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Francia 1940: La debacle de L’Armèe de l’Air by GeneralKleber – 02.07.2010 (tratto dal sito http://www.netwargamingitalia.net) . Nel maggio 1940 le forze armate tedesche invasero la Francia e in pochi giorni ne distrussero ogni capacità di reazione militare. L’esercito francese, da tutti valutato come uno strumento militare potente e di tutto rispetto, si era dissolto come neve al sole in meno di un mese, in preda ad una crisi morale ancor più che militare. Elemento decisivo del crollo del morale e della forza di resistenza delle truppe francesi, dai soldati sino ai generali, era stato l’uso travolgente e inaspettato che i Tedeschi avevano fatto della loro forza aerea. La Luftwaffe sembrava essere onnipresente, colpendo i francesi negli spostamenti, nei tentativi di concentrazione delle forze e, soprattutto, attaccando dal cielo in difensori e preparando il terreno per l’arrivo delle forze corazzate. Tutte le testimonianze dirette concordano nel descrivere lo sgomento causato dal bombardamento tattico tedesco sopra truppe che non erano assolutamente preparate all’evento. Nonostante in pratica il semplice gettarsi a terra bastasse per ridurre considerevolmente i danni materiali di un attacco aereo, il terrore ingenerato dagli stukas e dagli altri aerei tedeschi usati per l’appoggio tattico fu così grande che interi reparti erano moralmente preparati a collassate ancora prima di incontrare un carro tedesco. Di fronte allo strapotere aereo tedesco l’aeronautica francese e quella inglese, che pure pagarono un tributo di sangue altissimo, sembravano impotenti. Il leit motiv dei reduci, ossessionati dal costante dominio aereo avversario, divenne da allora costante: “Dove sono i nostri aerei? Cosa fa la nostra aviazione?”. L’Armée de l’Air era, indubbiamente, inferiore quanto a numero di velivoli rispetto ai suoi avversari, ma si pensava che il contributo inglese, con ottimi aerei, fosse utile a riequilibrare in parte la disparità numerica. Ancora due giorni prima della resa il governo francese, non a caso, insisteva con quello britannico per l’invio di ulteriori squadriglie da caccia. Ad ogni modo la battaglia aerea non era apparsa, all’inizio disperata. La Luftwaffe godeva certo di una superiorità numerica considerevole, tuttavia non tale da essere schiacciante. Piloti inglesi e francesi si sacrificarono con coraggio e abnegazione, subendo perdite elevatissime, a testimonianza di un impegno che non poteva certo definirsi limitato o rinunciatario. Nondimeno nella coscienza collettiva dei combattenti di terra è restata a lungo la convinzione che il contributo delle forze aeree alleate sia stato inesistente, e che anche solo una piccola presenza aerea alleata avrebbe potuto cambiare le cose. Dove erano finiti allora questi aerei? Come era potuto accadere che una forza aerea consistente avesse, sin dal primo giorno, perso totalmente il controllo dei propri cieli? Le responsabilità de l’Armée de l’Air in questo fallimento sembravano così evidenti che nel 1941 il governo presieduto dal Maresciallo Petain, al momento di istruire un processo politico contro gli ex Primi Ministri Léon Blum ed Ėdouard Daladier, e contro gli ex ministri dell’Aria Guy La Chambre e Pierre Cot, inserì tra i capi d’accusa il fallimento nel preparare L’Armée de l’Air a bloccare l’aggressione tedesca. E’ sintomatico che mentre l’aviazione veniva processata, il Presidente del nuovo Stato era un maresciallo dell’esercito e che, per un lungo periodo, capo del Governo sarebbe stato un ammiraglio, François Darlan. L’aviazione diventava il capro espiatorio dei fallimenti di politici e militari. Un capro espiatorio che anche nel dopoguerra avrebbe continuato ad assumere su di sé il biasimo collettivo, con accuse che andavano dall’incapacità al tradimento. Nello scambio di accuse reciproche che politici e militari continuarono a lanciarsi in Parlamento, sui giornali, nelle commissioni di inchiesta e in una serie sconfinata di memoriali e diari autoassolutori, un solo elemento sembrava trovare tutti concordi: la prima causa della sconfitta era stata il fallimento de L’Armée de l’Air. Far cadere la responsabilità sull’aeronautica francese è possibile solo sulla base della premessa che politici e militari avessero elaborato una strategia, un sistema logistico e di mobilitazione, una base di risorse economiche e culturali, e una dottrina di combattimento adeguate per confrontarsi con la Germania, e questo, naturalmente, non corrisponde a realtà. Solo ammettendo che la strategia militare francese, che si preparava ad aspettare i Tedeschi nei Paesi Bassi, proteggendosi dietro una invincibile linea Maginot, fosse una scelta vincente per sconfiggere i Tedeschi si potrebbero elevare rimproveri sulla condotta delle forze aeree francesi. In realtà questa strategia si basava sul presupposto di una offensiva tedesca da nord: alle forze aeree spettava il compito di individuare le linee di penetrazione tedesche per elaborare adeguati centri di resistenza. Ma è noto che i Tedeschi decisero di sferrare il loro attacco attraverso le Ardenne, vanificando del tutto le premesse strategiche francesi. La Francia si preparava ad una guerra lunga e di logoramento e affidava alla sua aviazione il compito di proteggere efficacemente le proprie potenzialità economiche colpendo nello stesso tempo quelle avversarie. Una scelta strategica che la rapidità del conflitto vanificò totalmente. Inoltre il coordinamento tra le forze di terra ed aeree, che costituisce la premessa di una strategia efficace, fu assai carente, e di questo non è possibile attribuire la responsabilità alla sola aviazione. Nondimeno resta il dato di un fallimento sostanziale e di una aviazione che sin dal primo giorno sembrava esser sparita dai cieli. Ciò sembrava tanto più sorprendente se confrontato con i risultati dell’aviazione militare francese nella Prima Guerra Mondiale. Nel periodo 1914-18 la Francia, che al pari della Germania aveva ben valutato le potenzialità della nuova arma aerea, aveva saputo condurre la guerra nell’aria in modo impeccabile, surclassando il suo avversario. A differenza della Germania, la Francia aveva sin da subito saputo valorizzare la sua