by GeneralKleber – 02.07.2010 (tratto dal sito http://www

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Francia 1940: La debacle de L’Armèe de l’Air
by GeneralKleber – 02.07.2010
(tratto dal sito http://www.netwargamingitalia.net)
.
Nel maggio 1940 le forze armate tedesche invasero la Francia e in pochi giorni ne
distrussero ogni capacità di reazione militare. L’esercito francese, da tutti valutato
come uno strumento militare potente e di tutto rispetto, si era dissolto come neve al
sole in meno di un mese, in preda ad una crisi morale ancor più che militare.
Elemento decisivo del crollo del morale e della forza di resistenza delle truppe
francesi, dai soldati sino ai generali, era stato l’uso travolgente e inaspettato che i
Tedeschi avevano fatto della loro forza aerea. La Luftwaffe sembrava essere
onnipresente, colpendo i francesi negli spostamenti, nei tentativi di concentrazione
delle forze e, soprattutto, attaccando dal cielo in difensori e preparando il terreno per
l’arrivo delle forze corazzate.
Tutte le testimonianze dirette concordano nel descrivere lo sgomento causato dal
bombardamento tattico tedesco sopra truppe che non erano assolutamente preparate
all’evento. Nonostante in pratica il semplice gettarsi a terra bastasse per ridurre
considerevolmente i danni materiali di un attacco aereo, il terrore ingenerato
dagli stukas e dagli altri aerei tedeschi usati per l’appoggio tattico fu così grande che
interi reparti erano moralmente preparati a collassate ancora prima di incontrare un
carro tedesco. Di fronte allo strapotere aereo tedesco l’aeronautica francese e quella
inglese, che pure pagarono un tributo di sangue altissimo, sembravano impotenti.
Il leit motiv dei reduci, ossessionati dal costante dominio aereo avversario, divenne da
allora costante: “Dove sono i nostri aerei? Cosa fa la nostra aviazione?”.
L’Armée de l’Air era, indubbiamente, inferiore quanto a numero di velivoli rispetto ai
suoi avversari, ma si pensava che il contributo inglese, con ottimi aerei, fosse utile a
riequilibrare in parte la disparità numerica. Ancora due giorni prima della resa il
governo francese, non a caso, insisteva con quello britannico per l’invio di ulteriori
squadriglie da caccia. Ad ogni modo la battaglia aerea non era apparsa, all’inizio
disperata. La Luftwaffe godeva certo di una superiorità numerica considerevole,
tuttavia non tale da essere schiacciante.
Piloti inglesi e francesi si sacrificarono con coraggio e abnegazione, subendo perdite
elevatissime, a testimonianza di un impegno che non poteva certo definirsi limitato o
rinunciatario. Nondimeno nella coscienza collettiva dei combattenti di terra è restata
a lungo la convinzione che il contributo delle forze aeree alleate sia stato inesistente,
e che anche solo una piccola presenza aerea alleata avrebbe potuto cambiare le cose.
Dove erano finiti allora questi aerei? Come era potuto accadere che una forza aerea
consistente avesse, sin dal primo giorno, perso totalmente il controllo dei propri cieli?
Le responsabilità de l’Armée de l’Air in questo fallimento sembravano così evidenti
che nel 1941 il governo presieduto dal Maresciallo Petain, al momento di istruire un
processo politico contro gli ex Primi Ministri Léon Blum ed Ėdouard Daladier, e
contro gli ex ministri dell’Aria Guy La Chambre e Pierre Cot, inserì tra i capi
d’accusa il fallimento nel preparare L’Armée de l’Air a bloccare l’aggressione
tedesca.
E’ sintomatico che mentre l’aviazione veniva processata, il Presidente del nuovo
Stato era un maresciallo dell’esercito e che, per un lungo periodo, capo del Governo
sarebbe stato un ammiraglio, François Darlan.
L’aviazione diventava il capro espiatorio dei fallimenti di politici e militari. Un capro
espiatorio che anche nel dopoguerra avrebbe continuato ad assumere su di sé il
biasimo collettivo, con accuse che andavano dall’incapacità al tradimento. Nello
scambio di accuse reciproche che politici e militari continuarono a lanciarsi in
Parlamento, sui giornali, nelle commissioni di inchiesta e in una serie sconfinata di
memoriali e diari autoassolutori, un solo elemento sembrava trovare tutti concordi: la
prima causa della sconfitta era stata il fallimento de L’Armée de l’Air.
Far cadere la responsabilità sull’aeronautica francese è possibile solo sulla base della
premessa che politici e militari avessero elaborato una strategia, un sistema logistico
e di mobilitazione, una base di risorse economiche e culturali, e una dottrina di
combattimento adeguate per confrontarsi con la Germania, e questo, naturalmente,
non corrisponde a realtà. Solo ammettendo che la strategia militare francese, che si
preparava ad aspettare i Tedeschi nei Paesi Bassi, proteggendosi dietro una
invincibile linea Maginot, fosse una scelta vincente per sconfiggere i Tedeschi si
potrebbero elevare rimproveri sulla condotta delle forze aeree francesi. In realtà
questa strategia si basava sul presupposto di una offensiva tedesca da nord: alle forze
aeree spettava il compito di individuare le linee di penetrazione tedesche per
elaborare adeguati centri di resistenza.
Ma è noto che i Tedeschi decisero di sferrare il loro attacco attraverso le Ardenne,
vanificando del tutto le premesse strategiche francesi. La Francia si preparava ad una
guerra lunga e di logoramento e affidava alla sua aviazione il compito di proteggere
efficacemente le proprie potenzialità economiche colpendo nello stesso tempo quelle
avversarie. Una scelta strategica che la rapidità del conflitto vanificò totalmente.
Inoltre il coordinamento tra le forze di terra ed aeree, che costituisce la premessa di
una strategia efficace, fu assai carente, e di questo non è possibile attribuire la
responsabilità alla sola aviazione.
Nondimeno resta il dato di un fallimento sostanziale e di una aviazione che sin dal
primo giorno sembrava esser sparita dai cieli.
Ciò sembrava tanto più sorprendente se confrontato con i risultati dell’aviazione
militare francese nella Prima Guerra Mondiale. Nel periodo 1914-18 la Francia, che
al pari della Germania aveva ben valutato le potenzialità della nuova arma aerea,
aveva saputo condurre la guerra nell’aria in modo impeccabile, surclassando il suo
avversario. A differenza della Germania, la Francia aveva sin da subito saputo
valorizzare la sua industria automobilistica, la seconda nel mondo dopo quella
americana, convertendola alla produzione di aeroplani e, soprattutto, di motori;
mentre i Tedeschi solo tardi e in modo discontinuo erano riusciti a far valere quella
che era pur sempre la terza industria automobilistica mondiale.
