Valcamonica, 1968 - 2001 - Tullio e Vladimir Clementi

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Valcamonica, 1968 - 2001 - Tullio e Vladimir Clementi
TULLIO CLEMENTI
Valcamonica, 1968 - 2001
la parabola della sinistra politica e sociale
«La politica e le relazioni internazionali cambiano così rapidamente che è
difficile predire con un po’ di accuratezza il futuro delle istituzioni sociali
perfino di dieci anni a venire. Nel 2001 forse vivremo in un paradiso
gandhiano dove tutti gli uomini saranno affratellati oppure in una dittatura
fascista, oppure saremo a dibatterci in mezzo al guado proprio come adesso»
Stanley Kubrick (da un’intervista del 1968 sul film 2001: Odissea nello spazio)
Alcune avvertenze dell’autore
Nelle pagine che seguono ci sono oltre tre decenni di “storia” sindacale e politica camuna. Una
storia che l’autore ha vissuto quasi interamente, seppure da un angolo di lettura piuttosto “difficile”.
Sono due, essenzialmente, le ragioni del rapporto critico – e non raramente conflittuale – con questa
“storia”: la natura “ribellistica” (più incline al pensiero anarco-libertario, forse, piuttosto che
all’ideologia socialista) dell’autore stesso e, per altro verso, il senso di profonda delusione di chi si
era avvicinato alla “politica” militante spinto soprattutto da una immensa (ed ingenua, ora lo si può
ammettere) aspirazione alla giustizia sociale ed all’affermazione delle “pari opportunità” per tutti, a
prescindere da ogni altra considerazione che non fosse la centralità sociale dell’uomo.
Il rischio da evitare assolutamente, dunque, era quello di lasciar inquinare la “storia” da emozioni e
stati d’animo di carattere troppo “personale”. Per questo, ho dovuto rileggere (e riscrivere) più volte
le pagine che seguono.
Quanto è rimasto di soggettivo, dunque, va attribuito esclusivamente al metodo di ricerca, di lettura
e di ordinamento del materiale (appunti personali e documentazione d’archivio).
Ma l’inevitabile soggettività nell’organizzazione del lavoro di ricerca non è comunque l’unica causa
dei limiti (e dei “buchi”) che sicuramente verranno riscontrati dal lettore: ci sono stati anche non
pochi problemi di ordine documentaristico.
Né il sindacato né il Partito comunista (poi Pds ed infine Ds), infatti, hanno mai coltivato la buona
abitudine (tantomeno l’obbligo statutario) di tenere registrate le proprie deliberazioni. Uniche
testimonianze consegnate agli archivi, dunque, sono i volantini (molto prezioso a tale riguardo
l’Archivio storico del Circolo culturale Ghislandi) e qualche ritaglio di “rassegna stampa”,
comprensibilmente inadeguati al fine di ricostruire una fase storica in tutti i suoi aspetti particolari.
Per altro verso, le agende personali dei funzionari politici e sindacali (che avrebbero potuto colmare
almeno qualche lacuna di ordine cronologico), salvo alcune lodevoli eccezioni, sono finite al
macero assieme ad altri quintali di documentazione cartacea. 1
Il materiale da cui si è attinto per la realizzazione di questa ricerca è reperibile presso l’Archivio
storico del Circolo culturale Ghislandi, l’Università Popolare o, limitatamente alla documentazione
prodotta su supporto informatico (gli anni Novanta, sostanzialmente), nel sito Internet dell’autore
(http://www.tclementi.it).
1
«... questo è purtroppo un dato costante nella storia dei sindacati e dei partiti politici, dove quel che sembra contare è
solo l’oggi, e il domani in prospettiva, mai il passato, ormai, permettetemi di dirlo, addirittura demonizzato», Eugenia
Valtulina, Il militante della Cgil di Bergamo, in “Studi e ricerche di storia contemporanea”, Isrec, giugno 2002.
1
DAL “SESSANTOTTO” ALLO “STATUTO DEI LAVORATORI”..........................................4
Il primo allarme nel settore tessile ................................................................................................................................. 4
I Consigli di fabbrica e di zona ...................................................................................................................................... 4
Lo Statuto dei lavoratori ................................................................................................................................................ 5
ANNI SETTANTA: IL PROTAGONISMO DIFFUSO .................................................................6
Le prime piattaforme rivendicative................................................................................................................................ 6
Si diffonde il lavoro “sommerso” .................................................................................................................................. 7
Mobilitazione generale per il lavoro .............................................................................................................................. 7
La repressione ................................................................................................................................................................ 9
Allarme nelle Partecipazioni Statali............................................................................................................................... 9
Il settore siderurgico .................................................................................................................................................... 10
Il cinema come cultura................................................................................................................................................. 10
La contrattazione aziendale e territoriale ..................................................................................................................... 11
Nasce il Gisav .............................................................................................................................................................. 12
Il VII Congresso provinciale della Fillea ..................................................................................................................... 12
I primi sindacalisti camuni........................................................................................................................................... 13
Prime iniziative autonome ........................................................................................................................................... 14
Chi paga le tasse?......................................................................................................................................................... 14
La speculazione edilizia ............................................................................................................................................... 15
Un partito… effervescente ........................................................................................................................................... 15
Lavoro e tutela della salute nei cantieri edili ............................................................................................................... 16
Mobilitazione alla Seii di Malegno.............................................................................................................................. 16
La grande ambizione.................................................................................................................................................... 17
Il presidio alla Ferretti.................................................................................................................................................. 17
Otto mesi di lotta alla Svaf (ex Ferretti)....................................................................................................................... 18
La Manifattura Alta Valle ............................................................................................................................................ 19
Si aggrava la crisi della Palini...................................................................................................................................... 20
La vertenza per i diritti nei laboratori tessili ................................................................................................................ 20
Il primo accordo........................................................................................................................................................... 21
Si ricomincia dal Consiglio di zona ............................................................................................................................. 22
Precipita la crisi alla Labi di Braone ............................................................................................................................ 23
Un partito in… mobilità............................................................................................................................................... 24
La stagione dei giovani ................................................................................................................................................ 25
ANNI OTTANTA: PROGETTO AMBIZIOSO O EMERGENZA?..........................................26
Periferia........................................................................................................................................................................ 26
Nasce il comprensorio sindacale.................................................................................................................................. 26
Situazione disperata nel settore metalmeccanico ......................................................................................................... 27
Dal Piave a… Caporetto .............................................................................................................................................. 30
La Palini affonda.......................................................................................................................................................... 30
Un conflitto morale nel sindacato ................................................................................................................................ 32
Un conto in sospeso ..................................................................................................................................................... 32
Senza infamia e senza lode .......................................................................................................................................... 33
Le associazioni culturali .............................................................................................................................................. 34
Contatto a quota duemila ............................................................................................................................................. 34
L’uguaglianza negata ................................................................................................................................................... 35
La svolta....................................................................................................................................................................... 36
ANNI NOVANTA: INIZIO DEL DECLINO................................................................................37
Il Congresso di Angolo Terme..................................................................................................................................... 37
Un segretario con… gli scarponi chiodati.................................................................................................................... 38
Graffiti ......................................................................................................................................................................... 39
“Dieci, cento, mille Di Pietro” ..................................................................................................................................... 39
Gli edili scendono in strada.......................................................................................................................................... 40
Gli ultimi studenti in piazza ......................................................................................................................................... 41
La Cgil va a... farsi benedire ........................................................................................................................................ 42
Generazione X ............................................................................................................................................................. 42
L’Alternativa................................................................................................................................................................ 43
Antagonismo generazionale e... nepotismo.................................................................................................................. 44
2
Il collettivo “Rébèl” ..................................................................................................................................................... 45
Nel sindacato, intanto…............................................................................................................................................... 46
Crisi di identità............................................................................................................................................................. 47
La metamorfosi sindacale ............................................................................................................................................ 47
Zombie ......................................................................................................................................................................... 48
E dopo di noi il diluvio ................................................................................................................................................ 49
Un patto “contro natura”.............................................................................................................................................. 49
Disagio e doppiezza ..................................................................................................................................................... 51
DUEMILA: LA RESTAURAZIONE ............................................................................................52
Oltre… Caporetto ........................................................................................................................................................ 52
L’area del benessere..................................................................................................................................................... 52
Sfruttati nelle sedi sindacali ......................................................................................................................................... 53
La normalizzazione politica ......................................................................................................................................... 53
Avvicendamenti ai vertici della Cgil............................................................................................................................ 54
Il 7 luglio...................................................................................................................................................................... 55
Il laboratorio politico-sociale della Valsaviore ............................................................................................................ 56
L’Unità......................................................................................................................................................................... 57
I signori delle tessere ................................................................................................................................................... 58
I nodi al pettine ............................................................................................................................................................ 59
Il Congresso dei Ds: una guerra per bande .................................................................................................................. 59
Nel sindacato, invece… ............................................................................................................................................... 61
A volte ritornano… ...................................................................................................................................................... 62
Chi cavalca la tigre…................................................................................................................................................... 62
Le regole per il candidato dell’Ulivo ........................................................................................................................... 63
Storia, revisionismo e doppiezza ................................................................................................................................. 63
Parole in libertà ............................................................................................................................................................ 64
La Chiesa ci riprova con il Giubileo ............................................................................................................................ 64
Il riscatto in un Cd-Rom?............................................................................................................................................. 65
E la Cgil nazionale fa i conti con la propria schizofrenia ............................................................................................ 66
DUEMILAUNO: LA DISSOLVENZA..........................................................................................67
Un’appartenenza sofferta ............................................................................................................................................. 67
Nicchie di sopravvivenza............................................................................................................................................. 67
Il conflitto .................................................................................................................................................................... 68
Muoia Sansone con tutti i filistei ................................................................................................................................. 68
La “sovranità popolare” ............................................................................................................................................... 69
Come un déjà vu .......................................................................................................................................................... 69
La memoria… ingombrante ......................................................................................................................................... 70
La quadratura del cerchio............................................................................................................................................. 71
La Cgil mette su casa ................................................................................................................................................... 72
Prima che il gallo canti… ............................................................................................................................................ 72
Prove generali di guerriglia urbana.............................................................................................................................. 73
Lezioni di civiltà da… oltre mare ................................................................................................................................ 75
La classe operaia ritorna al cinema .............................................................................................................................. 75
“Per esistere dovremmo scomparire”........................................................................................................................... 76
Metamorfosi e imbarbarimento.................................................................................................................................... 77
Settarismo, malattia senile… ....................................................................................................................................... 78
Sui “percorsi della memoria”....................................................................................................................................... 79
Nostalgie e rimpianti.................................................................................................................................................... 80
Dal delirio di onnipotenza al delirio e basta................................................................................................................. 80
Epilogo......................................................................................................................................................................... 82
3
DAL “SESSANTOTTO” ALLO “STATUTO DEI LAVORATORI”
«A partire dal ’68 si è sviluppata la sinistra della società civile, al di fuori
della sinistra storica, e che non nasce dai partiti ma dalla politicizzazione e
dall’autonomia di nuovi soggetti sociali e politici». (Silverio Tomeo)
Il primo allarme nel settore tessile
Nel novembre del 1968, la federazione bresciana del Partito comunista Italiano trasmette a tutti «i
Comuni che sono sedi di aziende tessili o residenza di lavoratori tessili e «ai Comuni che – da uno
sviluppo e da nuovi insediamenti nell’industria tessile – potrebbero avere possibilità di occupazione
per le nuove leve di lavoro» la copia di un progetto di legge per «un intervento organico, teso a
ridare vita ed espansione a un settore produttivo che ha tutt’altro che esaurito le sue possibilità e che
anzi può giocare un ruolo importante in uno sviluppo programmato e democratico dell’industria
italiana». Nella lettera di accompagnamento, vengono fatte alcune considerazioni allarmate sulla
situazione in Valcamonica «dove l’industria tessile, che in passato (meno di venti anni fa) contava
più di tremila addetti, assorbe oggi non più di 1.400 lavoratori, con una riduzione del 53%».
I Consigli di fabbrica e di zona
Verso la fine dello stesso anno, le organizzazioni sindacali provinciali, tramite i propri
rappresentanti territoriali ed alcune forze politiche (Pci, Dc, Psi, Psdi, Psiup), iniziano a «mettere in
piedi un “Comitato per la rinascita della Vallecamonica”, che doveva preparare una piattaforma di
richieste su cui impegnarsi per favorire lo sviluppo locale». 2
Sempre sul finire degli anni Sessanta, infine, nasce il Comitato Intercategoriale di Zona, 3 che sarà
coordinato da due giovanissimi funzionari sindacali: Ernesto Fenaroli per la Cgil e Roberto Ravelli
Damioli per la Cisl. «Si cominciano le prime esperienze di Sindacato proiettato nel territorio, che
approfondisce, elabora proposte, avvia la contrattazione con le controparti istituzionali sui problemi
della sanità, delle infrastrutture (trasporti), del territorio e dell’ambiente. Sono anni di grande
fermento unitario vissuti con grande entusiasmo, fino quasi alla realizzazione dell’unità sindacale». 4
Sono gli anni in cui la grande fabbrica diventa il luogo ove si affrontano, assieme ai problemi
interni, grandi questioni di carattere generale, come si legge in un manifesto della Filtea a sostegno
dei propri candidati per l’elezione della Commissione interna all’Olcese: 5 «Per migliorare la
condizione di lavoro e di vita degli operai è necessario affrontare e risolvere numerosi e grossi
problemi: anzitutto si tratta di conquistare una effettiva riforma del sistema pensionistico ed un
sostanziale aumento delle pensioni; il superamento delle zone salariali; l’esenzione dei salari dal
pagamento della ricchezza mobile; lo Statuto dei diritti e delle libertà dei lavoratori» 6 .
2
«Tra le richieste vi era: la costruzione dell’Ospedale di Edolo, la realizzazione di una superstrada di fondovalle, la
riorganizzazione del servizio di trasporto sulla Ferrovia Brescia-Iseo-Edolo». Luigi Mastaglia, in Teofilo Bertoli, Forno
Allione e dintorni, Circolo culturale Ghislandi, in collaborazione con Cgil e Cisl Valcamonica-Sebino, 1998.
3
Insieme delle rappresentanze dei Consigli di fabbrica, coordinati dagli operatori sindacali di zona.
4
Luigi Mastaglia, in Teofilo Bertoli, Forno Allione e dintorni, 1998.
5
«A nessuno di voi sfugge il grande significato di avere in azienda una Commissione interna forte, capace, qualificata
[…], una lista composta fondamentalmente da giovani (Troletti Giandomenico, Barale Rosa, Chiappini Francesco,
Botticchio Romolo, Squaratti Giuseppe, Cere Tarcisio, Elmetti Enrico, Pernici Faustino)». Filtea-Cgil, 23 gennaio 1969.
6
Ibidem.
4
Lo Statuto dei lavoratori
L’approvazione dello “Statuto dei lavoratori”, 7 nel maggio del 1970, viene salutata con un
commento estremamente significativo: «La Costituzione entra nei luoghi di lavoro» 8 . Nelle
fabbriche in cui sono già consolidati alcuni diritti sindacali, la nuova legge non trova un immediato
apprezzamento, anzi, in qualche caso si crea perfino qualche tensione, soprattutto laddove i nuovi
delegati di reparto (o di gruppo omogeneo) vengono visti come un elemento “concorrenziale” nei
confronti delle vecchie Commissioni interne 9 ; ma in generale, le opportunità offerte dallo “Statuto”
(diritto di assemblea e di elezione dei delegati sindacali, tutela contro i licenziamenti…), aprono una
nuova stagione per l’affermazione di alcuni diritti fondamentali nelle fabbriche e nei cantieri edili.
«Lo Statuto dei diritti dei lavoratori – dirà ancora Luigi Mastaglia nella testimonianza appena
ricordata – ha indubbiamente facilitato la possibilità di riorganizzare sindacalmente le realtà
produttive. Il riconoscimento delle Rappresentanze sindacali aziendali quali agenti contrattuali
(oltre alle Commissioni interne) ha reso meno difficile per il Consiglio di fabbrica la conquista del
potere contrattuale ed il ruolo di rappresentanza unica dei lavoratori, ma il cammino è spesso
accidentato, soprattutto nella prima fase» 10 .
7
Si tratta della Legge n.300, del maggio 1970, meglio conosciuta come “Statuto dei diritti dei lavoratori”.
8
«In quegli anni la Costituzione veniva tenuta fuori dai cancelli delle fabbriche, ma è stata la lotta dei lavoratori a
salvare la democrazia nel nostro Paese. E quanti sacrifici, quante discriminazioni e quanto sangue da parte degli operai
e dei braccianti… La forza che ci sorreggeva stava nei valori ideali in cui credevamo (e che tuttora non rinnego), perché
malgrado gli ineluttabili errori le lotte del passato hanno permesso di dar volto e dignità al lavoratore in fabbrica, di
conquistare il suo giusto riconoscimento nella società». Ernesto Martini, Una vita operaia, Circolo culturale Ghislandi,
in collaborazione con la Cgil di Valcamonica-Sebino, 1997.
9
«Il dibattito sulla possibilità di creare i Consigli di fabbrica, in seguito destinati a diventare le uniche strutture di base
del sindacato nel luogo di lavoro, con potere contrattuale e di rappresentanza, ha alimentato sospetti ed accesi dibattiti,
sia all’interno delle Organizzazioni sindacali che nelle Sas [Sezioni Sindacali Aziendali]. Naturalmente i più accaniti
avversari erano quei commissari di fabbrica che non intendevano mettersi in discussione e soprattutto non accettavano
nuove forme di rappresentanza». Luigi Mastaglia, in Teofilo Bertoli, Forno Allione e dintorni.
10
Ibidem.
5
ANNI SETTANTA: IL PROTAGONISMO DIFFUSO
«Un periodo rivoluzionario nella storia del mondo è il momento più opportuno per
fare cambiamenti radicali invece di semplici rattoppi». (William Henry Beveridge)
Le prime piattaforme rivendicative
«Il 1971 si è costruita la prima vera piattaforma rivendicativa di carattere generale: non più richieste
parcellizzate, specifiche per qualche reparto o per qualche posizione di lavoro, ma di interesse
generale, oltre che di importanza strategica. Erano i periodi delle grandi riforme (nel mondo del
lavoro e nella società): lo Statuto dei lavoratori, la Riforma sanitaria, la Casa. Alla Union Carbide
Italia il problema ambiente di lavoro, collegato alla tutela della salute e dell’integrità fisica dei
lavoratori, è stato posto al centro dell’iniziativa sindacale».11
Nell’agosto del 1971 i segretari provinciali della Filcea-Cgil, Dino Valseriati, e della Fim-Cisl,
Franco Castrezzati, 12 scrivono una lettera ai rappresentanti delle istituzioni valligiane, provinciali e
regionali, informando che «alla Uci di Forno Allione è in atto una vertenza che tiene in sciopero i
dipendenti da oltre un mese.
A prescindere dal merito delle singole rivendicazioni, su cui si potrà raggiungere un compromesso
più o meno positivo – scrivono i dirigenti provinciali – desideriamo sottolineare che scriventi
Organizzazioni sindacali, d’intesa con le rappresentanze sindacali di fabbrica, con questa vertenza si
sono poste soprattutto l’obiettivo di garantire ai lavoratori un posto sicuro, livelli occupazionali più
stabili e condizioni di lavoro meno nocive». 13
Mentre la garanzia del posto di lavoro, come sostengono i firmatari della lettera, si può ottenere
soltanto attraverso un costante adeguamento dei mezzi di produzione, «desideriamo sottolineare che
i lavoratori sono obbligati a svolgere le loro attività in ambienti quanto mai nocivi. La polvere è una
permanente insidia per la salute degli operai, fra i quali si registrano diversi casi di silicosi. Inoltre,
le esalazioni di gas e fumi, e l’eccesso di calore provocano eczemi, artrosi, disturbi respiratori,
circolatori, epatici, ecc. […]. In questo quadro si spiega, si giustifica e diventa doveroso l’impegno
delle scriventi Organizzazioni sindacali nel sollecitare l’installazione di impianti e macchinari che
offrano garanzie per la salute e per l’incolumità fisica dei lavoratori […].
Non abbiamo dubbi che gli obiettivi di questa vertenza incontreranno il consenso ed il sostegno
concreto da parte vostra, a favore di manodopera sfruttata sia quando ha la fortuna di trovare in loco
un posto di lavoro (obbligata ad operare in condizioni estremamente nocive), sia quando è costretta
ad offrire pendolari ed emigranti stagionali o permanenti alle economie più ricche del nostro e di
altri paesi». 14
Le richieste specificatamente economiche passano quindi in secondo piano, rispetto ai problemi
della salute e dell’ambiente di lavoro. «Questo è indubbiamente un segno di maturità e di presa di
coscienza sui valori della persona umana e dei fattori fondamentali ad essa inerenti, fra cui
soprattutto la salvaguardia della salute. Quante aziende in Valcamonica si trovano nella medesima
situazione dell’Uci?
Diamo atto agli operai di Forno Allione di essere i primi a rivendicare, a livello contrattuale, la
tutela della salute: è un richiamo che ci deve far riflettere»… 15
11
Luigi Mastaglia, in Teofilo Bertoli, Forno Allione e dintorni,
12
Il fatto che a seguire la fabbrica di Forno Allione fossero il sindacato di categoria dei chimici (per la Cgil) e dei
metalmeccanici (per la Cisl), benché dovuto prevalentemente a fattori organizzativi interni al sindacato stesso,
contribuisce ad evidenziare il rapporto di interdipendenza tra la categoria merceologica di produzione (graffite prodotta
in modo chimico) e quella di utilizzazione (il settore siderurgico).
13
Lettera al presidente della Comunità montana e ai Sindaci della Vallecamonica, al Presidente della Regione
Lombardia e al Presidente della Provincia di Brescia, Brescia, 10 agosto 1971.
14
Ibidem.
15
Enrico Cattane, “Prima difendiamo la salute”, La Voce della Vallecamonica, 11 novembre 1971.
6
Nel settore edile, intanto, l’unica concreta presenza sindacale nei primi anni Settanta è nei cantieri
di San Fiorano e del Lago d’Arno, dove l’Enel sta costruendo una gigantesca centrale idroelettrica
con impianto di recupero dell’acqua. In quattro grandi cantieri sono occupati circa 800 operai, che
hanno cominciato ad organizzarsi, eleggendo la Commissione interna, nella fase iniziale dei lavori
(sul finire del decennio precedente), incoraggiati dal clima di quegli anni e – elemento non certo
secondario – dal fatto che, trattandosi di un’opera pubblica di grandi dimensioni, si può fare un
certo affidamento contro eventuali rappresaglie antisindacali.
Nei primi anni Settanta, con l’entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori, i Delegati sindacali di
cantiere si sommeranno alle Commissioni interne (che, nella maggior parte dei casi, resteranno in
carica fino ad esaurimento del mandato), costituendo una sorta di Consiglio generale, che
parteciperà in misura significativa all’esperienza del Consiglio di Zona.
Si diffonde il lavoro “sommerso”
Nei primi anni Settanta, con l’entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori e col conseguente
riconoscimento dei diritti sindacali e della “giusta causa” nel licenziamento dei lavoratori, comincia
a prendere corpo anche in Valcamonica il fenomeno del lavoro sommerso, soprattutto nel settore
tessile. «Quando si parla di “economia sommersa”, quando si parla di lavoro nero, quando si parla
di sfruttamento selvaggio della manodopera”, il pensiero corre immediato a certe piaghe del nostro
Mezzogiorno e a tutta quella storicistica saggistica pubblicistica e letteratura sviluppatesi sulla
problematica che va sotto il nome di “questione meridionale” […]. Certo, non si vuole qui
azzardare l’equazione Valcamonica = Napoli. Per carità! Li sentiremmo e li sentireste gli indigeni
cantori delle “virtù camune” con o senza penna d’alpino… Ci sono differenza notevoli di natura
storica, sociale ed economica, come ci sono dei comuni denominatori che appaiono estremamente
chiari ed evidenti: per esempio la sostanziale povertà del tessuto socio-economico, che finisce quasi
sempre per calamitare gli appetiti di quanti lucrano sullo sfruttamento selvaggio della manodopera,
specie femminile, con contorno di sottosalari, evasioni contributive ed evasioni fiscali». 16
Si assiste quindi ad una frenetica corsa dei padroni per mettersi al riparo dalle minacce paventate
dalla nuova legge. In molti casi viene sospesa (o ridotta) ridotta l’attività degli stabilimenti tessili e
manifatturieri, e nel contempo si da vita ed impulso al sorgere di una fitta costellazione di imprese
artigiane dell’abbigliamento, meglio note come “laboratori”. «Ai padroni succedono i “padroncini”,
alle maestranze specializzate e sindacalizzate dei grossi stabilimenti succedono microcosmi di 1012 operaie (spesso giovanissime), sottoposte a ritmi di lavoro insostenibili, sottopagate e minacciate
di licenziamento ad ogni piè sospinto. Per la maggioranza di queste lavoratrici non vi sono
d’altronde alternative apprezzabili, se non la squallida prospettiva dello starsene a casa a far la calza
o a sferruzzare. Per tutte, sempre attuale, il vecchio fatalistico adagio: meglio poco che niente. Una
filosofia, questa, che finisce per impregnare di sé gli stessi rapporti genitori-figli a tutto vantaggio
dei “padroncini” e, in ultima analisi, delle cosiddette “agenzie commerciali” che provvedono a
rilevare i manufatti a costi estremamente bassi e a piazzarli quindi sul mercato».17
Mobilitazione generale per il lavoro
Nell’aprile del 1971, in alta Valcamonica viene diffuso un volantino, firmato dall’assemblea dei
dipendenti della Edi,18 dal Comitato popolare Alta Valle e dal Circolo Acli di Vezza d’Oglio, in cui
si chiede «la solidarietà e l’appoggio della popolazione, del lavoratori camuni, delle
Amministrazioni della Valle, per la difesa dei posti di lavoro». Nel volantino, dopo aver elencato i
vari contributi pubblici (dalla Comunità montana, soprattutto), per un totale di oltre 80 milioni,
ottenuti dai padroni della Edi, vengono denunciate anche pressioni che sarebbero state esercitate su
16
Giuseppe Di Pietro, “Valcamonica sommersa. il punto sul decentramento produttivo nel settore tessile e
dell’abbigliamento”, Periferia, n. 5, febbraio/aprile 1981.
17
Ibidem.
18
Fabbrica di Vezza d’Oglio che, nonostante i notevoli contributi pubblici stanziati per la sua realizzazione, non entrerà
mai effettivamente in produzione.
7
alcuni proprietari del terreno in cui è sorta la fabbrica, con la promessa di un posto di lavoro. Contro
alcune affermazioni del volantino, ritenute diffamatorie, verrà avviata un’azione penale a carico di
tre esponenti del Comitato popolare Alta Valle: Ettore Coatti, Pierangelo Lieta e Claudio
Gasparotti. In occasione del processo, che si svolge a Edolo il 28 marzo 1972, ci saranno ancora
dure prese di posizione da parte dello stesso Comitato 19 e del Movimento Politico dei Lavoratori. 20
Nella stessa primavera del 1971, i lavoratori della Palini Legno di Pisogne occupano la fabbrica
(che negli ultimi anni ha già quasi dimezzato il proprio organico, portandolo da 550 a 350
dipendenti) per difendere il posto di lavoro, e promuovono una manifestazione in Piazza del
Comune, a Darfo, nella giornata del Primo Maggio. 21
Nei primi giorni di giugno, sotto il titolo «Il giro va, il sottosviluppo resta», i Comitati popolari di
base dell’Alta Valle Camonica tornano in piazza con un volantino in cui, dopo aver denunciato
come lo sfruttamento del territorio e delle sue risorse non apporti alcun beneficio alla gente della
Valle, sempre costretta ad emigrare o rimanere disoccupata, riprende il tema del «modello di
industrializzazione dei padroni e della Comunità montana», elencando i punti di maggiore attualità
e gravità della crisi.22
Il 7 luglio la situazione sfocia nello sciopero generale di 24 ore, con manifestazioni a Cedegolo e
Pisogne, proclamato dalle strutture sindacali (il Comitato Intercategoriale di Zona) della Valle, che
esprimono piena solidarietà ai dipendenti della Palini Legno di Pisogne (che occupano la fabbrica
da un mese) ed agli oltre 100 lavoratori stagionali che entro l’autunno verranno licenziati dalla Sab
di Boario, denunciano «l’attacco padronale di questi ultimi mesi contro l’occupazione [e] la
situazione sempre più drammatica degli 800 lavoratori edili impegnati nella costruzione della
centrale idroelettrica di San Fiorano (Sellero), ormai in fase di ultimazione lavori, e delle circa
1.500 lavoratrici delle confezioni in serie e abbigliamento artigiane, dislocate nei vari laboratori in
tutta la valle». Nel volantino diffuso da Cgil Cisl Uil vengono infine indicate le «iniziative che, oltre
a dare lavoro, migliorino la nostra condizione: riassetto idrogeologico; raddoppio della strada di
fondovalle; miglioramento della viabilità generale; potenziamento delle attrezzature sanitarie;
costruzione di case per i lavoratori; sviluppo del turismo per un turismo di massa».
19
«Questo processo deve essere un’occasione di attenta riflessione da parte di tutti i lavoratori camuni, in particolare
dell’Alta Valle, perché, pur senza entrare nel merito dei fatti, svela ancora una volta la faccia del sistema politico in cui
viviamo. Infatti, si condanna a mesi di carcere chi ruba una mela al mercato, ma non si può accusare di furto chi lascia
andare in fumo i molti milioni, appartenenti alla popolazione, ricevuti per creare posti di lavoro…»
20
«Il processo ai tre compagni del Comitato Popolare Alta Valle non mette solo in luce le contraddizioni del sistema
sociale e giuridico in cui ci troviamo, ma anche, ancora una volta, le precise responsabilità della classe dirigente Dc in
Valle Camonica. La Comunità montana ha elargito milioni e milioni ai padroni della Edi, senza richiedere alcuna
garanzia in contropartita, né sul numero degli occupati né sulla durata dell’impresa…»
21
«La storia della Palini legno di Pisogne era iniziata con l’apertura di una semplice falegnameria ed è stata legata alla
costruzione della linea ferroviaria Iseo-Edolo. È nel 1910 che, per esigenze di spazio e per soddisfare le commissioni
della vecchia “Snft” (per la fornitura degli infissi delle stazioni), Giuseppe Palini decide di trasformare da artigianale a
industriale la sua attività nel centro storico, dando il via a un nuovo stabilimento appena fuori dall’abitato di allora. La
Prima guerra mondiale gli fornisce poi l’occasione di costruire casse per munizioni e baracche in legno; solo
successivamente si specializza in arredo scolastico. È in questo settore che il nome della ditta pisognese viene
conosciuto in tutta Italia, e nel 1925 arriva anche una medaglia d’oro alla mostra didattica di Firenze. Domenico
Benzoni, “Ex Palini, sgambetto al Comune”, Bresciaoggi, 2 novembre 2001.
22
«La Edi di Vezza d’Oglio ha licenziato 20 operai, pur avendo ricevuto 82 milioni dalla Comunità montana. Il Baitone
di Sonico, finanziato ed agevolato più volte con i nostri soldi, minaccia continuamente di chiudere, reprimendo la
condizione delle operaie. La Siro di Capodiponte ha licenziato o costretto a licenziarsi 11 operaie, le rimanenti sono
ricattate dalla paura della disoccupazione. Nelle altre fabbriche di confezioni in serie si assiste a furti sul salario ed a
ritmi molto intensi. La Rheem Safim di Darfo, dopo una lunga lotta degli operai, ha chiuso definitivamente, lasciando ai
50 dipendenti la disoccupazione… Continuano a dirci che il turismo può risolvere i problemi dell’Alta Valle. Finora è
servito solo per le grosse speculazioni edilizie: ai camuni solo posti di camerieri, usceri, porgitori di piattelli di ski-lift,
mal pagati ed occupati 3-4 mesi all’anno…». Il giro va, il sottosviluppo resta, volantino firmato dai “Comitati popolari
di base Alta Valle Camonica” e dalle “Rappresentanze sindacali aziendali dell’Uci di Forno Allione”, distribuito in
coincidenza con il passaggio del Giro d’Italia in Valcamonica, 9 giugno 1971.
8
La repressione
Il 9 dicembre del 1971, durante la manifestazione degli edili contro i licenziamenti nei cantieri della
costruenda centrale idroelettrica di San Fiorano, quarantun lavoratori vengono denunciati ed
imputati dei seguenti reati: «1) […] per avere in concorso al fine di impedire ed ostacolare la libera
circolazione, ingombrato e costruito, accendendo anche fuochi sulla carreggiata stradale, prima la
Statale n. 42 e poi la ferrovia Brescia-Edolo, il mattino del 9.12.1971 in Scianica di Sellero. 2) [...]
per avere, in concorso, allo scopo di danneggiare le cose altrui, dato fuoco ad otto traversine nuove
della Snft cui seguì l’incendio delle stesse, in Scianica di Sellero il 9.12.1971 [...]». 23 Dopo nove
anni (il 28 febbraio 1980), il Tribunale di Brescia dichiarerà di «non doversi procedere [nei
confronti degli imputati] in ordine al reato loro ascritto al capo 1) della rubrica per insufficienza di
prove 24 , e in ordine al reato loro ascritto al capo 2) della rubrica, in quanto lo stesso è estinto per
intervenuta prescrizione».
Il tema della repressione verrà successivamente ripreso in un volantino firmato dal “Comitato di
lotta contro la repressione”, diffuso nel novembre del 1972 in occasione del processo a Brescia (il
Pretore di Edolo aveva dichiarato la propria “incompetenza”) contro i tre militanti del Comitato
Popolare Alta Valle: «Il processo si inserisce in un clima di repressione che colpì anche numerosi
operai dell’alta valle (San Fiorano: picchetto contro i licenziamenti; 13 denunce agli operai dell’Uci
per blocco stradale…)».
Allarme nelle Partecipazioni Statali
Nel novembre 1972, la Flm 25 della zona Lovere-Costa Volpino diffonde un volantino in cui si
denuncia la ristrutturazione in atto nelle aziende pubbliche e private: «La politica che sta venendo
avanti causando licenziamenti massicci (Vedi Zanussi, Pirelli, Montedison ecc.) non tralascia le
aziende della nostra zona. La Dalmine di Costa Volpino, infatti, sta mettendo in atto un piano di
ristrutturazione impiantistica ed organizzativa con prospettive allarmanti nei confronti
dell’occupazione e del futuro dello stabilimento. Si cominciano già a vedere le conseguenze
negative di questa operazione, e la mancata sostituzione degli operai andati in pensione, dimessi e
deceduti, lascia trasparire chiaramente le intenzioni dell’azienda. Nella nostra realtà territoriale
questo aspetto diventa ancora più grave, poiché riduce un’ulteriore possibilità di collocazione dei
disoccupati, degli emigranti e dei giovani licenziati dalle scuole in attesa della prima occupazione».
Per l’esame di questi problemi viene indetto un dibattito pubblico, che avrà luogo nella mattinata
del 7 novembre, presso il cinema Nuovo di Lovere.
23
Questi i nomi dei denunciati: Enzo Visini (Ghedi, 1940); Renzo Tosana (Ceto, 1940); Giuseppe Pezzoni (Ceto,
1946); Tullio Clementi (Vione, 1941); Benito Davolio (Novellara, 1935); Renzo Galbassini (Cevo, 1949); Remo Gozzi
(Cevo, 1952); Ernesto Fenaroli (Pisogne, 1947); Severino Bressanelli (Cedegolo, 1943); Angelo Bressanelli (Cedegolo,
1936); Stefano Gazzoli (Cedegolo, 1942); Giovanni Bressanelli (Cedegolo, 1936); Giuseppe Pessarossi (Cedegolo,
1947); Paolino Manenti (Cologne, 1943); Severino Prandini (Breno, 1936); Pietro Antonini (Ceto, 1944); Amedeo
Bonfadini (Breno, 1943); Giuseppe Bonariva (Lozio, 1935); Giovanni Garofalo (Cividate Camuno, 194); Giovanni
Bazzoni (Cerveno, 1945); Domenico Damiolini (Sellero, 1920); Gabriele Lanzetti (Ceto, 1937); Felice Cocchi (Breno,
1944); Alberto Paini (Valsaviore, 1938); G.Battista Berta (Cimbergo, 1938); Agostino Apollonia (Ceto, 1947); Tullio
Polonioli (Cimbergo, 1939); Giamberto Martinazzoli (Paspardo, 1951); Ottavio Legena (Sellero, 1949); Giacomo
Formentelli (Capodiponte, 1940); Nino Dassa (Paspardo, 1947); Giovanni Derocchi (Paspardo, 1937); Natale
Martinazzoli (Paspardo, 1940); Tino Ruggeri (Paspardo, 1941); Bortolo Damiolini (Sellero, 1950); Luigi Zambetti
(Liegi, 1951); Domenico Damiolini (Sellero, 1950); Luigi Bosio (Cazzago San Martino, 1928); Pietro Canossi (Lozio,
1933); Arturo Buffoli (Cortefranca, 1908); Pierino Vitali (Cedegolo, 1946). Salvo casi corretti sulla base di conoscenza
empirica, il comune di nascita è ripreso dal verbale del Tribunale di Brescia, ed in molti casi il dato è inattendibile.
24
Oltre agli errori nella determinazione del luogo di nascita, di cui si è detto alla nota precedente, dai verbali risultano
casi di lavoratori denunciati (Luigi Bosio) per il reato in Scianica, mentre, da dichiarazioni del datore di lavoro,
«risulterebbe esso si trovava sul luogo di lavoro in orario incompatibile con la sua partecipazione ai fatti criminosi».
25
Federazione Lavoratori Metalmeccanici, il sindacato unitario della categoria, costituito nei primi anni Settanta.
9
Il settore siderurgico
Per una fotografia del settore siderurgico privato, invece, ci si può avvalere, con un buon livello di
affidabilità, dell’importante ricerca compiuta da Giorgio Pedrocco sul finire del secolo: «Agli inizi
degli anni Settanta, le aziende di maggior rilievo operanti nel comparto del tondino esistenti in
Valcamonica occupavano più di 1.300 persone, un numero destinato a crescere, perché
l’installazione di acciaierie, una volta raggiunto il regime normale, avrebbe automaticamente fatto
lievitare i lavori di laminazione».26
La ricerca di Pedrocco non si ferma però al semplice censimento degli impianti, ma si addentra
nell’analisi della loro efficacia: «La capacità produttiva era sulle 800mila tonnellate di tondino e la
produzione attorno alle 500mila tonnellate» 27 .
Un comparto, quello del tondino, che favorisce la crescita di un indotto costituito da piccole attività
meccaniche ed elettromeccaniche (essenziali per la manutenzione degli impianti siderurgici), oltre a
rilanciare lo sbocco di mercato per l’Union Carbide di Forno Allione 28 , che copre circa il 40% della
produzione nazionale di elettrodi di graffite, destinati soprattutto all’industria siderurgica, dopo dei
forni elettrici per la fusione dei rottami.
«L’ultimo elemento da mettere in luce – continua Pedrocchi – è il quadro sociale che si rapporta
agli insediamenti camuni. In parte esso si identificava con le radici storiche della produzione
mineraria, dei magli per la produzione di attrezzi, delle aziende di un certo rilievo, come l’Ilva di
Lovere e la Tassara di Breno, già attive a inizio Novecento in alcune nicchie specializzate della
siderurgia. In parte si legava a percorsi meno facilmente esplorabili…» 29 .
Il cinema come cultura
I primi anni Settanta sono caratterizzati anche da un forte impegno culturale: operai, impiegati e
studenti si danno appuntamento al cinema Sorgente di Boario Terme, dove il sabato pomeriggio si
organizzano proiezioni di film di impegno politico e sociale, riguardanti la Resistenza di tutti i
popoli e l’attualità della lotta antifascista. 30 E l’alta valle non è da meno: decine di operai (a volte
intere famiglie) scendono a Cedegolo (che grazie alla vicina e attiva presenza dell’Uci di Forno
Allione diventa un po’ il centro di animazione politica e culturale della medio-alta valle) da
26
Giorgio Pedrocco, Bresciani, dal rottame al tondino, Jaca Book, 2000.
27
Ibidem.
28
«“Elettrografite di Forno Allione”, è la prima denominazione della fabbrica che produceva elettrodi di graffite
artificiale, fino al 1994, in Vallecamonica. Il primo lavoratore, con numero di matricola 1, è stato assunto il giorno
01.07.1929. Da allora hanno lavorato presso lo stabilimento 1.407 lavoratori. La fabbrica ha cambiato nel tempo il
nome più volte: Elettrografite, Union Carbide, Ucar Carbon. Dal 1994 la fabbrica è chiusa». Silvia Garattini, La
produzione degli elettrodi di graffite in Vallecamonica, raccolta di documenti testimonianze e materiali sullo
stabilimento di Forno Allione, ottobre 2001.
29
Ibidem.
30
Ecco la locandina di un ciclo di dieci film promossi dal Comitato Unitario Antifascista di Darfo: 18 dicembre 1971,
La battaglia di Algeri, di Gillo Pontecorvo (La lotta di liberazione del popolo Algerino dalla dominazione Francese); 8
gennaio 1972, Z. L’orgia del potere, di Costa-Gavras (Ambientato nella Grecia che vede affermarsi il potere dei
colonnelli); 15 gennaio 1972, Queimada, di Gillo Pontecorvo (Dal colonialismo Portoghese al neocolonialismo
Britannico); 22 gennaio 1972, Morire a Madrid, di Frédéric Rossif (Storia della guerra civile spagnola: 1936-1939); 29
gennaio 1972, Il sasso in bocca, di Giuseppe Ferrara (Storia della mafia attraverso la ricostruzione degli avvenimenti
più importanti); 5 febbraio 1972, La fabbrica, di De Siris (Seguito dalla proiezione del cortometraggio Ipotesi sulla
morte di Giovanni Pinelli, interpretato da Gianmaria Volontè, che visualizza tre ipotesi dietro cui si scorgono le
manovre dello stato poliziesco); 12 febbraio 1972, La corazzata Potemkin, di Sergej Ejzeinstejn (L’ammutinamento dei
marinai della corazzata Potemkin, insurrezione popolare nella città di Odessa e repressione della rivolta); 19 febbraio
1972, Apollon – una fabbrica occupata (Seguirà la proiezione del cortometraggio Speciale polizia. Le garanzie
costituzionali. Le manifestazioni operaie. La polizia italiana); 26 febbraio 1972, Allarmi siam fascisti, di Micciché (Film
di montaggio sull’Italia 1911-1971. Più volte censurato per il suo incisivo e chiaro impegno politico); 4 marzo 1972, 17º
parallelo, Vietnam in guerra, di Joris Ivens (Farà seguito il cortometraggio Vietnam chiama e Documenti della
Commissione d’inchiesta per i crimini di guerra Usa in Vietnam).
10
Malonno, da Paisco e dalla Valsaviore per assistere alle proiezioni di film “politicamente
impegnati”.
Sono gli anni in cui il fotografo e regista Bresciano Gian Butturini realizza il film Crimini di pace
(documentario sulle disumane condizioni del lavoro nei cantieri edili della Lombardia), premiato al
festival internazionale di Mosca, utilizzando come attore protagonista l’operaio edile (che solo più
tardi diventerà funzionario sindacale della Fillea 31 di Brescia) Onorio Briola.
Può essere interessante, a proposito di cinema come promozione e “barometro” della cultura di
massa, il confronto tra la programmazione cinematografica dei primi anni Settanta e la
programmazione nello stesso cinema all’inizio del decennio successivo (da notare però che le
proiezioni non avvengono più al sabato pomeriggio, ma il martedì sera: un po’ come dire che sta
migliorando la quota di “tempo libero” a disposizione fra la gente che lavora) 32 . Il cambiamento
intervenuto in meno di un decennio è piuttosto significativo: dal cinema impegnato socialmente e
politicamente, infatti, si passa al cinema di “evasione” (benché ancora caratterizzato da un buon
livello culturale e da un forte richiamo all’attualità), anche se gli spettatori rimangono
prevalentemente gli stessi.
La contrattazione aziendale e territoriale
Lo Statuto dei lavoratori apre dunque una lunga stagione di lotte sindacali e di contrattazione, nella
fabbrica e nel territorio. Nella fabbrica si contrattano i ritmi di lavoro, i miglioramenti ambientali, 33
gli inquadramenti professionali, i diritti sindacali e le modalità di svolgimento dell’attività dei
patronati sindacali sui luoghi di lavoro 34 (attività quest’ultima che, come vedremo, subirà una
radicale trasformazione nel corso di un decennio, passando da un prevalente carattere di tutela della
salute al quasi esclusivo compito di gestire la lunga fase dei prepensionamenti), mentre nel
territorio, come abbiamo già visto, si elaborano e si contrattano i progetti infrastrutturali per lo
sviluppo socio-economico dell’intera Valle Camonica.
Ma la contrattazione non è più ormai solo una prerogativa sindacale: a Malegno, il Cuaf 35
distribuisce volantini in cui si schiera a fianco degli operai della Seii36 , mentre il Collettivo
studentesco di Darfo, in occasione dello sciopero zonale del 31 ottobre, invita gli studenti a
schierarsi a fianco della classe operaia in lotta, per «rivendicare la scuola gratis ai figli degli operai,
obiettivo che difende realmente i salari operai contro ogni falsa e ingannatrice “riforma” della
31
Federazione Italiana Lavoratori del Legno Edili e Affini.
32
Martedì culturali al Cinema Sorgente di Boario Terme (gennaio-marzo 1980): Alambrista (Stati Uniti 1978), di
Robert M. Yung; Abesada, l’abisso dei sensi (Giappone, 1977), di Noburu Tanaka; Quintet (Usa 1979), di Robert
Altman; Un matrimonio (Usa 1978), di Robert Altman; La donna di sabbia (Giappone), di Kanetho Shindo; Le strelle
nel fosso (Italia 1978), di Pupi Avati; Nosferatu, il principe della notte (Germania federale-Francia 1978), di Werner
Herzog; Violètte Noziere (Francia 1978), di Claude Chabrol; Ricostruzione di un delitto (Anaparastassi) (Grecia 1978),
di Thodoras Anghelopulos; Nel corso del tempo (Germania 1976), di Wim Wenders; Garage (Svezia 1975), di Vilgot
Sjoman; Jonas che avrà vent’anni nel 2000 (Svizzera 1979), di Alain Tanner.
33
«In quegli anni si ottennero risultati che modificarono profondamente gli ambienti di lavoro e soprattutto
l’atteggiamento dei lavoratori verso i rischi e le nocività indotte dalle tecnologie produttive. Da questo punto di vista si
può riconoscere un significato universale di alcuni aspetti del “modello operaio” che hanno valore ancor oggi e che
anticiparono molti principi della stessa cultura ambientalista che si sarebbe sviluppata in particolare nel decennio
successivo…», Marino Ruzzenenti e Roberto Cucchini, L’ambiente di lavoro tra razionalità tecnologica e ragioni
dell’uomo. L’esperienza bresciana negli anni Settanta, Saggi, 2000.
34
«I patronati Inas-Inca-Ital svolgeranno i compiti […] nei confronti dei singoli lavoratori interessati dello stabilimento
Italsider – sezione di Darfo – mediante propri rappresentanti, muniti di documento di riconoscimento attestante tale
qualifica, rilasciato dalle Direzioni provinciali dei Patronati stessi, i quali dovranno segnalare eventuali variazioni […]».
CdF Italsider Darfo – Flm Brescia, Accordo sull’ambiente di lavoro, Luglio 1975.
35
Comitato Unitario Antifascista.
36
«… noi crediamo che la classe operaia riuscirà a portare a termine vittoriosamente le sue rivendicazioni, nella misura
in cui sarà in grado di collegarsi con la generale battaglia politica che le masse popolari stanno conducendo per il diritto
al lavoro, allo studio e alla salute». Breno, 17 giugno 1972.
11
scuola» 37 … E quando esploderanno le prime crisi aziendali, il movimento sindacale avrà acquisito
un’esperienza ed una forza tali da farlo diventare interlocutore autorevole e credibile tanto sul
versante industriale (Associazione industriale Bresciana e Collegio Costruttori edili) quanto su
quello istituzionale (Bim, Comunità montana, Ministero del lavoro).
Nasce il Gisav
Nei primi anni Settanta su iniziativa di un gruppo di giovani insegnanti camuni che gravitano
nell’area della sinistra, nasce il Gisav. 38 Si tratta di un gruppo di insegnanti di ogni ordine e grado
che, richiamandosi in modo particolare all’esperienza di Barbiana (si veda nota n. […]), si pone
l’obiettivo di un aggiornamento permanente sulle tematiche del mondo della scuola, con particolare
attenzione ai problemi della scuola dell’obbligo, producendo nel corso degli anni successivi una
serie di significative esperienze in tutto il territorio camuno.