industria automobilistica, la seconda nel mondo dopo quella americana, convertendola alla produzione di aeroplani e, soprattutto, di motori; mentre i Tedeschi solo tardi e in modo discontinuo erano riusciti a far valere quella che era pur sempre la terza industria automobilistica mondiale. La Francia si era ben guardata dal concedere monopoli a qualcuno dei suoi fornitori militari dell’industria aerea, promuovendo anzi una vasta gamma di prototipi ma standardizzando la produzione su un numero limitato di modelli. L’industria francese era stata così motivata a sviluppare un’ampia gamma di ricerche e a produrre, con il sostegno pubblico, esemplari tutti regolarmente acquistati dalle forze armate, garantendo allo stesso tempo una sensibile omogeneità delle forze di linea. In particolare l’industria motoristica seppe produrre un elevatissimo numero di ottimi motori d’aereo, di cui beneficiarono tutti gli alleati, di vario tipo e utilizzabili su diversi aeroplani a seconda delle diverse esigenze. Al contrario la Germania aveva prima concesso un monopolio di fatto a poche industrie, scoraggiando la ricerca, e poi ampliato la produzione accettando un numero di tipi di velivoli assai elevato, a tutto discapito della logistica, dell’assistenza e della stessa funzionalità del servizio aereo. Inoltre le capacità dell’industria tedesca di produrre motori furono sempre al di sotto delle esigenze, costringendo a terra un elevato numero di aerei per assenza di motori o di parti di ricambio.Anche sul piano strategico la Germania era approdata solo tardi ad un uso corretto della sua forza aerea. Fatta salva la ricognizione, che funzionò adeguatamente per lunghi periodi, non era chiaro alle forze tedesche che uso fare della nuova arma. Le tentazioni del bombardamento strategico, la sopravvalutazione dei dirigibili, la necessità avanzata dalla Marina di utilizzare comunque dei dirigibili per la ricognizione navale a largo raggio, condusse a un ampio dispendio di energie e di risorse. Al contrario la Francia aveva da subito concepito come missione principale per la sua aviazione quella dell’appoggio tattico, concentrando nei velivoli adatti a questo scopo la maggior parte degli sforzi.In questo modo, nonostante la Germania fosse riuscita a produrre singoli modelli di aereo superiori a quelli dell’Intesa, solo raramente e per brevi periodi ebbe la possibilità di sfruttare la sua superiorità qualitativa, riducendosi alla fine a cercare di limitare i danni e perdendo nei momenti decisivi il controllo dell’aria. Chiarezza delle esigenze, sperimentazione efficace, concentrazione delle energie, valorizzazione del patrimonio industriale: tutto questo sembrava un valido punto di partenza, in grado di garantire ottime prospettive in vista di un eventuale nuovo conflitto con la Germania. Le cose non erano però andate in questo verso e anzi tutto si era trasformato in una specie di incubo.Il presupposto della strategia francese alla vigilia della guerra era che questa sarebbe stata di lunga durata e che, almeno sino al 1941-42, lo scopo della Francia e dei suoi alleati sarebbe stato quello di contenere la Germania. Solo dopo che il blocco navale avesse iniziato a strangolare l’avversario gli Alleati avrebbero potuto passare alla controffensiva. La linea Maginot era l’emblema di questa scelta strategica: i Francesi si affidavano ad una linea difensiva fissa e a un comando altamente centralizzato. Queste scelte contrastano in modo evidente con quelle tedesche, che esaltavano l’elasticità, l’aggressività, il movimento di piccole unità, l’iniziativa dei singoli comandanti. Tuttavia va rilevato che all’epoca la maggior parte dei teorici militari, compresi i profeti del potere aereo Dohuet e Mitchell, erano convinti che la guerra sarebbe stata di logoramento e che gli eserciti di terra avrebbero avuto grosse difficoltà a sfondare linee difensive consolidate. Per massimizzare gli effetti di una simile linea di difesa i Francesi si erano affidati ad un sistema diplomatico che aveva circondato la Francia di un insieme di alleanze militari. Punto cardine di questo sistema era la Gran Bretagna, da cui la Francia si aspettava, come nel primo conflitto mondiale, oltre alla realizzazione del blocco navale contro la Germania e ad azioni aeree contro i centri nevralgici del nemico anche un sostanziale contributo sullo stesso suolo francese (ciò, va rilevato, non faceva i conti con le necessità britanniche: sebbene la Gran Bretagna avesse sacrificato una gran quantità di bombardieri leggeri e di caccia nei cieli francesi, il Governo di Londra non era disposto a logorare completamente la propria forza aerea, rinunciando a una maggiore quantità di preziosi aerei e, soprattutto, di piloti difficilmente rimpiazzabili, che sarebbero stati necessari per difendere il proprio territorio). Il sistema francese di alleanze era però presto andato incontro, nell’Europa orientale, ad un fallimento dopo l’altro. La chiave per una reale stabilità sarebbe stata l’alleanza con l’Urss, ma nonostante questa fosse caldeggiata da vari esponenti della sinistra francese, la diplomazia di Parigi non era in grado (non voleva o forse non poteva) offrire all’Urss ciò che essa chiedeva. D’altra parte Stalin considerava la Francia non affidabile e alla fine preferì, sia pure al solo scopo di guadagnare tempo, stabilire un accordo proprio con la Germania. Gli altri paesi orientali del sistema di alleanze, Polonia e Repubblica Cecoslovacca, potevano solo svolgere, nell’ottica di Parigi, una funzione di “distrazione” delle forze tedesche e non certo un’assistenza decisiva sul piano militare. In questo senso il sistema di alleanze era intrinsecamente debole: la Francia si aspettava dai suoi alleati orientali un aiuto in caso di attacco tedesco ma non era in grado, e non aveva la possibilità reale, di sostenere questi stessi paesi a fronte di invasioni tedesche verso oriente. Il ruolo di queste nazioni era pertanto di mero supporto, come lo stesso ministro Cot ammise candidamente allorché affermò che l’integrità di Parigi e Londra era politicamente e militarmente molto più importante, per gli stessi alleati orientali, di quella di Varsavia e Praga.Questo ruolo di supporto trova riflesso nelle proposte e