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Diritto disumano
1. La millenaria vicenda dell’aborto non conosce soste nei paesi
occidentali che l’hanno legalizzato. Nel tumultuoso evolvere degli
eventi nazionali ed internazionali ha avuto poca e breve attenzione
la parte dedicata all’aborto della relazione del deputato Marc Tarabella sulla parità uomo-donna approvata nell’Aula del Parlamento
di Strasburgo a larga maggioranza con 441 voti a favore, 205 contrari e 52 astensioni. È passata infatti anche la parte più controversa del documento, quella in cui si sottolinea la necessità di garantire
i diritti delle donne anche attraverso un “accesso agevole” alla contraccezione e all’aborto.
Un passaggio del documento promosso dal parlamentare socialista belga recita testualmente: “Il Parlamento europeo insiste sul fatto che le donne debbano avere il controllo dei loro diritti sessuali e
riproduttivi, segnatamente attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all’aborto; sostiene pertanto le misure e le azioni volte
a migliorare l’accesso delle donne ai servizi di salute sessuale e riproduttiva e a meglio informarle sui loro diritti e sui servizi disponibili; invita gli Stati membri e la Commissione a porre in atto misure
e azioni per sensibilizzare gli uomini sulle loro responsabilità in materia sessuale e riproduttiva”.
La risoluzione, ha cercato di giustificarsi Tarabella, “non è a favore o contro l’aborto. Si tratta di uguaglianza e di diritto di decidere, che è un diritto fondamentale”. Il documento si spinge comunque
più in là rispetto a quello già bocciato dal Parlamento nel dicembre
del 2013 e presentato dall’eurodeputata socialista portoghese Edite
Estrela. La risoluzione Estrela sulla “salute e i diritti sessuali e riproduttivi” prevedeva un’educazione sessuale per bambine e bambini, la prevenzione di gravidanze indesiderate con accesso equo alla
contraccezione e il diritto “all’aborto sicuro e legale” in Europa.
Quindi non tanto il diritto ad abortire, ma quello a non morire di
aborto.
2. La questione del preteso “diritto di aborto” non è del tutto
nuova, ma è ancora capace di turbare quanti non vogliono rassegnarsi alle inarrestabili ed insaziabili pressioni ideologiche continuamente rinnovate dai tempi di Ippocrate. Questa rivista ha già affrontato nel 2013 il problema giuridico dell’ipotesi di “diritto all’a-
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borto” con un articolo del giurista Sartea.1 Ma già il 27 aprile 2008
era apparso sull’Osservatore Romano un importante articolo sul tema di Elio Sgreccia.
In quel periodo, e nel 2014, la questione è stata molto dibattuta
nella Francia illuminista, socialista e cattolica nella prospettiva di
una modifica estensiva della legge Veil sull’aborto, che risale al
1975. Soltanto sette parlamentari francesi hanno votato contro l’aggiornamento legislativo della legge Veil. Il risultato è stato il seguente: 143 parlamentari hanno votato a favore, sette contrari e uno
si è astenuto. Dei 577 deputati in tutto, 426 non hanno ritenuto opportuno obiettare a questo “diritto fondamentale”.
I molti anni trascorsi dalla legge propugnata da Simone Veil, che
aveva posto la depenalizzazione dell’aborto come “caso limite”,
l’assuefazione al dramma quotidiano dell’aborto ha dunque condotto il parlamento francese ad approvare a grande maggioranza la risoluzione, portata in Aula dalla socialista Catherine Coutelle, che
affermava “il diritto fondamentale all’interruzione volontaria di
gravidanza per tutte le donne, in Francia, in Europa e nel mondo” e
chiedeva che “la Francia persista nel suo impegno a livello europeo
e internazionale a favore di un accesso universale alla pianificazione familiare”. Solo sette sono stati dunque i deputati resistenti e tra
questi il più duro è stato Bompard, che ha dichiarato in aula: “Voglio chiedere perdono. Perdono a tutti i bambini non nati. Perdono a
tutte le mamme che non siamo stati in grado di proteggere. Perdono
a Simone Veil, che aveva posto la depenalizzazione dell’aborto come
caso limite”.
Non basta alla Francia, a quanto pare, il numero di aborti, stabilmente a livelli molto elevati: fra i 210mila e i 220mila casi l’anno
a fronte di 800mila nascite. Sono numeri che hanno spinto l’Istituto
nazionale francese di studi demografici a denunciare la propensione
delle donne francesi a ricorrere all’aborto. Il settantadue per cento
degli aborti sono eseguiti su donne che fanno già ricorso alla contraccezione che vanta la vendita di un milione di “pillole del giorno
dopo”, ed i test di gravidanza disponibili nei supermercati.
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SARTEA A. Sulla problematica idea di un “diritto di aborto”. Medicina e Morale 2013;
4: 767-784.
