Alba Serino San Martino al Cimino presso Viterbo: l`evoluzione di un
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Alba Serino San Martino al Cimino presso Viterbo: l`evoluzione di un
293-314_Serino_01_Antista 26/09/13 17.07 Pagina 293 SAN MARTINO AL CIMINO PRESSO VITERBO: L’EVOLUZIONE DI UN MONASTERO CISTERCENSE IN BORGO Alba Serino Il paese di San Martino al Cimino costituisce oggi una frazione del Comune di Viterbo, situato a circa sei chilometri dal centro della città e posizionato a 600 metri s.l.m., lungo il declivio nord-occidentale dei Monti Cimini e in prossimità del Monte Fogliano. Il borgo deve il nome al complesso abbaziale attorno a cui questo ebbe sviluppo sin dall’età medievale, l’abbazia di San Martino al Cimino, situata sul lato meridionale delle mura urbane, in cima alla ripida pendenza che caratterizza il paese. Purtroppo oggi non è possibile ammirare l’aspetto che presentava l’abbazia cistercense in epoca medievale, a causa dei rifacimenti seicenteschi che la trasformarono in residenza principesca della famiglia Pamphili, ma l’indagine storica e archeologica compensa in parte questa lacuna e consente di comprendere l’importanza che la comunità cistercense rappresentò per la Tuscia viterbese nei secoli del Basso Medioevo e l’influenza che l’impianto del monastero esercitò sullo sviluppo del borgo nei secoli successivi1. Origini Riguardo alle origini dell’abbazia, è interessante la menzione nel Regesto Farfense di una ecclesia S. Martini in monte, presso un luogo definito casa putida, che nell’anno 838 un certo Benedetto figlio di Auperto, abi1 Il presente contributo espone parte dei risultati ottenuti per la tesi di laurea specialistica in Archeologia Medievale presso l’Università degli Studi della Tuscia, dal titolo “Il monastero cistercense di San Martino al Cimino. Analisi del territorio pertinente all’abbazia nel Medioevo”, Anno Accademico 2009/2010, relatore Elisabetta De Minicis, correlatore Alfio Cortonesi. 293 293-314_Serino_01_Antista 26/09/13 17.07 Pagina 294 tante del vico Flaviano donò all’abate di Farfa, Siccardo, insieme con i diritti delle chiese di S. Alessandro e di S. Maria e di alcuni terreni in contrada Agella, presso il casale Fusiliano e nel vico Flaviano stesso2. È possibile che questa ecclesia S. Martini in casa putida acquisita dai benedettini costituisca il nucleo primordiale del futuro monastero cistercense, se si considera il legame esistente tra il vico Flaviano (che era situato ai piedi del Monte Cimino3) e la posizione dove sorge attualmente l’abbazia. Il toponimo fornito dal documento di IX secolo non è purtroppo sufficiente ad individuare con certezza la precisa ubicazione della ecclesia S. Martini in questione, situata apparentemente in prossimità di un tugurio, in una zona insalubre4. La notizia del documento è da porre in relazione con quella contenuta in due atti di compravendita, redatti alla metà del sec. XI5, in cui il monastero di San Martino risulta invece edificatum vel consecratum in un luogo stavolta definito Novelleto, termine generalmente utilizzato nei documenti per indicare i terreni destinati da poco a vigneti6. La documentazione consente dunque di formulare due ipotesi: che un gruppo di monaci benedettini si sia insediato presso S. Martino in casa putida nel sec. IX e che in un secondo momento (fra i secoli X-XI) questi abbiano provveduto a bonificare il terreno della chiesa, destinandolo alla coltivazione delle vigne; che i benedettini si insediarono dapprima presso la chiesa citata dal documento di sec. IX e che a causa dell’insalubrità della zona, in un secondo momento (sempre nell’arco temporale fra i secoli X-XI) si spostarono in un luogo più salubre, ove ricostruirono il loro monastero e destinarono il suolo alla coltivazione appunto delle vigne. Lo studioso locale Colombo Bastianelli, dando credito alla prima ipotesi, propone che il cenobio benedettino di sec. IX si trovasse nelle immediate vicinanze del Fosso Freddano (che scorre ad occidente del paese vicino Porta Viterbese), ricollegando così l’appellativo “casa putida” al corso d’acqua7, e che in un secondo momento i benedettini