplicemente un avvenimento privato, ma il nuovo inizio di proporzioni cosmiche con effetti che si estendono oltre i limiti della sfera della corporeità umana. In virtù della sua resurrezione Cristo è fin da ora il Signore e la potenza di un rinnovamento per tutte le realtà e per tutti i tempi, tutto da lui è toccato e trasformato. Futuro come compimento di salvezza Affidare la creazione alla speranza significa per Paolo affidarla allo Spirito. Infatti, là dove appare significativamente il tema della ejlpiv" in Romani, compare anche il pneu'ma quale collegamento e artefice della medesima (Rm 5,5; c. 8; 15,13); molto esplicita è poi la ricorrenza di 15,13: “Il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e pace nella fede, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito”. Ne segue che la ejlpiv" è segnata dall’opera dello Spirito e deve a lui la sua trasformazione futura. Il dato emerge ancor più evidente se osserviamo il ruolo dello stesso Spirito all'interno della Lettera e del pensiero di Paolo in generale. L’Apostolo considera il possesso dello Spirito come l’adempimento delle antiche promesse. Ma la convinzione che lo Spirito è ora anticipazione della salvezza finale 40 si fa sempre più chiara quanto più la risurrezione di Cristo, testimoniata dai discepoli, si viene a distinguere dalla parusia. 39. “Creando il mondo e la natura, Dio si è proposto quale primo fine – fine che appartiene all’ordine della grazia e della gloria, e si distacca da tutto l’ordine della natura e del mondo – quello di dare se stesso a coloro che ama e di chiamarli a partecipare della sua propria vita nel Cristo redentore, in cui tutte le cose devono essere riconciliate ed insieme innalzate”, J. Maritain, Il pensiero di S. Paolo, tr. dal franc. Torino 1964, 169. 40. Dati significativi sull’argomento in B. Rigaux, “L’anticipation du salut eschatologique par l’Esprit”, in M. Barth – C. K. Barrett – C. Butler – J. Dupont – J. Gnilka – J. Jeremias – S. Lyonnet – Ph. H. Menoud – B. Rigaux, Foi et salut selon S. Paul (épître aux Romains 1,16) (AnB 42), Rome 1970, 101-135; Moltman, Dio nella creazione, 21-26.120-122. 114 B. ROSSI Il pneu'ma è il fondamento mediante il quale Cristo raggiunge la sua vittoria sulla morte 41: “Cristo Gesù … costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti.…” (1,4). Nello stesso modo a quell’unico Spirito è affidato il compito di rinnovare completamente l’esistenza dei credenti e dei battezzati 42 vincendo la morsa peccato-morte che li teneva schiavi (5,12; 6,23). Infatti tutto ciò che è vita ed è connesso con essa viene attribuito all’azione dello Spirito 43: a lui è stato affidato il ruolo di vivificare Cristo, pertanto egli rende viva l’esistenza del cristiano, lo Spirito significa e produce vita: “Se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto a causa del peccato, ma lo Spirito è vita a causa della giustificazione. E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Cristo dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi” (8,10s). Questa vita ha il suo compimento nell’avvenire (Rm 1,17; 2,7; 5,17.18.21; 8,11.13; Gal 6,8; cfr 2 Cor 5,1-10; Rm 8,1-39), ma il suo fondamento si pone nel momento in cui si riceve lo Spirito; in questo stesso momento egli è già una realtà (6,4.11.13; 7,6). Abbiamo visto che la speranza è l’attesa del compimento del nuovo ordine, della distruzione di quello vecchio che vive sotto il peccato e la morte, essa è quindi pneumatica, perché allo Spirito è dato l’ufficio della vita come nuova realtà che si contrappone