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Ma non basta. Alla banalizzazione segue l’intolleranza. Jean Veil,
il figlio della madrina dell’aborto in Francia, ha dichiarato in televisione che bisogna togliere la parola ai sostenitori del diritto alla
vita. Xavier Dor, pediatra, docente di Embriologia cardiaca, a capo
dell’associazione Sos Tout Petits, è stato condannato a cinquemila
euro di multa dalla Corte di appello di Parigi per “pressioni psicologiche e morali” sulle donne che vogliono abortire. Dor aveva dato
un paio di scarpe da neonato a una donna che si trovava in una clinica. Il pediatra parla con chiarezza: “La nostra Repubblica è diventata un Moloch che uccide i propri figli”. Ed ancora “l’ideologia
che non ha creato niente … vuole appropriarsi di tutto verità, amore, libertà, vita, morte e persino e soprattutto l’eternità”.
In Italia la situazione sembrerebbe meno grave stando ai dati
dell’ISTAT che nel 2012 ha registrato 103.191 interruzioni volontarie
di gravidanza, 6.850 in meno rispetto al 2011. Non si tratta certo di
dati consolanti specie in un paese che lamenta un preoccupante calo
demografico e se si considerano (come anche in Francia) le perdite
di embrioni per altri mezzi come le pillole abortive e le altre forme
di aborto chimico tanto che si è ritenuto, in termini di vite distrutte
che la somma sia maggiore di tutti gli altri decessi naturali e non.
Altrettanto rilevanti sono da ritenere le perdite abortive causate dalla fecondazione artificiale.
Nel mondo una gravidanza su cinque finisce con l’aborto. Nel
2008 ci sono state quasi 44 milioni di interruzioni di gravidanza, il
49% delle quali clandestine. Sono i numeri principali resi noti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’americano Guttmacher Institute (istituzione favorevole all’aborto) pubblicati dalla rivista scientifica internazionale Lancet. I dati diffusi sono spaventosi:
il tasso medio mondiale di aborti ogni mille donne tra i 15 e i 44 anni è di 29 nel 2003, passando nel 2008 a 28 (24 nei Paesi sviluppati,
29 in quelli in via di sviluppo), mentre nel 1995 era di 35. Il tasso di
aborti giudicati pericolosi dai curatori del rapporto (impegnati a legalizzare l’aborto in tutto il mondo) è altissimo in Africa – il 97% –
e nel sud dell’Asia – 65% – mentre in Europa quasi tutti gli aborti
clandestini sono nei Paesi dell’Est (13%).
Di fronte a questi dati impressionanti si rimane attoniti dell’apprendere l’avanzata di nuovi, insaziabili progetti abortivi nei paesi
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più “progrediti” nei quali si intende qualificare l’aborto come un
diritto.
3. Si spera, ma non senza dubbi, che per “diritto fondamentale” i
proponenti non intendano addirittura ritenere un diritto umano. I
“diritti umani’ (o diritti dell’uomo) sono, com’è noto, una branca
del diritto e una concezione filosofico-politica. Tra i diritti fondamentali dell’essere umano si possono ricordare, fra gli altri, il diritto alla vita, il diritto alla libertà individuale, il diritto a un giusto
processo, il diritto ad un’esistenza dignitosa, il diritto alla libertà
religiosa con il conseguente diritto a cambiare la propria religione,
oltre che, di recente tipizzazione normativa, il diritto alla protezione
dei propri dati personali (privacy) e il diritto di voto.
Lasciando comunque ai giuristi la soluzione di questo problema
di biodiritto, trasferito nella sfera della biopolitica, è forse meno
difficile cercare di comprendere l’obiettivo degli abortisti. Che non
sembra solo di natura cinicamente ideologica, bensì anche pratica
nella direzione di abbattere, alla fine del percorso normativo, ogni
limitazione eziologica e temporale all’eliminazione della vita umana
prima della nascita. Per ora ci si limita ad attaccare i sette giorni di
attesa e, cosa ancora più grave, si punta ad abolire l’obiezione di
coscienza.
Qualunque sia il destino normativo del cosiddetto diritto all’aborto è difficile, perlomeno sul terreno del buon senso, ritenerlo un
“diritto fondamentale”. Ed è pura follia definire – è stato fatto anche questo – l’ embrione “un intruso” di cui sbarazzarsi in fretta,
prima di sette giorni di attesa.
Scrive a questo proposito il vescovo Guy de Kerimel di Grenoble:
“Un diritto umano può essere basato sulla negazione del diritto alla
vita di altri esseri umani, proprio all’inizio della loro esistenza e
crescita?”.
E Papa Francesco cataloga l’aborto accanto ad altri prodotti
della cultura dello scarto, per esempio la povertà. Madre Teresa sapeva che nessuno è povero come un bambino non nato per volontà
della madre e del padre. O, addirittura, per diritto positivo statuito
dalla società politica, dalla maggioranza pro-tempore di un’assemblea, dallo stato totalitario che invade e distrugge lo spazio pubblico dei valori non negoziabili. Tutto questo sarebbe, se abbiamo ben
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compreso, “il diritto di aborto” che altro non è se non una gravissima disumanizzazione dei diritti umani, come ci ha ricordato Giovanni Paolo II nell’Enciclica “Evangelium Vitae” di cui ricorre quest’anno il ventesimo anniversario.
Angelo Fiori
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