La Francia si era ben guardata dal concedere monopoli a qualcuno dei suoi fornitori
militari dell’industria aerea, promuovendo anzi una vasta gamma di prototipi ma
standardizzando la produzione su un numero limitato di modelli. L’industria francese
era stata così motivata a sviluppare un’ampia gamma di ricerche e a produrre, con il
sostegno pubblico, esemplari tutti regolarmente acquistati dalle forze armate,
garantendo allo stesso tempo una sensibile omogeneità delle forze di linea. In
particolare l’industria motoristica seppe produrre un elevatissimo numero di ottimi
motori d’aereo, di cui beneficiarono tutti gli alleati, di vario tipo e utilizzabili su
diversi aeroplani a seconda delle diverse esigenze.
Al contrario la Germania aveva prima concesso un monopolio di fatto a poche
industrie, scoraggiando la ricerca, e poi ampliato la produzione accettando un numero
di tipi di velivoli assai elevato, a tutto discapito della logistica, dell’assistenza e della
stessa funzionalità del servizio aereo. Inoltre le capacità dell’industria tedesca di
produrre motori furono sempre al di sotto delle esigenze, costringendo a terra un
elevato numero di aerei per assenza di motori o di parti di ricambio.Anche sul piano
strategico la Germania era approdata solo tardi ad un uso corretto della sua forza
aerea. Fatta salva la ricognizione, che funzionò adeguatamente per lunghi periodi,
non era chiaro alle forze tedesche che uso fare della nuova arma.
Le tentazioni del bombardamento strategico, la sopravvalutazione dei dirigibili, la
necessità avanzata dalla Marina di utilizzare comunque dei dirigibili per la
ricognizione navale a largo raggio, condusse a un ampio dispendio di energie e di
risorse. Al contrario la Francia aveva da subito concepito come missione principale
per la sua aviazione quella dell’appoggio tattico, concentrando nei velivoli adatti a
questo scopo la maggior parte degli sforzi.In questo modo, nonostante la Germania
fosse riuscita a produrre singoli modelli di aereo superiori a quelli dell’Intesa, solo
raramente e per brevi periodi ebbe la possibilità di sfruttare la sua superiorità
qualitativa, riducendosi alla fine a cercare di limitare i danni e perdendo nei momenti
decisivi il controllo dell’aria.
Chiarezza delle esigenze, sperimentazione efficace, concentrazione delle energie,
valorizzazione del patrimonio industriale: tutto questo sembrava un valido punto di
partenza, in grado di garantire ottime prospettive in vista di un eventuale nuovo
conflitto con la Germania. Le cose non erano però andate in questo verso e anzi tutto
si era trasformato in una specie di incubo.Il presupposto della strategia francese alla
vigilia della guerra era che questa sarebbe stata di lunga durata e che, almeno sino al
1941-42, lo scopo della Francia e dei suoi alleati sarebbe stato quello di contenere la
Germania. Solo dopo che il blocco navale avesse iniziato a strangolare l’avversario
gli Alleati avrebbero potuto passare alla controffensiva.
La linea Maginot era l’emblema di questa scelta strategica: i Francesi si affidavano ad
una linea difensiva fissa e a un comando altamente centralizzato. Queste scelte
contrastano in modo evidente con quelle tedesche, che esaltavano l’elasticità,
l’aggressività, il movimento di piccole unità, l’iniziativa dei singoli comandanti.
Tuttavia va rilevato che all’epoca la maggior parte dei teorici militari, compresi i
profeti del potere aereo Dohuet e Mitchell, erano convinti che la guerra sarebbe stata
di logoramento e che gli eserciti di terra avrebbero avuto grosse difficoltà a sfondare
linee difensive consolidate.
Per massimizzare gli effetti di una simile linea di difesa i Francesi si erano affidati ad
un sistema diplomatico che aveva circondato la Francia di un insieme di alleanze
militari. Punto cardine di questo sistema era la Gran Bretagna, da cui la Francia si
aspettava, come nel primo conflitto mondiale, oltre alla realizzazione del blocco
navale contro la Germania e ad azioni aeree contro i centri nevralgici del nemico
anche un sostanziale contributo sullo stesso suolo francese (ciò, va rilevato, non
faceva i conti con le necessità britanniche: sebbene la Gran Bretagna avesse
sacrificato una gran quantità di bombardieri leggeri e di caccia nei cieli francesi, il
Governo di Londra non era disposto a logorare completamente la propria forza aerea,
rinunciando a una maggiore quantità di preziosi aerei e, soprattutto, di piloti
difficilmente rimpiazzabili, che sarebbero stati necessari per difendere il proprio
territorio).
Il sistema francese di alleanze era però presto andato incontro, nell’Europa orientale,
ad un fallimento dopo l’altro. La chiave per una reale stabilità sarebbe stata l’alleanza
con l’Urss, ma nonostante questa fosse caldeggiata da vari esponenti della sinistra
francese, la diplomazia di Parigi non era in grado (non voleva o forse non poteva)
offrire all’Urss ciò che essa chiedeva. D’altra parte Stalin considerava la Francia non
affidabile e alla fine preferì, sia pure al solo scopo di guadagnare tempo, stabilire un
accordo proprio con la Germania. Gli altri paesi orientali del sistema di alleanze,
Polonia e Repubblica Cecoslovacca, potevano solo svolgere, nell’ottica di Parigi, una
funzione di “distrazione” delle forze tedesche e non certo un’assistenza decisiva sul
piano militare.
In questo senso il sistema di alleanze era intrinsecamente debole: la Francia si
aspettava dai suoi alleati orientali un aiuto in caso di attacco tedesco ma non era in
grado, e non aveva la possibilità reale, di sostenere questi stessi paesi a fronte di
invasioni tedesche verso oriente. Il ruolo di queste nazioni era pertanto di mero
supporto, come lo stesso ministro Cot ammise candidamente allorché affermò che
l’integrità di Parigi e Londra era politicamente e militarmente molto più importante,
per gli stessi alleati orientali, di quella di Varsavia e Praga.Questo ruolo di supporto
trova riflesso nelle proposte e nei progetti di uso dell’arma aerea elaborate dai politici
francesi negli anni ’30.