nei progetti di uso dell’arma aerea elaborate dai politici francesi negli anni ’30. La strategia disegnata dai Francesi prevedeva, in questo periodo, l’uso di una potente flotta aerea da bombardamento, realizzata unificando sotto comando francese tutte le forze aeree degli alleati orientali, che avrebbe colpito i centri vitali della Germania per poi terminare il viaggio negli aeroporti cechi o polacchi; da qui, gli aerei, una volta riforniti, avrebbero compiuto un viaggio di ritorno passando ancora sopra la Germania e colpendo nuovamente con le bombe i Tedeschi. In pratica, con i rispettivi eserciti bloccati in una guerra di posizione, all’Armée de l’Air spettava, analogamente a quanto preparavano gli alleati inglesi, il compito di colpire la Germania per accelerarne il crollo provocato dal blocco navale. Nell’ottica dei politici francesi questa minaccia doveva avere un peso sufficiente da agire da deterrente nei confronti della Germania. Al di là della sottovalutazione degli aspetti logistici, politici, operativi e tecnologici, il limite principale di questa impostazione era che, semplicemente, il potere aereo francese non poteva raggiungere gli obiettivi posti dai politici. La minaccia francese era solo un bluff, che mancava sia di impegno morale sia di risorse tecnologiche per esser credibile, e di fatto la Germania non la tenne mai in serio conto. Si basava sul presupposto che la Francia accettasse realmente la possibilità di una guerra per difendere gli Stati cui aveva affidato la sua sicurezza: dopo il 1936 il presupposto era caduto. E’ probabile, del resto, che i progetti francesi di uso dell’arma aerea avessero solo un valore di sostegno psicologico verso gli alleati. Come dimostrò Monaco la Francia era incapace di sostenere effettivamente i suoi alleati. Il comandante de l’Armée de l’Air, generale Philippe Vuillemin, che nel 1938, nel corso di un viaggio in Germania, aveva avuto modo di conoscere la Luftwaffe, aveva ben valutato la situazione e la capacità effettiva del suo servizio. Così quando Daladier andò a Monaco, nella sua valigia, oltre ad un allarmistico memorandum di Gamelin, che dichiarava l’esercito non pronto per un conflitto, c’era anche una lettera di Vuillemin che avvertiva come la Francia non avesse in pratica nessuna forza aerea. Secondo Vuillemin la Luftwaffe avrebbe distrutto l’Armée de l’Air in due sole settimane. A partire dall’ascesa al potere di Hitler negli anni ’30, nella coscienza della dirigenza politica e militare francese si era fatta strada la consapevolezza della debolezza della Francia, e si era cercato, sia pure tra mille ambiguità politiche e tecnologiche, di avviare politiche di riarmo che interessarono anche l’aviazione. Il nuovo ministro dell’Aria del governo di sinistra, Cot, operò una serie di scelte destinate ad avere un peso decisivo negli eventi successivi. La prima di queste scelte fu, nel 1933, quella di rendere autonoma l’aviazione rispetto alle altre armi, creando l’Armée de l’Air. La seconda fu quella di varare, nel 1934, il primo piano di riarmo aereo, Plan I, che prevedeva la realizzazione di 1343 aerei. A differenza della Raf, che fu resa autonoma nello stesso anno, l’Armée de l’Air non riuscì però ad avere una reale indipendenza dalle altre armi e ne rimase sempre condizionata. Il compito specifico della nuova arma aerea francese fu stabilito sulla base di tre diverse missioni: partecipare ad operazioni aeree; operare a sostegno di Esercito e Marina, contribuire alla difesa del territorio. Queste linee guida, però, non furono articolate in una adeguata dottrina: al contrario, esercito e marina riuscirono a limitare l’autonomia dell’aviazione prevenendo il formarsi di una nuova visione rispetto alle tradizionali missioni di battaglia. La nuova arma rimase, pertanto, in posizione subordinata nelle riunioni ufficiali in cui si elaboravano le linee strategiche ed operative della difesa nazionale: in questo modo le priorità strategiche ed operazionali dell’aviazione restarono nei fatti quelle stabilite da esercito e marina. Questo obbligò l’Armée de L’Air a focalizzarsi sull’appoggio tattico e sulla ricognizione inibendo ogni sviluppo di dottrine, tattiche, tecniche e procedure necessarie per un’adeguata comprensione e per lo svolgimento della guerra aerea.Inoltre, l’aver relegato nei fatti l’arma aerea a un ruolo di servizio verso le altre forze armate, forzò l’Armée de L’Air ad adattarsi al tipo di battaglia che era programmata dall’esercito, che, ricordiamo, prevedeva un lungo periodo di difesa strategica dietro potenti fortificazioni e una guerra di logoramento. E’ in questa ottica che il nuovo servizio prese a costruire le sue infrastrutture e ad addestrare il proprio personale. Dal punto di vista delle altre forze armate il timore che l’aeronautica potesse utilizzare il suo potere per missioni indipendenti, a scapito del suo contributo al supporto tattico, era ragionevole. I principali teorici del potere aereo, e come si è detto anche qualche politico (tra cui lo stesso Cot), sostenevano che il compito dell’aviazione fosse di colpire obiettivi lontano dal campo di battaglia, come le aree urbane, e che tutte le forze dovessero essere utilizzate per realizzare una potente forza aerea da bombardamento da usare per attacchi strategici: questo ovviamente avrebbe sottratto risorse all’appoggio tattico. Inoltre in molti settori del mondo politico ed economico francese emergevano dubbi sull’opportunità di sviluppare un piano per colpire in profondità la Germania dall’alto lasciando nello stesso tempo vitali centri sociali, politici e industriali francesi indifesi di fronte a ritorsioni tedesche. Di fronte a queste ambiguità, e in una situazione tecnologica che non consentiva realisticamente, a meno di fortissimi e improbabili investimenti, la costruzione di una forza da bombardamento davvero capace di raggiungere gli obiettivi promessi, si comprende come alla fine ammiragli e, soprattutto generali, abbiano avuto la meglio. Il risultato fu che, nonostante il servizio aereo fosse diventato autonomo, i suoi ruoli e le sue missioni non furono mai pienamente definiti, e che per gran parte degli anni ’30 l’Armée de L’Air oscillò tra differenti modelli organizzativi, che