9 Cento anni or sono, nel 1912, Auguste Rodin visitò il Vittoriano, il mo

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9 Cento anni or sono, nel 1912, Auguste Rodin visitò il Vittoriano, il mo
2.
Giovanni Battista Piranesi
(1720-1778)
Il Campo Marzio dell’Antica
Roma, 1762
acquaforte, mm 760 x 497
Istituto nazionale
per la grafica, Roma
1. (p. 6)
Veduta aerea del Vittoriano,
1993
Cento anni or sono, nel 1912, Auguste Rodin visitò il Vittoriano, il monumento eretto a re Vittorio Emanuele II. Inaugurato pochi mesi prima,
nel giugno 1911, il monumento fu definito dal grande scultore «una
delle cose belle dell’epoca moderna.»1 Rodin ammirò in modo particolare le «meravigliose scalinate […] così numerose a Roma», mostrando
di apprezzare l’impianto architettonico che faceva da preludio all’imponente complesso (fig. 1).
Il presente saggio illustra gli sforzi che una generazione temprata dalle
lotte risorgimentali profuse nella realizzazione di un’opera estremamente ambiziosa, segnata dalle controversie circa la sua collocazione e dai
tentativi di definire la Terza Roma: un’opera che sarebbe sorta sulle antiche rovine, testimonianze di un potere e di un dominio che ci si proponeva di rievocare.
I monumenti ottocenteschi, grandi apparati in bronzo e marmo, rappresentavano all’epoca l’ambizione collettiva e l’energia economica di una
comunità nel suo desiderio di commemorare un evento storico, rendere
onore a un eroe o, nel caso del Vittoriano, celebrare la rinascita di una
nazione unita. Oggi il Vittoriano permette di analizzare in un’ottica postmoderna le dinamiche generatrici dei “luoghi della memoria”, come sostiene Pierre Nora; in altre parole è il rituale stesso della commemorazione a costruire la storia e la memoria.
È ancora possibile individuare l’affermazione nazionale e monumentale, un tempo oggetto di grandi ambizioni, in un’epoca di nanotecnologie in cui la gente è impegnata a scrivere sms persino mentre cammina?
In effetti è possibile trarre una lezione tutta nuova dall’espressione simbolica del Vittoriano, costruito sulle antiche fondamenta di edifici
espropriati e sulle rovine della grande civiltà antica.
Il Vittoriano evoca le radiose aspirazioni risorgimentali dell’Italia unita,
che ben presto si sarebbero dissolte nell’infamia del totalitarismo fascista, con le sue sistematiche distruzioni. L’espressione “teatro della memoria” descrive in maniera adeguata questo monumento come luogo
che inscrive al tempo stesso il patriottismo e l’onore nazionale nel sacrificio della gioventù in tempo di guerra.2 L’imponente scalinata e le terrazze erano il punto focale delle parate militari che celebravano la partenza per la guerra di quei giovani, e costituivano un palcoscenico ideale
per le manifestazioni pubbliche nel cuore di Roma. Il bianco complesso
di marmo si affaccia sui Mercati di Traiano e, passate le rovine del Foro Romano, incornicia via dei Fori Imperiali (fig. 3); le sue terrazze più
alte guardano verso il Colosseo e la sua struttura completa il lato nord
della celebre area del Campidoglio (fig. 4). Le espropriazioni iniziarono
fin dalla fondazione del monumento, mentre la demolizione e lo spostamento degli edifici minori in epoca mussoliniana – come nel caso della
chiesa barocca di Santa Rita nel 1930 – andarono di pari passo con il
successivo ampliamento della adiacente via del Teatro Marcello.3 Il Vittoriano è un complesso architettonico dalla reputazione instabile e assai controversa, collocato com’è al centro delle colossali opere dell’impero romano, di cui riprende alla lettera le grandiose dimensioni.
9
3.
Veduta del Vittoriano
e del Foro di Traiano,
1920-30 ca.
fotografia d’epoca
4.
Veduta aerea di Roma.