La strategia disegnata dai Francesi prevedeva, in questo periodo, l’uso di una potente
flotta aerea da bombardamento, realizzata unificando sotto comando francese tutte le
forze aeree degli alleati orientali, che avrebbe colpito i centri vitali della Germania
per poi terminare il viaggio negli aeroporti cechi o polacchi; da qui, gli aerei, una
volta riforniti, avrebbero compiuto un viaggio di ritorno passando ancora sopra la
Germania e colpendo nuovamente con le bombe i Tedeschi. In pratica, con i rispettivi
eserciti bloccati in una guerra di posizione, all’Armée de l’Air spettava, analogamente
a quanto preparavano gli alleati inglesi, il compito di colpire la Germania per
accelerarne il crollo provocato dal blocco navale. Nell’ottica dei politici francesi
questa minaccia doveva avere un peso sufficiente da agire da deterrente nei confronti
della Germania.
Al di là della sottovalutazione degli aspetti logistici, politici, operativi e tecnologici, il
limite principale di questa impostazione era che, semplicemente, il potere aereo
francese non poteva raggiungere gli obiettivi posti dai politici. La minaccia francese
era solo un bluff, che mancava sia di impegno morale sia di risorse tecnologiche per
esser credibile, e di fatto la Germania non la tenne mai in serio conto. Si basava sul
presupposto che la Francia accettasse realmente la possibilità di una guerra per
difendere gli Stati cui aveva affidato la sua sicurezza: dopo il 1936 il presupposto era
caduto. E’ probabile, del resto, che i progetti francesi di uso dell’arma aerea avessero
solo un valore di sostegno psicologico verso gli alleati. Come dimostrò Monaco la
Francia era incapace di sostenere effettivamente i suoi alleati.
Il comandante de l’Armée de l’Air, generale Philippe Vuillemin, che nel 1938, nel
corso di un viaggio in Germania, aveva avuto modo di conoscere la Luftwaffe, aveva
ben valutato la situazione e la capacità effettiva del suo servizio. Così quando
Daladier andò a Monaco, nella sua valigia, oltre ad un allarmistico memorandum di
Gamelin, che dichiarava l’esercito non pronto per un conflitto, c’era anche una lettera
di Vuillemin che avvertiva come la Francia non avesse in pratica nessuna forza aerea.
Secondo Vuillemin la Luftwaffe avrebbe distrutto l’Armée de l’Air in due sole
settimane.
A partire dall’ascesa al potere di Hitler negli anni ’30, nella coscienza della dirigenza
politica e militare francese si era fatta strada la consapevolezza della debolezza della
Francia, e si era cercato, sia pure tra mille ambiguità politiche e tecnologiche, di
avviare politiche di riarmo che interessarono anche l’aviazione. Il nuovo ministro
dell’Aria del governo di sinistra, Cot, operò una serie di scelte destinate ad avere un
peso decisivo negli eventi successivi. La prima di queste scelte fu, nel 1933, quella di
rendere autonoma l’aviazione rispetto alle altre armi, creando l’Armée de l’Air. La
seconda fu quella di varare, nel 1934, il primo piano di riarmo aereo, Plan I, che
prevedeva la realizzazione di 1343 aerei.
A differenza della Raf, che fu resa autonoma nello stesso anno, l’Armée de l’Air non
riuscì però ad avere una reale indipendenza dalle altre armi e ne rimase sempre
condizionata. Il compito specifico della nuova arma aerea francese fu stabilito sulla
base di tre diverse missioni: partecipare ad operazioni aeree; operare a sostegno di
Esercito e Marina, contribuire alla difesa del territorio. Queste linee guida, però, non
furono articolate in una adeguata dottrina: al contrario, esercito e marina riuscirono a
limitare l’autonomia dell’aviazione prevenendo il formarsi di una nuova visione
rispetto alle tradizionali missioni di battaglia. La nuova arma rimase, pertanto, in
posizione subordinata nelle riunioni ufficiali in cui si elaboravano le linee strategiche
ed operative della difesa nazionale: in questo modo le priorità strategiche ed
operazionali dell’aviazione restarono nei fatti quelle stabilite da esercito e marina.
Questo obbligò l’Armée de L’Air a focalizzarsi sull’appoggio tattico e sulla
ricognizione inibendo ogni sviluppo di dottrine, tattiche, tecniche e procedure
necessarie per un’adeguata comprensione e per lo svolgimento della guerra
aerea.Inoltre, l’aver relegato nei fatti l’arma aerea a un ruolo di servizio verso le altre
forze armate, forzò l’Armée de L’Air ad adattarsi al tipo di battaglia che era
programmata dall’esercito, che, ricordiamo, prevedeva un lungo periodo di difesa
strategica dietro potenti fortificazioni e una guerra di logoramento. E’ in questa ottica
che il nuovo servizio prese a costruire le sue infrastrutture e ad addestrare il proprio
personale.
Dal punto di vista delle altre forze armate il timore che l’aeronautica potesse
utilizzare il suo potere per missioni indipendenti, a scapito del suo contributo al
supporto tattico, era ragionevole. I principali teorici del potere aereo, e come si è
detto anche qualche politico (tra cui lo stesso Cot), sostenevano che il compito
dell’aviazione fosse di colpire obiettivi lontano dal campo di battaglia, come le aree
urbane, e che tutte le forze dovessero essere utilizzate per realizzare una potente
forza aerea da bombardamento da usare per attacchi strategici: questo ovviamente
avrebbe sottratto risorse all’appoggio tattico.
Inoltre in molti settori del mondo politico ed economico francese emergevano dubbi
sull’opportunità di sviluppare un piano per colpire in profondità la Germania dall’alto
lasciando nello stesso tempo vitali centri sociali, politici e industriali francesi indifesi
di fronte a ritorsioni tedesche. Di fronte a queste ambiguità, e in una situazione
tecnologica che non consentiva realisticamente, a meno di fortissimi e improbabili
investimenti, la costruzione di una forza da bombardamento davvero capace di
raggiungere gli obiettivi promessi, si comprende come alla fine ammiragli e,
soprattutto generali, abbiano avuto la meglio. Il risultato fu che, nonostante il servizio
aereo fosse diventato autonomo, i suoi ruoli e le sue missioni non furono mai
pienamente definiti, e che per gran parte degli anni ’30 l’Armée de L’Air oscillò tra
differenti modelli organizzativi, che concentravano le risorse aeree o che viceversa
disperdevano i reparti per venire incontro alle esigenze dell’Esercito.