concentravano le risorse aeree o che viceversa disperdevano i reparti per venire incontro alle esigenze dell’Esercito. Cot cercò di concentrare le risorse sotto comandi geografici (cinque armate aeree: due a nord e nord-est, per fronteggiare un attacco tedesco; una a sud per controllare l’Italia e il Mediterraneo; una di riserva per la Francia metropolitana; una per il NordAfrica): in questo schema ciascun comando poteva utilizzare le forze aeree a disposizione per ottenere la superiorità aerea, per l’appoggio tattico, per il bombardamento strategico e di interdizione, per la ricognizione o per tenere i collegamenti, secondo le esigenze di volta in volta individuate. I critici, però, rilevarono che i comandi aerei erano troppo autonomi e che avrebbero potuto attribuire una bassa priorità alle missioni di appoggio per le forze di terra. Seguì allora una organizzazione dispersa che veniva incontro alle preoccupazioni dell’esercito: in questo modello le priorità per l’uso dell’arma aerea erano controllate e stabilite dai comandi operazionali e tattici dell’esercito. In pratica ogni unità dell’esercito voleva disporre di un proprio elemento aereo come supporto per le operazioni nel suo limitato campo di battaglia. Venivano enfatizzati i ruoli di ricognizione, sorveglianza, appoggio e collegamento a discapito della possibilità di usare l’arma aerea a più largo raggio. Una ulteriore complicazione derivava dal modello operativo della difesa aerea, la Défense Aérienne du Territoire (DAT), che prevedeva la dispersione delle varie forze di difesa presso i maggiori centri urbani. La DAT, che utilizzava un proprio personale indipendente dalle altre armi, poteva contare su armi antiaeree, su un proprio servizio di avvistamento e allarme, su una propria linea di collegamenti e su un certo numero di velivoli da caccia. In caso di guerra era previsto che la DAT sarebbe passata sotto il controllo de l’Armée de L’Air con tutte le sue risorse. In pratica però i due servizi non pianificarono nessuna collaborazione efficace e rimasero largamente separati, al punto che nel 1940 nemmeno le informazioni relative agli avvistamenti aerei furono scambiate in modo efficace. La DAT rimase un servizio largamente inefficace, dotato di armamenti e apparecchiature superate e inadatto, nel complesso, al conseguimento dei suoi scopi, e sempre ultimo nel ricevere armi e personale. Tra il 1934 e il 1940 il sistema operativo francese si orientò sempre di più verso la dispersione delle forze lungo la vasta linea del fronte sino a quando, nel febbraio 1940, e dunque in piena guerra, il ministro dell’Aria Guy La Chambre e il generale comandante delle forze aeree, Vuillemin, smantellarono completamente i comandi regionali. Si tornò, in pratica, al modello del Primo Conflitto, e i comandi terrestri utilizzarono il potere aereo come un’altra branca dell’Esercito: l’aviazione divenne una estensione della cavalleria e dell’artiglieria. I comandi dell’Esercito, a livello operazionale e persino tattico, potevano chiedere il supporto delle forze aeree; ma proprio l’attribuzione di competenze anche ai comandi più bassi impediva un’effettiva centralizzazione del comando, in grado di orchestrare efficacemente lo sforzo aereo attraverso un intero teatro. Inoltre i vari comandi aerei furono costretti a continui trasferimenti, sia al momento dell’attribuzione ai rispettivi teatri, sia al momento della ritirata, quando si scoprirono troppo vicini agli sfondamenti del fronte, con il risultato di rendere inefficace la catena di comando. Gli esperti dell’Aviazione provarono invano, esperimenti alla mano, a invertire la tendenza alla dispersione. Gli eventi del 1940 dimostrarono che la Francia, avendo disperso tutte le proprie forze aeree tra una pluralità di comandi terrestri e lungo tutto il fronte, non poteva concentrare abbastanza aerei non solo per affrontare le forze aeree tedesche, ma nemmeno per offrire un adeguato appoggio tattico alle forze di terra. Il sistema di allarme aereo si rivelò del tutto inefficiente: dal momento dell’avvistamento degli aerei tedeschi all’arrivo sul luogo dei velivoli francesi passava così tanto tempo che in genere i primi erano ormai da tempo sulla via di casa. La Luftwaffe riuscì ad attaccare in massa nei punti critici, mentre la dispersione dello schema operazionale francese impediva la costituzione di ampie forze nelle medesime aree. La realtà è che i comandi di terra non erano in grado, per assenza di cultura, di competenze tecniche e di visione dei problemi relativi, di comprendere adeguatamente le vere possibilità del potere aereo, e alternarono richieste impossibili all’assenza di ordini. I comandi terrestri non furono in grado di utilizzare efficacemente il pieno raggio dell’arma aerea perché ciascuno pretendeva il controllo diretto dellapropria forza aerea senza voler adottare una più ampia prospettiva. Anche dopo la comprensione che lo sforzo tedesco si manifestava attraverso le Ardenne, le azioni di interdizione sulle strade, pur intasate di uomini e veicoli e dunque perfetto bersaglio, furono irrisorie: è probabile che azioni aeree ben coordinate avrebbero potuto se non altro mettere in maggiore difficoltà l’apparato logistico tedesco. Il comando della I Armata del generale Blanchard, nonostante l’ordine espresso ricevuto dal suo superiore, generale Georges, capo del gruppo di armate nord, di collaborare all’attacco aereo lungo le Ardenne, si rifiutò non solo di cedere gli aerei sotto il suo controllo al generale Hutzinger, comandante della II Armata che difendeva il settore, ma nemmeno di permettere a questi aerei di operare in un altro settore operativo diverso dal proprio. Le complicazioni organizzative si unirono a quelle derivanti da scelte tecnologiche inadeguate. Agli inizi degli anni ’30 ogni grande potenza dell’epoca fu testimone di una serie di innovazioni tecnologiche nel settore aereo che continuarono poi durante l’intero conflitto. Alla fine del decennio quasi tutte le aeronautiche avevano abbandonato i biplani per le cellule monoplano. La tecnologia dei motori aveva compiuto immensi progressi mentre il disegno delle ali, seguendo studi aerodinamici, si era perfezionato consentendo un maggiore carico e una maggiore