Qualche anno dopo, uno dei più impegnati protagonisti del Gisav, Giancarlo Maculotti, così
riassumerà l’esperienza dei primi anni: «Si avverte la necessità non solo di discutere, ma di
“operare” come gruppo di insegnanti nella scuola. Allora si partoriscono le esperienze: prima la
sperimentazione didattica di Acquebone, poi di Ossimo e Lozio, infine il convegno di Angolo. Su
quelle scuole a tempo pieno alcuni di noi puntavano tutto. Era il realizzarsi della palingenesi
messianica, sia pure per isole: l’insegnare assieme, il divenire animatori socio-culturali nel paese, il
superamento del rapporto schiavistico classe-insegnante unico, la costituzione dell’équipe docente,
la programmazione. Oggi, a malincuore, dobbiamo ammettere il fallimento di quelle esperienze, che
non sono riuscite a superare i problemi di rapporto con l’ambiente». 39
Tre decenni dopo, mentre il gruppo dei promotori continuerà a ritrovarsi periodicamente in una
sorta di amarcord, il Gisav tenterà inutilmente di far rivivere la propria esperienza attraverso la
messa in palio di una borsa di studio per tesi di laurea: l’offerta verrà completamente ignorata.
Il VII Congresso provinciale della Fillea
Nei giorni 11 e 12 maggio del 1973 si svolge, a Brescia, il VII Congresso provinciale della Fillea.
Intervengono, fra gli altri, Lino Do («... avremmo dovuto celebrare il Congresso unitariamente se
tutto si fosse svolto come era nello spirito di “Firenze 3”. Come invece andarono le cose è noto: al
momento della convocazione delle elezioni anticipate, Raffaele Vanni 40 decise che i tempi per
l’unità organica non erano maturi, e fece disdire dal comitato centrale il congresso di scioglimento
della propria confederazione...»), Tullio Clementi («... a nome di tutti gli edili della Valle
Camonica, chiedo a voi tutti che la lotta che questi lavoratori portano avanti da anni, per ottenere
condizioni di vita più umane diventi la lotta di tutti gli edili della provincia; e questo, non tanto per
pura solidarietà (che già sarebbe indice di coscienza di classe), ma anche perché fintanto che in un
paese esisteranno i vari Sud – e in questo caso la Valle Camonica è il sud della provincia di Brescia
– fintanto che esisteranno queste piaghe di sottosviluppo, non rappresenteranno solo una vergogna,
ma un continuo freno per lo sviluppo dell’intero Paese.») e Mario Reboldi («Il nostro congresso si
apre in un clima di tensione, provocato dalla crisi delle istituzioni con il deliberato tentativo di
imporre una sterzata a destra alla situazione politica, economica e sociale del Paese. Sterzata che ha
il preciso scopo di far fallire la politica delle riforme portata avanti dai lavoratori e dalle loro
organizzazioni sindacali...»).
Otto anni dopo, con il Congresso costitutivo della Fillea-Cgil di Valcamonica Sebino, a Lovere, i tre
delegati sindacali verranno eletti nella segreteria della nuova organizzazione comprensoriale.
37
Darfo, 26 ottobre 1972.
38
Gruppo intervento per una scuola alternativa in Valcamonica.
39
Giancarlo Maculotti, “Studenti nel ’68, insegnanti oggi: quale ‘alternativa’ in Valcamonica?”, Bresciaoggi, 22
dicembre 1978.
40
Segretario generale della Uil.
12
I primi sindacalisti camuni
Da qualche anno la Fiom 41 manda in Valcamonica un suo funzionario per assistere, soprattutto nelle
sempre più diffuse vertenze aziendali, le grosse fabbriche metalmeccaniche. Nel 1975, la Fillea42 di
Brescia chiede il mio distacco sindacale (in seguito alla chiusura dei cantieri edili di “San Fiorano”
avevo trovato lavoro presso un’impresa di costruzioni a Milano), e dopo qualche mese di
“apprendistato” nella sede bresciana e nei cantieri della provincia, in accordo con le altre due
organizzazioni di categoria 43 che costituiscono la Federazione dei Lavoratori delle Costruzioni,
vengo incaricato di organizzare il settore edile in Valcamonica con particolare attenzione all’alta
valle, dove stanno iniziando i lavori per la costruzione della Centrale Enel di Edolo.
Il 28 luglio 1977, in un vecchio scantinato di Edolo, viene inaugurata la sede unitaria della Flc 44
della Valcamonica, dove oltre a me, vi trasferirà la propria attività anche il giovane funzionario
dell’Inca, 45 Alessio Bertoli, che già faceva da punto di riferimento per gli operai edili dell’alta
Valle. Nell’arco di un anno la Federazione delle Costruzioni potrà avvalersi di una formidabile rete
organizzativa nei cantieri dell’intera Valcamonica.46
Nei mesi successivi, anche il sindacato provinciale dei tessili compierà una scelta analoga,
“distaccando” da una fabbrica di Malonno il giovane operaio Domenico Ghirardi per affidargli,
unitariamente, l’organizzazione dei dipendenti nella giungla dei laboratori artigianali della
Valcamonica. 47 Si tratterà di un’esperienza senza precedenti, che verrà citata come esempio da
seguire sull’intero territorio nazionale. 48
41
Federazione Impiegati Operai Metallurgici.
42
Federazione italiana lavoratori del legno, edili e affini.
43
Filca-Cisl e Feneal-Uil.
44
Federazione Lavoratori delle Costruzioni, il sindacato unitario del settore, costituitosi successivamente all’analoga
iniziativa dei metalmeccanici.
45
Il patronato sindacale della Cgil.
46
Da un grafico realizzato a cura della Flc, in Valcamonica (da Pontedilegno a Piancamuno) sono censite ben 29
imprese edili in cui vengono svolte periodicamente le assemblee sindacali. In 25 di queste imprese sono eletti i delegati
sindacali, per un totale di 71 delegati. Queste le imprese (tra parentesi la località in cui ha sede l’impresa stessa o il
cantiere in cui si effettuano le assemblee; in grassetto il numero dei delegati sindacali): Cariboni (Pontedilegno); Toloni
(Temù), 2; Chini e Tedeschi (Temù), 3; Chini e Tedeschi (Vezza d’Oglio), 4; Chini e Tedeschi (Edolo), 4; Icoge
(Edolo), 2; Farsura (Edolo), 3; Icomec (Edolo), 6; Leis (Sonico), 1; Ruggeri (Malonno), 1; Gelmi (Malonno), 2;
Baccanelli (Berzo Demo); Foi & Vitali (Cedegolo); Guizzetti (Cedegolo), 2; Impredil (Sellero), 4; Castedil (Niardo);
Ice (Breno), 3; Baffelli (Malegno), 2; Edilpartì (Borno), 3; Sandrini (Piancogno), 3; Rebaioli (Darfo Boario Terme), 5;
Pedersoli (Darfo Boario Terme), 2; Piccinelli (Darfo Boario Terme), 2; Cere (Darfo Boario Terme), 2; Rondini (Darfo
Boario Terme), 2; Betoncamuna (Darfo Boario Terme), 4; Edilcam (Montecampione), 3; Ferrari (Montecampione), 3;
Alpiaz (Montecampione), 3.
47
«In Valle Camonica è possibile distinguere tre fasce di attività “artigianale”. Quelle che possono propriamente
definirsi tali (il titolare lavora in fabbrica, è del mestiere e lo vive, si adatta al lavoro a façon, ma non rinuncia alla
ricerca di un proprio spazio sul mercato, contratta con le aziende e col grossista da una posizione di relativa autonomia
ecc.). Le proporzioni di questa fascia sono assolutamente limitate e comunque insignificante è il loro peso (anche
numerico) rispetto al complesso dei laboratori. Si può dire che circa due terzi dei laboratori presenti in Valle siano legati
ad agenzie commerciali (quando non ne sono addirittura creature) che lucrano profitti enormi generando una rete
inestricabile di rapporti di lavoro del tutto precari e che si reggono su un costo complessivo risibile della forza lavoro.
Riteniamo si debba ancora indagare sui modi assai duttili con cui queste agenzie commerciali, senza troppo scoprirsi,
costruiscono il proprio rapporto con i laboratori della Valle. La rimanente terza parte dei laboratori è costituita da
piccolissime imprese che lavorano per altre imprese di media grandezza, dentro e fuori la Valle». Fulta Brescia, gennaio
1978.
48
«Ottocento operaie, nel volgere di 15 mesi, hanno aderito al sindacato dando vita a originali forme di democrazia
sindacale e conquistando sul campo un accordo territoriale che è forse ancora unico in Italia e che introduce la giusta
causa nei licenziamenti effettuati da aziende al di sotto dei 15 dipendenti». Dino Greco, “L’economia riemersa.
Un’esperienza di lotta delle operaie dell’abbigliamento”, Proposte n. 86-87, Editrice Sindacale italiana, marzo 1980.
13
Prime iniziative autonome
Il 20 ottobre del 1975, la “Lega zonale” dei lavoratori delle costruzioni della Valcamonica manda
una lettera alla Comunità montana ed all’Amministrazione comunale di Edolo per sollecitare
iniziative adeguate nei settori delle opere pubbliche che la categoria ritiene «prioritarie per portare
ad una effettiva e reale rinascita della Valle». 49
Il 6 marzo del 1976, milioni di lavoratori italiani partecipano allo sciopero generale contro «La
drammaticità della situazione economica che il paese sta attraversando [e] il tentativo padronale di
scaricare la crisi sui lavoratori attraverso l’attacco ai livelli di occupazione ed al potere d’acquisto
dei salari e delle pensioni...» 50 . Il 25 dello stesso mese il Consiglio di zona organizza uno sciopero
di 4 ore dei lavoratori Metalmeccanici, Edili e Chimici, con manifestazione a Breno, per «la difesa
dell’occupazione e del salario; i contratti di lavoro; la politica territoriale» 51 .
Il 29 luglio dello stesso anno, il sindacato unitario dei lavoratori edili della Valcamonica proclama
uno sciopero di 24 ore, con manifestazione a Edolo, «contro i ritardi e le inadempienze dell’Enel,
dell’Anas e delle Pubbliche Amministrazioni nella realizzazione di alcune importanti opere
pubbliche quali: la centrale di Edolo, la superstrada, l’ospedale, il riassetto idrogeologico del fiume
Oglio e dei suoi affluenti». 52
Chi paga le tasse?
Con questo titolo, la sezione Pci di Darfo diffonde un volantino in cui, in seguito alla pubblicazione
degli elenchi relativi alle dichiarazioni dei redditi del 1974, denuncia alla pubblica opinione il fatto
che a pagare le tasse in Italia siano soprattutto i lavoratori a reddito fisso. «I governi democristiani
che si sono succeduti ininterrottamente per un trentennio [scrivono i comunisti di Darfo] hanno
sempre permesso e favorito le grosse evasioni fiscali e la fuga dei capitali all’estero, spremendo
invece fino all’osso i lavoratori dipendenti […]. È scandaloso e antidemocratico che professionisti,
industriali ed imprenditori evadano tranquillamente l’imposizione diretta».
Il volantino fa quindi appello ai cittadini onesti affinché facciano pressione sul governo per un
«controllo fiscale rigoroso e veramente equo (messa in funzione dell’anagrafe tributaria, che è già
costata alcuni miliardi ma che rimane inutilizzata; aggiornamento del catasto)», e «agiscano nei
confronti della Giunta perché adotti tutte le misure che sono in suo possesso per offrire al fisco tutte
le controdeduzioni utili a verificare i reali livelli di reddito».
Dopo aver invitato a consultare l’elenco completo, depositato in Comune, il documento conclude
con una lista parziale (una ventina) di contribuenti, il cui reddito viene posto a confronto con quello
di alcune categorie di lavoratori dipendenti. 53
49
Ecco l’elenco delle opere pubbliche indicate dal sindacato edili: «1) Impegno da parte di comuni e comunità montana
per iniziative di investimenti a breve termine (sulla base delle vigenti leggi in materia) in direzione di tutta una serie di
servizi sociali carenti in Valle (asili, scuole, ospedale, ecc.). 2) Casa: dare a tutti i lavoratori la possibilità di usufruire di
una casa civile. Coordinare gli investimenti tra Comuni e Iacp. Piano 167 comprensoriale e Piani Regolatori Generali.
Espansione e riuso del patrimonio edilizio. 3) Trasporti: dare finalmente una soluzione positiva a questo problema di
non secondaria importanza per lo sviluppo della Valle, mediante riattivazione della ferrovia Brescia-Edolo e un
sostanziale miglioramento della viabilità. 4) Iniziative immediate per la salvaguardia degli attuali livelli occupazionali,
ed in modo particolare per quanto riguarda i lavoratori edili dell’alta Valle chiediamo un impegno preciso entro brevi
termini per sciogliere i nodi che ancora impediscono l’inizio dei lavori della centrale idroelettrica dell’Enel a Edolo».
50
Volantino sindacale di Cgil Cisl Uil.
51
Ibidem.
52
«Non ci sono più cantieri edili, in pratica, che abbiano prospettive di continuità oltre le poche settimane. Molti sono
già fermi ed hanno messo i lavoratori in Cassa integrazione. Per questo, da tempo chiediamo un rilancio consistente
delle opere pubbliche che, in Valcamonica più ancora che nel resto della provincia, sembrano allo stato attuale l’unica
valvola di sfogo». Tullio Clementi, “Gli edili reclamano cantieri pubblici”, Bresciaoggi, 13 luglio 1976.
53
I redditi da lavoro dipendente sono i seguenti: operaio Dalmine, 4.117.220; operaio Sab, 3.474,681; operaio Italsider,
5.204.000; mentre i redditi da lavoro autonomo (di cui si omettono i titolari, limitandoci all’attività), sono:
commerciante di caffè, 2.065.985; autotrasportatore, 3.860.704; imprenditore edile, 1.885.495; altro imprenditore edile,
13.380.120; industriale, 558.350; laboratorio di confezioni, passivo di 7.165.142; parrucchiere, 240.839; società
alberghiera, 864.000; distilleria, 10.780.852; mobilificio, 2.945.727; vendita combustibili, 5223.756; farmacia,
14
Un’iniziativa altrettanto circostanziata viene assunta dal consigliere comunale di Cividate Camuno,
Bruno Bonafini, che «vista la denuncia dei redditi presentata per l’anno 1974 dai cittadini di
Cividate ed esposta all’albo comunale nel mese di marzo 1977; considerando che molte di dette
denunce rivelano redditi macroscopicamente non conciliabili con certi tenori di vita […]; avendo
ben presente la grave crisi che l’Italia attraversa e la necessità di agire perché i costi di essa non
siano sostenuti solo dai lavoratori dipendenti; chiede che il comune di Cividate dia il suo contributo
alla giustizia fiscale col rilevamento e la denuncia delle evasioni fiscali totali o parziali».
La speculazione edilizia
Contemporaneamente ai ritardi nell’avvio delle opere pubbliche, il sindacato si mobilita anche
contro l’uso speculativo del territorio nello sviluppo degli insediamenti turistici (Borno,
Pontedilegno, Corteno Golgi e Montecampione). Ed è soprattutto nel villaggio in quota che sta
sorgendo sul versante sinistro della bassa valle che si concentrano, nella seconda metà degli anni
Settanta, tanto i massicci investimenti delle immobiliari quanto la strenua opposizione del sindacato
e della sinistra, che denunciano «la selvaggia speculazione nelle zone più appetite della
Valcamonica, al di fuori e al di sopra di un minimo discorso di progettazione», le «sorprendenti
dichiarazioni dei pubblici amministratori tese ad accreditare la presunta funzione sociale derivante
da investimenti speculativi» ed i «compiacenti amministratori che a colpi di licenze edilizie
pregiudicano irreparabilmente nelle vaste zone della nostra montagna ogni ulteriore possibilità di
sviluppo alternativo, di utilizzo corretto e collettivo del territorio in funzione dell’agricoltura e del
turismo di massa.». 54
Lo stesso presidente della Comunità montana, Pietro Avanzini, d’altra parte, si limiterà ad assumere
un atteggiamento “pilatesco”, dichiarando che: «non è compito della Comunità [montana] entrare
nel merito delle competenze urbanistiche dei singoli Comuni…». 55
Mentre il sindacato aggiunge che: «La stessa occupazione che si crea con questa forma di
investimento oltre ad essere discutibile per alcune caratteristiche negative come sottosalario, lavoro
nero, ecc, è quasi sempre accompagnata alla fine dei cantieri dalla mancanza di prospettive…». 56
Un partito… effervescente
L’11 ottobre del 1975 il Partito comunista organizza una “conferenza operaia” a Breno per discutere
sui provvedimenti e le iniziative da assumere in merito alla situazione occupazionale. «In questi
ultimi giorni [scrivono Giorgio Zubani e Giuseppe Bonino per le segreterie di Brescia e di
Valcamonica] a seguito della messa in Cassa integrazione dei lavoratori, la Uci di Forno Allione, la
Predalva di Piancamuno e la Ols di Pisogne sono presidiate dai lavoratori e anche per la quasi
totalità delle aziende del settore siderurgico si prospettano situazioni difficili e lotte aspre.
L’attacco padronale [continua la nota dei due segretari] si inserisce nel tentativo di far pagare la
crisi e la ristrutturazione aziendale alla classe operaia. Gli industriali bresciani hanno scelto la Valle
Camonica come terreno di scontro per far passare una linea che vorrebbero poi ribaltare in tutta la
provincia. Di fronte a questa grave situazione (che avrà pesanti ripercussioni anche sulla battaglia
per il rinnovo dei contratti) sono necessari un grande impegno e generale mobilitazione dei
lavoratori, in primo luogo dei comunisti».
Il cinque novembre il segretario di zona, Giuseppe Bonino e Giulio Tonni Bazza per la Federazione
bresciana convocano, presso il Circolo Ghislandi di Breno, il Comitato politico della Valcamonica
per discutere sul “ruolo dei ceti medi nella politica del Pci”. Perché, scrivono, «la classe operaia del
nostro paese sta sviluppando e approfondendo da tempo una sua proposta politica di aggregazione e
8.593.340; proprietario immobiliare, 863.701; cartolibreria, 3.488.703; oreficeria, 6.575.065; vendita legnami,
5.241.272; articoli casalinghi, 2.132.873; albergo “3 stelle”, 30.555; commercialista, 871.093; supermercato, 3.110.160;
odontotecnico, 3.079.686; ingrosso verdura, 1.845.040.
54
Bresciaoggi, 4 agosto 1977.
55
Ibidem.
56
Bresciaoggi, 10 agosto 1997.
15
alleanza nei confronti di altri ceti e classi sociali interessati ad una diversa e più giusta
organizzazione dello Stato. Il nostro partito che della classe operaia è espressione e avanguardia, si
è quindi impegnato in questa “politica delle alleanze” nella convinzione che queste forze (artigiani,
commercianti, tecnici, ecc.) possono realmente dare un grande contributo, per quanto riguarda la
vittoria delle lotte dei lavoratori e anche per la trasformazione in senso socialista dello Stato».
Lavoro e tutela della salute nei cantieri edili
Nel giugno del 1976, intanto, viene firmato l’accordo tra l’amministrazione ospedaliera DarfoBreno e la Nuova Pignone, 57 alla quale viene affidata la progettazione del nuovo “Ospedale
provinciale della Vallecamonica”, che sorgerà qualche anno dopo nella piana tra Esine e Cividate, 58
e nei mesi successivi (troppa grazia) verrà affidato l’appalto del secondo lotto della “superstrada”,
tratto Esine-Cividate; mentre in alta Valle si vanno finalmente aprendo i vari cantieri per la
costruzione della centrale Enel di Edolo, che nel giro di pochi mesi andranno a “regime” con un
organico di quasi mille operai.
Ed è proprio in questi grandi cantieri di montagna che si realizzerà uno degli esperimenti più
significativi in tema di tutela della salute sui luoghi di lavoro. Fin dai primi mesi di piena attività,
infatti, in collaborazione con l’Enpi 59 di Brescia, vengono “imposte” alle imprese minuziose
indagini ambientali all’interno dei luoghi di lavoro, sulla base dei cui risultati, i lavoratori “a
rischio” verranno sottoposti ad una serie di visite mediche specialistiche e periodiche, al fine di
mantenere strettamente sotto controllo gli effetti della nocività ambientale, mentre sui luoghi di
lavoro verranno concordati con le imprese tutti gli accorgimenti necessari per la rimozione delle
cause di nocività ambientale (rumori, polveri, ecc.).
In coda alla vertenza, infine, dopo averne denunciato il mal funzionamento verrà posto il problema
del decentramento territoriale degli enti di previdenza (Inps e Inail). 60
Mobilitazione alla Seii di Malegno
Nell’estate del 1976, alla Seii di Malegno è in corso una vertenza aziendale per il rinnovo del
premio di produzione, la perequazione dei trattamenti economici fra diversi reparti (“a freddo” e “a
caldo”) e l’applicazione dell’accordo del 1974 sull’inquadramento unico. Non appena iniziano gli
scioperi, la direzione toglie il servizio mensa, «fatto per chi lavora e non per chi sciopera». Il giorno
successivo vengono fermati i forni e mandati in ferie interi reparti, finché, la mattina del 19 luglio,
gli operai trovano i cancelli della fabbrica chiusi. «La serrata [denunciano Flm e Consiglio di
Fabbrica in un volantino] è quindi l’ultimo atto di una serie di gravi provocazioni antisindacali tese
a: dividere in due parti i lavoratori della fabbrica (reparti a caldo e reparti a freddo) e sconfiggere
politicamente il Consiglio di fabbrica…
La vertenza Seii [continua il volantino sindacale] travalica ora i confini della fabbrica e gli stessi
obiettivi sui quali è sorta ed assume il significato di uno scontro aperto concertato da tutto il
padronato camuno contro il sindacato, le sue strutture, e gli obiettivi complessivi di lotta dei
lavoratori. Attraverso la serrata il padrone della Seii intende aprire la strada ad un vasto
schieramento antioperaio ed antisindacale…».
57
Società a partecipazione statale.
58
«… lontano dai pestilenziali fumi che sprigiona la Tassara e da quelli non meno inquinanti dell’Italsider di Darfo»,
scriverà Bresciaoggi del 15 giugno 1976, ma in realtà la scelta è determinata molto più dalla necessità di andare
«lontano dai campanilismi e dalle clientele che gravitano attorno ai due vecchi ospedali della Valcamonica».
59
Ente Nazionale per la Prevenzione degli infortuni sul lavoro,
60
«… la Flc di Valle Camonica si chiede, e pone l’interrogativo agli organismi competenti, se non sia finalmente tempo
di mettere le mani dentro a questi santuari del potere e del clientelismo per estirpare quanto vi è di marcio e di
inefficiente e fare in modo che i lavoratori possano effettivamente essere i beneficiari di enti che raccolgono i contributi
in loro nome; cominciando anche a dare pratica attuazione a certi impegni, come il decentramento delle sedi in Valle
Camonica, che da troppo tempo esiste solo sulla carta». Bresciaoggi, 23 dicembre 1978.
16
Alla denuncia del Consiglio di fabbrica e del sindacato si somma la dura presa di posizione del Pci
(sezioni di Cividate e di Malegno e Consiglio di zona) che, dopo aver espresso la piena solidarietà
ai lavoratori, individua i motivi del conflitto nella «crisi economica di questi anni, che lungi
dall’avere le sue cause nelle “pretese” dei lavoratori è invece la naturale conseguenza di un
trentennale malgoverno politico-economico». Una crisi che «ci ha spesso messo di fronte a tentativi
padronali di conservare antichi privilegi cercando di arrestare e stroncare la sempre più matura
azione dei lavoratori per più avanzate e dignitose condizioni di vita e di lavoro».
La grande ambizione
L’attiva presenza del Pci sulle varie situazioni di crisi in Valcamonica non sarà quasi mai disgiunta
da una diffusa sensibilità verso i temi di carattere più generale, come dimostra, ad esempio, la
seguente convocazione dei “compagni e simpatizzanti” di Darfo Boario Terme per discutere sulla
situazione di crisi alla Sab di Boario: «La gravità della crisi, l’incertezza della situazione politica,
l’importanza dei temi economici che sono dibattito dei nostri giorni, richiedono a tutti i compagni
una presenza attiva e cosciente soprattutto in quelle fabbriche che maggiormente sentono la
pesantezza della crisi. La Sab Boario ha vissuto momenti di grave tensione nei mesi scorsi, e la
situazione non è certamente risolta nella maniera più positiva…».
O come nel caso della ex Made di Edolo, dove «la esasperante lunghezza della battaglia sindacale
in corso alla ex Made-Valcam-Gencotex di Edolo sta comprensibilmente logorando la capacità di
resistenza di queste lavoratrici che già hanno dato una grande prova di maturità democratica
opponendosi ai vari fallimenti succedutosi in questa unità produttiva…». 61
Il mese di novembre del 1977 viene dedicato dal Pci alla discussione, al dibattito e all’iniziativa
politica sul partito e sulle proposte «per risolvere la crisi del Paese, per rinnovare la società e far
avanzare ulteriormente i processi politici unitari avviati con l’Accordo programmatico nazionale».
In Valcamonica vengono promesse alcune iniziative sui temi di fondo della vita politica e sociale
del Paese. Iniziative che «sono di altissimo livello e richiedono un particolare sforzo per far
partecipare i compagni ed altri cittadini e lavoratori…».62
Il presidio alla Ferretti
Nel 1976 esplode la crisi alla Ferretti di Gianico. Le varie fasi della lunga vertenza sono state
raccolte dalla Flm e dal Consiglio di fabbrica in un dossier, dal quale riportiamo alcuni dei passaggi
più significativi: «La vertenza Ferretti può essere suddivisa in tre fasi: la prima va dall’inizio di
agosto, nei giorni in cui la stampa 63 dava notizia della vendita dei tre stabilimenti [di Artogne,
Gianico e Gratacasolo], al 18 agosto, giorno del primo incontro con la direzione […]. La seconda
fase si apre il 18 agosto con l’incontro tra i rappresentanti dei lavoratori, la direzione, l’Aib e gli
enti locali. Nell’incontro viene smentita la vendita della fabbrica, ma si conferma la crisi
aziendale 64 […]. La terza fase inizia con la nuova notizia di vendita e si svolge lungo la settimana
61
Volantino della Federazione provinciale e del Comitato di zona del Pci, 19 maggio 1977.
62
Ecco il calendario delle iniziative: «Sabato 5 novembre, ore 14.30, Salone delle Terme di Boario, Convegno pubblico
sulle proposte per lo sviluppo del turismo, conclusioni del compagno Ivo Faenzi, del Comitato centrale del Pci; Sabato
12 novembre, ore 15, Albergo San Martino di Boario Terme, Crisi della società e questione giovanile. I comunisti e le
nuove generazioni, conferenza dibattito con il compagno Piero Borghini, segretario della Federazione bresciana;
Domenica 20 novembre, ore 10, Gramsci e la cultura italiana, conferenza dibattito con il compagno professor Alberto
Asor Rosa; Sabato 26 novembre, ore 14.30, Attivo degli operai comunisti sul ruolo della classe operaia, conclusioni del
compagno Ruggeri, della segreteria regionale lombarda.
63
L’ultimo numero di luglio 1976 dell’Espresso riportava la seguente notizia: «Venduta la Ferretti all’industriale
Landini di Reggio Emilia».
64
Crisi aziendale dovuta soprattutto a forte esposizione bancaria, come denunciano Flm e Cdf, ma l’Aib si limita a
darne una interpretazione di carattere contingente: «La nostra associata S.n.c. Ferretti Giuseppe & Figli con stabilimenti
in Gianico ed Artogne si trova nella spiacevole necessità di porre in Cassa Integrazione tutta la maestranza dipendente
per l’improvvisa sospensione dell’erogazione di energia elettrica […]». Associazione industriale bresciana,
raccomandata a mano, 18 agosto 1976.
17
del presidio; si conclude con la conquista dell’accordo nel quale vengono fornite garanzie riguardo
al «mantenimento del posto di lavoro; [al] mantenimento della situazione normativa e salariale; [ai]
tempi di ripresa del lavoro nelle tre unità produttive. L’accordo conteneva quindi il raggiungimento
di tutti gli obiettivi della lotta».
Il 23 agosto, con una soluzione che diverrà quasi una prassi nella Fiom 65 , viene firmato l’accordo
tra l’azienda, l’Associazione industriale bresciana ed i Rappresentanti sindacali aziendali66 .
Il giorno successivo, l’assemblea dei lavoratori «valuta il comportamento dell’Aib e del padrone in
termini estremamente negativi, conferma il rifiuto netto alla Cassa integrazione in quanto vera e
propria “anticamera del licenziamento”», e decide di intraprendere una serie di iniziative di lotta per
respingere «le speculazioni e i ricatti del padrone». Da lunedì 30 agosto inizierà il presidio della
fabbrica. «Il presidio della Ferretti [continua il documento sindacale] ha riproposto all’interno della
Valle uno dei temi che spesso il movimento sindacale è stato costretto ad affrontare in questo
periodo di profonda crisi economica e strutturale […]. Il succedersi degli avvenimenti e le risposte
date dai lavoratori rendono esemplare questa esperienza per la crescita ottenuta attraverso la lotta e
l’attuazione completa di tutti quegli strumenti di democrazia diretta che dal 1969 ad oggi si sino via
via perfezionati». 67
Otto mesi di lotta alla Svaf (ex Ferretti)
Il 15 maggio del 1978 vengono messi in Cassa integrazione a zero ore tutti i 350 dipendenti della
Svaf 68 (ex Ferretti) di Gianico. Inizia immediatamente il lungo presidio della fabbrica, a cui si
accompagneranno manifestazioni, rallentamenti stradali, assemblee nei vari paesi maggiormente
coinvolti e sottoscrizioni: iniziative che permetteranno di creare attorno alla lotta dei lavoratori della
Svaf un’ampia solidarietà da parte di cittadini e di istituzioni. C’è molta sensibilità, attorno alla
vicenda, anche perché la lotta si inserisce in un momento di crisi diffusa del settore metallurgico. 69
«Sono iniziati successivamente una serie di incontri all’Ufficio Provinciale del Lavoro, che hanno
portato alla firma di un accordo che, a fronte di una intesa commerciale di 160.000 T. di tondo e la
concessione della amministrazione controllata da parte del Tribunale di Bergamo, prevede la
garanzia dei livelli occupazionali fino al 31.7.79 per tutti i lavoratori operai e fino al 31.12.78 per
tutti i lavoratori impiegati, la ripresa produttiva ed una serie di scadenze per il pagamento di salari
arretrati, compresa la Cassa integrazione». 70
Ma dell’accordo non verrà rispettata neppure la prima scadenza, quella che prevede il pagamento
del salario di aprile entro il 12 di luglio, confermando così «la mancanza di serietà [come]
65
L’organizzazione sindacale non firma l’accordo, ma i suoi funzionari (nel caso della Ferretti, Pietro Greotti)
“assistono” il Consiglio di Fabbrica. Una nota curiosa al riguardo: agli inizi degli anni Novanta, quando diventa
protagonista di primo piano sulla scena nazionale (prima come sindacalista e poi come politico), Fausto Bertinotti si
vanterà di non aver mai firmato un accordo sindacale.
66
«Tra la ditta Ferriere Ferretti Giuseppe e Figli – stabilimenti di Gianico, Artogne e Gratacasolo – rappresentata dal
signor Ferretti Giuseppe, assistito dal dott. Reginella Pietro r dal dott. Giliberti Francesco dell’Aib e la maestranza
dipendenti rappresentata dai Rappresentanti Sindacali Aziendali, assistiti dal sig. Greotti della Flm, presa in esame la
richiesta di Cassa Integrazione Guadagni, si verbalizza quanto segue: L’Azienda ha fatto presente che dal 29.08.1976
all’1.10.1976 (cinque settimane) sarà costretta a sospendere la produzione per ricercare una soluzione dei vari problemi
finanziari in atto. Le Organizzazioni Sindacali hanno espresso la loro opposizione ritenendo possibili altre soluzioni che
non comportano la sospensione degli operai». Brescia, 23 agosto 1976.
67
Flm Brescia – Cdf Ferretti, Il presidio Ferretti, una lotta in difesa del posto di lavoro, settembre 1976.
68
Siderurgica Valcamonica Acciaierie e Ferriere.
69
Alla Prada di Cividate, dopo un’occupazione della fabbrica di oltre sette mesi, si conclude positivamente una vertenza
per la difesa dei posti di lavoro, attraverso un processo di mobilità; mentre alla Metalstampati di Piancamuno, dopo
alcune settimane di presidio, verrà respinto il disegno padronale che puntava al licenziamento di oltre cento dipendenti.
70
Accordo definito il 7 luglio 1978 presso l’Ufficio Provinciale del Lavoro di Brescia, alla presenza del Dr Vittorio Di
Palma. Sono presenti, oltre al Cdf, per la Ditta Svaf: Adelio Pierracini, assistito dai sigg. Togni e Serrughetti; per la Flm
di Brescia: Maggioni, Duina e Zipponi.
18
caratteristica che ha sempre contraddistinto Pierracini [il padrone della ferriera]». 71 «È necessario
quindi [conclude il volantino sindacale] che questo padrone venga isolato da prese di posizione dei
partiti, degli enti locali e della popolazione…». 72
E dopo la pausa feriale, il sindacato bresciano ritorna all’attacco: «Questa drammatica situazione,
che vede coinvolte centinaia di famiglie, si è creata da una parte perché questo padrone ha sempre
speculato sulla pelle dei lavoratori, ritardando i salari, non pagando gli istituti previdenziali e i
fornitori, portando l’azienda ad uno stato fallimentare; dall’altra per la volontà dei tondinari
bresciani di chiudere le fabbriche più deboli per aumentare sempre più il potere di alcuni…». 73
Il 2 ottobre viene recapitata alla Flm di Brescia una lettera del Presidente dell’Associazione
Industriale che trabocca di buone intenzioni. 74 «… si vedrà poi [dichiarano gli stessi dirigenti
provinciali della Flm] che la cosa vera sarà la richiesta di licenziare 100-120 lavoratori in cambio
dell’alto compito sociale che l’Associazione stessa è disposta ad assumersi».
Il 2 dicembre, infine, dopo quasi otto mesi di lotta, presso la sede della Flm di Brescia viene firmato
un accordo 75 che prevede il subentro della Hanil Italia, il mantenimento dei livelli occupazionali e
la ripresa dell’attività produttiva a partire dal 5 dicembre stesso. 76
La Manifattura Alta Valle
È ancora una volta il Pci che prende posizione contro la minaccia di licenziamenti e di chiusura
della Manifattura Alta Valle di Malonno. «Gli 85 lavoratori della Manifattura Alta Valle di
Malonno [scrivono congiuntamente il Pci di zona e la sezione di Malonno] presidiano la fabbrica in
risposta alla assoluta mancanza di garanzie per la continuazione dell’attività produttiva da parte
dell’azienda ed alla conseguente grave e reale minaccia per il posto di lavoro.
La proprietà dell’azienda scarica ora sui lavoratori le difficoltà in cui si trova soprattutto per gli
errori e la conduzione sbagliata operati in questi giorni. Ancora una volta a pagare il prezzo più alto
della crisi sono i lavoratori e la popolazione della Valle Camonica. Ancora una volta grava
negativamente sulla Valle la conseguenza della mancanza di una corretta programmazione
industriale e il ritardo nella concretizzazione del piano del settore tessile».
I comunisti della Valcamonica, quindi, nell’esprimere la solidarietà ai lavoratori in lotta, si
impegnano a far sì che vengano immediatamente attuate tutte le iniziative che possono contribuire
alla riapertura della fabbrica e dichiarano che «la Comunità montana, i Comuni, le forze politiche
che detengono il governo degli enti locali camuni si devono impegnare decisamente e
concretamente in difesa dell’occupazione», perché «la situazione economica ed occupazionale della
Valle Camonica non può e non deve sopportare la perdita degli 85 posti di lavoro della Manifattura
Alta Valle» 77 .
71
Flm - Cdf Svaf, Brescia, luglio 1978.
72
Ibidem.
73
Flm, Brescia, 18 settembre 1978.
74
«Quale Presidente dell’Aib, ma in modo particolare quale osservatore attento del settore in cui opera la Svaf, desidero
confermare anche a voi quanto ho detto in proposito ai rappresentanti dei Partiti: e cioè che il problema della Svaf può
essere risolto, anzi (mi sia permesso soggiungere) poteva già essere risolto. Da queste mie considerazioni, credo, trae
motivo la Vostra richiesta di un incontro. Desidero tuttavia sottolineare che più di una generica ed imprecisata
disponibilità ad incontrarci è necessario riaffermare una sincera e tenace volontà di voler risolvere il problema. Nel
ricordarVi che l’Aib è un’associazione volontaria di imprenditori e che non può e non deve, quindi, surrogare o
sostituirsi al singolo imprenditore, sarò ben lieto di incontrarmi con Voi, in qualunque momento, per risolvere insieme
(e quindi non da solo) in termini realistici un problema che sta a cuore a Voi, a noi tutti e che è fonte di preoccupazione
sincera per l’opinione pubblica e per le popolazioni della Valle Camonica…». Brescia, 30 settembre 1978.
75
Firmatari dell’accordo: Kim Tack Joon e Massimo Gelmini per la Hanil Italia; Ottelli Pietro, Polonioli Pietro, Toini
Fulvio, Quetti Vincenzo, Moretti Angelo, Chiudinelli Gianluigi per il CdF; Duina Umberto, Valentino Rodolfo, Amadio
Martino, Maggioni Sergio, Zipponi Maurizio per la Flm provinciale.
76
Sulla vicenda Ferretti (poi Svaf, ed infine Hanil), Cfr. Bresciani, dal rottame al tondino (pp. 130-131), Jaka Book,
maggio 2000.
77
16 settembre 1978.
19
Si aggrava la crisi della Palini
Il 5 settembre del 1979, nel corso di una assemblea aperta, all’interno dello stabilimento di Pisogne,
il Consiglio di Fabbrica denuncia all’opinione pubblica ed alle forze politiche i fattori che mettono a
rischio il futuro dell’azienda, che nel 1979, su un bilancio che presenta circa 8 miliardi di fatturato,
registra oltre un miliardo di perdita. Dalla relazione di Lino Do, segretario del Consiglio di Fabbrica
della Palini, leggiamo: «Noi riteniamo che sia ormai giunta la stretta decisiva. Una incredibile
disorganizzazione del lavoro, la sotto-utilizzazione degli impianti e della manodopera, la scarsità e
la bassa qualità delle materie prime, una ulteriore caduta di liquidità, ritardi nel pagamento dei salari
e degli stipendi ci fanno definire la situazione della fabbrica allarmante se non al limite della sua
esistenza. [...] i contributi previdenziali non pagati ammontano a tre miliardi, ed entro il 20
novembre questo dato si farà sentire, anche se in base alla legge che condona gli interessi di mora il
debito potrà essere estinto con un miliardo e 750 milioni [...]. Con un capitale sociale di 345 milioni
non è possibile reggere se non intervengono aiuti esterni».
La vertenza per i diritti nei laboratori tessili
Per capire in quale contesto si inserisce la vertenza nei laboratori dell’abbigliamento sul finire degli
anni Settanta 78 , è utile andare a rileggere la già accennata ricerca di Dino Greco: «Quando,
all’inizio del 1978, il sindacato si accosta seriamente al problema delle piccole aziende della
Valcamonica, la situazione nell’abbigliamento si presenta così: da Pisogne a Malonno (vale a dire
da un capo all’altro della Valle) esistono oltre 200 laboratori che occupano circa 2.500 operaie. C’è
una sola azienda di discrete dimensioni, la Labi, di proprietà della Fin-Bassetti che si svincolerà
però un anno dopo riducendo drasticamente il proprio pacchetto azionario e iniziando un
progressivo, rapido disimpegno dall’azienda. 79 Due altre imprese, la Made di Edolo e la San
Martino di Darfo, con rispettivamente 200 e 80 dipendenti, avevano già chiuso i battenti e a nulla
era valsa la lunga e drammatica lotta impegnata dalle lavoratrici per farle riaprire. Ma che la crisi
non fosse imputabile a una flessione di mercato lo si avvertiva nel giro di poche settimane: sulle
ceneri delle due aziende chiuse nascevano alcune decine di laboratori retti da ex operai e da maestre
di linea. ». 80
La scelta della Valle Camonica come terreno privilegiato per un’azione sindacale volta ad
affrontare la questione del decentramento produttivo e del ruolo delle imprese artigiane, quindi,
nasce dalla considerazione di alcuni elementi assai rilevanti: «1) la consistente concentrazione di
lavoratori nell’ambito del medesimo settore merceologico (confezioni in serie); 2) l’omogeneità
(verso il basso) delle condizioni salariali e normative di fabbrica e l’alto grado di sfruttamento cui
erano sottoposti i lavoratori; 3) la forte tradizione autonomistica della Valle, sensibile ad iniziative
che abbiano un respiro locale e non importino modelli “dal di fuori”; 4) la possibilità di far leva su
un retroterra organizzativo solido, nel quale operano un Consiglio unitario di zona e una lega tessili
che sono fra i primi ad essere costituiti nella provincia di Brescia; 5) il trasparente intreccio fra
“economia” e “politica” e la convinzione che un’azione sindacale efficace potesse aprire
78
«Il basso contenuto tecnologico e la bassa intensità del capitale caratterizzano le industrie della fase successiva, dal
1970 ad oggi. È il momento del grande decentramento dell’industria tessile, che smantella le grandi fabbriche, per
lasciare spazio a micro-aziende (le famose “fabbrichette”)». Giuseppe Bondioni, Le ragioni degli uomini, Fondazione
Calzari Trebeschi – Università Popolare Vallecamonica-Sebino, 1988.
79
«Mesi fa nella sede dell’Assessorato al Lavoro della Regione Lombardia, alla presenza dell’Assessore al lavoro
Vertemati, veniva definita la vertenza che aveva visto il Sindacato e le lavoratrici decise a mantenere la dirigenza
Bassetti alla Labi. Il nostro obiettivo, infatti, era quello di creare una seria direzione della fabbrica attraverso una
programmazione del lavoro e degli investimenti per garantire un futuro più solido a questa azienda». Federazione
unitaria lavoratori tessili e abbigliamento – Consiglio di zona Valcamonica, Erbanno, 29 maggio 1980.
80
Dino Greco, “L’economia riemersa. Un’esperienza di lotta delle operaie dell’abbigliamento”, Proposte n.86-87,
Editrice Sindacale italiana, marzo 1980.
20
contraddizioni e mettere definitivamente in crisi equilibri non più ricomponibili attraverso le ricette
tradizionali». 81
Nel sindacato vi era dunque la consapevolezza che, per avviare un intervento duraturo ed efficace,
superando una situazione di impotenza, era necessaria una profonda autocritica che rimuovesse
vecchie impostazioni 82 . È quanto avviene a partire dalla fine del 1977. La prima considerazione cui
si perviene è che l’inapplicabilità dello Statuto dei diritti dei lavoratori nelle aziende al di sotto dei
15 dipendenti non può continuare a fare da alibi per l’inattività sindacale né a provocare solo
incessanti recriminazioni per l’incertezza della legislazione, e per la sua incostituzionalità. La
seconda considerazione riguarda la conclusione del progetto (sindacalmente e politicamente
improduttivo) di procedere alla sindacalizzazione delle operaie dei laboratori presi uno alla volta:
«L’esperienza, infatti, dice che l’azienda artigiana “sindacalizzata”, se rimane isolata in questa
condizione, se finisce cioè per dover assorbire essa sola i costi di gran lunga maggiori a quelli delle
imprese territorialmente vicine, messa alle strette, chiude i battenti. E al sindacato non rimane che
trasformarsi in collettore di pratiche e vertenze individuali per ottenere il recupero delle differenze
salariali arretrate maturate dalle lavoratrici…». 83
Nella vertenza vi è poi anche un piano economico-politico. La Fulta 84 propone agli artigiani di
riunirsi in Consorzio, e cerca di coinvolgere nel progetto la Comunità montana e le forze politiche
della Valcamonica. 85 Il fatto che il sindacato avanzi una proposta associazionistica alle piccole
imprese solleverà sorprese e critiche: dall’accusa di pansindacalismo a quella di difendere
un’economia fatiscente e spesso sconfinante nel lavoro nero. Ecco, in questo contesto e su queste
basi nasce l’iniziativa sindacale in Valle Camonica. Iniziativa a sostegno della quale vengono
chiamate la Lega tessile e il Consiglio unitario di zona.
La Fulta distacca dalla fabbrica un funzionario 86 che opererà in Valle Camonica dedicandosi
integralmente a questa attività, a nome della stessa federazione unitaria di categoria.
Il primo accordo
Il 30 novembre 1978 viene finalmente conquistato l’accordo, dopo che, nel giro di pochi giorni,
l’Unione degli artigiani aveva dovuto tenere a Breno due assemblee gremitissime per sottoporre agli
artigiani le intese che via via maturavano. La chiave della trattativa risiede nell’osservanza della
legge n.300/1970 anche per le imprese con meno di 15 dipendenti. La questione è di fondamentale
importanza: su di essa poggia tutta l’ipotesi di intervento sindacale, in quanto non vi è definizione
di vertenza che possa prescindere da un accordo soddisfacente su questa materia.
L’accordo prevede che le aziende depositino, presso la Pretura territorialmente competente, una
dichiarazione in cui si afferma che nessun licenziamento potrà avvenire se non “in applicazione
delle ragioni espressamente previste dal vigente contratto collettivo nazionale di lavoro e da
eventuali successive modifiche”. Un accordo che offre quella copertura all’intervento sindacale, in
assenza della quale era consentito ogni abuso da parte del padrone.
81
Ibidem.
82
«… negli anni Settanta il settore avrebbe subito un’ulteriore evoluzione sia nella struttura produttiva che nella
tipologia dei prodotti e ciò avrebbe comportato una nuova riorganizzazione del ciclo (decentramento) e la comparsa di
piccoli e piccolissimi opifici con un’ulteriore espansione della sottoccupazione implicita». Roberto Cucchini, I tessili
bresciani. Operai, sindacati e padroni dagli anni Venti all’autunno caldo, Camera del Lavoro di Brescia, 1992.
83
Dino Greco, “L’economia riemersa. Un’esperienza di lotta delle operaie dell’abbigliamento”, Proposte n. 86-87,
Editrice Sindacale italiana, marzo 1980.
84
Federazione Unitaria Lavoratori Tessili e Affini.
85
Il 25 ottobre del 1978, il capogruppo del Pci in Comunità montana, P. Giacomo Bazzana, scriverà al Presidente della
Comunità montana, all’Assessore all’Industria e Artigianato ed ai gruppi consiglieri Dc, Psi, Psdi e Pri: «Ci è giunta
dalla Fulta provinciale di Brescia una lettera datata 10.10.78, lettera anche a voi diretta, con la quale viene chiesto un
incontro sui problemi delle aziende artigiane dell’abbigliamento e nella quale vengono avanzate alcune proposte e
richieste alla Comunità montana per far avanzare e affermare l’associazionismo tra le aziende artigiane del settore.
Riteniamo che le questioni correttamente poste dalla Fulta meritino grande attenzione ed una tempestiva risposta…».
86
Domenico Ghirardi, di cui si è già detto.
21
Le associazioni artigiane dovranno provvedere, in capo a due mesi, a raccogliere le dichiarazioni
degli imprenditori artigiani.
L’accordo si chiude con una dichiarazione congiunta che rappresenta il quadro di riferimento entro
cui si vuole collocare l’intesa: «… le parti convengono sulla necessità che le aziende artigiane
dell’abbigliamento promuovano forme di associazioni consortili che, attraverso la progressiva
costituzione di strutture e servizi comuni possano loro garantire una maggiore autonomia sul
mercato e una vita produttiva meno precaria; sollecitano un intervento delle autonomie locali, in
particolare della Comunità montana di Valle Camonica, perché agevolino e sostengano, con
opportune iniziative, la nascita di realtà consortili fra le piccole imprese».
Dopo due mesi dalla sottoscrizione dell’accordo e dalla positiva consultazione dei lavoratori da una
parte e degli artigiani dall’altra, nessuna firma è stata raccolta e depositata in Pretura per
l’omologazione. L’Unione degli Artigiani temporeggia, fa capire che è questione di tempo, invoca
pazienza. Ma nelle fabbriche i rapporti sono divenuti improvvisamente più tesi, e si avverte che sta
maturando qualcosa di negativo. Alla fine di gennaio ’79, infatti, viene recapitato alla Fulta, alla
Comunità montana, ai partiti e ai sindaci di tutti i comuni della Valle Camonica un documento
firmato da oltre cento artigiani, fra cui anche i membri della delegazione che aveva concluso
l’accordo del novembre ’78. Il documento rappresenta l’impugnazione formale dell’accordo stesso,
come a dire che «il risultato di un patteggiamento durato mesi, la ricerca meticolosa di formulazioni
accettabili per le parti, la costruzione di un’intesa formale capace di disciplinare la vita produttiva e
le relazioni sindacali nelle aziende artigiane, vengono cancellati di un colpo o, per lo meno, a tale
obiettivo mira uno schieramento che possiede una ben precisa identità politica […]». 87
Si ricomincia dal Consiglio di zona
Il 9 febbraio 1979 si riunisce il Consiglio unitario di zona. Ma la riunione si trasforma in
un’assemblea di massa. Vi partecipano i segretari generali della Federazione provinciale Cgil-CislUil. Viene votata all’unanimità una mozione molto ferma che chiede l’immediata applicazione delle
intese e critica duramente la Comunità montana per aver assunto «una posizione di inammissibile
equidistanza fra la Fulta che si batte per il rispetto dell’accordo e gli artigiani che intendono farlo
saltare […], una posizione che legittima e rafforza oggettivamente le manovre in atto e alimenta il
sospetto che vi sia, proprio all’interno di un’istituzione preposta alla programmazione, chi lavora
per mantenere le cose come stanno».
