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2010-05-BERGAMO-AIGA-Dur-rag-proc AIGA Associazione Italiana Giovani Avvocati Sezione di Bergamo Convegno LA RAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO PROFILI DI COMPARAZIONE TRA ITALIA E SPAGNA Bergamo, 26 maggio 2010 Ragionevole durata del processo. Riflessi sull’economia nazionale e sulla credibilità del servizio giustizia. L’esperienza del Tribunale di Torino Relazione di Mario BARBUTO Presidente della Corte d’Appello di Torino (già Presidente del Tribunale di Torino) SOMMARIO PREMESSA - Il fattore-tempo, il principio della durata ragionevole del processo e le fonti normative 1) L’incertezza della giustizia in Italia: Corte di Strasburgo e legge Pinto 2) Le conseguenze sull’economia nazionale 3) L’Italia peggio del Gabon e della Guinea 4) Il Rapporto-2008 del Consiglio d’Europa e i dati del Ministro della Giustizia 5) Il progetto organizzativo di Torino. 6) Il beneficio economico per l’Erario 7) Un dubbio: rapidità a scapito della qualità? 8) Considerazioni conclusive Allegato: Testo della “Circolare Strasburgo” del 2001, aggiornata il 30 dicembre 2008. Abstract della relazione 1 PREMESSA - Il fattore-tempo, il principio della durata ragionevole del processo e le fonti normative Slide 1 -Fattore-tempo Presidente della Suprema Corte Dott. CARBONE Discorso inaugurale del 2009 “Il fattore centrale è il Tempo: Tempo: la risorsa più più preziosa, che le disfunzioni della Giustizia sprecano. Il primo obiettivo è di mettersi al passo con il tempo della vita dei singoli e della collettività collettività, dell’ dell’Europa e del Mondo” Mondo” Slide 2 – Sintesi delle fonti normative La “ragionevole durata del processo” Il fattorefattore-tempo nella giustizia Art. 6, § 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell ’uomo e delle libertà fondamentali”, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata con legge 4 agosto 1955 n. 848 Art. 111, comma 2, della Costituzione Art. 2 della legge n.89 del 2001 (legge Pinto 2 Slide 3 – Art. 6 - CEDU La “ragionevole durata del processo” Il fattorefattore-tempo nella giustizia Art. 6, § 1 della , Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’ dell’uomo e delle libertà libertà fondamentali” del 4 novembre 1950: “Ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata … in un tempo ragionevole ...” Slide 4 – Art. 111 Cost. La “ragionevole durata del processo” Il fattorefattore-tempo nella giustizia Art. 111, comma 2, della Costituzione: “Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti [… […]. La legge ne assicura la ragionevole durata” durata” 3 Slide 5 – Legge Pinto (art. 2) La “ragionevole durata del processo” Il fattore-tempo nella giustizia Art. 2 della legge n.89 del 2001 (legge Pinto): Pinto): “Chi ha subìto un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali […] sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione, ha diritto ad una equa riparazione” 1) L’incertezza della giustizia in Italia: Corte di Strasburgo e legge Pinto Processi lunghi, riti farraginosi, esito incerto delle liti. Questo il triste connotato della giustizia civile in Italia, sintetizzabile nello slogan ormai noto “Giustizia ritardata, giustizia negata”, fatto proprio dal Rapporto Doing Business 2009 della World Bank (Justice delayed is often iustice denied), di cui si dirà oltre. Secondo la Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo (CEDU) l’Italia è al primo posto tra i 47 Paesi membri del Consiglio d’Europa avverso i quali risultano presentati ricorsi riguardanti la violazione dell’art. 6 della Convenzione del 1950 in tema di durata ragionevole dei processi1. Nel 2008 i ricorsi contro lo Stato italiano ammontavano complessivamente a 4.200; ben 2.600 (più della metà) riguardavano la lentezza dei processi, soprattutto delle cause civili. Su pressione del Consiglio d’Europa - il cui organo giurisdizionale (CEDU) non riusciva a fronteggiare alla fine degli anni ’90 l’ondata di ricorsi riguardanti la durata irragionevole dei nostri processi civili - l’Italia ha dovuto dotarsi di un sistema normativo interno, nota come legge Pinto 1 L’art. 6.1 della “Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata in Italia, unitamente al Protocollo addizionale firmato a Parigi il 20 marzo 1952, con legge 4 agosto 1955 n. 848, dispone: “Ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata … in un tempo ragionevole ...” (traduzione non ufficiale dell’espressione “Le jugement doit être rendu ... dans un délai raisonnable”). 