Cot cercò di concentrare le risorse sotto comandi geografici (cinque armate aeree:
due a nord e nord-est, per fronteggiare un attacco tedesco; una a sud per controllare
l’Italia e il Mediterraneo; una di riserva per la Francia metropolitana; una per il NordAfrica): in questo schema ciascun comando poteva utilizzare le forze aeree a
disposizione per ottenere la superiorità aerea, per l’appoggio tattico, per il
bombardamento strategico e di interdizione, per la ricognizione o per tenere i
collegamenti, secondo le esigenze di volta in volta individuate. I critici, però,
rilevarono che i comandi aerei erano troppo autonomi e che avrebbero potuto
attribuire una bassa priorità alle missioni di appoggio per le forze di terra. Seguì
allora una organizzazione dispersa che veniva incontro alle preoccupazioni
dell’esercito: in questo modello le priorità per l’uso dell’arma aerea erano controllate
e stabilite dai comandi operazionali e tattici dell’esercito.
In pratica ogni unità dell’esercito voleva disporre di un proprio elemento aereo come
supporto per le operazioni nel suo limitato campo di battaglia. Venivano enfatizzati i
ruoli di ricognizione, sorveglianza, appoggio e collegamento a discapito della
possibilità di usare l’arma aerea a più largo raggio. Una ulteriore complicazione
derivava dal modello operativo della difesa aerea, la Défense Aérienne du
Territoire (DAT), che prevedeva la dispersione delle varie forze di difesa presso i
maggiori centri urbani. La DAT, che utilizzava un proprio personale indipendente
dalle altre armi, poteva contare su armi antiaeree, su un proprio servizio di
avvistamento e allarme, su una propria linea di collegamenti e su un certo numero di
velivoli da caccia. In caso di guerra era previsto che la DAT sarebbe passata sotto il
controllo de l’Armée de L’Air con tutte le sue risorse.
In pratica però i due servizi non pianificarono nessuna collaborazione efficace e
rimasero largamente separati, al punto che nel 1940 nemmeno le informazioni
relative agli avvistamenti aerei furono scambiate in modo efficace. La DAT rimase
un servizio largamente inefficace, dotato di armamenti e apparecchiature superate e
inadatto, nel complesso, al conseguimento dei suoi scopi, e sempre ultimo nel
ricevere armi e personale. Tra il 1934 e il 1940 il sistema operativo francese si
orientò sempre di più verso la dispersione delle forze lungo la vasta linea del fronte
sino a quando, nel febbraio 1940, e dunque in piena guerra, il ministro dell’Aria Guy
La Chambre e il generale comandante delle forze aeree, Vuillemin, smantellarono
completamente i comandi regionali.
Si tornò, in pratica, al modello del Primo Conflitto, e i comandi terrestri utilizzarono
il potere aereo come un’altra branca dell’Esercito: l’aviazione divenne una estensione
della cavalleria e dell’artiglieria. I comandi dell’Esercito, a livello operazionale e
persino tattico, potevano chiedere il supporto delle forze aeree; ma proprio
l’attribuzione di competenze anche ai comandi più bassi impediva un’effettiva
centralizzazione del comando, in grado di orchestrare efficacemente lo sforzo aereo
attraverso un intero teatro.
Inoltre i vari comandi aerei furono costretti a continui trasferimenti, sia al momento
dell’attribuzione ai rispettivi teatri, sia al momento della ritirata, quando si scoprirono
troppo vicini agli sfondamenti del fronte, con il risultato di rendere inefficace la
catena di comando. Gli esperti dell’Aviazione provarono invano, esperimenti alla
mano, a invertire la tendenza alla dispersione. Gli eventi del 1940 dimostrarono che
la Francia, avendo disperso tutte le proprie forze aeree tra una pluralità di comandi
terrestri e lungo tutto il fronte, non poteva concentrare abbastanza aerei non solo per
affrontare le forze aeree tedesche, ma nemmeno per offrire un adeguato appoggio
tattico alle forze di terra.
Il sistema di allarme aereo si rivelò del tutto inefficiente: dal momento
dell’avvistamento degli aerei tedeschi all’arrivo sul luogo dei velivoli francesi
passava così tanto tempo che in genere i primi erano ormai da tempo sulla via di casa.
La Luftwaffe riuscì ad attaccare in massa nei punti critici, mentre la dispersione dello
schema operazionale francese impediva la costituzione di ampie forze nelle
medesime aree. La realtà è che i comandi di terra non erano in grado, per assenza di
cultura, di competenze tecniche e di visione dei problemi relativi, di comprendere
adeguatamente le vere possibilità del potere aereo, e alternarono richieste impossibili
all’assenza di ordini. I comandi terrestri non furono in grado di utilizzare
efficacemente il pieno raggio dell’arma aerea perché ciascuno pretendeva il controllo
diretto dellapropria forza aerea senza voler adottare una più ampia prospettiva.
Anche dopo la comprensione che lo sforzo tedesco si manifestava attraverso le
Ardenne, le azioni di interdizione sulle strade, pur intasate di uomini e veicoli e
dunque perfetto bersaglio, furono irrisorie: è probabile che azioni aeree ben
coordinate avrebbero potuto se non altro mettere in maggiore difficoltà l’apparato
logistico tedesco. Il comando della I Armata del generale Blanchard, nonostante
l’ordine espresso ricevuto dal suo superiore, generale Georges, capo del gruppo di
armate nord, di collaborare all’attacco aereo lungo le Ardenne, si rifiutò non solo di
cedere gli aerei sotto il suo controllo al generale Hutzinger, comandante della II
Armata che difendeva il settore, ma nemmeno di permettere a questi aerei di operare
in un altro settore operativo diverso dal proprio.
Le complicazioni organizzative si unirono a quelle derivanti da scelte tecnologiche
inadeguate. Agli inizi degli anni ’30 ogni grande potenza dell’epoca fu testimone di
una serie di innovazioni tecnologiche nel settore aereo che continuarono poi durante
l’intero conflitto. Alla fine del decennio quasi tutte le aeronautiche avevano
abbandonato i biplani per le cellule monoplano. La tecnologia dei motori aveva
compiuto immensi progressi mentre il disegno delle ali, seguendo studi aerodinamici,
si era perfezionato consentendo un maggiore carico e una maggiore quota. Questi
progressi, però, erano collegati a sostanziali investimenti e pochi governi (siamo nel
periodo della Grande Depressione) erano disposti a spendere forti somme per dotarsi
di modelli di velivolo destinati, in tempi di veloci progressi, ad una rapida
obsolescenza.