si spostarono, per riedificare il monastero, nel luogo dove sorge ancora oggi. Del resto Pietro Egidi, all’inizio del Novecento, segnalava un documento del 1343, in cui S. Martino in Casa Putida era una contrada ormai in stato di abbandono, prossima al monastero e ad esso appartenente, ma non corrispondente alla posizione del monastero stesso8. Purtroppo le ricerche condotte fino ad oggi non hanno (ancora) ripor2 3 4 Reg. Farf., II, 239, doc. 283. EGIDI 1907, pp. 15-16. “Putidus, a, um:1. putrefatto, marcio, guasto, putrido, puzzolente, fetido; 2. molesto, fastidioso, schifoso” in CASTIGLIONI, MARIOTTI 1996, p. 1045. 5 Rispettivamente negli anni 1045 e 1048 (EGIDI 1907, pp. 97-102). 6 Ibidem, p. 17. 7 BASTIANELLI 1997, pp. 15-16. 8 EGIDI 1907, p. 16. 294 293-314_Serino_01_Antista 26/09/13 17.07 Pagina 295 tato alla luce i resti di una struttura riconducibile ad una chiesa nella zona a valle del paese9, in modo da poter convalidare l’ipotesi, maggiormente plausibile, sostenuta da Colombo Bastianelli e Pietro Egidi; si consideri inoltre la mancanza di evidenti resti di una preesistenza all’interno della attuale chiesa di San Martino che si possano ricondurre ad una struttura di sec. IX (la ecclesia S. Martini in Casa Putida) e che diano invece credito alla prima ipotesi10. Obiettivo prossimo della ricerca sarà appunto il proseguimento delle ricognizioni archeologiche nei territori pertinenti all’abbazia, nonché lo studio sistematico delle superfici murarie del monastero, al fine di fare finalmente chiarezza sulle precise origini del cenobio11. Cenni storici A prescindere dalla tesi che si vuole seguire sulla posizione originaria del complesso, l’abbazia di San Martino, come documentato dal Regesto Farfense12, fu dunque all’inizio un cenobio benedettino sotto le dipendenze di Farfa e soltanto al sec. XI risalgono i primi documenti in cui questo risulta possedere un patrimonio distaccato da essa13. Nonostante il distacco dall’abbazia di Farfa, il monastero non dovette avere molta fortuna, se alla metà del sec. XII questo era gravato già da rilevanti debiti. Per risolverne il disordine amministrativo, papa Eugenio III provvide a sostituire i monaci benedettini con una colonia di cistercensi provenienti dal monastero di S. Sulpicio in Savoia, filiazione dell’abbazia-madre di Pontigny14. Eugenio non ottenne però i miglioramenti sperati nel risolle9 Le indagini si sono concentrate nel territorio compreso fra l’abbazia e la città di Viterbo, in località Macchia dell’Ospedale, ed in quello compreso fra l’abbazia stessa ed il lago di Vico, in località Posta Vecchia. Presso la Macchia dell’Ospedale sono emersi i resti medievali di un ponte (il Ponte Capello, forse edificato proprio dai monaci di San Martino) e di una struttura avente probabilmente una funzione di tipo assistenziale (la presunta Osteria della Porchetta), oltre ad alcune tracce di cava in prossimità del Ponte Capello; in località Posta Vecchia sono stati studiati i resti di un insieme complesso di edifici utilizzati dapprima nel ‘500 come osteria ed in un secondo momento come stazione di posta, fra i quali si distinguono i resti di una chiesa (S. Maria Incoronata) e di una coppia di ipogei ascrivibili in base ad un confronto tipologico ai secc. V-VII d.C. (SERINO 2010, pp. 87-131). 10 Unica particolarità finora riscontrata è la presenza, nell’abside della chiesa, di alcuni blocchi di riutilizzo di dimensione maggiore rispetto al resto dei conci, forse provenienti da una precedente struttura benedettina. 11 Il monastero cistercense di San Martino al Cimino è attualmente oggetto di studio in un progetto di ricerca in ambito del XXVI ciclo della Scuola di Dottorato “Archeologia medievale: strutture della società, insediamenti e organizzazione del territorio, attività produttive” presso l’Università degli Studi de L’Aquila. 12 Cfr. nota 2. 13 EGIDI 1907, pp. 97-106. 14 Diversi autori indicano il 1150 come la data più probabile di questa sostituzione (EGIDI 1907, pp. 18-19). 