quota. Questi progressi, però, erano collegati a sostanziali investimenti e pochi governi (siamo nel periodo della Grande Depressione) erano disposti a spendere forti somme per dotarsi di modelli di velivolo destinati, in tempi di veloci progressi, ad una rapida obsolescenza. In questo contesto la Francia optò, alla fine degli anni ’20, per una strategia nota come Politique des prototypes, che garantiva il sostegno pubblico a chi progettava nuovi aerei, senza però giungere all’acquisto di un numero di aerei tale da risultare conveniente per le aziende che li producevano. Il risultato fu che nel 1933 quello che era un tempo un settore brillante dell’industria francese era ormai atrofizzato. L’avvento di Hitler mise la classe dirigente francese di fronte alla necessità di cambiare linea e impose l’abbandono della politica dei prototipi a favore della costituzione di una forza aerea realmente efficace. Abbiamo visto come il ministro Cot decidesse nel 1934 di varare il Plan I per il riarmo aereo. Ma il capitale cognitivo francese si era ormai dissolto e le basi produttive dell’aeronautica, prive di una politica industriale di sostegno, erano rimaste prevalentemente artigianali. Così le prime commesse, finanziate proprio sull’onda della paura di Hitler, anziché stimolare i centri produttivi li soffocarono, senza che questi fossero in grado di produrre il numero di velivoli richiesto. Per ovviare a questi problemi Cot, che rammentiamo era ministro di un governo di sinistra, nel suo secondo incarico di ministro dell’Aria (1936-38) decise la nazionalizzazione delle imprese coinvolte nella produzione di velivoli militari, al fine di centralizzare e coordinare la produzione. La decisione, vantaggiosa a lungo termine, provocò però nel breve periodo rallentamenti e sprechi, e solo nel 1940 la produzione francese fu in grado di iniziare ad offrire modelli, quantitativamente e qualitativamente, adeguati.Per quanto attiene alle scelte tecniche e ai modelli da sviluppare, la direzione seguita da Cot e da Victor Denain, Capo di SM dell’aeronautica, fu quella di puntare sulla realizzazione di aerei multiruolo: il programma Bombardement, Combat, Reconnaissance (BCR). La scelta di produrre aerei multiruolo derivava da una serie di considerazioni: la prima, a fronte delle note carenze produttive francesi, era di sviluppare modelli che consentissero di utilizzare tutte le risorse produttive disponibili; la seconda, di consentire all’Aeronautica di svolgere le sue missioni statutarie utilizzando un numero ridotto di velivoli, permettendole anche di semplificare la logistica; la terza, di convincere le altre armi che si voleva tener conto delle loro esigenze. L’esercito, infatti, era contrario ai caccia puri poiché li riteneva inadatti, per limiti di autonomia e di carico, a svolgere le missioni di ricognizione e appoggio a terra di cui riteneva di aver bisogno. Lo stesso Cot, si è visto, aveva una preferenza per aerei in grado di svolgere azioni strategiche, anche se questa preferenza derivava più dalla speranza di usarli come deterrente che dalla previsione di usarli realmente a tale scopo: un aereo multiruolo, che aveva comunque un carico utile, poteva esser contato nel numero di quelli “minacciosi” e dunque poteva esser giocato sul tavolo della diplomazia. Derivato da una scelta di compromesso, il programma BCR prendeva a riferimento la generazione di velivoli degli anni 1928-33, prevedendo di realizzare prevalentemente aerei multiposto, con 3-5 membri di equipaggio, bimotori del peso di 5-7 tonnellate, capaci di volare intorno ai 350 km/h, ad una altezza utile di 4 mila metri, con un’autonomia di 1300 km, armati con 3 mitragliatrici difensive e un carico tra 5001000 kg. Specifiche, come è possibile notare, tutte assai modeste, che erano forse buone intorno al 1930 ma decisamente superate dall’accelerazione tecnologica avvenuto proprio nel biennio 1933-35. Il programma BCR doveva terminare nel 1935 ma si protrasse fino al 1938. l’Armée de l’Air aveva creato un’intera organizzazione attorno a questo progetto e cambiare completamente avrebbe comportato la messa in discussione dell’intero sistema e dell’autonomia stessa dell’Arma. Modificare del tutto l’orientamento (come accadde in Gran Bretagna quando si passò dall’enfasi sui bombardieri a quella sui caccia e sui radar) avrebbe richiesto un capitale politico e di coraggio che mancava alla III Repubblica. Il risultato fu una serie di aerei costosissimi e inadatti a svolgere una qualsiasi delle missioni per cui erano stati concepiti. Realizzato subito prima di una serie di innovazioni tecnologiche rilevanti che provocarono un deciso salto qualitativo, il programma BCR era nato già vecchio. Nondimeno il piano di ammodernamento della forza aerea prevedeva l’acquisto di ben 1,010 (i 320 altri aerei previsti dal Plan I erano destinati a scopi diversi dal combattimento) di questi velivoli, da porre in servizio entro il 1936. Pur con tutti i suoi limiti, se il piano fosse stato completato, il BCR avrebbe consentito un incremento di efficienza notevole per l’Armée de L’Air e le avrebbe permesso di acquisire una considerevole esperienza nella gestione di aerei moderni. Questo obiettivo, però, non fu mai raggiunto. Anni di produzione su piccola scala, adatta alla realizzazione dei biplani della Grande Guerra ma non dei moderni velivoli, avevano reso l’industria francese incapace di rispondere alle esigenze della produzione di massa. Inoltre, in un contesto economico ancora in crisi, i rapporti tra imprenditori e lavoratori erano pessimi e questo influiva sui tempi e la qualità dei prodotti. Infine, nonostante ufficialmente il BCR avesse tra i suoi scopi espliciti quello del bombardamento (sia pure solo come deterrenza), l’industria francese non era in grado di realizzare gli strumenti di precisione necessari per il puntamento e il controllo delle rotte. Il risultato fu che l’unico ruolo che il BCR poteva conseguire era quello di ricognitore. Un prodotto tipico del programma BCR fu l’Amiot 143, un bimotore lento, poco protetto e con un raggio d’azione assai limitato, inadatto quindi sia alla ricognizione a largo raggio sia al bombardamento strategico. Così mentre i diplomatici francesi promettevano ai