Sono ben visibili
il Vittoriano e il Colosseo,
1930 ca.
fotografia d’epoca
10
Tutti i monumenti sono gesti pubblici costantemente sottoposti alla valutazione generale, sia durante la loro costruzione che nel corso del tempo, mutando di volta in volta significato simbolico. Fin dall’inizio, la storia del Vittoriano è stata più difficile di altre. Al giorno d’oggi, architetti
e scultori stanno riportando in vita un modello di monumento in grado
di attrarre ed educare i visitatori attraverso ambienti, installazioni e strutture che siano espressioni di una cultura pubblica. Per ironia della sorte,
questi sviluppi postmoderni appaiono degni di considerazione nell’esperienza contemporanea dopo la lunga marcia verso la piena accessibilità
del Vittoriano, che ha oggi le funzioni di archivio, museo storico, spazio
per mostre temporanee e monumento commemorativo.
Le questioni legate all’importanza dell’arte pubblica, attualmente oggetto di frequenti dibattiti, coinvolgono a pieno titolo anche il Vittoriano:
siamo in grado di cogliere la storia dei monumenti del passato? Esiste
una procedura rituale che regoli l’approccio agli spazi predeterminati di
un monumento? Gli artisti o le forze politiche possono intervenire per fare in modo che gli antichi monumenti tornino a parlare a un pubblico
moderno? E infine, i monumenti devono evocare il legame visibile con le
rovine di un passato sepolto sotto di loro?
Nel suo esame delle utopie attraverso l’analisi de Il Campo Marzio dell’Antica Roma di Giovanni Battista Piranesi (fig. 2), Manfredo Tafuri dimostra l’esistenza di un’inattesa capacità di appropriarsi delle rovine.
L’autore afferma che «[…] la lotta fra architettura e città, fra le istanze
dell’ordine e il dominio dell’informe […] assume una tonalità epica […]»
e che «non si dà altra possibilità, ormai, che quella dell’alienazione globale e volontaria, in forma collettiva […] luogo del totale disordine.»4
Questa desolata accettazione della realtà urbana fornisce un parallelo
appropriato con i diversi strati del Vittoriano, nato da un processo di
espropriazione e frettoloso dissotterramento di resti archeologici. Come
vedremo, la scelta del sito su cui sarebbe sorto il monumento fu il frutto
di una decisione consapevole, formulata sulla base di un voto democratico, con l’obiettivo di riallacciarsi allo status storico assolutamente unico del Campidoglio, uno dei punti più alti da cui osservare la città. L’audace ubicazione e il luccichìo del marmo botticino proveniente da
Brescia attraggono ancora oggi i visitatori verso questo luogo che si sviluppa su più livelli.
La storia dei provvedimenti adottati nel corso dell’Ottocento relativamente al sito – anche nel periodo in cui Vincenzo Vela lavorava per la
Reale Commissione – si riflette sull’attualità. A questo proposito sarà anche utile esaminare i rapidi cambiamenti delle tipologie monumentali avvenuti dall’epoca del lavoro di Vela.
Oggi, i monumenti commemorativi rispondono a un modello di progetto architettonico o composizione astratta che permette la creazione di
uno “spazio incarnato”. In altre parole, il pubblico stesso è il “corpo”
che circola all’interno dello spazio monumentale e dà significato alle immagini e alle parole in esso contenute. All’epoca dei primi progetti per il
11
5.
Wilhelm Lehmbruck
(1881-1919)
Il caduto, 1915-16
bronzo, cm 72 x 239 x 83
Nationalgalerie, Berlino
Vittoriano, il corpo del re quale espressione simbolica dell’unità e della
vittoria divenne oggetto di contesa tra la Chiesa e lo Stato, mentre si trascinavano le discussioni per risolvere le divergenze sul sito che avrebbe
ospitato la tomba reale.