295 293-314_Serino_01_Antista 26/09/13 17.07 Pagina 296 vare la fortuna del monastero, anche a causa dei continui attacchi dei briganti da cui i monaci tentavano di difendersi con la forza, rischiando continuamente la scomunica15. La ripresa dell’abbazia avvenne grazie all’intervento di papa Innocenzo III che nel 1207 operò una nuova sostituzione di monaci, insediando a S. Martino un gruppo di cistercensi provenienti questa volta direttamente da Pontigny16. Per sostenere l’attività dei nuovi monaci insediati, Innocenzo deliberò una serie di provvedimenti al fine di accrescere le entrate dell’abbazia: favorì il recupero di alcuni possedimenti sottratti, concesse nuovi beni e riconfermò i privilegi emanati prima di lui da Eugenio III, Alessandro III e Lucio III (fra cui l’esenzione dalle decime, la proibizione di erigere chiese nelle parrocchie dipendenti dal monastero, il divieto ai monaci di vendere beni senza l’autorizzazione dell’abate)17. Fu il periodo di maggior floridezza economica per San Martino e i suoi possedimenti si estesero notevolmente18; il monastero divenne rinomato per le autorità che ospitava e per il rigore della sua osservanza monastica19. Nei primi decenni del sec. XIV ebbe inizio il declino: nel 1317 il monaco Lando Gatti (figlio del tiranno di Viterbo Silvestro Gatti e bisnipote di Raniero Gatti20) uccise l’abate Guglielmo, s’impadronì col padre delle decime raccolte dal monastero e degli altri suoi beni, cacciò i cistercensi con le armi e al loro posto insediò dei monaci favorevoli alla politica della famiglia Gatti21. Solo in seguito all’uccisione di Silvestro Gatti nel 1329 (ad opera di Faziolo di Vico)22 i monaci riuscirono a tornare a S. Martino ma i danni della devastazione resero difficile la vita del monastero per molti anni; ancora nel 1337 risulta infatti un debito di seicento fiorini d’oro con la camera apostolica per la decima mai consegnata, perché rubata da Lando Gatti23. Le rendite non tornarono mai più sufficienti per mantenere una congregazione numerosa24. 15 BENTIVOGLIO, VALTIERI 1973, p. 19; in questo periodo vivevano ormai nel complesso appena tre monaci (ibidem, p. 13). 16 MORONI 1860, vol. CI, p. 221; EGIDI 1907, pp. 21-22. 17 Bolla del 28 gennaio 1208 di Innocenzo III all’abate Pietro, in EGIDI 1907, pp. 23-24. 18 La modalità di formazione del patrimonio fondiario di un’abbazia (attraverso donazioni o acquisizioni di terre) incideva molto sul conseguente sviluppo di esso (PICCINNI 2006, p. 50), per questo è risultato utile, nel corso delle ricerche (SERINO 2010, pp. 29-49), effettuare alcune considerazioni sullo sviluppo del patrimonio che appartenne al monastero di San Martino che, in quanto abbazia Nullius Diocesis, aveva poteri e obblighi pari a quelli di una diocesi e l’ubbidienza che i suoi abitanti dovevano ad esso era secondaria soltanto all’autorità papale (MORONI 1860, Vol. XCV, p. 151). 19 Ibidem, Vol. CI, p. 222. 20 PINZI 1887, Vol. III, pp. 138-139. 21 EGIDI 1907, p. 63. 22 LANCONELLI 1999, pp. 594-595. 23 EGIDI 1907, pp. 64-66 nota 3. 24 Nel 1329 a S. Martino vivevano solo quattro monaci e tre conversi, nel 1357 cinque 296 293-314_Serino_01_Antista 26/09/13 17.07 Pagina 297 Nel 1379, con Clemente VII, ebbe inizio l’uso di concedere in commenda l’abbazia nel tentativo di sottoporla a una gestione più efficiente25. I vari abati commendatari non sembrarono comunque svolgere un’azione molto incisiva dal punto di vista amministrativo, così il monastero, abbandonato a se stesso, arrivò nel 1426 a comprendere addirittura solo l’abate e un monaco26; nel 1463 papa Pio II fece visita al monastero e descrisse le condizioni di abbandono in cui verteva27. Solo nel 1645, quando il paese divenne principato sotto il regno di donna Olimpia Maidalchini, San Martino tornò ad una nuova fase di benessere28. Con l’erezione a principato, il centro non era più posto sotto l’autorità episcopale ma sotto quella di un cardinale eletto direttamente dai Pamphili. I monaci furono sostituiti da un collegio di canonici sottoposto a un arciprete29. Nonostante i tentativi di Olimpia di creare un centro autonomo30, il feudo non raggiunse mai la piena vitalità, soprattutto dopo che il nuovo papa Alessandro VII abrogò tutti i privilegi precedentemente concessi alla popolazione di