governanti Polacchi e Cechi che in caso di guerra la Francia avrebbe colpito in profondità la Germania, l’Armée de l’Air si era dotata di aerei il cui modesto raggio d’azione impediva questa possibilità. Un altro aereo del tipo BCR fu il caccia pesante Potez 630/631, anch’esso un bimotore, simile al Me 110 (e molti furono abbattuti dalla contraerea francese perché confusi con l’aereo tedesco) ma con prestazioni di gran lunga inferiori. A dispetto di tutti questi limiti evidenti, la linea del velivolo multiruolo, riconosciuta fallimentare dalla stessa l’Armée de L’Air già nel 1936, fu continuata sino al 1938. Il Plan II del 1936 prevedeva la realizzazione di 2851 velivoli, in gran parte di tipo BCR. Anche questo piano non raggiunse gli obiettivi numerici. Solo a partire dal 1938, con il ministro La Chambre, l’Armée de L’Air iniziò a dotarsi di velivoli specializzati: aerei che nella gran parte dei casi, però, finirono per arrivare troppo tardi. Il ministro dell’Aria Cot non poteva, dopo aver puntato tutto sul programma BCR, fare tranquillamente marcia indietro e ammettere il fallimento del programma e, quindi, della sua politica. Cosicché, con un ambiguo compromesso, il Plan II continuava a puntare prevalentemente sui bombardieri, di cui si riteneva di poter produrre 1339 esemplari, a discapito dei caccia, previsti in numero di 756, continuando però a puntare su modelli di scarsa capacità. Chiaramente era difficile, per i leader dell’Armée de l’Air, spingere per una nuova pesante campagna di ammodernamento della forza aerea nel periodo in cui la linea ufficiale del Governo (nella quale Cot si riconosceva intellettualmente) era quella del disarmo. Sarebbe stato assai difficile per la Francia parlare ufficialmente di disarmo europeo sui tavoli diplomatici e nello stesso tempo lanciare un programma di riarmo aereo che potesse mettere l’Armée de l’Air in condizione di proiettare il suo potere aereo attraverso i cieli d’Europa. La situazione rimase bloccata nelle ragnatele della politica e nelle pastoie della tecnologia sino al termine del secondo ministero Cot.Va inoltre rilevato che gli stessi vertici dell’aeronautica francese trovavano giustificazione della propria identità e del proprio ruolo nel programma BCR: esso, nella sua deliberata ambiguità, consentiva di non specificare quale fosse la vocazione autentica della nuova Arma, consentendo a tutti di interpretarne (e immaginarne) il ruolo secondo le proprie esigenze. Negli anni ’30 il Governo tentò più volte di delocalizzare le industrie aeronautiche francesi, che, in gran parte, erano concentrate attorno a Parigi, al fine di accrescerne la sicurezza e limitarne la vulnerabilità a fronte di eventuali attacchi nemici. La resistenza degli imprenditori, però, impedì la razionalizzazione della locazione degli impianti. I conflitti tra datori di lavoro e forza lavoro, l’età degli impianti, la limitazione degli investimenti rendevano le fabbriche francesi inadatte alla produzione di massa. Il morale basso delle maestranze, i pochi incentivi, gli ambienti di lavoro insalubri e scarsamente illuminati, tutto cooperava per abbassare il livello qualitativo e quantitativo della produzione. Nel 1938, Lawrence Bell, delle industrie aeronautiche Bell americane, visitando gli impianti ancora privati della Amiot e della Morane Saulnier redasse un imbarazzante memorandum per il Ministero dell’Aria rivelando il sottoutilizzo, la vetustà, la lentezza degli impianti produttivi. La situazione degli impianti della Potez, da poco nazionalizzata, era lievemente migliore. Anche qui, però, Bell notò come molte delle cellule prodotte erano semplicemente immagazzinate senza motori, poiché l’industria incaricata di produrre i motori, la Hispano-Suiza, era incapace di produrne in numero sufficiente per coprire le commesse estere e quelle interne e il governo, per motivi economici, favoriva le vendite all’estero. Tra il giugno 1937 e il gennaio 1938 la Francia produsse solo 71 aerei combat ready, mentre la Germania ne produsse 4,342, la Gran Bretagna 2033, e gli Usa, con pochissimi stimoli all’epoca a produrre aerei da guerra, 293. Questi numeri vanno inoltre letti tenendo presente la diversa qualità degli aerei prodotti da Germania e Francia. Il Plan II, sviluppato nel momento delle nazionalizzazioni, fallì completamente il raggiungimento dei suoi obiettivi affondando nel caos prodotto dai passaggi di proprietà, dai nuovi meccanismi amministrativi, dai nuovi criteri gestionali e di approvvigionamento dei materiali. La consapevolezza del pericolo imminente (siamo nel 1938) indusse il Governo a varare un nuovo piano, il Plan V, che chiudeva con il programma BCR e puntava su aerei di concezione moderna e specializzati. Il Plan V si inquadrava in un complessivo progetto di riarmo che, per la prima volta, dava la priorità proprio all’Aeronautica attribuendole il 42% dei fondi destinati alla spesa militare. Il progetto era quello di raddoppiare la produzione esistente, realizzando 4739 velivoli, con priorità stavolta data ai caccia (41%) rispetto ai bombardieri (37%). La rinuncia al bombardamento strategico divenne ufficiale e, secondo le esperienze della Guerra di Spagna, il ministro dell’Aria La Chambre e i vertici dell’Aeronautica presero la decisione di privilegiare per l’aviazione il ruolo dell’appoggio tattico alle forze di terra. Stranamente, però, non venne presa in considerazione l’ipotesi di realizzare un aereo d’attacco simile allo JU 87: probabilmente questo fu dovuto alla scelta difensivistica della strategia francese, che scoraggiava la necessità di aerei “da attacco”. In realtà il ruolo del bombardiere strategico non veniva affatto negato: solo si contava, in una sorta di divisione del lavoro militare, che questo ruolo fosse coperto dai bombardieri inglesi provenienti dalla Gran Bretagna. A marzo del 1939 il Plan V venne rivisto e il numero di velivoli da realizzare fu elevato a 5133. A settembre, a guerra ormai iniziata, una seconda revisione elevò ulteriormente il numero a 8176. In realtà l’industria francese, che solo nella seconda metà dell’anno iniziò a lavorare a un regime accettabile, non era in grado di produrre un tale numero di velivoli e il Governo si preoccupò di stipulare contratti