4 legge 24 marzo 2001, n. 89 - che riconosce un equo indennizzo a chi abbia subito la violazione dell’art. 6 della Convenzione. La giurisprudenza delle Corti d’Appello nazionali, competenti in unico grado di merito, si è attestata sul limite di ragionevolezza di tre anni di durata, oltre il quale viene riconosciuto il diritto all’indennizzo. Ma la legge Pinto più che migliorare la situazione l’ha ulteriormente aggravata. Il Presidente della Corte di Cassazione CARBONE, nel discorso inaugurale del 2009, ha dedicato un apposito capitolo della sua relazione a “I gravissimi e assurdi costi della legge-Pinto”, sottolineando che lo stesso Presidente NAPOLITANO ha definito tale fenomeno come abnorme e intollerabile. L’incremento dei costi per lo Stato derivanti dall’applicazione giurisprudenziale della legge-Pinto - peraltro non eccessivamente severa secondo l’opinione della Corte di Strasburgo continua ad essere esponenziale e allarmante. Con riferimento al periodo 2002-2006 gli esborsi per indennizzi ammontavano complessivamente a 41,5 milioni di Euro. Nel 2008, dopo due anni, il montante è salito a 81,3 milioni di euro, praticamente raddoppiato. Non solo. Allora, agli 81,3 milioni occorreva aggiungere almeno altri 36,6 milioni, dovuti e non ancora pagati, oggetto di pignoramento nei confronti del Ministero della Giustizia che non aveva onorato il debito derivante dai provvedimenti di condanna delle varie Corti d’Appello. In altre parole, un costo di 118 milioni di euro fino al 2008. Il trend è in pauroso aumento. Il costo per le casse dello Stato è lievitato alla fine del 2009 a 267 milioni di euro. Slide 6 - Indennizzi pagati dallo Stato in base alla legge Pinto INDENNIZZI per RITARDI DELLA GIUSTIZIA (legge Pinto) Pinto) Pagati fino al 2008: Stima aggiornata a finefine-2009: ALFANO (Relazione del 10 gennaio 2010): 118 milioni 267 milioni “Oltre 30.000 cittadini hanno chiesto di essere indennizzati a causa dell’ dell’irragionevole durata del processo … L’ammontare dei risarcimenti ha un trend di crescita delle richieste pari al 40% l’anno” anno” 5 Alcuni Presidenti di Corte d’Appello segnalano il fenomeno grottesco della c.d. “Pinto sulla Pinto” (ricordato anche dal Presidente Carbone), cioè della richiesta di indennizzo per il ritardo nella definizione non solo della prima causa, ma anche della seconda causa relativa al ritardo della prima. E’ una sorta di “Pinto al quadrato”, preludio della “Pinto al cubo”. 2) Le conseguenze sull’economia nazionale I ritardi e l’incertezza della giustizia civile non gravano soltanto sulle parti in causa, ma sull’intero sistema-Paese, soprattutto nel settore dell’economia. E’ significativa una notizia, consequenziale a quanto esposto in precedenza. Per fronteggiare l’aggravio dei costi derivanti dalle procedure esecutive e dai pignoramenti attivati sui capitoli di spesa del Ministero della Giustizia è intervenuta una modifica legislativa in sede di Legge Finanziaria 2007 (art. 1, commi 1224 e 1225, legge n. n.296/2006) che ha accentrato presso il MEF - Ministero dell’Economia e Finanza - i pagamenti degli indennizzi2. Come dire che si tratta ormai di una questione riguardante l’economia nazionale, oltre che la competitività del nostro mercato interno in quello internazionale. In previsione della nuova “gestione dei pagamenti” il MEF ha effettuato uno studio per accertare l’entità del rischio economico per il futuro. Lo studio è allarmante. Il “Rapporto intermedio sulla revisione della spesa” del 3 dicembre 2007 dalla Commissione Tecnica per la Finanza Pubblica (C.T.F.P.) indica in 500 milioni di euro all’anno il rischio economico dello Stato per le probabili condanne ex lege Pinto nel caso in cui tutte le parti dei processi giacenti in Cassazione propongano la relativa domanda risarcitoria3. 2 Il comma 1224 dell’art. 1 della legge finanziaria 2007 ha modificato l’art. 3, comma 3 della L. 24 marzo 2001, n. 89 (legge-Pinto), che ora così dispone: “Il ricorso è proposto nei confronti del Ministro della giustizia quando si tratta di procedimenti del giudice ordinario, al Ministro della difesa quando si tratta di procedimenti del giudice militare. Negli altri casi è proposto nei confronti del Ministro dell'economia e delle finanze”. Il successivo comma 1225 stabilisce: “[…] Al fine di razionalizzare le procedure di spesa ed evitare maggiori oneri finanziari conseguenti alla violazione di obblighi internazionali, ai pagamenti degli indennizzi procede, comunque, il Ministero dell'economia e delle finanze. I pagamenti di somme di denaro conseguenti alle pronunce di condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo emanate nei confronti dello Stato italiano sono effettuati dal Ministero dell'economia e delle finanze. Con successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono individuate le risorse umane, strumentali e finanziarie da trasferire per lo svolgimento delle funzioni di cui al comma 1224 ed al presente comma”. 