Quando, ai primi di marzo del 1979, si riunisce la Lega tessile di Valle Camonica, la situazione
appare molto tesa e difficile. C’è chi punta a uno scontro duro. Vi è anche un tentativo padronale di
coinvolgere i lavoratori nella costituzione di cooperative “capestro” con l’obiettivo di confondere la
situazione e disinnescare una potenziale risposta di lotta. Tentativo che viene però respinto.
Per quasi due mesi, tutta la Lega tessile e numerosi operai, appartenenti anche ad altre categorie, 88
suddivisi per squadre, svolgono un’iniziativa di penetrazione capillare che tocca ogni paese della
Valle Camonica, e «quando il 12 maggio 1979 (un sabato mattina) la Fulta chiama a convegno le
operaie dei laboratori, esse rispondono di slancio: oltre 400 operaie danno vita ad un’assemblea
dove la volontà di riscatto, la carica di lotta e l’entusiasmo per aver rotto una situazione di passività
e rassegnazione raggiungono punte prima sconosciute. Il 12 maggio rappresenta dunque la chiave di
volta di tutta la vicenda. Da questo momento in poi saranno loro, le lavoratrici, le protagoniste della
battaglia sindacale». 89
87
Dino Greco, “L’economia riemersa. Un’esperienza di lotta delle operaie dell’abbigliamento”, Proposte n. 86-87,
Editrice Sindacale italiana, marzo 1980.
88
«… poi andavamo anche nelle altre fabbriche della zona: ci chiamavano e noi andavamo, e non abbiamo fatto
neanche brutta figura. Ci siamo scontrati coi loro principali: lì erano i padroni proprio, nel vero senso della parola, e
abbiamo fatto accordi anche con quelli…», Cesare Bazzana in Teofilo Bertoli: Forno Allione e dintorni.
89
Dino Greco, “L’economia riemersa. Un’esperienza di lotta delle operaie dell’abbigliamento”, Proposte n. 86-87,
Editrice Sindacale italiana, marzo 1980.
22
Precipita la crisi alla Labi di Braone
Verso la fine del decennio la situazione alla Labi di Braone precipita. Nel settembre del 1979, in
seguito a notizie apparse sulla stampa locale 90 che danno per certa la vendita della fabbrica da parte
del gruppo Bassetti, il segretario di zona del Pci, Cesare Moles, scrive alla Comunità montana di
Valle Camonica, chiedendo la convocazione urgente della commissione industria per «valutare il
problema ed eventualmente proporre le opportune e conseguenti iniziative…». 91
Nei primi giorni di ottobre è Valerio Moncini, coordinatore della media valle, a convocare i direttivi
delle sezioni Pci di Breno, Losine, Niardo, Ceto, Braone, Cerveno, Ono S.Pietro e Capodiponte «al
fine di esaminare le iniziative più opportune [affinché] questa manovra del democristiano Bassetti
venga sventata e che il nostro partito si mobiliti sin da oggi nella difesa del posto di lavoro e dei
diritti delle lavoratrici della Labi». 92
Nei giorni successivi, i responsabili dei gruppi presenti in Comunità montana 93 diffondono un
ordine del giorno in cui si dichiara che «La Comunità montana di Valle Camonica e le forze
politiche in essa rappresentate, esaminata con particolare attenzione e preoccupazione la situazione
della Labi di Braone e le notizie circa operazioni finanziarie in corso, relative alla stessa, nel
ricordare che tale insediamento industriale ha potuto concretizzarsi grazie all’opera programmatoria
degli enti pubblici valligiani e che la manodopera che vi è impiegata interessa una zona
economicamente debole, si impegnano a tutti i livelli perché questa operazione, che potrebbe avere
come conseguenza l’aggravarsi della situazione occupazionale della Valle, non vada in porto, e
pertanto chiedono al Gruppo Bassetti, che aveva sottoscritto impegni presici con il Bim circa
l’aumento dell’occupazione, di dare precise garanzie che l’azienda sarà resa produttiva senza
intaccare l’attuale livello occupazionale, rispettando, in tal modo, gli accordi sottoscritti». 94
Nella convocazione di un’assemblea pubblica a Braone per la serata di sabato 13 ottobre, dopo aver
denunciato l’arricchimento del democristiano Bassetti a spese della Valcamonica, le sezioni Pci
della media valle fanno una breve cronistoria dell’accordo del 1970 fra la Labi ed il Bim: accordo in
base al quale il Bim, oltre a cedere 30mila mq. di terreno a Lire 500mila, concedeva al gruppo
Bassetti un contributo di lire 500mila per spese di insediamento della Labi («i democristiani del
Bim, restituivano così anche i pochi soldi che Bassetti aveva pagato per i terreni»), mentre il gruppo
Bassetti si impegnava a realizzare 150 posti di lavoro entro il dicembre del 1972, ed un totale di 500
posti di lavoro entro il dicembre del 1977).
La Labi, leggiamo sulla convocazione dell’assemblea, «non ha realizzato i posti di lavoro
concordati, [e] vuole vendere la fabbrica e i terreni “regalati” dal Bim». Mentre il Bim, «vecchio
carrozzone clientelare che la Democrazia cristiana si ostina a mantenere in vita per avere qualche
poltrona in più da distribuire fra i suoi uomini, ancora una volta ha generosamente dato i nostri soldi
ai padroni, senza chiedere loro garanzie serie, esattamente come aveva fatto in passato con la Edi, la
Made, la Società Baitone, la Prada, la Cooperativa (fasulla) di Capodiponte, ecc… In tali occasioni
la Dc è stata a fianco dei padroni [conclude l’appello delle sezioni Pci di media valle] chiediamo
che nella vicenda Labi sia con i lavoratori!».
Con un appello alla Dc si conclude pure il comunicato stampa diffuso dal Pci di zona nel novembre
successivo, comunicato in cui si stigmatizza anche il comportamento del sindaco di Braone, Bino
Rizzardo: «… mentre da un lato i lavoratori e il sindacato si battono per difendere questa unità
produttiva e i livelli occupazionali attuali e per avere garanzie circa un ritorno di questa azienda a
livelli di produttività e competitività sicuri, dall’altro i comportamenti della Fin-Bassetti, di Donina
90
In tutto il decennio sarà piuttosto diffuso, per quanto sconcertante, il fatto che tanto il sindacato (vedi esempio
Ferretti) quanto le forze politiche valligiane vengano messi al corrente della minaccia di chiusura di grosse fabbriche
attraverso qualche “indiscrezione” giornalistica.
91
Breno, 25 settembre 1979.
92
Breno, 3 ottobre 1979.
93
Dc (Martino Squaratti); Pci (Cesare Moles); Psi (Emilio Nessi); Gruppo misti (Stefano Poni).
94
Breno, 8 ottobre 1979.
23
Rubagotti e le prese di posizione del ragionier Bino Rizzardo, sindaco di Braone, indicano che si
vuole andare verso tutt’altra direzione […]. I comunisti, fortemente preoccupati per questa
situazione, esprimono la più completa solidarietà ai lavoratori in lotta e si battono a tutti i livelli
perché i diritti dei lavoratori vengano salvaguardati, e perché la Dc, il partito di Bassetti, del Bim e
della Comunità montana che in Vallecamonica detiene tutte le leve del potere, esca dalla sua
ambiguità e si schieri assieme alle altre forze politiche e al sindacato per impedire che questo nuovo
colpo alla già precaria situazione occupazionale in Valle vada in porto».
Nel 1980, nonostante il coinvolgimento della Regione Lombardia, 95 inizia il declino irreversibile
della fabbrica. Negli ultimi giorni di maggio, in un volantino firmato dalla Federazione unitaria dei
lavoratori tessili e dal Consiglio di zona della Valcamonica, si denuncia il modo “pressapochista” di
gestire l’azienda da parte del nuovo imprenditore: «… il lavoro viene inserito sulle catene in modo
disorganizzato. Manca completamente una seria direzione che sappia programmare e riorganizzare
il lavoro, nonostante le continue insistenze del Consiglio di fabbrica e del Sindacato che chiedevano
un piano di riorganizzazione del lavoro, ribadito tra l’altro all’incontro con la Direzione il giorno
31.03.80 nella sede del Centro di Sviluppo a Brescia.
L’unica risposta venuta dalla Direzione Sbaraini è quella di aver attuato comportamenti e
provvedimenti quasi come a voler dire che l’unico problema alla Labi era quello di mettere in riga
le lavoratrici con una ferrea disciplina.
Tra l’altro – continua il volantino sindacale – in fabbrica si verificano sbagli di impostazione del
lavoro da parte della Direzione che hanno rovinato centinaia e centinaia di capi. Il bilancio per il
1980, se le cose continueranno così, riscontrerà un passivo notevolmente più alto di quello
preventivato. Il lavoro procede sempre in modo disorganizzato». 96
Un partito in… mobilità
Abbiamo visto come per tutta la seconda metà degli anni Settanta, nonostante il sindacato cominci
ad organizzarsi seriamente anche in Valcamonica, sarà ancora il Partito comunista – potendo fare
affidamento su un buon tessuto organizzativo diffuso nei paesi e nelle fabbriche – ad esercitare il
ruolo di protagonista, non solo nei ruoli che gli competono politicamente (problemi istituzionali,
sanità, sviluppo territoriale, ecc.), ma anche sui temi del lavoro e dell’occupazione, fino ad
“invadere” il campo delle competenze sindacali,97 Nell’arco di due decenni (anche un po’ meno,
forse) assisteremo ad una radicale inversione di tendenza, fino al punto in cui la Segreteria
confederale della Cgil diventerà il luogo da cui passeranno tutte le proposte di progetto e di
organigramma delle istituzioni comprensoriali. 98
Se il Pci è in… effervescenza, soprattutto in seguito ai lusinghieri risultati ottenuti nelle ultime
tornate elettorali, le cose vanno un po’ meno bene per la Fgci (i cui circoli sono presenti nei comuni
95
«… a questo incontro presso l’Assessorato al lavoro della Regione Lombardia, con la presenza del Centro di Sviluppo
della Camera di Commercio di Brescia, il Sindacato, la Bassetti e la Comunità montana di Vallecamonica, veniva
avanzata la proposta di un imprenditore, il signor Sbaraini, le cui credenziali venivano assicurate anche dallo stesso
Assessore Vertemati». Federazione unitaria lavoratori tessili e abbigliamento – Consiglio di zona Valcamonica,
Erbanno, 29 maggio 1980.
96
É interessante notare come il Consiglio di Fabbrica e il Sindacato puntino ad assumere un ruolo da protagonisti anche
nei processi produttivi: «… il lavoro viene inserito sulla catena in modo disorganizzato […]. Si verificano sbagli di
impostazione del lavoro da parte della Direzione che hanno rovinato centinaia e centinaia di capi…». Mentre per il
padrone, soprattutto se “improvvisato” (e quindi “necessariamente” arrogante), si tratta semplicemente di «…mettere in
riga le lavoratrici con una ferrea disciplina».
97
Significativo, al riguardo, l’appello del responsabile di zona, Cesare Moles, a tutti i segretari di sezione, nel 1979: «…
sei pregato di fornire gli eventuali nominativi di compagni e simpatizzanti che lavorano presso l’Amministrazione
Postale. Ciò allo scopo di costituire un primo nucleo della Cgil, in Valle, operante in tale specifico settore».
98
Significativo, a tale riguardo, un editoriale di Angelo Panebianco che scriverà: «Se ora osserviamo l’evoluzione dei
rapporti fra la Cgil e il Pci prima, e i Ds oggi, possiamo notare che questi rapporti sono passati da una fase in cui il
sindacato era dominato dal partito (epoca Pci) a una fase, più recente, di equilibrio fra le due organizzazioni. Ma oggi
sembra di assistere a un tentativo della Cgil di rovesciare a proprio favore la bilancia, con l’intento, forse, di dar vita ad
una sorta di laburismo all’italiana», Angelo Panebianco, Se Cofferati prende partito, Corriere della Sera, 7 agosto 2001.
24
di Cevo, Cividate, Darfo, Esine, Gianico e Piancamuno), tanto da giustificare, nel gennaio 1979, un
intervento congiunto dei responsabili di Valle della Fgci e del Pci, Franco Ballerini e Cesare Moles,
per «individuare quelle forze di aiuto, sia politico che organizzativo, indispensabili per permettere
ai compagni della Fgci di operare in modo positivo nel rapporto coi giovani nella nostra realtà».
Di fatto, i circoli della Fgci in Valcamonica si scioglieranno per inerzia negli anni immediatamente
successivi, ma durante la breve fase in cui rimangono attivi non mancano esempi di interesse e di
impegno, tanto sui problemi politici di carattere generale, come si legge nel testo dell’accordo fra
Fgci, Avanguardia operaia, Gioventù aclista, Fgs e Pdup a proposito di riforma della scuola:
«L’apertura della scuola alle grandi masse, la fine del privilegio di chi studia nei confronti di chi
lavora, la presenza e la partecipazione dei lavoratori alla scuola, sono gli obiettivi che il movimento
dei lavoratori e degli studenti hanno sostenuto contro il blocco dominante…», 99 quanto sui
problemi concreti della Valle, come la presa di posizione del Circolo di Cividate a proposito
dell’occupazione alla Prada, dove «i lavoratori si trovano, come sempre dopo i soliti appoggi
formali delle “supreme cariche cividatesi”, senza salario e con scarse prospettive di lavoro. Dopo tre
mesi di stressante occupazione, un numero non trascurabile di operai ha dovuto (e non per motivi
futili) cercare una nuova occupazione, alimentando in tal modo l’ormai dilagante lavoro nero»; o
come evidenziato dal nutrito ordine del giorno con cui il segretario di zona convoca la riunione di
tutti gli iscritti nel pomeriggio di sabato 10 marzo 1979: «… la vertenza del sindacato nei laboratori
di confezioni; la situazione delle scuole in Vallecamonica; l’espansione di un fenomeno come la
droga, che crea emarginazione e disinteresse; i problemi del tempo libero per i giovani, del bisogno
che ognuno ha di comunicare, discutere e trovare dei luoghi e delle forme di aggregazione».
La stagione dei giovani
Negli anni cavallo tra i decenni Settanta e gli Ottanta, un’intera generazione di giovani entra da
protagonista (come funzionari, sindaci, assessori o anche solo come candidati) nella scena politica.
Il Partito comunista, le amministrazioni comunali e il sindacato, soprattutto, diventano la fucina di
sperimentazione per giovani comunisti “ortodossi” (i più coriacei, perché vantano una notevole
esperienza di formazione alle “Frattocchie” o alla scuola sindacale di Ariccia), “catto-comunisti”
provenienti dalle file di Lotta continua e, un po’ più tardi, ex “sessantottini” già militanti dei vari
movimenti studenteschi.
All’inizio degli anni Ottanta, quindi, la maggior parte di questi giovani – molti dei quali non ancora
trentenni – avrà modo di cimentarsi con la vecchia classe dirigente democristiana anche nelle
elezioni provinciali, regionali e politiche, in un confronto che, per quanto destinato ad essere quasi
sempre perdente sul piano dei numeri, sarà motivo di grande apprezzamento nell’ambito non solo
della sinistra, ma dell’intero Paese.
Si tratta, come vedremo, degli stessi “giovani” che vent’anni dopo, mentre si assisterà ad un diffuso
rinnovamento generazionale in quasi tutti gli altri schieramenti politici (a cominciare da quelli
“conservatori”), ritroveremo sulla scena come replicanti di sé stessi, indaffarati soprattutto ad
assicurarsi le posizioni acquisite (o desiderate a lungo) nei posti di comando – in Valcamonica non
meno che nel resto del Paese – tanto da far dire al “Grande vecchio”, Vittorio Foa, che «la sinistra si
è tagliata fuori dai giovani. Ha difeso l’esistente, i vecchi, e ha sacrificato i giovani». 100
99
All’indomani della sua riconferma alla presidenza della Giunta regionale lombarda (nel 1999), Roberto Formigoni,
con la concessione di un buono scuola (da spendere indifferentemente negli istituti pubblici o privati) a tutte le famiglie
in cui il reddito “pro-capite” non sia superiore a 60 milioni (circa 3 volte il reddito di una famiglia operaia), potrà
vantarsi di aver realizzato «… la prima effettiva parità favorendo la libera scelta educativa». Affermazione che non sarà
priva di fondamento, se valutata in relazione allo scontro ideologico in atto fra scuola pubblica e scuola privata, ma
assolutamente fuori luogo se rapportata all’obiettivo della pari opportunità fra i ceti sociali.
100
Vittorio Foa, intervista di Marco Cianca, Corriere della Sera, 25 aprile 2000.
25
ANNI OTTANTA: PROGETTO AMBIZIOSO O EMERGENZA?
«...l'officina non è più quella, e gli operai non vi si riconoscono più, nemmeno più si vedono fra
loro. L'operaio non trova più i suoi colleghi e non trova più se stesso. Non sa più da che parte
girarsi, nemmeno davanti a quel pezzettino insignificante di lavoro che gli è stato assegnato...»
(Paolo Volponi, “Le mosche del capitale”)
Periferia
Nel gennaio del 1980 nasce Periferia, rivista trimestrale il cui ambizioso programma si può già
cogliere nel sottotitolo: (“materiali per conoscere il territorio camuno”) e nell’indice delle rubriche
(territorio; architettura; lavoro; salute; ricerca storica; scuola; donna; fotografia; rubriche; libri;
teatro…). Un indice di rubriche da cui si può intuire anche il livello culturale dei collaboratori. La
rivista, infatti, sarà diretta da Roberto Andrea Lorenzi, e potrà avvalersi di firme come quelle di:
Giuseppe Di Pietro, Giancarlo Maculotti, Alessio Domenighini, Giovanna Mello, Graziella Canu,
Giancarlo Pianta, Claudio Gasparotti, Giuseppe e Gianfranco Bondioni, Mimmo Franzinelli, tanto
per non citare che i nomi più noti e prestigiosi.
Una rivista che avrà vita breve (poco più di quattro anni) ma intensa (anche se forse un po’ troppo
indulgente ai “vezzi culturali” del suo direttore).
Basti pensare che in questi quattro anni verranno trattati – e quasi mai in modo superficiale – temi
come: il dissesto idrogeologico e sociale legato alla distruzione della montagna; inchieste e indagini
sull’economia valligiana (l’insediamento operaio e la fabbrica del capitale a Cogno; nascita,
sviluppo e decadenza dell’economia nel triangolo Darfo Pisogne e Lovere; decentramento
produttivo e lavoro sommerso…); indagini sulla scuola e sull’informazione in Valle Camonica; gli
effetti sul territorio della riforma sanitaria; droga e questione giovanile; storia e problemi della
pastorizia e dell’agricoltura; il ruolo delle banche nell’utilizzazione distorta delle risorse in Valle;
la crisi del sindacato…
E sarà proprio alla crisi del sindacato che Periferia dedicherà una delle sue ultime inchieste, in
occasione del cosiddetto accordo di San Valentino, 101 che offrirà il fianco al direttore della rivista
per scrivere: «Nessuna rosa d’amore tra le componenti sindacali, il giorno di San Valentino. Quel
14 febbraio di disamore segna una tappa fondamentale nel processo di disunità sindacale, che si
trascinava da anni, ma che era venuto fortemente a configurarsi dalla fine dell’82, sulla scorta della
famosa assemblea dei Consigli dei delegati all’Eur nel ’76 (chi più ricorda ora la teorizzazione del
salario come variabile dipendente, la legittimazione della “grande politica”, la proposta di riforma
organizzativa del sindacato stesso, che si pose allora come uno dei grandi soggetti della politica
conomica?), del convegno settembrino 1979 di Montesilvano (nel quale credo che per la prima
volta si inizi a sostenere che il CdF deve rappresentare oltre che i lavoratori anche il sindacato
organizzato e con il quale nascono i comprensori), della sconfitta ottobrina alla Fiat nell’80, del
convegno cislino di Montecatini, nel marzo dell’81, nel quale Carniti lanciò la famosa parola
d’ordine “lavorare meno, lavorare tutti”, e della discussione sulla struttura del salario che lì ebbe
inizio, fino ai Congressi confederali dello stesso anno, per la prima volta dall’unità sindacale aperti
da ciascuna delle tre confederazioni con slogans diversi, e forse tutti e tre erronei, perché
parziali…». 102
Nasce il comprensorio sindacale
Il 26 maggio del 1980, il Consiglio generale della Federazione Cgil-Cisl-Uil della Lombardia
decide di superare le vecchie strutture provinciali e decentrare energie ed iniziativa sindacale in
«una serie di organismi più a contatto con le esigenze del territorio e dei lavoratori». Nascono così,
con il voto contrario della Uil bresciana e alcune astensioni fra i comunisti della Cgil (fra i quali
101
Nel febbraio del 1984, Cisl, Uil e componente socialista della Cgil sottoscrivono un accordo col governo Craxi per il
blocco parziale della scala mobile. Accordo che si concluderà con il cosiddetto “Decreto di San Valentino”.
102
Roberto Andrea Lorenzi, “San Valentino del disamore. Il ‘grande freddo’ nel sindacato, tra conti in rosso, opacità e
prudenze”, Periferia, n. 18/19, 1984.
26
anche alcuni bresciani, con in testa il segretario della Camera del Lavoro, Aldo Rebecchi),103 i
nuovi comprensori sindacali. La Valcamonica, insieme al Sebino (compresa la sponda bergamasca)
ed una parte consistente della Franciacorta, costituisce il comprensorio Valcamonica-Sebino. 104
Nei primi mesi del 1981 si svolgono i congressi costitutivi delle varie categorie e, quindi, della
Camera del Lavoro Territoriale di Valcamonica Sebino.
Ma il comprensorio camuno-sebino nasce zoppo, per almeno due motivi: primo, perché i suoi
confini si espandono in modo sconsiderato verso sud, includendo comuni che nulla hanno a che fare
con la realtà camuna, e neppure con quella lacustre del Sebino, mentre rimangono inspiegabilmente
troncati sul versante della Val di Scalve, i cui interessi economici e culturali gravitano sulla
Valcamonica da secoli; secondo, perché lo stesso segretario della Cgil regionale, Franco Torri, che
ha contribuito a tracciare (assieme a Melino Pillitteri della Cisl) i confini della nuova geografia
sindacale non si accontenterà dell’aver introdotto un limite di natura territoriale, ma riuscirà ad
imporre alla guida del nascente comprensorio un Segretario di “importazione”, quasi sconosciuto
alle decine di militanti che da anni si battono per l’autonomia territoriale.
Le due questioni non sono di poco conto: l’eccessiva estensione territoriale, soprattutto nella misura
in cui giunge perfino a “lambire” la periferia bresciana (con i comuni di Ome, Monticelli, Passirano
e Paderno), non agevolerà certamente la formazione di un tessuto organizzativo omogeneo, o
quantomeno integrato, malgrado la buona volontà dei dirigenti sindacali che provvederanno alla
distribuzione delle riunioni comprensoriali sul territorio (da Edolo a Lovere, Iseo e Sarnico); ma
sarà soprattutto la seconda questione, quella del segretario, a porre (quantomeno nella fase iniziale)
una seria ipoteca sul decollo della struttura comprensoriale della Cgil.
Giorgio Faccardi, infatti, pur essendo un “camuno-sebino” (di Castro), viene dalla Fiom di Bergamo
(di cui è segretario fino all’assegnazione del nuovo incarico confederale) e per questo si porta dietro
almeno tre “handicap”: 1) non è conosciuto dalle decine di militanti che formano il quadro attivo
del sindacalismo di sinistra camuno; 2) viene da una categoria, i metalmeccanici, che ha sempre
considerato la fabbrica come unica sede naturale del conflitto, 105 assegnando al territorio le sole
funzioni di “cassa di risonanza” nelle circostanze in cui è necessario ricercare la solidarietà esterna
o, in caso di conflitto, la mediazione istituzionale; 3) la cultura sindacale bergamasca è meno
permeata, per ragioni storiche e geografiche, di esperienze sul territorio.
Il candidato naturale per la segreteria generale della nascente struttura camuno-sebina, quindi, non
può che essere un “camuno”, vale a dire Vittorio Ongaro, che da qualche anno è già segretario del
Consiglio di zona della Valcamonica. Ma le cose vanno diversamente, ed il primo a pagarne
duramente le conseguenze, come vedremo, sarà proprio Giorgio Faccardi.
Situazione disperata nel settore metalmeccanico
Nei primi anni del decennio la situazione occupazionale nel comprensorio camuno-sebino è
“disperata”, come si legge in una lettera della Flm a tutte le strutture sindacali comprensoriali: «…
Tra le cause di questa grave situazione sembrano emergere, insieme ai fattori che accomunano il
nostro comprensorio alle situazioni nazionali, motivazioni specifiche da ricondursi alla crisi di
fantasia manageriale degli industriali locali, alla scarsa disponibilità di numerose imprese, alla
predominanza di alcuni settori a bassa tecnologia, all’aumento continuo dei costi dell’energia e
delle materie prime e alla carenza assoluta di infrastrutture. È però sul problema del credito che
103
«Brescia, in tutta questa operazione è guardata con attenzione: al di là del dissenso marcato a Milano, è stato da
questa provincia (dalla Valcamonica) che sono partite le prime esperienze di sindacato decentrato» Bresciaoggi, 29
maggio 1980.
104
«In concreto l’operazione porterà a radicali cambiamenti nel sindacato. Cambiamenti nel modo di operare, nelle sedi
di riferimento, nell’utilizzo degli operatori come dei dirigenti. Le articolazioni operative saranno cinque [...]: la prima
istanza sarà il Consiglio dei delegati, quindi la zona unitaria, i comprensori (non pienamente unitari, ma uniti dal patto
federativo), le regioni e, infine, l’istanza nazionale», » Bresciaoggi, 29 maggio 1980.
105
Nel momento in cui la Federazione Cgil Cisl Uil avvia la stagione delle riforme sociali, la Flm accentua il proprio
impegno unitario, caratterizzato però da una sempre più evidente venatura polemica nei confronti del “riformismo” e,
quindi, da un proprio distinto spazio di visibilità anche nelle piazze, tanto da essere definita la “Quarta confederazione”.
27
vorremmo richiamare l’attenzione dell’insieme del movimento sindacale. Infatti la crisi è anche
dovuta alla scarsa liquidità di molte aziende». 106
Il Segretario della Flm comprensoriale, Angiolino Faccoli, aggiunge poi dei dati relativi alla
situazione comprensoriale nel secondo semestre del 1982: «Su 9.600 addetti metalmeccanici, a
tutt’oggi ne abbiamo 1.600 in Cassa integrazione, pari al 12% del totale, e per 700 di questi esiste il
rischio concreto di perdere definitivamente il posto di lavoro». 107
La Flm produce infine una scheda in cui vengono riassunte le singole situazioni di crisi nel
comprensorio, da cui ricaviamo i seguenti dati: 108 Ovc di Edolo (meccanica generale), crisi generata
dalla caduta del mercato meccanotessile, Cassa integrazione per 80 lavoratori dall’agosto del 1980;
Gf di Malonno (stamperia), crisi causata dalle difficoltà del settore auto, Cassa integrazione in atto
per 50 lavoratori; Tassara di Breno (siderurgia), crisi derivata sia dalla crisi generale del settore sia
dalla crisi finanziaria Italsider e dalla caduta del mercato delle ferroleghe, difficoltà finanziarie;
Acciaieria di Darfo (siderurgia), crisi finanziaria conseguente alla crisi generale della siderurgia
minore, Cassa integrazione per 86 lavoratori dal luglio 1981; 109 Hanil-Italia [ex Ferretti, ex Svaf] di
Gianico (siderurgia), di fatto non esiste più una proprietà, l’azienda ha accumulato 12,6 miliardi di
debito e l’ipotesi più probabile è la dichiarazione di fallimento, Cassa integrazione da giugno 1982
per 290 lavoratori; Predalva di Piancamuno (siderurgia), crisi causata dalla caduta di mercato del
settore, Cassa integrazione per 160 lavoratori dal luglio 1981; 110 Iseo Serrature di Pisogne
(pressofusioni), crisi finanziaria legata ad una radicale caduta di mercato, in modo particolare
estero, Cassa integrazione per 100 lavoratori per la durata di un anno a partire da ottobre 1982;
Metalstampati di Gianico (siderurgia), crisi legata alla caduta del mercato del comparto tubi
(l’azienda esegue lavorazioni per la Seta Tubi di Brescia), Cassa integrazione per 16 lavoratori da
luglio 1982; Acciaierie di Pisogne (siderurgia), abbandono da parte degli ultimi imprenditori per
indebitamento, con conseguente fallimento e presidio della fabbrica, richiesta di Cassa integrazione
per i 130 lavoratori a partire da novembre 1981; 111 Ravani di Costa Volpino (pressofusioni), crisi
conseguente alla caduta di mercato nel settore, Cassa integrazione per 20 lavoratori da un anno e
mezzo; Ols di Pisogne (siderurgia), difficoltà causate dalla situazione generale del settore, sono in
atto prepensionamenti e Cassa integrazione; Global di Rogno (pressofusioni), crisi causata dalla
caduta di mercato conseguente alla crisi del settore edilizio, Cassa integrazione per 12 lavoratori da
oltre un anno; Acciaierie di Sovere (siderurgia), ferma dal 1981 per alluvionamento, dei 22
occupati, 13 sono stati assunti alla Dalmine (di Dalmine); La Rocchi di Iseo (meccanica generale),
crisi di mercato, finanziaria, organizzativa ed imprenditoriale, Cassa integrazione per 25 lavoratori
da novembre 1981; Mbc-Bonomini di Ome (pressofusione), situazione di difficoltà per caduta di
mercato, Cassa integrazione per 10 lavoratori; Metalpress-Donati di Camignone (pressofusione),
crisi di mercato causata dalla crisi del settore auto, ed in modo particolare dalla crisi Fiat e Magneti
106
“Lavorare meno lavorate tutti”, Periferia, n. 3/4 1982.
107
Periferia, n. 3/4 1982.
108
Vedere tabella in appendice.
109
«L’impianto presentava delle strozzature tecniche ed organizzative, il forno e il trasformatore delle tensioni non
erano più adeguati e inoltre l’impianto produceva fumi nocivi…». Giorgio Pedrocco, Bresciani, dal rottame al tondino,
Jaca Book, 2000.
110
«Anche alla Predalva di Piancamuno, che aveva in corso una vertenza con la Regione sui massimali
antinquinamento, il titolare Ercole Spatti sembrava intenzionato a chiudere l’azienda, perché i forni elettrici erano
obsoleti e il loro rifacimento sarebbe costato 12 miliardi. Nell’estate del 1981 cominciarono i primi ridimensionamenti
che colpirono l’acciaieria, più esposta ai costi di trasporto. Rimanevano in attività solo i laminatoi di Piancamuno e di
Govine e 200 operai finirono in cassa integrazione»…». Ibidem.
111
«Sulle sponde del lago d’Iseo i conti li hanno fatti in fretta. Otto mesi di produzione. Tonnellate di acciaio 6.500
come media-mese, in soldoni una cifra, diciamo, di otto miliardi, milione più milione meno. Vendite brillanti, dunque. I
magazzini sono quasi vuoti. La regola è quella di stare ben sotto i prezzi correnti delle billette, ma di esigere sempre il
quattrino sull’unghia. Quando, in febbraio, le billette costavano 180 lire al chilo, Pieraccini e soci le vendevano a 150 e
giù di lì. Che cosa è mai lo sconto di trenta lire davanti al contante? Soprattutto se si è fedeli seguaci del proverbio
secondo cui “a pagare e a morire si è sempre in tempo”». Massimo Muchetti, “Miliardi ‘ballerini’ all’Acciaieria di
Pisogne”, Bresciaoggi, 13 dicembre 1981.
28
Marelli, Cassa integrazione per 10 dipendenti da un anno; Omt di Passirano (forgiature-stamperia),
difficoltà causate dalla crisi del settore veicoli pesanti (l’azienda lavora per la Om di Brescia), Cassa
integrazione per 30 lavoratori da ottobre a dicembre 1982; Lanza di Predore (metallo-plastica),
passaggio a nuovo assetto societario con l’assunzione di 110 unità, i rimanenti 10 lavoratori sono
posti in Cassa integrazione. 112
«A tutte queste fabbriche – continua Faccoli – vanno aggiunti i vari laminatoi: Seii di Malegno, Tim
di Pisogne, Laminatoi di Govine, ecc, che, per effetto della crisi siderurgica e delle conseguenti
quote di riduzione Cee, sono costretti alla messa in Cassa integrazione dei lavoratori per periodi
anche consistenti. A completare questa situazione estremamente grave, si aggiungono le situazioni
di difficoltà delle due maggiori aziende del comprensorio: la Terni di Lovere e Darfo e la Dalmine
di Costa Volpino. In queste grosse realtà, dal 1976 ad oggi abbiamo registrato un calo di
occupazione che si aggira sulle mille unità lavorative». 113
Dall’analisi della Flm (al cui lungo elenco di fabbriche in crisi va aggiunta, ancora, la Ferriera di
Ceto), 114 come si vede, emergono almeno tre cose degne di rilievo: la forte dipendenza da cause
esterne (e quindi difficilmente controllabili) delle attività produttive nel settore metallurgico; la
volontà del sindacato nel farsi parte attiva nella determinazione dei processi produttivi e, infine,
l’impossibilità di coinvolgere tanto gli imprenditori quanto le istituzioni in un progetto generale che
vada oltre la gestione degli “ammortizzatori sociali”.
«Anche se serpeggiava nel mondo sindacale camuno un certo pessimismo – afferma ancora
Pedrocco nella sua ricerca – perché la periferia in occasione di salvataggi veniva sacrificata al
centro, all’inizio del 1983 la Flm sembra individuare una sorta di linea del Piave, oltre alla quale
non era possibile procedere con gli smantellamenti». 115
Ma già dall’anno successivo, con l’applicazione della legge 46/82, 116 cominciano i primi
licenziamenti: l’Acciaeria di Darfo abbatte il forno elettrico, ricevendo più di 3miliardi e
licenziando una cinquantina di lavoratori (mentre poco più di una decina rimangono in organico, in
attesa della legge sui prepensionamenti); la Ols di Pisogne chiude, ricevendo quasi 4miliardi e
licenziando più di 20 lavoratori; il laminatoio di Govine (Predalva) incassa più di 2miliardi per
trenta licenziamenti…
112
«La ristrutturazione diventerà infatti l’elemento dominante, in funzione dell’aumento della produttività e della
modernizzazione che attraverserà tutti gli anni ’80, a partire dalla Fiat, e toccherà tutti i metalmeccanici, con una sua
ritualizzazione: l’incontro con le controparti, la verifica degli esuberi, gli ammortizzatori sociali da mettere in
campo…». Claudio Sabattini, “Restaurazione italiana”, Manifesto libri, 2000.
113
“Lavorare meno lavorate tutti”, Periferia, n. 3/4 1982.
114
«Le vicende della Ferriera di Ceto rappresentano eloquentemente un caso limite dal punto di vista della logistica;
essa era nata nel 1973, troppo tardi per poter contare sui vantaggi dei bassi costi della manodopera che la localizzazione
alpina assicurava, mentre pesava la perifericità del sito distante circa una trentina di Km da Pisogne e dagli altri paesi di
fondovalle dove erano addensate le più importanti acciaierie […]. L’azienda fino a tutto il 1981 aveva perso 4,3
miliardi, ma l’acciaieria era modernissima e quindi si poteva pensare ad un suo mantenimento salvando 150 posti di
lavoro in pericolo, ma in forza dell’art. 20 della legge 46/82 [vedere nota succ.] l’acciaieria dei Saleri, se smantellava
tutto, poteva ottenere 9 miliardi […]. Malgrado le commesse di altri bresciani e la modernità degli impianti la Ferriera
di Ceto non riuscì mai a decollare ed approfittando delle leggi di finanziamento sugli smantellamenti i proprietari si
affrettarono a chiudere gli impianti…». Giorgio Pedrocco, Bresciani, dal rottame al tondino, Jaca Book, 2000.
115
Giorgio Pedrocco, Ibidem.
116
«Alle imprese siderurgiche che entro l’anno 1982 realizzino, anche mediante accordi interaziendali, riduzioni della
capacità produttiva mediante soppressione degli impianti marginali sul piano economico o obsoleti sul piano
tecnologico, posseduti alla data del 31 dicembre 1980, e che siano rimaste in attività almeno sino al 1979, possono
essere erogati, in rapporto alla capacità produttiva annua ridotta rispetto a quella risultante dall’ultima dichiarazione
fatta alle CECA e nei limiti delle disponibilità del fondo di cui al seguente comma, contributi fino a 100.000 mila lire
per ogni tonnellata di acciaio grezzo e fino a 150.000 lire per ogni tonnellata di semilavorati o di prodotto terminato».
Legge 17 febbraio 1982, n. 46, Interventi per i settori dell’economia di rilevanza nazionale, art. 20.
29
Dal Piave a… Caporetto
La linea del Piave, dunque pare attestata prima, piuttosto che dopo la disfatta di Caporetto. Una
disfatta che si presenta (ma era già stata lungamente annunciata) sotto un nome piuttosto conosciuto
(e temuto) in tutta la Valcamonica: Bellicini, 117 ovvero, Sidercamuna e dintorni…
«Il successo dei Bellicini stava nella loro capacità commerciale: da un lato comprare bene e vendere
al meglio e dall’altro aver grandi disponibilità di rottame nei depositi e di prodotti in magazzino. Il
magazzino aveva un valore del 46% sul fatturato mentre nei bilanci di Lucchini la quota era solo del
19%. Questa politica di grande assortimento nei magazzini comportava elevati costi finanziari ed
era in controtendenza rispetto al just on time degli altri “tondinari”. Con la Fincamuna 118 i Bellicini
riuscivano a coprire le operazioni di acquisto di rottame non solo ricorrendo ai prestiti a breve delle
banche, ma anche, con la stessa tecnica di Lucchini, al loro patrimonio familiare: la famiglia
Bellicini prestava soldi all’azienda con prestiti obbligazionari e ricavava interessi che diventavano
profitti sommersi». 119
Ma i Bellicini si erano distinti piuttosto bene anche per un altro elemento di forza, quello di
soffocare sul nascere ogni forma di organizzazione sindacale all’interno delle loro aziende. 120 «La
Flm era stata liquidata dopo un braccio di ferro da Far West dove vennero sconfitte non solo le
rappresentanze sindacali a colpi di licenziamenti, ma anche le processioni di protesta guidate dai
sacerdoti locali» 121 . I risultati furono facilmente quantificabili, non solo dal punto di vista
organizzativo (flessibilità della manodopera, ecc.), ma anche da quello economico; sempre secondo
la ricerca di Giorgio Pedrocco, infatti «i 336 operai e i 25 impiegati costavano complessivamente
alla Sidercamuna nel 1980 in media all’anno 10,5 milioni, per salire a 14,7 milioni nel 1982, mentre
alla Stefana F.lli il costo era di 17,4 milioni e alla Lucchini Siderurgica era di 17 milioni».
Sulla base di simili premesse economiche e sindacali, quindi, i Bellicini sono in gradi di acquistare
prima l’Acciaieria di Pisogne (che verrà ridotta a magazzino per lo smistamento su rotaia di tutta la
loro produzione), e poi l’ex Hanil di Gianico…
Ed il sindacato non riuscirà mai più a realizzare un qualche punto di organizzazione, o anche solo di
contatto all’interno delle fabbriche del gruppo, salvo mettere a disposizione degli operai i propri
uffici vertenze per il controllo delle liquidazioni quando, meno di un decennio più tardi, anche i
Bellicini cominceranno a smobilitare.
La Palini affonda
Nel maggio del 1983, nonostante il clima si vada sempre più raffreddando fra le tre componenti
della Federazione Cgil Cisl Uil, nasce Sindacato Costruzioni, il trimestrale dei lavoratori delle
costruzioni del comprensorio camuno-sebino (uscirà regolarmente per più di sei anni), diretto
unitariamente da Tullio Clementi e Bortolo Stefani, 122 ed è appunto dal primo numero di questo
117
«Era una famiglia patriarcale, il capostipite Andrea Bellicini scendeva a Brescia a trattare il ferro avvolto in un
tabarro nero e concludeva gli affari con una stretta di mano. I figli Lucio, cervello finanziario, e Valentino, grande
commerciante, erano ovviamente più moderni, ma le loro radici restavano tra le loro montagne…». Massimo Muchetti,
“I Bellicini tolgono la polvere al patrimonio di Sidercamuna”, Bresciaoggi, 17 novembre 1981.
118
Finanziaria di famiglia, costituita nel gennaio del 1981, in applicazione della legge 904/77, che permetteva agli
industriali la possibilità di conferire le proprie aziende industriali a finanziarie la cui rivalutazione non veniva tassata.
119
Giorgio Pedrocco, Bresciani, dal rottame al tondino, Jaca Book, 2000.
120
«Nel 1971 alcuni lavoratori della Sidercamuna di Sellero organizzarono un nucleo sindacale aziendale: la Direzione
assunse a loro carico pesanti provvedimenti, stroncando sul nascere il processo di sindacalizzazione. Rammentiamo che
in quel periodo si svolsero in Valcamonica numerosi scioperi comprensoriali, caratterizzati da una massiccia
partecipazione operaia, eccezion fatta per i dipendenti delle fabbriche Bellicini, le sole a tenere aperti i battenti».
Mimmo Franzinelli, “Dalla Commissione interna al Consiglio di Fabbrica” (note al testo), Periferia, n.19/19, 1984.
121
Giorgio Pedrocco, Bresciani, dal rottame al tondino, Jaca Book, 2000.
122
Bortolo Stefani (1943 – 2000), «… nel 1980 ha partecipato alla costruzione del comprensorio camuno-sebino,
diventando Segretario generale della Filca-Cisl comprensoriale. Nella sua lunghissima militanza ha ricoperto incarichi
di estrema responsabilità: Segretario generale della Filca-Cisl di Valcamonica-Sebino, come già detto; componente di
Segreteria dell’Unione Territoriale Valcamonica-Sebino; componente della Segreteria Filca del comprensorio di Brescia
30
periodico sindacale che recuperiamo un aggiornamento sulla situazione alla Palini: «… sulla crisi di
questa importante fabbrica del settore legno si è giunti al punto cruciale in cui, con la chiusura della
prima fase dove la proprietà tentava senza risultati di trovare in proprio una soluzione, si apre la
prospettiva alla successione nella gestione. Attualmente i lavoratori sono tutti sospesi (in Cassa
integrazione), mentre sono in corso le verifiche da parte del Tribunale e da parte delle istituzioni
sulla possibilità che la fabbrica venga gestita direttamente dai lavoratori, già associati in
cooperativa». 123
E per un breve periodo di tempo la soluzione cooperativa pare proprio lì, a portata di mano. Si
organizzano incontri e convegni con le istituzioni locali dove i soci della cooperativa espongono il
loro progetto: «Si è costituita da oltre un anno una cooperativa che raggruppa più della metà dei
lavoratori e che si pone l’obiettivo di rilevare l’attività della Palini, che dopo un anno di
vicissitudini giudiziarie è arrivata qualche giorno fa al fallimento […]. Vogliamo ancora una volta
sottolineare lo sforzo finanziario che i lavoratori si sono impegnati a fare, sottoscrivendo quote
sociali e conferimenti per un ammontare di circa 11 milioni a testa (compreso il credito delle
liquidazioni), dimostrando in questo modo di credere fermamente all’ipotesi di rilancio dell’azienda
sotto forma di cooperativa. Ipotesi non campata in aria, ma avvalorata da uno studio fatto da esperti,
che per mesi hanno analizzato la fabbrica e il suo mercato, minuziosamente, in ogni aspetto, da
quello tecnico a quello amministrativo, da quello produttivo a quello commerciale, mettendo in
evidenza soprattutto le carenze della precedente gestione e indicando la strada da percorrere per
rendere efficiente l’impresa…». 124
«Ma perché tutto questo lavoro non sia vano – continua il socio della “Nuova Palini” nella sua
esposizione – occorre che tutti gli enti pubblici da noi interpellati ci diano tutto il sostegno, sia
politico che finanziario, di cui sono capaci». Purtroppo le cose andranno diversamente.
Il 21 luglio del 1984 in un incontro tra la cooperativa Nuova Palini, Flc, l’Amministrazione
comunale di Pisogne e le centrali cooperative provinciali presso la prefettura di Brescia, viene
illustrata al Prefetto la proposta della “Nuova Palini” per l’acquisto dell’immobile e dei macchinari
da parte degli enti pubblici. La soluzione, assicurano gli amministratori della cooperativa,
consentirebbe la ripresa dell’attività lavorativa con circa 90 unità.
Nell’autunno dello stesso anno la situazione lascia ancora spazio all’ottimismo. L’impressione più
diffusa è che sull’intera operazione si siano ormai consolidate le varie convergenze fra Comune,
istituzioni varie, sindacato e cooperativa. Paradossalmente, però, tutta la questione rimane in panne
a causa di un «atteggiamento di incomprensibile insensibilità verso i problemi sociali ed
occupazionali da parte della Curatela fallimentare». 125
Ma intanto la situazione si va compromettendo seriamente sotto il profilo tecnico: «I capannoni e le
macchine stanno subendo un pericoloso deterioramento a causa dell’incuria e dell’abbandono in cui
è stata tenuta la fabbrica per quasi due anni, ed il mercato, che era il fiore all’occhiello a garanzia di
buone prospettive per la ripresa produttiva, sta pian piano orientandosi verso altri indirizzi…». 126
E a nulla serviranno, alla fine, gli appelli del sindacato affinché, di fronte al rifiuto del curatore
fallimentare a trattare la vendita della struttura, si adottino estremi rimedi: «l’Amministrazione
comunale, in caso di pubblica necessità, può disporre di strumenti d’emergenza come l’esproprio o
(di cui ne diventerà Segretario generale); componente dei Consigli generali Filca Regionale e Nazionale». Roberto
Ravelli Damioli, “Bortolo Stefani”, Graffiti, dicembre 2000.
123
Sindacato Costruzioni, maggio 1983.
124
Dall’intervento di Massimo Silini (già membro del Consiglio di fabbrica e, quindi, Consigliere della cooperativa
“Nuova Palini”) al convegno del 21 maggio promosso dal coordinamento delle quattro comunità montane (Valle
Camonica, Sebino bresciano, Alto Sebino bergamasco e Monte Bronzone) del comprensorio.
125
“Palini: non è ancora troppo tardi”, Sindacato Costruzioni, novembre 1984.
126
Ibidem.
31
la requisizione; ebbene, siamo nella situazione in cui questi strumenti possono e debbono essere
usati per risolvere un problema di rilevante portata sociale». 127
Un conflitto morale nel sindacato
Negli anni successivi, la Palini diverrà l’occasione per uno scontro senza precedenti all’interno
dell’apparato sindacale camuno-sebino. Rimasti senza lavoro in seguito al fallimento della società,
gli ex dipendenti della fabbrica di Pisogne sono collocati in Cassa integrazione nel 1983 e vi
rimarranno per oltre tre anni, fino a quando, grazie ad una legge finalizzata quasi esclusivamente
all’agevolazione dei lavoratori esuberanti dalle fabbriche in crisi (soprattutto acciaierie, ma non
solo) 128 , verranno assunti quasi tutti da aziende pubbliche (Ministero delle Poste, Anas, Corpo
Forestale dello Stato…).
A questo punto i due responsabili del sindacato di categoria, 129 considerando che ai pochi
“superstiti” restavano pur sempre altri sei mesi di garanzia salariale attraverso la disoccupazione
speciale, si rifiuteranno di firmare la domanda per una ulteriore proroga della Cassa integrazione, e
difenderanno pubblicamente la decisione come un necessario contributo all’abbattimento dei
privilegi e delle discriminazioni nel mondo del lavoro dipendente, puntando a superare il «contrasto
stridente che esprime, in tutta la sua dinamica, la questione della Cassa integrazione e della
Disoccupazione speciale: tre mesi tondi di cassa integrazione (che solo in casi eccezionali si
possono sommare con altrettanti di disoccupazione) per gli edili; salario garantito per anni (pur con
innegabili limiti quantitativi) per i settori industriali…».130 Ed è lo scandalo! “Traditori della classe
operaia” sarà l’appellativo con cui verranno additati per anni i due protagonisti dell’eresia. 131
Un conto in sospeso
Verso la metà degli anni Ottanta, si apre la fase decisiva che porterà alla “resa dei conti” sul piano
politico, chiudendo così la vecchia e non ancora risolta questione della segreteria generale. La sede
del “processo” al Segretario generale della Cgil comprensoriale sarà la componente comunista
dell’Esecutivo. 132 mentre il capo di imputazione sarà tutt’altro che originale: scimmiottando una
celebre frase di Enrico Berlinguer 133 , infatti, si parlò di “esaurimento della spinta propulsiva”.