in America per ottenere l’importazione di velivoli americani. Il 23 agosto del 1939, quando nella riunione del Governo il generale Gamelin dichiarò che l’Esercito era pronto alla guerra, il ministro La Chambre annunciò da parte sua che non sussistevano più motivi di preoccupazione per la situazione dell’Aviazione. Il generale Vuillemin, presente all’incontro, evitò di commentare le parole del suo Ministro. Questo silenzio rivela certo come il Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica non fosse completamente sereno per quanto riguarda la situazione della sua Arma, tuttavia rappresenta un significativo passo in avanti rispetto alle pessimistiche preoccupazioni, all’epoca espressamente dichiarate, del 1938. Vuillemen riteneva che in sei mesi fosse possibile, per le flotte aeree congiunte di Francia ed Inghilterra, ottenere almeno di battersi alla pari con la Luftwaffe. Questa fiducia si basava sulle statistiche della produzione francese, che erano nel 1939 in netto miglioramento. Vuillemen però trascurava di considerare che l’industria francese era ora in grado di produrre una quantità maggiore di aerei, ma non era ancora capace di produrre un numero adeguato di parti di ricambio e di accessori, cosicché le statistiche di produzione ufficiali, pur realistiche in termini di numeri prodotti, erano troppo ottimistiche per quanto riguarda il numero di aerei effettivamente disponibili. Daladier, consapevole delle deficienze, era disposto a spendere parti rilevanti del bilancio per acquistare in Usa e autorizzò l’ordinazione di 500 aerei all’inizio del 1939. Altri 4900 furono ordinati a guerra iniziata. Di tutte queste ordinazioni, tuttavia, solo una piccola parte arrivò in Francia e di questi solo 200 furono disponibili per il combattimento e presero parte alle azioni. La speranza della Francia di esser vicina alla parità con i Tedeschi non fu mai raggiunta nel 1940, né quantitativamente né qualitativamente. E’ certo difficile fare un conteggio esatto del numero di aeroplani, poiché i numeri cambiano se si conta il numero totale degli aeroplani, o quelli pronti al combattimento, o quelli in dotazione ai reparti di volo. Cambiano anche se si sceglie di considerare gli aerei teoricamente in linea ma di fatto troppo vecchi per essere utilizzati o se si sceglie di contare solo i velivoli più moderni. Fatto sta, tuttavia, che anche aggiungendo i 416 aerei inglesi giunti in Francia i numeri erano tutti a vantaggio dei tedeschi. Certo, le cose sarebbero state destinate a migliorare e se, come era nelle attese, la guerra fosse scoppiata nel 1941 o nel 1942, o in alternativa si fosse stabilizzata dopo la fase iniziale, la Francia forse si sarebbe in seguito trovata con mezzi adeguati. Il programma BCR, naturalmente, non poté esser bloccato di colpo e la sua influenza si prolungò nei modelli in produzione e nelle linee di montaggio. Quando il ministro dell’Aria La Chambre approvò, con ilPlan V del 1938, i primi aerei specificatamente disegnati per le missioni di caccia, il Morane Saulnier MS-406 e il Dewoitine D-520, l’industria francese, come accennato, ebbe grossi problemi a riordinare le linee, con il risultato che la produzione fu inferiore ai programmi e alle ordinazioni. L’acquisto in Usa di velivoli da caccia Curtiss P 36/37 fu una conseguenza di questo limite, nonostante il costo dei velivoli americani fosse quasi doppio rispetto a quello di un MS-406. Nel maggio del 1940 l’Armée de l’Airdisponeva di 500 MS-406 con altri 500 in ordine. Più lento e meno agile rispetto al Me 109, il MS-406 si rivelò inferiore alla controparte tedesca e subì forti perdite. Questo spinse i Francesi ad accelerare la produzione e la messa in linea del D-520, un caccia di concezione moderna potenzialmente capace di confrontarsi alla pari con i caccia tedeschi. Tuttavia il D-520 era appena entrato in servizio e soffriva degli inevitabili problemi di messa a punto connessi con lo sviluppo di un moderno sistema d’arma. Il crollo francese, poi, complicò ulteriormente la messa a punto del modello cosicché solo pochi dei D-520 poterono entrare in azione. All’inizio del conflitto la Francia aveva in linea 36 D-520 e altri 194 erano ordinati. Molti altri vennero ordinati nei primi mesi di guerra ma arrivarono troppo tardi. I problemi di messa a punto provocarono numerosi incidenti e alla fine della campagna 85 D-520 erano andati persi, per cause belliche o incidenti. Ben 400 D520, oltre a svariati MS-406, preda bellica tedesca, parteciparono con piloti tedeschi alla prima fase della Campagna di Russia. Gli altri caccia a disposizione della Francia, il Bloch 152 e il P 36/37, nonostante il coraggio indubbio dei piloti, si rivelarono anch’essi superati dai più recenti modelli avversari (va però considerato che proprio scontrandosi con i caccia Francesi la Luftwaffe decise di togliere dalla prima linea i Me 109B/D). Se il numero dei caccia operativi era limitato, le cose erano ancora peggiori per quanto riguarda i bombardieri, e questo nonostante la Francia avesse fino al 1938 puntato proprio su questi velivoli. La produzione del bombardiere leggero LeO-451 iniziò troppo tardi e la Francia fu costretta a ricorrere, come misura disperata, all’impiego di aerei inadatti o sorpassati. Pattuglie di 5-8 Farman, ma a volte anche velivoli isolati, si sforzarono di compiere azioni strategiche (tra cui il volantinaggio su Roma) che ebbero valore morale ma nessuna utilità militare. Quando si cercò di colpire le linee di rifornimento tedesche nelle Ardenne la penuria di aerei era talmente alta che l’Armée de l’Air fu costretta a ricorrere ai vecchi Amiot 143: la metà degli equipaggi non tornò indietro. Al termine della campagna molti aerei francesi vennero confiscati come preda bellica dai vincitori. Si è già detto dei De-520 utilizzati dai Tedeschi in Russia; alcuni bombardieri leggeri LeO-451 andarono all’Italia, che li lasciò arrugginire sulle piste; i MS-406 andarono agli alleati della Germania, Croati e Finlandesi: questi ultimi cambiarono il motore sostituendolo con uno assai più potente e tennero utilmente in linea i MS-406 fino al 1944. L’Armée de l’Air aveva assunto, seguendo le indicazioni del Governo e delle altre Armi, che la guerra sarebbe stata una