In questo contesto la Francia optò, alla fine degli anni ’20, per una strategia nota
come Politique des prototypes, che garantiva il sostegno pubblico a chi progettava
nuovi aerei, senza però giungere all’acquisto di un numero di aerei tale da risultare
conveniente per le aziende che li producevano. Il risultato fu che nel 1933 quello che
era un tempo un settore brillante dell’industria francese era ormai atrofizzato.
L’avvento di Hitler mise la classe dirigente francese di fronte alla necessità di
cambiare linea e impose l’abbandono della politica dei prototipi a favore della
costituzione di una forza aerea realmente efficace. Abbiamo visto come il ministro
Cot decidesse nel 1934 di varare il Plan I per il riarmo aereo.
Ma il capitale cognitivo francese si era ormai dissolto e le basi produttive
dell’aeronautica, prive di una politica industriale di sostegno, erano rimaste
prevalentemente artigianali. Così le prime commesse, finanziate proprio sull’onda
della paura di Hitler, anziché stimolare i centri produttivi li soffocarono, senza che
questi fossero in grado di produrre il numero di velivoli richiesto. Per ovviare a questi
problemi Cot, che rammentiamo era ministro di un governo di sinistra, nel suo
secondo incarico di ministro dell’Aria (1936-38) decise la nazionalizzazione delle
imprese coinvolte nella produzione di velivoli militari, al fine di centralizzare e
coordinare la produzione.
La decisione, vantaggiosa a lungo termine, provocò però nel breve periodo
rallentamenti e sprechi, e solo nel 1940 la produzione francese fu in grado di iniziare
ad offrire modelli, quantitativamente e qualitativamente, adeguati.Per quanto attiene
alle scelte tecniche e ai modelli da sviluppare, la direzione seguita da Cot e da Victor
Denain, Capo di SM dell’aeronautica, fu quella di puntare sulla realizzazione di aerei
multiruolo: il programma Bombardement, Combat, Reconnaissance (BCR). La scelta
di produrre aerei multiruolo derivava da una serie di considerazioni: la prima, a fronte
delle note carenze produttive francesi, era di sviluppare modelli che consentissero di
utilizzare tutte le risorse produttive disponibili; la seconda, di consentire
all’Aeronautica di svolgere le sue missioni statutarie utilizzando un numero ridotto di
velivoli, permettendole anche di semplificare la logistica; la terza, di convincere le
altre armi che si voleva tener conto delle loro esigenze.
L’esercito, infatti, era contrario ai caccia puri poiché li riteneva inadatti, per limiti di
autonomia e di carico, a svolgere le missioni di ricognizione e appoggio a terra di cui
riteneva di aver bisogno. Lo stesso Cot, si è visto, aveva una preferenza per aerei in
grado di svolgere azioni strategiche, anche se questa preferenza derivava più dalla
speranza di usarli come deterrente che dalla previsione di usarli realmente a tale
scopo: un aereo multiruolo, che aveva comunque un carico utile, poteva esser contato
nel numero di quelli “minacciosi” e dunque poteva esser giocato sul tavolo della
diplomazia.
Derivato da una scelta di compromesso, il programma BCR prendeva a riferimento la
generazione di velivoli degli anni 1928-33, prevedendo di realizzare prevalentemente
aerei multiposto, con 3-5 membri di equipaggio, bimotori del peso di 5-7 tonnellate,
capaci di volare intorno ai 350 km/h, ad una altezza utile di 4 mila metri, con
un’autonomia di 1300 km, armati con 3 mitragliatrici difensive e un carico tra 5001000 kg. Specifiche, come è possibile notare, tutte assai modeste, che erano forse
buone intorno al 1930 ma decisamente superate dall’accelerazione tecnologica
avvenuto proprio nel biennio 1933-35.
Il programma BCR doveva terminare nel 1935 ma si protrasse fino al 1938. l’Armée
de l’Air aveva creato un’intera organizzazione attorno a questo progetto e cambiare
completamente avrebbe comportato la messa in discussione dell’intero sistema e
dell’autonomia stessa dell’Arma. Modificare del tutto l’orientamento (come accadde
in Gran Bretagna quando si passò dall’enfasi sui bombardieri a quella sui caccia e sui
radar) avrebbe richiesto un capitale politico e di coraggio che mancava alla III
Repubblica.
Il risultato fu una serie di aerei costosissimi e inadatti a svolgere una qualsiasi delle
missioni per cui erano stati concepiti. Realizzato subito prima di una serie di
innovazioni tecnologiche rilevanti che provocarono un deciso salto qualitativo, il
programma BCR era nato già vecchio. Nondimeno il piano di ammodernamento della
forza aerea prevedeva l’acquisto di ben 1,010 (i 320 altri aerei previsti dal Plan I
erano destinati a scopi diversi dal combattimento) di questi velivoli, da porre in
servizio entro il 1936. Pur con tutti i suoi limiti, se il piano fosse stato completato, il
BCR avrebbe consentito un incremento di efficienza notevole per l’Armée de L’Air e
le avrebbe permesso di acquisire una considerevole esperienza nella gestione di aerei
moderni. Questo obiettivo, però, non fu mai raggiunto.
Anni di produzione su piccola scala, adatta alla realizzazione dei biplani della Grande
Guerra ma non dei moderni velivoli, avevano reso l’industria francese incapace di
rispondere alle esigenze della produzione di massa. Inoltre, in un contesto economico
ancora in crisi, i rapporti tra imprenditori e lavoratori erano pessimi e questo influiva
sui tempi e la qualità dei prodotti. Infine, nonostante ufficialmente il BCR avesse tra i
suoi scopi espliciti quello del bombardamento (sia pure solo come deterrenza),
l’industria francese non era in grado di realizzare gli strumenti di precisione necessari
per il puntamento e il controllo delle rotte. Il risultato fu che l’unico ruolo che il BCR
poteva conseguire era quello di ricognitore. Un prodotto tipico del programma BCR
fu l’Amiot 143, un bimotore lento, poco protetto e con un raggio d’azione assai
limitato, inadatto quindi sia alla ricognizione a largo raggio sia al bombardamento
strategico.
Così mentre i diplomatici francesi promettevano ai governanti Polacchi e Cechi che
in caso di guerra la Francia avrebbe colpito in profondità la Germania, l’Armée de
l’Air si era dotata di aerei il cui modesto raggio d’azione impediva questa possibilità.