3 Il testo del Rapporto è reperibile nel sito INTERNET del Ministero dell’Economia (www.mef.gov.it). E’ un documento molto poderoso di 169 pagine in cui le questioni del Ministero della Giustizia sono trattate da pag. 23 a pag. 46. I contenuti del rapporto sono commentati dal settimanale “IL MONDO” del 21 dicembre 2007, pag. 18, nel servizio di GASPARINI M. “Processi lenti. Danni record. Malagiustizia: 1 miliardo di 6 Dal rapporto citato, oltre che dalle notizie di stampa, risulta che i ricorsiPinto iscritti in tutta Italia, secondo fonte ministeriale, ammontavano, con riferimento a quadriennio 2003-2006, a n. 46.648 complessivamente; in particolare4: - n. 5.051 per l’anno 2003 - n. 8.907 per l’anno 2004 - n. 12.130 per l’anno 2005 - n. 20.560 per l’anno 2006 (per il biennio iniziale 2001-2002 e per quello finale 2007-2008 i dati nazionali non sono noti). Riporto l’interrogativo retorico che si era posto il Presidente della Cassazione CARBONE nella relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2008: «Non sarebbe meglio destinare queste ingenti risorse invece che a risarcire i danni dell’arretrato, a finanziare misure idonee per smaltirlo o impedire che si riformi in futuro?». La domanda è rimasta senza risposta. Nella primavera 2007 l’allarme non era sfuggito all’attenzione del Governatore della Banca d’Italia. Nella sua relazione del 31 maggio 2007 DRAGHI ha scritto che “le manchevolezze della nostra giustizia civile sono segnalate da studi internazionali, testimoniate dal disagio dei cittadini e delle imprese” e che “nella durata dei processi il confronto internazionale è impietoso”. 3) L’Italia peggio del Gabon e della Guinea Da tempo negli articoli giornalistici sulla catastrofe della giustizia civile circola un leit-motiv: “l’Italia peggio del Gabon e della Guinea”, con la variante “l’Italia a livello di Gibuti”5. risarcimenti per i processi infiniti”; con un riquadro dal titolo “L’eccezione: Così al Tribunale di Torino hanno inventato il taglia-udienze”; nonché dal “CORRIERE DELLA SERA” del 16 dicembre 2007 nel servizio “Giustizia, debiti record. Processi lenti, risarcimenti in aumento. Il Tesoro: troppi 500 milioni all’anno” (pag. 10-11, in cui sono citati i dati di fonte ministeriale), dal quotidiano “ITALIA-OGGI” del 6 dicembre 2007 nel servizio “Un debito di 500 milioni di euro all’anno. E’ quanto costa alla Stato la irragionevole durata dei processi”. 4 Cfr. il servizio “Giustizia, debiti record, cit.” precedente). 5 del “CORRIERE DELLA SERA” (ved. nota Cfr. tra i primi articoli quello del 31 gennaio 2009 sul Corriere della sera di Gian Antonio STELLA dal titoli “Spezzeremo le reni a Gibuti”. STELLA racconta alcuni episodi di ordinaria “catastrofe giudiziaria”: la fissazione al 17 febbraio 2014 della prima udienza per una causa di risarcimento iniziata da una anziana signora vicentina contro la sua Banca per la questione dei bond argentini; un rinvio al 2016 disposto da un giudice civile veronese; una udienza davanti ad un giudice di Taranto andata deserta per morte di tutte le parti per una causa iniziata nel 1962. Tra i numerosi articoli successivi cfr. quello del 28 maggio 2009 sul Giornale di Sicilia di Antonella SFERRAZZA. Parlando della conferenza stampa del ministro ALFANO sulla riforma del processo civile approvata il 26 maggio 2009 dal Senato, la giornalista così esordisce: “Per la lentezza dei 7 Assicuro che la notizia ha un’origine certa e documentata. La World Bank è un organismo internazionale composto attualmente da circa 200 Paesi. Redige un rapporto annuale per fornire alle imprese indicazioni e consigli sui Paesi in cui è più vantaggioso investire risorse e utilizza diversi parametri. Tra questi, il parametro della “durata media di un procedimento civile per il recupero di un credito originato da una disputa di natura commerciale”. Nel rapporto Doing Business-2009 della World Bank, relativo all’anno 2008, vi è la classifica degli Stati in base a quel parametro. Tra gli Stati europei la Germania è al 9° posto, la Francia al 10°, il Belgio al 22°, il Regno Unito al 24°, la Svizzera al 32°, la Spagna al 54° posto. L’Italia è al 156° posto su 181 Stati analizzati; dopo Angola, Gabon, Guinea. Stanno peggio di noi Gibuti, Liberia, Sri Lanka, Colombia, Afghnistan, Guatemala, Timor Est e paesi simili. Rispetto al 2007 la posizione dell’Italia è scesa dal 155° al 156° posto. Come dire: stiamo peggiorando6. Secondo quel rapporto nel 2008 la durata media di quel tipo di causa era in Italia di 1.210 giorni (3 anni e 4 mesi); in Francia, in Germania, in Spagna dai 300 ai 500 giorni (da uno da due anni). I dati del Doing Business sono stati divulgati per primo dal Presidente CARBONE nella sua relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 20097. Ciò spiega il rimbalzo della notizia su tutti gli organi di informazione e la sua trasformazione, a distanza di mesi, in motivo ricorrente. All’inizio del 2010 la notizia é diventata nuovamente attuale quando il Ministro ALFANO nella Relazione sulla giustizia esposta in Parlamento il 10 gennaio ha informato che nel 2009 l’Italia era ancora ferma al 156° posto. processi, l’Italia è al 156° posto su 181 paesi … nella graduatoria viene dopo Angola e Guinea e precede Sri-Lanka e Trinidad..” 