all’antica. Oltre al tema della speranza, anche l’argomento-chiave della liberazione rimanda direttamente allo Spirito. La nostra pericope afferma che la ktivsi" sarà liberata per essere nella libertà della gloria. Ora per Paolo dove c’è liberazione e libertà c’è la presenza dello Spirito: oJ ga;r novmo" tou' pneuvmato" th'" zwh'" ejn Cristw'/ ∆Ihsou' hjleuqevrwsevn se ajpo; tou' novmou th'" aJmartiva" kai; tou' qanavtou (8,2). Libertà e Spirito vanno strettamente collegati: “… dove è lo Spirito del Signore c’è libertà” (2 Cor 3,17). Dove è all’opera lo Spirito, la schiavitù, di cui la legge, pur essendo in sé spirituale (7,14), è stata lo strumento, è finita (7,6; Gal 5,18). La schiavitù della ktivsi" nella sua realtà di caducità e corruzione rimanda al dominio del peccato e della dimensione kata; savrka, mentre la liberazione dalla corruzione, liberazione che porta alla vita, è tutta dipen- 41. Cfr R. Koch, “L’aspect eschatologique de l’Esprit du Seigneur d’après Saint Paul”, SPCIC I, 132-134. 42. Cfr Koch, “L’aspect eschatologique de l’Esprit”, 134-141. 43. Cfr H. Ridderbos, Paul. An Outline of His Theology, tr. dal ted. J. Richard de Witt, Grand Rapids 1982 rist., 214-223. RM 8,18-25 115 dente dallo Spirito. Sintesi di questa idea dominante del c. 8 può essere ritenuto Gal 6, 8: “Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione (fqoravn); chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna (zwhvn aijwvnion)”. È chiaro che per Paolo lo Spirito non si identifica con la signoria di Dio, ma ne è la caparra (2 Cor 1,22), azione preparatoria di Dio (2 Cor 5,5), primizia (Rm 8,23) e quindi fondamento per la speranza nel compimento futuro (Rm 15,13; Gal 5,5). Perciò lo Spirito è il fondamento della totale attuazione della salvezza, l’inizio del compimento, ma non ancora il compimento stesso. Futuro come liberazione Il tema della speranza, la presenza e l’azione dello Spirito ed espressamente il fine dell’attesa sia della creazione che dell’uomo (… eij" th;n ejleuqerivan th'" dovxh" … .v 21; …uiJoqesivan ajpekdecovmenoi, th;n ajpoluvtrwsin tou' swvmato"… .v 23) fanno si che la pericope 8,18-25 abbia come scopo di mettere a fuoco il futuro salvifico-escatologico. Proprio per capire quale sarà quel futuro, il termine di tutta l’attesa, è indispensabile evidenziare il punto di partenza, la situazione negativa in cui si trova la ktivsi". Il compimento dell’attesa, infatti, è compreso come antitesi a tutto ciò che ora è coercizione ed impedimento del conseguimento del proprio traguardo. a. Liberazione dalla sofferenza Il primo aspetto da sottolineare è quello della sproporzione tra ciò che ora è vissuto e sentito come distruzione e sofferenza e la condizione futura. La realtà attesa (… th;n mevllousan dovxan … .v 18; …th;n ajpokavluyin tw'n uiJw'n tou' qeou … .v 19; …eij" th;n ejleuqerivan th'" dovxh"… v. 21; …th;n ajpoluvtrwsin tou' swvmato" … .v 23) va anzitutto compresa come contrapposta alla sofferenza nel senso qualitativo di valore ed incommensurabilità delle stesse all'interno della vita del credente: la realtà positiva non è solo un recupero o un controbilanciamento della negativa, ma è un andare oltre in ogni senso (cfr 5,15-21). La nostra pericope sottolinea la realtà universale della sofferenza, intesa come comune condizione, sia della creazione che dell’uomo, per partecipare alla salvezza futura. In altri termini i paqhvmata che sono in se stessi debilitanti e negativi, sono destinati a diventare per Paolo, a partire dalla 116 B. ROSSI croce del Cristo, condizione della