Un altro aereo del tipo BCR fu il caccia pesante Potez 630/631, anch’esso un
bimotore, simile al Me 110 (e molti furono abbattuti dalla contraerea francese perché
confusi con l’aereo tedesco) ma con prestazioni di gran lunga inferiori.
A dispetto di tutti questi limiti evidenti, la linea del velivolo multiruolo, riconosciuta
fallimentare dalla stessa l’Armée de L’Air già nel 1936, fu continuata sino al 1938.
Il Plan II del 1936 prevedeva la realizzazione di 2851 velivoli, in gran parte di tipo
BCR. Anche questo piano non raggiunse gli obiettivi numerici. Solo a partire dal
1938, con il ministro La Chambre, l’Armée de L’Air iniziò a dotarsi di velivoli
specializzati: aerei che nella gran parte dei casi, però, finirono per arrivare troppo
tardi. Il ministro dell’Aria Cot non poteva, dopo aver puntato tutto sul programma
BCR, fare tranquillamente marcia indietro e ammettere il fallimento del programma
e, quindi, della sua politica. Cosicché, con un ambiguo compromesso, il Plan
II continuava a puntare prevalentemente sui bombardieri, di cui si riteneva di poter
produrre 1339 esemplari, a discapito dei caccia, previsti in numero di 756,
continuando però a puntare su modelli di scarsa capacità.
Chiaramente era difficile, per i leader dell’Armée de l’Air, spingere per una nuova
pesante campagna di ammodernamento della forza aerea nel periodo in cui la linea
ufficiale del Governo (nella quale Cot si riconosceva intellettualmente) era quella del
disarmo. Sarebbe stato assai difficile per la Francia parlare ufficialmente di disarmo
europeo sui tavoli diplomatici e nello stesso tempo lanciare un programma di riarmo
aereo che potesse mettere l’Armée de l’Air in condizione di proiettare il suo potere
aereo attraverso i cieli d’Europa. La situazione rimase bloccata nelle ragnatele della
politica e nelle pastoie della tecnologia sino al termine del secondo ministero Cot.Va
inoltre rilevato che gli stessi vertici dell’aeronautica francese trovavano
giustificazione della propria identità e del proprio ruolo nel programma BCR: esso,
nella sua deliberata ambiguità, consentiva di non specificare quale fosse la vocazione
autentica della nuova Arma, consentendo a tutti di interpretarne (e immaginarne) il
ruolo secondo le proprie esigenze.
Negli anni ’30 il Governo tentò più volte di delocalizzare le industrie aeronautiche
francesi, che, in gran parte, erano concentrate attorno a Parigi, al fine di accrescerne
la sicurezza e limitarne la vulnerabilità a fronte di eventuali attacchi nemici. La
resistenza degli imprenditori, però, impedì la razionalizzazione della locazione degli
impianti. I conflitti tra datori di lavoro e forza lavoro, l’età degli impianti, la
limitazione degli investimenti rendevano le fabbriche francesi inadatte alla
produzione di massa. Il morale basso delle maestranze, i pochi incentivi, gli ambienti
di lavoro insalubri e scarsamente illuminati, tutto cooperava per abbassare il livello
qualitativo e quantitativo della produzione.
Nel 1938, Lawrence Bell, delle industrie aeronautiche Bell americane, visitando gli
impianti ancora privati della Amiot e della Morane Saulnier redasse un imbarazzante
memorandum per il Ministero dell’Aria rivelando il sottoutilizzo, la vetustà, la
lentezza degli impianti produttivi. La situazione degli impianti della Potez, da poco
nazionalizzata, era lievemente migliore. Anche qui, però, Bell notò come molte delle
cellule prodotte erano semplicemente immagazzinate senza motori, poiché l’industria
incaricata di produrre i motori, la Hispano-Suiza, era incapace di produrne in numero
sufficiente per coprire le commesse estere e quelle interne e il governo, per motivi
economici, favoriva le vendite all’estero. Tra il giugno 1937 e il gennaio 1938 la
Francia produsse solo 71 aerei combat ready, mentre la Germania ne produsse 4,342,
la Gran Bretagna 2033, e gli Usa, con pochissimi stimoli all’epoca a produrre aerei da
guerra, 293. Questi numeri vanno inoltre letti tenendo presente la diversa qualità
degli aerei prodotti da Germania e Francia.
Il Plan II, sviluppato nel momento delle nazionalizzazioni, fallì completamente il
raggiungimento dei suoi obiettivi affondando nel caos prodotto dai passaggi di
proprietà, dai nuovi meccanismi amministrativi, dai nuovi criteri gestionali e di
approvvigionamento dei materiali. La consapevolezza del pericolo imminente (siamo
nel 1938) indusse il Governo a varare un nuovo piano, il Plan V, che chiudeva con il
programma BCR e puntava su aerei di concezione moderna e specializzati. Il Plan
V si inquadrava in un complessivo progetto di riarmo che, per la prima volta, dava la
priorità proprio all’Aeronautica attribuendole il 42% dei fondi destinati alla spesa
militare. Il progetto era quello di raddoppiare la produzione esistente, realizzando
4739 velivoli, con priorità stavolta data ai caccia (41%) rispetto ai bombardieri
(37%).
La rinuncia al bombardamento strategico divenne ufficiale e, secondo le esperienze
della Guerra di Spagna, il ministro dell’Aria La Chambre e i vertici dell’Aeronautica
presero la decisione di privilegiare per l’aviazione il ruolo dell’appoggio tattico alle
forze di terra. Stranamente, però, non venne presa in considerazione l’ipotesi di
realizzare un aereo d’attacco simile allo JU 87: probabilmente questo fu dovuto alla
scelta difensivistica della strategia francese, che scoraggiava la necessità di aerei “da
attacco”. In realtà il ruolo del bombardiere strategico non veniva affatto negato: solo
si contava, in una sorta di divisione del lavoro militare, che questo ruolo fosse
coperto dai bombardieri inglesi provenienti dalla Gran Bretagna.
A marzo del 1939 il Plan V venne rivisto e il numero di velivoli da realizzare fu
elevato a 5133. A settembre, a guerra ormai iniziata, una seconda revisione elevò
ulteriormente il numero a 8176. In realtà l’industria francese, che solo nella seconda
metà dell’anno iniziò a lavorare a un regime accettabile, non era in grado di produrre
un tale numero di velivoli e il Governo si preoccupò di stipulare contratti in America
per ottenere l’importazione di velivoli americani.