6 Si spiega così il titolo di Gian Antonio STELLA: “Spezzeremo le reni a Gibuti” (v. nota precedente). Il brillante giornalista, analizzando i tempi della giustizia degli Stati di bassa classifica, afferma: “Altri 16 giorni di ritardi nella durata media dei nostri processi e supereremo a ritroso anche lo staterello incastonato tra l’Eritrea e la Somalia”. 7 Cfr. CARBONE V., “Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2008” (pag. 15 e segg.) tenuta a Roma il 30 gennaio 2009: “I ritardi della Giustizia non gravano soltanto sulle parti in causa, ma sull’ intero sistema-Paese, specie sui settori dell’ economia e della sicurezza. E non è un caso che la classifica internazionale forse più attendibile sui tempi processuali non provenga da studi giuridici, ma dal rapporto Doing Business che la Banca Mondiale redige per fornire indicazioni alle imprese sui Paesi in cui è più vantaggioso investire. Nell’ ultimo rapporto Doing Business 2009, in tema di processo civile, i Paesi europei sono tra i primi 50 (Germania 9° posto, Francia 10°, Belgio 22°, Regno Unito 24°, Svizzera 32°). Solo la Spagna è ultima, al 54° posto. LItalia è la 156° su 181, dopo Angola, Gabon, Guinea, São Tome e prima di Gibuti, Liberia, Sri Lanka, Trinidad” [seguono alcune tabelle di comparazione e un’accurata analisi del fenomeno]. 8 Gli ottimisti direbbero che la situazione mostra segni di miglioramento perché la discesa verso il basso si è arrestata. 4) Il Rapporto-2008 del Consiglio d’Europa e i dati del Ministro della Giustizia Occorre sfatare un luogo comune: la crisi si giustifica perché in Italia le risorse per la giustizia scarseggiano. Non è totalmente vero. Secondo il Rapporto-2008 della CEPEJ (Commission Européenne pour l’efficacité de la Justice) - organo del citato Consiglio d’Europa che, lo si ricorda, è composto da 47 Paesi, tra cui Russia, Turchia e Paesi Scandinavi - l’Italia non si discosta da altri partner europei per il numero di risorse umane (magistrati e personale amministrativo) e risorse materiali (informatizzazione, spese) destinate alla giustizia. Questo il dato più significativo comparato con due sistemi giudiziari analoghi al nostro: - in Italia vi sono 11 Giudici ogni 100.000 abitanti; - in Spagna 10,1; - in Francia 11,9. Secondo la CEPEJ il nostro paese, però, è al primo posto per numero di cause pendenti. Nel 2006 si registrava in materia civile un arretrato di oltre 3 milioni e mezzo di cause. Seguiva la Francia con 1.165.592 cause pendenti, meno della metà. Il dato va oggi aggiornato. Purtroppo in peius. Il Ministro ALFANO, nella relazione tenuta il 28 gennaio 2009 al Senato, ha dichiarato che l’arretrato censito al 30 giugno 2008 era - di 5.425.000 procedimenti civili pendenti - di 3.262.000 processi penali pendenti. Nell’ analoga relazione esposta in Parlamento il 10 gennaio 2010 il Ministro ha informato che l’arretrato censito al 31 dicembre 2009 era - di 5.625.057 procedimenti civili pendenti - di 3.270.979 processi penali pendenti; per un totale di 8.896.036, con un aumento del 2,4% in 18 mesi. Ha definito quel dato come il “debito giudiziario dello Stato nei confronti dei cittadini”. Un vero debito pubblico che influenza negativamente il nostro sviluppo economico. 9 Slide 7 – L’arretrato Arretrato nazionale al 31 dicembre 2009 (relazione del Ministro ALFANO del 10.1.2010 in Parlamento sullo stato della giustizia) Procedimenti civili pendenti 5.625.057 Procedimenti penali pendenti 3.270.979 Procedimenti totali pendenti 8.896.036 Al 30 giugno 2008 Procedimenti civili pendenti 5.425.000 Procedimenti penali pendenti 3.262.000 Procedimenti totali pendenti 8.687.000 In 18 mesi: + 2,4% “Il vero dramma”, secondo ALFANO, “è che il sistema non solo non riesce a smaltire questo spaventoso arretrato, ma arranca faticosamente senza riuscire neppure ad eliminare un numero almeno pari ai sopravvenuti, così alimentando ulteriormente il deficit di efficienza del sistema”. ALFANO ha rilevato il progressivo peggioramento della crisi, che registrava nel 2008 una giacenza media dei procedimenti ordinari pari a 960 giorni in primo grado ed a 1.509 giorni in fase di appello. Per concludere sul punto, cito un rapporto elaborato nella primavera 2009 dall’Ufficio studi della CONFARTIGIANATO. La “giustizia lenta” – secondo il rapporto – provoca alle imprese italiane un danno economico annuo di 2.269 milioni di euro, a causa degli oneri finanziari derivanti dalla intempestiva disponibilità delle somme oggetto delle liti civili o bloccate nei fallimenti8. Il Presidente CARBONE ha commentato che la giustizialumaca rappresenta una sorta di “tassa occulta annuale” per ogni azienda pari a circa 371 euro. In sintesi: - un danno emergente per lo Stato, già accertato, di oltre 267 milioni di euro per indennizzi; - un possibile danno emergente, temuto per il futuro, di 500 milioni di euro all’anno in caso di ricorso-Pinto proposto dalle parti coinvolte 8 Cfr. il servizio di L. FERRARELLA sul Corriere della sera del 12 maggio 2009 dal titolo «La giustizia lenta costa alle aziende oltre 2 miliardi», con il seguente esordio: «Il vero decretocompetitività per le imprese italiane? Quello in grado di compiere il “miracolo” della giustizia civile. Perché nelle aziende italiane l’inaffidabilità tempistica dei tribunali italiani nel decidere una causa civile o nello sbrogliare un fallimento costano quanto intere voci di una manovra finanziaria del governo: oltre 2 miliardi e 200 milioni di euro l’anno». 