La retorica della scultura eroica conobbe un mutamento di stile e di significato a partire dal periodo successivo alla prima guerra mondiale, quando gli interrogativi sull’impatto della figura dell’eroe in posa eretta e
trionfante vennero sollevati con esiti opposti, ora a favore delle politiche
totalitarie, ora di quelle democratiche. Reazioni al massacro di un’intera
generazione – testimoniate dai corpi scarni ed espressivi del tedesco Wilhelm Lehmbruck, ad esempio (fig. 5) – si manifestano nelle forme allungate, espressione di melanconia e sconfitta. Per contrasto, nell’Italia fascista degli anni ’20 e in altri stati totalitari, gli scultori vennero incaricati
della realizzazione di figure monumentali e rilievi decorativi (ad esempio
il Foro Italico di Mussolini o il quartiere dell’EUR a Roma). La forma ridotta e stilizzata ricorre in molte manifestazioni artistiche, ma è collegata
in modo particolare a La scultura lingua morta, il libro che Arturo Martini pubblicò nel 1945, due anni prima della scomparsa, in cui il linguaggio plastico cerimoniale e commemorativo è visto come il segno della
morte della scultura stessa.5
Nella pittura metafisica del ciclo Piazze d’Italia, Giorgio de Chirico evoca la storia italiana dell’Ottocento nella forma di sculture in silhouette:
fantasmi di ciò che un tempo era espressione di potere e autorità o simbolo della patria. Nell’arte proto-surrealista di de Chirico, i monumenti
di Milano e Torino sono ridotti a forme spettrali che si insinuano nei colonnati delle piazze italiane come ne La torre rossa (fig. 6). L’Italia raffi12
6.
Giorgio de Chirico
(1888-1978)
La torre rossa, 1913
olio su tela, cm 73,5 x 100,5
Collezione
Peggy Guggenheim,
Venezia
gurata in queste immagini era quella sognata dal pittore metafisico mentre si trovava a Parigi, alla vigilia della prima guerra mondiale. L’incarnazione dello spirito del Risorgimento, gli eroi protagonisti delle grandi gesta del passato che de Chirico venerava nelle figure del re e del padre, si
sono trasformati in un’idea impossibile, un’ombra intrappolata in
un’enigmatica nostalgia.
Andrew M. Shanken ha concentrato l’attenzione sul dibattito svoltosi nel
primo dopoguerra relativamente alla forma più appropriata da adottare
per la commemorazione dei caduti: valeva ancora la pena investire nella
realizzazione di statue, obelischi e archi trionfali di tipo tradizionale?
Non dovrebbero i nuovi monumenti essere piuttosto “memoriali viventi”,
progetti anche molto diversi tra loro come sale commemorative, centri comunitari, boschi e persino ponti e autostrade?6 Nel tardo Novecento, gli
effetti dello spaventoso genocidio e delle guerre coloniali hanno determinato un profondo cambiamento dei monumenti, diventati luoghi della
memoria e della riflessione, con i nomi consacrati dei caduti, in forma di
siti paesaggistici o spazi architettonici. Il Vietnam Veterans’ Memorial di
Maya Lin (fig. 7) si focalizza sull’osservatore/testimone che vede la propria immagine riflessa sulla lucida superficie delle pareti di granito nero
incise con i nomi dei caduti. Il testimone della storia è diventato il “corpo” che si muove attraverso i segni e gli spazi creando significato e dando vita allo “spazio incarnato”.7 Altre soluzioni prevedono la creazione
di complessi architettonici inscritti letteralmente nella forma costruita della commemorazione, come la Shahyad Aryamehr di Teheran (fig. 8). Il
bianco arco astratto, edificato nel 1971 dall’ultimo scià Mohammed
Reza Pahlavi per commemorare i 2500 anni della fondazione dell’impero persiano, ha sperimentato un drastico cambiamento di significato nel
13
7.
Maya Lin (* 1959)
Vietnam Veterans’ Memorial,
1982
Washington DC
1979, allo scoppio della rivoluzione islamica, quando è stato rinominato Borj-e Azadi (Torre della libertà).8 A differenza del Vietnam Veterans’
Memorial, che induce un’autoanalisi riflessiva e di fatto rifugge ogni
glorificazione, lo Shahyad Aryamehr costruito a Teheran è connotato
da una grandeur modernista che richiedeva imponenti spazi, di cui in seguito ci si è appropriati per formulare un nuovo messaggio ideologico.