partecipazione all’eredità futura. Difatti l’Apostolo sembra affermare che non c’è futuro per chi non è nella sofferenza: … sugklhronovmoi de; Cristou', ei[per sumpavscomen i{na kai; sundoxasqw'men (v. 8,17). Però come per Cristo la croce, compendio massimo di ogni sofferenza, si è trasformata in vita così il gemito universale della creazione e dell’uomo è destinato a cedere il posto alla pace 44 e alla felicità escatologica in cui “Dio sarà tutto in tutti” (1 Cor 15,28). Lo stato presente di sofferenza della creazione, oltre che a farci risalire ad una condizione antitetico-futura per la medesima, dove non esiste tribolazione di sorta, ci indica anche la modalità, questa volta su una linea di continuità, del godimento della nuova realtà. Come la sofferenza della creazione non è isolata da quella dell’uomo, ma con questo è partecipe di quella di Cristo, così la situazione antitetica di pace e felicità sarà vissuta in comunione universale (cfr sundoxasqw'men 8,17 e la speranza della creazione alla dovxa v. 21; cfr 1 Cor 15,20-28). b. Liberazione dalla vanità In 8,21 leggiamo che la creazione è stata sottomessa alla vanità (th'/ ga;r mataiovthti hJ ktivsi" uJpetavgh) e fino al presente si trova in questa condizione esistenziale. Il vocabolo mataiovth" mantiene nel nostro testo il senso che mataiva e il suo gruppo semantico hanno nei LXX. Indica quindi la vanità, il non poter corrispondere alle promesse, il non realizzare il proprio fine, descrive una condizione e una situazione esistenziale interna dove domina la vanità, la disarmonia, l'inconsistenza. Paolo si serve di mavtaio" e derivati per descrivere una prospettiva chiusa in se stessa, che non è aperta alla realtà superiore. Per descrivere meglio la portata dell’assunto di Rm 8,21 concernente mataiovth", è utile rifarsi a 1 Cor 15,17 dove riscontriamo l’impiego di mavtaio": “ma se Cristo non è risorto, vana (mataiva) è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati”. Il verso è chiaramente in chiave soteriologica e, ovviamente, antropologica. Tuttavia è lecito argomentare anche a favore della creazione. Il testo afferma che, senza la redenzione di Cristo, l’uomo è ancora chiuso in se stesso nella schiavitù del proprio peccato, quindi sotto il regime della aJmartiva e del qavnato". Una fede fuori della prospettiva del risorto è senza senso, inconsistente ed illusoria perché alla 44. Sulla rilevanza della pace cfr Rossi, “Struttura”, 101 e n. 96. RM 8,18-25 117 fine è un confidare nel vecchio ordine della aJmartiva. La vanità pertanto appartiene al vecchio ordine del peccato e della morte, mentre la consistenza, la capacità di raggiungere lo scopo della fede è ancorato alla nuova realtà che è entrata nel mondo con la resurrezione di Cristo. Tutto questo si confà molto bene allo status di mataiovth" in cui si trova la ktivsi". Questa situazione negativa è l’eredità del peccato di Adamo che esercita ancora la sua forza. La condizione antitetica in cui si troverà la creazione come liberazione dalla mataiovth", è quella del pieno senso di se stessa sulla base del suo orientamento alla resurrezione di Cristo. Solo quando questa avrà raggiunto la sua impronta universale e definitiva su tutto, la creazione troverà il raggiungimento del proprio scopo, secondo il disegno divino. Il fatto che la ktivsi" è stata messa (uJpetavgh) in una condizione di illusorietà-ingannevolezza, indica che anche lei, in base a quello che sperimenta attualmente come non-essere, ha una propria, vera e giusta collocazione nel disegno di Dio conforme all’intento