10 nelle sole cause pendenti in Cassazione (che sono poco più di 122.000, a fronte dell’arretrato globale di 8.896.036 di tutti gli uffici giudiziari del territorio nazionale); - un lucro cessante per le imprese di circa 2,3 miliardi di euro all’anno. E’ il triste trionfo dell’incertezza e nell’inefficienza nel settore più delicato della società civile, oltre che dell’economia. 5) Il progetto organizzativo di Torino. Nel commentare il pauroso arretrato il Presidente CARBONE ha formulato l’ augurio “che si provveda al più presto ad eliminare un gravissimo danno, anche di immagine, per il Paese”. Ha aggiunto: “Nelle more, gli uffici giudiziari devono ricercare strategie organizzative prioritarie per fronteggiare il fenomeno, come quella adottata dal Tribunale di Torino”9. Anche il Ministro ALFANO ha citato il caso-Torino in sede di “Relazione sull’amministrazione della giustizia”, esposta alle Camere nel gennaio 2009. Nell’elencare i programmi del Governo diretti a fronteggiare la crisi della giustizia civile ha affermato: “La nostra ambizione è quella di trasformare le migliori pratiche – come ad es. anche l’esperienza del Tribunale di Torino finalizzata ad azzerare il rischio dei risarcimenti previsti dalla legge Pinto – in buone ed ordinarie abitudini in tutti gli uffici giudiziari”. Dal momento che il Tribunale torinese ha avuto l’onore di così autorevoli menzioni, ho l’onere di spiegare in che cosa sia consistita la citata “strategia organizzativa prioritaria”. A) Nel 2001 è stato attivato a Torino il “programma Strasburgo”, un progetto organizzativo fondato su un decalogo di 20 “prescrizioni e consigli”10, con alcuni accorgimenti tecnici: - programma di esaurimento delle cause civili con il metodo FIFO (First In, First Out) e non più LIFO (Last In, First Out)11; - precedenza assoluta per le cause di anzianità ultra-triennale, eventualmente con udienze appositamente riservate; - rilevazione periodica con la “targatura dei processi”. Dopo oltre sette anni di lavoro silenzioso, il risultati si possono considerare più che soddisfacenti, quasi un miracolo. 9 Così testualmente nel discorso inaugurale tenuto nel gennaio 2009 presso la Suprema Corte di Cassazione. 10 Metto a disposizione degli Organizzatori del Convegno il “decalogo” di Torino, nella versione aggiornata il 30 dicembre 2008 (ved. ALLEGATO). 11 Gli aziendalisti definiscono ironicamente FISH (First In, Still Here) la tecnica usata nelle pubbliche amministrazioni: la pratica più vecchia, cioè la prima entrata … è ancora qui! 11 Riporto la scheda della mia ultima informativa del “programma Strasburgo” (la 14^ in sette anni) Alla data del 16 febbraio 2009 (per la sede centrale) e del 30 aprile 2009 (per le quattro sedi distaccate) lo spettro delle cause civili pendenti è il seguente: sull’arretrato di 25.481 cause contenziose censite - le cause infra-triennali “non-a-rischio” rappresentano il 94,08% del totale (23.973 su 25.481) - le cause di quattro anni “a rischio-limitato” rappresentano il 4,55% del totale (1.161 su 25.481) - le cause di cinque anni “a rischio maggiore” rappresentano lo 0,91% del totale (232 su 25.481) - le cause ultra-quinquennali “a forte rischio” rappresentato lo 0,45% del totale (115 su 25.481) Il dato confortante é il seguente: le cause di un anno e di due anni, cioè infra-biennali (rispettivamente n. 16.160 e n. 5.710) rappresentano l’ 85% del totale. Le cause ultra-decennali sono scomparse. 6) Il beneficio economico per l’Erario Gli effetti benéfici del programma si notano sotto il profilo del c.d. “rischio Pinto”, soprattutto del rischio individuale rappresentato dall’art. 5 della legge n. 89/2001, una norma che prevede la possibilità di rivalsa dello Stato su magistrati e cancellieri per il pagamento degli indennizzi alle vittime dei ritardi, che rappresenta un incubo per tutti. I dati relativi ai ricorsi riguardanti il Tribunale di Torino presentati presso la Corte d’Appello di Milano, dalla data di entrata in vigore della legge (aprile 2001) fino ad aprile 2009, sono i seguenti: Prospetto-Pinto – Ricorsi ex lege n. 89/2001 da aprile 2001 ad aprile 2009 n. 78 Totale dei ricorsi proposti: di cui n. 69 per cause civili di cui n. 9 per processi penali. Ricorsi accolti di cui di cui n. 47 n. 5 nel settore penale n. 4 (nel settore civile) accolti solo parzialmente Ricorsi respinti (o inammissibili): n. 15 [Gli altri sono pendenti o sono stati abbandonati] - Indennizzi a carico dello Stato liquidati dalla Corte d’Appello di Milano per processi gestiti dal Tribunale di Torino: 541.778,76 euro (+ 56.903,99 euro per spese processuali). L’entità degli indennizzi addebitabili al Tribunale di Torino (poco più di mezzo milione di euro) rappresenta lo 0,2% del dato nazionale, che è di 267 milioni. 