S. Martino31. Il principato rimase nelle mani dei Pamphili fino alla morte dell’ultimo di loro, Giordano, nel 1760. Per concessione di Clemente XIII, San Martino passò ai Doria Landi, che ancora agli inizi del Novecento possedevano qui la maggior parte dei territori ed il palazzo Pamphili32. Il borgo fu annesso come frazione al Comune di Viterbo nel 192833. Da monastero a borgo. Il complesso abbaziale Come già affermato, non sono attualmente rintracciabili all’interno del monastero resti di una muratura attribuibili al periodo altomedievale e del resto le prime notizie certe sugli ambienti abbaziali di San Martino risalgono agli inizi del sec. XIII. Un atto di compravendita testimonia infatti che nel 1217 era stato da poco completato il refettorio dell’abbazia34; se si considera inoltre quanto prescritto dalla legislazione cistercense35, è monaci e un converso, nel 1369 sei monaci e tre conversi (Ibidem, p. 66 nota 1). 25 PETRUCCI 1987, p.7 26 EGIDI 1907, p. 75. 27 SCRIATTOLI 1920, p. 307. 28 PETRUCCI 1987, p. 15. 29 Ibidem, p.10. 30 Nel 1654 a S. Martino sarà conferito il titolo di città (ibidem, p.15). 31 Ibidem, p. 15. 32 EGIDI 1907, p.89. 33 PETRUCCI 1987, p. 29. 34 BENTIVOGLIO, VALTIERI 1973, p. 19. 35 I Capitula, disponevano che il trasferimento di un gruppo di monaci nella nuova fon- 297 293-314_Serino_01_Antista 26/09/13 17.07 Pagina 298 molto probabile che nel 1217 esistessero anche gli altri ambienti essenziali per la vita monastica e il culto, ossia la sala capitolare, il locutorium36, il refettorio, il dormitorio dei monaci e almeno una parte della chiesa. Un’altra notizia certa risale al 1225, data incisa sull’architrave di una porta (oggi murata) che collegava sagrestia e sala capitolare; l’anno fu probabilmente quello di consacrazione della chiesa. Infine l’esistenza del chiostro (di cui oggi rimangono purtroppo pochissimi resti) è attestata almeno dal 124437. Si può dunque notare come le prime menzioni dei diversi ambienti del complesso monasteriale risalgano allo stesso periodo in cui si insediò a San Martino la colonia di Cistercensi provenienti dall’abbazia di Pontigny. Del resto se si accetta che furono i pontiniacensi a costruire la quasi totalità degli ambienti civili del monastero, acquisirebbe senso anche l’anomalo orientamento di questi ultimi rispetto all’edificio ecclesiastico: le abbazie cistercensi tendevano, per motivi strutturali e climatici, a posizionare l’elemento più ingombrante del complesso, la chiesa, a nord (da dove soffia il vento di tramontana)38 ma San Martino, per contro, presenta la chiesa nella parte sud, proprio come l’abbazia di Pontigny. È possibile dunque che l’anomalia di orientamento sia dipesa da un’eredità di impostazione architettonica dell’abbazia madre. Un piccolo codice datato al 1305 consente di conoscere con precisione quanto agli inizi del sec. XIV il complesso monasteriale si fosse ampliato39: il documento riporta in successione la presenza all’interno dell’abbazia di un monasterium, della chiesa, di un palatium parvum, della sacristania superior (o armarium), dello scriptorium, dell’infirmitorium, del locutorium, del refettorio, degli appartamenti dell’abate, della sala dei monaci (o scriptorium), del forno, di una fucina e infine di un mulino. L’ampiezza del monastero rispecchia pienamente il benessere raggiunto in seguito all’instaurazione della colonia cistercense di Pontigny. Per molto tempo probabilmente la struttura documentata dal codicetto del 1305 rimase tale, in relazione alla fase di declino avviata dal sacco di dazione poteva avvenire soltanto in seguito alla costruzione di determinati ambienti monastici: oratorio, refectorio, dormitorio, cella hospitum, portarum. STERCAL, FIORONI 2004, pp. 51 e segg. 36 Luogo del monastero, destinato dagli antichi monaci alla ricreazione dopo la mensa, e per discorrere di cose spirituali in MORONI 1852, Vol. XXXIX. 37 BASTIANELLI 1997, p. 14. 38 È questo ad esempio il caso delle abbazie di La Fertè, Clairvaux, Fossanova, Chiaravalle Milanese e Fontenay (BENTIVOGLIO 1991, p. 8). 