Il 23 agosto del 1939, quando nella riunione del Governo il generale Gamelin
dichiarò che l’Esercito era pronto alla guerra, il ministro La Chambre annunciò da
parte sua che non sussistevano più motivi di preoccupazione per la situazione
dell’Aviazione. Il generale Vuillemin, presente all’incontro, evitò di commentare le
parole del suo Ministro. Questo silenzio rivela certo come il Capo di Stato Maggiore
dell’Aeronautica non fosse completamente sereno per quanto riguarda la situazione
della sua Arma, tuttavia rappresenta un significativo passo in avanti rispetto alle
pessimistiche preoccupazioni, all’epoca espressamente dichiarate, del 1938.
Vuillemen riteneva che in sei mesi fosse possibile, per le flotte aeree congiunte di
Francia ed Inghilterra, ottenere almeno di battersi alla pari con la Luftwaffe.
Questa fiducia si basava sulle statistiche della produzione francese, che erano nel
1939 in netto miglioramento. Vuillemen però trascurava di considerare che l’industria
francese era ora in grado di produrre una quantità maggiore di aerei, ma non era
ancora capace di produrre un numero adeguato di parti di ricambio e di accessori,
cosicché le statistiche di produzione ufficiali, pur realistiche in termini di numeri
prodotti, erano troppo ottimistiche per quanto riguarda il numero di aerei
effettivamente disponibili. Daladier, consapevole delle deficienze, era disposto a
spendere parti rilevanti del bilancio per acquistare in Usa e autorizzò l’ordinazione di
500 aerei all’inizio del 1939.
Altri 4900 furono ordinati a guerra iniziata. Di tutte queste ordinazioni, tuttavia, solo
una piccola parte arrivò in Francia e di questi solo 200 furono disponibili per il
combattimento e presero parte alle azioni. La speranza della Francia di esser vicina
alla parità con i Tedeschi non fu mai raggiunta nel 1940, né quantitativamente né
qualitativamente. E’ certo difficile fare un conteggio esatto del numero di aeroplani,
poiché i numeri cambiano se si conta il numero totale degli aeroplani, o quelli pronti
al combattimento, o quelli in dotazione ai reparti di volo. Cambiano anche se si
sceglie di considerare gli aerei teoricamente in linea ma di fatto troppo vecchi per
essere utilizzati o se si sceglie di contare solo i velivoli più moderni. Fatto sta,
tuttavia, che anche aggiungendo i 416 aerei inglesi giunti in Francia i numeri erano
tutti a vantaggio dei tedeschi.
Certo, le cose sarebbero state destinate a migliorare e se, come era nelle attese, la
guerra fosse scoppiata nel 1941 o nel 1942, o in alternativa si fosse stabilizzata dopo
la fase iniziale, la Francia forse si sarebbe in seguito trovata con mezzi adeguati. Il
programma BCR, naturalmente, non poté esser bloccato di colpo e la sua influenza si
prolungò nei modelli in produzione e nelle linee di montaggio. Quando il ministro
dell’Aria La Chambre approvò, con ilPlan V del 1938, i primi aerei specificatamente
disegnati per le missioni di caccia, il Morane Saulnier MS-406 e il Dewoitine D-520,
l’industria francese, come accennato, ebbe grossi problemi a riordinare le linee, con il
risultato che la produzione fu inferiore ai programmi e alle ordinazioni.
L’acquisto in Usa di velivoli da caccia Curtiss P 36/37 fu una conseguenza di questo
limite, nonostante il costo dei velivoli americani fosse quasi doppio rispetto a quello
di un MS-406. Nel maggio del 1940 l’Armée de l’Airdisponeva di 500 MS-406 con
altri 500 in ordine. Più lento e meno agile rispetto al Me 109, il MS-406 si rivelò
inferiore alla controparte tedesca e subì forti perdite. Questo spinse i Francesi ad
accelerare la produzione e la messa in linea del D-520, un caccia di concezione
moderna potenzialmente capace di confrontarsi alla pari con i caccia tedeschi.
Tuttavia il D-520 era appena entrato in servizio e soffriva degli inevitabili problemi
di messa a punto connessi con lo sviluppo di un moderno sistema d’arma. Il crollo
francese, poi, complicò ulteriormente la messa a punto del modello cosicché solo
pochi dei D-520 poterono entrare in azione.
All’inizio del conflitto la Francia aveva in linea 36 D-520 e altri 194 erano ordinati.
Molti altri vennero ordinati nei primi mesi di guerra ma arrivarono troppo tardi. I
problemi di messa a punto provocarono numerosi incidenti e alla fine della campagna
85 D-520 erano andati persi, per cause belliche o incidenti. Ben 400 D520, oltre a
svariati MS-406, preda bellica tedesca, parteciparono con piloti tedeschi alla prima
fase della Campagna di Russia. Gli altri caccia a disposizione della Francia, il Bloch
152 e il P 36/37, nonostante il coraggio indubbio dei piloti, si rivelarono anch’essi
superati dai più recenti modelli avversari (va però considerato che proprio
scontrandosi con i caccia Francesi la Luftwaffe decise di togliere dalla prima linea i
Me 109B/D).
Se il numero dei caccia operativi era limitato, le cose erano ancora peggiori per
quanto riguarda i bombardieri, e questo nonostante la Francia avesse fino al 1938
puntato proprio su questi velivoli. La produzione del bombardiere leggero LeO-451
iniziò troppo tardi e la Francia fu costretta a ricorrere, come misura disperata,
all’impiego di aerei inadatti o sorpassati. Pattuglie di 5-8 Farman, ma a volte anche
velivoli isolati, si sforzarono di compiere azioni strategiche (tra cui il volantinaggio
su Roma) che ebbero valore morale ma nessuna utilità militare. Quando si cercò di
colpire le linee di rifornimento tedesche nelle Ardenne la penuria di aerei era
talmente alta che l’Armée de l’Air fu costretta a ricorrere ai vecchi Amiot 143: la
metà degli equipaggi non tornò indietro.
Al termine della campagna molti aerei francesi vennero confiscati come preda bellica
dai vincitori. Si è già detto dei De-520 utilizzati dai Tedeschi in Russia; alcuni
bombardieri leggeri LeO-451 andarono all’Italia, che li lasciò arrugginire sulle piste;
i MS-406 andarono agli alleati della Germania, Croati e Finlandesi: questi ultimi
cambiarono il motore sostituendolo con uno assai più potente e tennero utilmente in
linea i MS-406 fino al 1944. L’Armée de l’Air aveva assunto, seguendo le indicazioni
del Governo e delle altre Armi, che la guerra sarebbe stata una fotocopia del conflitto
precedente, con i fronti contrapposti bloccati in una guerra di posizione.