12 La diapositiva successiva mostra la distribuzione geografica dei ricorsiPinto per distretto di Corte d’Appello (con l’avvertenza che i dati precedenti riguardavano solo il Tribunale di Torino). Slide 8 – Distribuzione geografica (per distretto) dei ricorsi-Pinto RicorsiRicorsi-Pinto Anni 2004, 2005, 2006, 2007 Per “colpa” colpa” di: Torino Milano Palermo Venezia Bologna Firenze Roma Napoli Totale degli 8 distretti 209 228 532 954 1.031 1.829 3.097 27.825 35.705 Totale dei 26 distretti (tutto il territorio) n. 61.805 Incidenza di Torino su totale nazionale: 0,34% 7) Un dubbio: rapidità a scapito della qualità? L’obiezione che si muove alla bontà del metodo-Torino è che l’accelerazione impressa alla definizione delle cause pregiudica la qualità delle relative decisioni. E’ consolante una ricerca effettuata nella primavera del 2009 da Marco LEONARDI e Maria Raffaella RANCAN dell’Università di Milano il cui risultato è stato divulgato dal sito www.lavoce.info con il titolo “La giustizia rapida è anche di qualità”12. Dal prospetto finale dei vari distretti di Corte d’Appello risulta che nel 2006: - presso il Tribunale di Torino la durata media di una causa civile è stata di 267 giorni e presso la locale Corte d’Appello di 441 giorni (uffici “virtuosi” preceduti solo da Trento con 210 e 236 giorni e da Bolzano con 240 e 316 giorni); - che presso gli stessi uffici (Torino, Trento e Bolzano), il “tasso di riforma” delle sentenze, sia in appello che in Cassazione, è stato più o meno pari a quello degli altri uffici. La conclusione della ricerca è chiarissima: “Pur con le dovute cautele, sulla base delle analisi brevemente descritte, sembra potersi concludere che 12 Cfr. il sito Internet www.lavoce.info, notiziario del 15 maggio 2009, con 5 commenti. 13 miglioramenti in termini di durata dei processi civili, che si potrebbero ottenere anche a parità di numero di giudici, non vadano necessariamente a scapito della qualità delle decisioni”13. Altrettanto consolante è il risultato dell’indagine annuale che il quotidiano economico “IL SOLE-24ORE” compie sulla qualità della vita nelle oltre 100 province italiane. L’indagine è nota come “Dossier qualità della vita” (pubblicato ogni anno nel mese di dicembre). E’ un documento che misura la vivibilità di tutte le province attraverso una serie di dati statistici elaborati in 36 classifiche: dalla giustizia civile al tempo libero, dal reddito all'occupazione, dalla natalità alla sanità. Una annotazione importante: il Dossier si fonda non solo sui dati oggettivi (nella specie: quelli del Ministero della Giustizia), ma anche sul c.d. sentiment degli abitanti, cioè “quello che percepiscono i residenti”. Slide 9 – Classifica “qualità della giustizia civile” Dossier sulla qualità qualità della vita Classifica nel parametro “velocità velocità della giustizia civile” Provincia di TORINO 2007: 1° posto (prima di Trento e Trieste) 2008: 2° posto (dopo Trieste; prima di Trento e Bolzano) 2009: 2° posto (dopo Bolzano; prima di Trento) Torino, Bolzano, Trento e Trieste sempre ai primi posti Si obietterà che Torino è una città “felice ed efficiente” sotto tutti gli aspetti e che il servizio-giustizia rispecchia tale caratteristica. 13 In argomento cfr. anche l’articolo di Luca RICOLFI, Processi civili, perché sono eterni (Panorama dell’11 giugno 2009, ultima pagina) in cui si fa riferimento ad una analoga ricerca fatta da RANCAN, CIMA e lo stesso RICOLFI, in cui, tra l’altro si legge: “Con le colleghe Maria Raffaella Rancan e Rossana Cima, usando dati del ministero della Giustizia, abbiamo stimato la produttività dei 29 distretti di corte d’appello, con risultati sconcertanti. Fatta 100 la produttività media di tutti i distretti, il distretto più efficiente (Torino) produce 176, quello meno efficiente (Caltanissetta) produce 23, ossia quasi un ottavo”. RICOLFI menziona anche una ricerca effettuata da Andrea ICHINO, dal titolo Giudici in affanno. 