39 Nell’anno in cui salì sul seggio abbaziale, fra il 12 ed il 26 aprile del 1305, l’abate Enrico fece compilare alcuni dettagliati inventari per conoscere il preciso stato patrimoniale dell’abbazia; gli inventari, giunti oggi sottoforma di un codicetto cartaceo, furono pubblicati da Pietro Egidi (EGIDI 1907, pp. 9-11). 298 293-314_Serino_01_Antista 26/09/13 17.07 Pagina 299 Lando Gatti e proseguita con la fase delle commende. Per quello che concerne invece il periodo di unione dell’abbazia al capitolo di S. Pietro, negli Statuti di San Martino manca completamente ogni regolamentazione di tipo urbanistico ed edilizio ma traspare lo stesso qualche notizia sulla situazione del complesso alla fine del sec. XVI: esisteva una piazza antistante la chiesa, salvaguardata da qualsiasi manomissione e di cui le leggi ne imponevano la buona conservazione della scalinata, del muro di sostegno del ripiano superiore ad essa e della peschiera; il chiostro, menzionato ora come “cortile” era ormai divenuto di uso pubblico40. Un catasto del 1604 dimostra come il paese si fosse ampiamente sviluppato intorno al complesso abbaziale: in un primo tempo era stato riempito lo spazio interno alle mura medievali, costruendo alcune fasce di case addossate alle mura e formando una piazzetta che costituiva la prosecuzione più in basso della piazzetta antistante la chiesa. In un secondo momento l’abitato si estese fuori dalle mura medievali fino alla attuale Porta Viterbese, in direzione di una nuova strada di andamento rettilineo (oggi via Doria). Le direttrici di espansione erano state dettate dall’autorità del Capitolo di S. Pietro, attraverso i contratti di enfiteusi nei quali venivano definite le zone di espansione e le caratteristiche costruttive degli ampliamenti nuovi. Infine, prima dell’arrivo di Donna Olimpia Maidalchini nel 1645, diverse famiglie nobili (i Lanci, i Vindeman, i Raggi) costruirono le loro residenze fuori dalla cinta di mura del complesso abbaziale, organizzate intorno ad uno spazio trapezoidale nettamente staccato dalla struttura medievale e dall’edilizia minore sorta attorno ad essa. Con l’elezione a principato e gli interventi voluti da Olimpia Maidalchini, l’abbazia di San Martino subì una radicale trasformazione, sia del complesso abbaziale che nell’assetto urbanistico dell’area circostante. Per quello che riguarda infatti il monastero, l’antico palatium parvum fu ampliato e innalzato di un piano (per divenire l’attuale Palazzo Pamphili), il locutorium fu aperto su due lati e trasformato in corridoio d’accesso al piazzale del chiostro, la facciata della chiesa fu completamente rivista41. La riprogettazione del borgo invece, affidata all’architetto militare Marcantonio De Rossi, prevedeva di racchiudere la struttura urbana del borgo all’interno di due emicicli, collegati da muraglie a cui addossare una serie di case a schiera. L’emiciclo più a monte era costituito da un insieme di case, poste in maniera concentrica attorno all’abside dell’abbazia, con l’intenzione di valorizzare l’edificio ecclesiastico; queste case divenivano così la “nuova abside” dell’intero paese42. Lo schema riprendeva inoltre 40 41 42 PETRUCCI 1987, p. 7. Ibidem, pp. 10-11. GUIDONI 1987, p.12. 299 293-314_Serino_01_Antista 26/09/13 17.07 Pagina 300 alcuni elementi preesistenti nella struttura urbana, quali il palazzo baronale e la piazzetta trapezoidale con le residenze delle famiglie nobili43. Quest’intervento urbanistico, che fu forse il primo caso di costruzione pianificata di un centro abitato, conferì dunque al borgo di San Martino la caratteristica forma ellittica che possiede ancora oggi. Il circuito idraulico del monastero La scelta del luogo di fondazione di un’abbazia cistercense era sempre condizionata dal requisito essenziale della presenza di fonti di rifornimento idrico; quest’importanza attribuita alla disponibilità di acqua si ricollega alla costanza, in questi monasteri, della presenza di straordinarie opere di architettura per gli impianti di adduzione e smaltimento delle acque44. Nell’Europa del sec. XII esisteva già un buon grado di conoscenza della tecnica idraulica, ma il merito dell’Ordine Cistercense fu quello di applicare su vasta scala questo sapere