da questi voluto. Infatti la situazione di mataiovth" non è definitiva, ma orientata al superamento di se stessa verso il conseguimento del bene sperato conforme al desiderio divino (ejf∆ eJlpivdi v. 21). c. Liberazione dalla schiavitù della corruzione. Il verso 21 della nostra pericope offre un’ulteriore descrizione della situazione di instabilità in cui si trova la creazione. Si dice che essa soggiace alla schiavitù cioè ad una situazione negativa di dipendenza distruttrice dalla quale sarà però liberata (hJ ktivsi" ejleuqerwqhvsetai ajpo; th'" douleiva" th'" fqora'"… .v 21). Non è un caso che il terminedouleiva sia accompagnato dall’articolo determinativo, mediante il quale Paolo fa riferimento ad una schiavitù specifica e ben individuata. Dall’impiego nella lettera ai Romani di dou'lo" e dei termini da esso derivati si comprende che la douleiva di cui si parla in 8,21 è da riferirsi alla aJmartiva, la potenza schiavizzante che genera il qavnato" (5,12; 6,16.21; 8,6.13), il quale è a sua volta generatore di corruzione. Questa affermazione dà anche ragione del perché dopo ejleuqerwqhvsetai non abbiamo ajpo; th'" aJmartiva", come ci si aspetterebbe dall’uso consueto di quel verbo, abbiamo però di fatto quello che la aJmartiva produce, cioè la schiavitù. La specificazione th'" fqora'" rende ancor più chiaro il senso di sudditanza della creazione. Rispetto a mataiovth" (v. 20), questo vocabolo ha una connotazione più esterna, sensibile, come se fosse una verifica concreta della condizione interna descritta con il termine vanità. Ricorrendo a 118 B. ROSSI fqorav Paolo vuole sottolineare il senso fisico concreto della schiavitù della creazione: il disfacimento, la corruzione, la caducità, senza per questo negare anche l’aspetto etico-morale: la corruzione come uso distorto. È un po’ come il qavnato" a cui fqorav è collegato, che racchiude in sé sia una connotazione fisica: la decomposizione concreta di un essere, che spirituale: la morte come asservimento alla realtà del peccato. La liberazione dalla condizione schiavizzante, peccato→morte→vita secondo la carne, è già una realtà a partire dalla redenzione di Cristo e si concretizza nella vita kata; pneu'ma. Questa vita produce effetti antitetici rispetto a quella secondo la carne: grazia→vita→incorruttibilità (cfr 8,6.11; 1 Cor 15,53s). In tal senso, Paolo usa l’aoristo ejswvqhmen (8,24) per dire che la salvezza dei credenti è un fatto compiuto e conferma così il solenne assunto di 8,2: “poiché la legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte”. Della morte è stato già vinto l’aspetto interno di fine della vita, mancanza di un futuro di speranza e di felicità oltre il limite temporale. Ma non è stato ancora vinto l’aspetto concreto- esterno di corruttibilità-decomposizione, per il quale siamo rimandati all’evento finale del compimento di salvezza, quando Cristo, avendo sottomesso a sé ogni potere, per ultimo la tracotanza della morte, consegnerà ogni cosa al Padre. Siccome la redenzione della creazione è collegata soprattutto con l’aspetto specifico della corruzione sensibile, essa non è ancora salvata. Essa partecipa della speranza di salvezza, che è già un dono della redenzione, ma non è ancora redenta. Così Paolo usa un verbo al passato (ejswvqhmen v. 24) per affermare il compimento della redenzione nei confronti dell’uomo, ma impiega un verbo al futuro per descrivere quella della ktivsi" (ejleuqerwqhvsetai… .v 21). Tuttavia, anche per presentare l’aspetto fisico-materiale della redenzione dell’uomo, l’Apostolo utilizza