14 In realtà la posizione di Torino nella classifica generale – quella derivante dalla combinazione di tutte le sotto-classifiche - non è per niente felice e non denota affatto una generale efficienza. Slide 10 – Classifica generale Dossier sulla qualità della vita Sondaggio annuale “IL SOLE-24ORE” Documento che misura la vivibilità delle 107 province italiane Il posto della provincia di TORINO (classifica generale) Anno 2007: 53° posto Anno 2008: 66° posto Anno 2009: 68° posto La posizione felice nel settore della giustizia civile è documenta dai grafici che seguono, da me commentati a fine gennaio 2010 in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario in corso. 15 Slide 11 CIVILE - Movimento complessivo dei procedimenti civili nel distretto Anno giudiziario 2008/2009 Slide 12 CIVILE- Movimento dei procedimenti civili nel distretto Anno giudiziario 2008/2009 8) Considerazioni conclusive E’ noto che un sistema organizzativo comporta problemi di rapporti interpersonali con le c.d. “risorse umane”, uomini e donne di alta professionalità (magistrati e funzionari di cancelleria). 16 A) A Torino, nel 2001, i rapporti tra presidente e collaboratori sono stati impostati con la seguente tecnica: - individuazione di un obiettivo comune in apposite riunioni settoriali e allargate (vision del problema irrisolto); - impostazione di uno sforzo congiunto per realizzarlo (mission); - coinvolgimento anche emotivo dei protagonisti (condivisione della mission). Sono state di aiuto le tecniche di comunicazione suggerite dalla teoria sulla “leadership trasformazionale”, nota agli aziendalisti. In questi anni sono stati raggiunti buoni risultati di cui ciascuna unità operativa, anche di grado intermedio, si è sentito protagonista. B) Al termine degli otto anni di dirigenza posso dire che il migliore risultato conseguito è quello psicologico. Nessun giudice si sente menomato nella sua indipendenza per l’esistenza di un programma organizzativo concordato con la presidenza riguardante la tempistica dei processi (sia chiaro: programma concordato, non imposto). Tutti i giudici sono felici di lavorare perseguendo un comune obiettivo di efficienza che li gratifica sul piano professionale e li tiene lontani dall’ “incubo-Pinto”. Nessun giudice è disposto a cambiare metodo di lavoro né a tornare indietro. I funzionari di cancelleria e tutti i dipendenti si sentono fieri di lavorare a Torino. Gli avvocati manifestano soddisfazione e sono i più efficaci divulgatori dei nostri buoni risultati. C) Per navigare verso l’efficienza è necessario che certe atmosfere da “Sacerdoti di Temi”, favorite da chi celebra i riti misteriosi della giustizia civile in orgogliosa solitudine (quanta retorica sulla “solitudine del giudicare”!), vengano spazzate via da una nuova concezione del ruolo professionale del giudice. I giudici non siano monadi abitatori di condominii, cioè di spazi fisici all’interno dei quali operano come artigiani indipendenti (ancorché eccellenti), senza confronto e senza raccordo con i colleghi. Siano invece attori vivaci di uno spazio unitario in cui devono costruire prassi interpretative condivise. Siano operatori professionali in uffici in cui si concretizzano anche i “processi di apprendimento organizzativo”14. Il vero motore per il cambiamento è il presidente di sezione, che deve esercitare quotidianamente la sua funzione organizzativa. Solo una leadership esercitata da questi collaboratori intermedi può consentire al 14 Cfr. VERZELLONI, Dietro alla cattedra del giudice. Pratiche, prassi e occasioni di apprendimento, Ed. Pentagron, 2009. E’ una interessante ricerca “sul campo” riguardante il metodo di lavoro dei giudici di 4 tribunali italiani nelle Sezioni-Lavoro. 17 capo dell’ufficio di programmare e realizzare buoni risultati per l’intera struttura organizzata. D) Conosco le obiezioni: si tratta di una concezione aziendalistica degli uffici giudiziari; il tribunale non è un’azienda. Risale al 1968 un’opera di Giovanni FERRERO (Istituzioni di economia d’azienda, Giuffré ed.) che ha avuto il merito di disancorare la nozione di azienda dal significato tradizionale di stampo economico-commerciale, esaltandone la caratteristica di “comunità di lavoro e di cooperazione umana” e definendola come “punto di convergenza di interessi molteplici, economici e no, tutti rilevanti per la loro funzione sociale”. Si tratta di una concezione nota come teoria dell’ “azienda universale”15. Nessuno scandalo se un ufficio giudiziario venga gestito secondo questa moderna concezione di azienda. Nessuno scandalo se ogni dirigente, apicale o intermedio, cominci a ragionare in termini di court management, cioè di governo responsabile ed efficiente degli uffici giudiziari, ed ogni giudice in termini di case management, cioè di gestione integrata delle tempistiche processuali. Nessuno scandalo se i capi-ufficio comincino a parlare di valorizzazione del fattore-Tempo e ad adottare, come consiglia ABRAVANEL, una “strategia per obiettivi SMART” (Specific, Measurable, Achievable - fattibili, Realistic, Time-limited - programmati nel tempo)16. Nessuno scandalo, infine, se nelle organizzazioni giudiziarie, periferiche e centrali, si cominci a parlare di una (futura) “carta dei servizi” e di un (futuro) “bilancio sociale”, con gli occhi rivolti ai singoli utenti, ma senza perdere di vista tutti gli stakeholders del pianeta-giustizia. Una domanda che mi sento porre in tutte le occasioni: è possibile esportare l’esperienza torinese in altri contesti? La mia risposta è positiva e la riassumo con tre semplici slogan: - censire l’arretrato e qualificarlo come emergenza; - auto-gestire i rimedi straordinari; - non farsi illusioni sulle future riforme legislative. 