e di diffonderlo in maniera capillare nell’intero continente, grazie anche al costante confronto che avveniva fra i monaci durante gli incontri annuali dei Capitoli45. Nel corso di un’indagine storico-archeologica di un complesso abbaziale cistercense, l’aspetto idraulico costituisce senz’altro una tematica interessante da affrontare, poiché il particolare passaggio dell’acqua poteva condizionare la disposizione stessa degli ambienti: la posizione del chiostro, ad esempio, variava a volte in relazione alla chiesa, per l’esigenza di collocare quest’ultima nel punto più alto del complesso monasteriale, in modo che le acque provenienti dalla cucina, refettorio, lavatoio e latrine confluissero in un punto lontano da essa e dagli edifici dei monaci e conversi46. Nel corso delle ricerche finora condotte ho avanzato l’ipotesi secondo cui anche i Cistercensi di San Martino elaborarono un circuito idraulico che permettesse l’utilizzo dell’acqua all’interno del monastero; non essendo purtroppo mai stati eseguiti interventi di scavo archeologico all’interno del complesso abbaziale, e non avendo dunque a disposizione tracce materiali del circuito, la ricerca fu condotta attraverso lo spoglio di documenti d’archivio ed il confronto tipologico con altri casi di studio italiani, oltre che attraverso la ricostruzione della distribuzione degli ambienti 43 44 PETRUCCI 1987, p. 10. Diverse sono in Europa le attestazioni materiali dell’abilità idraulica dei Cistercensi: a Fontenay, Obazine, Citeaux, Notre-Dame-la-Royale, Royaumont, Boxley, Ottenberg (RIGHETTI TOSTI CROCE 1993, BONDE, MAINES 2003, BONDE-MAINES 2012); in Italia studi della tecnica idraulica cistercense sono stati condotti nei monasteri di Chiaravalle di Fiastra, Fossanova e Tre Fontane (RIGHETTI TOSTI-CROCE 1993, pp. 47-51). 45 RIGHETTI TOSTI CROCE 1993, p. 39; PICCINNI 2006, p. 55. 46 PICCINNI 2006, p. 55. 300 293-314_Serino_01_Antista 26/09/13 17.07 Pagina 301 abbaziali, l’analisi della attuale rete di fognatura e l’ausilio di alcune testimonianze orali47. In base alle ricerche, il circuito idraulico sfruttava l’evidente pendenza su cui sorge il monastero. L’acqua giungeva al complesso dalle sorgenti dette Capone e delle Fontanelle (a monte di Porta Romana) attraverso un condotto sotterraneo che sfruttava appunto questa pendenza. Il condotto passava sotto il locutorium e giungeva nel chiostro (dove oggi è piazza dell’Oratorio) confluendo in una cisterna che raccoglieva anche l’acqua piovana. Nel chiostro era anche un lavatoio, collegato da un altro condotto sotterraneo, sia alle cucine che alla cisterna. Da questa cisterna poi, una tubatura portava l’acqua fino ad una fontana (sottostante Piazza dell’Oratorio) all’esterno dell’ospedale, sul cui pavimento in pendenza correva un sistema a pettine di canalette, per permettere il deflusso dell’acqua utilizzata nell’ambiente. Infine dall’ospedale l’acqua, in parte depurata dalla ghiaia presente sul fondo delle succitate canalette, era trasportata fino alle stalle e negli orti a valle. Sebbene un modello generale di circuito idraulico cistercense non sia stato ancora messo a punto, dal confronto dei dati pubblicati negli studi sulle abbazie italiane di Fossanova, Tre Fontane e Chiaravalle di Fiastra48 sono emerse alcune analogie, che permettono di ipotizzare l’esistenza di un preciso criterio di costruzione. Entro questi criteri, con l’eccezione della fonte di approvvigionamento del circuito, sembra rientrare anche l’abbazia di San Martino. Innanzitutto, sia presso Fossanova che presso l’abbazia di Tre Fontane, sono stati rinvenuti dei canali sottostanti il sagrato della chiesa: nel primo caso il canale scorreva al di sotto del (probabile) ospedale, mentre nel secondo terminava in prossimità dell’edificio dei conversi. In secondo luogo, sia Fossanova che Chiaravalle di Fiastra disponevano di una cisterna sotterranea (al centro del chiostro nel caso di Chiaravalle) e di un sistema di condotti per la raccolta delle acque di gronda all’interno del chiostro. Secondo l’ipotesi di ricostruzione, anche San Martino presentava un canale che conduceva l’acqua in un percorso parallelo agli edifici dei conversi (l’ospedale e il palatium parvum), come nel caso delle abbazie di Fossanova e Tre Fontane. Il monastero presentava inoltre una cisterna sotterranea analogamente alle abbazie di Fossanova e Chiaravalle di Fiastra, come anche una serie di condotti nel pavimento del chiostro. L’ipotesi di ricostruzione prevedeva poi la presenza nell’antico chiostro di un lavatoio, simile ad una fontana presente nel chiostro dell’abbazia di Fossanova. 