In questo contesto la dottrina francese, definita Lutte Aérienne, prevedeva l’attacco
alla linea nemica, ai rinforzi di seconda schiera, ai trasporti e ai centri strategici
tedeschi in Germania. In pratica, però, si trattava più di un orientamento
amministrativo che di una vera e propria dottrina di impiego.La più scontata
giustificazione per l’autonomia della forza aerea era, naturalmente, la dottrina del
bombardamento strategico elaborata e promossa da Giulio Dohuet. Questa fu la
strada seguita da molte aviazioni, compresa, almeno ufficialmente, quella italiana.
Abbiamo però visto come la classe politica francese potesse sostenere solo con molte
ambiguità questa linea e come il progetto BCR abbia ottenuto l’approvazione
generale proprio perché sembrava evitare di prendere posizione a tale riguardo.
Le teorie di Douhet furono rifiutate esplicitamente dagli esperti francesi (Dohuet non
fu mai tradotto completamente in Francia nel periodo tra le due guerre) che le
definirono “tecnicamente” superate: il bombardiere puro, il grande e lento velivolo
dedicato all’azione strategica, lungi dal ”passare sempre” come prediceva Dohuet,
sarebbe rimasto facile vittima di aerei da caccia. Occorreva solo sviluppare aerei
dotati di maggiore autonomia e con armamento più pesante rispetto ai tradizionali
caccia puri. In altre parole le teorie di Dohuet, a giudizio dei teorici francesi, erano
tecnicamente superate grazie all’avvento del BCR.
Ma questa sottovalutazione dei caccia puri, più che da una vera scelta strategica,
derivava dalla necessità di non alienarsi le simpatie delle altre Armi. Nel programma
BCR i caccia erano malvisti dall’Esercito, che riteneva di non poter contare su di loro
né per quanto riguarda l’appoggio a terra né per quanto riguarda la ricognizione a
largo raggio. A questa sottovalutazione corrispondeva una sopravvalutazione dei
bombardieri propri (e di quelli italiani!) e una contemporanea sottovalutazione di
quelli tedeschi. Difficile comprendere il senso tecnico di queste valutazioni.
Verosimilmente si riteneva da parte francese che i combattimenti sulla linea del
fronte, vicino quindi ai propri centri ed aeroporti, avrebbero favorito i propri aerei, a
discapito di quelli nemici che provenivano da maggiori distanze e potevano quindi
essere intercettati.
Inoltre la Germania, questo a Parigi era noto, aveva scelto di trascurare il
bombardamento strategico, mentre la Francia, almeno nelle dichiarazioni dei suoi
politici, non aveva affatto rinunciato a questa opzione: non c’era quindi da temere
troppo per le azioni in profondità degli aerei tedeschi. Non a caso in Francia
destavano invece molta preoccupazioni gli aerei italiani, che ufficialmente erano stati
realizzati per mettere in atto le dottrine di Dohuet. In ogni caso l’enfasi francese sugli
aerei da appoggio tattico fa risaltare come misteriosa la scelta di non realizzare aerei
specializzati nell’attacco al suolo paragonabili allo stuka.
Apparentemente la Lutte Aèrienne sembrava conciliare le attese del bombardamento
strategico con quelle dell’appoggio tattico al suolo, garantendo all’Armée de l’Air una
razionale e bilanciata flessibilità e la possibilità di passare dalla difesa all’offesa
secondo le esigenze del momento. In realtà questa filosofia di flessibilità si basava
tecnicamente sulle attese del programma BCR, il tipo di velivolo in grado di eseguire
tutte le missioni richieste. Il BCR, però, si rivelò un totale fallimento, come abbiamo
visto. Questo in pratica equivaleva a dire che l’Armée de l’Air non aveva lo strumento
per tradurre in pratica la sua dottrina. Le cose non migliorarono dopo il 1938 e la
dottrina reattiva francese continuò a trovare continui limiti nei problemi tecnologici,
che impedivano all’Armée de l’Air di realizzare gli aggiramenti verticali del nemico e
di reagire prontamente alle azioni tedesche.
L’inadeguatezza degli aerei francesi a fronte di quelli tedeschi per velocità,
autonomia, tempo di reazione, si trasformò nell’apparente resa a cedere il dominio
dei cieli di casa all’avversario.Inoltre questa dottrina, basata sulla premessa di un
lungo conflitto difensivo, era per principio reattiva: essa stabiliva le reazioni da
attuare a fronte di azioni tedesche. Cosicché il potere aereo francese assumeva
anch’esso, come l’Esercito, una posizione difensiva, cedendo per principio
l’iniziativa alle forze avversarie.
Ulteriore conseguenza della scelta di privilegiare l’appoggio tattico e quindi i
collegamenti con l’Esercito si ebbe nei programmi di addestramento di ufficiali e
piloti. L’addestramento privilegiava gli aspetti di sostegno tattico alle forze di terra, a
discapito delle altre forme di combattimento aereo. Gli ufficiali dell’Aeronautica
seguivano gli stessi corsi degli ufficiali dell’Esercito, con l’enfasi data alla storia
militare terrestre e alle strategie terrestri di combattimento. In pratica un ufficiale
dell’Armée de l’Air usciva dai corsi con la preparazione di un ufficiale dell’Armée de
Terre. Chiaramente il tipo di preparazione adottato pesava poi fortemente sul modo di
concepire la guerra da parte dei vertici dell’aviazione. Nel 1940 la Francia disponeva
di 2900 ufficiali piloti e di 2989 sottufficiali piloti e anche il numero dei tecnici era
del tutto insufficiente. Il risultato fu che molti aerei rimasero confinati a terra per
mancanza di piloti o per via della scarsa manutenzione.
La cessione della struttura organizzativa e di comando dell’Aviazione all’Esercito,
che impediva la concentrazione delle forze disperdendole lungo tutto il fronte, fu la
coerente conclusione dei presupposti su cui si basava l’Armée de l’Air sin dalla sua
fondazione. Fu una scelta imposta dai vertici politici e dell’Esercito e che era coperta
dalla retorica dell’unione di tutte le forze a difesa della Patria: l’eccessiva autonomia
dell’Armée de l’Air sembrava indebolire il concetto della “sacra unione”. Realizzata
in piena guerra, la riorganizzazione dei comandi produsse in realtà disorganizzazione
e caos proprio nel momento in cui occorreva il massimo sforzo, mettendo in crisi
totale il già debole sistema di allarme e di intervento.