15 Cfr. l’intervento di CATTURI G,, Le anticipazioni sul concetto di azienda “universale” nel pensiero di Giovanni Ferrero, nel volume celebrativo Ricordando Giovanni Ferrero, Ed. Giappichelli, 2009, pag. 137. 16 Cfr. ABRAVANEL R., Meritocrazia, Ed. Garzanti, 2008, pag. 298. 18 Slide 13 Un rimedio autoauto-gestito l’l’ “emergenza del vecchio arretrato” (laddove esiste) con misure organizzative autonome: teoria “riforme senza riforma” Piano eccezionale e pluriennale per azzerare il vecchio fardello che condiziona i tempi del lavoro complessivo Evitare l’ l’atteggiamento fatalistico della rassegnazione e dell’ dell’inerzia Affrontare Mario Barbuto ALLEGATO: Testo della “Circolare Strasburgo” del 2001, aggiornata il 30 dicembre 2008. 19 Abstract della relazione Le fonti normative. Il principio della durata ragionevole del processo deriva da tre fonti normative: art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo del 1950; art. 111 della Costituzione; art. 2 della legge 24 marzo 2001 n. 89 (legge Pinto). Il contesto. Processi lunghi, riti farraginosi, esito incerto delle liti. Questi i connotati della giustizia civile in Italia. Nel rapporto Doing Business-2008 della World Bank vi è la classifica degli Stati in base alla durata di un processo di tipo commerciale. L’Italia è al 156° posto su 181 Stati analizzati, dopo Gabon e Guinea. Secondo la Corte dei Diritti Umani di Strasburgo l’Italia è al primo posto tra i 47 Paesi del Consiglio d’Europa avverso i quali risultano presentati ricorsi per la violazione della norma internazionale sulla durata ragionevole dei processi. Il Presidente della Cassazione CARBONE ha riferito che gli indennizzi a carico dello Stato per la violazione della legge sulla durata ragionevole del processo ammonta a 267 milioni di euro.. Il Ministro ALFANO ha segnalato che alla fine del 2009 l’arretrato dei processi civili era di 5,6 milioni. La CONFARTIGIANATO ha calcolato che la giustizia civile lenta comporta per le imprese un danno economico annuo di 2,3 miliardi di euro. E’ il triste trionfo dell’incertezza e nell’inefficienza nel settore più delicato della società civile, oltre che dell’economia. Il progetto organizzativo di Torino. Nel 2001 è stato attivato a Torino il “programma Strasburgo”, un progetto organizzativo fondato su un decalogo di 20 “prescrizioni e consigli” per eliminare l’arretrato. Il programma prevede alcuni accorgimenti tecnici: metodo di esaurimento dei processi con il sistema FIFO (first in, first out) e non più LIFO (last in, first out); precedenza assoluta e trattamento differenziato per le cause di anzianità ultra-triennale; rilevazione periodica con la “targatura dei processi”. I dati del 2009 si possono considerare soddisfacenti: oltre il 94% delle cause ha durata inferiore a 3 anni; il 5,4% dura da 4 a 5 anni; lo 0,45% dura più di 5 anni. Il risultato più gratificante è quello psicologico. I giudici non si sentono lesi nella loro indipendenza nell’operare secondo un programma organizzativo elaborato dal capo-ufficio, sono felici di lavorare perseguendo obiettivi di efficienza, non sono disposti a tornare indietro. Conclusioni. Vi è un leit-motiv nei discorsi sulla giustizia: la dirigenza di un ufficio è attività manageriale; capo-ufficio=dirigente d‘azienda. Vi è un equivoco difficile da sfatare: “la giustizia non è un’azienda”; il “rendere giustizia” non è monetizzabile, è sottratto alla logica imprenditoriale dei costi/ricavi. E’ sufficiente uno sforzo di fantasia. Il “servizio giustizia” è reso da una struttura organizzata “simile” all’azienda; il servizio deve essere svolgersi con l’utilizzazione “al meglio” delle risorse disponibili. Le risorse umane comportano problemi di rapporti interpersonali. A Torino, nel 2001, i rapporti sono stati così impostati: individuazione di un obiettivo comune (vision del problema irrisolto); sforzo congiunto per realizzarlo (mission); coinvolgimento anche emotivo dei protagonisti (condivisione della mission). Sono stati di aiuto gli strumenti di comunicazione suggeriti dalle varie teorie sulla leadership. Sono stati raggiunti buoni risultati di cui ciascuna unità operativa, anche di grado intermedio, si è sentita protagonista. Il segreto della ricetta torinese è semplice: «Il processo appartiene al giudice, ma la programmazione del tempo dei processi appartiene al capo dell’ufficio”. 20