fotocopia del conflitto precedente, con i fronti contrapposti bloccati in una guerra di posizione. In questo contesto la dottrina francese, definita Lutte Aérienne, prevedeva l’attacco alla linea nemica, ai rinforzi di seconda schiera, ai trasporti e ai centri strategici tedeschi in Germania. In pratica, però, si trattava più di un orientamento amministrativo che di una vera e propria dottrina di impiego.La più scontata giustificazione per l’autonomia della forza aerea era, naturalmente, la dottrina del bombardamento strategico elaborata e promossa da Giulio Dohuet. Questa fu la strada seguita da molte aviazioni, compresa, almeno ufficialmente, quella italiana. Abbiamo però visto come la classe politica francese potesse sostenere solo con molte ambiguità questa linea e come il progetto BCR abbia ottenuto l’approvazione generale proprio perché sembrava evitare di prendere posizione a tale riguardo. Le teorie di Douhet furono rifiutate esplicitamente dagli esperti francesi (Dohuet non fu mai tradotto completamente in Francia nel periodo tra le due guerre) che le definirono “tecnicamente” superate: il bombardiere puro, il grande e lento velivolo dedicato all’azione strategica, lungi dal ”passare sempre” come prediceva Dohuet, sarebbe rimasto facile vittima di aerei da caccia. Occorreva solo sviluppare aerei dotati di maggiore autonomia e con armamento più pesante rispetto ai tradizionali caccia puri. In altre parole le teorie di Dohuet, a giudizio dei teorici francesi, erano tecnicamente superate grazie all’avvento del BCR. Ma questa sottovalutazione dei caccia puri, più che da una vera scelta strategica, derivava dalla necessità di non alienarsi le simpatie delle altre Armi. Nel programma BCR i caccia erano malvisti dall’Esercito, che riteneva di non poter contare su di loro né per quanto riguarda l’appoggio a terra né per quanto riguarda la ricognizione a largo raggio. A questa sottovalutazione corrispondeva una sopravvalutazione dei bombardieri propri (e di quelli italiani!) e una contemporanea sottovalutazione di quelli tedeschi. Difficile comprendere il senso tecnico di queste valutazioni. Verosimilmente si riteneva da parte francese che i combattimenti sulla linea del fronte, vicino quindi ai propri centri ed aeroporti, avrebbero favorito i propri aerei, a discapito di quelli nemici che provenivano da maggiori distanze e potevano quindi essere intercettati. Inoltre la Germania, questo a Parigi era noto, aveva scelto di trascurare il bombardamento strategico, mentre la Francia, almeno nelle dichiarazioni dei suoi politici, non aveva affatto rinunciato a questa opzione: non c’era quindi da temere troppo per le azioni in profondità degli aerei tedeschi. Non a caso in Francia destavano invece molta preoccupazioni gli aerei italiani, che ufficialmente erano stati realizzati per mettere in atto le dottrine di Dohuet. In ogni caso l’enfasi francese sugli aerei da appoggio tattico fa risaltare come misteriosa la scelta di non realizzare aerei specializzati nell’attacco al suolo paragonabili allo stuka. Apparentemente la Lutte Aèrienne sembrava conciliare le attese del bombardamento strategico con quelle dell’appoggio tattico al suolo, garantendo all’Armée de l’Air una razionale e bilanciata flessibilità e la possibilità di passare dalla difesa all’offesa secondo le esigenze del momento. In realtà questa filosofia di flessibilità si basava tecnicamente sulle attese del programma BCR, il tipo di velivolo in grado di eseguire tutte le missioni richieste. Il BCR, però, si rivelò un totale fallimento, come abbiamo visto. Questo in pratica equivaleva a dire che l’Armée de l’Air non aveva lo strumento per tradurre in pratica la sua dottrina. Le cose non migliorarono dopo il 1938 e la dottrina reattiva francese continuò a trovare continui limiti nei problemi tecnologici, che impedivano all’Armée de l’Air di realizzare gli aggiramenti verticali del nemico e di reagire prontamente alle azioni tedesche. L’inadeguatezza degli aerei francesi a fronte di quelli tedeschi per velocità, autonomia, tempo di reazione, si trasformò nell’apparente resa a cedere il dominio dei cieli di casa all’avversario.Inoltre questa dottrina, basata sulla premessa di un lungo conflitto difensivo, era per principio reattiva: essa stabiliva le reazioni da attuare a fronte di azioni tedesche. Cosicché il potere aereo francese assumeva anch’esso, come l’Esercito, una posizione difensiva, cedendo per principio l’iniziativa alle forze avversarie. Ulteriore conseguenza della scelta di privilegiare l’appoggio tattico e quindi i collegamenti con l’Esercito si ebbe nei programmi di addestramento di ufficiali e piloti. L’addestramento privilegiava gli aspetti di sostegno tattico alle forze di terra, a discapito delle altre forme di combattimento aereo. Gli ufficiali dell’Aeronautica seguivano gli stessi corsi degli ufficiali dell’Esercito, con l’enfasi data alla storia militare terrestre e alle strategie terrestri di combattimento. In pratica un ufficiale dell’Armée de l’Air usciva dai corsi con la preparazione di un ufficiale dell’Armée de Terre. Chiaramente il tipo di preparazione adottato pesava poi fortemente sul modo di concepire la guerra da parte dei vertici dell’aviazione. Nel 1940 la Francia disponeva di 2900 ufficiali piloti e di 2989 sottufficiali piloti e anche il numero dei tecnici era del tutto insufficiente. Il risultato fu che molti aerei rimasero confinati a terra per mancanza di piloti o per via della scarsa manutenzione. La cessione della struttura organizzativa e di comando dell’Aviazione all’Esercito, che impediva la concentrazione delle forze disperdendole lungo tutto il fronte, fu la coerente conclusione dei presupposti su cui si basava l’Armée de l’Air sin dalla sua fondazione. Fu una scelta imposta dai vertici politici e dell’Esercito e che era coperta dalla retorica dell’unione di tutte le forze a difesa della Patria: l’eccessiva autonomia dell’Armée de l’Air sembrava indebolire il concetto della “sacra unione”. Realizzata in piena guerra, la riorganizzazione dei comandi produsse in realtà disorganizzazione e caos proprio nel momento in cui occorreva il massimo sforzo, mettendo in crisi totale il già debole sistema di allarme e di intervento.