Giorgi Faccardi subirà il “processo” (e la relativa, scontata, “condanna”), con uno spirito
perfettamente improntato alla disciplina di partito, limitandosi ad una felice (e forse
127
Ibidem.
128
Legge n. 444, del 22 agosto 1985, “Provvedimenti intesi al sostegno dell’occupazione mediante copertura dei posti
disponibili nelle Amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, e negli enti locali”.
129
Tullio Clementi (Fillea-Cgil) e Bortolo Stefani (Filca-Cisl).
130
) Tullio Clementi, “Guerra dei poveri. Spregiudicatezza e demagogia nell’uso dei cosiddetti ammortizzatori sociali”,
Sindacato costruzioni, aprile 1989.
131
Molti anni dopo, un osservatore attento dei problemi sociali come Tito Boeri scriverà: «I cambiamenti introdotti ai
sussidi di disoccupazione a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta sono una indicazione evidente di quanto forti
siano le resistenze a introdurre nel nostro paese istituti basati su condizioni d’accesso uguali per tutti. Di come si
preferisca estendere ad alcuni, ma mai a tutti. Di come si finisca sempre per creare statuti particolari, eccezioni…». Tito
Boeri, Uno stato asociale. Perché è fallito il welfare in Italia, Edizioni Laterza, 2000.
132
Organismo intermedio tra la segreteria ed il Consiglio Generale. Il Comitato esecutivo era costituito in modo
apparentemente equilibrato (paritetico) tra funzionari sindacali e lavoratori in produzione, ma in realtà, un po’ per i
tempi stretti di convocazione, un po’ per gli argomenti da “addetti ai lavori”, si trasformerà sempre più in una riunione
degli apparati sindacali. Altra caratteristica dell’Esecutivo era la composizione (negli anni Ottanta ancora parzialmente
“giustificata” da un qualche riferimento al “corpo sociale”) rigidamente proporzionale: un terzo ai socialisti e due terzi
ai comunisti (che a volte potevano includere anche un qualche posto per la cosiddetta “quarta componente”,
rappresentata da militanti di Democrazia Proletaria e da altre formazioni politiche minori della sinistra
“extraparlamentare”).
133
Nel dicembre del 1981, il segretario del Pci, Enrico Berlinguer, nel suo intervento contro la legge marziale imposta
in Polonia dal generale Jaruzelski, dichiara ormai esaurita la “spinta propulsiva” della rivoluzione d’ottobre.
32
immeritatamente ignorata dai più) espressione di sarcasmo: «Non posso che dichiararmi d’accordo
sul fatto che la Camera del Lavoro attui un ringiovanimento del proprio gruppo dirigente». 134
A parte la circostanza anagrafica (che giustifica sicuramente il sarcasmo di Faccardi), e a parte
anche il metodo stalinista nel “regolare i conti”, l’operazione ha comunque una sua logica politica:
la necessità di ricondurre la direzione del sindacato comprensoriale in capo ad un camuno.
In questo senso, dunque, tutto il percorso successivo si svilupperà secondo una logica ferreamente
“politica”. Nei mesi immediatamente seguenti (in previsione dell’imminente congresso), la
componente comunista dell’apparato (la questione è troppo riservata per rischiare il coinvolgimento
di “esterni” tramite l’Esecutivo), compreso Faccardi, si riunirà a “porte chiuse” in un ristorante
valligiano 135 per discutere l’assetto organizzativo degli anni a venire. La componente socialista,
verrà coinvolta solo al momento di formalizzare le decisioni nell’ambito degli organismi consultivi
e dirigenti (Esecutivo, Direttivo e, infine, il Congresso).
Ongaro anticipa la sua intenzione di rientrare in produzione (alla Sip, poi Telecom) dopo un solo
mandato congressuale, durante il quale sarà affiancato da me (non s’è ancora consumato il casus
belli della Palini), che alla fine dello stesso mandato dovrei sostituirlo alla Segreteria generale della
Camera del Lavoro, affiancato da Mino Bonomelli, che a sua volta mi dovrebbe sostituire dopo un
altro mandato congressuale (o forse meno, perché nel frattempo mi avvicinerei rapidamente all’età
pensionabile). 136 E i conti tornano perfettamente, anche perché Mino Bonomelli, benché loverese di
nascita, è camuno di “adozione”, conosciuto e apprezzato da tutti i militanti camuni della Cgil. E
nel frattempo c’è il giovane Ghirardi che sta crescendo piuttosto bene…
Ma qualcosa non va per il verso voluto dal futuro Segretario generale della Camera del Lavoro.
Prima ancora che possa aprirsi una qualche discussione sulle proposte di Ongaro, infatti, dichiaro la
mia indisponibilità ad assumere altri incarichi oltre a quello di Segretario responsabile della
Fillea 137 . La questione si risolve comunque nel migliore dei modi: si decide che Mino Bonomelli
affiancherà Vittorio Ongaro nel corso di un mandato, e quindi lo sostituirà nel ruolo di Segretario
generale. Ecco, a questo punto il futuro organigramma comunista della Cgil è assicurato, e si può
dunque procedere alla convocazione della “componente” in seno al Consiglio generale.
Senza infamia e senza lode
La Segreteria di Vittorio Ongaro si eserciterà all’insegna del “quieto vivere”, quasi come se i riflessi
umani della vicenda politica che lo ha portato alla Segreteria generale,138 ne avessero fiaccato un
po’ l’entusiasmo.
Piuttosto che scontrarsi all’interno dell’organizzazione con gli avversari del progetto, per esempio,
lascerà che l’informatizzazione degli uffici rimanga sotto il controllo diretto della Cgil di Brescia.
Così come lascerà affogare il problema dell’informazione in una palude di incomprensione e
diffidenza fra i vari operatori sindacali…
Nel 1986, dopo la celebrazione del secondo congresso comprensoriale della Cgil, nasce
“Argomenti”, il periodico della Cgil di Valcamonica Sebino. Non avrà vita facile, e per lunghi
periodi sarà tenuto in vita da alcune categorie, fra cui, in modo particolare, la Fillea (che dal 1989 in
134
Il Segretario generale che gli succederà, Vittorio Ongaro, è più vecchio di qualche anno rispetto a Giorgio Faccardi.
135
La trattoria Da Gigione, a Piamborno.
136
Posta così, la cosa può ispirare sentimenti tutt’altro che benevoli, ma va messo in conto che le grandi organizzazioni
di massa (non solo la Cgil) hanno potuto superare momenti di grandi difficoltà anche grazie al modo in cui hanno
saputo dotarsi per tempo di una solida struttura organizzativa.
137
Dopo qualche anno rimetterò in modo irrevocabile anche l’incarico di segretario della Fillea e, quindi, ogni altro
incarico dirigenziale all’interno della Cgil. Tuttavia mi pare quantomeno azzardato leggere in quel primo rifiuto una
anticipazione del mio futuro dissenso politico nei confronti dell’organizzazione sindacale. Anche oggi, come allora,
sono convinto che la scelta fu dettata semplicemente dalla consapevolezza di non esserci troppo “tagliato”.
138
Nei mesi successivi alla sua “destituzione”, Giorgio Faccardi rientra in fabbrica, all’ex Italsider di Lovere (che però
nel frattempo è finita in mano al gruppo Lucchini), dove viene adibito a lavori sempre più umilianti, che lo indurranno a
licenziarsi. Dopo qualche anno di lavoro precario, riuscirà a farsi assumere come spazzino dal Comune di Pisogne.
33
poi non potrà più avvalersi del periodico unitario Sindacato costruzioni, messo in mora dal
deterioramento del processo unitario).
“Argomenti” avrà una sensibile ripresa nei primi anni Novanta (dal 1992 al 1994), quando il
sindacato camuno-sebino tornerà ad essere protagonista di un’ultima formidabile impennata e,
quindi, dopo un ulteriore, disperato sussulto nel 1999 (e nonostante i buoni propositi iniziali
dichiarati dal suo Direttore editoriale, Vittorio Ongaro), 139 continuerà ad esistere solo come
“testata”, usata saltuariamente per la spedizione di bollettini e circolari…
Tornando a Vittorio Ongaro, c’è solo da aggiungere che, dopo aver diretto senza particolare
caratterizzazione la Camera del Lavoro per qualche anno, dimostrerà invece una profonda
sensibilità sociale, oltre che umana, dedicandosi poi per anni alla gestione di una cooperativa
sociale, nata nell’ambito della stessa Cgil camuno-sebina.
Ps: La “scheda” su Vittorio Ongaro (con il quale l’autore ha tuttavia vissuto un rapporto di
reciproca stima) soffre forse un po’ degli effetti del suo tempo; tempo che poi sarà “galantuomo”,
lasciando emergere – nel bene e nel male – uno degli eventi sociali di cui lo stesso Ongaro è stato
fra i protagonisti: la nascita della Secas, come «organismo che promuove studi per l’analisi e la
previsione delle tendenze nei vari settori produttivi, elabora progetti di fattibilità in grado di
migliorare la situazione occupazionale sia attraverso la creazione di nuove imprese che mediante la
diversificazione delle imprese esistenti e verifica la realizzazione dei progetti programmati». 140
“Nel bene e nel male”, s’è detto, perché in realtà le ambizioni dell’allora segretario della Camera
del Lavoro comprensoriale sulle finalità della Secas erano ben altre (su in Irlanda, per esempio,
come aveva potuto verificare di persona, stavano sperimentando anche vere e proprie “forge di
mestieri”), per cui l’entusiasmo iniziale, con i primi due interventi a Lovere e a Boario, sarà presto
seguito dalla delusione per i risultati bel al di sotto delle aspettative e, infine dall’amarezza per la
prematura messa in liquidazione di quella Secas che, non senza qualche buona ragione, considerava
un po’ anche una “sua” creatura.
Le associazioni culturali
Nel 1986 il Circolo culturale Ghislandi, nato nel 1979 a Breno, si costituisce legalmente come
“associazione senza finalità di lucro operante nel campo culturale”, assumendosi statutariamente
scopi di ricerca, di documentazione storica e di vivacizzazione intellettuale. Oltre che pubblicare
numerosi volumi di storia sociale, politica ed economica locale, allestisce ed apre alla consultazione
il proprio Archivio Storico (con sede a Breno e, successivamente, a Cividate Camuno).
Nello stesso anno nasce l’Università Popolare di Valcamonica-Sebino, con l’intento di promuovere
la ricerca sul territorio e come iniziativa di educazione permanente rivolta agli adulti.
Si tratta di un’associazione che, come si legge dallo statuto, «tende a rinnovare la tradizione storica
ottocentesca dell’educazione popolare, ponendosi gli obiettivi di una moderna alfabetizzazione
generale e di una presa di coscienza delle realtà territoriali, e come espressione di una democrazia
antiautoritaria e rinnovata».
Contatto a quota duemila
L’8 ottobre del 1988 (un sabato), il Sindacato della costruzioni camuno sebino, nell’intento di «dar
respiro alla più vasta azione per un recupero di sicurezza, dignità e fiducia nel lavoro edile», 141
promuove «una pubblica assemblea presso il cantiere Eneo (appaltato all’impresa Secol) di Val
Adamé, in Valsaviore...». 142 Con invito ai parlamentari ed alle istituzioni (parteciperanno, fra gli
altri, anche il parlamentare bresciano Aldo Rebecchi e Carla Cantone, per la Fillea nazionale.
139
«Nel periodico tratteremo argomenti concreti, legati a questo territorio sindacale. I problemi del lavoro, della
occupazione, dello sviluppo economico, del territorio, dei servizi sociali, della cultura saranno sempre al centro della
nostra attenzione». Vittorio Ongaro, “Perché Argomenti”, Argomenti, marzo 1986.
140
Dal sito internet della Secas: http://www.secas.bs.it/default.asp
141
Sindacato Costruzioni, ottobre 1988.
142
Ibidem.
34
L’assemblea, introdotta dalle relazioni di Tullio Clementi e Bortolo Stefani, si chiuderà con il
seguente documento conclusivo:
«L’assemblea dei lavoratori tenutasi 1’8/10/88 nel cantiere Secol/Enel in località Val Adamé ritiene
inaccettabile, discriminante ed iniqua la non estensione delle leggi sugli strumenti per il sostegno al
reddito (Cig - Ds - prepensionamenti).
Chiede alle Organizzazioni Sindacali di continuare il confronto con Camera e Senato sulle proposte
presentate per il riconoscimento anche per i lavoratori edili di alta montagna, programmando in
caso di mancata accoglienza delle proposte presentate la mobilitazione della categoria.
Impegna i Parlamentari presenti e le forze sociali a sostenere nel dibattito che si aprirà nei prossimi
giorni, le richieste dei lavoratori edili presentate dalla Flc Nazionale. Inoltre invita le
Organizzazioni Sindacali gli enti locali e le forze politiche ad un intervento concreto affinché le
opere pubbliche programmate o in discussione siano in tempi ragionevoli cantierizzate, per far
fronte da una parte alle necessità della zona e dall'altra favorire gli sbocchi occupazionali. Ritiene
inoltre indispensabile aprire rapidamente il confronto con le controparti padronali a tutti i livelli per
verificare le condizioni di lavoro in tutti i cantieri, ed a migliorarne le normative contrattuali
attraverso il rinnovo degli integrativi provinciali». 143
Degna di nota, anche al fine di cogliere appieno il significato del documento conclusivo, la parte
finale della relazione di Bortolo Stefani:
«A differenza di altri lavoratori [il settore edile] non gode di Cassa Integrazione che dura anni, né di
Disoccupazione Speciale altrettanto lunga, non ha prepensionamento...
La Cassa Integrazione per l'edilizia deve essere elevata dai tre mesi, massimi attuali, ai sei mesi, in
particolare quando si è in presenza di sospensioni dei lavori per il freddo, per la neve, per il gelo nei
cantieri di una certa altitudine. Lo stesso dicasi per sospensione di lavoro di fronte a modifiche di
progetti, per difficoltà tecniche incontrate nell'esecuzione dei lavori ecc., in questo modo si
garantisce una maggiore stabilità di occupazione, maggior garanzia economica al lavoratore è anche
maggior tranquillità alle imprese... Altro tema molto dibattuto fra i lavoratori edili riguarda il
prepensionamento. In questo cantiere e in questa impresa si trovano lavoratori con più di 55 anni di
età, ma vi assicuro che è un caso eccezionale, la regola consiste nell’aver lavoratori con meno di 50
anni, perché più agili (non servono tante impalcature) rendono di più sul lavoro, di norma hanno
meno acciacchi, meno malattie...». 144
E, quindi, conclude Stefani, «non è pensabile lasciare a 60 anni l'età pensionabile per i lavoratori
edili soggetti ad un notevole logorio fisico per i lavori pesanti e disagiati, quando ancora nel settore
pubblico (dove i carichi di lavoro sono notoriamente di livello inferiore) alcuni vanno in
pensionamento anticipato con 14 anni o poco più e, comunque per tutti, il massimo di 24 anni, sei
mesi e un giorno di contribuzione e con livelli retributivi mediamente più alti di quelli raggiunti con
35 anni di contribuzione nell'industria». 145
L’uguaglianza negata
Nel maggio del 1989, a dieci anni di distanza dalla prima storica vertenza sui laboratori tessili, la
Filtea comprensoriale riesce ancora una volta a coinvolgere i livelli superiori dell’organizzazione
(Camera del Lavoro, Filtea e Cgil regionale) sul tema del «Diritto di cittadinanza sociale e civile per
i lavoratori della piccola impresa e dell’artigianato», promuovendo il convegno nazionale
sull’«L’uguaglianza negata». Convegno che si svolgerà presso la Consolata a Boario Terme, nei
giorni 4 e 5 maggio, con la partecipazione delle massime autorità politiche e sindacali della
Lombardia (oltre al segretario della Cgil nazionale, Antonio Pizzinato), ed assumerà come caso
emblematico la vicenda del laboratorio “Malizia” di Edolo. «Alcune settimane or sono – leggiamo
su un volantino diffuso nel dicembre del 1988 – la Filtea-Cgil denunciò pubblicamente le
condizioni pesanti di lavoro a cui alcune lavoratrici dipendenti da “Confezioni Malizia” erano
143
“Documento conclusivo”, in Sindacato Costruzioni, dicembre 1988.
144
Ibidem.
145
Ibidem.
35
sottoposte…». 146 «Simili atteggiamenti – continua il volantino sindacale – non fanno che screditare
la categoria degli stessi artigiani, i quali non meritano tutti lo stesso giudizio…».
Già in quell’occasione, quindi, la Cgil annuncia la propria intenzione di promuovere un convegno
nazionale 147 per «dare prospettive e dignità al lavoro nei laboratori che, nonostante tutto, è un pezzo
importante dell’economia camuna».
La svolta
Gli anni Ottanta si chiudono, in ambito nazionale, con il XVIII Congresso del Pci (marzo 1989,
pochi mesi prima del crollo del muro di Berlino), in cui verranno poste le basi per le successive
molteplici trasformazioni: dal nome al simbolo, alla… ragione sociale.
Gli eventi di allora verranno così ricordati, alla fine del decennio successivo, da Gianfranco
Borghini: «Nel marzo ’89 alla testa del Pci non c’era più la vecchia guardia togliattiana. Eliminato
Natta, al vertice è saldamente insediato un gruppo di giovani guidati da Achille Occhetto e dei quali
soltanto D’Alema può essere considerato togliattiano […], questo gruppo ha il pieno controllo del
partito e dell’apparato, non ha condizionamenti (né remore) di sorta e può decidere di fare quello
che vuole. Ha la possibilità di realizzare una svolta e, naturalmente, decide di farla: soltanto che la
fa nella direzione sbagliata!
[…] La scelta di Occhetto e del suo gruppo era un’altra: e cioè quella di traghettare il Pci fuori
dall’alveo storico del movimento operaio per farlo approdare sul terreno di un nuovo antagonismo e
di un neoradicalismo di massa.
[…] Comunque la si voglia giudicare, resta il fatto che al XVIII Congresso fu compiuta la scelta di
fondo i cui frutti avvelenati vengono oggi a piena maturazione. Recidendo tutte le radici, non solo
quelle comuniste-togliattiane ma anche quelle riformiste socialiste, il grande albero che era
cresciuto nell’alveo storico del movimento operaio e del socialismo italiano è oggi virtualmente
morto. Non ha né anima né identità e non può dare frutti». 148
146
Filtea-Cgil Valcamonica-Sebino, Confezioni Malizia di Edolo, tre licenziamenti: un’altra amara conferma, Darfo, 2
dicembre 1988.
147
«… stiamo preparando un dossier sul fenomeno dei laboratori in Valle, come abbiamo in preparazione un convegno
al quale inviteremo tutte le forze sociali, politiche ed istituzionali». Filtea-Cgil Valcamonica-Sebino, Confezioni Malizia
di Edolo, tre licenziamenti: un’altra amara conferma, Darfo, 2 dicembre 1988.
148
Gianfranco Borghini, “C’è un vuoto a sinistra: responsabilità e possibilità”, Le ragioni del socialismo, settembre
2000.
36
ANNI NOVANTA: INIZIO DEL DECLINO
«Per adeguarsi hanno dovuto dissociarsi da sé stessi e risistemare il loro passato con molta
vernice. Se incontrassero oggi il giovane che furono, non lo saluterebbero». (Erri De Luca)
Il Congresso di Angolo Terme
Abbiamo visto come negli anni Ottanta la spartizione della Cgil avvenga in un rapporto di perfetto
equilibrio fra le sue componenti storiche, a prescindere da ogni altro riferimento. Ebbene, negli anni
Novanta, nonostante la scomposizione del corpo sociale subisca ulteriori impulsi, soprattutto ad
opera di Forza Italia (che si sostituirà parzialmente alla Lega nell’offrire un possibile approdo ai
delusi della sinistra politica e sociale), 149 la pratica della spartizione non subirà alcun ripensamento
(salvo il dover mettere in conto Rifondazione comunista invece che la vecchia “Nuova sinistra”).
Con una sempre più marcata distinzione di ruoli, però, nel senso che, mentre fra Ds e Rifondazione
si disputano (nel rispetto dei… parametri, naturalmente) le postazioni di prestigio politico, gli ex
socialisti (o forse ancora tali, benché privi ormai di ogni riferimento pratico nel corpo sociale) si
“specializzano” sempre più in quelle attività che non comportano eccessivo impegno ma che, per
altro verso, offrono una prospettiva sempre più allettante. Il turismo sociale, tanto per intenderci…
Il decennio si apre, sostanzialmente, con il Congresso di Angolo Terme (1991), che porta in
superficie tutti i limiti, le velleità e le ambiguità del “nuovo corso”, e segna inequivocabilmente
l’inizio del declino dell’esperienza sindacale nel territorio camuno-sebino.
Congresso che sarà segnato da una frattura interna alla Cgil, formalizzata con la nascita di una
nuova componente composta da iscritti e funzionari di varia appartenenza politica (Sinistra Pds,
Rifondazione comunista, militanti del Movimento dei Consigli, ecc.), che si chiamerà “Essere
Sindacato”, 150 ed ancor più, forse, dal tentativo di ricomporre la stessa frattura attraverso una
artificiosa immagine unitaria.
Tuttavia, per limitare il collasso della sinistra (almeno a livello sindacale), sarebbe forse bastato
amministrare con maggior accortezza quel poco di democrazia “blindata” che sopravviveva ancora,
seppur nell’ambito ristretto degli apparati. Una Segreteria composta effettivamente da tre segretari
costretti a svolgere fino in fondo il loro ruolo, infatti, avrebbe tenuto certamente alto tanto il livello
del confronto politico quanto il progetto organizzativo. Domenico Ghirardi, per esempio, pur
essendosi schierato con “Essere sindacato” per ragioni di pura e semplice opportunità
organizzativa, 151 non avrebbe potuto fare a meno di continuare ad onorare, anche sul piano politico,
l’impegno assunto in fase congressuale 152 ; a Luciano Bonetti, quindi, sarebbe toccato il ruolo
(abbastanza congeniale) del moderato, mentre il segretario generale, Mino Bonomelli, collocandosi
al di sopra degli “estremi”, avrebbe potuto avvalersi di due formidabili spinte, nell’esercitare il suo
importante mandato. Inutile, a questo punto, ricordare i vantaggi di cui avrebbe goduto la Cgil
comprensoriale, potendo fare affidamento sulla sinergia tra la lucida intelligenza politica di Mino
Bonomelli e la formidabile capacità organizzativa di Domenico Ghirardi.
149
Un commentatore di ItaliaOggi scriverà, un decennio dopo: «La più grande Camera del Lavoro d’Europa è quella
milanese (210mila iscritti). Ciò nonostante, la lista di centro-sinistra guidata da Mino Martinazzoli ha conquistato, alle
regionali, uno striminzito 21,6%. Come mai? La risposta viene coraggiosamente data dalla stessa Cgil lombarda che ha
pubblicato un sondaggio dell’Abacus sui suoi iscritti dal quale risulta, per esempio, che la metà di essi promuove la
politica di assistenza agli anziani della giunta Formigoni, contro la quale Cgil e centro-sinistra si erano scagliati…».
ItaliaOggi, 6 luglio 2000.
150
«La novità del XII Congresso della Cgil è stata la presentazione di un documento alternativo a quello della
maggioranza del Comitato Direttivo Nazionale. “Essere Sindacato”, appunto, era il nome del documento». Il XII
Congresso e l’esperienza di “Essere Sindacato”, http://www.cgil.it/org.altsind/essere.htm.
151
«Numerosi dirigenti, nel corso del quadriennio 1992-95, si allontanarono [da “Essere Sindacato”] avvicinandosi alla
maggioranza, mentre restarono la maggior parte dei quadri entrati nei gruppi dirigenti periferici. Intorno a questi quadri,
e – ancora una volta – intorno alle delegate e ai delegati su posizioni critiche – si sarebbe coagulata la mozione di
“Alternativa Sindacale” al XIII Congresso [Rimini, 2-5 luglio 1996]». Il XII Congresso e l’esperienza di “Essere
Sindacato”, http://www.cgil.it/org.altsind/essere.htm.
152
Come punto di riferimento comprensoriale di “Essere sindacato”.
37
Purtroppo mancherà una gamba alla triangolazione, nel senso che Luciano Bonetti dimostrerà di
aver ereditato dal suo dinamico predecessore solo il diritto “genetico” di entrare in segreteria in
quanto rappresentante del Psi (una sorta di “rendita di posizione”, in sostanza). Il confronto, quindi,
si trasformerà via via in scontro sotterraneo (dall’esito scontato) fra i due segretari comunisti,
mentre Bonetti si rannicchierà, sempre più silenzioso e torvo, all’ombra del sempre meno
autorevole segretario generale, che alla fine del decennio (e del mandato) lo gratificherà con quello
che potrebbe essere definito il “sogno di una vita”: la presidenza comprensoriale dell’Auser. 153
Un segretario con… gli scarponi chiodati
Se il Congresso di Angolo Terme è l’evento che segna l’inizio degli anni Novanta, il personaggio
che marcherà l’intero decennio con la sua pesante impronta è senza dubbio Giuseppe Galli.
Le mani chiuse a pugno attorno ai pollici, con gli indici che sporgono appena quel tanto necessario
a battere perpendicolarmente sulla tastiera: questa è forse la metafora più efficace per descrivere la
figura di Giuseppe Galli. Una figura che contrasta comunque decisamente con l’immagine di un
mondo politico pieno di funzionari supponenti, sempre pronti a mortificare ogni innovazione
tecnologica (eccezion fatta per i telefonini). In questa dimensione, Galli tenterà – per quanto in
modo goffo e a volte grottesco – di apprezzare e usare (oltre che gli uomini) anche i vantaggi offerti
dalle nuove strumentazioni informatiche.
Già assessore a Pisogne negli anni 70, rientra con irruenza nella scena politica dopo un ventennio,
ripescato dal neo Segretario della Camera del Lavoro, Mino Bonomelli, in una di quelle non rare
intuizioni geniali che faranno il paio con il suo disarmante velleitarismo. 154
A metà degli anni Novanta, a Pisogne (il paese in cui è nato e vive Giuseppe Galli) il partito non c’è
più, è stato “inghiottito” dalle faide interne, ma lui, tessera su tessera (grazie anche alla preziosa
collaborazione del vecchio capo storico della sezione, Antonio Raco 155 ), con molta pazienza e
altrettanta cocciutaggine, riesce a ricostruirlo. Con la stessa cocciuta determinazione con la quale lo
userà, soprattutto a livello comprensoriale (dove l’innegabile stimolo culturale impresso al partito
dagli ultimi due segretari 156 non ha trovato adeguato riscontro nell’impegno di proselitismo e di
organizzazione da parte delle sezioni) negli anni successivi. 157
153
L’Auser (Associazione per l’autogestione dei servizi la solidarietà e il volontariato), nasce verso la fine degli anni
Ottanta come “costola” dello Spi, con l’intento dichiarato di farsi carico dei problemi richiamati nella “Ragione
sociale”. In realtà, salvo lodevoli eccezioni, l’Auser attingerà sensibilmente alle risorse della Cgil per assolvere
soprattutto a due funzioni, la “sistemazione” di funzionari sindacali “obsoleti” e l’organizzazione del tempo libero per
quella ridotta “nicchia” di pensionati che verrà definita “l’area del benessere”: mezzo migliaio di persone su quindici
mila pensionati, a contare le utenze nell’arco di un anno, ma poco più di un centinaio (l’un per cento degli iscritti allo
Spi), calcolando che i partecipanti alle gite ed ai soggiorni sono quasi sempre gli stessi.
154
Appena eletto Segretario generale della Cgil camuno-sebina, Mino Bonomelli, perfettamente consapevole tanto delle
sue qualità politiche quanto della sua disarmante incapacità organizzativa, chiede ed ottiene la collaborazione di
Giuseppe Galli, da poco prepensionato dall’ex Italsider di Lovere, come direttore organizzativo della Cgil
comprensoriale. Si tratta di una nuova figura “inventata” dalla Cgil nazionale nell’ultimo congresso: una figura di
dirigente organizzativo che, non dovendo rispondere al Congresso (sempre più appannaggio dei soli funzionari
sindacali) per la sua elezione, ma soltanto al Segretario generale per la riconferma dell’incarico, può esercitare la
propria funzione in piena libertà da ogni vincolo e da ogni ricatto. Purtroppo la lungimiranza del segretario della Cgil
camuno-sebina entrerà presto in conflitto con la sua “ombrosità” e Bonomelli comincerà presto ad essere infastidito
dalla crescente autorevolezza del collaboratore, al punto che di lì a pochi anni sarà ben lieto di “cederlo” al partito.
155
«Oltre ad essere stato segretario del Partito comunista in quel di Pisogne (dove abita tuttora) per circa un quarto di
secolo (dal 1947 al 1970), Antonio Raco vanta una militanza politica ininterrotta tenuta a “battesimo” nel primo
congresso provinciale del Pci di Reggio Calabria (nella stessa città in cui, qualche anno dopo, farà parte della
delegazione che andrà ad accogliere il ministro di Grazia e Giustizia Palmiro Togliatti), nella primavera del 1946»,
Tullio Clementi, “Ritratto di Antonio Raco”, Graffiti, Maggio 2002.
156
Marco Facchinetti e Giancarlo Maculotti.
157
«Con un aumento del 9% dei propri iscritti rispetto al 1995, ed oltre il 15% di aumento complessivo della quota di
iscrizione (che si attesta su un valore medio di quasi 42mila lire), il Pds della Valcamonica, con le sue 27 sezioni che
vanno da Pontedilegno a Pisogne, ha chiuso per il secondo anno consecutivo positivamente il proprio bilancio di
organizzazione, passando dai 441 iscritti del 1995 agli attuali 479 [si intendano i dati di chiusura del 1996]. Partito in
38
La natura dell’uomo è di quelle che, in politica, non può fare a meno del “nemico” (che gli permette
di marcare in modo netto il… territorio: «o con me o contro di me!»). Ma se il crollo del “muro” ha
sommerso, insieme alle ideologie, anche il concetto di “nemico”, la gestione sempre più
“consociativa” della politica ha ridimensionato notevolmente perfino il significato politico di
“avversario” (oltre che di “nemico”), ragion per cui, gli uni e gli altri (che a questo punto diventano
una cosa sola) vanno inventati. Cosa che, come vedremo, saprà fare in modo molto efficace.
Galli interviene a testa bassa, forte di un argomento che userà a lungo in perfetta buonafede (prima
di innamorarsene e fare il vuoto attorno a sé): «Visto che nessuno vuol fare il segretario, io ne
approfitto per farlo a modo mio», dirà in sostanza. E riesce – oltre che a ricostruire un buon tessuto
organizzativo nelle sezioni della Valcamonica – a ribaltare la rassegnata prospettiva tracciata dal
suo predecessore, Giancarlo Maculotti, nella relazione di commiato, 158 recuperando (almeno nella
fase iniziale) l’orgoglio dei militanti più impegnati nel partito.
Ma è soprattutto “Furia di capitan nuovo”, tant’è che alla fine, quando si tratterà di pesare i… cocci,
gli effetti devastanti della sua gestione saranno ben lungi dall’essere in qualche modo compensati
dai pur innegabili elementi positivi. I dettagli li vedremo comunque meglio in corso d’opera.
Graffiti
Nel novembre del 1991, dopo qualche uscita “artigianale” come supplemento a La Verità (il
periodico della Federazione Pci di Brescia), nasce Graffiti 159 . Nasce col sottotitolo “Informazioni,
riflessioni, motivi per l’alternativa democratica e di sinistra”, ma già dai primi mesi del 1992
tenderà a liberarsi dall’ipoteca ideologica di “organo ufficiale del Pds” tentando di assumere il
carattere (oltre che il sottotitolo) di “periodico camuno di informazione, cultura, dibattito”, pur
dichiarandosi politicamente impegnato sul versante dell’area progressista (area politica per la quale
si spenderà apertamente in ogni consultazione elettorale). In realtà, pur tentando periodicamente
qualche escursione in campo laico, per quasi tutti gli anni Novanta rimarrà prevalentemente
organico, anche se in modo sempre più critico, al Pds e, quindi, ai Democratici di sinistra.
In prima pagina, sotto il titolo “L’impegno del Pds sulla raccolta di firme per i referendum”, una
articolo a tre colonne sui temi «della democrazia e della riforma della politica, per la rottura del
perverso intreccio tra politica ed affari…».
“Dieci, cento, mille Di Pietro”
Con questo titolo, Graffiti dedica quasi interamente la prima pagina del giugno 1992 all’incontro di
Edolo con il giudice di Mani Pulite: «L’incontro, organizzato dalle due associazioni culturali
(“Università Popolare di Valcamonica Sebino” e “Il Sestante” di Lovere) operanti sul territorio
camuno-sebino, avrebbe dovuto impegnare il dibattito sul tema “la partecipazione dei cittadini alla
vita amministrativa”. La coincidenza imprevista, invece, che ha inevitabilmente influenzato il corso
e l’interesse della discussione, sta appunto nella vicenda delle tangenti, scoppiata improvvisamente
a Milano, in virtù della quale il dottor Di Pietro è diventato in pochi giorni l’uomo più famoso della
Lombardia e forse d’Italia».
Lo stesso numero di Graffiti è aperto da un editoriale dal titolo “Si riscopra la questione morale”,
firmato da un giovane diciassettenne, Vladimir Clementi, che scrive: «Alle radici del problema sta
sicuramente il ristagno delle classi dirigenti, quindi, come prima cosa è importante ci sia il ricambio
delle stesse», aggiungendo che «… non basta però cambiare classe politica, perché la tentazione è
sensibile crescita, dunque, ma anche partito in significativa mobilità nel suo corpo sociale, come dimostrano i dati
analizzati un po’ più nel particolare: oltre il 18% del totale, infatti, è rappresentato da nuovi iscritti, ed il 25% è
composto da donne». “Pds: un partito in movimento”, Graffiti, febbraio 1997.
158
«Ormai non è più riconosciuto né un ruolo diplomatico né un ruolo politico al segretario di zona». Giancarlo
Maculotti, 23 settembre 1994.
159
«Nato in altri tempi sotto le spoglie di supplemento alla Verità, Graffiti è sopravvissuto (benché in una sorta di
ibernazione) fino ai giorni nostri, così come sopravvive in molti ancora il desiderio e la volontà di esprimere e
diffondere voci, opinioni e dibattiti che possano contribuire a spezzare il filo di una informazione sempre più orientata
verso una omologazione delle coscienze», “Graffiti riprende a… graffiare”, Graffiti, novembre 1991.
39
espressione dell’uomo; quindi, per impedire che le future classi dirigenti caschino nei vizi delle
precedenti bisogna mobilitare la gente per far crescere la mentalità della politica pulita».
La “questione morale” verrà ripresa dal segretario di zona del Pds, Giancarlo Maculotti, nel
convegno promosso dal Pds nello stesso mese di giugno presso la sede del partito, a Boario Terme:
«È difficile discutere con sufficiente serenità dei problemi legati alle difficoltà e alle scelte
dell’amministrare, in una situazione nella quale la questione morale è tornata in primo piano non
per qualche vezzo culturale ma perché non passa giorno che non si abbiano notizie di nuovi
scandali, di nuovi arresti, di nuovi casi di pubblica corruzione…». 160
Paradossalmente (ma forse non si tratta neppure di un paradosso), sul finire del millennio, quando
apparirà ormai evidente a tutti la definitiva sconfitta di Mani Pulite, saranno proprio gli alfieri del
Caf, 161 quelli che si sono arricchiti con i “fondi speciali” alimentati dalle tangenti per “finanziare la
politica”, ad invocare una “maggior moralità” nella politica.
Gli edili scendono in strada
Nella primavera del 1993, dopo un promettente (benché a lungo atteso e sollecitato) avvio dei lavori
sulle statali 510 (Sebina orientale) e 42 (del Tonale e della Mendola), i cantieri subiscono un brusco
rallentamento, in seguito all’inchiesta della Magistratura (che coinvolge lo stesso ex ministro
bresciano Gianni Prandini) 162 sulle tangenti negli appalti Anas. Le imprese edili cominciano a
spedire lettere di licenziamento, ed il sindacato camuno-sebino, dopo aver riscontrato l’inefficacia
degli incontri negli uffici delle stesse imprese e della loro associazione, 163 decide di alzare il tiro,
annunciando, nel corso di una conferenza stampa presso la sede della Comunità montana del Sebino
Bresciano, a Sulzano (presidiata dalle decine di operai della Iseo-Scarl che hanno appena ricevuto il
preavviso di licenziamento), l’intenzione di attuare il blocco della “Sebina orientale” nella mattinata
del 31 maggio, con corteo di lavoratori, sindaci e cittadini del comprensorio da Sulzano a Sale
Marasino «… per premere su Roma affinché vengano rifinanziati i lavori sull’intera asta della 510».
Nel frattempo, anche su sollecitazione degli operai licenziati, sono stati inviati telegrammi al
Prefetto di Brescia ed al Ministro dei lavori pubblici, Merloni: «È in gioco il posto di lavoro per
seicento edili, lungo i sei cantieri delle statali 510 e 42 – dichiara il segretario della Fillea-Cgil
Clementi – e sono in gioco le prospettive di sviluppo dell’intera Valcamonica. Dobbiamo quindi
saper coniugare il problema drammatico di chi rischia oggi la disoccupazione coi temi di respiro più
generale, costruendo attorno alla categoria un largo fronte di solidarietà» 164 .
Purtroppo l’iniziativa non sortì alcun sensibile effetto (se non, forse, quello di porre ancora una
volta in evidenza, assieme alle carenze infrastrutturali del territorio, la cronica precarietà salariale
dei lavoratori edili), tant’è che il mio successore, Ghirardi, avrà il sul bel daffare in tutto l’arco del
suo nuovo mandato, nel dare continuità, con qualche simpatico tocco di colore in più, 165 alle
iniziative di mobilitazione del settore.
160
Graffiti, luglio 1992.
161
Sigla usata per definire l’alleanza sorta verso la metà degli anni Ottanta fra Craxi, Andreotti e Forlani.
162
«Dalle dichiarazioni rese dai vari imprenditori emergevano fatti penalmente rilevanti a carico di Giovanni Prandini,
nonché di Santo Possi. Gli imprenditori interessati all’affidamento di lavori da parte dell’Anas, avevano riferito di aver
versato somme di denaro al Possi, definito il “collettore” delle tangenti destinate al Prandini». Enzo Cirillo, “Il ‘tesoro’
di Prandini”, La Repubblica, 7 novembre 1994.
163
Il Collegio Costruttori Edili di Brescia e Provincia.
164
Giuseppe Zani, “Edili in campo. Corteo per far riaprire i cantieri”, Bresciaoggi, 19 maggio 1993.
165
In una delle prime manifestazioni organizzate nei mesi successivi dal neo segretario della Fillea, infatti, vennero
“ingaggiati” perfino un asino (bardato con cartelli di slogan) ed una ruspa infiorata di bandiere sindacali.
40
Gli ultimi studenti in piazza
Nei primi anni successivi al congresso di Angolo Terme l’attività sindacale – non solo della Cgil –
tende a riprendere nuovo vigore. 166 Negli stessi anni si assiste ad una notevole ripresa di iniziativa
da parte degli studenti, ben evidenziata attraverso la grande manifestazione del 12 dicembre 1992
contro il razzismo. 167 Il sindacato corteggia questi studenti, non risparmiandosi neppure alcuni
accenni di autocritica: «Si, è vero – dicono in sostanza i funzionari nelle varie assemblee di istituto
della Valcamonica – negli ultimi anni vi abbiamo un po’ trascurato, ma da oggi in poi ci
impegniamo a ricostruire un rapporto più solido fra il mondo del lavoro e la scuola». Li blandisce,
perché ne ha assoluto bisogno per riempire la piazza in occasione delle manifestazioni del 17
febbraio 1993 168 e del 14 ottobre 1994. Da allora in poi, il sindacato ed il mondo studentesco
continueranno ad ignorarsi completamente.
Il partito, invece, non avendo ormai più alcun radicamento sociale, e soprattutto non avendo più
alcun bisogno di scendere in piazza dopo la caduta del governo Berlusconi e la nascita del primo
governo di Centro-sinistra con la partecipazione diretta del Pds, si concentrerà ulteriormente nella
difesa degli interessi corporativi del vecchio corpo militante (in modo particolare i prepensionati
dalla grande industria) e, quindi, sarà costretto ad accentuare il proprio distacco dai giovani. 169
L’unica nota fuori dal coro verrà “suonata”, ancora una volta, da Giancarlo Maculotti, che, al
momento di lasciare l’incarico di segretario di zona, nel 1994, proporrà il diciannovenne Vladimir
Clementi alla guida dei pidiessini valligiani.170 Una nota che entrerà nello spartito del Consiglio di
zona non come una sfida generazionale (come si presume fosse nelle intenzioni del promotore), ma
166
Dall’Agenda di Argomenti, riportiamo alcuni impegni del 1993: «22 luglio, c/o Secas di Darfo, incontro con
l’assessore regionale alle attività produttive, Guido Galardi, per discutere sui problemi e le prospettive per lo sviluppo
del territorio; 22 luglio, c/o sede della Comunità montana a Breno, convegno con i sindaci e gli amministratori del
comprensorio camuno-sebino sui problemi della viabilità; 27 luglio, sciopero comprensoriale degli edili (8 ore) e dei
settori delle costruzioni (4 ore) per sollecitare una rapida soluzione ai problemi delle viabilità attraverso la ripresa dei
cantieri sulla Statale 510 (Sebina orientale) e sulla Statale 42 (del tonale); 28 luglio, manifestazione a Darfo Boario
Terme, con presidio in Piazza Lorenzetti, contro gli attentati di Roma e di Milano; 6 agosto, blocco stradale, con corteo
e manifestazione, in Piazza del Porto a Lovere, per sollecitare l’apertura della seconda corsia nella galleria della nuova
Statale 42, a nord dell’abitato; 10 settembre, a Lovere, esecutivo della Cgil, allargato alle segreterie delle categorie, per
discutere sui problemi e sulle prospettive di carattere economico-occupazionale; 15 settembre, c/o Centro sociale di
Gianico, Direttico del Sindacato pensionati della Cgil per discutere sugli effetti e le conseguenze della Finanziaria ’94;
22 settembre, manifestazione a Breno, con presidio in Comunità montana e incontro con i sindaci dei comuni
maggiormente interessati (Cividate Camuno, Piancogno, Borno, Angolo Terme, Esine…), in seguito alla paventata
chiusura dello stabilimento Olcese di Cogno; 22 settembre, delegazione sindacale unitaria al Ministero dei Lavori
pubblici per sollecitare la ripresa dei lavori nei cantieri dell’Anas (Statali 42 e 510); 23 settembre, manifestazione con
presidio a breno (Comunità montana e uffici Enel), contro la minaccia di smantellamento delle Agenzie Enel in
Valcamonica; 4 ottobre, manifestazione degli studenti dell’Itcg in Piazza del Municipio a Darfo, contro i provvedimenti
del ministro Jervolino; 4 ottobre, presidio e volantinaggio davanti ai cancelli della Fond Press di Ceto, che non ha più
riaperto dopo la pausa estiva; 5 ottobre, manifestazione regionale a Milano dei lavoratori del gruppo Trevitex-Dalle
Carbonare: oltre 300 i lavoratori dell’Olcese presenti alla manifestazione.
167
«… 1500, forse 2000. Ci servono vent’anni di buona memoria, fino ai primi anni Settanta, per ricordare qualcosa di
analogo». “Studenti contro il razzismo”, Graffiti, gennaio 1993.
168
«Da tempo non succedeva di preparare uno sciopero generale attraverso il confronto con le associazioni, le
istituzioni e, soprattutto, con gli studenti e le loro organizzazioni di istituto». “Una grande manifestazione unitaria”,
Argomenti, aprile 1993.
169
«Si è voluto mantenere il controllo sul welfare, utilizzandolo come strumento per comprare consenso politico ad ogni
tornata elettorale». Tito Boeri, Uno stato asociale. Perché è fallito il welfare in Italia. Laterza, 2000.
170
«Avevo già avanzato la proposta in segreteria ma non è stata presa in seria considerazione. Forse è stata letta come
una boutade. Invece non lo era e, a maggior ragione, non lo è adesso. Io vi chiedo di pronunciarvi attorno alla proposta
di affidare la segreteria di zona al compagno più giovane che c’è fra noi: il compagno Vladimir Clementi […]. Sono
sicuro che Vladimir potrà essere un buon coordinatore di zona. È preparato, lucido, intellettualmente maturo e possiede
la passione dei vent’anni […]. Se andiamo via di qui questa sera senza il coraggio di scegliere otterremo due effetti:
costringeremo la Federazione a nominare un commissario perdendo così la nostra autonomia e bloccheremo ogni
iniziativa politica per altri mesi». Giancarlo Maculotti, 23 settembre 1994.
41
piuttosto come una vera e propria insolenza nei confronti dell’intero gruppo dirigente, che dopo
qualche mese affiderà a Giuseppe Galli la direzione del partito in Valcamonica.
Nell’autunno del 1994, quindi, in seguito alle dimissioni di Giancarlo Maculotti (e dopo che la sua
“provocatoria” proposta di passare il testimone ad una nuova generazione è stata accantonata),
Giuseppe Galli viene “prestato” dalla Cgil al partito, dove, dopo alcuni mesi di gestione collegiale
con i componenti della vecchia segreteria (dei quali nessuno è comunque disponibile ad accettare
l’incarico vacante), viene eletto segretario zonale di Valcamonica.
Da quel momento in poi il segretario generale della Camera del Lavoro di Darfo, Mino Bonomelli,
perderà irrimediabilmente ogni controllo effettivo sull’organizzazione di cui è ancora formalmente
il massimo dirigente: cosa che lascerà nella più assoluta indifferenza il responsabile organizzativo
della stessa Cgil comprensoriale, Domenico Ghirardi, che non ha alcun bisogno di una simile
scorciatoia per assicurarsi la successione al Bonomelli nella gestione della Cgil.
La Cgil va a... farsi benedire
Nel novembre del 1996 il segretario generale della Cgil, Sergio Cofferati, partecipa al “taglio del
nastro” per l’apertura della nuova sede Cgil, a Darfo Boario Terme. All’inaugurazione viene
invitato anche don Danilo Vezzoli, stimato animatore della Caritas camuna, con il compito di
benedire la nuova struttura, «perché la Cgil rappresenta milioni di iscritti e fra questi moltissimi
cattolici» 171 . L’insolito e sconcertante evento lascerà nella più totale indifferenza tanto i militanti
quanto i funzionari dell’organizzazione sindacale presenti alla cerimonia, mentre gli unici segnali di
indignazione verranno dall’esterno, attraverso le pagine di Graffiti che, appellandosi anche allo
statuto della Cgil, denuncerà lo stravolgimento dello spirito originario della stessa organizzazione e,
quindi, il rischio di «una prospettiva inquietante su un mondo in cui (oggi più che mai, di fronte
all’immane bisogno di tolleranza e di integrazione razziale), invece, la rinuncia ad ogni sorta di
integralismo ed il rispetto delle varie religioni e delle diverse culture dovrebbe continuare ad essere
l’unica vera garanzia di libertà e dignità per tutti i popoli». 172
Un paio d’anni dopo, nell’aprile del 1999, un altro segretario nazionale della Cgil, Carlo Ghezzi,
taglierà il nastro della sede sindacale di Iseo, ma lo farà in “collaborazione” con il sindaco della
cittadina lacustre, Sanzio Passeri, senza alcuna impronta confessionale, e così sarà con l’apertura
della sede sindacale di Lovere, nel febbraio del 2001.
Generazione X
Nei primi mesi del 1995, anticipando di qualche settimana la disputa fra Telemontecarlo e Mediaset
sulla paternità della trasmissione omonima, in Valcamonica nasce “Generazione X”. 173 «X come
incognita. E di incognite questa generazione di giovani pare ne abbia più di ogni altra, per una serie
di ragioni epocali che vanno ben al di là dell’antico conflitto fra generazioni…». 174 Si tratta di un
gruppo di giovani studenti camuni impegnati nella gestione di una rubrica settimanale autogestita
(“Generazione X”, appunto) che va in onda il mercoledì sera sull’emittente locale TeleBoario.