Non vi è dubbio che alla fine dell’epoca risorgimentale la realizzazione del
Vittoriano rispondeva all’ambizione di lasciare un’impronta su Roma, rivendicandone la gloriosa storia antica e la grandeur imperiale, e questo
fin dal principio, durante il periodo romano di Vela all’inizio degli anni
’80 dell’Ottocento, quando nacquero i primi progetti per il monumento,
basati su concetti scultorei. Il Vittoriano era dedicato al re e alla nazione,
nel solco dell’ideale risorgimentale dell’unità dello stato-nazione. Tuttavia, come vedremo, l’aspro dibattito sul luogo in cui custodire le spoglie
del re si concluse nel 1884 con la decisione di trasferirle al Pantheon, e
l’idea della nazione incarnata nella persona del sovrano trovò espressione
simbolica nella statua equestre che lo raffigura. La ripresa di simili forme
risalenti alla figura di Marco Aurelio, e in generale al ruolo degli imperatori, diventerà poi l’elemento critico dei monumenti realizzati dalle democrazie occidentali e cadrà in disgrazia insieme all’architettura grandiosa e
magniloquente. Nel Novecento l’eroe precipiterà dal suo piedistallo.
Mentre negli anni ’80 dell’Ottocento artisti, architetti e politici cercavano di dar vita a uno stile risorgimentale, prendendo in considerazione
progetti urbani in grado di fornire una via d’accesso al monumento alla
Terza Roma, il già premiato architetto Giuseppe Sacconi venne scelto per
costruire un colossale scenario architettonico articolato in un’imponente
14
8.
Hossein Amanat (* 1942)
Shahyad Aryamehr
(oggi Borj-e Azadi), 1971
Teheran
scalinata che conduce a un colonnato sopraelevato sul fianco del colle.
Sacconi aveva certamente studiato il grandioso altare del Santuario della
Fortuna Primigenia a Praeneste (oggi Palestrina), con le sue cinque terrazze (fig. 9).9 A questa struttura, oggi sepolta nel mezzo della città moderna, il Vittoriano deve indubbiamente molto. Anche l’architettura del
tedesco Leo von Klenze che riprende il Partenone per il suo Walhalla
(fig. 10), realizzato nel secondo quarto del secolo – di cui Sacconi aveva
un’approfondita conoscenza –, è stata identificata come possibile fonte
di ispirazione, per quanto sorprendente, che ha condotto alle dimensioni colossali del monumento.10
Non deve dunque sorprenderci di trovare reminiscenze del Vittoriano (o
forse si tratta sempre del Walhalla?) nel progetto per il rinnovo e l’ampliamento del Whitney Museum of American Art che Michael Graves elaborò nel 1989. In questo progetto, la citazione del colonnato che Sacconi
aveva tradotto in tratto dominante per ancorare l’architettura orizzontale alla sommità del monumento, diviene un elemento utile ad amalgamare strutture preesistenti, in particolare il progetto brutalista di Marcel
Breuer per il nucleo originario del museo. La proposta di Graves divenne oggetto di tali controversie da impedire qualsiasi possibile rinnovamento dell’attuale museo e degli immobili adiacenti per i successivi venti
anni.11 Proprio come gli architetti del Vittoriano, anche Graves aveva deciso di costruire al di sopra della struttura più antica (in questo caso non
sarebbe stato necessario espropriare molti edifici, ma ciò bastò a provocare una crisi nell’Upper East Side di New York) e il suo progetto evoca
la bizzarra collisione tra linguaggio postmoderno e citazioni classiche
che il Vittoriano stesso, misteriosamente, annuncia.
L’intero sito del Vittoriano è attivo su molti livelli della storia e della me15
9.
Plastico ricostruttivo del
Santuario della Fortuna
Primigenia
Museo archeologico
nazionale, Palestrina
10.