47 SERINO A., I Cistercensi e l’acqua: l’esempio di San Martino al Cimino, tesi di laurea, Anno Accademico 2007-2008, Relatore E. De Minicis, Università degli Studi della Tuscia. 48 RIGHETTI TOSTI CROCE 1993, pp. 47-51. 301 293-314_Serino_01_Antista 26/09/13 17.07 Pagina 302 Altro elemento in comune fra le abbazie di San Martino e Chiaravalle di Fiastra è l’adozione di un sistema di canali posizionati “a pettine” e costruiti in pendenza, per raccogliere e far defluire l’acqua utilizzata per la pulizia dell’ambiente: questi sistemi erano situati rispettivamente nell’ospedale di San Martino e nel refettorio di Chiaravalle49. Diversi elementi dimostrano come nei secoli successivi al Medioevo almeno una parte del circuito idraulico fu inglobato dentro la rete idrica dell’abitato che sorse attorno all’antica abbazia, così come avvenne, del resto, per l’intera struttura del monastero che entrò a far parte dell’agglomerato urbano. Per quello che concerne la cisterna del chiostro, due diverse planimetrie seicentesche (una delle quali antecedente alla sistemazione urbanistica voluta da Donna Olimpia) ne attestano la continuità d’uso almeno fino al sec. XVII50. A questa notizia va aggiunta la testimonianza della Istoria delle Fontane del 179251 e di una lettera dell’architetto Busiri del 26 settembre 187452, in cui risulta che i condotti che collegavano la sorgente delle Fontanelle alla piazza del chiostro continuavano ad essere utilizzati. Il documento del 1792 riporta inoltre che anticamente esisteva una fontana nella Piazza della Sagrestia dirimpetto alle Maestre Pie che fu levata da CH. M. dell’Eccellentissimo Don Girolamo Pamphilj e fu fatta nuovamente nella Piazza degli Olmi e che potrebbe ricollegarsi al lavatoio che in epoca medievale si trovava all’interno del chiostro. Attualmente parte delle strutture idrauliche realizzate a partire dal sec. XVII sono ancora visibili ed è stato possibile ispezionarne una parte, nella zona sottostante il complesso abbaziale: i condotti fognari seguono il perimetro esterno dell’abbazia e si ricongiungono in un unico condotto centrale che percorre l’attuale via Doria (l’asse viario principale dentro le mura urbane che collega la piazzetta sottostante l’abbazia alla Porta Viterbese) e prosegue all’esterno delle mura; in questo canale centrale confluiscono “a pettine” le condutture minori53. Interessante è la situazione del condotto fognario che scorre sotto via del Macello54 (stradina perpendicolare a via Doria, situata pochi metri più a valle rispetto all’abbazia) e che sfocia nel ciglio occidentale del paese; qui la tubatura moderna è stata sistemata sfruttando il preesistente condotto seicentesco ed è possibile che questo sistema di riutilizzo sia stato applicato per gran parte del sistema fognario del paese. 49 Ibidem, p. 48. 50 Custodite rispettivamente presso l’Archivio Doria-Pamphili e presso l’Archivio Vatica- no, sono entrambe pubblicate in BENTIVOGLIO 1973 (ill. 38 e 46). 51 Archivio Doria Pamphili, c. 1792 scaff. 59/1/7 pubblicato in PETRUCCI 1987, p. 66. 52 Archivio Doria Pamphili, scaff. 61/38/4 pubblicato in Ibidem, p. 68. 53 Come ad esempio quella emersa durante alcuni lavori di ristrutturazione a Palazzo Raggi (via Doria 16). 54 Cfr. Fig. 14. 