Il periodico Graffiti, nel mese di maggio, pubblica in prima pagina significative considerazioni di
alcuni componenti del neonato gruppo: «… possiamo trattare argomenti che ci interessano davvero,
e scegliamo noi il modo di farlo…» (Alice Leoni); «… non vogliamo dare chiarimenti, risposte o
suggerimenti, semplicemente cerchiamo di porre l’attenzione del nostro pubblico su diversi spaccati
171
Domenico Ghirardi, “Inaugurata la nuova sede comprensoriale”, Argomenti, dicembre 1996.
172
“Per una società multi... ché?”, Graffiti, Gennaio 1997.
173
«Siamo un gruppo di giovani ventenni che all’inizio dell’anno in corso ha realizzato un ciclo di trasmissioni
televisive su un’emittente locale […]. Al di là della paternità legale del nome, che ci interessa ben poco, vorremmo
invece inserirci nella polemica suscitata da Telemontecarlo nei confronti del nome del nuovo programma di Ambra,
Generazione X, per l’appunto, facendo notare che il titolo in questione fu per la prima volta utilizzato da noi, nonché
l’idea di portare sul teleschermo realtà giovanili viste dai giovani stessi!», “Conflitto di… paternità”, Graffiti, novembre
1995 (stralcio di una lettera spedita dal gruppo camuno di Generazione X al “Maurizio Costanzo Show”).
174
Tullio Clementi, “Uccidere il padre”, Graffiti, maggio 1995.
42
di vita quotidiana, riguardanti il mondo giovanile della nostra valle...» (Andrea Gelmini); «…
Generazione X testimonia quindi, con le sue interviste e i suoi interventi su varie problematiche,
che esiste una realtà giovanile autonoma e libera nelle proprie idee e nelle proprie scelte…»
(Andrea Moschella); «… la nostra trasmissione è importante perché ci permette di trattare
argomenti che ci riguardano e ci interessano e soprattutto perché li trattiamo noi, dal nostro punto di
vista…» (Erica Baffelli); «… l’esperienza che stiamo facendo ci darà la possibilità di confrontarci
con il maggior numero di idee ed opinioni giovani e non, permettendoci così di dare un ampio
sguardo a tutte quelle problematiche di carattere sociale, civile, politico ed etico che riguardano la
nostra società…» (Gianfranco “Cico” Gaioni); «… mi è sempre stato molto a cuore il tema della
partecipazione, per quanto concerne l’accesso ai “media”. Sono fermamente convinto che sia
importante allargare al massimo numero di persone (cioè a tutti) la possibilità di esprimersi
sfruttando un mezzo potente e capace di raggiungere tutti come la televisione…» (Guglielmo
Bondioni); «… esigenza di essere soggetto attivo e non spettatore passivo di quello strumento che è
la televisione, che in questi ultimi anni è diventato sempre più un apparecchio di efficace e mirata
propaganda, più che un tramite per spingere la gente, e i giovani in particolare, a riflettere sui
perché…» (Vladimir Clementi).
Voglia di riflessione e di protagonismo, dunque, ma non necessariamente a “muso duro”. Semplice
voglia di esserci, di contare e, perché no?, di divertirsi, come emerge da diverse interviste: «Anche
la componente comica non manca mai. Insomma, siamo un bel gruppo che si vuole bene…» (Alice
Leoni); «Certo, la nostra esperienza vuole essere anche un modo per divertirsi, conoscendo i diversi
aspetti della nostra realtà di giovani…» (Andrea Moschella); «L’aspetto che mi piace di più di
questa esperienza è il fatto di divertirmi molto, sia durante le riunioni che durante le
registrazioni…» (Erica Baffelli).
Successivamente, sarà ancora Graffiti ad “ospitare” il contributi della Generazione X su un tema
attuale e complesso come la scuola, in relazione agli obiettivi di convivenza civile: «La scuola che
incarna il mio ideale dovrebbe educare alla tolleranza; insegnare a viaggiare, a conoscere il mondo,
la gente e le norme di comportamento anche dei paesi stranieri…»).175
L’Alternativa
Qualche mese più tardi, su iniziativa di un altro gruppo di giovani impegnati, fra i quali alcuni degli
stessi che hanno dato vita a “Generazione X”, nasce “L’Alternativa”. «L’alternativa è un gruppo di
giovani che durante la scorsa campagna elettorale ha pensato di discutere alcuni temi oggetto
quotidiano del dibattito politico. Si trattava di problematiche che più di altre abbiamo sentito vicine:
la scuola, il servizio militare e l’occupazione giovanile»,176 scrivono alcuni promotori, aggiungendo
di aver riscontrato su tali problematiche, fra i vari programmi elettorali, una maggior sensibilità da
parte dell’Ulivo, «soprattutto per la centralità della questione scuola, non trattata come uno dei
problemi bensì come presupposto di una partecipazione effettiva e consapevole alla vita
democratica del Paese e del suo sviluppo socio-economico». 177
E sarà sempre Graffiti, nei mesi successivi, a dare ampio spazio al dibattito ed alle proposte del
nuovo gruppo di giovani, che tratteranno, di volta in volta, alcuni dei temi più scottanti (e più
ignorati dalla “politica ufficiale”): dalla guerra («… L’Alternativa ha ritenuto importante fornire un
contributo alla Campagna italiana per la messa al bando delle mine…») 178 all’informazione («… ho
avvertito, in sostanza, la necessità di cambiare ruolo: da spettatore ad attore protagonista, per poter
interferire sullo svolgimento della trama») 179 alla democrazia («… il lavoro che L’Alternativa si è
proposta di compiere è sostanzialmente basato sulla scuola e, più precisamente, sulla coscienza
175
Claudia Vecchiarelli, “Istruzione o formazione?”, Graffiti, ottobre 1995.
176
Vladimir, Chiara, Carla, Lorenzo, Patrizia, “Non disperdiamo energie”, Graffiti, maggio 1996.
177
Ibidem
178
Carla Franzoni, “Sostegno alla campagna anti-mine”, Graffiti, giugno 1996.
179
Francesca Barbieri, “Un’alternativa in più...”, Graffiti, ottobre 1996.
43
degli studenti in merito alle più importanti istituzioni di democrazia partecipativa all’interno di
essa»), 180 passando per tutto ciò che attraversa la società contemporanea.
Entrambi i gruppi consumeranno la loro breve esperienza nell’arco di alcuni mesi, per ragioni
interne (studio, lavoro, impegni sentimentali…), ma anche per ostracismi esterni: la sinistra (nel cui
ambiente tendono ad inserirsi le “provocazioni” dei giovani), infatti, li ignorerà totalmente.
Antagonismo generazionale e... nepotismo
É sul versante dei giovani, quindi, che la sinistra “istituzionale” mostrerà senza veli tutta la propria
involuzione conservatrice 181 e, non raramente, il proprio livore generazionale (salvo quando si
tratterà dei propri figli e nipoti, nel qual caso il nepotismo delle “oligarchie” non avrà nulla da
invidiare ai vecchi e mai tramontati metodi democristiani),182 Anzi, il familismo “laico” degli ultimi
arrivati esprimerà una disinvoltura mai raggiunta prima dai cattolici,183 nel senso che questi almeno,
rifacendosi probabilmente un po’ anche alla necessaria solidarietà delle origini, pensavano alla
“sicurezza” della famiglia soprattutto come mezzo per potersi dedicare con maggior libertà
(affrancamento dal bisogno) alle questioni politiche e sociali…
Accanto alle poche decine di giovani che, anche in Valcamonica, si avvicinano all’area controllata
dal nuovo partito della sinistra, ritraendosi allibiti dopo uno o al massimo due anni di iscrizione,
dunque, ce ne sono alcuni (mezza dozzina in tutto, o forse meno) che tentano di irrompere da
protagonisti sulla scena politica. A differenza di quanto avvenne a cavallo tra gli anni Sessanta e
Settanta, però, quando i vecchi “resistenti” salutarono a braccia aperte il quasi inatteso evento,
questa volta l’irruenza dei giovani viene vissuta (e ostacolata ferocemente) come un’indesiderabile
elemento di disturbo dai vecchi “sessantottini”, 184 tanto da far esprimere a Lidia Ravera, sul finire
degli anni Novanta, il seguente commento: «C’era più rispetto nelle urla di mio padre e mia madre
che nel paternalismo di certi genitori che hanno fatto il Sessantotto e che oggi si sovrappongono
180
Dario Brivio, “Democrazia e partecipazione! O no?”, Graffiti, gennaio 1997.
181
Esemplare, a tale riguardo, la vicenda dei due giovani studenti Vladimir Clementi (di cui s’è già detto) e Lorenzo
Spadacini: il primo iscritto al Pds, e quindi ai Ds, dalla fondazione (dopo essere stato iscritto, giovanissimo, anche al
Pci); il secondo, iscritto al Pds (e poi ai Ds) verso la metà degli anni Novanta, entrambi nella sezione di Darfo Boario
Terme. I due sono amici, e questo li aiuterà non poco a superare la vicenda, che rimane comunque assai sconcertante,
come cerchiamo di riassumere: il primo è considerato dal segretario di zona Galli come una “medaglietta” («come una
cariatide», si definirà lo stesso giovane qualche anno dopo) da esibire ogni qualvolta c’è l’occasione di mettere in
mostra una qualche prospettiva di rinnovamento, mentre il secondo gli verrà contrapposto da Marco Facchinetti,
avversario dichiarato del segretario di zona, come candidato alla segreteria nella sezione di Darfo. Da quel momento in
poi, il giovane Spadacini viene attaccato su entrambi i versanti: nel Consiglio di zona, dove il segretario Galli
(sfruttando anche qualche esuberante “formalismo” del giovane in tema di rispetto delle regole e della democrazia nel
partito) lo sottoporrà ad un vero e proprio “linciaggio”, fino a costringerlo ad “abbandonare il campo”, ed in sezione,
dove, nonostante la solidarietà di Clementi e la “protezione” di Facchinetti, subirà ripetute provocazioni e umiliazioni
da parte di un nuovo “emergente”, Sergio Bonomelli, fino a dover lasciare l’incarico e, poco dopo, lo stesso partito.
182
A partire dagli anni Sessanta, la mappa camuna delle assunzioni clientelari nella pubblica amministrazione, così
come in tutte le grandi aziende dove è alta la prospettiva di un “posto fisso”, assume una caratteristica a “pelle di
leopardo”: dall’Union Carbide alla Tassara; dall’Enel (anche se forse è l’unico ente pubblico in cui contano ancora
qualcosa i concorsi) alla Sip (poi Telecom); dalla Snft (poi Fnm) alla Provincia di Brescia; dalla Comunità montana al
Consorzio metano, passando per Ecocamuna, il Bim ed altri enti appetibili, è possibile ricostruire l’avvicendarsi dei
protagonisti camuni nella gestione del potere. Il sindacato rimane però sostanzialmente estraneo a tale “prassi”,
eccezion fatta per qualche categoria (Poste, Scuola, Comuni, ecc.) in cui la Cisl svolge un ruolo determinante nelle
commissioni per i concorsi, almeno fino alla metà degli anni Ottanta.
183
«… “entrare in politica” è diventato un mestiere e, quindi, lo “stare in politica” diventa una necessità vitale,
soprattutto se si “tiene famiglia”… Anzi, per dirla tutta intera, credo servano ben poche mani per contare sulla punta
delle dita i funzionari e gli addetti in genere all’entourage politico, sindacale e amministrativo sui quali saremmo pronti
a scommettere che non si sono serviti della loro posizione per risolvere una volta per tutte anche il problema
economico-occupazionale (se non proprio quello… esistenziale) di figli e nipoti». Tullio Clementi, “Democrazia,
oligarchia e… doroteismo”, Graffiti, luglio 1998.
184
La definizione di “sessantottini”, così come quella di “resistenti”, va qui intesi con riferimento anagrafico-culturale,
piuttosto che militante.
44
all’esperienza dei figli in nome di una giovinezza doc santificata dalla distanza e vissuta come
irripetibile da un narcisismo duro a morire»…
La domanda con cui tendono a rispondere con sempre maggiore frequenza (e con sempre più
malcelata stizza) i vecchi dirigenti diessini quando qualcuno sfiora l’argomento “giovani”, è la
seguente: «ma dove sono, insomma, questi giovani?». La risposta è perfettamente ovvia e scontata,
naturalmente. I giovani stanno altrove: stanno nella Lega, in Alleanza nazionale, in Rifondazione
comunista 185 e, in misura minore ma comunque significativa, in quel che resta della diaspora
democristiana, tenuti dentro, in quest’ultimo caso, da due diverse (e non necessariamente
alternative) motivazioni: il richiamo delle tradizioni cattoliche e, per altro verso, la prospettiva di
una decorosa sistemazione in una delle tante nicchie del potere economico (Banca di Vallecamonica
e società collegate) che il mondo cattolico gestisce da decenni in Valcamonica. Stanno altrove, i
giovani, perché hanno capito da tempo, ormai, che dai dirigenti diessini non potranno avere alcuna
risposta, né di ordine emozionale né, tantomeno, di progetto; così come, dal canto loro, gli stessi
dirigenti diessini sanno bene di non avere più nulla da dire ai giovani, avendo irrimediabilmente
rimosso tanto l’insegnamento di Lorenzo Milani 186 e di Piero Calamandrei 187 quanto il ricordo dei
loro stessi entusiasmi giovanili.
Ma è soprattutto l’area dell’indifferenza e dell’astensione da ogni iniziativa politica quella che
raccoglie schiere sempre più numerose di giovani: un’area alla quale attingeranno però
abbondantemente tutte le iniziative promosse dagli stessi giovani, come dimostrano in modo
inequivocabile i risultati elettorali del 1999 per il rinnovo delle amministrazioni comunali.
La deriva misogina, invece, si manifesterà solo verso la fine del decennio, quando saranno le donne
stesse a denunciare «una regressione di carattere antidemocratico nella composizione uomo/donna
nella formazione delle assemblee e dei direttivi delle Comunità montane» e, quindi, il venir meno
delle condizioni «per cambiare davvero il nostro Partito, il suo essere presente nella società, il suo
stare tra la gente e darle voce, il suo saper parlare a tutte e a tutti» 188
Il collettivo “Rébèl”
Sempre verso la metà degli anni Novanta, raccogliendo diverse esperienze di aggregazione
giovanile in alcuni comuni della Valle (Losine, Cerveno, Edolo) prende forma il collettivo Rebel,
con l’obiettivo principale di «movimentare, attraverso iniziative di aggregazione ludiche e musicali,
un ambiente politico e culturale povero di proposte per i giovani».
185
«Da tempo i giovani prediligono gli estremi. Nessuno mai dice di votare popolare, quasi mai i Ds, soprattutto dopo
che sono al governo. Non parliamo poi dei partiti dello zero virgola, come li chiama Martinazzoli. Non esistono. Si
prediligono le posizioni ai lati dello schieramento parlamentare: o Rifondazione o An. Qualcuno preferisce ancora la
Lega, come estremizzazione della lotta al potere, ma ormai sono diventati come le mosche bianche», Guido Cenini, “I
giovani”, Graffiti, luglio 1999.
186
Lorenzo Milani (Firenze, 1923-1967), convertitosi al cristianesimo dall’ebraismo fu consacrato sacerdote nel 1947.
Fin dall’inizio dell’apostolato si dedicò alla promozione culturale dei ragazzi del popolo. Sospettato di comunismo
dall’autorità ecclesiastica, che giudicò inopportune le sue Esperienze pastorali (1958), fu relegato come priore a
Sant’Andrea di Barbiana, nel Mugello, dove fondò una scuola per i figli dei contadini e dei boscaioli, imprimendole un
metodo didattico radicalmente nuovo, legato alla realtà politico-sociale. Frutto di tale esperienza fu la Lettera a una
professoressa (1967), documentata denuncia del classismo nella scuola italiana, che influì notevolmente sulla
contestazione studentesca del 1968. Schieratosi a favore dell’obiezione di coscienza, don Milani subì un processo, in
occasione del quale scrisse una vibrata Lettera ai giudici (1965), Poi pubblicata con il titolo L’ubbidienza non è più una
virtù (1967). Postume: Lettere (1970) e Lettere alla mamma (1973).
187
Piero Calamandrei (Firenze, 1889-1956), docente di diritto processuale civile; membro della Consulta nazionale e
della Costituente; deputato fino al 1953. Attraverso la rivista Il Ponte (da lui stesso fondata), diede un valido contributo
nella difesa degli ideali culturali e civili dell’Italia riscattata dal fascismo. Celebre il suo discorso ai giovani milanesi,
nei primi anni Cinquanta: «Gli uomini della Resistenza devono aiutare i giovani, che saranno i governanti di domani, a
diventare la nostra classe politica, consapevole del passato e custode dei valori che esso ha lasciato all’avvenire...».
188
Documento approvato dalle donne bresciane nella Direzione provinciale dei Democratici di sinistra, il 17 settembre
2001, pubblicato in sintesi, con il titolo “Sebben che siamo donne”, su Graffiti, ottobre 2001.
45
La sua connotazione politica si rivela subito piuttosto eterogenea ed i suoi giovani militanti, pur
gravitando nell’area della sinistra (con particolare riferimento a Rifondazione comunista), ben
raramente aderiranno a partiti politici o altri movimenti.
Fra i molteplici impegni che vivacizzeranno negli anni successivi l’attività del collettivo (adozioni a
distanza, dibattiti itineranti sull’esperienza zapatista nel Chiapas, diffusione di “Radio Onda
d’Urto” 189 in Valcamonica, realizzazione di un volume della collana “Il tempo e la memoria”), 190
uno in particolare assumerà sempre più marcatamente il carattere di filo conduttore (che lo porterà
ripetutamente a scendere in piazza a fianco di altre aggregazioni democratiche): l’impegno
antifascista e antirazzista.
«Inutile dire e provare a spiegare – si legge su un volantino diffuso all’inizio del decennio
successivo – come sia difficile per un gruppo di giovani praticare nuove (o vecchie?) forme di agire
politico in un contesto conservatore e “democristiano” come quello camuno. Gli stessi giovani che
vengono accusati di essere solo passivi frequentatori di birrerie e discoteche, appena provano a
pensare e realizzare qualcosa di diverso devono affrontare cervellotiche difficoltà burocratiche,
trovando spesso solo degli ostacoli da parte di assurde amministrazioni comunali che negano spazi e
permessi per poi spendere milioni di soldi pubblici per distribuire questionari per interrogare i
giovani su quel che vogliono».
Nel sindacato, intanto…
Ma il vero capolavoro in quanto a disinvoltura nell’ipotecare il futuro delle giovani generazioni lo
compie il sindacato. Nei primi mesi del 2000, mentre i dirigenti confederali della Cgil (quei pochi
che ancora credono al sindacato come strumento di riscatto sociale dei soggetti più deboli) tentano
di far decollare il Nidil, 191 inventato da pochi mesi nell’intento di rappresentare le nuove figure
professionali che vanno sempre più diffondendosi nel mondo del lavoro, il sindacato pensionati si
organizza meticolosamente nel promuovere la partecipazione dei propri collaboratori – che hanno in
comune con le schiere di giovani costretti a subire la precarietà delle “collaborazioni coordinate
continuative” solo il versamento dei contributi previdenziali – l’elezione (compresa una
sperimentazione telematica) degli organismi dirigenti che dovranno gestire il nuovo fondo
previdenziale. 192 Il risultato verrà così commentato da Giuliano Cazzola: «Una minoranza
sindacalizzata (nel senso più tradizionale del termine) si è impadronita della Gestione dei
parasubordinati presso l’Inps ovvero della Cassa pensioni di quei lavoratori-collaboratori sottoposti
al prelievo obbligatorio del 10-13 per cento. Sono bastati circa 10mila votanti (in una platea di
almeno un milione di aventi diritto e di 1,8 milioni di posizioni previdenziali) per portare a buon
fine un’operazione (studiata nei minimi particolari e attuata con lucida determinazione dal ministero
del Lavoro e dall’Inps) tendente a consegnare a Cgil, Cisl e Uil la rappresentanza degli interessi
pensionistici (i soli che abbiano ora un fisionomia definita) di questa categoria in forte
espansione». 193
189
L’emittente radiofonica Radio Onda d’Urto nasce a Brescia nel 1985, promossa e gestita dall’associazione culturale
Spazio Aperto, che si avvale della collaborazione di soci volontari. Verso la metà degli anni Novanta l’emittente
accende una frequenza radiofonica anche a Milano, dove si costituisce una redazione locale. Nel 1999 viene attivata la
frequenza per il Lago d’Iseo e la Valcamonica.
190
Margherita Morandini Mello, Nome di battaglia “Luce”, Circolo culturale Ghislandi e Spi-Cgil, in collaborazione
con il Collettivo Rebel, luglio 2000.
191
“Nuove Identità Di Lavoro”. É la nuova struttura sindacale promossa dalla Cgil “per dare voce e forza a chi lavora
senza tutela e protezione”.
192
Nei giorni in cui avvengono le elezioni del comitato amministratore del Fondo Inps per i lavoratori parasubordinati,
le associazioni degli artigiani Confartigianato e Cna), dopo aver ricordato come «proprio mentre diminuisce
l’occupazione dipendente aumentano le nuove forme di lavoro flessibile…», denunceranno pubblicamente il fatto che
«le regole del gioco per l’elezione del comitato amministratore del fondo Inps per i lavoratori parasubordinati non sono
state uguali per tutti, e sono state modificate in corso di partita», “Parasubordinati, elezioni Inps con regole truccate”,
ItaliaOggi, 28 giugno 2000.
193
Giuliano Cazzola, “È il ‘vecchio’ che avanza”, Il Sole 24 ore, 2 luglio 2000.
46
A ben guardare, non c’è neppure da stupirsi più di tanto se è proprio il sindacato a chiudere il
cerchio della restaurazione conservatrice. A differenza del partito, infatti, il sindacato (parliamo
della Cgil, in questo caso) non ha mai vissuto una vera e propria crisi, né politica né ideologica
(della crisi di identità, invece, ne parleremo brevemente più avanti), ragion per cui, negli ultimi anni
del secolo si trova nella condizione di poter disporre di una quantità immensa di risorse:
economiche e umane. Risorse economiche, grazie soprattutto all’apporto degli iscritti pensionati
che, a differenza dei lavoratori attivi, continuano a crescere (a metà degli anni Novanta
diventeranno maggioranza assoluta nelle tre maggiori confederazioni sindacali); risorse umane
perché negli stessi anni Novanta si è compiuto il processo di espulsione (attraverso varie forme di
incentivi pubblici) dalle grandi fabbriche.
Migliaia di ex attivisti sindacali in ancor giovane età (diverse decine anche nella piccola
Valcamonica), quindi, si mettono a disposizione del sindacato (soprattutto dello Spi e dell’Auser)...
Crisi di identità
Il sindacato (in generale, ma la Cgil in particolare) vive invece una profonda crisi di identità a
cavallo degli ultimi due decenni. Crisi che produce un intenso dibattito (destinato a rimanere
incompiuto) ed alcune lacerazioni, come evidenziato anche dall’esperienza di “Essere sindacato”
che, per quanto usata in modo strumentale a fini di potere interno agli apparati, tenta veramente di
riproporre una ragion d’essere del sindacato... Il corso della crisi interna al sindacato si avvia, nei
primi anni Novanta, verso una sorta di “resa dei conti”, ma a salvare il tutto ci pensa il nemico di
sempre, il Partito radicale che, partendo da considerazioni ragionate (e per molti versi condivisibili),
si lascia trascinare dal livore antisindacale del suo leader carismatico in un feroce attacco (attraverso
l’uso sconsiderato dell’istituto referendario). Attacco che, alla fine, produrrà un unico grande
risultato: il ricompattamento sul campo (anzi, in piazza) del sindacato.
Quando Marco Pannella e Emma Bonino torneranno all’assalto, nel 2000, con la seconda ondata
referendaria, il sindacato non avrà più neppure bisogno di scendere in piazza (cosa che
probabilmente gli avrebbe creato qualche difficoltà in più che in passato). Consumata in modo
ormai irreversibile la metamorfosi da organizzazione di classe a “società di servizi”, per “tirare a
campare” gli basterà sfruttare gli effetti dell’astensione dal voto referendario di oltre due terzi degli
elettori italiani. 194
La metamorfosi sindacale
Gli anni Novanta segnano dunque una radicale metamorfosi del sindacato. All’inizio del decennio,
come già nell’ultimo scorcio del decennio precedente, la fase dei prepensionamenti nei settori
industriali (siderurgico, tessile e chimico) contribuisce significativamente a modificarne la
composizione “sociale”: calano gli iscritti attivi (anche perché diventa sempre più difficile il
reclutamento fra i giovani), ma aumentano rapidamente i pensionati, per i quali l’iscrizione al
sindacato avviene “d’ufficio” al momento di compilare le pratiche per la messa in mobilità e,
quindi, per la pensione.
Diventa quindi fondamentale, in questa fase, il ruolo dei patronati sindacali come “collettori” del
tesseramento, così come lo diventeranno nella seconda metà del decennio i Caaf... 195
194
Nei giorni successivi alla disfatta elettorale del centro-sinistra, l’editorialista Sergio Soave scriverà: «… Le
organizzazioni sociali man mano trassero il loro potere e la loro autorità più dalla concertazione che dalla
rappresentanza degli interessi degli associati. Indebolirono la loro presa sulla realtà e indussero anche le forze politiche
del centro-sinistra nella stessa aberrazione ottica. Anziché canali di comunicazione con il paese reale e di espressione
dei suoi conflitti, le strutture sociali divennero sempre più autoreferenziali, e i partiti che indirettamente appoggiavano
scambiarono le opinioni delle oligarchie con quelle delle basi sociali che sempre meno in esse si riconoscevano. Sergio
Soave, “I poteri forti scendono dalla barca del centro-sinistra”, ItaliaOggi, 27 maggio 2000.
195
Centri Autorizzati Assistenza Fiscale. «Seguiamo le mode. Ma chi rappresentiamo? Siamo un ceto, migliaia di
funzionari inutili che aiutano solo a compilare il 740. Facciamo i gabellieri dello Stato! E la delega a trattare ci viene
solo da Governo e Confindustria, che hanno la nostra stessa crisi di rappresentanza! Di certe cose, però, non si parla: la
certezza del lavoro, le garanzie sono considerate una follia anche a sinistra». Maurizio Zipponi, “Gli sfruttati del
Duemila? Li trovate in San Babila”, Corriere della Sera, 7 ottobre 2000.
47
La fase intermedia di questa metamorfosi produce due diversi effetti che, come vedremo, si
neutralizzeranno reciprocamente. Per un verso, all’interno delle organizzazioni sindacali, il
processo di trasformazione da sindacato di classe a centro di assistenza e servizi al cittadino
produce gli stessi fermenti e gli stessi malumori già registrati (e assorbiti) negli anni Settanta
attorno al dilemma “Sindacato-istituzione” o “Sindacato-movimento”?; per altro verso, all’esterno,
cresce l’insofferenza dei movimenti liberali e libertari (liquidati in modo spregiativo dalla sinistra
come “liberisti”) verso le “nicchie” protette all’interno del mondo del lavoro e, più concretamente,
contro il patto governo sindacato, che viene ritenuto dai “liberisti” un freno al processo di
liberalizzazione dell’economia. Ma la conseguente azione promossa dai radicali, attraverso l’uso
dirompente dei referendum abrogativi, 196 contro alcune leggi in materia di lavoro (“Statuto dei
lavoratori”, in modo particolare), produce solo un formidabile ricompattamento del sindacato e la
definitiva messa fuori causa di tutte le istanze di dissenso e di rinnovamento... 197
Verso la fine degli anni Novanta le sedi sindacali si riempiono di “collaboratori” vecchi (espulsi dai
processi produttivi attraverso le ristrutturazioni aziendali e, quindi, i prepensionamenti) e giovani,
alla ricerca di una qualsiasi forma di occupazione, per quanto precaria. Nel primo caso, salvo
qualche “contratto di collaborazione”, si tratta prevalentemente di prestazioni saltuarie e occasionali
(non esclusi i lavori manuali e di fatica), compensate con un modesto “rimborso spese”; nel secondo
caso, invece, i giovani vengono reclutati attraverso la formula della “prestazione coordinata e
continuativa”: una sorta di contratto capestro che va diffondendosi in tutto il Paese, e che sottopone
gli interessati ad una costante condizione di ricatto, costringendoli così a subire ritmi di lavoro
estenuanti, fisicamente oltre che psicologicamente.
Zombie
Il fatto che a lanciare l’anatema dagli schermi di Teleboario sia stato nientemeno che Luigi
Pelamatti (uno che in tema di “zombie” è già un… archivio per conto suo), 198 nulla toglie alla
dimensione dell’evento rappresentato dalle elezioni comunali a Darfo Boario Terme, dove la lista di
centro-sinistra viene composta all’insegna del “dentro tutti” 199 .
Per la verità, uno dei pochi segni di innovazione generazionale viene proprio dalle file dei Ds, ma si
tratta di una innovazione più apparente che reale, nel senso che il giovane Lorenzo Spadacini, 200 è
una sorta di candidato dimezzato (si ripete, in sostanza, quanto già avvenuto quattro anni prima con
il suo coetaneo Vladimir, candidato di “bandiera generazionale” nella frazione di Angone): una
sorta di rappresentanza… anagrafica, insomma.
L’operazione, comunque, va incontro ad una disfatta senza precedenti. 201 Una disfatta che non verrà
sottoposta ad alcun serio tentativo di analisi, così come non verranno analizzati gli esiti elettorali
nella successiva consultazione per il rinnovo del Consiglio regionale del 16 aprile 2000, salvo che
non si voglia considerare “analitica” la riunione del Consiglio di zona in cui il segretario si
196
Referendum che resteranno privi di efficacia perché non verrà raggiunto il quorum del 50% di votanti.
197
«A tutti coloro che negano il pessimo stato di salute della Cgil vorrei ricordare che dall’esito dei referendum del 21
maggio 2000, non è uscita sconfitta solo la Confindustria: il 62% dei votanti si è espresso per l’abrogazione della norma
sulle deleghe sindacali […]. Una dato gravissimo, rimosso come nulla fosse dalle burocrazie sindacali…».
198
«… consigliere comunale in quel di Darfo (prima ancora che diventasse “città”), consigliere comunale a Brescia,
consigliere regionale [Msi] e, “finalmente”, sindaco della città di Darfo Boario Terme», Tullio Clementi, “Ritratti: Luigi
Pelamatti”, Graffiti, luglio 1994.
199
La lista è composta da tutti i segretari dei partiti che fanno parte della coalizione (Ppi, Ds, Verdi, Sdi,
Democratici…), oltre che dagli esponenti di spicco della politica darfense): Roberto Lorenzi, Giorgio Cemmi, Marco
Facchinetti, Giovanni Verga, Picciocchi…).
200
Due anni dopo, divenuto cultore di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli
Studi di Brescia, Lorenzo Spadacini pubblicherà una interessante ricerca sulle «travagliate vicende della maggioranza
parlamentare di centro-sinistra, sul finire della XIII legislatura», Cronaca di due crisi di governo, Promodis Italia
Editrice, Brescia, dicembre 2000.
201
Con poco più del 20%, la lista di “Centrosinistra”, arriverà terza (ultima), piazzandosi dopo la Lega, con tre soli
consiglieri eletti: Bruno Ducoli (candidato sindaco), Giovanni Verga e Celeste Bassi.
48
presenterà con due pagine sature di dati riferiti alle preferenze, senza alcun altro riferimento utile ad
effettuare il raffronto con precedenti analoghe consultazioni. 202
Interessante e puntuale, a proposito, quanto scrive un ricercatore meticoloso e attento come Vittorio
Moioli: «Chi dispone del potere trova più conveniente ricorrere all’ausilio di coloro che si occupano
di sondaggi piuttosto che al giudizio severo di chi scava nella realtà e giudica il divenire della storia
con occhio critico». 203
E dopo di noi il diluvio
Le elezioni per il rinnovo dei Consigli comunali del 1999 tendono a premiare quasi ovunque, in
Valcamonica, le liste in cui sono presenti i giovani (l’esempio più vistoso lo abbiamo a Cevo, dove
l’erede politico del “vecchio” sindaco Scolari, Luigi Biondi, viene sconfitto da un candidato di 26
anni, che raccoglie consensi soprattutto in quanto “giovane”). I Ds, quindi usciranno con una
rappresentanza ulteriormente ridimensionata; cosa che non gli impedirà di giocare duro, e di
riportare “a casa” risultati di un certo rilievo, come vedremo, durante la trattativa d’autunno per il
rinnovo degli amministratori negli enti comprensoriali, anzi, uno degli argomenti portati dalla
dirigenza del partito a sostegno dell’operazione sarà proprio il fatto di aver ottenuto tanti posti di
potere negli enti pur avendo una esigua rappresentanza politica. 204
E le cose non vanno certo meglio alle elezioni provinciali: il “nuovo” partito della sinistra perde
clamorosamente terreno nei collegi di Darfo, dove la candidatura di Giuseppe Bonino (già
consigliere provinciale un paio di decenni prima) riuscirà a peggiorare perfino il modesto risultato
ottenuto quattro anni prima da Italo Chitoni, 205 e di Pisogne, dove Isa Santicoli non riesce a bissare
il brillante risultato di quattro anni prima; si “salva” a Breno grazie al circuito di “amici” riattivato
dal nuovo acquisto, Cesare Veraldi, ed ottiene un ottimo risultato, invece, con la candidatura di
Lucia Tamini (candidatura osteggiata da una parte del partito ma “imposta” dalle sezioni dell’Alta
Valle) nel collegio di Edolo.
Un patto “contro natura”
Nella notte fra il 15 e il 16 novembre del 1999, dopo cinque mesi di incontri e trattative fra le varie
forze politiche presenti nelle assemblee degli enti comprensoriali (Comunità montana e Bim), viene
sottoscritto l’accordo per la gestione degli enti stessi tra Ppi, Ds, Pic 206 ed un gruppo di sindaci di
centro-destra. Rimangono all’opposizione, oltre ai due delegati di Rifondazione comunista che
formavano con i Ds il gruppo della “Sinistra democratica”, i Federalisti camuni (ex socialisti), i
Democratici (che nel gruppo comprensoriale si definiscono centrosinistra) e la Lega. Il 19 dello
202
Il rifiuto di ogni analisi dei risultati elettorali diventa ormai una prassi sempre più diffusa, come denuncerà anche
Pietro Ingrao all’indomani della consultazione referendaria del 21 maggio 2000, che ha visto la partecipaziuone al voto
di circa il 30%. «… percentuale mai vista, mai immaginata in Italia. Mi spaventa che la coalizione di governo abbia già
messo in soffitta questo dato inquietante, che da solo esigeva, oltre che una discussione, un’analisi». Pietro Ingrao, “Ds
non più di sinistra ma di centro”, Corriere della Sera, 29 maggio 2000.
203
Vittorio Moioli, Sinistra e Lega: processo a un flirt impossibile, Edizioni Comedit 2000, settembre 1997.
204
Lo stesso argomento fu per anni appannaggio dei socialisti, ma con almeno due differenze, di sostanza e di stile: in
tal modo, infatti, i socialisti riuscirono a contenere lo strapotere della Democrazia Cristiana (cosa che oggi appare
quantomeno dubbia), e comunque non sbandierarono mai come titolo di merito il numero delle poltrone ottenute.
205
Sulla candidatura di Italo Chitoni val la pena di ritornarci un attimo, soprattutto perché offre uno spaccato piuttosto
significativo in merito al clima di ostracismo contro i giovani, che stava crescendo fin dai primi anni Novanta nel
gruppo dirigente “post-comunista”. In una riunione del Consiglio di zona, nella primavera del 1995, Carlo Branchi
propone di candidare il giovane Vladimir Clementi, per dare così un forte segnale di rinnovamento anche generazionale.
Si apre quindi il dibattito, animato ulteriormente dalla proposta di Marco Facchinetti di candidare Italo Chitoni. L’unica
dichiarazione (oltre alla proposta di Facchinetti) esplicitamente contraria alla candidatura di Clementi è di Eugenio
Mondini che, con apprezzabile franchezza, afferma di non avere alcuna fiducia nei giovani. Per il resto, l’orientamento
dei pochi interventi (meno di una decina) traccia una divisione netta fra le due proposte, e la riunione si chiude così,
senza alcuna ulteriore verifica. Nella riunione successiva, una quindicina di giorni dopo, viene formalizzata, da parte del
segretario di zona, la proposta di candidare Italo Chitoni. Proposta che verrà approvata quasi all’unanimità.
206
Per i Comuni, lista civica trasversale, di “centrosinistra”, nata verso la fine degli anni Ottanta.
49
stesso mese, l’assemblea della Comunità montana riconferma Pierluigi Mottinelli (Ppi) alla
presidenza del nuovo direttivo (Giunta) ed elegge gli assessori: Vittoria Cazzaghi (Ds); Santino
Facchini (Ccd); Eugenio Fontana (Ppi); Pietro Gaudenzi (Pic); Albetto Inversini (FI); Mario
Pendoli (Ppi); Stefano Simoncini (FI); Corrado Tomasi (Ppi). La Giunta del Bim, invece, avrà una
gestazione un po’ più lunga…
Ovviamente l’accordo (che alcuni fra i suoi difensori più… disinvolti definiscono impropriamente
“istituzionale”) viene giudicato nei modi e nei linguaggi più svariati, come scrive Giancarlo
Maculotti su Graffiti: «Era prevedibile che le accuse ed i giudizi delle forze che si sono autoescluse
sfociassero nei sostantivi che ormai fanno parte dell’orrendo vocabolario politico nazionale:
pasticcio, inciucio, papocchio…». 207
Linguaggio “colorito” che ritroviamo puntualmente nei vari commenti dei giorni successivi: dall’ex
dirigente del Pci valligiano, Renato Conti, che considera la «sordida ed innaturale alleanza fra il
Polo e l’Ulivo per il governo della Comunità montana» come una diretta conseguenza derivante
dalla «perdita del senso di appartenenza», dalla «desertificazione di ogni tensione valoriale»,
dall’«indebolimento dell’idea di politica come mezzo nobile e non “animale” per la trasformazione»
e dall’«ubriaca speranza di un possibile riscatto per molti bocciati dal recente voto
amministrativo…» 208 , al dirigente dei Federalisti camuni, Walter Sala, per il quale «è evidente che
ha colpito ancora la sperimentata politica dell’ultimo minuto, tipica del Mottinelli, tanto cara ai
dirigenti del Ppi e più volte utilizzata per far passare tutto e in fretta, così nessuno può
discutere…»; 209 da Rifondazione comunista, che giudica severamente questa classe politica,
«magari rimandata a casa dalle elezioni, ma che si ripresenta in Comunità montana grazie al
meccanismo, per nulla democratico, della designazione dei Comuni, e non si stanca di proporre
nuove alchimie, formule di accordo inedite, il cui fine è unicamente quello di spartirsi poltrone e
potere…», 210 al Sindaco di Malegno (e delegato del gruppo indipendente, che successivamente si
autodefinirà “centrosinistra”), Gerardo Milani, che scrive: «Tre è il numero perfetto. Tre sono i
delegati dell’Assemblea della Comunità montana di Valle Camonica che hanno avuto il coraggio di
votare contro l’alleanza Ppi, Forza Italia, Ccd, Ds… […] Cosa ci si poteva aspettare dai Ds dopo
che il loro segretario di zona è stato per quattro anni a crocchiare nei giardini della Secas insieme al
tanto osteggiato Sandro Bonomelli?»; 211 da un gruppo di iscritti alla sezione Ds di Malonno (fra i
quali, dirigenti di primo piano del partito e del sindacato a livello comprensoriale), che dichiarano:
«… non sentiamo come nostro un governo siffatto e temiamo che anche la partecipazione (già
limitata) della sezione alla vita politica possa ulteriormente ridursi»,212 alla Lega Nord: «Rattrista
pensare che entreremo nel nuovo millennio con l’ennesimo inciucio in stile romano, ma in un
quadro politico così instabile è inevitabile che prevalga la voglia di poltrone…». 213
Non mancano, tuttavia, pronunciamenti (e commenti) favorevoli da parte di militanti e dirigenti
“insospettabili” come Pier Luigi Milani che, non meno dello stesso Giancarlo Maculotti, tendono a
giustificare l’accordo («sofferto e lacerante») come passaggio necessario per «mandare a casa un
gruppo di “Ghino di Tacco” locali che, standosene appollaiati da parecchi (troppi) anni negli enti
comprensoriali e mettendo in campo un sapiente gioco si squadra, credevano di poter continuare
ancora a lungo a fare il bello e il cattivo tempo…». 214
207
Giancarlo Maculotti, “Accordo sofferto ma necessario”, Graffiti, Dicembre 1999.
208
Renato Conti, “Un’alleanza contro natura”, Bresciaoggi, novembre 2000.
209
Walter Sala, “Perché la nostra delegazione non fu informata dell’accordo?”, Il Giorno, 27 novembre 1999.
210
Rifondazione Comunista (Circolo “A. Gramsci” di Valcamonica e Federazione di Brescia), Il vergognoso accordo
per la Comunità montana e la posizione dei Comunisti, 23 novembre 1999.
211
Gerardo Milani, “Il Centro sinistra ricomincia da tre”, lettera al direttore di Graffiti, 3 dicembre 1999.
212
Marisa Bazzana, Felice Bona, Gabriele Calzaferri (e altri), Lettera aperta al segretario politico della Valle
Camonica, Galli Giuseppe, Malonno, 17 novembre 1999.
213
Monica Rizzi, “È l’inciucio del Duemila”, Giornale di Brescia, novembre 2000.
214
Pier Luigi Milani, “Un po’ di storia”, Graffiti n. 79, gennaio 2000.
50
Disagio e doppiezza
Per comprendere meglio il disagio che serpeggia fra i Ds, può essere utile leggere quanto scrive un
vecchio e prestigioso dirigente del partito (che verrà riconfermato alla presidenza di Ecocamuna)
nelle settimane successive all’accordo politico per la gestione degli enti sovracomunali: «Da tempo
il sistema elettorale che porta alla costituzione dell’assemblea della Comunità montana di
Vallecamonica genera contraddizioni oggi non più risolvibili con i metodi tradizionali della
“politica”. Se si vuole che la “politica” e i partiti riprendano il loro ruolo, che in democrazia è
insostituibile, bisogna avere il coraggio di dire che il sistema elettorale va radicalmente cambiato.
Bisogna che il Presidente della Comunità montana venga eletto direttamente come quello della
Provincia, in tal modo si presentano due candidati e due liste alternative, una di centrosinistra e
l’altra di centrodestra e vince chi ottiene i consensi maggiori». 215
“Piove sul bagnato”, potremmo dire, visto che l’area diessina (nonostante la doppiezza del suo
segretario di zona) 216 è fortemente orientata verso il sistema “maggioritario”. Ad un certo punto,
però, l’articolo prende un’altra piega, e l’autore, dopo aver ricordato che bisogna fare i conti con la
volubilità dei consiglieri comunali (unici “grandi elettori” nell’Assemblea degli enti), si chiede se
«è pensabile avere enti sovracomunali che operano per conto dei comuni senza la presenza di Darfo
e Breno, per non citare che i più significativi? È pensabile gestire un territorio complesso come la
Vallecamonica senza la presenza di una parte di esso, quello che va da Breno a Pisogne?». 217
Che significa, forse che il giorno in cui il Presidente della Comunità montana verrà “eletto
direttamente come quello della Provincia” dovrà poi scegliere i propri collaboratori (gli assessori) a
prescindere dalla lista che lo ha presentato come candidato, perché in tal modo potrebbe assicurare
la presenza dei comuni di Breno, Darfo, Edolo e Pisogne (per non citare che i più significativi)? O
forse che gli stessi comuni potrebbero farsi rappresentare dalle opposizioni, qualora le maggioranze
non fossero dello stesso segno politico del Presidente?…
E non toglie nulla all’ambiguità del ragionamento neppure la considerazione finale: «Si può
migliorare? [l’accordo per la gestione degli enti comprensoriali – ndr] Certo, allargando l’accordo ai
comuni amministrati dallo Sdi e dalla Lega, se lo vorranno». E allora, verrebbe da chiedersi, perché
pensare a “due liste alternative” per l’elezione del Presidente, piuttosto che ad un unico “listone”?
La questione viene ripresa un po’ di mesi più tardi da Ernesto Fenaroli, che denuncia con inusitata
durezza le ambiguità del ragionamento assunto a difesa dell’operazione: «… non mi convince la
forzatura di Raco quando affronta l’argomento in base ad un dilemma che, da un lato, propone
l’illusione del cambiamento del sistema elettorale per l’elezione a suffragio diretto dell’assemblea
della Comunità Montana, mentre concretamente, dall’altro lato, considera invece inevitabile l’intesa
istituzionale tra tutti per garantire il governo del territorio, altrimenti impossibile.
[…] Questo “nuovo” modello di relazioni istituzionali, può forse tornare utile a quella parte di ceto
politico, purtroppo anche di centrosinistra, che ha interesse a navigare nella confusione delle liste
civiche e nell’assemblare – in un’ottica di potere e comunque la pensino – il maggior numero di
delegati in Comunità Montana, ma non s’addice ad un partito di sinistra ed alle prospettive
riformatrici di cui è portatore. Noto una certa incoerenza, a volte, tra quello che si dice di voler
combattere e quello che invece, in concreto, si propone e si fa.
La mia personale opinione è che non ci sono facili scorciatoie e che l’unica vera alternativa è quella
dell’impegno della politica e dei partiti, di tutti i partiti, di quelli del centrosinistra come quelli del
centrodestra, nel costruire un nuovo scenario basato su un moderno e civile antagonismo
programmatico ed ideale, dove ciascuno si deve impegnare per ripristinare le regole del gioco.
Quelle regole che nel passato hanno garantito positivamente il conflitto politico e sociale». 218
215
Vincenzo Raco, “Ancora sugli enti sovraccomunali”, Graffiti n. 80, febbraio 2000.
216
La mattina del referendum sulla modifica del sistema elettorale (mancato per un soffio), nella primavera del 1999, il
segretario dei Ds, Giuseppe Galli, in piazza a Pisogne, invitava i suoi fedelissimi ad “andare al lago”.
217
Vincenzo Raco, “Ancora sugli enti sovraccomunali”, Graffiti n. 80, febbraio 2000.
218
Ernesto Fenaroli, “Enti comprensoriali: l’antagonismo è meglio del trasversalismo”, Graffiti n. 94, maggio 2001.
51
DUEMILA: LA RESTAURAZIONE
«Ci sono ogni giorno nuovi dazebào, ma se ne può intravedere il senso solo
in parte, non si può arrivare a penetrare tutta la verità. Non tutti i pezzi
sono sulla scacchiera, è una partita che non si può giocare» (Acheng)
Oltre… Caporetto
Nel corso di tre decenni abbiamo ripercorso (e vissuto) lo svolgersi di una storia collettiva, fatta di
grandi e piccoli eventi sociali: eventi a volte determinati, altre volte subiti dai protagonisti, ma in
ogni caso mai disgiunti dalle singole vicende umane… E abbiamo visto come oltre “Caporetto” non
ci fosse alcuna “linea del Piave”, ma solo un’immensa, sconfinata palude. Una palude che inghiotte,
assieme alle ultime, sterili testimonianze di un antico tessuto industriale, 219 anche le residue
speranze di emancipazione economica, politica e sociale dell’intera Valcamonica.
Per dirla con le parole di Aldo Bonomi, «gli effetti della deindustrializzazione non lasciano sul
terreno solo la tristezza dovuta al trauma del passaggio di fase, ma anche una difficoltà nel fare
sindacato o nel fare sviluppo. Infatti, queste aree non riescono a darsi un modello di sviluppo
adeguato ai tempi, poiché il tessuto sociale e culturale è profondamente segnato, sul piano
antropologico, dalla cultura industrialista. Qui, gestire un sindacato del lavoro o di impresa è
veramente difficile perché ci si deve rappresentare un lavoro che verrà, difendendo un lavoro che
non c’è più». 220
Emergono, dalla palude, solo i fatui pennacchi della boriosa vanagloria umana, a lungo repressa
entro gli angusti e… scomodi confini delle ideologie.
Nei pochi mesi che accompagnano il passaggio tra due secoli, quindi, assisteremo al triste epilogo
di una storia che, consumata e ripiegata su se stessa come una bandiera ormai logora, sarà ridotta a
sterile cornice per l’ambizione personale (finalmente libera di esprimersi senza remore ideologiche)
di alcuni suoi intramontabili protagonisti.
L’area del benessere
«Vieni cono noi, girerai il mondo», potrebbe esser lo slogan della cosiddetta “Area del benessere”,
la nuova struttura organizzativa in gestazione sul finire del millennio da parte dell’Auser.
Auser come s’è già detto, dovrebbe stare per “Associazione per l’Autogestione dei Servizi, la
solidarietà e il volontariato”. In realtà, fatte salve alcune apprezzabili eccezioni, l’associazione (nata
all’inizio degli anni Novanta, ma consolidatasi soprattutto sul finire del decennio) serve soprattutto
a “parcheggiare” ex funzionari sindacali che hanno liberato le strutture della Cgil in seguito al
raggiungimento dei requisiti per la pensione di anzianità (funzionari che continueranno comunque
ad usufruire di sedi, servizi e risorse della Cgil).