dei verbi al tempo futuro, unificando in questa prospettiva l’uomo e la ktivsi" “Quando poi questo corpo corruttibile si sarà vestito d’incorruttibilità e questo corpo mortale d’immortalità, si compirà la parola della Scrittura: “La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?” (1 Cor 15,54s). Infine, come suggerisce l’impiego paolino di ejleuqerovw, anche la liberazione della ktivsi" è una liberazione in virtù della redenzione di Cristo ed è, come scopo, a lui orientata. Infine dallo status di fqorav possiamo descrivere, in base all’argomentazione antitetica dei passi, lo status futuro della creazione come un essere nella dovxa (8,21), nell’incorruttibilità (cfr 1 Cor 15,53), nella vita (cfr 6,23; Gal 6,8), nell’abbandono alla forza dello Spirito (cfr 8,13; Gal 6,8). RM 8,18-25 119 Futuro come libertà e gloria Il movimento di liberazione (ajpov) della creazione tende (eij") al conseguimento del bene sperato (ejf∆ eJlpivdi v. 20) che in 8,22 è descritto in primo luogo con ejleuqerivan quale presenza e frutto della gloria (th'" dovxh"). La libertà alla quale si riferisce l’Apostolo non è semplicemente una conseguenza della liberazione, caratteristica già espressa nello stico precedente, ma una realtà ben determinata (cfr l’articolo thvn) con delle caratteristiche sue proprie. Secondo Paolo la libertà è anzitutto uno status presente e specifico dei credenti nel quale si entra per fede. Essa è una condizione nuova, di vita tutta dipendente dal Risorto. Per questo se ne accentua il carattere personale fino alla identificazione con il Cristo 45. Oltre a questa connotazione cristologica, la libertà ha anche una caratteristica pneumatologica. Essa è connessa al possesso dello Spirito, si nutre della speranza ed è alimentata dai frutti dello Spirito: vita, incorruttibilità, potenza. In breve, con ejleuqeriva l’Apostolo esplica la nuova condizione del mondo nuovo tutta dipendente da Cristo, perché solo lui è libertà. Cristo poi lo si ha nello Spirito, di modo che “Spirito, gloria, libertà, filiazione di Dio sono concetti che si implicano a vicenda” (Cerfaux). In tale prospettiva, quindi, la creazione ha una propria collocazione, toccata anch’essa dalla forza rigeneratrice di Cristo e dello Spirito che conforma la medesima alla vittoria sul potere demolitore della morte. Il senso di libertà, poi, già denso e significativo in sé, è ulteriormente arricchito dalla specificazione th'" dovxh" la quale offre un’ulteriore spunto per capire la collocazione escatologica della ktivsi". È stato detto con ragione che “il concetto dovxa è uno dei più fondamentali per il Nuovo Testamento” 46, specie per il pensiero di Paolo. Tralasciando l’aspetto profano di dovxa: l’onore, la fama, e quello celebrativoreligioso: rendere la dovuta lode e ringraziamento, vogliamo mettere in evidenza quello teologico. In dipendenza dall’AT 47 la dovxa è secondo Paolo l’essenza stessa della divinità in quanto risplendente o rivelata in una maniera straordinaria nelle 45. Cfr A. M. Buscemi, “∆Exairevomai: verbo di liberazione”, LA 39 (1979) 293-314. 46. H. Schlier, “Il concetto di dovxa in S. Paolo”, in H. Schlier, Riflessioni sul Nuovo Testamento (Bibl Cult Rel 17), tr. dal ted. Brescia 19762, 397. 47. Cfr Schlier, “Il concetto di dovxa in San Paolo, 399; R. Barcaldo, La gloria de Dios según San Pablo (Collección sacra dotrina 4), Madrid 1964, 17-36; A. M. Ramsey, La gloire de Dieu et la trasfiguration du Christ (LeDiv 40), tr. dall’ingl. Dom Marie Mailhe, Paris 1965, 55-60. 