302 293-314_Serino_01_Antista 26/09/13 17.07 Pagina 303 Conclusioni L’indagine storica e la ricostruzione degli ambienti del complesso abbaziale hanno permesso di appurare la notevole importanza acquisita dal monastero di San Martino al Cimino in seguito alla sostituzione della primordiale colonia benedettina con quella cistercense. L’importanza del cenobio si protrasse oltre l’epoca medievale: i monaci lasciarono un’impronta che sopravvisse sia nell’impianto urbanistico che nella distribuzione del sistema idrico-fognario del paese. L’intera abbazia ed il suo circuito idraulico non furono infatti soltanto inglobati nel successivo impianto urbano, ma costituirono un vero e proprio punto di riferimento, a cui attenersi per lo sviluppo del borgo nei secoli successivi. Sarebbe interessante proseguire lo studio sull’influenza esercitata dal monastero nei secoli successivi al Medioevo anche sotto altre prospettive di ricerca, quali l’analisi dell’uso del suolo, della viabilità e delle tecniche costruttive55. Anche in questi campi sono infatti stati individuati segni di continuità che potrebbero costituire un’ulteriore testimonianza del ruolo fondamentale svolto dal monastero di San Martino al Cimino per l’evoluzione del territorio in cui sorse. Abbreviazioni C. I. D.: CARTA IDROGRAFICA D’ITALIA, Fiume Marta e Lago di Bolsena. Torrente Mignone ed altri minori fra il Marta ed il Tevere, ROMA 1901. Reg. Farf.= Il Regesto di Farfa di Gregorio di Catino, a cura di I. Giorni e U. Balzani, Roma 1879. 55 SERINO 2010. 303 293-314_Serino_01_Antista 26/09/13 17.07 Pagina 304 Bibliografia ANDREWS 1982 = ANDREWS D., L’evoluzione della tecnica muraria nell’Alto Lazio in Biblioteca e Società, IV, Viterbo 1982. ASCANI 1993 = ASCANI V., Cistercensi. 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Serino). 308 293-314_Serino_01_Antista 26/09/13 17.07 Pagina 309 Il Ponte Capello in località Macchia dell’Ospedale. La sua datazione al sec. XIII e la collocazione lungo un diverticolo di collegamento della via Ciminia al monastero permettono di ipotizzarne la costruzione ad opera dei monaci di San Martino (foto A. Serino). I resti del chiostro medievale del monastero di San Martino (foto A. Serino). 309 293-314_Serino_01_Antista 26/09/13 17.07 Pagina 310 Complesso abbaziale di San Martino. Ricostruzione della distribuzione di alcuni ambienti nel medioevo. Il dormitorio dei monaci (al piano superiore) era in origine direttamente collegato attraverso una scaletta alla chiesa ma questa fu rimossa e spoliata nel sec. XVII. Il paese di San Martino al Cimino oggi, visto dall’alto. È ben visibile la forma ellittica delle mura urbane seicentesche che circondarono il complesso abbaziale. 310 293-314_Serino_01_Antista 26/09/13 17.07 Pagina 311 Il moderno Palazzo Pamphili che in epoca medievale corrispondeva al palatium parvum, utilizzato come magazzino ed ospedale al piano inferiore e come dormitorio dei conversi al piano superiore (foto A. Serino). Antico locutorium del monastero, sfondato e trasformato in corridoio in seguito ai lavori di ristrutturazione pamphiliani nel Seicento. (foto A. Serino). 311 293-314_Serino_01_Antista 26/09/13 17.07 Pagina 312 Ipotesi di ricostruzione del circuito idraulico del monastero di San Martino. I tratti a linea continua corrispondono alle condutture idrauliche riscontrate mentre è solamente ipotizzato il percorso delle parti tratteggiate. (Serino 2010). Pianta seicentesca dell’abbazia conservata presso l’Archivio Doria Pamphili (Banc. 59, n. 11, fol. 46). Nel lato nord del chiostro è rappresentata una cisterna sotterranea. (Petrucci 1987). 312 293-314_Serino_01_Antista 26/09/13 17.07 Pagina 313 Planimetria del monastero antecedente alla sistemazione pamphiliana. All’interno dello spazio del chiostro, in basso a destra, è rappresentata una cisterna. (Petrucci 1987). Conduttura seicentesca sottostante l’attuale piazza dell’Oratorio (zona del chiostro medievale). I tre diversi rami del condotto si dirigevano rispettivamente verso il locutorium (a monte), verso Palazzo Pamphili (a valle) e verso la cucina (verso est). (foto A. Serino). 313 293-314_Serino_01_Antista 26/09/13 17.07 Pagina 314 Schema della principale rete fognaria moderna (1. via Cadorna, 2. via Doria, 3. via del Macello, 4. Piazza Nazionale). Archivio Tecnico Comunale di Viterbo. Rilievo approsimativo della condotta fognaria seicentesca riutilizzata in via del Macello. Il condotto scorre in senso parallelo rispetto alla via e sfocia nello strapiombo del pianoro, oltre le mura urbane, sul lato occidentale del paese. 314