Se quest’ultimo è, a ragion veduta, il vero scopo fondativo dell’Auser, l’altrettanto vera natura
sociale consiste nell’offrire all’immensa galassia dei prepensionati cinquantenni delle allettanti
opportunità per l’impiego del tempo libero e della rendita (mediamente quattro milioni a coppia) 221 .
219
«… il sindacato comprensoriale, con le firme di Mino Bonomelli per la Cgil e Roberto Ravelli Damioli per la Cisl,
nell’ormai lontano gennaio del 1994 aveva inoltrato un appello all’amministrazione comunale di Darfo Boario Terme e
all’Università Popolare per la salvaguardia di una significativa testimonianza del lavoro e del movimento operaio
camuno all’interno della struttura per il nuovo Centro Congressi (che si stava realizzando sull’area dell’ormai dismesso
stabilimento Olcese di Boario Terme), e a tale riguardo, proprio in considerazione che “Il Cotonificio Olcese Veneziano
rappresenta una delle poche fabbriche dell’industrializzazione della Valcamonica del primo Novecento…”, quale
memoria storica per saldare il passato con il futuro, veniva suggerita proprio la ciminiera di quell’importante
stabilimento…». Tullio Clementi, “Ex Olcese di Boario: lasciateci almeno la ciminiera”, Graffiti, marzo 1996.
220
Aldo Bonomi, Il capitalismo molecolare. La società al lavoro nel Nord Italia, Einaudi, 1997.
221
«Qual è il segmento di popolazione più abbiente? In tutti i Paesi sviluppati (ma soprattutto in Italia) i più fortunati
sono quelli usciti recentemente dal mercato del lavoro, che hanno potuto godere delle migliori (e irripetibili)
performance di generosi sistemi pensionistici (da noi, grazie al pensionamento di anzianità, i cinquantenni riescono a
ottenere trattamenti medi superiori ai trenta milioni annui […], si tratta delle coorti degli insider, quelli che godono, al
meglio, dei vantaggi di un sistema contrattuale, sindacale e pensionistico che scarica le sue contraddizioni (in termini di
52
Un vero e proprio business, che si sviluppa attraverso un’efficace (e tutt’altro che disinteressata)
sinergia con le varie agenzie di viaggio diffuse sul territorio, tanto da rendere assolutamente
ininfluenti i ripetuti appelli del coordinatore regionale dell’Auser, Carlo Poggio, affinché vengano
prese in maggior considerazione le apposite strutture organizzative dell’Etli. 222
Sfruttati nelle sedi sindacali
In Valcamonica, la differenza tra chi si impegna per svolgere al meglio il proprio lavoro e chi,
invece, “tira a campare”, passa ancora prevalentemente attraverso il senso di responsabilità
individuale delle persone, piuttosto che attraverso i diversi ruoli (non è raro il caso, per esempio, di
funzionari “politici” e di “segretari generali” che mostrano un dinamismo operativo per nulla
inferiore a quello dei laboriosi “apparati tecnici”), ma basta andare in una qualche sede sindacale di
un capoluogo lombardo – senza alcun bisogno di scomodare gli uffici di “Roma ladrona” – per
scoprire lo stadio a cui è giunta ormai la metamorfosi: uffici chiusi fino alle nove di mattina
(eccezion fatta per i “servizi”) e, da anni ormai, nella mattinata del sabato; funzionari “politici” che
non rispondono al telefono e apparati “tecnici” che rispondono in modo sgarbato; mentre
funzionano a pieno regime i cosiddetti “servizi” (i Centri fiscali in modo particolare), dove il 90%
degli addetti è costretto a lavorare il sabato e, non raramente, la domenica mattina ed a conquistarsi
“sul campo” la prospettiva di un prossimo ingaggio di qualche settimana nella stagione successiva.
Non meno di quanto sono costretti a fare migliaia (milioni, ormai) di “parasubordinati” nelle
imprese e nei servizi della cosiddetta New economy, «lavoratori isolati che sopravvivono sul
mercato del lavoro usando un’unica arma: la riduzione del valore della propria prestazione. Meno
costano e più possibilità hanno di lavorare, meno chiedono in termini di diritti (sicurezza, malattia,
infortuni, maternità, ecc.) e più diventano appetibili per l’impresa». 223 Una condizione di ricatto
psicologico (quando non materiale) permanente, uno sfruttamento intensivo grazie al quale gli
apparati sindacali col posto fisso possono garantirsi gli stipendi e i generosi rimborsi spese… 224
La normalizzazione politica
Nei primi mesi del 2000 i Ds avviano due operazioni: una consultazione fra i componenti del
Consiglio di zona, con il dichiarato intento di coinvolgere l’organismo territoriale nella proposta di
una nuova soluzione dopo le dimissioni della segreteria di zona e, contemporaneamente, una
capillare opera di “normalizzazione” all’interno delle singole unità di base, 225 attraverso la
precarietà, basse retribuzioni, incertezza del domani) sulle giovani generazioni». Giuliano Cazzola, “Una generazione
dal futuro rubato”, Il sole 24 Ore, 20 novembre 2000.
222
Si pensi anche solo al fatto che tutti gli attuali benefici (viaggi e soggiorni omaggio, soprattutto) offerti dalle agenzie
di viaggio ai referenti della clientela (e goduti ripetutamente da un ristretto numero di persone), nei lontani anni Settanta
e Ottanta (benché il giro d’affari nel settore turistico fosse di molto inferiore a quello odierno) permettevano alla Cgil di
gratificare ogni anno decine dei suoi militanti più attivi, attraverso viaggi e soggiorni gratuiti.
223
Maurizio Zipponi, Ci siamo, Mursia, 2000.
224
«Nelle riunioni degli apparati, a chi tenta di ricollegare le idee e le azioni dell’organizzazione ai problemi reali dei
lavoratori, o, semplicemente, riconosce le difficoltà della Cgil, puntualmente risponde uno zelante funzionario che,
statistiche alla mano, dimostra che gli iscritti sono stabili, anzi in leggero aumento (dato dai pensionati) e questa
“riflessione col pallottoliere” mette fine alla discussione». Ibidem.
225
Verso la fine degli anni Novanta, in seguito al venir meno dell’autonomia operativa delle singole sezioni comunali
(che già erano state private di quasi tutte le risorse dovendo versare i proventi nelle casse della zona), i Ds valligiani si
riorganizzano attraverso strutture intercomunali (salvo qualche caso di irriducibile campanilismo, come nei casi di
Cevo, Saviore, Capodiponte, Pisogne e Gratacasolo, dove rimangono sostanzialmente le vecchie sezioni). Queste le
nuove “Unità di base”: Alta valle 1 (organizza i comuni da Sonico a Pontedilegno); Alta valle 2 (organizza le ex sezioni
di Malonno, Paisco Loveno, Berzo Demo e Cedegolo); Saviore; Cevo; Alta valle 3 (sezione di Capodiponte); Media
valle 1 (organizza i comuni da Ono San Pietro a Breno; Media valle 2 (organizza le ex sezioni di Malegno e di Borno e i
comuni di Ossimo e Lozio); Media valle 3 (organizza le ex sezioni di Cividate, Piancogno, Esine ed i comuni della
Valgrigna); Bassa valle 1 (organizza le ex sezioni di Darfo e di Angolo); Bassa valle 2 (organizza le ex sezioni di
Artogne, Gianico e Piancamuno); Pisogne ; Gratacasolo.
53
rimozione dei dissidenti 226 e, per altro verso, l’incitamento dei dirigenti fedeli affinché venga
prodotto un sforzo straordinario nell’azione di proselitismo. 227
L’esito della consultazione, condotta dai tre “saggi” Vittorio Ongaro, Sergio Bonomelli e Arturo
Squassina (quest’ultimo per conto della Federazione bresciana del partito) non verrà reso noto, ma
ci si limiterà a presentare, nel mese di marzo, la proposta di un coordinamento e di un
coordinatore. 228 La fase immediatamente successiva alla consultazione, quindi, mostrerà
chiaramente tutti i segni di una operazione già “impacchettata”, come avremo modo di constatare
durante la fase congressuale.
Avvicendamenti ai vertici della Cgil
Nell’estate del 2000, gli apparati della Cgil si trovano improvvisamente a dover fare i conti con lo
Statuto dell’organizzazione, da tempo disatteso soprattutto in quella norma che prevede un limite
temporale (massimo due congressi) nella durata di un incarico. 229 La Camera del Lavoro territoriale
di Valcamonica Sebino corre ai ripari con una tempestività uguagliata solo dalla Camera del Lavoro
di Bergamo, che convoca anch’essa il proprio direttivo il 7 luglio per eleggere il nuovo segretario.
L’avvicendamento al vertice della Cgil camuno-sebina, con l’elezione di Domenico Ghirardi, è un
evento scontato ormai da tempo, come s’è già visto, per cui appare ancora più sconcertante il
risvolto di grottesca ipocrisia in cui viene “impacchettato”. Anche in questo caso (si tratta di una
prassi che si va sempre più diffondendo, tanto nel sindacato quanto nel partito) si ricorre alla
consultazione da parte dei tre “saggi” (Peppino Vanacore, Giacomo Foresti ed il solito Vittorio
Ongaro); consultazione che si svolge però sull’unica candidatura di Ghirardi, e che riporta il
seguente esito: 43 favorevoli ed un contrario. Subito dopo la consultazione, quindi, si procede alla
votazione segreta su scheda: 36 favorevoli, quattro contrari ed altrettanti astenuti. Si tratta di una
vera e propria imboscata, che porrà, come vedremo, una seria ipoteca sul pur timido progetto di
rinnovamento tentato dalla Cgil comprensoriale.
226
L’azione assumerà a volte i tratti di una violenza “stalinista” senza precedenti, come nel caso “esemplare” di Lucia
Tamini, che verrà liquidata come una “fuori di testa”. Qualche prudenza in più, non potendo contare sulla stessa
vulnerabilità caratteriale della Tamini, verrà adottata con Marisa Bazzana, Bruno Bonafini, Flavio Cesari, Vladimir
Clementi, Marco Facchinetti, Isa Santicoli e Lodovico Scolari, ma l’intento è lo stesso: rimuovere ogni forma di
dissenso e di critica, costasse pure la rimozione degli stessi dissidenti dal partito. Anzi, l’assenza di ogni tentativo di
ricomposizione del dissenso alimenterà alla fine la netta sensazione che si intenda approfittare dell’operazione per
ridurre l’area dei… pretendenti alla gestione del potere.
227
Significativo a tale riguardo il risultato della sezione di Saviore che, oltre a rinnovare già in aprile il 90% delle
tessere (anticipando di qualche mese la consuetudine degli anni precedenti), aumenta del 15% anche l’importo medio
del valore tessera, congelato da anni attorno alle 22mila lire (circa la metà della già bassa media comprensoriale).
Questo risultato diventa maggiormente comprensibile se si mette in conto l’intento di accentuare ulteriormente il
contrasto con la vicina sezione di Cevo, considerata ormai una nicchia compatta (e, quindi, non facilmente
neutralizzabile) di dissenso.
228
«A far parte del coordinamento sono stati eletti con 31 voti favorevoli e 6 astenuti i compagni Bonafini Bruno,
Bonomelli Sergio, Galli Giuseppe, Sandrinelli Stefano e a svolgere il ruolo di coordinatore è stato eletto Giuseppe Galli.
Il nuovo organismo avrà il compito di gestire il partito nei prossimi mesi, mentre un gruppo di lavoro di cui fanno parte
i compagni Bonomelli Sergio, Facchinetti Marco, Fenaroli Ernesto, Ghirardi Domenico, Maculotti Giancarlo, Milani
Pier Luigi, Ongaro Vittorio e Troletti Paolo avrà il compito di stendere un documento, che dopo il referendum sarà
utilizzato come base di discussione congressuale», Giuseppe Galli, Graffiti, Aprile 2000.
229
«Nel giro delle prossime settimane i cambiamenti ai vertici della Cgil, sia nelle categorie che sul territorio,
coinvolgeranno circa il 60% del gruppo dirigente. È l’applicazione di una regola dello Statuto, dopo anni di deroghe, a
imporre questa tornata di nuovi “arrivi” anche se in diversi casi si tratterà più di spostamenti che di sostituzioni totali.
Questa norma statutaria, in realtà, non era mai stata applicata, ma un direttivo dello scorso anno ne aveva richiamato il
rispetto e poi, nella scorsa primavera, una circolare firmata dalla segreteria organizzativa della confederazione ricordava
che, dal luglio 2000 “terminerà improrogabilmente la deroga”, e che da quel momento, chi non avesse rispettato i
termini sarebbe “decaduto automaticamente”», “Cgil, giro di poltrone ai vertici”, Il Sole 24 Ore, 2 luglio 2000.
54
La riunione del Comitato direttivo si conclude infine con l’approvazione di un documento
politico 230 in cui, dopo aver posto in evidenza le modalità di consultazione («sono stati consultati 44
componenti del direttivo su 54 aventi diritto…»), pone in evidenza tre aspetti: «1) Riconoscimento
politico del ruolo svolto dalla segreteria uscente e, quindi, necessità di dare continuità in particolare
nell’opera per garantire l’unità del gruppo dirigente complessivo della Cgil [tradotto dal
“sindacalese”, significa forse che Mino Bonomelli e Luciano Bonetti rimangono in segreteria?] 231 ;
2) Necessità di una politica dei quadri in grado di garantire un ricambio nella direzione
dell’organizzazione a tutti i suoi livelli, evitando in tal modo che i ricambi di esperienza si
esauriscano solo con l’avvicendamento degli attuali dirigenti; 3) Necessità di un maggior
coinvolgimento del Direttivo, in particolare nei momenti di discussione su questioni importanti sul
piano politico […] e per ridurre la distanza tra la segreteria e l’organismo dirigente».
Il 7 luglio
Oltre a segnare l’inizio di un avvicendamento che – per quanto giocato tutto nell’angustia degli
uffici sindacali – imprimerà un notevole scossone ad un apparato sempre più asfittico e demotivato,
la data del 7 luglio 2000 merita di essere ricordata anche per un altro evento, forse altrettanto
scontato del primo, ma certamente oggetto di maggiori inquietudini: l’assoluzione degli imputati
per la vicenda “Irpinia del nord”. 232 Evento tanto sconcertante nelle motivazioni giuridiche della
sentenza quanto condizionante nei suoi effetti politici. Fra gli imputati, infatti c’era il sindaco di
Saviore, Alessandro Bonomelli, già presidente della Comunità montana di Valle Camonica e della
Secas, dopo che la vicenda giudiziaria lo aveva costretto a rinunciare ad un seggio quasi certo alla
Camera dei deputati.
La sentenza di assoluzione crea non poco scompiglio nelle file degli ex democristiani i quali,
avendo negli anni precedenti data per scontata la definitiva messa in mora del Bonomelli, si
attendono ora di dover rimettere in discussione un po’ tutti gli assetti di potere; ma cambia
sensibilmente la prospettiva anche nell’ambito degli altri partiti, alleati e avversari, che si trovano
improvvisamente a dover fare i conti con un personaggio che, ritornato potente in seguito alla
riacquistata “verginità”, si mostra determinato più che mai a realizzare l’antica ambizione politica.
L’evento verrà invece accolto favorevolmente da buona parte dei dirigenti diessini che, oltretutto,
attraverso una interpretazione quantomeno discutibile del “garantismo” giudiziario, ne
approfitteranno per dare finalmente libero sfogo all’antico e mai sopito livore contro i residui di
“moralismo giustizialista” presenti all’interno del partito.233
230
Il documento è firmato da Pino Vanacore, segretario della Cgil regionale; Vittorio Ongaro, che dal congresso di
Angolo Terme in poi riveste ininterrottamente la carica (non solo onorifica) di Presidente del Consiglio generale e
Giacomo Foresti, attraverso il quale si realizza una geniale quadratura del cerchio: Foresti, infatti, appartiene all’area
politica di Rifondazione comunista, rappresenta l’area geografica del basso Sebino bergamasco (che si è sempre sentita
un po’ ai margini della geografia comprensoriale) e non fa parte dell’apparato sindacale, ma è in produzione (in una
fabbrica tessile).
231
L’affermazione parrebbe riferita ad una cosa piuttosto ovvia, visto che entro un anno ci sarà il congresso, ma
associata ai paragrafi successivi lascia trapelare qualche disagio all’interno del gruppo dirigente (o quantomeno il fatto
che lo stesso gruppo dirigente non è ancora completamente omologato).
232
«Irpinia del nord: cronologia di una calamità… ammaestrata». Così Graffiti, nel novembre del 1993, titolava
un’indagine sulla «… presunta alluvione del ’90 in quel di Saviore, e sul piano di risanamento in Val Adamè [per un
importo di oltre 16 miliardi]». Indagine in seguito alla quale (anche) partì un inchiesta della Magistratura che portò
all’incriminazione per falso in atto pubblico, truffa e turbativa d’asta del sindaco e del tecnico comunale di Saviore, del
progettista e dell’impresa beneficiaria dell’appalto.
233
La questione verrà ripresa da Graffiti, attraverso un breve articolo del suo direttore responsabile: «… Ciò che ci
parrebbe insopportabile, invece, e che vorremmo tanto ci fosse risparmiato, è il veleno nella coda dei “garantisti” al
seguito dei vincitori: quegli stessi “garantisti” che (da “sinistra” non meno che da destra, anzi...) hanno assistito per anni
nella più assoluta indifferenza all’inflessibilità degli apparati giudiziari contro le classi più umili, salvo poi insorgere
ferocemente quando cominciarono ad essere messi sott’accusa (e in carcere, a volte) i Vip. Quegli stessi “garantisti” che
avevano assolto fin dall’inizio gli imputati in questione, perché vittime di “manie persecutorie da parte dei giudici” (si
legga Mani pulite) e che ora vorrebbero servirsi degli stessi apparati giudiziari per poter dire “visto che avevamo
ragione noi?”», Tullio Clementi, “Tacciano i sepolcri imbiancati”, Graffiti, luglio 2000.
55
Il laboratorio politico-sociale della Valsaviore
Questo paragrafo merita una breve premessa, soprattutto al fine di non incorrere in possibili
fraintendimenti. Già si è detto a proposito del carattere parziale di questa ricerca, ragion per cui
diventa abbastanza facile spiegare il motivo di un paragrafo dedicato ad una piccola valle laterale
della Valcamonica. Rimane solo da spiegare perché proprio la Valsaviore. Perché la Valsaviore, a
differenza di altre aree omogenee sui versanti della Valcamonica (Valgrigna, Altopiano di BornoOssimo…), esprime in modo più marcato e significativo che altrove il carattere dei processi di
trasformazione politica e sociale in atto.
I suoi due comuni principali, Cevo e Saviore (accorpati durante il fascismo nell’unico comune di
Valsaviore), non potendo vantare gli stessi diritti territoriali dei confinanti comuni di Cedegolo,
Berzo Demo e Malonno sullo stabilimento di Forno Allione, beneficeranno solo marginalmente (e
solo nei decenni più recenti) dei relativi vantaggi occupazionali e, d’altra parte, trovandosi tagliati
fuori fino agli anni Sessanta anche da un decente sistema di trasporti, non possono avvalersi
neppure di quelle opportunità offerte dalle nascenti industrie di fondo valle. I loro abitanti, quindi,
saranno costretti per decenni all’emigrazione o, nella migliore delle ipotesi, al pendolarismo
settimanale verso le città industriali della Lombardia e la Svizzera, fatta salva la breve parentesi dei
cantieri idroelettrici del Pantano d’Avio, di Salarno, del Lago d’Arno, di San Fiorano e di Edolo.
Il permanere di una diffusa incertezza di prospettive anche durante la fase di maggiore sviluppo
economico, dunque, costringerà gli abitanti della Valsaviore ad una sorta di diaspora permanente,
ma in misura sempre più differenziata fra i due principali comuni, anzi, fra le diverse frazioni di uno
stesso comune. Nella frazione di Saviore, per esempio, già dagli anni Sessanta il processo
migratorio subirà un drastico rallentamento grazie alle nuove opportunità di lavoro offerte dall’Uci
di Forno Allione (dove lavora come impiegato lo stesso Sindaco), dalla Snft, dalla Banca di Valle
Camonica e, in misura sensibilmente superiore rispetto ai paesi vicini, dall’Enel, mentre gli abitanti
della frazione di Valle e del comune di Cevo continueranno nelle loro peregrinazioni (gli emigranti
di Valle costruiranno addirittura interi quartieri, in una centro industriale a cavallo tra la Lombardia
ed il Piemonte). 234
Nei primi anni Settanta, dopo l’improvvisa scomparsa del capo del personale dell’Om di Brescia,
Carlo Genesini, 235 e la sua sostituzione con il cevese Alfredo Biondi, si aprono le portinerie della
fabbrica bresciana anche per gli operai della Valsaviore, ed il flusso migratorio si concentra
soprattutto in quella direzione, dapprima ancora nella forma di pendolarismo settimanale, poi, in
seguito alla messa a disposizione di un servizio giornaliero di pullman, come pendolarismo
quotidiano (quattro ore di viaggio, in aggiunta alle otto ore di lavoro), ma in non pochi casi la
prospettiva di un lavoro sicuro determinerà il trasferimento definitivo di intere famiglie nel
capoluogo bresciano.
Negli anni Ottanta, infine, dopo che il ruolo di primo cittadino del comune di Saviore viene assunto
da un rappresentante della frazione di Valle, si aprono anche per quella contrada maggiori
prospettive di accesso alla Pubblica Amministrazione. Ma sarà soprattutto negli anni Novanta, in
concomitanza con l’assunzione di importanti incarichi politici a livello comprensoriale del loro
sindaco, 236 che gli abitanti di Valle faranno veramente la parte del leone, tanto da scatenare una
vera e propria caccia al potere politico, anche nelle più ridotte nicchie di partito (e non solo in
quello del Presidente), 237 al fine di partecipare alla lottizzazione dei benefici economici. La nuova
234
Si tratta di Boffalòra Ticino, in provincia di Milano.
235
Carlo Genesini (1898 – 1969), segretario politico del Fascio in Valsaviore negli anni Trenta, negli anni successivi
alla Liberazione assunse la direzione del personale all’Om di Brescia e, in tale veste, ostacolò sempre l’assunzione di
operai provenienti dalla stessa Valsaviore, dove aveva operato durante la Resistenza la 54ª Brigata Garibaldi.
236
Abbiamo già visto come il sindaco di Saviore, Alessandro Bonomelli, assuma prima l’incarico di Presidente della
Comunità montana e, quindi, della Secas.
237
Qualche mese dopo, nelle elezioni del 13 maggio 2001, beneficiando certamente anche all’effetto di trascinamento
del candidato al Senato Bonomelli, che “gioca in casa”, ma grazie soprattutto ad alcune assunzioni ben “mirate” in
56
“diaspora”, quindi, si concentra ora soprattutto nei comuni della media e della bassa Valcamonica,
attorno ai grossi centri commerciali, l’Usl e la Comunità montana.
Nel comune di Cevo, invece, dove il ruolo della “Cenerentola idealista” è stato subito per anni come
inevitabile testimonianza della propria “ingombrante” storia, nel giro di pochi mesi ci si scrolla di
dosso tanto il vecchio e “romantico” retaggio ideologico di Peppone (Piergiacomo Bazzana, 238 per
intenderci) e don Camillo quanto il più disinvolto pragmatismo di Lodovico Scolari. 239
Ecco, in questo contesto si inserisce il confronto-scontro che terrà movimentata la scena politica di
fine secolo, e che avrà per teatro sperimentale proprio la Valsaviore.
L’Unità
Venerdì 28 luglio, dopo una lunga agonia, esce l’ultimo numero dell’Unità: 8 pagine di commenti e
di rimembranze, aperte da una miniatura del primo numero dell’ex “quotidiano degli operai e dei
contadini”, fondato da Antonio Gramsci: porta la data del 12 febbraio 1924. Dal 29 luglio uscirà
solo in una versione miniaturizzata e diffusa on line.
Il 29 luglio, alla Festa dell’Unità di Malonno, c’è un dibattito (programmato negli ultimi giorni
della… speranza) sul futuro del giornale. Vi partecipa, invitato, anche un componente della
Redazione di Milano, Michele Sartori. Ne approfitto quindi per impaginare, grazie alle attrezzature
messe a disposizione dalla Cgil, alcune decine di copie dell’Unità on line (otto pagine in formato
ridotto) e ne propongo la diffusione in forma solidaristica, a 10mila lire la copia: in poco più di
un’ora se ne vendono venti copie per un incasso pulito di 200 mila lire. La “provocazione” pare
aver funzionato. Tuttavia, già dalla festa successiva, che si svolgerà a Valle di Saviore nei giorni a
cavallo di Ferragosto, emergerà, libera ormai da ogni bisogno di mistificazione, la profonda e
irrimediabile lacerazione fra l’Unità e i dirigenti del partito 240 (di cui non è più l’organo ufficiale da
un paio di decenni, ma che continua ad essere diretta da persone di sua diretta designazione).
Alla Festa dell’Unità di Cevo, la settimana successiva, non sarà sentito in modo particolare il
bisogno di diffondere l’Unità on line, così come da anni ormai non era più reperibile l’Unità
“normale” nelle varie feste celebrate per raccogliere fondi in suo nome. E alla Festa di Temù del 27
agosto, infine, non ci sarà più alcun problema: da tre giorni ha cessato le pubblicazioni anche la
versione on line del giornale.
In tutta la breve vicenda (meno di quattro settimane) in cui la Redazione tenta di mantenere in vita il
giornale almeno nella versione diffusa attraverso Internet, si innesta anche un altro elemento
sconcertante: nessun dirigente di partito si porrà il problema di una capillare diffusione dell’Unità
on line nei vari circoli della Valcamonica, che magari non si chiameranno più “socialisti” o “dei
lavoratori” (così come lo stesso quotidiano non è più da tempo “l’organo ufficiale” del partito) ma
che sono pur sempre frequentati da gente cresciuta a pane e… Unità. 241
Ecocamuna, di cui è presidente, il candidato alla Camera Vincenzo Raco, benché sconfitto, nell’impari confronto con
Davide Caparini, otterrà proprio in Valsaviore la percentuale più elevata di consensi: 62,6% a Saviore e 56,9% a Cevo.
238
«Sindaco di Cevo per diversi anni, ma anche esponente di primo piano dei comunisti camuni in Comunità montana e
soprattutto candidato di punta alle “politiche” per tutti gli anni Sessanta: uno dei pochi candidati del Pci e dei suoi futuri
derivati che riuscirà a raccogliere una quota di voti ben maggiore di quelli ideologicamente “a disposizione”». Tullio
Clementi, “Ritratti: Piergiacomo Bazzana”, Graffiti, luglio 2000.
239
«Viene eletto segretario del Pci a Cevo (una sezione che dava già i primi segnali di stanchezza, nonostante la tenace
collaborazione del non più giovane Guerrino Quetti e la “supervisione” dell’ex sindaco Bazzana) e, quasi
contemporaneamente, consigliere comunale, dove assumerà anche l’incarico di capogruppo. Pochissimi anni e poi,
dopo le dimissioni di Antonio Biondi [subentrato a Piergiacomo Bazzana], gli subentra nella carica di sindaco. Carica
che ricopre ininterrottamente per circa vent'anni». Tullio Clementi, “Ritratti: Lodovico Scolari”, Graffiti, gennaio 1999.
240
Tanto il segretario di zona, Giuseppe Galli, quanto il consigliere regionale, Claudio Bragaglio, infatti, mostreranno di
non gradire affatto l’iniziativa della diffusione straordinaria di un giornale ormai messo in liquidazione.
241
Molto significativa, a tale riguardo, la lettera dell’ex Presidente della Cooperativa “Amici dell’Unità”: «… sono stata
nel Consiglio d’Amministrazione dell’Unità per troppi anni per non sapere che il “male” viene da lontano. Ho visto
troppi dirigenti del mio partito “usare” il giornale per proprie affermazioni individuali e non affrontare allora problemi
pesanti che oggi si sono (se è possibile) ingigantiti. Ho visto un fare sprezzante e menefreghista nei confronti dei lettori,
dei diffusori, degli amici dell’Unità, ho ascoltato inutili discussioni sul futuro senza tener conto della realtà. Sono stata
57
La Festa dell’Unità di Temù (la prima in alta valle negli ultimi vent’anni) coincide con la fine delle
pubblicazioni on line dell’Unità, ma coincide (si può ragionevolmente presumere che ne sia un
effetto) anche con il fatto che questa Sezione zonale, diretta da qualche mese dal giovane Angelo
Tomasi, registra negli ultimi cinque anni la percentuale più alta di iscritti in età inferiore ai
trent’anni. 242
I signori delle tessere
C’è comunque un merito, non indifferente, che va riconosciuto a Giuseppe Galli, il merito di aver
rilanciato alla grande il “partito delle tessere”… «Il fatto è che non bastano le tessere e le bandiere
per costruire un partito, se non ci sono forti valori in cui credere e una identità politica coerente con
il proprio retroterra sociale; in altre parole, se non c’è un’anima che dia vigore e sostanza al proprio
agire politico.». 243 Si va affermando, dunque, un partito che non ha più nulla a che vedere con le
vecchie strutture organizzative della sinistra, attraverso le quali era possibile, oltre che esibire agli
avversari politici la propria capacità di mobilitazione, avere sempre una visione concreta e reale del
proprio “corpo militante” (categorie sociali di appartenenza, età, sesso, ecc. degli iscritti), ma,
piuttosto, un partito abbastanza simile a quello descritto molto efficacemente da Mino Martinazzoli
nel periodo in cui fu dirigente della Democrazia Cristiana. 244
Si tratta dunque di un partito in cui la conta degli iscritti è molto più funzionale ai rapporti di potere
interni che non al grado di reale rappresentanza sociale. 245 Non a caso, queste caratteristiche
emergeranno soprattutto nel periodo in cui il partito stesso subirà un drastico calo degli iscritti…
Un partito in cui si ricicleranno personaggi come Cesare Veraldi, 246 forti di un antico e mai
dismesso patrimonio di “amicizie”, mentre i dirigenti “storici” del vecchio Partito comunista,
avendo finalmente assaporato le gioie del potere, salvo rarissime eccezioni, si adegueranno ben
volentieri al “nuovo corso”. L’unico dissenso tollerato sarà espresso da pochi militanti storici, la cui
moralità umana e politica, unita al profondo senso di appartenenza al partito, li renderà un po’ meno
permeabili sul piano della calunnia e della diffamazione personale (passaggio storicamente
necessario per la successiva epurazione). 247
Presidente per anni della Cooperativa soci, le cui proposte (per un ruolo attivo dei lettori) non sono mai state accolte, ho
pensato che fossi io poco efficiente nel farmi valere, ho passato il testimone, ma alla fine si è chiusa la Cooperativa
senza nessuna lacrima, senza la consapevolezza che si perdeva un patrimonio unico. Ho visto tutto ciò ed altro ancora,
quanto basta per non credere alle lacrime di chi ha avuto il timone e la responsabilità dell’azienda…», Elisabetta di
Prisco, L’Unità on line, giovedì 3 agosto 2000.
242
L’ipotesi che la buona riuscita delle Feste sia in stretto rapporto con la presenza di giovani (non necessariamente
iscritti al partito, ma comunque impegnati nella gestione degli stand) sarebbe confermata dalla buona riuscita delle Feste
stesse negli ultimi anni a Malegno (anche se non viene definita “Feste dell’Unità”, ma “Festa popolare”), Malonno e
Valle di Saviore.
243
Severino Citarristi, “Congresso Ds, l’autunno di una sinistra”, L’Eco di Bergamo, 13 novembre 2001.
244
«Ho ascoltato da un amico la storia di un democristiano candido. Dopo aver meditato sul corso delle cose, cominciò
a coltivare l’idea intraprendente di mettere assieme un bel gruzzolo di tessere che gli avrebbero dovuto fruttare la
presidenza di una grande banca nazionale. Così vendette la casa e comperò tessere. È diventato un padroncino di partito
e, se la fantasia bancaria si è dimostrata inaccessibile, tutto fa pensare che sia finito almeno nel comitato di gestione di
una unità sanitaria. La storia, probabilmente, non è vera, ma è verosimile e non per un partito solo». Mino Martinazzoli,
Il cielo di Austerlitz, Città & dintorni, 1987.
245
L’esempio più emblematico viene da Capodiponte. La sezione, diretta fino al 1999 da Angelo Angeli, si mantiene
attorno alla ventina di iscritti per mezzo decennio, con una media tessera di circa 30mila lire. Dopo l’esplicito dissenso
di Angeli sull’accordo di novembre per la gestione degli enti comprensoriali, i dirigenti di zona si danno da fare per la
sua sostituzione, e pochi giorni prima del congresso la sezione presenta una lista di 28 iscritti, di cui 8 nuovi, per un
valore tessera (uguale per tutti) di 10mila lire.
246
Nato a Breno nel 1943, iscritto giovanissimo al Psi, consigliere comunale a Breno fin dagli anni sessanta e, quindi,
dalla metà degli anni Settanta, vicesindaco dello stesso Comune e vicepresidente della Comunità montana per circa
vent’anni, fino al 1995, quando verrà sostituito da Bruno Bonafini.
247
L’esempio più limpido di tali figure storiche può essere indicato in Bruno Bonafini (nato a Cividate Camuno, nel
1948), già apprezzato vicepresidente della Comunità montana nella prima esperienza di Centro-sinistra valligiano
58
I nodi al pettine
Com’era stato fin troppo facile pronosticare, il nodo del 7 luglio (quello sindacale) viene al pettine
nel giro di un paio di mesi. Il 27 settembre la Cgil comprensoriale convoca il proprio direttivo per
completare l’elezione della segreteria confederale.
A nome dei tre saggi, Peppino Vanacore rende conto sull’esito della consultazione. Sono stati
convocati 71 compagni (oltre ai 54 componenti del Comitato direttivo, infatti, sono stati convocati
per la consultazione anche altri 17 collaboratori sindacali) dei quali ne sono stati consultati 53, che
si sono espressi favorevolmente (2 astenuti e 4 contrari) alla proposta di affiancare il segretario dei
tessili, Francesco Ballerini e il segretario dello Spi, Giuseppe Lollio a Domenico Ghirardi nella
segreteria confederale.
«La proposta viene accompagnata e sostenuta dalla duplice necessità di tenere insieme le diverse
“sensibilità”, politiche e territoriali, della Cgil camuno-sebina, ma si tratta di una motivazione
estremamente debole, inconsistente sotto certi aspetti. Per un verso, infatti, l’inserimento di
Ballerini tiene conto della significativa presenza di Rifondazione comunista (che fin dai primi anni
Novanta si riconosce nella componente minoritaria della Cgil, “Essere sindacato”) nelle fabbriche e,
soprattutto, nel pubblico impiego, mentre ignora completamente le “sensibilità” politiche dell’area
socialista (che rimangono fortemente radicate, tanto in Valcamonica quanto nel Sebino, nonostante
la diaspora del Psi). Per altro verso, sul piano delle “sensibilità” territoriali, messo in conto che
Ballerini come secondo segretario camuno non comporta alcun problema (anzi, garantisce fin d’ora
la continuità camuna alla segreteria generale fra otto anni, quando scadrà il secondo mandato
congressuale di Domenico Ghirardi), essendo la Valcamonica l’area più consistente del
comprensorio, messo in conto pure che il Sebino bresciano si sente sufficientemente autonomo da
non aver alcun bisogno di ulteriori garanzie politiche attraverso la sua presenza in segreteria
confederale, rimane aperto il problema del Sebino bergamasco che, appartenendo appunto ad una
diversa provincia, rischia di essere risucchiato da Bergamo se non è in grado di esercitare
sufficiente autorevolezza politica. Ecco dunque il quadro delle diverse “sensibilità”, per la cui
affermazione, comunque, esistevano soluzioni ben più significative che non quella di Giuseppe
Lollio (basti pensare al giovane dirigente della Funzione pubblica, Aleandro Martinelli, residente a
Tavernola Bergamasca ed appartenente da sempre all’area socialista). É evidente, allora, che la
soluzione Lollio risponde a ben altre sensibilità, prima fra tutte quella di riassegnare un posto di
prestigio a Mino Bonomelli (che non ha mai nascosto le sue ambizioni di passare a dirigere lo Spi).
Si procede quindi alla votazione segreta sulla proposta formulata da Ghirardi: una proposta
“blindata”, perché gli elettori hanno a disposizione un solo voto per entrambi i candidati, e questo
dimostra quanto poco veritiero sia il consenso espresso nella consultazione. L’esito della votazione,
infatti, nonostante la “blindatura” della proposta, darà il seguente risultato: 27 favorevoli, 6 astenuti
e 4 contrari. Un dissenso che va ben oltre quello espresso palesemente; un dissenso che mette in
luce il crescente disagio del gruppo dirigente…
Il nodo politico, invece, si stringe sempre più, quasi come un nodo scorsoio, attorno agli ultimi
scampoli di democrazia nel partito…
Il Congresso dei Ds: una guerra per bande
Per quasi tutto il mese di settembre, il coordinatore dei Ds valligiani 248 utilizza la sede della Cgil
(che ha meno problemi economici nel pagare la bolletta, evidentemente) per contattare
personalmente i militanti in vista del congresso. Compito che gli è reso particolarmente agevole
(1995-99), che, “complice” il suo profondo senso di appartenenza politica, non verrà comunque risparmiato da
interventi purgatori di antica memoria.
248
Dopo la devastante vicenda per la spartizione del potere negli Enti comprensoriali, il segretario zonale dei Ds compie
un atto di onestà politica, rimettendo il mandato (cosa che verrà fatta anche da ciò che resta della segreteria). Come
abbiamo già visto, il Consiglio di zona costituisce quindi un Comitato di coordinamento, formato da quasi tutti i
segretari delle Unità di base e da qualche altro militante, ed assegna a Giuseppe Galli il compito di coordinatore.
59
dalla natura degli aspiranti delegati al congresso. Salvo apprezzabili eccezioni, 249 infatti, si tratta di
militanti piuttosto vulnerabili alle lusinghe grandi e piccole del potere (sono quasi tutti in età tale da
avere un qualche figlio in cerca di lavoro), ed abbiamo già avuto modo di vedere come il Galli sia
determinato e persuasivo, tanto nel cacciare i nemici (“chi è contro di me…”) quanto nel blandire
gli amici (che in questo caso è forse meglio chiamare semplicemente alleati)…
Il Congresso si apre in una cornice di apparente calma, verrebbe quasi da pensare che l’avvio di una
nuova fase organizzativa 250 abbia smussato un po’ gli attriti sorti attorno alla vicenda degli enti
comprensoriali. La stessa forzatura di Galli sul documento congressuale, che avrebbe ottenuto «un
consenso quasi unanime», 251 viene presa in scarsa considerazione, nella diffusa consapevolezza che
ben altro è il vero tema del Congresso, che deve sciogliere soprattutto il conflitto di prospettiva tra
partito “pragmatico” che guarda essenzialmente alla gestione del potere o, piuttosto, un partito che
tende a recuperare una propria ragion d’essere sul piano dei valori ideali.
La maschera di fair-play, infatti, cade come un velo di cera al sole nel momento in cui Giuseppe
Galli, avviandosi a concludere la propria relazione, si ricandida alla guida del partito.
A quel punto, mentre la minoranza – superando alcune resistenze della presidenza 252 – riuscirà a
recuperare le firme per la presentazione di una proposta alternativa, la maggioranza dei delegati
potrà finalmente liberarsi del proprio livore nei confronti degli eretici. Un livore che si esprimerà
nei vari interventi 253 (incuranti dell’appello di Ernesto Fenaroli: «siamo condannati ad andare
d’accordo»), ma soprattutto attraverso invettive ed insulti, anche sul piano personale, nei confronti
dei protagonisti più impegnati nell’esercizio della dissidenza. 254
249
Può sembrare sconcertante il fatto che nella “pianificazione” del partito si siano lasciati coinvolgere anche vecchi
militanti come Giancarlo Maculotti, Pierluigi Milani e, seppur in posizione sempre più “defilata”, Bruno Bonafini,
decisamente al di sopra di ogni sospetto “carrieristico” o familistico, ma giova tenere sempre conto del profondo senso
di appartenenza degli stessi militanti; e forse non è da escludere neppure, in qualche caso, l’umana tentazione di
sfruttare la circostanza per tirare i remi in barca, dopo anni di “navigazione” senza meta (a volte anche senza bussola).
250
Non va dimenticato che la consultazione svolta nei mesi precedenti aveva alimentato la convinzione che si sarebbe
giunti alla proposta di un nuovo segretario, in sostituzione del dimissionario Giuseppe Galli. Si parlava diffusamente di
Sergio Bonomelli, sul quale la minoranza avrebbe potuto limitarsi all’astensione. Da qui, anche lo sconcerto della stessa
minoranza, che si vedrà costretta a recuperare in modo quasi rocambolesco lo spazio congressuale per una propria
proposta alternativa a quella di Giuseppe Galli.
251
A fronte di un consenso pressoché unanime nelle Unità di base di Edolo (Alta valle 1), Valle di Saviore, Breno
(Media valle 1) e Pisogne, posizioni più o meno critiche al documento vengono espresse nei congressi di Malonno (Alta
valle 2), Cevo, Capodiponte e Darfo Boario Terme (Bassa valle 1). Non ho potuto raccogliere dati sufficienti sull’esito
nelle altre quattro Unità di base, ma è presumibile che se a Malegno (Media valle 2) e Cividate Camuno (Media valle 3)
sia prevalso il consenso, a Piancamuno (Bassa valle 2) e Gratacasolo non siano mancate posizioni fortemente critiche.
252
Per rendere l’idea di quanto fosse avvelenato il clima, possono bastare un paio di esempi: finita la relazione di Galli,
la presidenza propone che vengano presentate le candidature entro lo spazio temporale del primo intervento (che
dovrebbe durare non più di cinque minuti). È evidente che le firme (minimo dieci, come prevede il regolamento
congressuale) per presentare la candidatura di Giuseppe Galli sono già state raccolte in precedenza, così com’è
altrettanto evidente che nell’arco temporale di un intervento (durasse pure quindici minuti, invece di cinque) non è certo
possibile mettere insieme una candidatura (imprevista, come s’è già detto, perché la minoranza si attendeva di doversi
limitare all’astensione su una candidatura non completamente sgradita) e le firme necessarie alla sua presentazione.
Viene proposta la proroga di un ora del tempo necessario alla presentazione delle candidature, e qui si inserisce un
secondo elemento di malafede, tanto più sconcertante in quanto compiuto da un Presidente del Congresso (Arturo
Squassina) mandato dalla Federazione bresciana in veste di “garante”: viene messa in votazione, per alzata di mano, la
proposta e la platea congressuale si divide nettamente a metà. «La proposta è respinta», dice il presidente, e solo la
ferma protesta di alcuni delegati lo costringerà a far ripetere la votazione ed a contare i voti: 33 favorevoli e 30 contrari.
253
Sono intervenuti nel dibattito: Pier Luigi Milani, Marco Facchinetti, Vladimir Clementi, Bruno Bonafini, Erminio
Faustinelli, Domenico Ghirardi, Ernesto Fenaroli, Cesare Veraldi, Valerio Moncini, Giancarlo Maculotti, Vincenzo
Raco, Vittorio Ongaro, Aris Visinoni, Clemente Facchini, Gabriele Calzaferri.
254
D’altra parte, la situazione sembra essere in perfetta sintonia con quanto sta avvenendo in ambito nazionale, se è
vero quanto dichiara qualche settimana più tardi il fondatore del Pds, Achille Occhetto: «… non mi piace quello che
succede dentro al partito dove si sta affermando una sorta di dittatura della maggioranza», “Strappo di Occhetto
“autosospeso” dai Ds”, La Repubblica, 14 dicembre 2000.
60
Un’immagine devastante, che può essere descritta in modo efficace soltanto attraverso una metafora
altrettanto devastante e brutale: il cane che difende ferocemente l’osso a lungo agognato…
Il Congresso si chiude, infine, con l’elezione a voto palese del nuovo Consiglio di zona, la lettura
dei risultati per l’elezione del segretario (47 voti a Giuseppe Galli, 23 voti a Marco Facchinetti e 3
astenuti) ed il sigillo conclusivo del segretario provinciale, Franco Tolotti. 255
Il partito, ormai, è diventato uno strumento di potere saldamente in mano a Giuseppe Galli 256 ed
alla sua ristretta cerchia di piccoli “boiardi”. Un partito, la cui gestione si eserciterà in modo sempre
più disinvolto e spregiudicato, sulla spinta di due circostanze concomitanti: la messa in conto della
critica interna ormai diffusamente consumata e, sul piano esterno, la consapevolezza di dover “fare
in fretta”, sotto l’incombente minaccia di una prospettiva elettorale tutt’altro che favorevole…
C’è comunque una significativa novità, che emerge dalle pieghe organizzative del Congresso. Nel
nuovo Consiglio di zona, infatti, vengono eletti due giovani, due diciottenni 257 che, insieme ai
riconfermati under30 Angelo Tomasi e Vladimir Clementi, contribuiscono ad abbattere di qualche
punto l’età media del nuovo organismo dirigente: premessa che potrebbe riaccendere la speranza
per un futuro rinnovamento del Partito, se gli stessi giovani (soprattutto gli ultimi arrivati, ma non
solo) saranno in grado di scrollarsi di dosso l’ingombrante cappello che la “vecchia guardia”
tenterà, ancora una volta, di calargli sugli occhi. 258
Nel sindacato, invece…
Mentre il Congresso zonale dei Ds si chiude nel modo che abbiamo appena visto, in casa Cgil
continua l’opera di “rinnovamento” a norma di statuto. Venerdì 27 ottobre è la volta dello Spi, che
deve sostituire uno dei tre componenti della segretaria (Mario Ferrari), in carica da oltre due
mandati congressuali. La segreteria dello Spi, in perfetta sintonia con quella confederale (di cui lo
stesso segretario generale della categoria è uno dei tre componenti) ricerca e propone una soluzione
che pare abbia i requisiti necessari per essere accolta favorevolmente da tutto il comitato direttivo
dello Spi: si tratta di Mario Zoni, un pensionato poco più che cinquantenne, di Iseo (la stessa area
territoriale che viene lasciata scoperta dalle dimissioni di Ferrari), un “giovane” pensionato, dunque,
che ha già avuto modo di farsi apprezzare per la serietà con cui sa onorare gli impegni.
Ma durante la discussione che precede le operazioni di voto emerge la seconda candidatura di Lino
Do; candidatura che viene presentata con la motivazione, palesemente strumentale, di recuperare
una maggior rappresentatività territoriale dell’alta Valcamonica (Lino Do abita a Malegno), mentre
il basso Sebino sarebbe già meglio rappresentato dal segretario generale, che abita a Lovere.
In realtà, si tratta di una “fronda” (la prima organizzata in modo tanto determinato) contro la poca
trasparenza con cui la segreteria dello Spi (e della Camera del Lavoro) ha condotto l’intera
operazione che ha portato alla candidatura di Mario Zoni. Una fronda che indispettisce non poco i
“garanti”, Giuseppe Lollio, Anna Bonanomi (segretaria dello Spi regionale) e Vittorio Ongaro, i
255
Così Giancarlo Maculotti, in una nota non firmata, riassumerà l’esito del congresso: «Giuseppe Galli è stato eletto
con un’ampia maggioranza segretario di zona dei Ds dopo un dibattito vivace ma sostanzialmente sereno. Fino
all’ultimo momento sembrava l’unico candidato. In extremis è stata presentata anche la candidatura di Marco
Facchinetti che pur raccogliendo un discreto consenso è rimasta molto distante dai risultati del segretario uscente».
Giancarlo Maculotti, “Boario Terme (Sala ’89): nuovo segretario dei Ds”, Graffiti, novembre 2000.
256
Che nel frattempo, oltre ad essere già assessore comunale a Pisogne (incarico in cui è stato cooptato in funzione della
sua designazione in una delle due assemblee degli enti sovracomunali), è diventato vicepresidente del Bim e dell’Auser
comprensoriale: un cumulo di potere che, fatte le debite proporzioni… territoriali, richiama alla mente il vecchio Pcus,
con una sensibile differenza a vantaggio di Giuseppe Galli: né a Giuseppe Stalin né a Leonid Breznev, infatti, fu mai
concesso di sommare cariche sindacali (se non puramente onorifiche) a quelle politiche ed istituzionali.
257
Ivan Moles e Michele Cotti Cottini.
258
In realtà, i pochi giovanissimi che entrano ancora nel partito, o che verranno ingaggiati dalla sinistra “istituzionale”
in occasione delle elezioni amministrative del 13 maggio 2001 (ed esibiti come intenzioni di rinnovamento), nella
misura in cui contribuiscono a divaricare ulteriormente la forbice con il vecchio (non solo anagraficamente) gruppo
dirigente, non faranno altro che perpetuarne le ambizioni replicanti; tant’è vero che, alla vigilia del nuovo congresso che
il partito si appresta a celebrare alla fine del 2001, l’età media dei 44 componenti l’organismo dirigente di zona,
nonostante la presenza dei due diciannovenni, sarà vicinissima ai cinquant’anni.