120 B. ROSSI meraviglie della grazia, nei misteri della salvezza. È l’essere divino nella pienezza della sua potenza, del suo splendore in sé, che si comunica alle sue creature. Questa ampiezza di significati può essere colta nei seguenti aspetti: a) la gloria designa l’essere divino riflesso nelle sue perfezioni, la divinità (Rm 1,23; Eb 1,3), la sua misericordia (Rm 9,23; Ef 3,16), il suo potere (Rm 6,4; Col 1,1), la sua bontà e la sua grazia (Ef 1,17; 1,6;); b) la gloria designa l’essere divino in quanto comunicato e rivelato agli uomini: gli uomini fino alla venuta di Cristo sono privi di questa gloria (Rm 3,23); Cristo mediatore della gloria la possiede in pienezza (2 Cor 4,4.6; Eb 1,3) e gli uomini ricevono la gloria di Cristo come un risplendore (2 Cor 3,18; Rm 8,29), come ricchezza divina (Col 1,27) per mezzo dell’Apostolato (2 Cor 3,8-11), per mezzo del Vangelo (2 Cor 4,4; 1 Tm 1,11) e soprattutto per mezzo dello Spirito (Ef 3,16); gli uomini a somiglianza di Cristo riceveranno la pienezza di questo splendore divino nella trasformazione della risurrezione e nella vita del cielo (Rm 8,17; 1 Cor 15,43; Fil 1,3) secondo il disegno preordinatore di Dio (Rm 8,29). Quindi la gloria di Dio può essere vista come realtà presente, soteriologica-santificante e come realtà escatologica, futura-beatificante 48. La distinzione tra gloria soteriologica ed escatologica non si riferisce alla realtà oggettiva, ma al grado diverso di manifestazione o di attività che realizza negli eletti. La gloria soteriologica è la stessa realtà escatologica, però parzialmente velata e percepita, in modo che l’escatologia realizza la sua attività trasformatrice percepita come luce piena nella visione diretta e beatificante dello splendore di Dio. Nella Lettera ai Romani predomina il senso escatologico di dovxa, ma non mancano i testi relativi alla realtà presente nella giustificazione e le dossologie che lodano l’opera messianica. Il piano divino della salvezza, poi, è considerato da Paolo come una conformazione all’immagine del Figlio, alla sua gloria (Rm 8,29s; 9,23). Gli uomini hanno perduto la gloria di Dio (Rm 3,23) e in questa esistenza priva di dovxa è stata trascinata anche la creazione 49. Tuttavia questa situazione non allontana il disegno originale, ma mette ancor più in luce la dovxa potente di Dio, perché essa trionfa sul peccato (Rm 3,7) ed è donata in Cristo, nel vangelo annunziato dall’Apostolo (2 Cor 4,4). Quindi, in base alla gloria misericordiosa di Dio (Rm 9,23) l’uomo può aspirare, accettando e vivendo secondo il vangelo, potenza di Dio (Rm 1,16), ai doni escatologici della gloria e della vita eterna (Rm 2,7.10). L’unica condizione per entrare 48. Cfr Ramsey, La gloire de Dieu, 60-66. 49. Cfr Schlier, “Il concetto di dovxa in San Paolo”, 402. RM 8,18-25 121 nella gloria di Dio è la conformazione a Cristo: come la sua glorificazione è legata alla sua croce, così la glorificazione del cristiano deve passare per la croce di Cristo: “Se siamo figli anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria” (Rm 8,17). Il vocabolo dovxa permette in sintesi una lettura di tutta la storia della salvezza, descrivendo la realtà di Dio in sé e la sua manifestazione nel creato e nella storia degli uomini sia sotto l’aspetto di perdita che come recupero in Cristo, il quale è la pienezza della gloria di Dio. Inoltre, in dovxa Paolo racchiude la pienezza escatologica espressa più volte in termini diversi come: timhv (Rm 2,7.10; 1 Cor 15,43; 1 Tm 1,17), duvnami" (1 Cor 15,43), ajfqarsiva e ajqanasiva (l Cor 15,50.53s; Rm 2,7), eijrhvnh (Rm 2,10) e