Leo von Klenze (1784-1864)
Walhalla, 1830-42
Donaustauf
16
moria, in ambito sacro e profano: dal turista di passaggio allo storico del
Risorgimento, al patriota, tutti vi troveranno punti di interesse. Esso
contiene al tempo stesso una lezione di storia e un monito, e la sua mole orizzontale insieme all’asse verticale forma un teatro della memoria
dal quale è possibile contemplare la città di Roma, in particolare dalle
terrazze superiori da cui si gode di una veduta panoramica sui monumenti antichi. Sotto la statua equestre di Vittorio Emanuele, il milite
ignoto giace nella profondità della cripta aggiunta nel 1935, ma attraverso la fiamma eterna il suo spirito è collegato alla quadriga che si muove
verso il cielo, in stile nazional-statalista. Il saggio che segue è incentrato
sulle decisioni iniziali della prima commissione chiamata a scegliere l’artista – scultore o architetto – che avrebbe progettato il monumento e a
individuarne una nuova collocazione urbana nel centro storico della capitale. Gli archivi del Museo Vincenzo Vela, insieme ai documenti conservati a Roma, permettono oggi agli studiosi di monumenti storici di riflettere sulle origini del processo che ha portato alla sua creazione, prima
dei tumultuosi eventi che si sarebbero verificati di lì a poco.
Note
1
Lettera indirizzata da Auguste Rodin
a Charles Morice, datata 1° gennaio 1912,
in Auguste Rodin, Correspondance, Paris,
1985-92, vol. III, p. 180. Citata anche in
Catherine Brice, Monumentalité publique
et politique à Rome. Le Vittoriano, Rome,
1998, p. 1.
2
David Atkinson, Denis Cosgrove,
“Urban Rhetoric and Embodied Identities:
City, Nation, and Empire at the Vittorio
Emanuele II Monument in Rome,
1870-1945”, in Annals of the Association
of American Geographers, vol. 88, n. 1,
1998, pp. 28-49.
3
Richard Krautheimer, The Rome of
Alexander VII, 1655-67, Princeton,
1985, p. 176.
4
Manfredo Tafuri, Progetto e utopia.
Architettura e sviluppo capitalistico,
Roma-Bari, 1973, pp. 18-22.
5
Penelope Curtis (a cura di), Scultura Lingua
Morta. Sculpture from Fascist Italy,
cat. della mostra, Leeds-Rovereto, 2003.
A p. 14, Penelope Curtis illustra nei dettagli
la storia decennale del Foro Mussolini,
realizzato da Renato Ricci, in cui si
mescolano stili architettonici eterogenei,
anche se il lavoro dei numerosi artisti si
contraddistingue per l’«uniformità dello
schema scultoreo».
6
Andrew M. Shanken, “Planning Memory:
Living Memorials in the United States during
World War II”, in The Art Bulletin, vol. 84,
n. 1, 2002, p. 130.
7
Atkinson, Cosgrove, “Urban Rhetoric…”,
op. cit., p. 28 sgg.
8
Talinn Grigor, “Of Metamorphosis: Meaning
on Iranian Terms”, in Third Text, vol. 17,
n. 3, 2003, pp. 205-225; p. 220: «Shahyad
Square è divenuta Azadi Square e la stessa
Shahyad è stata ribattezzata […] i musei
chiusi […] gli oggetti d’arte trasferiti in altri
musei o semplicemente distrutti».
9
Terry Kirk, The Architecture of Modern
Italy. 1. The Challenge of Tradition,
1750-1900, New York, 2005, p. 236.
10
Paolo Marconi, “Sfortuna critica del
Vittoriano: troppo teutonico per gli italiani”,
in Gian Carlo Capici, Giuseppe Sacconi e il
Vittoriano nella Terza Roma, Roma, 2005;
Paolo Marconi, “Il Vittoriano, un Valhalla
per il Re Galantuomo. Rivalutazione di un
monumento ‘eroico’”, in Ricerche di storia
dell’arte, vol. 80, 2003, pp. 9-43.
11
Carol Vogel, “Whitney Museum Plans New
Building Downtown”, in The New York
Times, 25 maggio 2010.
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