61
quali, dopo aver tentato invano di far ritirare la candidatura “di disturbo” procederanno comunque,
“a norma di regolamento”, alla consultazione individuale (che a questo punto assomiglia ben più ad
una… confessione) nonostante l’ormai chiaro orientamento dell’assemblea.
L’esito della consultazione individuale registra una quasi unanimità per la proposta “ufficiale” (sei
contrari e tre astenuti, su quaranta consultati), ma sull’affidabilità di un simile pronunciamento la
prima ad avere forti dubbi sarà proprio la Bonanomi che, con discutibile stile “garantista”, si farà
portavoce di un appello («da parte di una compagna consultata») a Mario Zoni affinché «si faccia
carico, qualora venga eletto, anche dei problemi dell’Alta Valcamonica».
Alla fine, l’esito delle votazioni sarà il seguente: Mario Zoni, 25 voti; Lino Do, 13 voti; astenuti, 2.
A volte ritornano…
Venerdì 10 novembre, nella Sala ’89 di Boario Terme, è convocato il Consiglio di zona dei Ds per
completare l’apparato dirigente territoriale. Vengono eletti nella nuova segreteria camuna Sergio
Bonomelli (imprenditore di 49 anni), Stefano Sandrinelli (segretario comunale di 51 anni) e
Giancarlo Maculotti (dirigente scolastico di 51 anni): l’unico non… ex “sessantottino”, come si
vede, è il segretario, Giuseppe Galli (pensionato di 57 anni).
L’ingresso in segreteria di Sergio Bonomelli era piuttosto scontato (abbiamo già visto come fosse
ormai ben quotato nel ruolo di “delfino”). Meno scontati erano invece gli altri due: Sandrinelli,
infatti, già dirigente di primo piano del Movimento studentesco nei primi anni Settanta e Sindaco di
Cividate Camuno negli anni Ottanta, è reduce da una recente “quarantena” in cui è stato più volte
minacciato di “scomunica” dallo stesso Galli, per via del suo rapporto non perfettamente in linea col
partito (per qualche anno ha perfino flirtato con il gruppo del Pic, 259 pur restando “organico” al
Pds), mentre Giancarlo Maculotti, segretario di zona prima dell’avvento di Galli, è già stato usato
come “sponda” del suo successore che, nei primi tempi del mandato, avrà modo di richiamarsi
ripetutamente al “partito sfasciato” lasciatogli in eredità dai predecessori.
Ma tant’è… Un vecchio proverbio contadino ci ricorda che «si fa il vino con l’uva che c’è», e pare
che nella Sala ’89 di Boario Terme non ci fossero grandi occasioni alternative disponibili, nella
serata di venerdì 10 novembre 2000.
Chi cavalca la tigre…
Nei primi giorni di novembre 2000 si comincia a riparlare di Centro-sinistra nella gestione degli
enti territoriali. Se ne parla molto sommessamente, ma proprio per questo motivo la cosa merita una
certa attendibilità, tanto più che, da qualche settimana, c’è un silenzio quasi assoluto sul versante
della stampa quotidiana, solitamente così solerte nel dare in pasto al pubblico i pettegolezzi e le
risse che il “palazzo” lascia trapelare spesso e volentieri…
Voci messe in circolazione in stretta connessione con altre, relative ai Ds che sarebbero gli unici ad
opporsi alla riedizione del Centrosinistra.
Se fosse vero, non ci vorrebbe molto per intuirne le ragioni… Se fosse vero, la motivazione
principale sarebbe inconfessabile perfino per i più diretti interessati, mentre nel ristretto entourage
del partito si sprecherebbero i commenti e le alzate di scudi contro “l’arroganza e l’invadenza dei
socialisti”…
Resta solo da vedere come se la passerebbero i popolari (probabili assegnatari della candidatura al
Senato nella prossima primavera) senza poter imbarcare gli antichi (e preziosi, almeno sul piano dei
numeri) alleati nella campagna elettorale…
Voci meno remote, intanto, giungono dai comuni di Esine e Bienno, dove pare sia in atto un
notevole fermento politico attorno all’ipotesi di adottare l’ormai sperimentata 260 soluzione
“Sinistra-centro-destra” nelle prossime amministrative al fine di sconfiggere la Lega, a Esine, che
259
“Per i Comuni”, gruppo composto da alcuni sindaci camuni, di orientamento laico-socialista, tra gli anni Ottanta e
Novanta, allo scopo di “contrattare” da un punto di forza l’ingresso nella gestione degli enti comprensoriali.
260
Prima dell’accordo del novembre 1999 per la gestione degli enti comprensoriali, infatti, l’intesa fra le forze politiche
comprese nell’arco che va dai Ds al Polo era già stata attuata in alcuni comuni, fra cui Pontedilegno e Vezza D’Oglio.
62
sarebbe diventata ormai un “comitato d’affari”, 261 ed il sempre più ingombrante Nicola Pedretti, a
Bienno.
Le regole per il candidato dell’Ulivo
L’allarme sul “nuovo che avanza” viene lanciato da Giancarlo Maculotti attraverso la proposta di
alcune regole per la scelta del candidato dell’Ulivo alle prossime elezioni di primavera, candidato
che dovrebbe essere scelto nel corso di apposite “votazioni primarie”, dopo essere stati costretti,
nelle ultime tornate elettorali, ad accettare candidature imposte dallo stato di necessità (elezioni
anticipate e, quindi, tempi molto limitati): «E’ auspicabile – scrive Maculotti – che da subito a
livello nazionale, provinciale, di collegio si costituisca un coordinamento che affronti nei dovuti
modi tutti i problemi delle candidature, del programma elettorale, delle iniziative di propaganda da
mettere in atto per non dare partita vinta ai nostri avversari politici ancor prima di cominciare la
competizione elettorale». 262 La preoccupazione maggiore di Maculotti, però, si coglie laddove si
prospetta la necessità di un candidato nazionale molto noto «che riesca a raccogliere più consensi di
un candidato locale…». Più ancora che in funzione di «segnare l’interesse dell’Ulivo per zone e
regioni finora del tutto trascurate come quelle del Nord», infatti, la proposta tende a mettere in
evidenza il timore di trovarsi nuovamente di fronte ad un “prendere o lasciare” che, date le
premesse, aumenterebbe ulteriormente l’area dell’astensionismo a sinistra.
Storia, revisionismo e doppiezza
Venerdì 1 dicembre, presso la sala assemblee del Bim, a Breno, viene presentato l’ultimo libro di
Mimmo Franzinelli, “I tentacoli dell’Ovra”, al quale è appena stato assegnato il prestigioso Premio
Viareggio per la saggistica. Si tratta di un’opera imponente (oltre settecento pagine) in cui
«Centinaia di donne e uomini sconosciuti vivono la loro vicenda di agenti, collaboratori, o vittime
del fascismo su una scena che ha come sfondo le vicende, tragiche o esaltanti, del nostro secolo». 263
La ricerca tende a mettere in evidenza il modo e le circostanze in cui la polizia fascista riuscì ad
avvalersi di preziose collaborazioni da parte di molti ex militanti dei partiti di sinistra, soprattutto in
conseguenza di circostanze particolari come «il cedimento dinanzi ai ricatti, l’esaurimento delle
spinte ideali della gioventù, la convinzione dell’irrimediabile sconfitta dell’antifascismo, le
profferte d’impunità, l’inganno della buonafede da parte degli inquirenti…». 264
Dopo aver descritto come «nel mare magum dei personaggi finiti al soldo della polizia fascista ci si
imbatte in casi sconcertanti di spregiudicatezza morale (Bruno Cassinelli), in sdoppiamenti della
personalità (Enrico Brichetti) e nel lato oscuro dell’esistenza rivelatore di ambizioni e debolezze
umane (Pitigrilli)», l’autore scrive quindi che «le misure di carattere straordinario adottate dal
regime aprirono ampi varchi tra le schiere comuniste, per le stesse ragioni per cui piegarono le
resistenze di tanti militanti di Giustizia e Libertà e degli altri gruppi d’opposizione». 265
Analisi inquietante, soprattutto laddove emerge l’impossibilità (da parte dell’autore e, a maggior
ragione, da parte del lettore) di tracciare una demarcazione di “legittimità” morale fra i casi in cui il
compromesso è reso inevitabile dalle circostanze (si veda ad esempio la «dolorosa esperienza» di
Ignazio Silone) e quando, invece, è frutto di semplice opportunismo.
Anzi, alcuni commenti “a braccio” dello stesso autore durante la presentazione lasciano intendere
che, alla fin dei conti, la stessa doppiezza odierna – ad oltre mezzo secolo dalla nascita della
Repubblica democratica – sarebbe una diretta conseguenza “ereditaria” del clima di paura, di
condizionamento e di ricatto imposto dal regime fascista tramite la sua potente polizia segreta.
261
«… i progetti non li devono solo approvare, come gli altri sindaci, se li devono anche fare». Bruno Bonafini, “Esine:
tutto in famiglia”, Graffiti, dicembre 2000.
262
Giancarlo Maculotti, “Le regole per il candidato dell’Ulivo”, Graffiti, dicembre 2000.
263
Valerio Moncini, “Recensioni: I tentacoli dell’Ovra”, Graffiti, settembre 1999.
264
Mimmo Franzinelli, I tentacoli dell’Ovra, Bollati Boringhieri, giugno 1999.
265
Ibidem.
63
Parole in libertà
Il 6 dicembre viene convocato il Consiglio di Zona dei Ds per fare il punto sulla situazione politica
locale. Vengono distribuiti diversi documenti, fra cui la proposta di Giancarlo Maculotti (che nei
giorni precedenti è stata sottoscritta senza cambiare una virgola 266 dai responsabili dei partiti che si
dichiarano sensibili all’area di centrosinistra) sulle regole per la scelta dei candidati.
Ad ulteriore conferma (se ancora ve ne fosse bisogno) che in casa diessina il problema delle regole
non è più sentito che altrove, quindi, la discussione nel Consiglio di zona ruota esclusivamente
attorno al “Documento per la ricostituzione del centrosinistra camuno”, anch’esso firmato da alcuni
esponenti dell’area di centrosinistra. 267 Ma i timidi entusiasmi della platea vengono
immediatamente smorzati dalla relazione del segretario (e dalla lettura dello stesso documento): si
tratta, in sostanza, di una sorta di mostruoso Minotauro, dove l’ipotesi di realizzare un percorso di
ricomposizione politica del centrosinistra» viaggia sulla stessa lunghezza d’onda della prospettiva
di andare, entro i primi mesi del prossimo anno, alla costituzione di un “Governo istituzionale” (ma
non si era già chiamato così anche quello nato nel novembre dello scorso anno?) degli enti
comprensoriali, con dentro tutti, dalla Lega a Rifondazione.
Un’ipotesi assurda, che vorrebbe essere confortata dalla duplice necessità di assicurare la «tenuta
delle istituzioni» e, per altro verso, permettere al centrosinistra di concentrarsi «sulle elezioni
politiche e sul rinnovo dei dieci consigli comunali che scadono in primavera».
Una proposta assurda che, pur raccogliendo un consenso esplicito solo da parte di quanti sono – a
vario titolo – impegnati nella gestione degli enti in questione, alla fine verrà votata, con molti
mugugni, da un’ampia maggioranza del Consiglio di zona.
Il mattino successivo, la stampa locale riporterà due notizie, con brevi commenti, in merito alla
situazione di crisi negli enti comprensoriali. Secondo il presidente del Bim, Edoardo Mensi, le
dimissioni di Giampiero De Toni e di Mauro Testini (entrambi in “quota” ai Popolari) dai rispettivi
incarichi nel medesimo ente «devono essere interpretate come segno di coerenza rispetto al dibattito
sviluppatosi nell’assemblea del 19 giugno», 268 mentre il segretario dei Ds Giuseppe Galli, così
commenta l’ipotesi di un rimpasto che apra la strada al centrosinistra: «Se il Partito popolare vuole
allargare ai Socialisti democratici è affar suo, io non ho intenzione di dimettermi 269 e l’attuale
maggioranza deve continuare a lavorare». 270
La Chiesa ci riprova con il Giubileo
Il tema è antico e ormai consolidato: «Il cristiano impegnato nell’attività politica non può accettare
alleanze e compromessi che lo privino della libertà». Un concetto che, soprattutto negli ultimi
decenni, è stato usato davvero con ampia libertà. Meno abusato (e meno scontato), invece, l’appello
che Mons. Giacomo Canobbio, vicario episcopale e presidente dell’Associazione Teologica
Italiana, rivolge ai circa duecento amministratori pubblici bresciani presenti al “Giubileo dei
politici”, nella mattinata di domenica 17 dicembre al Centro Pastorale Paolo VI di Brescia: «... Si
fanno tattiche mistificatorie, promesse che non saranno mantenute, favoritismi. Anche i cristiani si
sentono legittimati a questo costume imperante: dicono che bisogna adeguarsi se non si vuole essere
266
E quindi, senza averla neppure letta, presumibilmente.
267
Il documento è firmato da Milena Camossi (Ppi), Antonio Albertelli (Pic), Giovanni Verga (Sdi) e, naturalmente, da
Giuseppe Galli (Ds).
268
In quell’occasione, il capogruppo del Ppi in Comunità montana affermò che «il numero di assessori, per la mole di
lavoro che si prospetta, deve essere ridotto», aggiungendo che «per quanto riguarda il mio gruppo siamo d’accordo. Fin
da ora siamo disponibili per ridurre la nostra presenza». Bresciaoggi, 6 dicembre 2000.
269
Come si ricorderà, il segretario di zona dei Ds è anche assessore del Bim.
270
Bresciaoggi, 6 dicembre 2000.
64
estromessi dalla vita sociale, sostengono che la situazione non si può cambiare. Ma allora –
conclude il vicario – perché impegnarsi?». 271
La seconda (presumibilmente altrettanto vana) esortazione episcopale ai cattolici giunge nella tarda
mattinata da parte del vescovo di Brescia: «... i politici si liberino dai conformismi che li legano a
calcoli di interesse e di potere». 272
Esortazioni destinate a cadere miseramente nel vuoto, ovviamente, e tuttavia significative del
disagio che fermenta sempre più anche nella galassia cattolica.
Il riscatto in un Cd-Rom?
La Cgil regionale, prendendo finalmente per le corna il dilemma fra politica e tecnologia nel quale
rischiava di rimanere soffocata, ha prodotto un’opera apprezzabile: un Cd-Rom che, esaminando
l’arco di un quarantennio (1960-2000), traccia una storia e una geografia in cui la Lombardia è
assunta come «regione esemplare di uno sviluppo non sempre consapevole, ma sempre di forte
impatto sulla realtà sociale». 273 Si tratta di una realizzazione ricca di documenti, testimonianze,
racconti, destinata sia alla consultazione didattica che alla divulgazione.
L’opera viene presentata in Valcamonica, al Centro Congressi di Boario Terme, il 22 dicembre,
unitamente all’interessante ricerca di Giorgio Pedrocco, “Bresciani, dal rottame al tondino – Mezzo
secolo di siderurgia” (ampiamente citata in queste pagine), e sarà l’occasione per il nuovo
Segretario generale della Cgil camuno-sebina per rilanciare l’orgoglio della militanza Cgil, 274 di
fronte ad una platea gremita di studenti, pensionati e delegati sindacali. 275
E per la prima volta, dopo l’ormai lontano febbraio del 1993, 276 un giovane studente 277 interviene
ad una manifestazione che vede insieme – per quanto in modo selettivo e mirato – delegati sindacali
e rappresentanti degli studenti.278
Ulteriori timidi segnali di rinnovamento vengono offerti dagli interventi di Luca Del Vecchio,
giovane tecnico metalmeccanico da poche settimane inserito nell’apparato comprensoriale della
Fiom e di Tersilla Moreschi, che dopo aver imparato molte più cose di quante non abbia potuto
271
Mons. Giacomo Canobio, “No ai protagonismi: il bene si costruisce insieme”, Giornale di Brescia, 17 dicembre 2000.
272
Mons. Giulio Sanguineti, “La politica non sia interesse”, Giornale di Brescia, dicembre 2000.
273
Michele Cotti Cottini, “Tondinari, sindacato e studenti”, Graffiti, gennaio 2001.
274
La relazione di Ghirardi è satura di retorica, luoghi comuni e frasi ad effetto, e tuttavia, in qualche passaggio ne
tradisce in qualche modo anche il pensiero, come quando scrive che «in questi ultimi anni le relazioni sindacali si sono
evolute, al conflitto si è preferito anteporre giustamente il confronto, le parti sociali si sono date delle regole e nella
libera contrattazione, riconoscendo il ruolo e l’importanza dell’impresa, si è riusciti a trovare quell’equilibrio che
permetta a fronte del raggiungimento di certi risultati di premiare il contributi fornito dalla forza lavoro per il
raggiungimento di certi obbiettivi. Nella consapevolezza che gli interessi dentro l’unità produttiva erano e sono ancora
diversi fra l’imprenditore e il lavoratore, si è maturato quel senso di responsabilità che in nome degli interessi generali
ha portato ad un accordo, a delle intese nelle quali in buona sostanza il luogo dove si produce la ricchezza del paese
viene considerato un bene comune per tutta la società».
275
«La Cgil Vallecamonica Sebino ha organizzato questo incontro perché sente la necessità di intrecciare un proficuo
rapporto con voi giovani, con il mondo della scuola al fine di poterci confrontare, contaminarci a vicenda per riuscire a
ritrovare quel legame fondamentale che ci aiuti maggiormente a capire i problemi che la società moderna in continua
trasformazione ci pone davanti con tanta veemenza», dalla relazione di Domenico Ghirardi, 22 dicembre 2000.
276
Data dell’ultima grande manifestazione in Valcamonica. Durante il comizio in Piazza del municipio, a Darfo, fu
molto applaudito, fra gli altri, anche l’intervento del giovane studente Vladimir Clementi.
277
Michele Cotti Cottini, studente liceale, fra i più attivi animatori del progetto-impresa “Lisolachenoncè”, realizzato
nell’ambito del programma nazionale “Ig Students” e finanziato dal Fondo Sociale Europeo.
278
«L’iniziativa, come sottolineato più volte dai relatori, ha voluto significare l’impegno da parte del movimento
sindacale di costruire un ponte più solido tra il mondo della scuola e il mondo del lavoro e di riavvicinarsi ai giovani,
rinnovando anche il proprio modo di comunicare», Michele Cotti Cottini, “Tondinari, sindacato e studenti”, Graffiti,
gennaio 2001.
65
insegnarle io, mi ha da poco sostituito nell’incarico di responsabile tecnico del sistema informatico
della Cgil comprensoriale. 279
E la Cgil nazionale fa i conti con la propria schizofrenia
Attribuendo un contenuto politico alla scelta di Sergio Cofferati di far slittare il Congresso della
Cgil al 2002 (con notevole e comprensibile sconcerto in alcune frange dell’Ulivo, dove ci si
attendeva di far coincidere la campagna congressuale della confederazione sindacale con quella
politica nei collegi elettorali), il Corriere della Sera così commenta la situazione schizofrenica che si
è venuta a creare nel più grande sindacato italiano: «... la Cgil con la sua decisione manda al sistema
politico un messaggio inequivocabile: non siamo agnostici, ma stiamo fuori dalla competizione.
Non possiamo mettere a repentaglio il prestigio della maggior organizzazione di massa che esiste
nel Paese impegnandola in un corpo a corpo con il centro-destra. Le maggioranze possono
cambiare, i sindacati restano [...]. Il voto dissociato – continua il commentatore – tessera rossa e
scheda azzurra o leghista, è un fenomeno sociologicamente irreversibile». 280
279
In questo caso, però, si tratta di rinnovamento generazionale piuttosto obbligato, in quanto la dimensione tecnologica
è quasi totalmente estranea alla generazione che detiene il potere politico.
280
Dario Di Vico, “La Cgil sceglie di restare fuori dallo scontro”, Corriere della Sera, 27 dicembre 2000.
66
DUEMILAUNO: LA DISSOLVENZA
«… questi gruppi talora si contrappongono, talora si sovrappongono, in certi
casi s’intrecciano per poi staccarsi; ora si vengono incontro, ora si voltano le
spalle come in un movimento di danza…» (Norberto Bobbio, Destra e sinistra)
Un’appartenenza sofferta
Mentre nella Cgil camuno-sebina, non meno che nel resto del sindacalismo confederale, ormai, i
pensionati hanno superato da anni la soglia del 50% degli iscritti (tanto da aspirare ad una maggior
rappresentatività attraverso una loro autorevole presenza nella segreteria confederale) e si avviano a
conquistare il traguardo dei due terzi, 281 nel partito (qui la dimensione organizzativa territoriale è
soltanto camuna: da Pisogne a Pontedilegno), alle soglie del nuovo millennio, il “corpo sociale” ha
un’età media di 52 anni, con punte estreme che vanno dai 58 anni di Pisogne ai 43 anni di Saviore.
E altrettanto differenziati sono i più recenti segnali di rinnovamento generazionale: nella seconda
metà degli anni Novanta si registrano poco più di 30 iscrizioni (il 7% del totale) di giovani in età
inferiore ai trent’anni; di questi, una decina appartengono alla sezione dell’Alta valle (EdoloPontedilegno); all’estremo opposto è ancora una volta Pisogne che, assieme a Cevo e Capodiponte,
si distingue per la esigua presenza di giovani.
Dato, quest’ultimo, che viene confermato anche da un’altra lettura dell’analisi: dei circa 400 iscritti
nel 2000, oltre due terzi (70%) lo erano già nel 1995, come a dire che il tasso di mobilità (30%) è
contenuto entro un indice abbastanza fisiologico (media del 6% annuo). Ma anche qui ci sono
frange estreme che aiutano a comprendere meglio il quoziente di appartenenza, di mobilità (e di
dissenso) nel partito: a fronte di una mobilità vicina al 60% in Alta valle e nelle sezioni della media
valle (da Capodiponte a Cividate Camuno), 282 abbiamo i risultati “inchiodati” sempre nella sezione
di Pisogne, con l’81% di “fedeltà” al partito nei 6 anni considerati e, nell’ordine, nelle sezioni di
Darfo e Angolo Terme, 283 Malonno, Cevo e (nonostante la giovane età degli iscritti) Saviore.
Nicchie di sopravvivenza
La sinistra camuna (non meno di quella bresciana e nazionale, probabilmente) è ormai asserragliata
all’interno di alcune ridotte “specializzate”. Fra queste (oltre a Rifondazione comunista, dove gli
ultimi nostalgici del “socialismo reale” sovietico riescono a convivere con i simpatizzanti dei Centri
sociali ed i volontari della Caritas), meritano una particolare citazione il Circolo culturale Ghislandi
(una settantina di iscritti, dei quali, però, meno di un terzo partecipa almeno ad una iniziativa
annuale), l’Università Popolare (diverse decine di iscritti, mettendo in conto che l’iscrizione è
generalmente richiesta come condizione per partecipare ai vari corsi tematici), 284 la Lega Ambiente
281
«La campagna tesseramento ’99, infatti, pur evidenziando un leggerissimo calo di tessere rispetto all’anno prima, ha
confermato il primato della Cgil in Valcamonica con 17.761 iscritti: di questi, 7.731 attivi, il resto pensionati».
Bresciaoggi, novembre 2000.
282
Per quanto riguarda Capodiponte, si è già visto in altra parte delle note come il fatto sia da attribuire essenzialmente
all’exploit del 2000, in funzione dei giochi congressuali, mentre per le altre sezioni (Breno e Malegno, in particolare) si
tratta di un risultato ottenuto soprattutto grazie ad un notevole attivismo da parte delle sezioni stesse.
283
Che però, a differenza di Pisogne, Cevo e Malonno, oltre ad avere pochissimi nuovi ingressi, perde anche molti dei
suoi militanti “storici”.
284
A titolo di esempio, riportiamo il calendario dei corsi programmati per l’anno 2001: «Conoscere per convivere con
l’ambiente della montagna: aspetti del territorio camuno»; «Lettura di un territorio dall’archeologia preistorica e romana
all’aspetto attuale: l’altopiano di Borno-Ossimo e il suo sbocco a valle»; «Storia economica e sociale della Valle
Camonica: i luoghi del lavoro»; «Piazze di Valle Camonica»; «I progetti di Franco Fonatti»; «Sommerakademie di
architettura»; «Newes Bauen in den Alpen: architettura contemporanea alpina»; «La scrittura femminile»; «Shoah, per
non dimenticare»; «Il linguaggio del cinema»; «Il linguaggio html»; «Il sistema operativo Linux»; «Librarsi»;
«Partecipazione a varie iniziative e fiere del libro (con stand espositivo)»; «Gli atéliers di Dada»; «Il progetto “Parco
giochi”»; «Il gioco creativo»; «Il ritratto: da Arcimboldo a Baj»; «Scrittura creativa»; «Yoga»; «Pensare, progettare,
costruire giocattoli»; «L’immaginario e le leggende nell’arco alpino». Dal Bollettino dell’Università Popolare di
Valcamonica Sebino, novembre 2000.
67
(una trentina di iscritti, la maggior parte dei quali si incontra quasi esclusivamente in occasione
dell’assemblea annuale per il rinnovo del tesseramento), l’Arci gola e Tapioca (un’associazione di
volontari per la diffusione del “commercio equo e solidale”, a sostegno dei Paesi del “Terzo
mondo”). Fra i giovani, infine, merita di essere ricordato il Collettivo “Rebel”, qualche decina di
ragazzi (tra Cividate Camuno e Cerveno), impegnati soprattutto in alcune attività di carattere
culturale e ambientale.
Giova ricordare che la presenza dei dirigenti sindacali e di partito all’interno di queste associazioni
è assolutamente insignificante.
Il conflitto
Alla domanda di Gabriele Polo relativa all’eventualità che un processo di trasformazione possa
prescindere dalla politica, il segretario della Fiom nazionale, Claudio Sabattini, risponde che «non
può prescindere, ma la politica deve abbandonare la pretesa di essere rappresentanza degli interessi
di tutti. Deve essere sempre di più rappresentanza di interessi di parte che aspirano a essere
generali; quando salta questo passaggio e pretende di rappresentare tutto e tutti, schiaccia il sociale.
Ed è proprio la crisi della politica, il suo tramonto, l’elemento più complesso di questo processo di
costruzione, ciò che lascia un vuoto. È assente perché le nozioni di destra e di sinistra si sono
largamente annacquate e perché tutti i soggetti politici vogliono assumersi una rappresentanza
generale. E questo produce una confusione incomprensibile oltre a determinare fenomeni di
abbandono da parte di una cittadinanza che non trova più una sua rappresentanza…». 285
Analisi lucida e sostanzialmente condivisibile, quella del sindacalista metalmeccanico, ma in tema
di “schiacciamento del sociale” merita di essere presa in attenta considerazione anche un'altra
lettura del conflitto (meno “politica”, forse, certamente meno universalista, ma tutta interna alla
“classe operaia”), quella dell’economista Tito Boeri, già ampiamente citato in queste pagine: «Le
vere spaccature e le fonti di conflitto si riscontrano tra giovani e anziani, ricchi e poveri, insider e
outsider, nel mercato del lavoro, mentre il conflitto tra destra e sinistra è secondario. Certamente, i
conflitti sullo stato sociale sono molto più complessi di quanto suggerito dalla visione marxista
della lotta di classe. Se una dimensione domina sulle altre, si tratta del conflitto intergenerazionale
che è sempre presente su tali questioni». 286
Muoia Sansone con tutti i filistei
Sul versante politico, invece, val la pena di andarsi a rileggere quanto scrive Michele Serra (ai “bei
tempi” molto apprezzato dai lettori dell’Unità grazie ai suoi irriverenti sberleffi e, per le stesse
ragioni, ferocemente denigrato dagli ombrosi dirigenti del partito), all’indomani della Direzione
nazionale dei Ds del novembre 2000: «La decifrazione degli umori si sostituisce all’interpretazione
delle parole, ed è una rivoluzione semantica di gran conto. Siamo all’esatto rovesciamento dei
vecchi Comitati Centrali del Pci, laddove l’ufficialità del discorso era così pregnante, e pesante, da
oscurare il loro latore [...]. Dev’essere forse per emendarsi da quel passato che a sinistra si
personalizza, oggi, fino alla faida psicologica [...]. La sinistra italiana rischia di affidare la sua
funzione pubblica (più pubblico della politica, che cosa?) a una lotta tra cordate: non tutte, per
giunta, verosimilmente animate dalla volontà di animare il servizio, se è vero che il “muoia Sansone
con tutti i filistei” echeggia in quei corridoi una settimana sì e l’altra pure [...].
Che la politica sia sangue e merda – continua il noto opinionista – è stato autorevolmente certificato
da chi se ne intendeva. Né la gente di sinistra, ampiamente smagata da una storia lunga e anche
cruenta, sogna per sé, come leadership, un cenacolo di anime fraterne. Ma finché il sangue e la
merda scorrono in rappresentanza di conflitti visibili, e in mezzo agli stessi crocevia dove tutti
abitiamo e patiamo, è possibile farsene una ragione, e perfino sentirsene coinvolti. Quando invece
285
Gabriele Polo e Claudio Sabatini, “Restaurazione italiana”, Manifesto libri, 2000.
286
Tito Boeri, “Stato sociale, cambiare è possibile”, Il Sole 24 Ore, 24 novembre 2000.
68
sfugge il nesso tra lotta politica e lotta ideale, tra politica e società, perfino materiali appassionanti
come il sangue e la merda appaiono inerti segnacoli di un gioco privato». 287
Questo, dunque è il clima politico-sindacale in Italia, agli albori del Nuovo Millennio.
La “sovranità popolare”
Nulla, ormai, è più estraneo alla pratica politica (a sinistra non meno che altrove) della “sovranità
popolare”. Ci si impone per autoreferenzialità e ci si afferma attraverso la sempre più diffusa prassi
della cooptazione. E se una qualche norma ostacola l’ingresso nelle assemblee (e quindi negli
organismi esecutivi) degli enti comprensoriali, limitandolo magari ai soli amministratori comunali,
ecco subito il rimedio: la possibilità di designare assessori (che potranno quindi essere delegati negli
enti comprensoriali, in quanto diventati “amministratori comunali”) anche fra i non eletti…
Intendiamoci, non che la cosa in sé sia necessariamente antidemocratica, e comunque non
necessariamente impopolare, anzi, basterebbe pensare al caso di Aldo Rebecchi (il precedente più
noto in ambito bresciano) che, “ripescato” come assessore provinciale a metà degli anni Novanta –
pur non essendo stato neppure in lista, perché stava terminando il suo secondo mandato di
parlamentare – raccolse ampi consensi nella sinistra (e non solo), tanto da meritarsi la candidatura
come capolista alle successive elezioni provinciali del 1999, andando perfino oltre le aspettative.
Ma qui siamo in presenza di eventi eccezionali, tanto per il prestigio del personaggio 288 quanto per
le particolari circostanze in cui si verificano.
Ben altro, invece, è l’effetto quando il metodo della cooptazione viene adottato al solo scopo di
imbarcare amici (che stanno in lista d’attesa dopo aver magari fallito per anni nella ricerca del
consenso popolare), in spregio ad ogni altra considerazione. Piuttosto scontata quindi, a questo
punto, l’inarrestabile la deriva verso quello che viene definito il “Partito degli amministratori”. 289
Come un déjà vu
Si tratta comunque di un déjà vu, un già visto e vissuto che, però, non toglie assolutamente nulla
alla drammatica prospettiva squarciata vent’anni fa dall’allora segretario del Partito comunista
italiano, Enrico Berlinguer: «I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela:
scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società, della gente; idee, ideali,
programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i
più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni
umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura
organizzativa si è ormai conformata su questo modello, non sono più organizzatori del popolo,
formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di
correnti, di camarille, ciascuna con un “boss” e dei “sotto-boss”.
I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti
locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le
università, la Rai Tv, alcuni grandi giornali... E il risultato è drammatico. Tutte le “operazioni” che
le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste
prevalentemente in funzione dell’interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la
carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di
clientela; un’autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra
287
Michele Serra, “Compagni coltelli”, La Repubblica, novembre 2000.
288
Aldo Rebecchi (nato a Vobarno nel 1946), segretario generale della Camera del Lavoro di Brescia per quasi tutti gli
anni Ottanta, parlamentare del Pci (poi del Pds) dal 1987 al 1996. Nel 1995 è stato “cooptato” come assessore
nell’amministrazione provinciale di Brescia, diventandone vicepresidente. Rieletto consigliere provinciale nel 1999.
289
Il conto economico del partito, come risulta dal bilancio di esercizio relativo all’anno 2000, riporta un totale entrate
di circa 51milioni, le cui voci principali sono le seguenti: tesseramento 15. 932.000 (pari al 31,4%); gettoni (un apposito
regolamento prevede il versamento di una quota da parte di ogni amministratore che riceva compensi o gettoni di
presenza) 26.761.940 (pari al 52,7%); noleggio sala ’89 (usata prevalentemente dalla Cgil per le riunioni dei propri
organismi) 4.150.000 (pari all’8,2%). Il rimanente 7,7% è dato da altre voci minori (sottoscrizioni, interessi, ecc.).
69
viene assegnata, un’attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà
al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti». 290
Alla luce degli eventi successivi, giova a ben poco, oggi, ipotizzare che Berlinguer si riferisse
soprattutto ai partiti di governo (e il Pci allora, almeno formalmente, stava all’opposizione). Mentre
val forse la pena aggiungere, a conferma di come in periferia vengano metabolizzati in ritardo (con
duplice effetto devastante, quindi) anche i processi politici e sociali, che dieci anni dopo, quando
venne presentato il libro di Giovanni Berlinguer 291 (in cui è raccolta anche l’intervista rilasciata dal
fratello a La Repubblica), l’ampia sala riunioni del Palazzo degli Uffici a Breno traboccava di
militanti e dirigenti della sinistra, ancora capaci di commuoversi e di indignarsi a proposito degli
ideali politici e, soprattutto, della “questione morale”.
La memoria… ingombrante
Il silenzio totale, quasi ostentato, sull’anniversario del 21 gennaio 292 la dice lunga assai, non
soltanto sul profondo disagio dei dirigenti Ds nei confronti della loro storia e delle loro origini, ma
anche sull’assoluta incapacità di dare una collocazione dignitosa alla loro nuova ragion d’essere.
Non sarebbe stato certamente necessario parlarne con nostalgia (cosa che hanno saputo fare
ottimamente i seguaci di Bertinotti e di Cossutta), 293 anzi, poteva essere magari l’occasione per
prendere ulteriormente le distanze da quel lontano evento (se le prospettive politiche mutano nel
tempo, a maggior ragione ciò vale per quanti si ritengono “progressisti”), approfittandone per
mettere maggiormente in luce il valore della propria evoluzione politica, mentre il non volerne
neppure parlare equivale ad una cosa sola: la voglia di rimozione totale di tutte le cose scomode e
ingombranti, nella continua e disperata ricerca di un improbabile (e assolutamente fuori luogo)
“sdoganamento” da parte dell’avversario. La stessa voglia di rimozione (con qualche insofferenza
in più, forse perché disturba anche gli “alleati”) che si coglierà una settimana dopo, in occasione del
“Giorno della memoria”. 294
E così, mentre in Valcamonica l’unica iniziativa sulla “Shoah” verrà promossa attraverso una
mostra fotografica di Alessio Domenighini (alla cui inaugurazione parteciperanno, oltre agli ultimi
ex internati e partigiani ed a qualche studente, le solite “schegge impazzite” della sinistra diffusa),
negli stessi giorni la destra porterà in primo piano la tragedia delle foibe 295 non solo per alimentare
la propria campagna elettorale in chiave anticomunista (benché in modo sostanzialmente corretto),
ma soprattutto per rivendicare una sorta di “pari dignità” nella memoria storica.
290
Enrico Berlinguer, intervista di Eugenio Scalfari, su La Repubblica del 28 luglio 1981.
291
Giovanni Berlinguer, I duplicanti, Laterza, 1991.
292
Il 21 gennaio del 1921, durante il Congresso Socialista di Livorno, con la scissione dell’ala sinistra del Partito,
guidata da Gramsci, Terracini e Bordiga, si costituiva il Partito Comunista d’Italia, poi Partito comunista Italiano.
293
«È stato ricordato [l’anniversario] in manifestazioni pubbliche da Rifondazione comunista, con un discorso
agitatorio ed elettorale di Bertinotti, e dal Partito dei comunisti italiani, con un discorso trionfalistico ed elettorale di
Cossutta». Emanuele Macaluso, “Il Pci e i suoi eredi”, Le ragioni del socialismo, febbraio 2001.
294
Ricorrenza istituita dal Parlamento italiano con la legge 211 del 20 luglio 2000. È composta dai seguenti due articoli:
«Art. 1. La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz,
“Giorno della memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione
italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte…[…]. Art. 2. In occasione
del “Giorno della memoria” […] sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei
fatti e di riflessione […]».
295
Corruzione dialettale friulana del latino “fovea”, che significa fossa. Le foibe sono profonde voragini rocciose, a
forma di imbuto rovesciato, create dall’erosione di corsi d’acqua. Sugli eccidi delle foibe, purtroppo, non esiste molta
documentazione. Il brano che segue (abbastanza attendibile) è tratto da un documento diffuso da Alleanza nazionale
durante il convegno in questione: «Il 30 aprile [1945] il IX Corpus della vecchia Jugoslavia (composta all’epoca da
Serbia, Montenegro, Croazia, Slovenia, Bosnia e Macedonia) è alle porte di Trieste: è l’inizia di quaranta terribili giorni
di occupazione della città che segnano il secondo atto della tragedia delle foibe. Dal 1º maggio al 15 giugno 1945, a
gruppi di 100, di 200, di 500, civili e militari vengono prelevati dalle loro case e gettati nelle foibe di Basoviza e di
Monrupino. La colpa è sempre la stessa: essere italiani».
70
In un simile contesto, quindi, non può che avere buon gioco, ancora una volta, il grottesco
paradosso di un “Polo delle libertà” che miete consensi ergendosi a baluardo “contro il comunismo”
(e, naturalmente, contro i suoi “eredi”). 296
La quadratura del cerchio
Com’era ormai palese fin dallo scorso mese di dicembre, il rimpasto in Comunità montana 297 riesce
finalmente a reimbarcare anche i socialisti in quello che viene definito (anche da loro, stavolta) il
nuovo “governo istituzionale” della Valcamonica. E poco importa se, anche in questo caso, oltre a
mancare tanto le motivazioni di “emergenza” quanto le procedure per un “governo istituzionale”,
resteranno fuori ancora pezzi significativi delle forze politiche “istituzionali” camune.
Contro questa riedizione del “governo istituzionale”, infatti, oltre alla Lega (che dopo aver risposto
un “no, grazie”, all’invito di entrare in maggioranza, potrà insorgere per l’ennesima volta contro i
«Vecchi marpioni della politica valligiana», scrivendo: «Rimaniamo all’opposizione avendo come
obiettivo primario quello di diventare forza di vero governo della Vallecamonica»), 298 si schiera
anche la parte ufficiale di Forza Italia (che in precedenza era rappresentata all’interno del cosiddetto
“Gruppo istituzionale”). 299
Si viene così a creare una situazione curiosa in cui, grazie a quest’ultima “furbata”, Forza Italia
potrà giocare su due fronti, mantenendo propri rappresentanti all’interno della maggioranza e,
contemporaneamente, liberarsi le mani in occasione dell’imminente campagna elettorale. Sempre
che si tratti di una “furbata”, perché non mancano neppure ipotesi che attribuiscono tale situazione
ad un reale disagio all’interno dello schieramento di destra. 300
Insomma, alla domanda su quale sia il versante in cui si sta schierando Machiavelli, potremo
rispondere solo nelle prossime settimane.
L’assemblea della Comunità montana, intanto, si conclude con un imprevisto “fuoriprogramma”. Il
suo presidente, Ugo Calzoni, infatti, dopo aver chiesto la trasmissione alla procura della Repubblica
del testo di un intervento in cui si sentiva messo in stato di accusa, 301 si dimette dall’incarico. 302
296
Mentre Forza Italia si inserisce come un cuneo in ogni breccia aperta sul fronte avverso (la stessa boutade di
Berlusconi che aspira a diventare un “Presidente operaio” assume un certo peso elettorale solo in rapporto al modo in
cui la categoria in questione è ormai da anni trascurata dalla sinistra, troppo impegnata a rincorrere altre chimere), il
Carroccio tappezzerà le vallate del nord con slogan assurdi (e fino a pochi anni fa assolutamente improponibili) come
“Nazisti rossi, dateci la nostra libertà”, branditi come una clava contro la sinistra grazie alla potenza offensiva del
termine ed alla sua ormai diffusa dissociazione dal contesto storico.
297
«Giampiero De Toni, sindaco di Edolo, è il nuovo presidente della Comunità montana di Valcamonica. Lo ha eletto
ieri sera a tarda ora l’assemblea dei delegati con 84 voti su 113 [presenti]. Succede a Pier Luigi Mottinelli, eletto nel
novembre del 1999 e dimessosi 20 giorni fa», “De Toni a larga maggioranza”, Giornale di Brescia, 3 febbraio 2001.
298
“La Lega mai con i morti viventi”, Giornale della Valcamonica e Franciacorta, dicembre 2000.
299
Pochi giorni prima dell’accordo sulla nuova maggioranza nella gestione degli enti comprensoriali, il vicepresidente
uscente della Comunità montana, Alberto Inversini, già appartenente al numeroso gruppo di centro-destra definito
(“Gruppo istituzionale”), costituisce, con altri “fuorusciti”, il gruppo di Forza Italia, che dichiara subito la propria
contrarietà alla nuova soluzione che viene prospettata. Alcuni osservatori vedono nell’atteggiamento di Inversini
(vicesindaco di Darfo Boario Terme) la lunga mano di Luigi Pelamatti, cosa che potrebbe trovare riscontro in alcune
affermazioni dello stesso sindaco di Darfo Boario Terme: «La soluzione prospettata, al di là del valore degli uomini
proposti, è di basso profilo e tenta di riportare il governo istituzionale valligiano al tempo in cui le decisioni venivano
prese nel chiuso delle segreterie dei partiti». Luigi Pelamatti Bresciaoggi, 2 febbraio 2001.
300
«La novità politica più eclatante è senz’altro questa: la spaccatura che c’era fino a ieri nel centro sinistra ora si è
trasferita nella destra e i berlusconini vanno in ordine sparso. La Lega e Forza Italia all’opposizione, gli altri (il gruppo
Istituzionale capeggiato da Pizio e il Ccd) stanno con la maggioranza». Giancarlo Maculotti, “Comunità montana:
avanti un altro”, Graffiti, febbraio 2001.
301
Si tratta dell’intervento del socialista Giovanni Verga, secondo il quale «in alcuni paesi Forza Italia avrebbe
provveduto ad “acquistare” alcuni voti». Bresciaoggi, 4 febbraio 2001.
302
Le dimissioni di Calzoni vengono attribuite alla necessità di essere coerente con le scelte del suo gruppo politico di
riferimento (Forza Italia), anche se non mancano ipotesi in cui vengono messe in stretta relazione con le gravi accuse di
Giovanni Verga.
71
La Cgil mette su casa
Con l’inaugurazione della sede di Lovere, «avvenuta il 27 febbraio 2001 alla presenza del segretario
generale dello Spi Lombardia, Franco Rampi», 303 la Cgil – che di pari passo con il graduale venir
meno delle ragioni ideali e politiche del decentramento comprensoriale va accumulando un
patrimonio economico piuttosto consistente – arriva ad essere proprietaria di ben quattro sedi.
«La prima tappa è stata quella della sede centrale di Darfo, acquisita nel 1995 ed inaugurata da
Sergio Cofferati nel 1996. La seconda è stata l’inaugurazione della sede di Iseo, il 30 aprile 1999,
alla presenza del segretario nazionale Carlo Ghezzi». 304 Nel corso del 2001, infine, la Cgil riuscirà
ad acquisire in proprietà anche la sede di Edolo…
L’inaugurazione della sede di Darfo sarà anche l’occasione per mettere a nudo tutta l’ambiguità, dei
dirigenti comprensoriali della Cgil, allorquando la decisione di far benedire la sede stessa non
troverà alcuna contrarietà all’interno dell’organizzazione sindacale, nonostante la sua conclamata
ispirazione laica, 305 anzi, si tenderà piuttosto a giustificare la scelta come necessità di competere
adeguatamente con la Cisl, ignorando (o fingendo di ignorare) che «la Cisl è nata e cresciuta come
sindacato cattolico (scelta altrettanto coraggiosa e rispettabile quanto quella di nascere e crescere
come sindacato laico, naturalmente) e l’essenza cattolica dei suoi militanti e delle sue scelte di
fondo, dunque, non può che essere uno dei valori fondanti; mentre la Cgil ha assunto fra i propri
valori fondanti quello delle libertà personali e civili». 306
Scelta, quella della Cgil camuno-sebina, che «oltre a stravolgere lo spirito della stessa Cgil, apre
una prospettiva inquietante su un mondo in cui (oggi più che mai, di fronte all’immane bisogno di
tolleranza e di integrazione razziale) la rinuncia ad ogni sorta di integralismo ed il rispetto delle
varie religioni e delle diverse culture dovrebbe continuare ad essere l’unica vera garanzia di libertà
e dignità per tutti i popoli». 307
La critica espressa da Graffiti coglierà nel segno, tanto che la successiva inaugurazione della sede di
Iseo avverrà con la partecipazione del sindaco, Sanzio Passeri (oltre che di un segretario nazionale
della Cgil), ma senza alcuna benedizione religiosa.
Prima che il gallo canti…
Abbiamo appena visto quanto sia grottesca, benché gratificante sotto il profilo elettorale, l’accusa di
“comunismo” brandita da Berlusconi contro gli avversari. E abbiamo visto come tale “ingiuria”
divenga efficace soprattutto in rapporto al venir meno (fatte salve le nicchie di Bertinotti e Cossutta)
di ogni difesa dei principi e degli ideali che, condivisibili o meno, si sono affermati per decenni
sotto le bandiere del comunismo.
Ma gli effetti più devastanti (sul piano umano ben più che su quello politico, probabilmente) di tale
abiura emergono dai comportamenti individuali (anche qui, fatte salve rarissime eccezioni) degli ex
militanti comunisti. Non c’è conversazione, dialogo, articolo in cui manchi la solita premessa: «Chi,
io comunista? Ma se non lo sono mai stato!». E la cosa appare ancora più sconcertante in quanto
l’eredità del Pci di Palmiro Togliatti (è soprattutto in tal senso, infatti, che va inteso l’essere stati
comunisti, piuttosto che in senso politico-filosofico) viene rinnegata con tanta determinazione
proprio nel momento in cui, nei comportamenti pratici, se ne esercita con la massima energia (anche
se in modo insolitamente rozzo e maldestro) il centralismo autoritario. 308
303
Argomenti, aprile 2001.
304
Domenico Ghirardi, “E siamo a tre”, Ibidem.
305
«Essa [l’adesione alla Cgil] comporta piena uguaglianza di diritti e di doveri, nel pieno rispetto dell’appartenenza a
gruppi etnici, nazionalità, lingua, fedi religiose…», Statuto della Cgil, art. 1.
306
Tullio Clementi, “Per una società multi… ché?”, Graffiti, gennaio 1997.
307
Ibidem.
308
«Quando Il Manifesto fece – era il 1978, dieci anni prima del crollo del Muro – un convegno sull’Est, con le
dissidenze interne o esiliate di sinistra, il Pci interdisse ai suoi di parteciparvi […]. Dieci anni dopo o poco più gli
72
D’altronde, si tratta di una sindrome che vanta precedenti illustri non soltanto nelle antiche radici
del cristianesimo. 309 ma, sebbene con qualche tendenza schizofrenica in più, nell’era moderna.
Come ci vien descritto piuttosto bene da Francesco Merlo, a commento di un recente incontro fra
Massimo D’Alema e gli scrittori Andrea Camilleri e Manuel Vasquez Montalban (si presentava
l’ultimo libro di Montalban, “O Cesare o nulla”, ad una Festa dell’Unità): «Massimo D’Alema ha
paragonato la grande saga dei Borgia alla grande saga del comunismo, la famiglia del potere al
partito del potere, ha assimilato Rodrigo, Cesare e Lucrezia a Lenin, Stalin e Mao Zedong […].