ejleuqeriva (Rm 8,21) 50. In questa lettura universalizzante della gloria, Paolo colloca anche la creazione, stimando che essa abbia perso il suo splendore originale e miri al futuro salvifico per essere conformata al disegno di Dio. Una volta ammesso che la creazione è nella sofferenza, Paolo passa con facilità ad applicare anche ad essa la dinamica sofferenzagloria in unione a quella del Cristo. Dicendo che la creazione parteciperà “alla libertà della gloria”, l’Apostolo intende affermare il completo assorbimento di essa nella dimensione divina 51 secondo il suo specifico e il piano di Dio. L’ulteriore genitivo tw'n tevknwn tou' qeou indica che la ktivsi" oltre ad essere in attesa di completamento è pure in rapporto con i figli di Dio 52. Parlando di questo rapporto Paolo non fa tanto questione di dipendenza ma solo afferma che la ktivsi" attende la glorificazione dei figli di Dio perché a tale dovxa è anch’essa ordinata. Di fatto anche la condizione dei cristiani anela verso una pienezza e aspetta qualcosa di totalmente diverso. Persiste ancora qualcosa che limita e rende provvisori: è la nostra esistenza corporea, e per questo il cristiano attende la ajpoluvtrwsin tou' swvmato". Paolo non intende parlare della distruzione di questo corpo terreno e di un ritorno dell’anima a Dio, ma affermare l’ingresso e l’ascesa della nostra esistenza in una dimensione corporea liberata dalla sottomissione, dalle tentazioni e dalla morte per godere della libertà della gloria che è partecipazione a quella di Cristo. Questa liberazio- 50. Cfr Schlier, “Il concetto di dovxa in San Paolo”, 410. 51. Cfr J. Moltmann, Futuro della creazione (BTCont 38), tr. dal ted. Brescia 1980, 139-142. 52. In tal senso G. G. O’Collins, Gesù risorto, un’indagine biblica, storica e teologica sulla resurrezione di Gesù, Brescia 1989, 178. 122 B. ROSSI ne redenzione, secondo Paolo darà al corpo risorto quattro proprietà: ajfqarsiva, dovxa, duvnami", sw'ma pneumatikovn. Non è un tornare alla vita precedente, ma è compiere un esodo assoluto che fa uscire totalmente dall’attuale condizione per entrare nella vita di Dio (cfr Rm 8; 1 Cor 15,45). Paolo sancisce dunque la fede nel rinnovamento dell’universo annunziata dai profeti e già presente nella fede della Chiesa (cfr At 3,21). Come abbiamo detto comunque egli rimane molto sobrio sul modo con cui il cosmo avrà una partecipazione al secolo futuro. Egli pone il cosmo all'interno dell’economia redentrice vissuta ora nell’attesa della liberazione completa e della manifestazione della gloria. L’Apostolo dichiara la penetrazione universale dell’efficacia dell’opera di Cristo e il fatto che l’influsso della sua glorificazione e della sua Signoria oltrepassa i fedeli fino ad arrivare con la sua azione in ogni elemento e in ogni cosa per riunire tutto come Signore e tutto riempire della sua gloria. Tutto questo risponde pienamente all’annuncio cristologico di Paolo: Cristo, gloria del Padre, espanderà la sua signoria su tutte le cose e comunicherà al mondo la sua pienezza mediante lo Spirito, cosicché ogni realtà, a suo modo e conformemente al proprio stato, sarà presente in Lui. Benedetto Rossi Pontificio Seminario Pio XII, Siena Bibliografia H. R. Balz, Heilsvertrauen und Welterfahrung. Strukturen der paulinischen Eschatologie nach Römer 8,18-39 (BEvTh 59), München 1971. P. Benoit, “Nous gémissons, attendant la délivrance denotre corps” (Rom VIII,23”, RSR 39 (1951/52) 267-280 = Exégèse et Théologie II, Paris 1961, 41-52. H. 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