Benché abbia parlato come il leader del Polo, 310 è ovvio che D’Alema saprebbe ancora difendere il
comunismo, sia pure senza la foga e l’entusiasmo sfoggiati a Bologna. L’ultima volta accadde nel
1994: “I comunisti sono stati tra coloro che si sono battuti per la libertà…”. Il problema non è la
coerenza, ma l’eccesso un po’ sgangherato, il bisogno continuo di “svoltare”, di convertirsi, di
rinnegare. Vedrete: questa voglia matta di legittimarsi e di tranquillizzare l’Italia finirà, prima o poi,
con l’inquietarla». 311
Ben altra considerazione merita, invece, la sofferta presa di distanza di Giancarlo Maculotti: «Sono
nel fondo comunista? Credo di no, più neanche nel fondo. Forse non lo sono mai stato neanche
quando ero iscritto al Pci, figuriamoci adesso, che, anche se tardi, ho aperto gli occhi. Purtroppo
ogni regime che si è proposto di organizzare una società attorno a principi di eguaglianza ha
miseramente fallito. Lo sai perché? Per l'unico sostanziale motivo che l'uomo è strutturalmente
cattivo ed arrivista e che può essere in parte frenato e rieducato, ma solo ad alcune condizioni che
nelle nostre società si sono verificate solo in piccole isole felici (?) ma mai a livello di un intero
stato». 312 In questo caso, evidentemente, si tratta di una riflessione ragionata, con la passione
politica e lo stile propri di uno che, da sempre, è abituato a mettersi in discussione.
Prove generali di guerriglia urbana
Che la minaccia di scontro fosse nell’aria, era cosa piuttosto scontata. Non altrettanto scontata (e
comunque non sempre giustificata, neppure mettendo in conto la pur comprensibile tensione
politica), probabilmente, la strumentalizzazione che ha fatto da cornice alla duplice manifestazione
di Sabato 10 febbraio a Darfo Boario Terme: a cominciare dalle dichiarazioni con cui si tenderà a
scaricare la colpa dei tafferugli sulla sinistra, che avrebbe «cercato lo scontro fisico in modo
organizzato e premeditato». 313 Ma forse sarà il caso di provare a ricostruire brevemente l’intera
vicenda, nelle sue diverse fasi.
In risposta ad una serie di iniziative di stampo razzista (fra le quali una manifestazione a Darfo
Boario Terme nel pomeriggio di sabato 10 febbraio) promosse dalla Lega Nord, le organizzazioni
democratiche valligiane organizzano un presidio nel piazzale dell’autostazione di Boario Terme
(dove dovrebbe concludersi la stessa manifestazione leghista), per «dimostrare così le nostre idee
per un mondo senza confini, per la libera circolazione delle persone, contro il razzismo e la
xenofobia», ma la richiesta di utilizzo del relativo spazio pubblico ottiene il parere contrario da
parte del comandante dei vigili urbani. 314 I promotori dell’iniziativa decidono quindi di trasformare
epigoni del Pci, che erano stati zittissimi, avrebbero detto senza batter ciglio e senza suscitare sollevamenti nella base:
«L’Urss? Mai vista né conosciuta». Rossana Rossanda, “Ancora sul ’56”, La rivista del Manifesto, febbraio 2001.
309
«In verità ti dico che questa stessa notte, prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte». Matteo, 30, 34.
310
«Berlusconi, infatti, ha il diritto, se gli pare, di non nutrire rispetto per i versi di Paul Eluard e di Bertolt Brecht né
per la pittura di Picasso, l’intelligenza di Trotzkij, la cultura di Bucharin, la genialità visionaria di Carlo Marx e neppure
per gli ideali di Gramsci o per il moralismo di Berlinguer, che dei Borgia e pure del “principe” di Machiavelli era
l’esatto contrario». Francesco Merlo, “D’Alema, i Borgia e il Pci”, Corriere della Sera, 11 settembre 1998.
311
Francesco Merlo, ibidem.
312
Giancarlo Maculotti, Cuba e dintorni, lettera a Alessio e Margherita, 15 novembre 2000.
313
Davide Caparini, “Lo scontro era nell’aria”, Bresciaoggi, 15 febbraio 2001.
314
Il parere contrario è accompagnato dalle seguenti motivazioni: «1º Argomentazioni diametralmente opposte che
possono sfociare in problemi di ordine pubblico; 2º Carenza di organico per gestire in sicurezza la viabilità e l’afflusso
di un numero, presumibilmente elevato, di persone in considerazione dell’ora e del giorno della settimana; 3º La località
della riunione è già occupata da gruppo politico autorizzato in precedenza (02.02,2001)».
73
il presidio in un «Invito alla società civile per una pacifica presenza, contro il razzismo e la
xenofobia, nel piazzale dell’autostazione di Boario Terme». 315 Al fine di comprendere meglio il
clima in cui si verificheranno gli eventi successivi, non è privo di importanza ricordare che
l’amministrazione comunale di Darfo Boario Terme aveva già espresso, nei giorni precedenti, un
netto rifiuto anche per l’esposizione della mostra itinerante relativa alla “Shoah”. 316
Nonostante il massiccio schieramento di forze dell’ordine, le due manifestazioni entreranno
brevemente in contatto, ai margini del Piazzale di Boario, tanto da permettere ad un gruppo di
giovani della sinistra di impossessarsi di una bandiera leghista e bruciarla.317 Ma il motivo
scatenante della polemica sarà soprattutto un fatto di teppismo che si consumerà nella tarda serata,
contro due dirigenti locali della Lega.318
L’aggressione verrà strumentalizzata non solo dai dirigenti leghisti, ma anche dallo stesso sindaco
di Darfo Boario Terme, che coglierà l’occasione per togliersi qualche vecchio… sassolino dalle
scarpe («Era facilmente prevedibile che la contromanifestazione voluta dai sindacati avrebbe
attirato gli esponenti dei centri sociali. Spetterà all’indagine della Polizia risalire agli autori
dell’aggressione, ma la violenza è una prerogativa degli autonomi…»), 319 e dagli stessi organi di
informazione locali, che descriveranno la contromanifestazione quasi come una copertura
indispensabile per realizzare il fattaccio. «Dai microfoni di Radio Valle – scrive Francesco Ferrati
su Graffiti – il suo direttore Mauro Fiora ha più volte affermato che “per i comunisti ogni occasione
è buona per menare le mani”»). 320 Mentre «Teleboario continua imperterrita nella sua crociata di
fianco al Carroccio, sottolineando, per mezzo della sua giornalista di punta Paola Cominelli, come
“da entrambe le parti non ci sia stata la volontà di cercare vie comuni per una possibile
integrazione”. Integrazione? Ma come è possibile cercare un confronto con la Lega se nel loro
vocabolario la parola integrazione non esiste? Ai manganelli sotto le giacche (ripresi dallo stesso
Teleboario, ma chissà come mai non mandati in onda), era possibile rispondere con il dialogo?». 321
Toccherà al segretario responsabile della Cgil, Domenico Ghirardi, infine, mostrare i denti (e non
solo) per dare un taglio netto ad ogni ulteriore strumentalizzazione: «… riteniamo opportuno inviare
un esposto e il materiale filmato 322 alla Procura, al Ministero dell’Interno e al Questore affinché
vedano, con i loro occhi, come dei responsabili della Lega si siano comportati…». 323
315
L’appello alla popolazione è firmato da: Coordinamento antifascista; Collettivo Rebel; Cgil, Cisl, Uil; Socialisti
democratici; Democratici di sinistra; Rifondazione comunista e Partito popolare.
316
«Le Organizzazioni promotrici – scriveranno gli organizzatori della mostra itinerante – avevano chiesto
all’amministrazione comunale di Darfo Boario Terme di poter utilizzare la sala espositiva dell’ex Convento di via
Quarteroni (di proprietà comunale) per esporre la mostra. Con grande nostra meraviglia, la Giunta comunale di Darfo
Boario Terme ha negato l’uso di questo spazio in quanto si sarebbero dovuti effettuare dei lavori. Facciamo notare che a
tutt’oggi nessun lavoro è iniziato e che gli amministratori di Darfo Boario Terme non hanno proposto alcun altro luogo
in cui tenere la mostra né si sono offerti di cercarlo. Evidentemente – continua il testo della lettera – essa non destava
alcun interesse nell’Amministrazione. Non possiamo tacere il rammarico per quella che secondo noi è una
dimostrazione di insensibilità democratica da parte della giunta che amministra il maggior comune della Valle».
“Shoah, per non dimenticare”, Graffiti, febbraio 2001.
317
«… sono volati insulti e qualche spintone. Ma il servizio d’ordine dei carabinieri e dei vigili ha impedito ogni
degenerazione». Giornale di Brescia, 11 febbraio 2001.
318
«Il segretario di sezione e un consigliere comunale della Lega Nord di Darfo Boario Terme, ieri sera, sono stati
aggrediti presso la sede del loro partito da quattro ignoti. L’aggressione è avvenuta verso le 20,30 in via Roma, mentre i
due attivisti stavano scaricando le bandiere, usate durante la fiaccolata organizzata dal Carroccio contro l’immigrazione
clandestina. Il segretario Leonardo Chiudinelli e il consigliere Elvira Pianta sono stati assaliti da quattro persone con il
volto coperto da sciarpe». “Due leghisti aggrediti a Darfo”, Giornale di Brescia, 11 febbraio 2001.
319
Luigi Pelamatti, sindaco di Darfo Boario Terme, Bresciaoggi, 13 febbraio 2001.
320
Francesco Ferrati, “Informazione malata”, Graffiti, marzo 2001.
321
Ibidem.
322
Si tratta di un filmato (che riprende quasi interamente la manifestazione) in cui si vedono dei dirigenti leghisti che, al
momento di entrare nel Piazzale dell’autostazione di Boario, estraggono un manganello dal giubbotto di pelle. Immagini
eloquenti, che tuttavia l’emittente locale (che pure ha ripreso per intero la “fiaccolata” leghista da Darfo a Boario) si
guarderà bene dal mandare in onda, durante le varie fasi di informazione sulla vicenda, così come non verrà fatto alcun
74
Lezioni di civiltà da… oltre mare
Pochi giorni dopo (venerdì 2 marzo), lo scontro di piazza si sposterà a Brescia, ma in questo caso il
Carroccio potrà concludere indisturbato la sua fiaccolata razzista verso Piazza Mercato, dove Bossi
lancerà i suoi deliranti proclami, 324 mentre saranno gli “autonomi” del Centro sociale “Magazzino
47” 325 a subire la carica delle forze di polizia. Una carica che verrà giudicata molto severamente “a
caldo” dal segretario generale della Camera del Lavoro bresciana: «Sono esterrefatto per
l’atteggiamento delle forze dell’ordine. Dobbiamo ancora ricostruire nel dettaglio quanto accaduto,
ma ad una prima valutazione, sembra proprio sia stata una carica preventiva, avvenuta ancor prima
che i manifestanti si fronteggiassero con la Polizia». 326
Confermando poi il duro giudizio anche nei giorni successivi, il segretario della Cgil inviterà a
«riflettere sul segno politico di ciò che è avvenuto a Brescia [perché] si addensano nubi oscure,
premonitrici di un futuro molto pericoloso, qualcuno indica già i padroni di domani». 327
C’è da aggiungere che, a differenza di quanto avvenuto in Valcamonica (dove il clima è stato
esasperato soprattutto dal comportamento dell’Amministrazione comunale di Darfo Boario Terme),
gli scontri bresciani sono originati da un retroterra ben più profondo e radicato nel tessuto sociale.
Un retroterra che, sul piano dei diritti e dell’integrazione razziale ha prodotto le straordinarie
giornate del maggio/giugno 2000, raccontate e fotografate da Massimo Tedeschi e Christian
Penocchio nel bel libro documentario “I due viaggi. Storie della lotta degli immigrati bresciani”.328
La classe operaia ritorna al cinema
Dopo essere andata “in paradiso” quasi trent’anni fa, per merito di Elio Petri con «il primo film
italiano che entra in fabbrica, analizzandone il sistema e mettendone a fuoco con smania furibonda i
vari aspetti, compresi i rapporti tra uomo e macchina, tra sindacato e nuova sinistra, tra
contestazione studentesca e lotte operaie, repressione padronale e progresso tecnologico» 329 (un
film che suscitò molte polemiche, anche e soprattutto a sinistra), e dopo quasi un ventennio di
televisione (privata e pubblica, in egual misura) che diffonde a piene reti soap opere in cui vengono
messi in scena i pilastri della domestica e rassicurante piccola borghesia di provincia (il medico, il
poliziotto, il prete e l’avvocato), la classe operaia torna finalmente al cinema, grazie soprattutto a
film stranieri del calibro di Full Monty, Risorse umane e Il pane e le rose 330 .
cenno neppure sulla potenzialità aggressiva delle robuste aste (ben più efficaci degli antichi manici di piccone utilizzati
negli anni Settanta) in cui sono infilate le bandiere leghiste.
323
Domenico Ghirardi, Il Giorno, 14 febbraio 2001.
324
«Ho attivato la macchina della Lega, dalla prossima settimana si incendierà la battaglia nelle strade, nelle piazze, nei
consigli regionali…». Il Manifesto, 4 marzo 2001.
325
«Non volevamo scontrarci con la Lega – diranno i loro rappresentanti – ci bastava collocare la nostra barriera
simbolica il più vicino possibile al passaggio del loro corteo». Bresciaoggi, 3 marzo 2001.
326
Dino Greco, Giornale di Brescia, 2 marzo 2001.
327
Dino Greco, Il Manifesto, domenica 4 marzo 2001.
328
«Con lo sciopero della fame, l’occupazione di alcune piazze centrali della città, tre cortei partecipati da migliaia di
persone, incontri con tutte le autorità politiche civili e religiose di Brescia, dialoghi con il presidente del senato e due
sottosegretari di governo, gesti clamorosi e trattative indefesse, gli immigrati bresciani hanno per la prima volta in Italia
sollevato un autentico caso politico, costretto il governo a rivedere le proprie scelte, imposto una radicale revisione dei
50mila dinieghi alle domande di regolarizzazione. L’esito di quella lotta, durata un mese e mezzo, è stato
oggettivamente una vittoria per gli immigrati e tutti coloro che li hanno sostenuti, a cominciare dai sindacati confederali
e dal centro sociale Magazzino 47». Massimo Tedeschi, I due viaggi. Storie della lotta degli immigrati bresciani, Grafo,
Brescia, settembre 2000.
329
La classe operaia va in paradiso, di Elio Petri, 1972.
330
Full Monty – Squattrinati organizzati, di Peter Cattaneo, Gran Bretagna 1997. Risorse umane, di Laurent Cantet,
Francia, 1999. Il pane e le rose, di Ken Loach, Usa 2000.
75
La Cgil camuna, grazie all’impegno di un suo collaboratore che sta tentando di organizzare alcune
categorie marginali di lavoratori, fra i quali gli addetti alle pulizie (il settore in cui è ambientato il
film di Ken Loach), promuove la partecipazione (gratuita) alla proiezione del film Il pane e le rose,
che il cinema Sorgente di Boario Terme mette in calendario nella serata di giovedì 8 marzo, in
concomitanza con la festa internazionale della donna.
La presenza in sala sarà piuttosto numerosa (molto più numerosa rispetto alla media delle serate
d’essai), ma si noterà soprattutto la totale assenza dei rappresentanti della classe operaia… La stessa
rappresentazione non avrà miglior fortuna (tra gli “addetti ai lavori”) quando, alcuni giorni più tardi
verrà proiettata all’Iride di Costa Volpino.
“Per esistere dovremmo scomparire”
Con questo titolo (copiato pari pari da una risposta dell’intervistato), il Giornale di Brescia pubblica
una delle varie interviste dedicate al tema “Storie di operai”. L’intervistato è un camuno di
cinquant’anni, Luciano Togni, di Edolo, trapiantato a Brescia fin dai primi anni Settanta (dopo aver
compiuto un tirocinio di cinque anni alla “scuola allievi” della Fiat, a Torino) e, da quasi trent’anni,
“inchiodato” nel terzo livello dell’Om («Avanti, fino al quinto livello, arriva chi sputa straordinari o
fa ‘l röfia 331 »). Tra sette anni, con cinquantasette anni di età e quaranta di lavoro (e un po’ di
nostalgia per la fabbrica, «Perché in fabbrica esiste un affetto e una stima tra di noi… C’è più
alienazione fuori, dove ci si disperde, si scompare e alla sera si è tutti blindati in casa…») dovrebbe
andare finalmente in pensione.
Nostalgia per la fabbrica (e per la lunga militanza sindacale), che tuttavia non gli impedisce di
essere molto schietto (ed anche un po’ risentito) nelle sue risposte: «Siamo stati dimenticati, ma non
dimentichiamo. Leggevo l’Unità, 332 adesso compro Repubblica, oppure la Stampa, oppure il
Corriere della Sera, nell’ordine, 333 Prima leggevo una ventina di libri l’anno, adesso tre, quattro.
Soprattutto avventura, poi Levi, Silone. Sono deluso, la sinistra ha puntato sui ceti medi emergenti,
sulla new economy, invece la baracca la teniamo in piedi ancora noi. Oggi, per esistere, lo dico
sempre ai compagni della fabbrica, dovremmo scomparire tutti insieme d’un colpo solo. Allora
capirebbero che ci siamo. È ancora il lavoro il nucleo centrale della vita economica e sociale…».
È fin troppo facile leggere, tra amarezze e rimpianti, il senso di orgogliosa appartenenza di classe,
rilanciato nei mesi scorsi dal segretario della Fiom lombarda, Maurizio Zipponi, con il suo libro sui
metalmeccanici. «Ci siamo – ripete infatti Luciano Togni – certamente, siamo più di prima in molti
casi, ma non contiamo più».
Amarezza e rimpianti che vorrebbero giustificare un certo distacco dalla militanza attiva («Mi sono
tirato fuori dall’impegno sindacale diretto: tocca alle nuove generazioni, noi siamo stanchi, la
delusione non ci manca. Vorremmo perdere la delusione e guadagnare la passione politica, il
partito. In fabbrica per me è stato il Pci, rimpiango il Pci, era il fulcro della classe operaia…»), ma
senza alimentare equivoci, «sia chiaro – conclude infatti l’intervistato – deluso sì, traditore mai.
Alle elezioni voto a sinistra. Senza gioia, ma voto a sinistra». 334
Per una sorta di curiosa coincidenza, all’indomani delle elezioni del 13 maggio la segreteria zonale
dei Ds camuni, ridotti ormai ad una esigua testimonianza (6,6%), in un comunicato stampa sulle
difficoltà occupazionali in cui versa la Tassara di Breno, scriverà che «ci eravamo quasi dimenticati
dell’esistenza delle fabbriche siderurgiche. Dai tempi della grande crisi degli anni ottanta, quando in
Valcamonica chiusero decine di aziende lasciando sulla strada alcune migliaia di operai, le ferriere
non facevano più notizia. Sembrava che la burrasca fosse passata e che le poche aziende rimaste
331
Il ruffiano.
332
Chiusa nell’estate del 2000, ritornerà in edicola il 28 marzo del 2001.
333
Questo bisogno di puntualizzare l’ordine di importanza che viene attribuito ai quotidiani è molto significativo
rispetto all’approccio con la stampa (e con la cultura, come vedremo oltre) da parte del “vecchio” militante comunista.
Ne vien fuori una “classifica” in cui la Stampa, nonostante sia il “giornale del padrone”, viene addirittura prima del
Corriere; una classifica in cui un quotidiano come Il Manifesto non viene preso neppure in considerazione.
334
Da un intervista di Tonino Zana a Luciano Togni, Giornale di Brescia, 29 marzo 2001.
76
attive (Riva Acciai di Malegno e Cerveno, Tassara e poche altre) fossero ormai al riparo da pericoli
incombenti. Così non è e anche per una delle più storiche fabbriche camune è annunciata la
chiusura. Per la verità un vago sospetto era già nato in noi quando, poco più di un anno fa,
l’industria brenese vendette uno dei gioielli di famiglia: la centrale idroelettrica di Bienno. Ma
come, ci eravamo chiesti, l’energia costa prezzi enormi, la siderurgia ne consuma in grande quantità
e la Tassara si priva della sua autoproduzione? I sospetti a quanto pare erano fondati e la verità non
ha impiegato molto tempo a venire a galla: Romain Zaleski, amministratore delegato, impegnato
nella scalata alla Montedison ed in altre operazioni finanziarie, vuole liberarsi dell’attività
industriale per dedicarsi solamente a queste attività […]». 335
Metamorfosi e imbarbarimento
Il Consiglio di zona dei Ds camuni, convocato nella serata di giovedì 5 aprile nella sede di Darfo
Boario Terme, viene formalmente aggiornato sulle candidature dell’Ulivo: Alessandro Bonomelli al
Senato e Vincenzo Raco 336 alla Camera. Sono presenti circa venti “dirigenti”, quasi tutti
amministratori (o ex, con tanta voglia di riprovarci) fin dagli anni Settanta, che approvano senza
batter ciglio la micidiale tenaglia elettorale realizzata dai vertici popolari e diessini…
Quant’è remoto il partito “contenitore” di pannelliana memoria («un veicolo entro cui far viaggiare
idee e progetti»); così com’è irrimediabilmente remoto il miraggio occhettiano dello “zoccolo
duro”. 337 Al posto di quello che fu un grande partito di popolo s’è ormai ben affermata e
consolidata una consorteria di potere e di clientele che non ha più nulla da invidiare alla vecchia
Democrazia Cristiana… «Viviamo in una “democrazia senza partiti” – scriverà Andrea Valesini
commentando e citando l’ultimo libro di Lucio Caracciolo: “Terra incognita” – in cui l’apparato
collegiale dei partiti della prima Repubblica è stato sostituito con un apparato personale: i partiti
come macchine al servizio di questo o quel leader politico». 338
E Paolo Flores d’Arcais, alcune settimane dopo, di fronte al risultato elettorale del 13 maggio,
rincarerà la dose scrivendo che «con il dalemismo i Ds sono diventati una oligarchia, nel senso
pieno, deteriore, autoreferenziale, privo di correttivi e controlli: distacco radicale dal paese, conflitti
interni ridotti a faide sorde e personali, ma solidarietà fino all’omertà quando si tratta di impedire
che i dirigenti paghino per errori e tracolli». 339
Meritano di essere citati, infine, i passaggi più significativi della lettera di un militante diessino a
proposito delle imminenti elezioni politiche: «… iscritto e attivo in un partito di sinistra, per due
volte ultimamente ho votato per “altri” (di sinistra ovviamente) e non per la scelta (referendum) e
per il candidato (molto “chiacchierato”) del mio partito. E mi preparo a fare (e a far fare) altrettanto
alle prossime politiche se il candidato sarà quello che ormai tutti danno per certo, che in Valle ha
già preparato il terreno per esserlo, da vecchia volpe qual’è. Candidato di schieramento in questo
caso, quindi anche del “mio partito” per forza di cose, ma sulla cui figura politica e amministrativa,
che non è valutabile solo dal certificato penale, i giudizi, nell’ambiente, sono sconfortanti. Che i
candidati della destra siano spesso anche peggio e perfino “solari” nei loro opportunismi, non mi
335
Segreteria Ds Valcamonica, “Occupazione a rischio alla Tassara di Breno”, Graffiti, giugno 2001.
336
Del primo se n’è già parlato a sufficienza, mentre la figura di Vincenzo Raco meriterebbe di essere maggiormente
analizzata, anche perché nel corso della sua vita ha saputo esprimere iniziative apprezzabili sul piano delle tematiche
civili e sociali; basti ricordare quanto scrive di lui Giancarlo Maculotti, tracciandone un breve ritratto su Graffiti: «Dopo
essere stato gentilmente estromesso dai gruppi dirigenti del Pci bresciano con l’accusa infamante di aver passato
un’intera estate a leggersi Proust al posto di mangiare salamine tutte le sere alle varie feste dell’Unità, ha acquisito
indubbi meriti sul piano culturale e politico […]. Chi ha fondato infatti il Centro Iniziative di Pisogne? Chi ha al suo
attivo i più importanti ed interessanti dibattiti della bassa valle? Chi ha raccolto in un batter d’occhio più di trenta
adesioni al comitato Prodi?». Giancarlo Maculotti, “Ritratti: Enzo Raco”, Graffiti, agosto 1995.
337
Durante la fase di passaggio e trasformazione dal Pci al Pds, sul finire degli anni Ottanta, il segretario Achille
Occhetto, affermò che il nuovo partito si sarebbe attestato ben al di sopra del 25%, soprattutto grazie all’esistenza di
uno “zoccolo duro” di vecchi militanti.
338
Andrea Valesini, “Siamo un Paese sospeso tra due Repubbliche”, L’Eco di Bergamo, 24 aprile 2001.
339
Paolo Flores d’Arcais, “Mai più inciucio”, MicroMega, 3/2001.
77
tranquillizza e non risolve il problema di questa mia “doppiezza”, tra l’essere parte di una squadra
ed il non aiutarla a far goal. O meglio, a non far goal con certi mezzi e con certi uomini. Non prendo
nemmeno in considerazione la soluzione “alla Montanelli”, di votare turandomi il naso, che pur ha
una sua logica, ma che “genera mostri” se diventa abitudine. Ma, d’altra parte, da questa squadra
faccio fatica a pensare di “uscirmene”: è la mia “parte” per “cuore e ideali” e non credo allo star da
soli che dà un senso di maggior libertà (solo apparente) e qualche vantaggio occasionale, ma che è
scelta quasi sempre improduttiva». 340
Il disagio è talmente diffuso e palpabile da indurre l’editorialista dello stesso numero di Graffiti a
scrivere che «il centro sinistra ha dimostrato un pessimo rispetto dei suoi sostenitori non istituendo
le primarie e imponendo, in molti casi, dei candidati non scelti dagli iscritti all’Ulivo e non graditi
alla maggioranza dei simpatizzanti del centro sinistra. Personalmente sono indignato!». Anche se
poi lo stesso editorialista conclude con un appello a «non fare degli omaggi a Berlusconi, Bossi e
Fini. Voto Ulivo quindi, come spero faccia la maggioranza dei camuni e degli italiani». 341
Settarismo, malattia senile…
Venerdì 20 aprile (in piena campagna elettorale), all’albergo “Sorriso” di Boario Terme, il circolo
camuno “Antonio Gramsci” di Rifondazione comunista promuove una “cena di sottoscrizione”, con
la partecipazione del candidato di collegio, Pietro Magra, e di Giorgio Cremaschi, segretario della
Fiom piemontese. Il tema del dibattito (“Lavoro e sindacato”), che precede la “cena sociale”, è di
grande attualità. L’occasione potrebbe essere ottima per provocare un incontro-confronto fra gli
stessi militanti di Rifondazione e alcuni altri settori della sinistra, e soprattutto con il sindacato, di
cui Cremaschi è appunto uno degli esponenti di punta. Invece no!, si preferisce impegnare la serata
nell’intimità del partito, come se i militanti (una trentina in tutto) che partecipano all’appuntamento
avessero davvero bisogno delle profonde argomentazioni di Giorgio Cremaschi per sapere cosa fare
il prossimo 13 maggio…
E non è che un pallido esempio del clima di settarismo e autoreferenzialità che si respira a pieni
polmoni nell’ambito della “sinistra” politica e sociale camuna. Un altro esempio viene offerto negli
stessi giorni dalla Cisl che, contravvenendo ad una prassi consolidata da decenni (a cui non si è mai
derogato neppure nei momenti di acceso contrasto), sceglie di non invitare i dirigenti della Cgil al
proprio congresso comprensoriale.
Non siamo più, quindi, al confronto, magari aspro, sulle diverse posizioni politiche, ma siamo ormai
all’imbarbarimento nei rapporti e nelle relazioni personali.
Dal canto suo, i massimi responsabili della Cgil camuno-sebina se ne guarderanno bene dal tentare
di approfondire le ragioni dello sgarbo, ma si limiteranno a rispondere con una sorta di capolavoro
di ipocrisia buonista, «esprimendo il nostro rammarico per la vostra scelta di non invitarci al vostro
congresso ci sentiamo tuttavia di esprimervi il nostro augurio per proficui lavori nella convinzione
che occorre sempre ricercare nel confronto le condizioni per ritrovare le ragioni prioritarie di quello
che unisce da quello che divide in nome di un interesse più generale a cui tutti teniamo». 342
L’ultimo esempio di imbarbarimento, infine, verrà denunciato da Bruno Bonafini, attraverso un
messaggio alla Redazione di Graffiti: «Manca il pezzo sull’assemblea del Social Forum Camuno, 343
riunione alla quale, oltre agli apprezzamenti, volevo muovere anche qualche appunto. Ma
guardando a quanto accade nei Ds camuni, me ne è passata la voglia: mi sembrerebbe, biblicamente
parlando, di cercare la pagliuzza nell’occhio del fratello, trascurando la trave che acceca la vista del
partito a cui sono iscritto. Mi viene da dirlo pensando una riunione dei Ds di Valle, ieri sera a
340
B.F. Vallecamonica, “Attenzione: è qui che abita il potere”, Graffiti, maggio 2001.
341
Giancarlo Maculotti, “Voterò comunque per l’Ulivo”, Graffiti n. 94, maggio 2001.
342
Telegramma alla presidenza del Congresso Cisl, a Boario Terme (Centro Congressi), firmato dalla Segreteria Cgil
Valcamonica Sebino (Ghirardi, Lollio e Ballerini), il 9 aprile 2001.
343
«Dopo varie assemblee, il Valcamonica Social Forum è ufficialmente costituito. Singoli individui, realtà politiche ed
associazioni varie, per non disperdere gli ideali ed i valori espressi durante i giorni del G8 genovese, hanno deciso di
riunirsi per collaborare…», Francesco Ferrati, “Anche in Valle il Social Forum”, Graffiti, ottobre 2001.
78
Breno, con Claudio Bragaglio: presenti meno di dieci persone (!), convocate telefonicamente e
selezionando tra i compagni quelli che probabilmente sono per la mozione “giusta”! Stessa cosa era
già accaduta la settimana scorsa, presente Pierangelo Ferrari, altra riunione per pochi intimi, di cui il
corpo degli iscritti non ha potuto sapere. É vero, i congressi sono alle porte, ma questo giustifica
una chiusura così carbonara, che non vi è stata nemmeno in momenti di scelte più radicali per il
partito? E chi può stabilire prima del voto le appartenenze? E con quale logica impedire discussioni
aperte, approfittando della presenza di compagni autorevoli, sul congresso e su altro, visto che, nel
frattempo sta cambiando il mondo?
La vicenda del Pci-Pds-Ds Valligiano può aver mostrato tanti difetti, mai la meschinità. Spero di
potermi aggrappare ad uno straccio di spiegazione, se qualcuno vorrà tentare di fornirmela, per non
dover dire che si sta colmando la lacuna.
E allora c’è poco da discutere sulle assemblee degli “altri”, che pur sono aperte, partecipate e
tempestive sui problemi. Con quanto passa il convento di certi partiti, potrebbero anche diventare
gli unici momenti di vitalità politica della sinistra camuna, al di là delle differenze. 344
Sui “percorsi della memoria”
Il primo appuntamento sui “percorsi della memoria”, 345 domenica 22 aprile, a Laveno di Lozio, sul
luogo della cattura di Giacomo Cappellini, 346 ottiene un successo di partecipazione che va ben oltre
le aspettative degli stessi promotori. È soprattutto la folta presenza di giovani a destare un certo
stupore: «La presenza cospicua di ragazzi e ragazze è stata la risposta migliore a questo tipo di
iniziativa, fattore sottolineato anche da Ermes Gatti 347 che, dalla lunga esperienza nelle scuole,
ritiene di avere capito quanto i giovani siano migliori di alcuni loro insegnanti. La voglia di
conoscere e sapere era percepibile nella frizzante aria alpina e la reazione emotiva ai racconti e ai
canti viva. La proposta alternativa dei “Percorsi della Memoria” ha colpito nell’animo di questi
ragazzi, che hanno provato l’esperienza della camminata sulle vie della Resistenza camuna e hanno
sentito parole e canti che poco hanno a che vedere con le retoriche commemorazioni inaridite e
stanche a cui si è solitamente abituati. La mancanza della celebrazione religiosa che spesso
accompagna questo tipo di iniziative ha sicuramente colpito e interessato i ragazzi e le ragazze, i
quali hanno compreso immediatamente che l’esperienza proposta per una domenica alternativa
all’insegna della “Memoria” sarebbe stata diversa». 348
La conferma di quanto scrive Anna Airò si avrà tre giorni dopo, a Costa Volpino, dove «c’era molta
gente anche alla celebrazione ufficiale del 25 aprile, nonostante la scarsa diffusione informativa (chi
ha visto qualche manifesto, in proposito, sui muri della Valcamonica?). Certamente non meno gente
di quella contata tre giorni prima a Laveno, ma quanta differenza di… stile! A Costa Volpino un
corteo preceduto dalle autorità (civili e militari) e dai gonfaloni dei comuni (una decina in tutto), a
Laveno una camminata per “sentieri alternativi” (in tutti i sensi); a Costa Volpino la funzione
religiosa (quasi come a voler consacrare la Resistenza nel solo ambito del mondo cattolico)
accompagnata dalla Banda musicale, a Laveno i canti popolari del gruppo “Pane e guerra”; a Costa
Volpino il pranzo ufficiale in un ristorante cittadino, a Laveno un piatto di pastasciutta o di
minestrone offerto dalla casa “Arcobaleno” degli Amici della natura (a completare la colazione al
344
Bruno Bonafini, lettera a Giancarlo Maculotti e Tullio Clementi, 8 ottobre 2001.
345
Si tratta di una iniziativa promossa dal Circolo culturale Ghislandi, in collaborazione con il Circolo Caprani di
Malegno, il Gian (Gruppo italiano amici della natura) di Lozio, il Collettivo “Rebel”, le Fiamme Verdi, l’Anpi ed altre
associazioni locali.
346
Giacomo Cappellini (Cerveno, 1909 – Brescia, 1945), maestro elementare e studente della facoltà di magistero,
abbandonò l’insegnamento per partecipare alla resistenza. Apprezzato per il suo coraggio e la dirittura morale, venne
ricercato con accanimento dai fascisti, che dopo vari tentativi riuscirono a catturarlo, il 21 gennaio 1945, nella zona di
Lozio. Incarcerato a Breno e poi a Brescia, venne fucilato il 24 marzo. Medaglia d’oro alla memoria.
347
Presidente provinciale delle Fiamme Verdi.
348
Anna Airò, “Primo appuntamento sui percorsi della memoria”, Graffiti, n. 94, maggio 2001.
79
sacco). Poca meraviglia, quindi, se i giovani che hanno caratterizzato la manifestazione di Laveno
sono invece pochi (e piuttosto defilati) alla celebrazione di Costa Volpino…». 349
Nostalgie e rimpianti
Sempre a ridosso delle elezioni del maggio 2001, infine, si accende una polemica al calor bianco
attorno al Sessantotto, con Massimo Fini che scrive: «Molti di coloro che allora urlavano “fascisti”,
borghesi ancora pochi mesi” sono passati a destra (Ferrara, Liguori, Maiolo) e come allora ti
gridavano nelle orecchie che tu eri un fascista e loro avevano ragione, oggi ti gridano nelle orecchie
che sei un comunista e che loro hanno sempre ragione», 350 e Luigi Manconi che risponde: «La cosa
chiamata “sessantotto” è durata dall’autunno del ’67 all’autunno del ’69. A esso partecipò circa il
10% della classe di età tra i 18 e i 24 anni. Fu un avvenimento importante perché contribuì a
determinare, e comunque accelerò, un processo di modernizzazione dell’organizzazione sociale,
delle strutture istituzionali e della mentalità collettiva del nostro paese. In coincidenza con quel
movimento e a seguito di quel movimento, in tutti gli ambiti della società furono messi in
discussione i rapporti di potere fino allora vigenti. Per intenderci: sono di quel periodo la
costituzione del primo sindacato di polizia (nato nella caserma milanese “Sant’Ambrogio”, situata
dinanzi all’università cattolica, teatro di aspri scontri tra studenti e forze dell’ordine); le prime, e
uniche rivendicazioni salariali della categoria dei sagrestani (!); la fondazione dell’Associazione dei
calciatori. Più tutto il resto.
Gli appartenenti a quel movimento, nella stragrande maggioranza, hanno seguito negli anni
successivi consueti percorsi di vita: sono diventati impiegati e insegnanti (tantissimi) e hanno
cercato di tradurre, nella loro esistenza quotidiana, i valori (una parte di essi) che orientarono la
rivolta di quegli anni. È successo così in tutti i paesi industrializzati e il bilancio che si può trarre –
nonostante le scemenze dette e fatte; nonostante le violenze dette e fatte – è, alla resa dei conti,
positivo. I processi di modernizzazione delle società democratiche, e di alcune società autoritarie
(dell’Est europeo, ad esempio), sono stati determinati – o, per lo meno, incentivati e accelerati – dal
“sessantotto”; all’interno di organizzazioni sociali prima asfittiche, sono stati avviati meccanismi di
partecipazione e di democratizzazione; i costumi e gli stili di vita, la mentalità condivisa e il senso
comune sono stati radicalmente rinnovati (basti pensare alla sfera dei diritti individuali e delle
libertà civili). Se ne è giovata l’intera società.
Nella gran parte dei paesi europei, questo ha portato a un radicale ricambio della classe dirigente.
Così non è stato in Italia. Contrariamente a quanto ripete un luogo comune particolarmente radicato,
il “sessantotto” non è andato al potere. Non nel sistema politico e non nell’informazione…».351
Difficile, a questo punto, resistere alla tentazione di aggiungere un “purtroppo” alle successive
considerazioni di Manconi: «… c’è stato un ovvio ricambio generazionale: e il fatto che nei partiti e
nei giornali, oggi, abbiano un ruolo dirigente i quarantacinque-cinquantacinquenni, si deve
principalmente a un meccanismo di avvicendamento fisiologico, non certo agli utili ricavati dalla
partecipazione a quel movimento…».
Dal delirio di onnipotenza al delirio e basta
Nonostante la “Casa delle libertà” (il cui risultato elettorale dimostrerà ancora una volta come, in
politica, non sempre due più due è uguale a quattro) 352 faccia di tutto per aprire la strada verso
349
Tullio Clementi, “25 Aprile a Costa Volpino”, Graffiti, n. 94, maggio 2001.
350
Massimo Fini, “Sessantottini, gli impuniti”, Il Giorno, 11 marzo 2001.
351
Luigi Manconi, “Noi sessantottini senza potere”, Il Giorno, 13 marzo 2001.
352
«In entrambi i rami del Parlamento la “Casa delle libertà” perde circa un terzo di voti (- 21,16% al Senato e - 17,20
alla Camera), rispetto ai risultati ottenuti dalla somma di Lega Nord e Polo delle libertà nel 1996. Di queste migliaia di
voti “migranti”, L’Ulivo riesce ad “intercettarne” solo una minima parte, mentre il resto viene suddiviso fra le varie
altre liste». “Risultati e raffronti con le precedenti elezioni”, Graffiti, giugno 2001.
80
Roma al Bonomelli, candidando un personaggio piuttosto discusso come Guglielmo Castagnetti353
(difficile non pensare ad una sorta di riconoscente “scambio” per l’operazione consociativa negli
enti comprensoriali), e nonostante le trombe radiofoniche del leghista camuno Fiora squillino quasi
esclusivamente per lui, il candidato “popolare” dell’Ulivo viene sconfitto, con risultati deludenti
soprattutto nei suoi “feudi” camuni (fatta eccezione per la Valsaviore, dove ottiene il consenso di
due elettori su tre). 354
Mentre i resti dell’armata diessina, privi ormai di ogni capacità autocritica (e quindi incapaci di
analizzare le ragioni della sconfitta per rilanciare su altre basi il partito) si avviano tristemente verso
l’irrimediabile dissolvenza, come già paventato – su un piano più generale – da Emanuele Macaluso
qualche settimana prima delle elezioni, quando scrisse che «la sconfitta della sinistra non sarebbe
un segnale salutare capace di far deporre le arroganze e sollecitare serie riflessioni in chi oggi guida
le formazioni che alla sinistra si richiamano. Temiamo che la sinistra sia troppo debole, nei suoi
gruppi dirigenti e nella società, per metabolizzare una sconfitta e costruire le condizioni per
radunare tutte le energie disperse attorno ad un nuovo progetto. Temiamo una ulteriore
disarticolazione, con radicalizzazioni verso una sinistra di opposizione senza progetto di governo e
verso un generico partito democratico». 355
Le ragioni di tale dissolvenza verranno analizzate anche da Bruno Trentin il quale, con la consueta
schiettezza, dirà che «i Ds hanno evitato una riflessione collettiva, si sono dimenticati di mantenere
una loro autonomia culturale rispetto alle trasformazioni. La Quercia non ha fatto una scelta di
fondo per una politica della formazione del mondo del lavoro, della ricerca, dello sviluppo per
affrontare con i fatti la sfida a livello mondiale…».356 Piuttosto sconcertante, invece, il modo
disinvolto in cui i dirigenti diessini camuni tenteranno di uscire indenni dalla vicenda elettorale,
sottoponendo all’approvazione del Consiglio di zona un documento in cui si dichiara che «la
soddisfazione per il risultato locale, andato oltre le aspettative, suggerisce di assecondare questo
stato di disponibilità a lavorare insieme per consolidare rapporti e strategie e guardare ai prossimi
appuntamenti elettorali con la convinzione di poter incrementare ulteriormente i consensi».
Usando i dati quasi come fossero un elastico delle mutande, il maggior consenso elettorale ottenuto
dai candidati (circa l’8%, come in ambito nazionale) rispetto alla somma dei partiti dichiaratamente
sostenitori, viene utilizzato esclusivamente per giustificare come ottime le decisioni del partito nella
scelta dei candidati, ignorando completamente quello che viene suggerito da una lettura appena un
po’ più onesta e seria dei risultati, come faranno molti altri osservatori politici. 357
353
«L’allora sottosegretario on. Castagnetti, rigorosissimo nel chiedere sacrifici pensionistici per i lavoratori dipendenti,
aveva utilizzato fino in fondo e spregiudicatamente le possibilità offerte da una “leggina” corporativa, vecchia di
decenni. Leggina che gli aveva consentito di riscuotere un doppio stipendio, quello di parlamentare e quello di preside
(pur se in aspettativa), e soprattutto di collocarsi in pensione dopo soli vent’anni di servizio chiedendo il conteggio
pensionistico non sulla posizione di uomo di scuola ma su quella di sottosegretario, equiparato dalla leggina alla
posizione del dirigente di ministero all’apice della carriera. Una pensione d’oro insomma, grazie a pochi mesi da
sottosegretario. Appena in tempo, perché ci poi fu la bufera di tangentopoli ed il crollo di quel mondo politico, con
l’evaporare dei repubblicani. Poi, per il Nostro, la candidatura al Parlamento con l’armata Brancaleone di Pannella,
senza esito, e infine l’approdo, sponda più promettente, col Cavaliere di Arcore, che sa apprezzare chi ha il pedegree
giusto. E il suo ritorno in Valle da candidato». Bruno Bonafini, “Toh! Chi si rivede! È tornato il Castagnetti”, Graffiti,
n. 94, maggio 2001.
354
Tra i tanti commenti di una campagna elettorale al vetriolo, almeno un paio, perfettamente complementari fra di loro,
meritano di essere citati per la loro incredibile capacità di suscitare sconcerto e indignazione: a fronte delle sempre più
palesi manifestazioni di contrarietà popolare alla candidatura del Bonomelli, i suoi più accaniti sostenitori dichiarano di
non essere troppo preoccupati perché, tanto, «i voti li prenderà dove non lo conoscono»; mentre sull’altro versante,
quello degli elettori che sono comunque intenzionati a non far mancare il loro voto all’Ulivo, si tende a salvarsi la
coscienza con la seguente motivazione: «lo votiamo perché tanto ben difficilmente verrà eletto».
355
Emanuele Macaluso, “La Sinistra e le elezioni”, Le ragioni del socialismo, n. 58, marzo 20011.
356
Bruno Trentin, “Sinistra senza un progetto”, La Repubblica, 23 maggio 2001.
357
«Una differenza sorprendente di otto punti nelle percentuali ottenute dall’Ulivo (da 35 a 43%) senza la quale la
sconfitta sarebbe diventata un disastro. Questo dato dimostra che, malgrado divisioni e delusioni rispetto al governo di
centro-sinistra, il popolo di sinistra (e l’opinione democratica) non ha affatto considerato indifferente chi avrebbe vinto,
e ha saputo anche unirsi più dei suoi vertici. Otto punti di differenza dimostrano che quando si è loro data la possibilità
81
Il documento dei dirigenti Ds tende quindi a promuove «la costituzione del Progetto Vallecamonica
che, all’interno di un contenitore civico (Associazione Culturale), diventi il luogo di formazione
della elaborazione e partecipazione alla politica», e propone di «nominare Sandro Bonomelli al
coordinamento delle attività dell’Associazione».
Epilogo
Il giorno successivo allo scrutinio elettorale, appena si ha conferma dell’avvenuta elezione di
Franco Tolotti alla Camera, gli mando la seguente lettera: «Caro Franco, dopo molti dubbi non
propriamente “amletici”, mi sono risolto a votare ancora Ds nella scheda proporzionale (purtroppo
non ho potuto assecondare le indicazioni del partito su altre schede, non essendo più disponibile a
“turarmi il naso” per il resto dei miei giorni), e questo mi pone oggi nella condizione di porgerti le
mie congratulazioni per la tua elezione alla Camera dei deputati. Spero vivamente di poterti
apprezzare e stimare nella nuova dimensione di parlamentare, almeno quanto ti ho apprezzato e
stimato nel ruolo di segretario della Federazione provinciale fino al momento in cui (forse per
ragioni superiori che possono a volte sfuggire ad un “non politico”) la stessa Federazione bresciana
si è defilata di fronte alla radicale e palese opera di sfascio del partito che veniva consumata in
Valcamonica».
Il 16 maggio, L’Eco di Bergamo pubblica in prima pagina una riflessione di Franco Cattaneo che
val la pena di richiamare, almeno nelle sue parti più significative: «… In un decennio in cui la storia
ha accelerato ingenerosa travolgendo miti e certezze, l’orgoglio dell’appartenenza e della diversità,
siamo passati dalla condizione di contemporanei a quella di ex e post: post-democristiani, postcomunisti, post-fascisti, post-industriali. Eravamo cittadini in casa nostra, oggi siamo abitanti di un
paesaggio lunare. Abbiamo maneggiato parole impegnative (solidarietà, sussidiarietà, federalismo,
moderatismo, multiculturalismo) e ci siamo presi sul serio. Abbiamo investito in un nuovismo
acritico e oggi ci accorgiamo che tutto ha un prezzo: il capitalismo e il benessere impongono un
costo, la globalizzazione non è un’ipotesi ma è una dura realtà che seleziona capaci e incapaci (e di
costoro che facciamo?), la modernizzazione attraverso la competizione determina uno stress
ansiogeno. Recuperare una nuova identità politica, perché quella precedente è impresentabile o
perché è stata infangata, non è un esercizio elementare: significa recidere, abbandonare, e poi
inseguire e adattarsi. Tutto ciò, almeno per chi ancora crede nelle idee che camminano sulle gambe
degli uomini, è la cifra che distingue l’avventura dal calcolo. Diciamola tutta e sottovoce: la Grande
Illusione barricadera degli Anni Novanta, dell’ottimismo individualista di potercela fare da soli,
anzi “contro”, senza il senso della politica e della comunità, è fra noi e sta diffondendo quel senso di
insicurezza e di disincanto che accompagna il nostro vivere quotidiano. [...]. Forse siamo alla fine di
un’era alternativa e al rientro nella normalità, nella efficiente disciplina del leader carismatico».
E l’unico segnale di attenzione da sinistra verso i giovani viene lanciato dal presidente del
Consiglio, Giuliano Amato, nel momento in cui propone il progetto di una sinistra riformista che
sappia mettere insieme «diessini, socialisti, laico-democratici e tutti i non classificati»: «La mia non
è una “Cosa 3”, ma qualcos’altro, perché va dal basso verso l’alto e non dall’alto verso il basso
[…]. Ci sono comitati che mettono insieme coloro che hanno voglia di stare insieme. Oggi non
esistono più vertici di partito che possono fermare questo processo e se qualcuno lo vuole, vuol dire
che in Italia le cose si possono fare non solo dal vertice. Esiste una dirigenza di trentenni che lavora
nelle periferie. E se rovesciamo questa zolla, scopriamo che questa dirigenza è in grado di dirigere
più e meglio di quella attuale». 358
Ecco, mi pare questo il modo migliore per concludere una più che trentennale riflessione, così, in
forma aperta e problematica, molto più di quanto non fosse nelle intenzioni iniziali.
con il doppio voto di esprimere la propria critica e la propria identità, grandissima parte degli elettori di Rifondazione
ha votato anche il candidato dell’Ulivo per contrastare Berlusconi. Per la stessa ragione larga parte delle altre forze fuori
dalle coalizioni che spesso non avevano candidati propri nei collegi, hanno votato l’Ulivo nel maggioritario». Lucio
Magri, “Capire per reagire”, La rivista del Manifesto, giugno 2001.
358
Giuliano Amato, “Giusto rifare la sinistra dal basso”, L’Unità, 22 maggio 2001.
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